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A tutte le Aggregazioni CNAL
Carissimo/a,
come annunciato nella nostra assemblea svoltasi lo scorso 19 maggio, abbiamo pensato
di dedicare questo anno ad approfondire la conoscenza del dono di grazia che è stato il
Concilio ecumenico Vaticano II, al fine di vivere il 50° non come un fatto celebrativo,
ma come una chiamata ancora urgente e attuale per ciascuno di noi e per la Chiesa tutta.
Come Comitato Direttivo CNAL abbiamo pensato di coinvolgere tutte le nostre
aggregazioni in una riflessione sul nostro vissuto conciliare e sulle sfide che vediamo
ancora aperte e che ci chiedono una risposta urgente nell’attuale momento culturale,
sociale ed ecclesiale.
Per questo abbiamo deciso di chiedere a tutte un contributo scritto che comprenda: la
testimonianza di come è stato vissuto associativamente quel momento di grazia e la
riflessione su “Quali sfide ci attendono a cinquant’anni dal Concilio”.
I movimenti e/o associazioni che sono nati successivamente, possono leggersi come
frutto del Concilio.
Il grande interrogativo potrebbe essere declinato così:
Come abbiamo vissuto il momento del Concilio? Cosa ha significato per la nostra
associazione? Come ha risvegliato il carisma originario? Quali vissuti ha provocato?
Qual è stata la nostra risposta in questi 50 anni? Quali sfide pone al nostro oggi? Come
orienta i nostri orizzonti
Contiamo sulla risposta di tutti voi, consapevoli che questo è un lavoro che accresce la
comunione reale tra noi e il nostro essere Chiesa al servizio del mondo.
Vi salutiamo fraternamente augurandovi buone attività estive
Prof.ssa Paola Dal Toso
Segretaria Generale
unitamente al Comitato Direttivo CNAL
Roma, 27 giugno 2012
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PRESENTAZIONE
Nel suo rinnovato cammino al servizio della comunione tra le varie forme aggregate del
laicato cattolico italiano, la CNAL non può che considerare con grande attenzione il 50°
dell’apertura del Concilio Vaticano II, un evento di grande significato per l’intera comunità ecclesiale, al quale è necessario fare riferimento per comprendere i nuovi orizzonti
dischiusi per l’apostolato laicale, inserito pienamente dal magistero conciliare nella realizzazione stessa del fine della Chiesa. Tale fine è la diffusione del Regno di Cristo sulla
terra, rendendo partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione, ordinando attraverso essi il mondo intero a Cristo (Cfr. AA 2).
Già nel maggio 2012 la CNAL ha tenuto un primo incontro nazionale sul Concilio e un
ulteriore appuntamento, dedicato al tema del laicato, è previsto per il 17 novembre 2012,
data di presentazione del presente Quaderno.
A tutte le aggregazioni aderenti alla Consulta è stato richiesto un contributo sul modo in
cui ciascuna ha vissuto e vive gli insegnamenti del Concilio, materiale che raccogliamo
in questo opuscolo, perché sia condiviso tra tutte e contribuisca a far crescere nella comunione e nella collaborazione al servizio del Vangelo.
Cosa ha significato il Concilio Ecumenico Vaticano II? Indubbiamente ha messo in moto
una dinamica di rinnovamento ancora in atto, destinata a modificare in profondità il volto
della Chiesa e il suo rapporto col mondo. Non si trattava di operare cambiamenti nei
contenuti dell’annuncio, quanto di mettersi in relazione con le trasformazioni in atto. In
questo senso il cammino sarebbe stato lungo e si può affermare con Giovanni XXIII che
“siamo appena all’aurora”.
Indetto nel 1959, il Concilio si apre, dopo un lungo periodo di preparazione, nell’ottobre
1962, per concludere i suoi lavori l’8 dicembre 1965. E’ avviato da Giovanni XXIII, consapevole della profondità della trasformazione in atto: sono gli anni del primo graduale
“disgelo” politico, contrassegnati dalla morte di Stalin nel 1953 e dall'ascesa di Kruscev;
del processo di destalinizzazione, seguito al “rapporto Kruscev” al XX Congresso del partito nel 1956; dell'elezione di Kennedy, nell'ottobre del 1960. La crisi di Suez nel 1956
e l’indipendenza algerina nel 1962 rendono evidente che l’era del colonialismo è definitivamente tramontata. L’insurrezione ungherese e la repressione sovietica dimostrano
che i due blocchi non avrebbero interferito nelle rispettive sfere d’influenza. L’incontro
fra Kennedy e Kruscev a Vienna nel giugno 1961 esprime il fatto che le due maggiori potenze sono disposte ad accettare almeno in parte le regole della convivenza pacifica. E
la crisi dei missili cubani, un anno dopo, evidenzia che anche la situazione più pericolosa
può essere affrontata e risolta con le armi della diplomazia. In un contesto ormai alquanto
diverso da quello dell’immediato dopoguerra, la Chiesa, secondo Roncalli, avrebbe
svolto la sua missione nel mondo muovendosi con l’atteggiamento del “buon Pastore”,
così come dirà più volte nel suo magistero. La Chiesa, che è nella storia, legge “i segni
dei tempi” e a questi risponde.
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Quando è convocato il Concilio Ecumenico, forse neppure lo stesso Papa e i suoi più
stretti collaboratori sono consapevoli della portata che avrà l'evento. Ci si confronta con
tematiche sociali, si presta attenzione al fenomeno della secolarizzazione; il laicato diviene sempre più consapevole della propria appartenenza alla missione della Chiesa,
come attesta il proliferare di gruppi, movimenti e associazioni.
All'indomani della chiusura del Concilio (8 dicembre 1965) si tratta di accoglierne l'insegnamento, di tradurne lo spirito nuovo in atteggiamenti di vita: dare centralità alla Parola di Dio e, insieme, compiere i primi passi della riforma liturgica. Inoltre, è necessario
rinnovare la pastorale: iniziano infatti i piani pastorali con cui la Chiesa italiana si pone
in missione per evangelizzare e rievangelizzare. Cresce l’attenzione per i popoli del Sud
della terra, ci si dedica in maniera prevalente alla sensibilizzazione e al servizio missionario, così come all’impegno diretto nel mondo del lavoro e in quello sociale e politico.
Nel 1967 viene istituita la Pontificia Commissione Justitia et Pax e nel 1971 la Caritas
Italiana.
Frutto del Concilio Vaticano II è la “riscoperta” del ruolo del laico a partire dalla centralità
del battesimo e nel suo rapporto col mondo, inteso come luogo della rivelazione di Dio
attraverso i segni dei tempi e, quindi, “luogo teologico”. L’atteggiamento della Chiesa
verso il mondo è segnato da due parole: “dialogo” e “cooperazione”, col significato di
offerta («mettendo a disposizione»). D’altro lato, l’apostolato dei laici diventa bi-univoco,
voce della Chiesa per il mondo, voce del mondo per la Chiesa; inoltre il ruolo laicale assume la caratteristica di un ambito proprio, collaborativo nei confronti della gerarchia, e
non più semplicemente esecutivo; infine diventa essenziale e non più opzionale per il
dato battesimale, per la Chiesa stessa nel suo stesso esistere e per la sua stessa missione.
Il Concilio Vaticano II è il primo Concilio che parla in maniera esplicita del laicato, non
solo con il decreto Apostolicam actuositatem, ma anche con un capitolo della Lumen
gentium, passando così alla storia “come il grande Concilio sulla Chiesa e sul laicato
visto quale soggetto corresponsabile di tutta la vita ecclesiale”.
Il laicato cattolico vive l’attesa e la celebrazione del Concilio con una attenzione e con
una partecipazione inedita che è frutto di una preparazione avvenuta nei decenni precedenti, anche grazie al contributo dell’Azione Cattolica.
Ci dobbiamo chiedere in che modo il laicato abbia vissuto e considerato questi decenni
che ci separano dall’assise conciliare. In che misura, quella che molti hanno chiamato
l’ora dei laicato sia davvero divenuta nuova consapevolezza, anche alla luce di un cammino formativo e di un laicato che si pone al servizio di una nuova forma di Chiesa.
E’ un interrogativo che potrebbe ben figurare tra gli esami di coscienza che Giovanni
Paolo II nella Tertio millennio adveniente chiedeva di fare: “L'esame di coscienza non
può non riguardare anche la ricezione del Concilio, questo grande dono dello Spirito alla
Chiesa sul finire del secondo millennio. In che misura la Parola di Dio è divenuta più pie-
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namente anima della teologia e ispiratrice di tutta l'esistenza cristiana, come chiedeva la
Dei Verbum? È vissuta la liturgia come «fonte e culmine» della vita ecclesiale, secondo
l'insegnamento della Sacrosanctum Concilium? Si consolida, nella Chiesa universale e
in quelle particolari, l'ecclesiologia di comunione della Lumen gentium, dando spazio ai
carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del Popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l'autentico spirito del Vaticano II? Una domanda vitale deve riguardare
anche lo stile dei rapporti tra Chiesa e mondo. Le direttive conciliari - offerte nella Gaudium et spes e in altri documenti - di un dialogo aperto, rispettoso e cordiale, accompagnato tuttavia da un attento discernimento e dalla coraggiosa testimonianza della verità,
restano valide e ci chiamano a un impegno ulteriore”. (Giovanni Paolo II, Tertio millennio
adveniente 36, Lettera apostolica del 10 novembre 1994).
E’ un esame di coscienza che impegna l’intera comunità cristiana e dal quale non si possono sottrarre le aggregazioni laicali.
A cura del Comitato Direttivo
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ASSOCIAZIONI CHE HANNO PRESENTATO IL LORO CONTRIBUTO
1) Azione Cattolica
2) AGESCI
3)AIMC
4) ACIJF
5) Apostolato della Preghiera
6) Comunione e Liberazione
7) Confederex
8) CSI
9) FSE
10) FUCI
11) Gruppo di preghiera Padre Pio
12) Istituzione Teresiana
13) Legio Mariae
14) MASCI
15) MEIC
16) Movimento per un mondo migliore
17) Movimento Pro Sanctitate
18) Movimento dei Focolari
19) Movimento Rinascita Cristiana
20) OFS
21) Opera Regalità
22) Pax Christi
23) RNS
24) SEAC
25) UAR
26) UCID
27) UCIIM
28) UNITALSI
29) VIVERE IN
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AZIONE CATTOLICA
L’Azione cattolica italiana visse il Concilio secondo i ritmi della Chiesa: attraverso la preghiera, accogliendo le intenzioni di Giovanni XXIII nella fase preparatoria; nell’approfondimento dei temi in discussione nel corso delle sessioni; nel tenere viva l’attenzione
durante le intersessioni; nel rilancio dei documenti, via via che venivano approvati dai
padri conciliari e assunti da Paolo VI. In questo processo, che rendeva sintonica l’associazione al cammino intrapreso dalla Chiesa, si intravede la peculiarità che proietta l’Ac
nel post-Concilio: la tensione a tradurre le risultanze del Vaticano II – per riprendere la
parole di Vittorio Bachelet – come «educazione del popolo». È quasi sorprendente, per
fare un esempio tangibile, lo spazio dedicato al Concilio sulla stampa associativa destinata alle «sezioni minori», per coinvolgere e, per l’appunto, educare i più giovani. È fortemente avvertita, come prioritaria, l’esigenza di irradiare a tutto il «popolo di Dio» i
frutti del Concilio. Non c’è intervento della presidenza generale, nell’immediato postConcilio, che non rifletta la preoccupazione che il Vaticano II diventi, nella sua integralità, come a più riprese viene sottolineato per scongiurare interpretazioni riduttive o
parziali, patrimonio condiviso di tutta la Chiesa. Non a caso le «campagne annuali» che
si susseguono sono incentrate sulle costituzioni fondanti del Concilio.
L’Azione cattolica, attingendo al bagaglio più genuino della propria tradizione, aprì un
processo che si potrebbe definire, nella duplice accezione del termine, ri-costituente, nel
quale – secondo l’esplicita volontà della presidenza generale – ci fu il coinvolgimento più
largo possibile, per arrivare a scelte condivise, secondo la nuova figura di Chiesa emersa
dal Vaticano II. Fu, per il metodo assunto, anche un processo faticoso, per quanto carico
di partecipazione, che, avviato nel 1966, a Concilio appena chiuso, si protrasse fino al
1969, con l’assunzione del nuovo Statuto.
Lo Statuto riprese, nelle sue linee portanti, le quattro note definite e accolte globalmente
nell’Apostolicam actuositatem, il decreto sull’apostolato dei laici: l’assunzione immediata del «fine apostolico della Chiesa, cioè l’evangelizzazione e la santificazione degli
uomini e la formazione cristiana della loro coscienza»; la corresponsabilità laicale nell’arricchire di un’esperienza specifica l’azione pastorale della Chiesa; la definizione di
una forma associata, «a guisa di corpo organico», per restituire più direttamente la figura
di comunione della Chiesa conciliare, potendo al contempo offrire più efficacia all’apostolato; l’affermazione di un legame ecclesiale inscindibile, attraverso la «superiore direzione» della gerarchia. Le scelte fondanti assunte furono spiegate da Bachelet in
occasione della I Assemblea nazionale della “nuova” Azione cattolica, tenutasi nel 1970,
quando sottolineò che l’associazione «in passato ha fatto molte varie e nobili cose; ma
ora ha ritenuto che fosse suo compito proprio puntare sui valori essenziali dell’annuncio
evangelico e della vita cristiana, concorrendo col proprio apporto agli aspetti più sostanziali e profondi della costruzione e della missione della Chiesa». È la definizione più
limpida della scelta religiosa, che ha orientato il cammino dell’Ac nel post-Concilio.
Sulle orme del Concilio, l’associazione ha saputo ripensarsi e rinnovarsi con coraggio,
nella duplice direzione dell’amare Dio per incontrare l’uomo e dell’amare l’uomo per
Contributo dell’AZIONE CATTOLICA
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raggiungere Dio.
«Se un giorno qualcuno si chiederà che cosa faceva la Chiesa a Concilio: “Amava!”
Sarà la risposta. Amava con cuore pastorale».
Con queste parole di Paolo VI nel Discorso di apertura della IV sessione del Concilio Vaticano II, l'Azione cattolica rinnova ancora oggi il suo impegno a vivere il Concilio Ecumenico Vaticano II. Amare tutti, volere il bene di tutti coloro che incrociano il suo
cammino, di tutti coloro con i quali condivide ogni giorno le gioie e le tristezze, le fatiche
e le speranze. Queste parole ridicono così uno stile, danno un'indicazione chiara, costituiscono un viatico per tutta l'Azione cattolica, chiamata a vivere questo tempo come un
tempo favorevole e a camminare insieme, piccoli e grandi, sulla strada della santità.
Il richiamo al Concilio Vaticano II costituisce, infatti, il filo conduttore che accompagna
e sostiene il cammino di tutti i ragazzi, i giovani e gli adulti dell’Azione cattolica.
I cinquant’anni dall’apertura del Concilio rappresentano pertanto per l'associazione, da
sempre impegnata a ricordare, riproporre e riflettere sulle novità e sulle istanze che questo
grande evento di Chiesa ha affidato agli uomini e alle donne di buona volontà, un’occasione importante per continuare a conoscere e comprendere le scelte che la stessa associazione oggi si impegna a vivere.
Tutti i documenti conciliari rappresentano infatti un tesoro prezioso a cui l’Azione cattolica continua ancora oggi a fare riferimento e a porre come fondamento della sua identità e della sua stessa missione; da questi derivano alcuni passaggi significativi e
caratterizzanti della stessa proposta formativa.
In particolare, a partire dallo studio e dall’approfondimento continuo delle quattro costituzioni e del decreto sull’apostolato dei laici, l’Apostolicam Actuositatem, l'Azione Cattolica oggi si impegna a rendere attuale la grandezza di questa esperienza di Chiesa, che
da più di venti secoli continua ad annunciare la fede in Cristo, morto e risorto per noi.
In questo tempo favorevole, in cui siamo chiamati a testimoniare con coerenza la nostra
fede nel Signore Gesù e ad impegnarci per portare a tutti la buona notizia del Vangelo,
con tutta la ricchezza della tradizione associativa, l'Ac guarda al Concilio Vaticano II
con profonda gratitudine per i tanti doni che ha consegnato alle comunità e nello stesso
tempo vuole esprimere il suo rinnovato impegno nell’attuare e vivere pienamente le intuizioni che lo Spirito ha indicato per il cammino della Chiesa nel mondo.
Per tradurre più compiutamente l’attenzione dell’AC nei confronti del Concilio, anche
in modo operativo, molte sono le iniziative che l’Azione Cattolica sta attuando, a livello
nazionale ma anche locale, così come molte sono quelle programmate nel prossimo futuro. È questo un approfondimento particolare in una fase storica in cui tutta la Chiesa
fa memoria viva del Vaticano II. Esso, però, si colloca in un cammino mai interrotto,
che, avviato cinquanta anni fa, sempre prosegue e sempre si rinnova.
In questo percorso, che da un lato ci accompagna nel fare memoria del passato e dall’altro
ci spinge a rileggere gli insegnamenti del Concilio oggi, l’Ac sceglie di riguardare la sua
storia postconciliare per recuperare tutta la vivacità e la disponibilità nel recepirne le novità e nello stesso tempo sceglie di riflettere, in particolare, sull’insegnamento conciliare
Contributo dell’AZIONE CATTOLICA
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a partire dall’approfondimento della categoria Chiesa-Storia.
In questo anniversario, vogliamo quindi vedere come l’Ac è stata capace di tradurre le
istanze del Vaticano II e ripresentare il volto di una associazione impegnata nel servizio
alla Chiesa locale e al territorio in cui vive.
Desideriamo oggi essere sempre più un'associazione che si fa prossima, che si pone accanto a ogni ragazzo, giovane o adulto che incontra e che è in ricerca profonda, vivendo
pienamente la Chiesa descritta in particolare in Lumen gentium e in Gaudium et spes, una
Chiesa che non è accanto ma nel mondo; una Chiesa solidale con tutti a cominciare dai
poveri; una Chiesa che ascolta e risponde, in base al Vangelo, agli interrogativi più profondi degli uomini e delle donne di oggi; una Chiesa che all’annuncio unisce la testimonianza; una Chiesa che apre orizzonti di senso e di speranza.
L’Azione Cattolica sceglie così di aiutare ogni singolo aderente a mettersi alla sequela
di Gesù nella Chiesa, nelle diverse comunità parrocchiali.
Ritrovare il mistero dell’amore di Dio nella propria storia acquista così un ruolo fondamentale per ogni socio di Ac, chiamato a vivere ogni giorno la sua vocazione di laico.
Solo l’incontro con Gesù ci fa incamminare verso la santità, solo l’ascolto personale e comunitario della Parola di Dio può illuminare le nostre scelte e orientarle al bene.
Così speriamo per il cammino dell'Ac e per l’umanità intera, che qui abbiamo imparato
ad amare di più e a meglio servire.
Contributo dell’AZIONE CATTOLICA
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AGESCI
1. Allo scoccare dei cinquant'anni dall'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, mentre ci prepariamo alla celebrazione del centenario dello scautismo cattolico, il Centro
Documentazioni dell'AGESCI, con la precisione di un cronometrista è uscito in stampa
con un Quaderno che fa memoria della “natura ecclesiale” della nostra Associazione.
Fare memoria è un dovere, un dovere che abbiamo verso quelle generazioni che entusiaste del metodo scout continueranno a tenere vivo il valore dell'educazione al buon cittadino e al buon cristiano, ma che oggi più di ieri rischiano di dimenticare le loro radici,
di non riuscire a comprendere perché fanno ciò che la fedeltà al metodo e al vangelo
chiede loro di fare. Una comunità di appartenenti ad una Associazione che è carica di
un ideale, per quanto alto e sublime questo possa essere, rischia di essere di diventare una
comunità “del fare” e non “dell'essere” se diventa orfana della sua storia.
E c'è molto della nostra storia associativa in questo “documento fatto di documenti”, in
questo rincorrersi di pagine selezionate e scelte, che se lette con la pazienza e l'attenzione
di un camminatore di montagna ci spingono passo dopo passo verso una vetta che per
molti è stata una faticosa conquista e per altri un dono che si sono trovati tra le mani: mi
riferisco al maggior ruolo che il Concilio Vaticano II ha saputo riconoscere al laicato, sia
maschile che femminile e quindi a mettere linfa ecclesiale nuova nella nostra azione.
In realtà due sono le storie che abbiamo letto intrecciarsi in questa puntuale narrazione
di un cammino che partendo da sentieri diversi ci ha condotto a quest’oggi. Quella di una
Chiesa che il Concilio ha voluto ri-battezzare con l'antico termine di “popolo di Dio”
(cfr. Lumen Gentium 13), e quella di una Associazione che nel passato come nel presente
ha sempre confermato con fedeltà, ma anche con creatività la sua appartenenza alla
Chiesa di Cristo. Rileggere questo cammino è commovente, è come un ripercorrere una
storia di famiglia, la nostra famiglia associativa ed ecclesiale, è abbeverarsi a una sapienza antica che ha saputo discernere tra una “Tradizione” che non può cambiare, e una
“tradizione” che deve lasciare il passo a nuove realtà. Abbandonare ciò che è intimo, ciò
che è costitutivo, è come abbandonare se stessi se non annullarsi, lasciare in deposito
nel magazzino della storia ciò che è ormai è zavorra è indice di saggezza.
Se la Chiesa non ha abbandonato, e mai potrà farlo, l'impegno all'annuncio costante e
sempre rinnovato del messaggio di salvezza portato da Cristo, lo scautismo e il guidismo
cattolico non potranno mai abbandonare la loro fedele, anche se non a-critica, appartenenza alla Chiesa. Questo, mi sembra, al fondo, quanto ci hanno raccontato con la forza
dell'argomentazione i documenti che abbiamo letto. Documenti scritti su fogli ormai ingialliti perché ricchi di anni, ma che non hanno perso il loro vigore. Essi rivelano che ha
allo scoccare dei momenti di travaglio e del passaggio attraverso le forche caudine della
discussione e del confronto a tutto campo, l'Associazione ha saputo mantenere dritta la
barra non compromettendo la sua identità educativa, che è quella di stare sulla frontiera,
facendosi illuminare dallo Spirito di Dio che ha nella Chiesa la sua espressione visibile.
Contributo dell’AGESCI
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2. Questo Quaderno ha il pregio indiscutibile di aver messo in luce, anche se molto ha
dovuto essere lasciato sotto traccia, una sorta di doppio movimento di riforma. Una progressione rispetto al passato che ha trovato una prima attualizzazione nelle discussioni
che hanno animato il cammino del Concilio, e si è poi come replicato, nelle forme e nei
modi che gli erano propri, nell'Associazione.
Quando fu convocato, il Concilio non aveva in agenda questioni dogmatiche da risolvere,
ma un altro e ben più arduo era il compito che attendeva i Padri conciliari: quello di rimettere al centro dell'impegno della Chiesa la dimensione missionaria, di riscoprire quella
stessa passione per le sorti del mondo che era stata della Chiesa delle origini. La Chiesa
accettava così di riflettere su se stessa, e per farlo si mise in ascolto del mondo, di ogni
sua componente, degli uomini alle donne di buona volontà in genere, come dei non credenti e dei credenti in altre fedi, degli uomini di cultura e degli scienziati, dei poveri e
dei perseguitati, dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici. Non c'è pagina dei Documenti
conciliari che non profumi di questo afflusso di aria fresca.
A leggerli, questi testi conciliari, ci appaiono una conferma della speranza che abitava il
cuore del beato Giovanni XXIII quando, l' 11 ottobre 1962, proclamava il suo discorso
di apertura dell'assise conciliare. Quanta delicata dolcezza nelle queste parole del “papa
buono”, quanta gioiosa speranza e quanta richiesta di “apertura” a una Chiesa degli apostoli che era nel tempo divenuta una cittadella fortificata. Un sentire che in parte il Concilio realizzerà fino a compiere quel grande abbraccio che accoglie attorno a se «gli
uomini, le famiglie e i popoli», esteso fino a far diventare la Chiesa stessa il “popolo di
Dio”. Finalmente la Chiesa magisteriale si rimetteva in sintonia con il “mondo”, era in
ascolto del mondo, delle «gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi,
dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (Gaudium et spes, 1). Finalmente non
faceva calare verità dall'alto ma le cercava nel suo cammino con “tutte le genti”.
3. Di questa Chiesa conciliare noi siamo eredi e testimoni, ciascuno nel suo ruolo e nel
suo compito, ma tutti compresi in quella chiamata alla santità che ci è propria: «avendo
ricevuto a titolo uguale la fede che introduce nella giustizia di Dio» (Lumen Gentium
32). Laici, religiosi e religiose, presbiteri e vescovi siamo raccolti in quell'unicum che è
la Chiesa “popolo di Dio”. Laos (popolo) è il termine greco usato dalla Scrittura per indicare quella parte del Popolo di Dio che non è compresa nel gruppo dei sacerdoti, dei
leviti e dei profeti. Da esso la parola laicos, laico. Laico dunque è colui che non appartiene alla gerarchia ecclesiale, motivo ritenuto in tempi preconciliari sufficiente a escluderlo da una partecipazione diretta alla vita della Chiesa.
Il Concilio Vaticano II ha invece voluto racchiudere nel temine “laico” una specifica essenza, che affonda la sua radice nella tradizione del primo secolo dell'era cristiana. Laico
viene così a indicare una “persona” e non una funzione, è il distintivo di una dualità giocata in negativo e in positivo. Laico è colui che non appartiene al “clero”, che è distinto
dalla gerarchia nell'ambito della comunità dei fedeli, ma che proprio per questo è chiamato ad una missione sua propria che è quella di impegnarsi nel mondo e santificarlo.
Contributo dell’AGESCI
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Ecco allora specificata la duplice essenziale missione della Chiesa: il suo impegno nell'ordine della salvezza e il conseguente ordinamento del mondo secolare a questa salvezza. Finalmente il laico non era più inteso solo negativamente come il non-chierico o
il non-consacrato, ma, positivamente, come l'animatore di salvezza delle realtà temporali
(cfr. Lumen Gentium 31 e Apostolicam actuositatem). È la memoria di questo cammino
che conduce a motivare e giustificare il ruolo primario che rivestono oggi i laici nella nostra Associazione, nonché il loro imprescindibile impegno alla santificazione del mondo.
Mai la Chiesa aveva degnato di tanta attenzione, non solo pastorale ma anche teologica,
i laici.
4. Inutile negare che il rinnovamento ecclesiale imposto dal Concilio non fu indolore. La
Chiesa gerarchica, il clero e i fedeli ne uscirono scossi, oscillando tra eccessi interpretativi e chiusure, tanto che neanche l'associazionismo cattolico fu immune da questo vento
di maestrale. Come non bastasse, neanche un decennio dopo, proprio quando la Chiesa
Italiana iniziava a dare attuazione pratica alle norme conciliari, il Paese fu stretto nella
morsa drammatica e violenta degli anni Settanta, che fecero rimpiangere il “caos creativo” del Sessantotto. Anni di grande tensione e sommovimento, in cui la società nel suo
complesso sembrava persa nella disordinata ricerca di nuovi punti di riferimento, rischiando di gettare via assieme all'acqua sporca anche il bambino.
Quasi per reazione a questo imperante disordine, e proprio nel lasso temporale che va dall'attuazione dello spirito conciliare alla fine del periodo del “terrorismo”, il guidismo e
lo scautismo cattolico vollero celebrare anch'essi il loro “concilio”. Si imposero cioè un
profondo ripensamento sia interno che esterno che portò dopo un ampio dibattito alla
nascita dell'AGESCI. Emesso il suo primo vagito, animata da uno zelo difficilmente
esprimibile in parole, l'Associazione si interrogò per capire cosa volesse fare della sua
identità ecclesiale. Ne troviamo una sintesi nel paragrafo III. 2, significativamente intitolato: «In Comunione con la Chiesa, con la propria identità».
Lo spirito di “comunione” era lo spirito del Concilio, ma per quanto ci riguardava la richiesta conciliare che invitava i laici alla “comunione” con i loro pastori, doveva fare i
conti con una parte dell'episcopato italiano che non aveva ancora del tutto digerito la nascita di un'associazione “cattolica” mista, come era l'AGESCI. Al momento di approvare
gli Statuti della nuova Associazione i vescovi si fecero presenti con alcune osservazioni,
chiedendo in particolare garanzie sulla scelta della fusione. Il Consiglio Generale del
1975 ne prese coscienza tanto che nella risposta che esso inviò al Consiglio Permanente
della CEI, impegna l'Associazione «a farsi carico della delicatezza del problema della
coeducazione» (p. 61).
La risposta fu ferma e senza sbavature nel ribadire fedeltà alla Chiesa e ai suoi pastori,
ma anche quella alle proprie intuizioni metodologiche. Insomma l'Associazione prestò
fedele ascolto agli inviti dell'episcopato, ma con lo stile che la storia conciliare gli suggeriva, ossia impegnando i suoi capi (dei laici) affinché tale scelta fosse fatta «in condizioni di serietà metodologica e di contenuti che garantiscano una autentica crescita umana
Contributo dell’AGESCI
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e cristiana» (p. 61). C'è una lezione di stile in questa lettera che non andrebbe dimenticata, perché c'è la fierezza di un'appartenenza ma anche la coscienza di voler essere di
aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori esercitando una laicità vera, un'effettiva competenza nel
proprio ambito “mondano”. La scelta “coeducativa” non era infatti maturata sulla spinta
di effimeri fuochi innovativi, ma a seguito di un confronto a tutto campo, di uno studio
e di un dibattito serrato e partecipato. Quella lettera insomma fu - stando alle parole di
padre Giovanni Ballis -, la fine di uno stato di disagio e l'affermazione della consapevolezza di appartenere alla Chiesa pur senza rinunciare alla propria specificità di associazione educativa» (p. 91)
5. L' Associazione fu fedele alla parola data ai suoi pastori e nel Consiglio Generale del
1976 approvò gli art. 2 e 3 dello Statuto seguendo le indicazioni dei vescovi italiani, ma
non cedendo sulla scelta coeducativa. Leggerli è comprendere come come molto della
teologia del laicato di matrice conciliare fosse ormai parte del patrimonio dell'Associazione.
Con una votazione quasi plebiscitaria, l'AGESCI si riconobbe come un'associazione a fini
educativi, promossa da credenti, che vive nella comunione ecclesiale la scelta cristiana.
In essa gli adulti laici attuano la loro presenza nei modi propri dello scautismo e realizzano in quanto membri della Chiesa, la loro vocazione cristiana (art. 3) (p. 69). Non furono soltanto parole queste, ma la conferma viva e sentita di un impegno per la Chiesa
e per il mondo. Se ne vide una prima realizzazione quando l'Associazione dette alle
stampe il Progetto Unitario di Catechesi, un'opera magistrale di sintesi dove i diversi Catechismi per fasce d'età proposti dalla Chiesa Italiana venivano modulati e riadattati secondo i percorsi pedagogici del metodo educativo scout. Fu anche questo un modo per
essere fedeli alla teologia “dei segni dei tempi” su cui tanto aveva insistito il Concilio, e
che Vittorio Ghetti sembra voler riprendere a tema con la sua riflessione «sul senso e sul
modo dell'impegno di chi, con esplicito riferimento alla propria fede, decide di essere presente e partecipe dei problemi del proprio tempo» (p. 28).
Queste pagine riflettono di nuovo la luce della testimonianza di fedeltà alla Chiesa e al
mondo che furono, e perciò devono continuare a essere, patrimonio comune della nostra
storia. Freud ha scritto che «ogni novità è per forza preparata e condizionata dal passato»,
e se questo è vero allora è segno che la nostra creatività profetica è frutto condiviso delle
storie di ciascuno che diventano storia dell'Associazione. Non saremmo qui oggi a fare
“memoria” delle nostre appartenenze se non avessimo avuto alle spalle testimoni fedeli
che hanno saputo impegnare se stessi con creatività e fiducia in se stessi e in Dio, avendo,
quando necessario, la capacità di guardare oltre l'orizzonte limitato dei nostri occhi e vedere con lo sguardo di Dio.
Riflettendo su quanto si era svolto sul terreno di Bracciano in quel 1976, Titta Righetti
notava che «probabilmente è vero quanto ha affermato qualcuno dei consiglieri generali,
cioè che il dibattito sulla natura ecclesiale è stato fra quelli maggiormente sentiti e a più
alto livello, negli ultimi anni della vita associativa» (p. 74). Un articolo dello Statuto è
Contributo dell’AGESCI
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niente più che una sintesi verbale di un contenuto ricco di sfaccettature, tanto carico di
significato che il futuro lo impegnerà in ulteriori dibattiti, soprattutto per sciogliere i tanti
interrogativi che a ogni cambiare dello scenario storico si ripresenteranno con puntualità.
In questo nostro continuo aggiornamento verso la Storia non potrà però mai mancare, cito
ancora Titta Righetti: «una volontà totale di adesione alla Chiesa, cioè una volontà totale
di amare la Chiesa nella sua interezza anche quando non si riesce razionalmente a comprenderla». Parole piene di saggezza per la capacità che hanno di legare in via intima e
indissolubile l'amore e la verità. Amore verso la Chiesa anzitutto, ma anche coscienza che
il suo modo di amarci sta nel donarci una verità che non potrà mai essere altra da quella
di Cristo, anche accettando il rischio che questa superi i confini della nostra razionalità
umana.
6. I tempi storici cambiano e cambiando portano con se nuove prospettive e nuove attese.
Fu così che a vent'anni esatti dal Concilio Vaticano II quella stessa gerarchia ecclesiale
che aveva orientato e condiviso i lavori conciliari, volle approfondire il tema del laicato
indicendo sul tema un Sinodo di tutti i Vescovi. Era la conferma della crescente attenzione che la Chiesa riservava ai laici e il riconoscimento del valore della loro missione
nella santificazione delle realtà “temporali”.
I risultati sinodali furono raccolti da Giovanni Paolo II nell'Esortazione apostolica Christifideles laici, del 30 dicembre 1988. In essa il Pontefice non si stanca di ripetere ancora
una volta che è compito primario del fedele «guardare in faccia questo nostro mondo, con
i suoi valori e problemi, le sue inquietudini e le sue speranza, le sue conquiste e le sue
sconfitte» (Christifideles laici n. 2), quasi a richiamare l'urgenza di quanto aveva già
espresso il Concilio nelle parole di apertura della Gaudium et spes. Il papa però si spinge
ben oltre un'affermazione di principio, tendendo a ribadire con forza quanto l'assise conciliare aveva pronunciato forse con eccessiva timidezza in favore dei laici: «Il “mondo”
diventa così l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso
stesso è destinato a glorificare Dio» (Idem). L'impegno nel mondo è la via di santificazione propria del laico, che renderà con ciò un reale servizio alla comunità ecclesiale e
alla comunità umana, e lo farà quanto più si sentirà chiamato a una specifica missione,
che nel nostro caso è quella dell'educazione delle giovani generazioni.
Con con acutezza è stato detto da don Carlo Galli che con la Christifideles laici: «la
Chiesa riafferma la coscienza che ha di se stessa come Mistero di comunione missionaria,
e l'urgenza di una “nuova evangelizzazione” del mondo contemporaneo» (p. 40). Parole
che vanno intese e apprezzate per la loro capacità di cogliere un cambiamento che già prefigura la svolta che avrebbe di lì a qualche anno coinvolto il modo della missionarietà
della Chiesa in Occidente. Il Concilio era stato aperto da Giovanni XXIII perché cosciente che: «lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero, attende un
balzo innanzi verso la penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze», per cui
«è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo tale che risponda alle esigenze del nostro
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tempo» (Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio, 11 ottobre 1962).
La Christifideles laici insomma ci conferma che la Chiesa, in un lasso temporale di circa
venticinque anni, è venuta maturando la convinzione di dover spendere le forze del laicato oltre che nella formazione dottrinale delle coscienze anche nell' “evangelizzazione”
di una società che è andata trasformandosi ad una velocità prima impensabile. Mai, nelle
epoche recenti, la Chiesa è stata così pronta a cogliere in positivo i cambiamenti del
mondo e a mettersi a servizio di essi. Dalle antiche forme di condanna essa è passata a
forme di accompagnamento, e questo anche grazie alla sempre maggior attenzione da lei
posta al mondo del laicato. Per questo si sente di chiedere ai laici di essere presenti nelle
società come “sentinelle di positività”.
La cosa che sorprende è che al tema della “laicità” si stava nel contempo volgendo anche
la società civile con una serie ripetuta di dibatti politici e sociali, impegnando così il laicato cattolico su un nuovo fronte di confronto con il mondo, ormai non più “moderno”,
ma già proiettato nel “post-moderno”. La natura ellittica della laicità cattolica, centrata
sui fuochi di un'ecclesiologia di comunione come di missione al mondo, essendo incarnata in una storia che è storia di santificazione, doveva perciò rimodularsi in questi ultimi
decenni su tematiche a lei nuove, perché non presenti né alla coscienza del Concilio Vaticani II, né maturate al tempo della Christifidelis laici. Si è così materializzata una sfida
che ancora non ha trovato soluzione e che vede affaticato il magistero ecclesiastico a
trovare una via di definizione. Dall'impegno nel politico a quello per la salvaguardia del
creato, dalla sfida educativa alla carità sociale, sono tanti i fronti su cui oggi il laicato cattolico è impegnato per indicazione specifica dei vescovi. Si tratterà di capire negli anni
a venire se si è davvero conclusa una fase storica circa i rapporti tra clero e laici, e se davvero quest'ultimo potranno aspirare a essere sempre più attivi, con ruoli di propria autonomia, nell'esercizio “missionario” della Chiesa.
Resta comunque che l'identità del fedele laico è quella del testimone di Cristo nel mondo.
Un concetto, quello della “testimonianza”, che Benedetto XVI approfondisce e chiarisce
quando afferma che essa: «è il mezzo con cui la verità dell'amore di Dio raggiunge
l'uomo nella storia, invitandolo liberamente ad accogliere questa novità radicale. Nella
testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell'uomo» (Sacramentum caritatis, 85).
7. Mi sia permesso dire che questo richiamo alla storia ci impegna non poco e ci costringe
come Associazione a una serie di considerazioni. Gustav Mahler era solito affermare che
la tradizione non consiste nel conservare la cenere, ma nell'aggiungere al fuoco altra
legna. Una bella espressione per raccontare ciò che di fatto è in positivo accaduto nella
nostra storia associativa, ma da tenere presente anche per capire cosa essa dovrà essere
nel domani prossimo venturo, quello che ormai è alle porte. Prima di accennare in chiusura al futuro che attende il servizio dei laici educatori della nostra Associazione, mi sia
concesso una breve digressione sul rapporto tra senso ecclesiale e laicità oggi, partendo
dal ricordato richiamo di Benedetto XVI sul Dio che raggiunge l'uomo nella storia.
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La Chiesa che ci ha consegnato il Concilio Vaticano II è, tutto sommato, un'entità duale:
si alimenta del suo rapporto con Cristo e cresce nella sua relazione col mondo. Ne segue
che la Chiesa non si intende più in opposizione al mondo, ma vive pienamente nella storia. È perciò gioco forza che ogni vocazione (compresa quella del laico cristiano) sia di
necessità ecclesiale e storica.
Questa riscoperta del valore “secolare” della Chiesa e l'obbligo alla testimonianza dell'amore per Gesù Cristo che ne deriva, apre ad una prospettiva che forse in AGESCI non
si è ancora colta nella sua potenzialità. Si tratta dell'impossibilità di separare ciò che è di
Dio da ciò che è del mondo. Per cui la nostra identità ecclesiale non è scissa dalla nostra
identità di costruttori “politici” di un mondo più giusto, dove il bene comune è un valore
a cui educare. In buona sostanza il nostro agire da laici educatori col metodo scout, permette al mondo di rinnovarsi in meglio, e permette alla Chiesa di meglio raggiungere la
pienezza della sua identità.
Tutto ciò che vive in una dinamica storica, Chiesa e AGESCI compresi, si accresce di verità in verità soltanto se aggiunge legna al proprio fuoco. Ed in effetti non è della Chiesa
la stagione “tradizionalista”, l'immobile contemplazione e conservazione delle ceneri.
La sua lunga e millenaria storia ci conferma che essa si muove, e anche se lo fa con la
lentezza di una saggia tartaruga, pur si muove. Con fierezza però possiamo dire che anche
noi, e lo abbiamo notato leggendo questo Quaderno, abbiamo fatto i nostri passi. Passi
da giganti, prova della vivace necessità di un continuo riformarsi per meglio rispondere
alle sfide dei tempi nuovi. Con coraggio e fiducia in noi stessi e nella Provvidenza divina,
ci siamo da tempo incamminati nella storia con speranza e profezia. Abbiamo messo in
moto un progredire verso il Regno che è stato fruttuoso non solo per noi, ma per il mondo
in senso lato, e quindi per la comunione dei fedeli e di tutti gli uomini di buona volontà.
Devo dire con sincerità che adesso stiamo raccogliendo i frutti di questo nostro impegno.
La Chiesa italiana esprime in tanti modi una sempre maggior fiducia nei nostri confronti,
di questa Associazione prima di laici ma anche di sacerdoti e consacrati. E questo sia
detto a gloria di tutti coloro che ci hanno preceduto lasciando una traccia, alcune delle
quali le abbiamo trovate scritte in questi fogli appena sfogliati. La nostra “natura ecclesiale” ci impegna a una continua sfida che cambia col cambiare delle mode del mondo,
ma noi potremo continuare a “meritare fiducia” dalla Chiesa e dal mondo ogni volta che
saremo fedeli alla doppia appartenenza che ci appartiene: quella ai valori e agli ideali lasciati al Movimento Scout da Lord Baden Powell e quella di sentire col sentire della
Chiesa di Cristo per come viene espresso nel suo Magistero, che bisognerà a imparare a
conoscere criticamente, ma anche coscientemente.
Dove situare oggi questa duplice fedeltà? Cosa chiedono la Storia e la Chiesa all' Associazione “qui ed ora”? È la domanda che entrata prepotentemente in testa appena ho
finito di leggere le ricche pagine di questo Quaderno. Concludo riassumendo una mia risposta.
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8. Quella che sta accadendo sotto i nostri occhi è una trasformazione profonda, non solo
economica, ma anche culturale, religiosa ed etica. L'arrivo tra di noi di culture “altre”,
ma soprattutto di uomini e donne impregnati di un forte senso di appartenenza alla loro
cultura e alla loro etica e religione, trova l'Italia e l'Europa spoglie di una propria identità.
Niente lascia supporre che si tratti di un fenomeno transitorio vista l'intensità del movimento migratorio in atto. Viviamo davvero in un tempo di “crisi”, siamo cioè presi in una
fase storica dove una diversa antropologia, una diversa etica e il confronto tra religioni,
trasformerà la storia dei prossimi secoli. Ci attende un futuro, non remoto ma ormai alle
porte, in cui l'appartenenza alla Chiesa di Cristo sarà minoritaria rispetto ad altre appartenenze. Nessuno può prevederne le conseguenze, anche se l'aumento dei martiri cristiani
nelle varie parti del mondo è un segno eloquente della radicalità e dell'aggressività del
cambiamento che si approssima.
L'Occidente sta attraversando un confine che lo conduce verso una terra ignota. La sfida
da parte nostra è quella di costruire una cultura dell'accoglienza e del dialogo. Il dialogo
richiede un’identità forte nei soggetti che si confrontano altrimenti si trasforma in dittatura di una parte sull'altra. A questo proposito è bene essere coscienti che la differenza
di credi religiosi, impone una differenza nella relazione tra Dio e l'uomo, che a sua volta
si scompone in una differenza dei valori etici a cui doversi riferire. C'è quindi da chiedersi
se la fragilità affettiva, psicologica, sociale, se la scarsa appartenenza “confessionale”
che constatiamo nei giovani, li renda pronti a questa sfida, o piuttosto li trasformi da protagonisti a spettatori.
Per parte sua la Chiesa, che Paolo VI ha definito “maestra in umanità”, ha cercato anche
nella storia recente di attuare strumenti e i modi per una risposta a questa crisi di senso.
Non è codificando nuove morali o nostalgici ritorni al passato che riuscirà a ridare senso
al senso. Non sempre infatti le analisi e le proposte messe in campo dal Magistero ecclesiale sono state convincenti e non sempre sono state espresse con un linguaggio accessibile ai potenziali fruitori. Resta comunque che il tema della sfida posta ai credenti e alla
società in genere dalla decostruzione identitaria post-moderna è posto. A noi il compito
di una risposta dove e per quanto ci compete, ricordando però che in una società “laica”
è più facile che il messaggio sia veicolato da chi della laicità ha fatto un valore.
Da alcuni anni è evidente un cambio di passo nella proposta della Chiesa, passata dall'impegno nella catechesi a quello nell'evangelizzazione, e in certi casi anche in quello
della pre-evangelizzazione, della ricostruzione cioè di un tessuto sociale che garantisca
il minimo della dignità umana. Ecco allora definito il nuovo mandato che Chiesa universale ritiene assegnare agli educatori alla fede in Occidente. Noi compresi.
Per un'Associazione come la nostra che è fiera di essere sulla frontiera, quello di attivarsi
per una evangelizzazione dell'Occidente ormai non più cristiano e di formare personalità
dotate di senso è allora il primo imprescindibile compito. Non dimentichiamo che nel suo
arco l'AGESCI ha una freccia che se scoccata può fare la differenza. È la ferma convinzione che non esiste un buon cristiano se prima non si è formata la persona. La nostra
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forza è perciò la scelta di un'antropologia personalista. Oggi più di ieri è nostro precipuo
impegno educare all'essere persone che trovano la loro dignità nell'essere create a immagine e somiglianza di Dio. Questo l'esercizio primo del nostro laicato, questo l'effettivo
contributo a un dialogo tra personalità che pur di diverso credo religioso possono comunque trovare attorno al concetto di dignità della persona un punto di contatto su cui
fare leva per la prosecuzione di una pacifica convivenza.
9. C'è un secondo e ultimo aspetto che mi preme evidenziare come sfida per il nostro futuro. Oltre alla crisi dell'identità religiosa, è ormai tra noi l'inizio di una crisi economica
che cambierà radicalmente il volto del nostro Paese. Nelle crisi come quella che stiamo
vivendo non sono i ricchi a perderci, ma gli ultimi, i poveri, i piccoli, e gli indifesi. Il Concilio Vaticano II, nella logica di una Chiesa che non è separata dal mondo, aveva significativamente attivato un doveroso rispetto verso le istituzioni laiche della modernità,
cercando di portare a compimento e senza fini apologetici il proprio contributo alla costruzione di una società migliore perché a misura d'uomo, dove le disparità economiche
e di censo non fossero occasione di dispregio del valore della persona umana. A questo
proposito aveva chiesto ai laici un impegno concreto negli ambiti che gli erano propri.
Oggi nella proposta della Chiesa magisteriale questo compito ha assunto l'aspetto di una
forte valorizzazione della “dottrina sociale” che a partire dalla Rerum novarum di Leone
XIII si è via via aggiornata, fino ai recenti documenti di Benedetto XVI.
In un’attenta e ponderata considerazione della “dottrina sociale della Chiesa” è possibile
ritrovare tanto dei fini che il Movimento scout ha da sempre fatto propri e che la Chiesa
ha solo illuminato mettendoli sotto al luce della Parola e del volto di Cristo. Sarebbe
forse giunto il momento anche per noi dell'AGESCI di mettere a cantiere un lavoro di rilettura e adattamento della dottrina sociale della Chiesa per mediarla ai nostri fini e ai nostri scopi educativi, che sarebbe anche un modo per vivere in pienezza la nostra
appartenenza laicale a questa Chiesa di Cristo che ha tanto bisogno anche del nostro apporto.
Se posso chiudere con una speranza è che il proficuo lavoro che ha portato alla stesura
di questo Quaderno diventi per le Comunità Capi, cuore e cervello dell'Associazione,
motivo sufficiente per riappropriarsi con maggior convinzione della loro doppia identità.
Quella di appartenenti ad un Movimento educativo che non ha pari nella storia pedagogia
e sociale degli ultimi secoli, e quella di appartenenti ad una Chiesa che è testimone di un
Dio che ha mandato il proprio Figlio a morire su una croce affinché noi ricevessimo lo
Spirito di figli e potessimo costruire assieme alla sua Chiesa un mondo giusto e pacificato.
Se, appunto, questo quaderno stimolasse le Comunità capi, che come è stato detto sono
il «luogo di incontro di cristiani adulti impegnati nell'annuncio del Signore» (p. 98), a riscoprire la centralità nel loro lavoro di educatori laici delle quattro Costituzioni Conciliari, la Lumen Gentium che aiuta a comprendere l' identità e missione dei laici nella
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Chiesa; la Dei Verbum, focalizzata sulla centralità della Parola di Dio; la Sacrosantum
Concilium che ci aiuta a comprendere il valore della liturgia come luogo deputato della
fede e la dimensione simbolica; la Gaudium et spes che invita la Chiesa a mettersi al servizio all'uomo, a molto sarebbe servito.
A cura di P. Alessandro Salucci, op
Assistente Ecclesiastico Generale AGESCI
Contributo dell’AGESCI
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AIMC
Prima di individuare quali possano essere le nuove sfide che, oggi, a cinquant’anni dal
Concilio Vaticano II la Chiesa si trova ad affrontare, può essere utile recuperare lo spirito
che ani-mò il mondo associativo negli anni del pre e post Concilio.
L’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC), associazione professionale di laici
im-pegnati nel quotidiano scolastico, sentendosi pienamente coinvolta nel clima di rinnovamento in atto in quegli anni, diede avvio, sin da subito, a un processo di riflessione
sistematica, testimoniato ampiamente dalla stampa associativa.
Andando a ricercare nell’archivio storico dell’AIMC e, in particolare, sfogliando le pagine de “Il Maestro” – la rivista organo ufficiale di comunicazione che, dal 1945, accompagna il cam-mino di tanti docenti e dirigenti scolastici cattolici quale strumento di
approfondimento, condivi-sione e sintesi sulla dimensione scuola – è possibile cogliere
il clima che si respirava durante quel-la particolare stagione di fermento e comprendere
le reazioni che caratterizzarono il fecondo perio-do conciliare.
Nel n.1, de Il Maestro del 10 gennaio 1963, in un articolo a firma di Nazareno Fabbretti
dal titolo “Religione e cultura al Concilio Vaticano II” è riportata la testimonianza diretta
di come fu introdotta la figura del laico nel Magistero della Chiesa:
“… è stato proprio Giovanni XXIII, personalmente, a volere in Concilio un laico. La novità del gesto sta nel fatto che, per la prima volta nella storia ecclesiastica, un laico –
cioè un uomo non incardinato in alcun modo nel clero – siede al Concilio come rappresentante non del potere politico, ma semplicemente della cultura. È facile comprendere
da questo episodio, da una simile “eccezione”, l’accento che il Pontefice ha subito inteso
porre sull’importanza della cultura nel rapporto fra verità antica e mondo nuovo… La
Chiesa non domanda dunque, oggi, alla cultura soltanto una collaborazione indiretta;
domanda piuttosto una solidarietà diretta e strumentale su tutti i piani e di fronte a tutti
i problemi ove questa sia possibile: cioè su tutti i punti più vitali del Concilio e dell’aggiornamento pastorale per l’evangelizzazione del mondo contemporaneo…”.
Il laico invitato come uditore, cioè con diritto ad assistere alle sessioni plenarie, era il
gran-de accademico di Francia Jean Guitton. Con questa scelta, Giovanni XXIII, oltre alla
profonda stima che nutriva nei confronti dello studioso, voleva confermare il passaggio
storico che già Pio IX aveva compiuto all’apertura del Concilio Vaticano I, quello di una
Chiesa aperta alle sfide del mondo. Scriveva ancora N. Fabbretti nell’articolo del 1963:
“Oggi, di fronte ad un mondo pluralista in politica, in economia e in religione, la cultura non può non assumere, con le conseguenti responsabilità, uno dei compiti maggiori: ragguagliare in modo ineccepibile il mondo su Gesù Cristo e sulla Chiesa… .Il
Papa ha dimostrato di saper tener conto della profonda evoluzione scientifica e filo-sofica della cultura e di tutta la strumentalità che esse contengono, in quest’ora sin-golare
Contributo dell’AIMC
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della storia, di fronte alla verità cristiana... La cultura entra dunque, col Vati-cano II, fra
i mezzi e gli strumenti più qualificati di cui il Concilio esige lo sviluppo per rendere testimonianza di Cristo davanti all’uomo contemporaneo”.
Per comprendere ancora meglio il vissuto del laicato che l’AIMC aveva colto nella sua
straordinaria novità, si legge sempre nello stesso numero della rivista un articolo di Benvenuto Matteucci dal titolo “Non stanno solo in ginocchio. Il Concilio apre ai laici un
apostolato d’ordine religioso e spirituale per consacrare le realtà profane e temporali”:
“Tra le conclusioni più evidenti della seconda Sessione del Concilio Vaticano II senza
dubbio emerge l’impegno dei laici, una partecipazione non passiva ma attiva alla vita
della Chiesa, alla sua storia e quindi all’efficacia sociale di quella assemblea solenne
della Chiesa che è un Concilio ecumenico… i laici ufficialmente sono stati chiamati non
solo “uditori”, ma consulenti nelle specifiche mansioni che caratterizzano la loro vita
professionale, il loro apostolato al centro delle realtà terrestri che hanno il compi-to di
santificare. Il laico è una persona soprannaturalizzata, abilitata a consacrare dal di dentro il mondo profano della cultura indirizzandolo a Dio e nel suo ordine creatu-rale ed
elevandolo, mediante la partecipazione ai Sacramenti e alla Grazia della Fede, in Cristo
Gesù Sacerdote, Profeta, Legislatore, dal quale deriva il suo sacerdozio spiri-tuale... A
questo scopo i laici hanno una particolare grazia di stato”.
Nel n. 1 de Il Maestro del gennaio 1979, scriveva don Giulio Cirignano, assistente naziona-le AIMC nell’articolo “Per il cristiano ‘partecipare’ è un diritto e un dovere” in
preparazione al XII Congresso nazionale:
“Tre atteggiamenti interiori mi pare costituiscono lo sfondo ideale del nostro cammino… sono punti di riferimento molto semplici, destinati a diventare mentalità. Si trat-ta
in primo luogo di irrobustire ed eventualmente fare nuova la consapevolezza circa la fecondità della condivisione… Condividere: incontrarsi nella stima e nella fiducia, … nella
continua disponibilità a donare e ad accogliere. L’isolamento pigro ed indi-vidualista è
già solenne sconfitta. … Secondo punto di riferimento: la dignità della partecipazione.
Partecipazione è un diritto e un dovere. Non solo. È dignità. … In ri-ferimento al nostro
impegno personale è farsi disponibili allo studio, alla ricerca, al dialogo… è la carità
del servizio che ‘gode della verità’ (1 Cor. 13, 6). … Infine, ul-timo punto di riferimento:
la necessità di essere creativi. Partecipare e condividere in prospettiva di creatività. …
Non sto pensando a quella creatività che è raro e prezio-so carisma di pochi, ma a quella
capacità che è frutto di pensosità, di serietà, di competenza e intelligenza condivisa e valorizzata…”.
E sempre nello stesso articolo, l’Assistente nazionale continuava:
“Una tale vocazione – afferma il Concilio a proposito della professione del maestro –
esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capaci-tà
pronta e costante di rinnovamento e adattamento (Grav. Ed.). Oggi si dice: una scuola
Contributo dell’AIMC
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a misura d’uomo. È una bella formulazione. Forse, molto semplicemente si tratta di continuare a camminare in quella ricerca e in quell’impegno che costituisce la nostra storia
migliore”.
A circa vent’anni dalla sua fondazione, l’AIMC portava avanti la propria esperienza con
il desi-derio di rendere vivo il valore e il messaggio dell’apostolato laicale. Congressi e
convegni di studio ave-vano come obiettivo quello di riflettere sulla professionalità docente alla luce del Magistero del Concilio Ecumenico Vaticano II, come visione di fede
tradotta in proposta autentica e coerente al Vangelo.
Scriveva Carlo Buzzi, presidente nazionale dell’AIMC in quegli anni, durante il XIII
Con-gresso nazionale AIMC del 1984:
“L’ecclesialità dell’Associazione deriva fondamentalmente dal suo essere comunità professionale di cattolici per cui non può prescindere da un rapporto di comunione con la
Chiesa nel senso della adesione al suo Magistero ed ella partecipazione alla sua vita”.
In tutti gli anni della propria esperienza, l’Associazione ha compreso profondamente la
re-sponsabilità dell’essere “porzione di Chiesa”, popolo chiamato alla responsabilità educativa, popo-lo sacerdotale intento a collaborare al piano salvifico di Dio mediante l’impegno educativo. Ha fat-to propri gli insegnamenti della Chiesa, cercando di approfondire
il tema dell’associazionismo lai-cale nel post Concilio e quello dell’essere cattolici responsabili nella vita sociale. Ancora oggi l’Aimc vuole essere “luogo pedagogico di crescita cristiana” (G. Boccardi) .
Scriveva Giovanni Paolo II nella lettera augurale al XV Congresso nazionale AIMC del
1993:
“Vi è in questo di provvidenziale aiuto la vostra Associazione, che nel rispetto della legislazione scolastica vigente, convenientemente interpretata ed applicata, vuole so-prattutto sostenere l’insegnante nel suo compito di saggio “pedagogo” preoccupato di
preparare con tempestiva efficacia il domani... Alla luce delle direttive conciliari, che
ancor oggi mostrano tutto il loro valore, e considerando l’evolversi delle odierne condizioni sociali, il vostro servizio pedagogico assume singolare rilievo non solo, com’è
ovvio, in ordine alla sua funzione pedagogica, ma anche ai fini di un proprio peculiare
apporto all’opera dell’evangelizzazione”.
Sono passati cinquant’anni dal Concilio e durante tutto questo lungo arco di tempo
l’AIMC ha attinto dal patrimonio conciliare per costruire la propria identità associativa.
Nel Documento programmatico del XIX Congresso nazionale nel 2010 veniva affermata
fortemente l’appartenenza alla Chiesa, oggi più che mai in cui il tema dell’educazione è
stato as-sunto come sfida assoluta del tempo attuale e i laici sono chiamati a riscoprire
la forza del proprio mandato:
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“L’appartenenza all’AIMC si caratterizza per la sua eticità: l’Associazione, nel reinterpretare le proprie ragioni fondative e proiettandosi verso il futuro, opera per il bene
comune, coniugando azioni e significati. Nello specifico, offre il proprio contri-buto elaborativo e progettuale inerente alle varie tematiche educativo-scolastiche, partecipa alla
ricerca di soluzioni coerenti con i valori fondamentali della Costitu-zione e della Convenzione Internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, secondo i principi
del Vangelo...
L’Associazione valorizza l’agire professionale come esercizio di carità e di testimonianza della scelta di fede dei soci. Nello specifico, si impegna a vivere la competen-za
professionale come espressione della propria realtà di fedeli laici ai quali “tocca, in
particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l’unica risposta piena-mente
valida, …, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società”
(Christifideles laici n. 34), in coerenza con il dettato conciliare e con la Dottrina sociale
della Chiesa... Pertanto, l’Aimc si impegna a coltivare il confronto e il dialogo quali
modalità privilegiate per costruire solidarietà e promuovere il bene “possibile” tra soggetti sociali, istituzionali e politici; porsi come autorevole punto di riferimento per la
professionalità dei docenti e dei dirigenti che intendono coniugare Vangelo e vita sul
terreno concreto della propria esistenza; approfondire il tema del-la laicità, proposto
dalla riflessione conciliare, dal Magistero e dalla Dottrina socia-le della Chiesa, per
crescere in testimonianza di santità laicale”(dal Documento pro-grammatico del XIX
Congresso nazionale AIMC, 2010).
L’AIMC vuol mettersi all’ascolto dei molti richiami che arrivano dal mondo educativo
per cercare di rispondere con responsabilità e competenza alle sfide del tempo attuale. Risposte che, per avere credito e risonanza positiva, non potranno essere di pochi e autoreferenziali, ma dovran-no necessariamente tenere conto di tutte le agenzie educative
impegnate nell’educazione delle nuove generazioni; l’emergenza educativa trova la sua
origine, infatti, nella disfatta culturale, eti-ca, politica e valoriale che ha caratterizzato le
ultime generazioni. Come associazione di professio-nisti di scuola fa proprio il richiamo
a investire tutte le energie associative sulla formazione dei do-centi e sulle nuove competenze che la scuola deve poter offrire ai giovani, futuro del Paese, stando attenti a non
perdere di vista la tensione alla cura della persona:
“Educare è accompagnare il processo che aiuta ogni persona a divenire quello che è già
in nuce. È percorso intenzionale, generativo di quell’umanità della persona tesa a ricercare il vero, il bello, il bene, il giusto e ad agire in libertà, in responsabilità ver-so sé e
gli altri per contribuire a realizzare il bene comune. Educando ci si educa in un processo
reciproco che si costruisce nell’integrazione e nell’armonizzazione delle dimensioni dell’intelligenza, della ragione, dell’affettività, della responsabilità, cu-rando i tratti essenziali della personalità per vivere in pienezza. Ciò esige un progetto esistenziale
proprio di una persona libera, in grado di interrogarsi sul bene e sul ma-le, coerente
nell’agire, responsabile e capace di pensiero critico e creativo. Vivere è, dunque, processo complesso di umanizzazione, sostenuto da uno sguardo su di sé e sugli altri, sul
Contributo dell’AIMC
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mondo e sulla storia che necessita di adulti competenti e significativi” (da G. Boccardi
a cura di, Profilo di un’esperienza, Edizioni AIMC, Roma 1995).
L’Associazione Italiana Maestri Cattolici vuole continuare a essere tutto questo: è la nostra grande sfida.
A cura della Segreteria Nazionale Aimc
Contributo dell’AIMC
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ACISJF
“Quali sfide ci attendono a cinquant’anni dal Concilio”
Benedetto XVI, appena eletto Papa, ha voluto riconoscere che “con il passare degli anni,
i documenti conciliari non hanno perso di attualità; i loro insegnamenti si rivelano anzi
particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente
società globalizzata”.
1) Come abbiamo vissuto il momento del Concilio?
Abbiamo vissuto Il Concilio come un periodo di riflessione, di conversione e di rinnovamento spirituale, di ricerca di autenticità nel rapporto tra la “Parola” e la nostra vita
personale e quella sociale.
(LG 9) Una affermazione estremamente significativa del Concilio è stata: “la Chiesa è
il Popolo” di Dio. E’ stato uno stimolo a prendere coscienza del ruolo di ognuno nella
Chiesa. Per noi laici, una sollecitazione ad assumerci le nostre responsabilità dando un
contributo da adulti . E’ stata una proposta alta fatta a persone capaci di vivere la libertà
dei figli di Dio nella carità e nella verità, fondata sulla Parola di Dio.
2) Cosa ha significato per la nostra associazione?
Per la nostra Associazione ha significato partecipare ad un continuo rinnovamento, ridando splendore al carisma originario e venendo incontro alle esigenze storiche del momento. Di fatto abbiamo rinvigorito il nostro servizio e la nostra attenzione ai nuovi
segni dei tempi, soprattutto per la nostra Associazione si è trattato dei mutamenti della
condizione femminile e del sostegno ai ceti più deboli sostenendo da vicino le nuove realtà del disagio che andavano manifestandosi nella società.
3) Come ha risvegliato il carisma originario?
In questi 50 anni abbiamo cercato di esprimere come volontari laici attraverso l’ACISJF
il senso del servizio, dell’attenzione alle giovani in difficoltà, degli incontri, della relazione, dell’ascolto, dell’impegno educativo e della profezia.
Abbiamo cercato sempre di cogliere i “segni dei tempi” interpretando i mutamenti della
società ed affrontando con creatività le esigenze più urgenti.
Oggi in un mondo globalizzato aumentano “le sfide “, si conosce tutto più da vicino, ma
spesso si privilegiano i rapporti virtuali. Per esprimere il nostro carisma è indispensabile
“un supplemento di umanità” che permetta dei rapporti veri con chi è nel disagio e nella
sofferenza.
Abbiamo tempo, cuore e vita da mettere a disposizione e da donare alle giovani che ospitiamo nelle nostre Case.
Contributo dell’ACISJF
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4) Quali vissuti ha provocato?
I rapidi mutamenti della società degli ultimi tempi sia in Italia che nel mondo ed una profonda crisi economica ed etica hanno richiesto e richiedono all’ACISJF indispensabili
e nuovi impegni concreti, capaci di sostenere le fasce più deboli della nostra società.
(GS 1-2-3-4…)L’attenzione primaria è stata rivolta alle Comunità Educative che sono
state oggetto dei nostri interventi, giovani senza lavoro, emarginati, famiglie indigenti,
sono sempre stati presi in considerazione nella loro piena dignità.
E’ stato un agire motivato e per questo capace di affrontare le situazioni contingenti.
Operiamo in rete con tutti per aumentare le forze da mettere in campo con responsabilità
e coraggio, frutto di una formazione permanente e globale.
5) Qual è stata la nostra risposta in questi 50 anni?
Viviamo oggi come chiesa e come società un momento di incertezza, quasi di vuoto o
forse di attesa. Questa deve invece diventare l’occasione per essere protagonisti di un
sempre rinnovato “agire”, che nasce da una grande e profonda passione per l’umanità che
ci spinge a creare sempre nuovi spazi e servizi ricchi di relazioni vere e solidali. Questo
atteggiamento e questa mentalità ci viene anche dalle nostre salde radici e dai nostri fondatori che ci hanno trasmesso questo compito e questo esempio oltre “cento” anni fa.
Nel nostro operare abbiamo sempre posto molta attenzione al nuovo che germina, ai
segni dei tempi e sforzandoci di dare risposte sempre innestate nei veri e irrinunciabili
valori.
Spesso però la paura di affrontare le situazioni nuove rischia di paralizzarci, mentre dovrebbe solo renderci tutti sì prudenti, ma non chiusi in schemi statici, deve renderci tutti
aperti e disponibili ai rischi di un continuo rinnovamento. Occorrono per questo persone
che pensano e si impegnano con passione e coraggio, consapevoli di essere chiamate ad
affrontare le nuove problematiche sociali.
6) Quali sfide pone al nostro oggi?
Una prima sfida che abbiamo accolto da tempo è quella di passare da progetti assistenziali
a progetti di promozione cogliendo il nuovo e sapendolo interpretare con la fantasia
creativa che deriva dalla fede e dall’amore verso tutti i nostri fratelli e sorelle e soprattutto
verso chi vive maggiori difficoltà.
Un quotidiano impegno di assidua ed amorevole presenza permette all’ACISJF di orientare tante energie nella “progettazione” legata in particolare ai tanti bisogni emergenti
di quel mondo giovanile di cui si occupa con una tradizione oltre centenaria.
Contributo dell’ACISJF
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Accoglienza, ascolto, prevenzione, promozione, recupero, integrazione e rapporti interculturali fanno da base ad ogni nostro progetto.
7) Come orienta i nostri orizzonti?
Nelle nostre “Case” si cerca sempre di creare un ambiente accogliente, un punto di
ascolto, formativo carico di calore umano per contribuire a contenere disagi e solitudini,
ribellioni ed intemperanze, dando sempre spazio e tempo a progetti di recupero e di dialogo costruttivo.
La presenza di ragazze giovanissime ci permette di impegnarci quotidianamente nella
prevenzione: lavorare nell’oggi per donare e costruire sempre nuove speranze.
Alle giovani, come educatori e come responsabili, cerchiamo di dare non tanto delle regole da rispettare ma ancor più il senso della vita, della loro dignità, offrendo loro esempi
quotidiani di coerenza.
Il contesto sociale nel quale operiamo è molto cambiato in questi anni ed ora ci troviamo,
tra l’altro, a dover affrontare il disorientamento ed il disagio delle giovani immigrate di
seconda generazione. Per queste tentiamo di realizzare nuovi interventi e nuovi progetti.
Queste strategie si appoggiano su un grosso lavoro “interculturale” capace non solo di
produrre sostegno ma anche socializzazione alimentata da amore, fiducia e tenerezza e
questo non rinunciando mai all’autorevolezza necessaria.
(GE1..) La fermezza sui valori ci dà la forza di considerare ogni persona nella sua unicità
affinché tutti possano esprimere al meglio le proprie potenzialità.
L’ACISJF fin dalle origini è stata segnata da una mentalità “internazionale” che le ha
dato da sempre la capacità di lavorare a largo respiro. Le intuizioni profetiche delle nostre
origini illuminano ancora il lavoro di oggi che ci vede impegnate a progettare il futuro.
Il nostro percorso continua ad essere ricco di passione educativa capace di affrontare il
nuovo che avanza con responsabilità ed impegno.
Naturalmente le nostre Case per essere all’altezza del carisma originario, per esprimere
le potenzialità di cui sono ricche hanno bisogno di un continuo rinnovamento che trova
fondamento solo nella Parola di Dio .
Spesso facciamo grandi sforzi per accogliere in forma “gratuita” giovani in difficoltà in
quanto le ragazze che vengono nelle nostre Case hanno bisogno soprattutto di credere
nella possibilità di in un futuro positivo per uscire dalla sopravvivenza ed entrare nella
vita normale.
Per queste ragioni cerchiamo di far incontrare le nostre giovani ospiti con una umanità
diversa da quella che hanno incontrato finora, mettendo a loro disposizione tutte le risorse
Contributo dell’ACISJF
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di cui siamo capaci promuovendo “progetti educativi personalizzati” ci sforziamo di essere sempre capaci di ricominciare il cammino senza mai perdere la speranza e senza lasciarci condizionare dalla presenza o meno di risultati visibili.
Occorre camminare con le giovani sapendo anticipare, prevenire, accompagnare, assistere, guidare e non abbandonarle mai nel momento del bisogno. Il lodo dell’ACISJF è
“In Via” e ci ricorda che dobbiamo essere persone “esperte della via”, la via dell’amore,
la via che è Cristo. Ci ricorda inoltre che dobbiamo essere sempre disposti a modificare
continuamente il nostro cammino nell’avanzare su tale “via” per restare nella direzione
giusta che conduce alla meta e per incrociare, al tempo stesso, le strade sulle quali camminano coloro che vogliono servire.
Cinquant’ anni sono passati dal 1962 ma la sorgente del Concilio Vaticano II° è sempre
viva. Sta a noi saper attingere a queste acque per saper vivere e trasmettere la “novità”
dell’essere cristiani.
Contributo dell’ACISJF
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APOSTOLATO DELLA PREGHIERA
L’Apostolato della Preghiera è nato il 3 dicembre 1844 su intuizione di P. Gautrelet, un
gesuita francese che ai giovani seminaristi che si sentivano esclusi dall’apostolato a
motivo degli impegni di studio, suggerì che potevano cominciare a praticarlo con la preghiera e l’offerta dello studio a favore di quanti operavano nelle missioni e per le opere
che essi sostenevano. Successivamente questa idea si è espansa con velocità impensabile
in tutti i continenti. La novità di sentirsi operativi nei paesi di missione pur stando a casa
propria e svolgendo i compiti del proprio stato di vita si era rivelata una corrente d’amore
che si era diffusa velocemente.
La distribuzione di foglietti mensili con la preghiera di offerta al Cuore di Gesù e le preghiere secondo le intenzioni del Papa (ancora oggi da Lui scelte e approvate) diventava
una forma di apostolato molto libera e non gravosa. I gruppi operativi si estendevano
capillarmente nelle parrocchie ed avevano momenti di adorazione Eucaristica e formazione, mentre la celebrazione eucaristica del primo venerdì del mese in riparazione delle
offese che il Cuore di Gesù continuava a subire era offerta in tutte le chiese.
In Italia, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, con il fiorire di movimenti e aggregazioni laicali, si è avuta la sensazione che l’Apostolato della Preghiera fosse un movimento
ormai superato, per cui, poco a poco gli aderenti che facevano parte dei gruppi e si erano
occupati della diffusione dei biglietti mensili, andavano inserendosi nei nuovi movimenti
al punto che, purtroppo, in molte parrocchie questi gruppi tendevano a scomparire, mentre la spiritualità del Cuore di Gesù veniva limitata alla celebrazione eucaristica del primo
venerdì del mese e all’adorazione eucaristica.
Oggi la diffusione dei foglietti mensili nelle parrocchie e nelle chiese è rilevante - anche
se non raggiunge le punte di prima del Concilio
In realtà l’Apostolato della Preghiera, in quanto diffusore della spiritualità del Cuore
di Gesù, non è un movimento in senso stretto ma una corrente d’amore che, per mezzo
della divulgazione del foglietto mensile con la preghiera di offerta della propria vita in
tutte le sue espressioni di pensiero e di azione, tende ad attraversare tutte le aggregazioni laicali sublimando e offrendo in un’unica ideale offerta sacerdotale ed eucaristica quanto le stesse aggregazioni, volando alto nei loro ambiti, fanno e maturano.
Offrire e pregare insieme in maniera universale secondo le intenzioni del Papa, in
stretta unione con il sacrificio eucaristico è come aprire finestre e abbattere pareti
tra un’aggregazione e l’altra. Questo fa percepire sempre di più l’unità del Corpo
mistico, della Chiesa.
Questa reciprocità di amore fa sì che si crei una circolarità di doni: da Dio a noi, col dono
dei carismi, da noi a Lui, con l’offerta di quanto pensiamo e facciamo nella nostra vita
per la salvezza dell’umanità e per la Sua maggior gloria.
Dal Suo Cuore a tutto il suo corpo mistico e dal suo corpo mistico al Suo Cuore.
Contributo dell’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA
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Questo fa sì che si maturi una conoscenza più profonda della spiritualità del Cuore di
Gesù, che va al di là della forma devozionale. Una spiritualità che aiuta a conoscere in
maniera sempre più intima Gesù aiutandoci a farlo entrare attimo dopo attimo nella nostra
vita nella consapevolezza che ogni nostro pensiero, ogni nostra azione sono in Lui, anzi
tutto gli è donato e porta un frutto a noi sconosciuto.
Ecco allora che un piccolo foglietto distribuito con amore può portare innumerevoli frutti
oltre a dare al Papa la certezza che tutta la Chiesa prega secondo le sue intenzioni che
sono sempre a beneficio della Chiesa stessa.
Nelle riunioni a livello diocesano e nei convegni regionali e nazionali, l’Apostolato della
Preghiera cerca di sensibilizzare oltre che alla preghiera di offerta e alla preghiera vissuta,
anche - e in maniera particolare - alla riflessione e alla testimonianza di vita alla luce
della Parola di Dio. Al rientro nelle parrocchie, l’eco di quanto fatto può dare un aiuto
sensibile all’attuazione della nuova evangelizzazione.
Contributo dell’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA
a cura di Caterina De Pasquale
Contributo dell’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA
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CO MUN IO NE E LIBE RAZ ION E
L’esperienza di Gioventù Studentesca, che diventerà poi Comunione e Liberazione,
è nata nel 1954, cioè negli anni immediatamente precedenti l’apertura del Concilio, all’interno del clima ecclesiale e teologico che ha preparato il Concilio stesso.
Lo sviluppo dei lavori conciliari è stato seguito con un’attenzione e la pubblicazione dei
documenti accolta con una gratitudine che don Giussani ha così descritto: «io mi ricordo
ancora i soprassalti di entusiasmo che abbiamo avuto trovando sviluppate organicamente
nei documenti del Concilio, che man mano uscivano, tematiche che costituivano il contenuto più profondo della nostra sensibilità intellettuale, del nostro impegno e della nostra
prassi di vita. Avevamo la riconoscenza di chi si sente dire con più compiutezza e profondità, con “autorità”, il perché esauriente di ciò che sta vivendo». Dunque, prosegue
don Giussani, «non si può dire davvero che noi non ci siamo trovati in sintonia con il
Concilio: del resto i teologi, sui libri dei quali ci siamo formati, non sono forse i precursori e gli esperti del Concilio?»1 .
E’ una sintonia, quella a cui si fa riferimento, che, in GS, fa avvertire come profondamente vicini e consonanti con la propria vita l’idea della Chiesa quale comunione e comunità espressa nella Lumen Gentium, ma anche la passione per il mondo e la stima dei
tentativi degli uomini, pur nella loro incompiutezza ultima, che anima la Gaudium et
Spes: la proposta di don Giussani porta infatti efficacemente alla luce e valorizza una
profonda sinergia fra il desiderio umano di felicità e la proposta cristiana. Ma questa proposta ha la natura di un fatto, di un avvenimento, secondo la specifica e fondamentale sottolineatura della storicità della rivelazione propria della Dei Verbum. C’è poi una
consonanza quanto all’esperienza liturgica, esperienza già vissuta, all’interno di Gioventù
Studentesca, secondo modalità specifiche e con una sensibilità d’insieme vicine a quelle
autorevolmente presentate nella Sacrosanctum Concilium.
Per quanto riguarda il cammino dei decenni successivi e il compito che si prospetta per
il futuro, si possono offrire, pur sommariamente, tre sottolineature.
L’attuazione del Concilio in Comunione e Liberazione è avvenuta, in primo luogo, nella
dimensione dell’educazione. La rinnovata comprensione di Cristo e della Chiesa sollecitata dal Concilio, grazie al metodo educativo nato dal carisma di don Giussani, ha toccato molte persone che hanno così potuto incontrare e vivere il Concilio.
Nella recezione del Concilio, si è ricercata, in secondo luogo, una lettura globale: una lettura il più possibile attenta agli assi portanti del dettato conciliare piuttosto che a temi particolari, magari sottolineati in maniera unilaterale e parziale. Più volte don Giussani ha
suggerito di assumere la Lumen Gentium quale punto prospettico per la lettura del messaggio del Vaticano II.
1 L. GIUSSANI, Da quale vita nasce Comunione e Liberazione, intervista a cura di Giorgio Sarco, suppl. a «Tracce-Litterae communionis», n. 7-8 (1979), p. 15.
Contributo di COMUNIONE E LIBERAZIONE
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L’ecclesiologia di questa Costituzione è la “magna charta” del Concilio, un’ecclesiologia
che nasce dal riconoscimento del primato di Cristo: Cristo è la luce delle genti che «risplende sul volto della Chiesa» (LG 1). Nella lettura di questa Costituzione, come anche
di tutti i restanti documenti, si deve peraltro sempre privilegiare una chiave interpretativa
specificamente teologica piuttosto che parametri sociologici o mode filosofiche.
Da ultimo, l’itinerario di comprensione, approfondimento e attuazione del Concilio ha
avuto un prezioso e insostituibile punto di riferimento nel Magistero della Chiesa. In
questi decenni, l’insegnamento di Paolo VI, Giovanni Paolo II e – ora – di Benedetto
XVI hanno offerto e offrono richiami e indicazioni puntuali ed essenziali per un cammino
ecclesiale di autentica sequela del Concilio. Da questo riferimento, il contributo di ogni
cristiano e di ogni esperienza ecclesiale può ricevere chiarificazione, stimolo e valorizzazione. “Seguire il Papa” come punto sintetico e guida autorevole è indicazione semplice
ma decisiva anche per il futuro. “Seguire il papa per realizzare il Concilio”, affrontando
le sfide e cogliendo le possibilità che la storia degli uomini propone a chi vuole seguire
Cristo2 .
2 Per l’approfondimento della ricezione del Concilio da parte di Giussani e del movimento, si veda l’ampio e documentato studio di
M. BOCCI, «La Chiesa in quanto tale». Il Concilio indiviso, da Gioventù Studentesca a Comunione e Liberazione, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XLV (2010) nn. 2-3, pp. 187-281.
Contributo di COMUNIONE E LIBERAZIONE
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CONFEDEREX
Serietà, impegno, coraggio può essere il trinomio che ha connotato il laico exallievo
delle scuole cattoliche lungo la via del rinnovamento richiesto dal Concilio. Un impegno
soprattutto verso la dimensione del sentirsi parte di quella realtà viva quale è la scuola e
la scuola cattolica.
L’essere associato a realtà educative di fatto ne hanno stimolato l’appartenenza culturale
non solo nel senso di una rimembranza ma ne hanno sollecitato l’impegno creativo ad essere laici collaboratori delle realtà educative da cui provenivano.
Il Concilio Vaticano II ha stimolato soprattutto nelle scuole cattoliche, e di conseguenza,
nelle gestioni ad appartenenza religiosa per la gran parte la responsabilità di un rinnovamento all’insegna di un discernimento dei segni dei tempi.
La collaborazione laicale, in parte sostenuta dalla presenza degli exallievi, ha fatto maturare una attenzione alla figura laicale che, al di là dell’impegno di educatore, via via
cominciava a delinearsi anche nell’assunzione di funzioni di corresponsabilità. In qualche
modo il “vento conciliare” cominciava a soffiare anche nelle scuole cattoliche stimolando
e promuovendo quel protagonismo laicale per troppo tempo assonnato e non stimolato.
La promozione del laicato, nella scuola cattolica, ha trovato poco a poco segni significativi sia nel rinnovamento didattico, ma soprattutto nel rapporto scuola-famiglia. Ci si
rendeva conto che la responsabilità della scuola e della scuola cattolica era non solo
quella di sovvenire alle carenze culturali, ma emergeva con dirompente attualità la responsabilità di affiancare la famiglia, senza ad essa sostituirsi, nel cammino educativo in
tutta la sua globalità. La scuola e la famiglia diventavano alleate per impostare un progetto educativo sulla persona condiviso. In questo versante la responsabilità laicale diventava preponderante, soprattutto di quel laicato organizzato che affiancava la
progettualità culturale ed educativa propria della congregazione di appartenenza.
In questo senso si può affermare che il Concilio Vaticano II ha stimolato nelle associazioni laiche impegnate nella scuola cattolica, la dimensione e la coscienza dell’essere in
frontiera per rinnovare il piano educativo proposto. Il Concilio ha in un certo qual senso
risvegliato e rinvigorito un laicato , per certi versi amorfo e appiattito culturalmente su
posizioni di rimembranza. Il Concilio ha stimolato il passaggio culturale di un laicato vicino alla scuola cattolica da una situazione statica ad una presenza stimolante culturalmente e non solo ma anche a livello gestionale .
E’ frutto conciliare infatti la nascita di tante cooperative di genitori, che a fronte di una
mancanza di presenza religiosa si assumevano la responsabilità di una gestione diretta
della scuola: era un segno di una vocazione laicale e di una corresponsabilità ecclesiale.
Il Concilio vaticano II ha promosso nel laicato vicino alla scuola cattolica la coscienza
della responsabilità ecclesiale e sociale ,stimolandolo ad un impegno per realizzare una
Contributo di CONFEDEREX
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concreta presenza nella chiesa e nella società.
Contributo di CONFEDEREX
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CENTRO SPORTIVO ITALIANO
Il tempo del Concilio (1962-1965 ) coglie il Centro Sportivo Italiano a poco più di quindici anni dalla sua rifondazione, avvenuta nel 1944. In buona salute associativa, sia per
il numero di società e di tesserati e per distribuzione sul territorio.
Luigi Gedda, il fondatore, non è più presidente nazionale: a lui è succeduto Aldo Notario,
attraverso le presidenze brevi di Silvio Betocchi e Paolo De Sandre, presidenti nazionali
della G.I.A.C.
Consulente Ecclesiastico, di nomina C.E.I., diventa don Claudio Bucciarelli, vice assistente nazionale della G.I.A.C. per il settore Juniores. Accompagnerà l'Associazione nel
tempo del post-Concilio, fino al 1975.
Il C.S.I. risentirà positivamente di questa presenza: si apre una grande riflessione sulla
Società sportiva e sulle sue potenzialità educative, così come si riflette sulla qualità dello
sport da promuovere: non tutto lo sport è educativo!
A Giovanni XXIII, " inventore" del Concilio , succede Paolo VI che guiderà il Concilio
fino alla sua conclusione, favorendo tra l'altro una approfondita riflessione sulla Chiesa,
sul rapporto Chiesa-mondo, sul ruolo e la responsabilità dei laici.
A partire soprattutto dai documenti conciliari relativi, il C.S.I. sarà condotto a riflettere
sulla propria condizione di Associazione espressione della Chiesa nel mondo dello sport.
Il C.S.I. esce dalla tutela dell'Azione Cattolica (il Consiglio Nazionale era formato in
buona parte da "nominati " dalla G.I.A.C.); la sua struttura diviene pienamente democratica, a tutti i livelli. Viene confermata, a più riprese, l'ispirazione cristiana, in una responsabile autonomia laicale.
I rapporti con la Chiesa italiana passano attraverso la Consulta nazionale dell'apostolato
dei laici e la buona collaborazione tra C.E.I. e Consulente Nazionale. Rimane la presenza
di un sacerdote-consulente ai diversi livelli dell'Associazione.
Saranno particolarmente significativi i contributi di Mons. Bartoletti: il C.S.I. è aiutato
a riflettere sulla sua collocazione nell'azione pastorale della Chiesa (Bartoletti definisce
la pastorale come autocostruzione della Chiesa attraverso l'Ascolto della Parola di Dio,
l'Eucaristia, la testimonianza cristiana nel mondo).
Notevole è stato anche il contributo di consiglio paterno di Mons. Costa, Assistente Generale dell'Azione Cattolica. In quel periodo ( 1971 ) si realizza l'unificazione con l'Associazione parallela, femminile, la F.A.R.I., nata dalla Gioventù Femminile di Azione
Cattolica.
È sotto il forte spirito del Concilio che il C.S.I. andrà elaborando, con appassionati contributi della base, uno Statuto che è segnato dalle caratteristiche di una grande carta pedagogica.
I laici assumono le loro responsabilità in una Associazione che ripensa e promuove una
attività sportiva a misura di uomo e di donna.
Nasce l'I.S.E., Itinerario Sportivo Educativo, che prevede una attività sportiva adeguata
alle diverse età, all'uomo e alla donna ...
Il tutto è accompagnato da una intensa e curata attività di formazione rivolta a tutti i
membri dell'Associazione, ma soprattutto destinata ai Dirigenti e agli Allenatori delle
Contributo del CENTRO SPORTIVO ITALIANO
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diverse discipline.
Notevole lo sforzo per i Campi Scuola residenziali, sia a livello nazionale che locale.
Nasce così una attività sportiva che fu definita " alternativa ": segnata in particolare dall'abbandono delle fasi nazionali dei Campionati e dall'affermarsi delle "Feste dello sport".
Non è che tutto sia avvenuto senza fatica, in presenza anche di aspri contrasti. Sarà di
grande consolazione la citazione dello sport in due documenti del Concilio: Gravissimum
Educationis al n. 4 e la Costituzione Pastorale Gaudium et spes al n. 61.
Viene particolarmente richiamato il valore educativo e culturale dello Sport e la sua importanza nella "educazione dell'uomo a una cultura integrale".
Il C.S.I. accoglie poi con particolare attenzione e riconoscenza gli interventi di Giovanni
Paolo II, che promuoverà l'attenzione della Chiesa allo Sport, attraverso la sua personale
pratica sportiva e gli interventi in occasione del Giubileo degli sportivi.
Il "68" ha segnato anche la storia del C.S.I.: qualche lacerazione, qualche abbandono,
ma complessivamente lo spirito del Concilio ha fatto sì che l'Associazione.. .tenesse.
I confronti hanno portato a ribadire il valore dell'ispirazione cristiana e il suo inserimento
originale nella Chiesa, lontano da ogni laicismo e clericalismo.
La Chiesa italiana ( la C.E.I.) ha sempre seguito con particolare attenzione e simpatia il
cammino impegnato dell'Associazione. Che, nel passare degli anni, ha maturato un "Progetto educativo sportivo ( 1984 ), sottoscritto da tutti i Responsabili in una Assemblea Nazionale.
Contributo del CENTRO SPORTIVO ITALIANO
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FSE
ASSOCIAZIONE ITALIANA GUIDE E SCOUTS D’EUROPA CATTOLICI
1. Scautismo e Apostolato dei Laici.
L’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici (FSE) nacque nel 1976, più
di vent’anni dopo la fine del Concilio Vaticano II. In realtà essa partecipa dell’eredità del
movimento centenario dello scautismo, che si è confrontato a vari livelli con l’evento
conciliare e il suo slancio a nuove forme di apostolato dei laici; proprio negli anni del
Concilio stesso, nasceva e si sviluppava in Europa, e in particolare in Francia, la struttura
degli “Scouts d’Europa” che avrebbero poi assunto una propria fisionomia anche in Italia,
fino a raggiungere l’attuale conformazione federale di unione di associazioni scout cattoliche, diffuse in numerosi paesi europei e soprattutto nella stessa Francia, in Italia, Polonia e molti altri.
Numerosi sono gli stimoli che il Concilio ha proposto alle tante forme di aggregazione
e azione dei laici, che hanno sollecitato anche tutto il movimento degli scout cattolici a
rinnovarsi e riscoprire le proprie potenzialità e carismi. Proprio queste sollecitazioni suscitarono intensi e a volte aspri confronti tra le diverse componenti del movimento, che
era a quei tempi articolato in Italia nelle due associazioni maschile (ASCI) e femminile
(AGI). Nel 1963 le associazioni francese, belga e tedesca, che già avevano iniziato da
qualche anno l’esperienza degli “Scouts d’Europa”, approvarono un nuovo Direttorio
Religioso, in linea con la “Carta dello Scautismo Cattolico” che la Santa Sede aveva promulgato nel 1962, carta che anche i gruppi scout luterani tedeschi della FSE trovavano
pienamente accettabile per loro. In esso si chiariscono le norme ecumeniche di accoglienza nei gruppi scout di ragazzi e ragazze appartenenti a diverse confessioni cristiane,
in modo che ogni gruppo scelga chiaramente la propria identità religiosa. La FSE scelse
quindi di rinnovarsi e aprirsi alle nuove prospettive ecclesiali e culturali, ma senza generare sviluppi confusi e indifferenziati, al contrario richiamando in modo radicale le
proprie origini e la propria identità. Lo scautismo venne compreso come metodo attivo
e completo di educazione e di formazione personale, che esplicita il destino soprannaturale di ogni persona, la preparazione di ragazzi e ragazze come figli della Chiesa verso
la contemplazione e il sacro, il rispetto e la vita nella natura per sfuggire al materialismo
attraverso l’educazione della libertà nell’ordine naturale.
Le tensioni del post-Concilio crearono in Francia e in altri paesi fenomeni di dissenso e
confusione, protraendosi in lungo periodo di travaglio dal quale nacquero anche iniziative
scismatiche come quella del vescovo Marcel Lefebvre. La tentazione tradizionalista toccò
anche diversi gruppi della FSE francese, ma i capi della stessa riuscirono a mantenere
l’associazione nella piena fedeltà alla Chiesa, aderendo senza remore alle decisioni del
Concilio in materia liturgica, ecumenica e sociale, mantenendo le Guide e gli Scout d’Europa lontani da derive scismatiche. Nonostante ciò, in alcuni ambienti ecclesiali si rimproverò agli FSE di non aderire alle riforme delle altre associazioni scout, ritenute più in
linea con i dettami e lo “spirito” del Concilio. Queste difficoltà si riprodussero in modo
analogo anche quando nel 1976 nacque l’Associazione Italiana Guide e Scout d’Europa
Contributo di FSE
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Cattolici (AIGSEC), fondata da alcuni capi romani e alla quale aderirono progressivamente membri di altri gruppi scout, soprattutto nel Veneto e in Sicilia (oggi esistono
gruppi FSE in quasi tutte le regioni). Si creò anche in Italia un dualismo simile alla situazione francese, tra un’associazione scout cattolica più “sociale” (AGESCI) e una più
tradizionale e “spirituale”, la FSE appunto.
Dopo un lungo cammino di confronto, dialogo e maturazione, in Italia le due tendenze
dello scautismo cattolico si sono ormai delineate come carismi non contrapposti, anzi in
molti aspetti complementari. La FSE ha ottenuto i necessari riconoscimenti ecclesiali a
livello italiano e internazionale, e insieme ai fratelli e sorelle scout di altre associazioni
ed espressioni offre a tutta la Chiesa e alla società un metodo educativo ricco, intenso ed
equilibrato, capace di soccorrere le debolezze, sempre più evidenti ai nostri giorni, della
famiglia, della scuola e anche di tante istituzioni ecclesiastiche. Come scrisse mons. Giuseppe Betori, Segretario della Conferenza Episcopale Italiana (oggi Cardinale Arcivescovo di Firenze) in occasione del trentennale della FSE nel 2006, lo scautismo cattolico
ha “una storia proiettata nel futuro”, “una storia di persone che hanno dedicato con dedizione il proprio tempo libero all’educazione delle nuove generazioni, lasciando una
traccia indelebile nella storia della comunità civile e religiosa” (in Leggere le Tracce.
Guide e Scouts d’Europa nella Fraternità internazionale, Milano 2007, p. 168). Come
precisa ancora il cardinale, “quella dello Scautismo cattolico è la storia di una laicità credente vissuta nel rispetto di tutte le dimensioni che attraversano la vita delle persone, e
della distinzione tra i diversi piani delle relazioni sociali” (p. 169). Le osservazioni dell’arcivescovo di Firenze non sono finalizzate alla celebrazione laudativa, ma costituiscono un grande richiamo alla responsabilità, poiché “va coltivata la profonda
convinzione che l’educazione rimane la chiave strategica che permetterà alla nostra comunità di poter guardare al futuro con speranza” (p. 170). A queste parole si sono aggiunti
in questi anni gli accorati richiami del papa Benedetto XVI a prendere coscienza delle
urgenze e delle “sfide” educative (vedi ad esempio la Lettera del Santo Padre alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente dell’educazione del 21 gennaio 2008) e la
grande prospettiva aperta nel 2010 dai vescovi italiani a “educare alla vita buona del
Vangelo” per il decennio in corso. Su questi temi gli Scout d’Europa Cattolici si stanno
impegnando con grande attenzione e partecipazione, dai piccoli lupetti e coccinelle fino
ai Capi e alle Capo più esperte, per comprendere la volontà di Dio per la chiesa e il
mondo di oggi.
Contributo di FSE
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FUCI
“E’ appena l’aurora”.
Chiesa, Concilio, Contemporaneità: 50 anni fa, 50 anni dopo.
In principio era la Parola
Come un giorno foriero di luce splendidissima nella Chiesa, il Concilio Ecumenico Vaticano II si apriva solennemente l’11 ottobre del 1962, in un clima diffuso di entusiasmo
e speranza. Oggi, a cinquant’anni di distanza, la FUCI avverte l’esigenza di dedicare una
riflessione particolare al Concilio nella convinzione che nei suoi frutti possa ancora riscontrarsi una parola capace di parlare all’uomo di ogni tempo e consapevole della necessità di continuare con amore un cammino che è stato affidato anche a noi giovani.
Tale consapevolezza ci viene dal desiderio di vivere costantemente “in prima persona”
un atteggiamento di apertura fiduciosa ai segni di verità insiti in ogni uomo che si ponga
interrogativi di senso, anche in chi non crede e nella società tutta, attenti ad una comprensione profonda della complessità del reale, e di dialogo autentico e leale con tutti i cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà. In questa riflessione siamo guidati dal
metodo che ci è proprio, quello della ricerca, che si sostanzia principalmente nell’incontrare e nell’ascoltare. Con lo stesso metodo, da sempre, ci accostiamo prima di tutto alla
Parola del “Dio invisibile che nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e
si intrattiene con essi, per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé” (DV 2).
E’ alla luce di questa Parola che vogliamo continuare a metterci in ascolto e in discussione
come giovani universitari. Sono proprio le categorie dell’amicizia e del dialogo con ciascuno a dare nuova linfa al concetto di Rivelazione, che si realizza attraverso il linguaggio
nella narrazione, ma anche – in pienezza – nella persona stessa di Cristo (DV 2) e può
essere più compiutamente compresa grazie anche all’interpretazione autorevole ed autentica della Chiesa.
La Chiesa in dialogo con il mondo contemporaneo
Il Concilio Ecumenico Vaticano II risponde all’esigenza della Chiesa di sentirsi parte
della storia dentro l’intera famiglia umana. “Il mondo che essa ha presente è perciò
quello degli uomini, ossia l’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà in
cui essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano”
(GS 2). Il dialogo con la cultura contemporanea diventa quindi imprescindibile e necessita di uno spazio comune entro cui incontrarsi, da coltivare invece che da evitare. Il
Concilio riscopre la dimensione della coscienza e quella della libertà come luoghi privilegiati in cui incontrare l’uomo contemporaneo e allo stesso tempo annunciare il messaggio di Cristo.
Contributo di FUCI
Pagina 43
“La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio,
la cui voce risuona nell'intimità” (GS 16). Infatti, ogni uomo, indipendentemente dalla
sua sensibilità religiosa, riconosce nella dimensione dell’interiorità una legge universale
del cuore che ne sancisce la piena appartenenza all’umanità. E ancora “la vera libertà è
nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina” (GS 17). Il Concilio dunque annuncia che questi due elementi intorno ai quali si costituisce l’uomo contemporaneo, la
sua coscienza e la sua libertà, non sono dimensioni pericolose ma luoghi in cui l’azione
di Dio si fa presente e si riconosce. Ecco, quindi, che è necessario ogni sforzo per educare
la propria coscienza e per vigilare sulla propria libertà alla luce della Parola.
La FUCI, nel coniugare una scelta di fede radicale e radicata, con la vocazione allo studio inteso come continua ricerca, condivisa, che ci educa al confronto libero con la cultura
in cui viviamo, si pone come obiettivo quello di formare coscienze salde, aperte al mondo
e ai suoi cambiamenti e radicate nella partecipazione all’Eucarestia, in un ascolto attento
e in una lettura assidua della Parola. Intendiamo, pertanto, riscoprire e riproporre la liturgia delle ore, come forma di preghiera comunitaria, che ci permette di vivere una
piena aderenza alla quotidianità, radicata nella consapevolezza dell’esistenza di un
“tempo altro”. Allo stesso modo facciamo nostra la pratica della lectio divina come metodo privilegiato di discernimento della Parola, che ogni volta ci riconsegna la radice del
nostro impegno nello studio e nella fede, per la Chiesa e per il mondo.
Maturità piena del laicato
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, in particolare nella Costituzione Lumen Gentium, afferma più volte come i fedeli laici, donne e uomini, partecipino insieme ai presbiteri al
sacerdozio comune di Cristo.
Il laico non è chi rimane fuori dall’ordine sacro o dalla categoria dei credenti: laico è
l’uomo battezzato. Una definizione essenziale che lascia ampi spazi di libertà: infatti,
il battesimo esalta le caratteristiche fondamentali dell’uomo, creando le possibilità affinché la persona nella sua totalità possa essere pienamente tale. L’energia di rinnovamento
che sgorga dalla sequela di Cristo, proprio grazie ai laici della comunità cristiana, deve
giungere a permeare la storia e il cammino del mondo. La vocazione comune dell’intero
Popolo di Dio, allora, non può che essere la santità, cercata e assunta nell’incarnazione
della quotidianità e nella specificità insostituibile di ciò che si è chiamati a costruire nel
mondo.
Come studenti universitari ci impegniamo a rintracciare nel nostro studio quella vocazione particolare che ci chiama ad occupare un posto preciso nel mondo attraverso la
propria professione da esercitare con serietà e passione.
Gli anni dello studio universitario, quelli vissuti all’interno della FUCI, sono fecondi per
poter sperimentare e approfondire un rapporto paritario, dialogico e corresponsabile
tra laici e presbiteri nell’ obiettivo condiviso di formare persone adulte e mature: fedeli
laici veramente cristiani, competenti nel campo in cui intendono agire, pieni di amore
Contributo di FUCI
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critico per il tempo che sono chiamati a vivere, autonomi e responsabili nell’esercizio
delle proprie attività specifiche.
Cristiani per il mondo
Nella tensione di quel periodo storico la Chiesa, con il Concilio, prendendosi carico delle
angosce e delle tristezze degli uomini della propria epoca, ha saputo indicare a tutta la
famiglia umana la gioia e la speranza della Via della Pace.
La mutua relazione tra Chiesa e Mondo impone così ad ogni cristiano di essere “fermento
della società umana”, impegnandolo a conoscerne e a comprenderne le attese e le aspirazioni, mettendo in atto quell’intelligenza degli avvenimenti, che consente di “saper
scrutare i segni dei tempi ed interpretarli alla luce del Vangelo” (GS 4).
Infatti “il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare
il mondo o dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto
a tutto ciò con un obbligo ancora più pressante” (GS 34). Una testimonianza sincera,
autentica e per ciò credibile, non può quindi non tenere conto della necessaria inscindibilità tra la vita di fede e la vita di ogni giorno.
L’infinita carità nei confronti di ogni essere umano, in cui risiede la “presenza di un
germe divino”, richiede come presupposto il riconoscimento della pari dignità, libertà ed
uguaglianza. Esso si sostanzia nello sforzo incessante “di instaurare un ordine politico,
sociale ed economico che sempre più e meglio serva l’uomo”(GS 9) e che metta al centro
l’attenzione verso i più poveri, cui la Chiesa lega il proprio destino. Tale fine richiede la
promozione di una crescita sostenibile, di un’equa distribuzione delle risorse, di un accesso paritario ai benefici del progresso a garanzia del rispetto dei diritti inviolabili e
dello sviluppo integrale delle persone. “La persona umana, che di natura sua ha assolutamente bisogno d’una vita sociale, è e deve essere principio, soggetto e fine di tutte
le istituzioni sociali” (GS 25).
La FUCI, cosciente della necessità costitutiva della relazione intersoggettiva e dello stabilire un legame con l’Altro, si espone nei luoghi che abita, in primo luogo l’Università,
la Città e la Chiesa, in cui si impara attraverso la pratica costante della solidarietà, della
cura fraterna e del confronto sincero che non esiste libertà nella solitudine e al di fuori
di una comunità, spazio in cui esprimere al meglio se stessi, incoraggiati dalla fiducia totale nel prossimo.
Di fronte alla profonda drammaticità di una crisi economica, civile e sociale come quella
che stiamo vivendo, la Federazione non intende sfuggire all’assunzione della propria
parte di responsabilità e vuole investire in una formazione integrale della persona, che
metta alla base il bene comune.
La FUCI non teme di affermare la necessità di un rinnovato impegno politico onesto,
Contributo di FUCI
Pagina 45
sincero e gratuito, vissuto nella nobiltà umile del ministero a servizio della comunità,
che sostenga i più deboli e la loro crescita nelle formazioni sociali, in primo luogo nella
famiglia, che sappia tenere nella dovuta considerazione il ruolo peculiare di ognuno, ribadendo in particolare l’importanza fondamentale della partecipazione della donna, come
dell’uomo, nella costruzione della società; e che si faccia promotore di una pace tra i popoli che non può più prescindere da una logica dell’ospitalità , del rispetto e della conoscenza profonda dell’altro, possibile solo attraverso un dialogo libero da pregiudizi.
Nell’accostarci a ciò che questo evento è stato, sentiamo viva la radicalità di un atteggiamento che attende ancora di essere assunto pienamente, che ci chiede lo sforzo di costruire un’unità che non escluda; in poche parole, che sia Concilio!
Contributo di FUCI
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I GRUPPI DI PREGHIERA DI PADRE PIO
In risposta ad un accorato appello di Papa Pio XII, che, durante il secondo conflitto mondiale, invita i cristiani a stringersi in preghiera, Padre Pio comincia a dare forma e ad
orientare il flusso di pellegrini e la moltitudine di fedeli che riconoscono in lui una sicura
guida spirituale e un solido riferimento, durante e subito dopo gli orrori della guerra che
tanto vuoto e tanta desolazione si lasciava dietro. Si trattava di riedificare una coscienza
morale e spirituale nelle popolazioni segnate da tanta sofferenza. I Gruppi di Preghiera
nascono così , e fin dall’inizio si legano e crescono con l’ Opera del Padre di Pietrelcina
che nella realizzazione della “Casa Sollievo della Sofferenza” mostrava l’espressione più
bella e grandiosa, segno tangibile di una spiritualità fondata sulla preghiera e operante
nella carità orientata al sostegno dei fratelli sofferenti. Padre Pio fin dal principio ha voluto che fossero inseriti a pieno titolo nella Chiesa, nel suo dinamismo spirituale, e perciò
auspicava ogni singolo gruppo fosse presieduto e diretto da un sacerdote, per evitare “deviazioni o iniziative personali ” e perché rimanessero fedeli agli scopi originari: nati nella
Chiesa, ad essa soltanto dovevano obbedire.
Nel Proemio dello statuto, approvato dalla Santa Sede nel 1986 con lettera del Cardinale
A. Casaroli, sono messi in evidenza i principi generali che fondano l’identità dei Gruppi
di Preghiera e che fanno riferimento direttamente alla spiritualità francescana di S. Pio.
E’ espressamente sottolineato come essi, “in vista dei bisogni spirituali della nostra epoca,
intendono cooperare alla realizzazione del Regno di Dio, secondo l’insegnamento di
Gesù, che ha ripetutamente insistito sulla necessità della preghiera … e intendono agire
in obbedienza ai ripetuti inviti lanciati in tal senso dai Sommi Pontefici, secondo la tradizione mirabilmente espressa dai Concili Ecumenici, e specialmente dal Concilio Vaticano II”. Con le vele orientate sul vento rigenerante del Concilio i Gruppi di Preghiera
hanno navigato, in acque mai tranquille, con la barra del timone ferma sulla rotta stabilita:
adesione piena alla dottrina della Chiesa; obbedienza al Papa ed ai vescovi; preghiera
nella Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa; riparazione mediante la partecipazione alle
sofferenze di Cristo; carità fattiva e operosa a sollievo dei sofferenti e dei bisognosi.
Ma i tempi che cambiano così rapidamente, con radicali trasformazioni della vita sociale
che interessano l’intera umanità, “l’onda secolaristica che tanta distruzione di valori etici
e religiosi sta causando nelle coscienze e nella società”, “l’invecchiamento demografico”
che non risparmia la nostra aggregazione laicale, hanno reso necessario mettere in atto,
già da qualche anno, una strategia di rinnovamento, per rivitalizzarne la missione ed
adattarla alle attuali necessità. E’ nata così l’esigenza di redigere un Regolamento che,
ovviamente, non abolisce lo Statuto, ma lo integra e lo attualizza. Approvato dalla S.
Sede è stato ufficialmente consegnato ai Gruppi di Preghiera dal Cardinale Segretario di
Stato Tarcisio Bertone il 16 giugno scorso, a S. Giovanni Rotondo, in occasione del X
anniversario della canonizzazione di S. Pio. Il Regolamento esprime la necessità di soddisfare nuove esigenze, per essere pronti a rispondere agli appelli del Santo Padre e dei
Vescovi di fronte alle sfide pressanti della nuova evangelizzazione, della educazione,
della tutela della vita e della famiglia, dell’impegno sociale e politico dei cristiani. ConContributo de I GRUPPI DI PREGHIERA DI PADRE PIO
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formandosi alle linee guida dell’esortazione apostolica “Cristefideles laici” di Giovanni
Paolo II, individua tre ambiti di impegno dei Gruppi di Preghiera, nel seguire la spiritualità del Santo Fondatore e nel sostegno della sua Opera:
la preghiera: personale e comunitaria, con l’assidua partecipazione alla Liturgia
e ai sacramenti; il confronto assiduo con la Sacra Scrittura e l’attenzione conti
nua all’insegnamento del magistero.
la famiglia, culla della vita: perché diventi Chiesa domestica, aiuti le giovani
coppie, offra testimonianza cristiana in ogni contesto di vita, sia vicina al pros
simo sofferente.
la società: impegno nella carità operosa, attenzione al mondo della cultura, di
sponibilità ad essere sentinelle vigili per le comunicazioni sociali, testimonianza
contro la cultura della morte.
A sostegno dei Gruppi di Preghiera da circa due anni operano delle Commissioni di Studio. Ne sono state istituite quattro: famiglia; giovani; impegno sociale; spiritualità di S.
Pio e spiritualità francescana. Avvalendosi del prezioso contributo di tanti esperti che
generosamente mettono a disposizione specifiche competenze, le commissioni supportano i gruppi e li stimolano a individuare percorsi di attività e di iniziative per incarnare
nella vita quotidiana quelle preziose esortazioni suggerite dai Pastori della Chiesa.
Un intenso lavoro ci attende. Confidiamo nella intercessione di S.Pio e della Madonna
della Grazie a cui Egli stesso ci ha affidati per essere protagonisti nella Chiesa che, attenta
ai segni dei tempi, e inserita nella società umana, si rinnova e conferma la sua missione.
A cura di Dr. Leandro Cascavilla
Vice direttore generale dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio
Contributo de I GRUPPI DI PREGHIERA DI PADRE PIO
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ISTITUZIONE TERESIANA
La convocazione del Concilio Vaticano II (1961) trovò l’Istituzione Teresiana, fondata
da San Pedro Poveda nel 1911, in piena celebrazione del Cinquantenario della sua nascita.
Erano trascorsi cinquanta anni di vita associativa laicale al servizio della evangelizzazione nei diversi campi dell’educazione e della cultura, vita associativa che il Concilio
venne a riaffermare, a consolidare e a rafforzare nella diversità dei carismi1. Da allora
sono passati altri cinquanta anni: l’Istituzione Teresiana si è nutrita degli insegnamenti
del Concilio e si è sentita immersa in quella grande corrente ecclesiale di vita e rinnovamento che il Vaticano II ha messo in movimento.
Sebbene la linfa del Concilio, nella sua totalità, abbia intensamente influenzato la vita e
la missione dei membri dell’Istituzione Teresiana, possiamo tuttavia identificare alcune
chiamate particolari che ancora oggi occupano il primo posto fra le nostre inquietudini
e motivazioni: la chiamata universale alla santità, la comprensione del laicato nella sua
vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo e la grande importanza delle mediazioni
culturali ed educative nel dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo.
Il grande messaggio del Concilio in relazione alla chiamata universale alla santità (LG
39-43)2 venne a rafforzare la forte convinzione di San Pedro Poveda che, dagli albori del
secolo XX, esortava i cristiani a far propria la sequela di Cristo in risposta alla chiamata
alla santità. Ai membri dell’Istituzione Teresiana rivolse sempre parole di incoraggiamento e di stimolo in relazione a questa chiamata: “Così santi come loro”, diceva riferendosi ai primi cristiani. “Santità più che mai, virtù solide a costo della vita”3. E questo
con una modalità laicale. “Voi esternamente sarete come tutti gli altri, però vi distinguerete per la santità della vita”4. “Gli uomini e le donne di Dio sono inconfondibili, non si
distinguono perché sono brillanti o affascinanti, né per la loro forza fisica, ma per i frutti
di santità”5. “Dimostriamo con i fatti che la scienza può andare d’accordo con la santità
di vita”6. Sono solo alcune delle sue innumerevoli espressioni che testimoniano la radicalità cristiana del carisma dell’Istituzione.
La chiamata rivolta a tutto il popolo di Dio, e in modo concreto al laicato radicato nella
realtà sempre nuova del Battesimo, a scoprire la propria vocazione e missione nel mondo,
significò un cammino di una nuova presa di coscienza che oggi tuttavia ha bisogno di essere portato a compimento. Per l’Istituzione Teresiana l’impulso al laicato rappresentato
dal Concilio fu una conferma della convinzione di una presenza impegnata dei laici nel
mondo, di laici che vivono una vocazione ed una missione che li invia nelle diverse realtà
della società e della cultura come sale della terra, immagine evangelica molto cara al
1 Il Codice di Diritto Canonico del 1993 lo ha confermato chiaramente.
2 Cf. 39 “Tutti nella Chiesa… sono chiamati alla santità, secondo le parole dell’Apostolo: Ciò che Dio vuole da voi è che siate santi (1
Tes 4, 3; cf. Ef 1,4). Cf. 40 “…Tutti i cristiani, di qualsiasi stato o condizione, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione dell’amore. Questa santità favorisce, anche nella società terrena, uno stile di vita più umano”. Cf. 41 “Tutti i cristiani nelle loro
condizioni di vita, lavoro e circostanze, saranno sempre più santi attraverso tutto ciò se tutto lo ricevono con fede dalle mani del Padre
del cielo e collaborano con la volontà di Dio, manifestando a tutti, proprio nella cura delle cose temporali, l’amore con cui il Padre ha
amato il mondo”.
3 Nota, 1934
4 Spirito attraente e tollerante. Consejos a las profesoras de las Academias de Santa Teresa de Jesús, 1912)
5 Io sono la vite, voi siete i tralci, 1925
6 1932.
Contributo dell’ISTITUZIONE TERESIANA
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Fondatore. Così lo hanno vissuto i membri dell’Istituzione in questi cento anni, nella profondità di una vocazione personale e nel dono di viverla associativamente.
Il dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo avviato dal Concilio Vaticano II è
un dialogo vivo e aperto che apre sempre orizzonti nuovi di comprensione e di impegno.
Tale dialogo ha confermato l’Istituzione Teresiana nella sua propria identità, che si
esprime in una permanente chiamata ad annodare la fede e le manifestazioni culturali,
delle quali la formazione e l’educazione sono mediazioni privilegiate7. Abbiamo ereditato da Pedro Poveda questa attitudine ed inclinazione ad affrontare in modo positivo la
tensione, a volte presentata come insuperabile, tra la fede e la scienza. “Insieme alla fede,
io pongo la scienza”, diceva. “Unite alla fede la virtù ed alla virtù scienza...”(2 Pt 1, 56). Le esigenze che derivano da questa visione in chiave educativa sono chiare: “Voi dovete educare cristianamente, seriamente, ragionevolmente, solidamente, con disciplina,
con fortezza, con ideali, con temperanza”8. Questo spirito e stile di educazione avrebbe
dovuto fare del bene a tutti, secondo lo spirito di Poveda. Già nel 1913 aveva detto: “Cercate, con tutti i mezzi a vostra disposizione, di offrire il beneficio incomparabile dell‘educazione a tutti gli uomini”9.
L’accoglienza ed assimilazione dei testi conciliari ha costituito e costituisce, pertanto,
un alimento permanente per la vita dei membri dell’Associazione e per la direzione di
essa. Negli orientamenti ed indicazioni ricevute dall’Istituzione tramite le proprie Assemblee, come pure dalle parole dei suoi dirigenti, incontriamo un’eco permanente delle
interpellanze del Concilio Vaticano II, con insistenze feconde a vivere in Cristo e a
vivere della Parola di Dio. Questa risonanza viva del messaggio conciliare testimonia che
l’Istituzione Teresiana ha recepito con particolare forza nel suo modo di pensare e di attuare, i testi della Costituzione dogmatica Lumen Gentium, della Costituzione Pastorale
Gaudium et Spes, del Decreto Apostolicam Actuositatem e, in modo peculiare, fra gli
altri la Dichiarazione Gravissimum Educationis10. Questi ed altri riferimenti significativi
appaiono non solo citati nei testi dell’Istituzione, ma accolti, commentati attentamente e,
soprattutto, tradotti in vita. Possiamo evidenziare inoltre altri testi contemporanei postconciliari di grande incidenza, che hanno mantenuto viva la fiamma conciliare11.
Oltre ad accogliere la dottrina conciliare, il che significava accogliere pagine decisive
della nostra storia ecclesiale, l’Istituzione fu spronata a vivere il Concilio, ad assimilarne
lo spirito, a sviluppare atteggiamenti e comportamenti concreti: pregare, vegliare, studiare, vivere in profondità la comunione di sentimenti con il Papa e con i Padri conciliari.
Questi stimoli ci hanno aiutato a vivere in profondità il grande evento di comunione che
7 Cf. Gaudium et Spes, 62. sulla retta armonia tra la cultura umana e l’educazione cristiana.
8 Pedro Poveda, Hablemos de las alumnas. Scritto nel 1933, pubblicato a León nel 1935.
9 Pedro Poveda, Alrededor de un proyecto, Linares 1913
10 La Dichiarazione conciliare Gravissimum Educationis, già parlava di urgenza, - espressione che oggi è diventata tanto frequente fra
le tante emergenze educative del presente - però di una urgenza basata sulla coscienza crescente della propria dignità nei giovani e negli
adulti e sulla conseguente volontà di partecipazione attiva nella vita sociale. Nel Proemio della Dichiarazione si richiama l’attenzione
sul fatto che “ancora molti giovani e bambini sono privi perfino dell’educazione di base e molti altri mancano della formazione adeguata”.
11 Occorre ricordare al riguardo, entro un insieme ricchissimo che non possiamo citare in questo breve spazio, l’Esortazione Apostolica
Evangelii Nuntiandi, di Paolo VI e anni dopo l’Esortazione apostolica postsinodale di Giovanni Paolo II Christifideles Laici, senza dimenticare testi rilevanti sulla presenza mariana come l’Enciclica Marialis Cultus di Paolo VI e l’ Enciclica Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II.
Contributo dell’ISTITUZIONE TERESIANA
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è stato il Concilio Vaticano II.
Le sfide del presente sono molto grandi, perché ci sono sintonie che ci hanno accompagnato lungo tutti questi anni e che oggi sono per noi sfide aperte nella coscienza ecclesiale
e nella responsabilità associativa propria dell’Istituzione Teresiana. Fra le sfide che siamo
chiamati ad accogliere c’è indubbiamente l’approfondimento sempre necessario del messaggio spirituale del Concilio Vaticano II ed un rinnovato impegno a contribuire responsabilmente al suo sviluppo.
L’Istituzione, oggi come allora, è in forte sintonia con le parole della Costituzione Apostolica Humanae salutis con cui Giovanni XXIII convocava il Concilio: “Oggi si richiede
alla Chiesa che inietti la virtù perenne, vitale, divina del Vangelo nelle vene di questa comunità umana attuale” (25 dicembre 1961). Oggi ascoltiamo anche con gratitudine le
parole – grande sfida del presente e del futuro - che il Papa Giovanni Paolo II personalmente consegnò all’Istituzione Teresiana il 23 novembre del 1990. “La maniera propria
di stare nel mondo, caratteristica della vostra Associazione - che si ispira al mistero dell’Incarnazione -, e la vostra esperienza educativa, vi predispongono per cooperare nella
formazione del laicato, per potenziare i valori cristiani della famiglia, per essere presenti,
con la vostra testimonianza e creatività, nel mondo della scuola e dell’università” (cf.
ChL 44). Sono parole che si collegano direttamente con quelle trasmesse a nome di SS
Benedetto XVI all’Istituzione in occasione del suo Centenario: “… ottenere molti frutti
nell’appassionante compito di risvegliare l’anima cristiana e umana nel mondo dell’educazione, della cultura e della promozione integrale della persona” (8 novembre 2010).
Nel linguaggio di Pedro Poveda, si tratta di “promuovere una vera vita umana”, vale a
dire accettare la sfida del vero umanesimo che scaturisce dal mistero dell’Incarnazione
di Cristo, “cominciando col riempire di Dio chi ha da vivere una vera vita umana”12.
Queste interpellanze ci rimandano innanzitutto alla passione evangelizzatrice che è per
la Chiesa e per le associazioni ecclesiali “la propria identità più profonda”. (Ad Gentes
35) Ci sfidano anche a collaborare nel rendere sempre più solida la qualità ecclesiale e
sociale delle associazioni nella Chiesa, e della nostra in particolare. Questo comporta un
impegno di presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa,
si ponga al servizio della dignità integrale delle persone e dei popoli. Per l’Istituzione Teresiana sono sempre elementi chiave le sfide dell’educazione, i suoi processi e le sue
nuove emergenze. Nella nuova sintesi umanistica che sembra stia per venire alla luce,
Pedro Poveda ci dice oggi la sua parola, dal momento che la sua proposta umanistica è
arrivata molto lontano; in essa lui includeva tutta la realtà educativa, perché traesse alimento dalle radici del dinamismo cristiano: “Vi chiedo un sistema nuovo: un nuovo metodo, dei procedimenti sia nuovi che antichi ispirati all’amore”13.
12 1915
13Pedro Poveda, “Amor”, in Boletín de la Institución Teresiana, 1915
Contributo dell’ISTITUZIONE TERESIANA
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LEGIO MARIAE
Agli inizi degli anni '60 il Papa Giovanni XXIII, sensibile al divenire dei nuovi tempi
che stavano arrivando, tempi che apparivano molto più dinamici rispetto al passato, decise di indire un moderno Concilio per affrontare i nuovi problemi che si sarebbero presentati negli anni seguenti e anticiparne le soluzioni. Infatti non era più possibile ignorare
i nuovi fermenti dell'età moderna e tecnologica che, inevitabilmente, avrebbero modificato la visione religiosa del mondo, portando i credenti verso nuove concezioni non
ortodosse.
D'altronde una crisi appena avvertita stava già sorgendo tra le fila di un clero modernista,
ansioso di abbattere certe consuetudini definite " trionfalistiche" che, a loro avviso, avevano trattenuto la Chiesa da una più universale diffusione.
I progressi della scienza condizionavano sempre di più il modo di pensare e la società industriale favoriva un'economia dell'opulenza, invidiata da altre popolazioni più povere,
le quali venivano a conoscere, tramite i mezzi di comunicazione più rapidi, nuove condizioni di vita.
Nascono così e si moltiplicano i rapporti con altre culture con le quali necessita confrontarsi. Questa è una prima sfida che il Concilio pensa di affrontare promuovendo il dialogo, ma per fare ciò, sembra necessario porsi tutti sullo stesso piano, accettando la
visione dell'altro e rispettando tutte le credenze del mondo. In questi termini, però è reso
più difficile l'impegno missionario ed è una impresa ardua il proclamare la Religione
Cattolica l'unica vera Religione, senza la quale non c'è Salvezza.
L'apertura ecumenica viene giustificata dai novatori con la preghiera di Gesù :".perché
siano una cosa sola." (Gv 17,21), richiesta che i Cattolici non possono certo ignorare, ma
le conseguenze di tale apertura, a distanza di 50 anni, sono state notevoli. Pensiamo alla
pressione dei Protestanti, i quali hanno ottenuto dai Cattolici varie e importanti concessioni, le quali, lungi dall'arricchire la Chiesa, l'hanno impoverita.
Così la Liturgia è stata semplificata e resa, come si diceva, più alla portata del popolo,
ma meno solenne, consentendo la Comunione in mano e in piedi, allontanando spesso il
Tabernacolo dall'Altare, e permettendo che il Santissimo Sacrificio fosse possibile su un
qualsiasi tavolo non consacrato.
Inoltre i Protestanti, con un sottile disegno, hanno ottenuto l'adozione di parole il cui
contenuto viene modificato rispetto a quello originale quali quello di "cena" che sostituisce "il Sacrificio", e accentuando quello di "memoriale", con l'intento di svuotare il
concetto di sacrificio al quale i Protestanti non credono.
A nostro avviso, questi cambiamenti non possono portare a buoni risultati e pensiamo
debbano essere rivisti, tornando sui propri passi. Infatti, anche se con retta intenzione, la
Chiesa è stata tanto generosa nei confronti dei "fratelli separati", il suo sforzo non è stato
Contributo di LEGIO MARIAE
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assolutamente apprezzato e, nonostante tutto, non vediamo in tal senso, alcun progresso.
Merito indiscusso del Concilio Vaticano II è stato l'aver promosso il coinvolgimento del
laicato, ottenendo da esso una missionarietà e la testimonianza del Cristo.
Il nostro fondatore, Servo di Dio Franck Duff, ha precorso i tempi, perché già nel 1921
ha creato il Movimento della Legione di Maria, Movimento che ha coinvolto tutti i Cattolici volenterosi per agire, sotto la protezione di Maria, sua Condottiera, a favore della
diffusione della Religione Cattolica, contrastando tutte le forme di male. Un esercito di
laici per un Movimento apostolico dalle dimensioni mondiali !
L'esigenza ecclesiale del Concilio Vaticano II è stata vissuta dalla nostra Associazione,
rispondendo con tutto il peso di una Fede piena, alla maniera Monfortana, a Gesù per
Maria, perché Cristo fosse meglio conosciuto e amato da tutti, testimoniando nel mondo
e diffondendo la Parola di Dio.
Le sfide che oggi si affacciano all'orizzonte, quali la crisi vocazionale, l'abbandono della
Santa Religione, il ritorno alle antiche eresie, il mancato discernimento della verità, ci stimolano ad una maggiore frequenza della preghiera e ad una più accurata preparazione,
per combattere su tutti i fronti in questo difficile mondo contemporaneo il piano di satana
che minaccia rovina ad ogni piè sospinto.
Per un Cristiano le difficoltà sono degli stimoli dell'Amore di Dio, il Quale le permette,
al fine di purificarci e di conseguire l'unica cosa veramente importante: la salvezza dell'anima. E ancora una volta si percepisce la presenza di Dio nella nostra Storia.
Siamo convinti, quindi, che l'attuale crisi debba svolgere la sua funzione, in vista di quel
risanamento globale che avverrà per opera di Maria, nostra Santa Madre.
Contributo di LEGIO MARIAE
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MASCI
Nel gennaio del 2011 il Masci ha dato vita ad un secondo Convegno Nazionale degli Assistenti Ecclesiastici per un ulteriore approfondimento su come vivere in pienezza la dimensione comunitaria della vita cristiana.
Al Convegno, durato tre giorni, hanno partecipato rappresentanti di tutte le regioni italiane offrendo spunti di riflessione interessantissimi soprattutto su come far rivivere il
Concilio Vaticano II.
Un primo spunto viene dal Presidente del Masci, Riccardo Della Rocca, che ha voluto
ricordare la nascita del Concilio: “11 gennaio 1959 - c’era la riunione di Clan è commentavamo l’annuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII. Mentre noi rover e lo
stesso Capo Clan esprimevamo una grande fiducia ed una grande speranza in questo
evento, al contrario il nostro AE esprimeva grande preoccupazione al limite della contrarietà, sostenendo che i Concili si convocano solo di fronte a gravi eresie altrimenti
servono solo ad indebolire l’autorità del Papa. Questo contrasto fu il primo momento di
un percorso che avrebbe condotto poco dopo molti di noi a lasciare il gruppo e la parrocchia in cui era iniziata la nostra esperienza scout per andare ad aprire un nuovo gruppo
in una parrocchia ove i sacerdoti si mostravano più aperti a cogliere le novità che avanzavano nel mondo e nella Chiesa. 25 ottobre 1962 il giorno dell’Apertura del Concilio;
ero in piazza San Pietro con tutti gli scout del mio Riparto. Una giornata indimenticabile:
a cominciare dal celebre discorso Gaudet Mater Ecclesia nel quale il Papa indicò quale
fosse lo scopo principale del concilio:
« [...] occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi.
Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, ….. »
Il Concilio si caratterizzò pertanto subito per una marcata natura “pastorale”: non si proclamarono nuovi dogmi ma si vollero interpretare i “segni dei tempi”; la Chiesa avrebbe
dovuto riprendere a parlare con il mondo, anziché arroccarsi su posizioni difensive. Nello
stesso discorso Roncalli si rivolse anche ai «profeti di sventura»:
« Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che
rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati,
risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero
nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti
Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa ».
Una giornata che si concluse con il celebre “Discorso alla luna”. e con l’invito a portare
ai bambini la carezza del Papa, una giornata che aprì il cuore all’entusiasmo ed alla speranza.
Contributo di MASCI
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Le espressioni più comuni per rispondere agli interrogativi su “cosa a significato per la
nostra associazione” e su “come ha risvegliato il carisma originario” posso provare a
sintetizzare nel modo seguente: Il Concilio e l’azione pastorale ed il magistero di Giovanni XXIII prima e poi di Paolo VI rappresentarono per noi e per tanti della nostra generazione una scoperta decisiva, una finestra che si apriva, una porta che si spalancava:
ci riappropriammo della Parola di Dio, cominciammo a vivere la liturgia come assemblea
dei credenti convocata dalla Parola di Dio per spezzare il Pane comune, scoprimmo la
Chiesa come “popolo di Dio in cammino”, popolo pellegrino sulla terra, popolo di battezzati, di sacerdoti, re e profeti, tutti con diversi compiti e responsabilità ma tutti con la
stessa dignità, scoprimmo che la Chiesa è la Chiesa di tutti ma è in primo luogo “la
Chiesa dei poveri”, comprendemmo che il compito dei laici consiste in primo luogo nel
realizzare una presenza efficace nel mondo e nella storia; scoprimmo che:
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel
loro cuore. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale
con il genere umano e con la sua storia.” (Gaudium et Spes)
Da queste tre giornate è emerso con grande evidenza che dobbiamo tornare al Concilio,
riscoprire lo spirito che ha animato quegli anni, ma soprattutto riprendere in mano i documenti per riscoprirne la profezia, la freschezza, l’attualità, per approfondire e chiarire
dubbi, superare incertezze, fortificare la speranza per rivitalizzare la “Missione dei laici
cristiani nella società e nella Chiesa”.
Ultima riflessione significativa per il tempo in cui viviamo ce la pone mons. Pansa:
“Quando si parla di laici all’interno della Chiesa, oltre che richiamare la centralità dell’unico popolo di Dio, l’unica vocazione, l’unica missione, l’unica dignità fondata sul
Battesimo, è necessario sviluppare la ricerca e la riflessione in una duplice direzione: affermare una laicità dentro la Chiesa, contro le tendenze alla clericalizzazione, ed una ecclesialità nel mondo contro le tendenze alla secolarizzazione. Questa duplice esigenza si
può sinteticamente esprimere nella necessità di vivere da laici nella Chiesa e da cristiani nel mondo”.
Contributo di MASCI
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MEIC
Il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale – MEIC testimonia sin nella propria denominazione e nella propria storia una forte consapevolezza del mandato conciliare. Il
Movimento ha infatti saputo reinterpretare se stesso e rinnovarsi a fondo come organismo
associativo laicale proprio alla luce del Concilio: dal 1980, con una decisiva modifica statuaria, esso ha trasformato il precedente Movimento Laureati di Azione Cattolica, nato
nel 1932 da una intuizione di Giovanni Battista Montini ed Igino Righetti, in un nuovo
e più dinamico Movimento della famiglia di Azione Cattolica, individuando le originali
e più specifiche esigenze di formazione spirituale e culturale per i laureati nell’esercizio
delle loro competenze e responsabilità, secondo il ruolo fondamentale che il Concilio ha
assegnato ai laici.
Questo processo di rinnovamento ha avuto un forte impulso in particolare a seguito del
Convegno promosso dalla Chiesa italiana sul tema “Evangelizzazione e promozione
umana” (1976) ed è stato un modo di accogliere quanto il Pontefice Paolo VI aveva nel
1973 suggerito al vecchio Movimento Laureati cioè una maggiore condiscendenza ad
«una vocazione che nasce dall’osservazione del mondo” e che sa leggere la realtà temporale superando ogni frattura tra il Vangelo e il mondo della cultura, tra vita di fede ed
esperienza della storia, tra Chiesa e mondo, tra gerarchia ecclesiastica e laicato, tra Parola
che rivela e sapere che arricchisce l’uomo.
In questa testimonianza singolare ed attenta al mondo delle professioni e della cultura il
MEIC ha inteso dare attuazione a quanto indicato dal Concilio: «I cristiani, in cammino
verso la città celeste, devono ricercare e gustare le cose di lassù; questo tuttavia non diminuisce, anzi aumenta l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini
per la costruzione di un mondo più umano. E in verità il mistero della fede cristiana offre
loro eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con maggiore impegno questo compito e specialmente per scoprire il pieno significato di quest'attività, mediante la quale la cultura
umana acquista un posto importante nella vocazione integrale dell'uomo» (Gaudium et
spes, n. 57).
Alla luce di ciò il MEIC si è proposto di rispondere alle urgenze e ai bisogni di una nuova
stagione culturale per l’evangelizzazione, per assumere la responsabilità di introdurre la
storia nella Chiesa quale momento per riconoscere l’opera di Dio ma anche la responsabilità dell’uomo, per raccogliere nella società tutto ciò che valorizza ed eleva l’uomo e
presentarlo nella Chiesa, come ancora insegna il Concilio. Perciò, in coerenza con il suo
itinerario di ricerca specifico e originale, il Meic rivolge la sua proposta ai credenti che
intendono partecipare al suo particolare servizio intellettuale, con l’intento della promozione della persona umana e del bene comune.
Il MEIC ha così vissuto le proprie attività e la propria presenza dentro la Chiesa attento
ad una delle considerazioni più importanti del Concilio e cioè il profondo, essenziale legame che unisce insieme la fede, la cultura e la storia. Nessuno dei tre termini ha ragione
Contributo di MEIC
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in se stesso, a prescindere dagli altri due. C'è un contenuto essenziale della fede che
sfugge al cambiamento, ma la sua comprensione nella coscienza credente, la sua inculturazione in essa (che sola può assicurarne la consistenza veritativa, l'unificazione di verità e senso), passa attraverso la cultura. Il credente crede non a partire dal nulla, da una
tavola vuota, ma da una cultura, in cui nasce e interagisce. Sta qui il fondamento logico
e teologico del dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso: l’identità si costruisce
insieme all'identità dell'altro. Ecco perché davvero il MEIC ha inteso farsi carico delle
gioie e delle speranze, dei dolori e delle angosce della contemporaneità nella costante
educazione di cristiani laici maturi che vivano responsabilità e servizio nella città dell’uomo e che sviluppino le loro risorse umane per il bene comune della società secondo
quanto è scritto nella Lumen Gentium, n. 31: «Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel
secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da
Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del
mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo
modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa
vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente
legati, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode
al Creatore e Redentore».
Come ha più volte messo in luce la storiografia sul Movimento, non sono inoltre pochi
i temi o irrilevante lo stile con i quali il Movimento Laureati, in una tradizione arricchita
nella continuità, aveva già saputo anticipare e far fermentare molti temi che saranno al
cuore del Concilio: la partecipazione dei laici alla liturgia e all’approfondimento teologico, una positiva accoglienza della modernità, il tema della profezia e del dialogo tra differenti culture religiose. Non bisogna del resto dimenticare che il Movimento nacque
sotto gli auspici del giovane mons. Giovanni Battista Montini che, eletto Papa, del Concilio sarebbe stato primo ispiratore e timoniere. È infatti proprio ricordando questa antica
consuetudine e questo impegno dentro la Chiesa che il Beato Giovanni Paolo II volle indicare il MEIC, nel messaggio inviato all’Assemblea del 2002 quale «l'avanguardia missionaria per il mondo della cultura e delle professioni all'interno della grande famiglia
dell'Azione Cattolica Italiana».
Più di recente è stato molto significativo l’incontro tra papa Benedetto XVI e il Movimento nella ricorrenza imminente dei 50 anni dal Concilio. Il Pontefice ha così delineato
la missione del MEIC: «Il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, alla luce della
sua storia, è chiamato ad un rinnovato servizio nel mondo della cultura, segnato da sfide
urgenti e complesse, per la diffusione dell'umanesimo cristiano: ragione e fede sono alleate nel cammino verso la Verità». E nell’indirizzo di saluto al Pontefice si può leggere:
«Secondo quanto insegna il Concilio, il MEIC ha la consapevolezza di essere chiamato
a rispondere alle sfide del presente con un impegno creativo che non guardi alle novità
con sospetto e, al tempo stesso, che mantenga la fedeltà alla tradizione. Esercitare una tale
Contributo di MEIC
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fedeltà creativa non è sempre facile, specialmente in una realtà associativa che raccoglie
professionisti e intellettuali delle più diverse estrazioni ed età. In simili condizioni, sarebbe certamente più semplice adattarsi alle acquisite e collaudate posizioni del passato.
Ma, se lo facessimo, ci sentiremmo di venir meno alla nostra stessa vocazione che è
quella di realizzare la carità intellettuale con un lavoro costante e fedele, attento alle novità che sorgono all'orizzonte della cultura per leggerle alla luce del Vangelo. Quello del
MEIC è un impegno di formazione, condotto con uno stile di mediazione e di dialogo che
mai è stato abbandonato nel corso degli 80 anni di vita, che è stato rinforzato e quasi
consacrato dal magistero conciliare portando molti buoni frutti alla Chiesa e all’Italia».
A cura Tiziano Torresi
Segretario Nazionale MEIC
Contributo di MEIC
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MOVIMENTO PER UN MONDO MIGLIORE
“Per vivere il Concilio” è il titolo di un volume di padre Riccardo Lombardi, il fondatore
del Movimento per un Mondo Migliore, edito da Ancora nel 1969. Come esergo l’autore
scelse una frase della Gaudium et Spes: “Legittimamente si può pensare che il futuro
dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza” (GS 31). La Chiesa da sempre sa di trovarsi
in prima linea per assolvere questo compito. Ma sa anche che deve rinnovarsi continuamente, per potersi fare interlocutrice di un mondo che è sempre in cambiamento, cambiamento che di giorno in giorno sta diventando ancora più rapido.
Padre Lombardi, considerati i segni dei tempi, vide il rinnovamento della Chiesa nel
segno di una conversione verso un’etica meno individualistica e più comunitaria. “Per attuare il Concilio, l’uomo deve considerare costantemente che vive con gli altri e deve vivere per gli altri, integrando la propria persona in un tessuto organico di cui egli è appena
una cellula” (Prefazione, pag. 9). Già prima del Concilio, la cui convocazione egli aveva
inutilmente sollecitato a Pio XII, e dalla cui celebrazione venne invece escluso a causa
di una sua pubblicazione osteggiata dalla Curia romana, padre Lombardi aveva elaborato
e proposto con largo seguito le sue “Esercitazioni per un mondo migliore”: un ritiro spirituale che trasforma gli Esercizi ignaziani, che si tengono nel silenzio, in un lavoro di
gruppo per la lettura in comune dei Segni dei Tempi (aspetto poi molto valorizzato dal
Concilio). All’analisi dei fenomeni storici e delle tendenze in atto, segue l’interiorizzazione dei valori evangelici che risultano in gioco, e infine l’assunzione di responsabilità
comunitaria per rendere “insieme” il mondo migliore, cioè più conforme alla volontà di
Dio.
Con “Per vivere il Concilio” p. Lombardi, dopo un profondo ripensamento, ripresenta le
Esercitazioni sotto forma esperienziale, offrendo non tanto una trasmissione dei contenuti
del Concilio, quanto soprattutto la possibilità di vivere nell’attualità lo spirito del Concilio. Nell’immediato post-Concilio, nel Centro internazionale di Rocca di Papa, che ancora porta il nome del Mondo Migliore, ma che dalla morte di padre Lombardi non è più
la sede del Movimento, si tennero sessioni delle Esercitazioni la cui durata arrivava, per
vescovi e sacerdoti, anche ai tre mesi. Di quel Centro di spiritualità post-conciliare, Paolo
VI lodò l’impegno per la diffusione della conoscenza dei documenti conciliari, in vista
della “personale attuazione di quelle impegnative esigenze, affinché diventino vita nostra
nell’ambito della comunità ecclesiale”.
Le Esercitazioni, continuamente attualizzate, hanno costituito, e costituiscono tuttora, il
principale alimento di quanti hanno prestato il proprio servizio per il rinnovamento della
Chiesa e della società proposto dal Movimento per un Mondo Migliore. Da quel tronco
sono nati anche i progetti pastorali del Servizio di Animazione Comunitaria, pubblicati
da Cittadella negli anni ’80 (progetto parrocchia) e dalla Libreria Editrice Vaticana nel
2003 (progetto diocesi). L’esperienza ha dimostrato che attraverso una programmazione
pastorale idonea, è possibile far vivere la spiritualità conciliare all’insieme del popolo di
Contributo del MOVIMENTO PER UN MONDO MIGLIORE
Pagina 59
Dio, radunato in comunità parrocchiali e diocesane. La genesi dei progetti, e il loro radicamento nel Concilio, che di fatto aiutano a mettere in pratica, sono efficacemente sintetizzati dal recentemente scomparso J.B. Cappellaro (che fu direttore del Centro di
spiritualità post-conciliare) nel libro “Spiritualità di comunione” (EDB 2008), il cui contenuto è fedelmente riassunto nel sottotitolo: un’esperienza, una teologia, una pastorale.
Fu negli anni ’70 che il sogno del Movimento, di rendere possibile alla Chiesa e alla società di rinnovarsi secondo l’invito del Concilio, cominciò a realizzarsi, attraverso la
collaborazione tra padre Cappellaro e don Gastone Liut, parroco di Vajont. Insieme essi
avviarono la sperimentazione dell’applicazione di un metodo scientifico, nato a servizio
dell’economia, per l’attuazione della spiritualità conciliare. Il metodo scelto, quello “prospettico”, era infatti l’unico, tra i tanti studiati, che poteva rispondere alla necessità di trasformare la realtà attuale di una comunità cristiana nell’ideale che il Concilio propone:
che cioè tutto il popolo cristiano di quel territorio, nel suo insieme, cresca nella fede fino
alla pienezza della vita in Cristo. Di fatto l’esperienza ha dimostrato che, grazie al Vangelo vissuto, la comunità cristiana arriva a un livello di maturità tale che le permette di
incidere efficacemente anche sulla società civile.
Oggi centinaia di Diocesi nel mondo, soprattutto in America Latina, si ispirano a quel metodo, ma Vajont, da cui tutto è nato, è solo il piccolo Comune in provincia di Pordenone
dove si insediarono gli scampati alla terribile tragedia che porta il nome di quella diga,
mai crollata, che fu però scavalcata dall’acqua del lago per la frana del Monte Toc. Una
testimonianza di quella lunga e paziente collaborazione, nata dall’amore per la Chiesa e
dalla compassione per quel popolo duramente provato, la dà lo stesso don Gastone Liut,
tuttora parroco di Vajont, in “Dio si fa emigrante tra noi”, a cura di don Gino Moro (EunoEdizioni, 2011, pag. 287 ss.).
La sfida che la Chiesa di oggi deve affrontare, e il Concilio ancora molto potrebbe aiutarla, non è più quella di fornire risposte alle domande sul senso della vita, ma quella di
suscitarne la domanda, di fatto impedita dalla crisi antropologica in atto. La fede nel
modo di oggi è ormai un optional, una questione privata la cui soddisfazione si va a cercare nel supermercato delle credenze, o nella religiosità fai da te, che insidia anche tanti
praticanti di ogni fede, non solo della nostra.
Per il Movimento per un Mondo Migliore, la sfida antropologica ha generato la consapevolezza che il maggiore ostacolo alla stessa attuazione del Concilio, a livello di comunità di base, è oggi l’incapacità dell’uomo, ferito nella sua interiorità, di vivere la
comunione, cui pure profondamente aspira. Occorre quindi aiutare l’uomo di oggi a ritrovare la sua interiorità e a guarirne le ferite profonde, perché, ritrovata l’unità interiore,
egli possa entrare in una relazione feconda con la comunità cristiana, per crescere nella
fede insieme ad essa.
Stiamo pertanto rielaborando le Esercitazioni, per renderle più rispondenti allo stato delle
comunità cristiane di oggi, anch’esse interiormente ferite. Nella lettura dei Segni dei
Contributo del MOVIMENTO PER UN MONDO MIGLIORE
Pagina 60
Tempi, e nel processo di interiorizzazione dei valori, stiamo cercando di integrare
l’aspetto fenomenologico dell’analisi storica e valoriale con uno sguardo più personale,
che permetta la comprensione delle proprie dinamiche spirituali, alla ricerca delle risorse
personali e comunitarie da attivare, per riprendere il cammino verso la santità personale
e comunitaria.
A cura Mario Berti
Contributo del MOVIMENTO PER UN MONDO MIGLIORE
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MOVIMENTO PRO SANCTITATE
Come abbiamo vissuto il momento del Concilio? Cosa ha significato per la nostra associazione? Come ha risvegliato il carisma originario? Quali vissuti ha provocato? Qual è
stata la nostra risposta in questi 50 anni? Quali sfide pone al nostro oggi? Come orienta
i nostri orizzonti?
Il Concilio Vaticano II con la Costituzione dogmatica Lumen Gentium, ed in particolare
il suo capitolo V dedicato alla Vocazione universale alla santità, a noi del Movimento Pro
Sanctitate ha regalato la gioia di vedere ufficialmente riconosciuta e proclamata dalla
Chiesa la ragione per cui siamo nati come movimento ecclesiale. Ci ha confermati nel carisma e nell’apostolato per cui il nostro fondatore, il servo di Dio Guglielmo Giaquinta
, ci aveva pensato e generato : essere cioè segno, voce, richiamo, luogo, presenza, opportunità, incontro, azione nascosta e capillare, propositività di azione e iniziativa perché
ogni ambiente, tra tutti i fedeli laici, tra cattolici e anche oltre l’appartenenza alla Chiesa
cattolica, tutti possano riconoscere il dono meraviglioso di Dio che chiama ciascuno alla
santità, alla pienezza del suo amore.
Cosa ha significato il Concilio per la nostra associazione ci sembra bello raccontarlo attraverso alcuni episodi e ricordi particolari:
7 ottobre 1962: sta per aprirsi il Concilio Vaticano II, i padri conciliari sono quasi tutti
arrivati a Roma e si respira già un grande fermento. Mons. Giaquinta detta un ritiro
alle oblate Pro Sanctitate e, sempre molto sensibile e partecipe alla vita della Chiesa, non
può non parlare del Concilio e delle attese che esso suscita . Descrive questo Concilio
come un evento dello Spirito, un’altra Pentecoste, nella quale la Chiesa esprime, in maniera suprema, la propria unità, santità, cattolicità ed apostolicità. Ci si aspetta che da
questo evento esca una Chiesa rinnovata, certamente non nella sua essenza, ma come
adattamento alle nuove esigenze, un’apertura a ulteriori possibilità di dialogo con il
mondo moderno. Un segno percettibile si ha già in alcune riforme della liturgia attuate
negli anni precedenti, preludio di una spinta di rinnovamento molto forte.
Oltre a queste attese generiche, mons. Giaquinta fondatore del Movimento Pro Sanctitate, scende nei particolari. Si può attendere che il Concilio richiami l’attenzione sulla
superiorità dei valori soprannaturali, rispetto a quelli naturali. L’interesse primario dei
cristiani, ed in particolare dei sacerdoti, deve essere rivolto proprio ai valori spirituali,
dinanzi ai quali anche i valori umani più nobili passano in secondo piano.
Il desiderio più grande è quello che il Concilio, in uno dei suoi tanti articoli, direttamente
o indirettamente, affermi il dovere di tutti i cristiani di diventare santi.
«Mai è avvenuto questo nella storia dei concili: non c’è nessuna definizione dogmatica
al riguardo, ma solo se ne parla in qualche documento pontificio. Quale impostazione meravigliosa ne verrebbe a questo nostro mondo, sotto l’aspetto morale, spirituale, se ci
fosse un’affermazione categorica di questo dovere di santità! Evidentemente non sta a noi
Contributo del MOVIMENTO PRO SANCTITATE
Pagina 62
dare suggerimenti allo Spirito Santo e neppure alla Chiesa… ci rimane solo pregare ed
impetrare e chissà se la preghiera e la sofferenza di quanti pregano ed offrono nel Movimento Pro Sanctitate non valgano ad impetrare al Signore questa specifica grazia! Vorrei che la metteste come intenzione personale vostra, questa impetrazione: il Signore in
questo Concilio ci faccia avere una chiara definizione di questa che è poi una verità di
fede»1.
Dopo il 21 novembre 1964, data della promulgazione della Lumen Gentium, è facile riconoscere il carattere profetico di queste parole. La solenne proclamazione della Universale chiamata alla santità nella Chiesa potrebbe anche far pensare che il Movimento
abbia raggiunto ormai il suo fine ultimo: adesso che il dovere della santità è affermato
esplicitamente in una costituzione dogmatica, ci sarà ancora bisogno di un impegno specifico per l’apostolato della santità? Nel Segnalatore Ascetico, rispondendo alla domanda di un lettore, viene detto:
«ritengo che il capitolo V della Costituzione è particolarmente provvidenziale e come tale
un vero dono, un regalo di Dio […]. Non tocca a me coniare la nuova parola d’ordine dell’Organizzazione. Poi non c’è proprio bisogno che sia nuova. Tuttavia – senza invadere
il campo altrui – troverei molto programmatici ed efficaci questi richiami: profondità, robustezza, diffusione. Queste tre cose devono essere realtà complementari. Le opere di Dio
si sviluppano come gli alberi. Per diffondersi con sicurezza bisogna avere insieme radici
profonde e tronco robusto: radici, tronco, chioma in perfetto equilibrio e armonia»2.
L’impegno continua, dunque, perché questa conferma richiede una presenza ancor più
qualificata a servizio della Chiesa. Nel ritiro citato sopra, mons. Giaquinta, guardando già
alla chiusura del Concilio, parla della necessità di rendersi ancora più disponibili per attuare le disposizioni che sarebbero state promulgate.
«Se ipoteticamente (parlo così, come desiderio), il Concilio affermasse in un atto solenne,
in un documento, il dovere della santificazione universale, il Movimento Pro Sanctitate
dovrebbe essere già pronto per lanciare a tutto il mondo, con forze rinnovate, con autorità
nuova, questo comando»3.
«Chi dirige la Chiesa non potrà attuare tutto da solo: non lo potrà fare il Papa né i singoli
vescovi, né le conferenze episcopali. È necessario che ci siano gli strumenti adatti; è necessario che si moltiplichi la strumentalità umana […]. Questa strumentalità dovrà mettersi a pieno servizio della Autorità, perché si possa attuare il programma di riforma. Ma
secondo un concetto moderno, ciò che conta è la specializzazione […]. Noi abbiamo una
nostra specializzazione, che è quella della spiritualità»4.
L’entusiasmo, quindi lascia presto il posto al lavoro per diffondere gli insegnamenti del
Concilio, per farne emergere l’alto valore spirituale, per offrire il proprio contributo
specifico, specializzato.
1 G. GIAQUINTA, Le attese del Concilio. Ritiro alle oblate del 7 ottobre 1962, p. 10, in ROMA. ARCHIVIO DELL’ISTITUTO SECOLARE DELLE OBLATE APOSTOLICHE
2 Segnalatore Ascetico,3(1965), 77.
3 G. GIAQUINTA, Le attese del Concilio, cit., 15.
4 Ibid. 12-13.
Contributo del MOVIMENTO PRO SANCTITATE
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(i PARASILITI CAPRINO C., «La redazione del capitolo V della Lumen Gentium e il
Movimento Pro Sanctitate», in Synaxis XXII/1 (2004), 19-51.)
Il momento del Concilio è stato vissuto in piena sintonia ( ne sono testimonianza le attività di preparazione, riflessione, diffusione, i contributi che negli anni ’60 hanno caratterizzato soprattutto la presenza del Movimento a Roma * ). Dal Concilio Vaticano II
abbiamo ricevuto incoraggiamento nella identità e nell’apostolato e da esso siamo ripartiti
con un periodo intenso e prolungato di rilettura e sviluppo di pensiero e azione a livello
teologico, spirituale e pastorale sul senso e la ragione della nostra presenza nella Chiesa
e nella società. Il sogno, l’ideale, l’utopia di un mondo di tutti santi e tutti fratelli che nei
15 anni precedenti al Concilio avevamo cercato di annunciare e tradurre in cammini di
spiritualità, in iniziative di sensibilizzazione culturale e formazione, non senza incontrare
resistenze e perplessità, li abbiamo ritrovati espressi con completezza e chiarezza nelle
pagine dei documenti conciliari.
La spiritualità e l’apostolato del Movimento Pro Sanctitate nei suoi primi venti anni,
hanno contribuito, per la loro parte, a diffondere il principio, fondamentale per la vita
cristiana, della universale vocazione alla santità. Non vogliamo certo dire che il merito
del capitolo V della Lumen Gentium sia del Movimento Pro Sanctitate e degli altri che
si sono impegnati esplicitamente per la diffusione di tale messaggio. Ma si può affermare,
con onestà storica, che tutto quanto è stato fatto per questo scopo: conferenze, pubblicazioni, contatti personali, realizzati sia dal Movimento Pro Sanctitate che da altre realtà, ha fatto sì che in alcuni padri conciliari (per es.: Cento, Van Lierde, D’Avack,
Suenens) fosse già presente una certa sensibilità per l’idea della vocazione alla santità
di tutti i cristiani. Così, quando hanno letto il nuovo testo del De Ecclesia, che al capitolo
IV inaspettatamente parlava della vocazione alla santità nella Chiesa, hanno fatto emergere le lacune della prima stesura, rilevando la necessità di parlare della vocazione di
tutti i cristiani alla santità a partire dalla sua origine, la santità di Dio, e dal suo fondamento rivelato, la Sacra Scrittura, ed evidenziando che in ogni stato di vita tale chiamata
può e deve essere realizzata. Con i loro interventi, i padri conciliari hanno fatto sì che
la vocazione alla santità venisse esposta in modo più completo, più corrispondente anche
alla tradizione della Chiesa. (PARASILITI CAPRINO C., «La redazione del capitolo V
della Lumen Gentium e il Movimento Pro Sanctitate», in Synaxis XXII/1 (2004), 19-51. )
Dopo il Concilio, ancora vivente il fondatore, è stato importante discernere le vie e le modalità di incarnazione del carisma nel contesto ecclesiale e sociale del tempo. E’ stato il
fondatore stesso a riproporci provocatoriamente la domanda se, dopo la proclamazione
ufficiale del Concilio sulla vocazione universale alla santità, dovessimo pensare concluso
il nostro compito e servizio nella Chiesa. La risposta ci è venuta dalla riflessione e dalle
richieste stesse di tanti ambienti umani ed ecclesiali: adesso cominciava più che mai il
compito di farsi strumento che attua quanto il Concilio dice, che aiuta a farlo passare
nella consapevolezza e nel vissuto dei cristiani; e poi essere a servizio della spiritualità
per tutti, proprio per aiutare e facilitare concreti percorsi di santità in ogni situazione e
Contributo del MOVIMENTO PRO SANCTITATE
Pagina 64
condizione di vita.
Negli anni post conciliari abbiamo proseguito su vie di continuità e novità, di approfondimento teologico e sociale sulla santità, di sperimentazione apostolica, investendo soprattutto sulla formazione umana e spirituale e sulla missionarietà.
Oggi, a 50 anni dal Concilio, attingiamo ancora alla sua fonte, proseguiamo sulle sue indicazioni e prospettive ancora da attuare; il V capitolo della Lumen Gentium rimane
fonte di ispirazione e sulla base di esso ci rendiamo conto che resta vero, attualissimo,
indiscutibile il fondamento del carisma Pro Sanctitate. In base agli sviluppi anche numerici e geografici della nostra presenza, gli ambienti, i destinatari, i luoghi e i modi del
nostro apostolato si ridefiniscono di volta in volta, privilegiano sempre il rispetto e la
conoscenza della persona, la comunione ecclesiale, la formazione in profondità; dipendono dai contesti ecclesiali e sociali nei quali vivono i membri, nei quali ci inseriamo per
un servizio, dai cambiamenti culturali e dalle diverse, e a volte non previste, opportunità
che lo Spirito propone e indica, anche attraverso persone ed eventi.
A cura Mirella Scalia
Segretaria nazionale Movimento Pro Sanctitate
*VEDI ALCUNE INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE DI SEGUITO
MAZZEI M., Evangelizzare la santità. Storia e profezia, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 1997.
ID., L’apostolo della santità: Guglielmo Giaquinta, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 2003.
La santità, una chiamata universale, Atti del IV simposio Pro Sanctitate, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 2004.
Vocazione universale alla santità. Guglielmo Giaquinta a 10 anni dalla morte, Atti del I Convegno di Studi, a cura del Movimento Pro
Sanctitate, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 2004.
GUGLIELMO GIAQUINTA, In sintonia con la chiesa del Concilio, inedito, 1965.
Conferenze in preparazione alla giornata della santificazione universale, a cura dei Gruppi Pro Sanctitate, I, Edizioni Pro Sanctitate, Roma
1965.
San Francesco di Sales Dottore di santità, Conferenze in preparazione alla Giornata della Santificazione Universale, IV, Edizioni Pro
Sanctitate, Roma 1967.
Santità e problemi d’oggi, Conferenze in preparazione alla Giornata della Santificazione Universale, II, a cura dei Gruppi Pro Sanctitate,
Edizioni Pro Sanctitate, Roma 1966.
Vaticano II, Concilio di santità, Conferenze in preparazione alla Giornata della Santificazione Universale, III, a cura dei Gruppi Pro Sanctitate, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 1967.
Contributo del MOVIMENTO PRO SANCTITATE
Pagina 65
MOVIMENTO DEI FOCOLARI (ITALIA)
Come abbiamo vissuto il momento del Concilio?
Con grande partecipazione – negli anni del Concilio la rivista “Città nuova” ha dedicato
all’evento oltre 60 articoli – e con la gioiosa costatazione di una grande sintonia fra le prospettive emergenti dagli insegnamenti del Vaticano II e la spiritualità e la vita del Movimento dei Focolari che è stato approvato proprio in quegli anni:
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l’accento posto sul rapporto fra liturgia e vita e la centralità della Parola di Dio
(Sacrosanctum Concilium e Dei Verbum)
la Chiesa come mistero-comunione-missione che rende presente la vita della SS.
Trinità, la “riscoperta” della dimensione carismatica della Chiesa, l’apertura della
Chiesa a un dialogo universale (Lumen Gentium e documenti sui dialoghi)
l’universale chiamata alla santità e l’attenzione alla specifica missione dei laici nella
Chiesa (Lumen Gentium e Apostolicam Actuositatem)
il rapporto di unità e distinzione fra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale,
assieme alla concezione comunitaria del ministero ordinato, con la collegialità
episcopale e il presbiterio diocesano (Lumen Gentium, Christus Dominus e
Presbyterorum Ordinis)
la comprensione della Chiesa come segno e strumento d’unità, germe di un’umanità
nuova rinnovata dal comandamento dell’amore reciproco (Lumen Gentium e Gaudium
et Spes)
ecc.
Venuto in visita al nostro Centro internazionale il 19 agosto 1984, Giovanni Paolo II,
dopo aver ascoltato una riassuntiva presentazione della spiritualità e della vita del Movimento ha affermato: «Io vedo che voi seguite molto autenticamente quella visione della
Chiesa, quella autodefinizione che la Chiesa ha fatto di se stessa nel Concilio Vaticano
II»1.
Cosa ha significato per la nostra associazione?
Un grande incoraggiamento e un nuovo impegno a concorrere a
• edificare la Chiesa-comunione in tutte le sue dimensioni con l’aiuto della spiritualità
di comunione che caratterizza il Movimento dei Focolari (cf. a questo proposito
l’ulteriore impulso venuto dalla Novo millennio ineunte, n. 43)
• sviluppare il dialogo ecumenico, quello interreligioso e quello con persone di
convinzioni diverse
• animare i vari “mondi” della vita umana con lo spirito e lo stile della fraternità
(economia, politica, giustizia, sanità, media…).
1 Discorso al Movimento dei Focolari, Centro Mariapoli di Rocca di Papa, 19.8.1984; in “L’Osservatore Romano”,
20/21.8.1984, p. 5. Espressione cui fa riferimento l’art. 4 degli Statuti generali del Movimento dei Focolari.
Contributo del MOVIMENTO DEI FOCOLARI
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Come ha risvegliato il Carisma originario? Quali vissuti ha provocato?
Lo ha confermato e lo ha stimolato ad esprimere nuove realizzazioni, come ad esempio
il “Movimento parrocchiale” e il “Movimento diocesano” per un rinnovamento comunitario delle Comunità ecclesiali o i “Centri di spiritualità di comunione per sacerdoti, diaconi e seminaristi”.
Numerosi vescovi presenti al Concilio hanno visto nella Cittadella internazionale di Loppiano (Firenze) una realizzazione esemplare dello spirito del Vaticano II. Dal 1964 in
questa Cittadella si formano migliaia di persone di tutte le vocazioni nello spirito dell’unità (focolarine e focolarini, famiglie, giovani, presbiteri, religiose e religiosi). Tra gli
ultimi sviluppi sono da segnalare il Polo industriale “Lionello Bonfanti” e l’Istituto Universitario “Sophia” che offre in vari percorsi (ontologia trinitaria, politica, economia, razionalità scientifica) una specializzazione nei fondamenti e nelle prospettive di una
cultura dell’unità.
Quale è stata la nostra risposta in questi 50 anni?
Sono da menzionare come fatti di speciale rilievo:
• la vita di numerose famiglie che non sono più soltanto oggetto della cura pastorale
ma ne sono diventate “soggetto” nei confronti di: altre famiglie, fidanzati, coppie in
difficoltà, separati e divorziati, ecc.; il Movimento “Famiglie Nuove” e in particolare
la “Scuola Loreto” a Loppiano offrono una specifica formazione a questo scopo;
decine di famiglie si sono spostate in nazioni lontane al servizio di altre Chiese locali;
si collabora con il “Forum delle Famiglie”;
• l’impegno di giovani, ragazzi e bambini a portare lo spirito del Vangelo ai loro
coetanei, anche tramite iniziative specifiche come “Colori-Amo la città”, l’annuale
“Settimana Mondo Unito”, la staffetta “Run4Unity”, il “dado dell’amore”, ecc.; per
le GMG si è collaborato con le diocesi.
• la presenza di tanti adulti e giovani del Movimento negli organismi di comunione,
oltre che nell’attività catechistica e in altri settori della pastorale diocesana e
parrocchiale;
• l’impegno di centinaia di presbíteri a promuovere nei presbitèri diocesani un’effettiva
fraternità sacerdotale e a dar vita, assieme a laici sensibilizzati e formati a questo
scopo dal “Movimento parrocchiale” e dal “Movimento diocesano”, a una pastorale
evangelizzatrice;
• lo sforzo di favorire la comunione di movimenti e aggregazioni fra loro e con le
diocesi e parrocchie per una testimonianza comune; v. anche l’iniziativa “Insieme per
l’Europa”;
• lo specifico apporto, nelle diocesi, all’ecumenismo e al dialogo interreligioso;
• il rapporto con gli Uffici CEI, pure nell’elaborazione e attuazione degli Orientamenti
pastorali;
• la presenza nel campo della cultura, dell’educazione e della comunicazione, fra
Contributo del MOVIMENTO DEI FOCOLARI
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l’altro attraverso la Rivista e l’Editrice Città Nuova che ha fortemente contribuito a far
conoscere in Italia il pensiero dei Padri della Chiesa, ha offerto sussidi pastorali in
collaborazione anche con altre realtà ecclesiali e ha, soprattutto, cercato di stimolare
l’impegno laicale nei diversi campi (economia, politica, media, …); dal 2010,
annualmente, nel mese di settembre, la manifestazione LoppianoLAB è l’occasione
di un bilancio e offre ulteriori stimoli;
• altre forme d’impegno laicale a vari livelli e in vari ambiti, p.e. nel mondo del lavoro,
della scuola, della sanità, dello sport, dell’arte, con “cellule d’ambiente” che irradiano
attorno a sé lo spirito del Vangelo e trovano nutrimento e sostegno nel Movimento
“Umanità Nuova”.
Nell’imminenza del prossimo Sinodo dei Vescovi su “La Nuova Evangelizzazione per la
trasmissione della fede” si sono raccolte testimonianze di tutto ciò nel volume “Una buon
notizia. Gente che crede gente che muove” che, costellato di citazioni ispiratrici, vuole
essere anche un sussidio per l’Anno della fede destinato in particolare ai giovani e alle
famiglie.
Quali sfide pone al nostro oggi? Come orienta i nostri orizzonti?
A 50 anni dal Concilio, molto si è fatto ma molto sembra ancora da fare.
Vediamo il Concilio come la promessa di una “nuova Pentecoste”, potente irruzione di
Gesù e del suo Spirito nel mondo di oggi che ha infuso alla Chiesa nuova vitalità e l’ha
aperta a un dialogo universale; prima ancora che un insegnamento, un evento che resta
costantemente da attualizzare, senza paure e senza chiusure. Tra le sfide, vorremmo sottolineare soprattutto due:
«Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta
davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere
anche alle attese profonde del mondo» (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte 43).
«In verità, i tempi nei quali viviamo esigono un nuovo vigore missionario dei cristiani,
chiamati a formare un laicato maturo, identificato con la Chiesa, solidale con la complessa trasformazione del mondo. (…) Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo
testimonianza di Lui. (…) Grazie ai carismi, la radicalità del Vangelo, il contenuto oggettivo della fede, il flusso vivo della sua tradizione vengono comunicati in modo persuasivo e sono accolti come esperienza personale, come adesione della libertà all’evento
presente di Cristo» (Benedetto XVI, Ai Vescovi, Fatima, 13.5.2010).
Per una più piena attuazione del Vaticano II ci sembra determinante l’armoniosa interazione delle realtà carismatiche, suscitate dallo Spirito in concomitanza col Concilio, con
le articolazioni territoriali della Chiesa. Ci auguriamo che il cammino della Chiesa in
Italia possa procedere decisamente in questa direzione e, con la grazia di Dio, ci impegniamo a fare la nostra parte.
Contributo del MOVIMENTO DEI FOCOLARI
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A cura di Don Hubertus Blaumeiser
Membro del Consiglio Generale del Movimento dei Focolari
Contributo del MOVIMENTO DEI FOCOLARI
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MOVIMENTO RINASCITA CRISTIANA
1. Il nome Rinascita Cristiana fu scelto nel febbraio del 1944 da un gruppo di signore
che avevano cominciato a riunirsi a Roma dall'ottobre del 1943 sotto la guida del Gesuita
francese P. Albert Dauchy (fondatore e primo Assistente nazionale) che le aveva incontrate casualmente come rifugiate politiche a Villa Pacis. I primi gruppi appartenevano all'aristocrazia e all'alta borghesia romana ed erano percorsi dall'ansia di ritrovare, in quei
frangenti drammatici e dolorosi, il significato autentico della fede. Il Movimento si sviluppò rapidamente in tutta Italia. La prima idea di una organizzazione comune nacque in
seguito ad una conferenza del Gesuita P. Stanislao Lyonnet sulla validità di un'apostolato
d'ambiente secondo il modello dell'Azione Cattolica specializzata reso celebre dall'Abbate Cardjin fondatore della JOC. Fin dall'inizio l'esperienza si è strutturata in piccoli
gruppi di dieci persone circa; due principi sono alla base del gruppo a) la volontà di rendere cristiano il proprio ambiente b) la convinzione che è necessario agire in gruppo per
costruire una mentalità e una cultura ispirata al Vangelo. Il metodo adottato è quello del
Vedere - Giudicare - Agire per comprendere la vita, la storia e i segni dei tempi; di una
Meditazione rigorosa e attenta della Parola che si fa contemplazione del progetto di Dio
nella storia e preghiera perché si compia il suo regno di pace e di giustizia. L'intereducazione delle persone all'intemo di un piccolo gruppo attraverso un metodo attivo e induttivo sono gli strumenti di evangelizzazione che Rinascita Cristiana propone a dei laici
impegnati nel proprio ambiente in prima persona. Ad essi si accompagna la ferma convinzione che la "Chiesa si evangelizza per evangelizzare" e che quindi non si da vera
evangelizzazione senza una conversione personale e una rimessa in discussione del proprio stile di vita e dei propri modelli culturali.
2. Evoluzione del Movimento. Un prezioso incoraggiamento venne a R.C. dall'appoggio
di Pio XII nell'udienza speciale del 22 gennaio 1947 e in quella dell'8 novembre 1956.
Fino agli anni '70 Rinascita Cristiana ha avuto il suo riferimento ecclesiale nella Segreteria di Stato; fu particolarmente seguita dall'allora Cardinale Montini e dal Cardinale Benelli che ne è stato uno dei suoi primi Assistenti. Nel 1970 Rinascita inizia una riflessione
sulle sue strutture, sulle finalità e sulla sua ecclesialità e appartenenza alla Chiesa italiana.
Lo Statuto che ne deriva viene inviato alla Conferenza Episcopale Italiana che lo approva
nel 1973. D'ora in poi il cammino di Rinascita Cristiana segue le tappe del cammino
della Chiesa italiana e dei suoi piani pastorali da cui prende spunto nella scelta dei temi
di meditazione e di inchiesta (riflessione sulla vita).
3. Riferimenti teologici, spirituali, culturali e pastorali.
Riferimenti teologici:
- La Parola di Dio e la vita come luoghi in cui Dio si rivela ed interpella l'uomo
- la teologia della Chiesa - popolo di Dio e del laicato propria del Vaticano II (in specie
LG, GS, AA e delle Encicliche Evangeli Nuntiandi (con particolare attenzione ai mi. 19
e 20) e Christifìdeles Laici.
- la teologia della storia della salvezza, dell'incarnazione, della creazione
Contributo del MOVIMENTO RINASCITA CRISTIANA
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- la teologia della missione evangelizzatrice
Riferimenti spirituali:
- un progetto di uomo centrato sulla coscienza e sulla libertà:
* in fedeltà a Dio e all'uomo
* con attenzione ai segni dei tempi
* impegnato sulle frontiere dell'uomo d'oggi
* corresponsabile del Vangelo nel proprio ambiente sociale
* impegnato per un mondo più solidale senza frontiere di razza, cultura, religione
Riferimenti pastorali:
- il nostro metodo che ci educa ad uno stile cristiano che:
* scaturisce dalla Parola di Dio nella Meditazione personale e di gruppo e dal
discernimento cristiano della propria vita e delle situazioni umane
* si sviluppa in una spiritualità della comunicazione fatta di partecipazione e presenza
cristiana nella società, di capacità di rivelare in essa la presenza e l'azione di Dio
* la conversione personale intesa come apertura a Dio, agli altri e alla Chiesa e che sfocia
in un crescente e coerente impegno a vivere personalmente la fede e a trasformare cristianamente il proprio ambiente di vita con partecipazione responsabile nella società
civile e nella chiesa locale
Riferimenti culturali:
- il personalismo cristiano
- l'attenzione a quelle scienze umane che ci aiutano a comprendere l'uomo contemporaneo
- contatti e scambi intemazionali
- contatti ecumenici
4. Il Concilio Vaticano II
Il Vaticano II ha risposto ampiamente alle attese di promozione del laicato. Primo tra i
Concili Ecumenici ha voluto trattare del posto e della funzione dei laici, come capitolo
dogmatico e pastorale imprenscindibile, nella autoriflessione che la Chiesa andava facendo su se stessa e sulla sua missione. Ed ha fornito una visione positiva, non oppositoria, del laicato. Ad esso Rinascita Cristiana ha sempre fatto riferimento e non ha mai
trascurato di citarne ampi paragrafi all’interno di propri Piani di lavoro.
Il nostro senso di appartenenza alla Chiesa ha sempre avuto bisogno di rigenerarsi alle
sorgenti della Parola di Dio, della Tradizione vivente della Chiesa e del Concilio Vaticano
II. Non abbiamo mai voluto identificare la Chiesa solo con il suo aspetto istituzionale e
gerarchico, troppo spesso veicolato come unico dai mezzi di comunicazione ma piuttosto
vogliamo continuamente riscoprire la Chiesa nel suo mistero profondo che ci costituisce
tutti popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito.
In questa comunità di fede, vogliamo superare la tentazione di una prassi e di una mentalità che affidano la salvezza, di cui la Chiesa è portatrice, esclusivamente a riti e gesti
Contributo del MOVIMENTO RINASCITA CRISTIANA
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sacrali relegando l’esperienza di Dio lontano dalle vicende della vita quotidiana. Da questa comunità di fede vogliamo attingere luce e coraggio per vivere nel mondo e per il
mondo la nostra specifica vocazione di fedeli laici1 tutti ugualmente chiamati in forza
del battesimo ad essere santi.
Infatti come ricorda il Concilio“tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o
rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e tale
santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano”. (LG 40)
1 Apostolicam Actuositatem nn 3,7,13 Christifideles laici nn. 5, 10-15, 16
Contributo del MOVIMENTO RINASCITA CRISTIANA
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ORDINE FRANCESCANO SECOLARE
L’Ordine Francescano Secolare, nel corso della sua storia, radicata nello spirito di Francesco d’Assisi, nella Chiesa come Madre e nel mondo come testimonianza della fede, ha
vissuto il Concilio come momento determinante di rinascita e rilancio del carisma del Serafico Padre. La riscoperta della sua identità di passare “dal Vangelo alla vita e dalla vita
al vangelo” ha tratto dal Concilio uno slancio epocale con il suo diffondere nel mondo i
valori evangelici e francescani della “fraternità” e del servire i fratelli nella quotidianità.
E’ questa la parola chiave di un modo nuovo di riscoprire la fede: vivere la fraternità
come dono; essere fratelli di tutti gli uomini e con tutte le genti, ritrovare quella fratellanza universale per rendere il mondo più umano.
L’impegno a essere in prima linea operatori di pace e di concordia, a ricercare le vie delle
fraterne intese per eliminare ingiustizie e soprusi. Tutto ciò, per l’ordine francescano secolare d’Italia ha significato ripartire da se stessi, dalla conversione individuale, da una
de-strutturazione personale e comunitaria che portasse ad aprirsi al mondo con consapevolezza e determinazione di poter dare un proprio contributo di rinascita e sviluppo di una
nuova società.
Una svolta Importante e una via di cambiamento è stato il rinnovamento della Regola,
promulgata il 24 giugno 1978 ad opera di Paolo VI mediante la lettera apostolica “Seraphicus Patriarcha” e la revisione delle Costituzioni Generali (norme applicative della
Regola) approvate da Papa Giovanni Paolo II l’8 dicembre 2000.
Questi avvenimenti hanno portato a un gesto di maturazione e rilancio del carisma francescano, con la riscoperta di un’identità e appartenenza che hanno avviato un percorso
nuovo e soprattutto hanno dato un contributo efficace per una nuova evangelizzazione.
In tal senso c’è stato un risveglio forte del carisma originario: molti francescani secolari
hanno espresso il proprio impegno nei vari ambiti della società, dalla gestione della “cosa
pubblica”, all’attenzione ai temi della salvaguardia del creato, ad un vissuto in prima
persona nel campo della missionarietà, nonché nel farsi portatori di nuovi stili di vita e
a impegnarsi per nuove forme di economia solidale.
Ciò ha generato nuovi vissuti:
• Partenza di prime famiglie di francescani secolari per la “missione ad gentes” in Romania, Venezuela;
• Impegno ecumenico con apertura di canali di dialogo con altre chiese cristiane;
• Gemellaggio, sostegno e collaborazione con le missioni dei frati francescani nel mondo;
• Realizzazione di progetti di cooperazione internazionale in Camerun, Albania e Romania;
• Diverse forme d’impegno, di aiuto e sostegno a favore di ragazzi con situazioni disagio
familiare in diverse regioni d’Italia.
• Testimonianza quotidiana del carisma e altre forme d’impegno personale nel sociale e
Contributo del OFS
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nella politica,suscitate in molti singoli francescani secolari, dall'adesione alla vocazione
trasmessa anche attraverso le dinamiche della Fraternità che costituisce elemento essenziale del proprio percorso spirituale.
In questi cinquant’anni l’OFS si è sforzato di dare forte risposta alle sfide lanciate dal
Concilio; una delle più significative è stata quella, attuata nel 2002, di realizzare l’unità
strutturale dell’ordine non più costituito dalle varie famiglie di obbedienza (frati minori,
cappuccini, conventuali e TOR) ma “uno e unico”. Questo difficile percorso è stato possibile grazie al sostegno e accompagnamento della Chiesa e oggi si pone quale impegno
forte e determinante della sua piena realizzazione attraverso lo sforzo costante di costruire
la “Comunione” vero segno di testimonianza per il mondo.
Quali sfide pone l’OFS al nostro oggi?
Le grandi trasformazioni culturali e sociali del nostro tempo, impongono una riflessione
profonda sul modo di annunciare la fede oggi, di apportare il proprio contributo alla crescita e allo sviluppo di una nuova umanità.
“Nell’odierno contesto, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare
la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare.
Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella “ Speranza difficile
“ che c’è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo “. ( Cf. Discorso di Benedetto XVI all’assemblea generale della CEI del 2009, in insegnamenti di
benedetto XVI, vol, 1: 2009 ED. Vat, 2010, p. 916 )
Nella prima esortazione ai fratelli e sorelle della penitenza, San Francesco sfida i suoi seguaci ad avere un rapporto stretto e intimo con Dio; evidenzia i cinque elementi di una
vita di penitenza: l’amore di Dio – amore del prossimo – l’odio del peccato – la partecipazione all’eucarestia – e una vita che produce fruttidi penitenza.
Dalla conversione costante del cuore, dal rapporto forte con Dio, i francescani secolari
sono chiamati a portare Cristo in ogni esperienza e angolo della vita, in ogni luogo dove
donne e uomini hanno bisogno della presenza di Dio.
La vocazione vissuta pienamente approfondisce la realtà che proprio nel vivere la secolarità nell’amore di Dio, il servizio della chiesa e la partecipazione della famiglia francescana, che si cresce nella santità e si trasforma il mondo.
Potremo senz’altro dire che le sfide sono tante ma che certamente la priorità è concentrata
sullo sforzo di essere segno di fratellanza per molti; testimoniare che essere fratelli è
possibile, anzi oggi è necessario, per riproporre i valori sempre attuali e urgenti, della solidarietà, sussidiarietà, della giustizia della pace e salvaguardia del creato. Gridare a tutti
che una fede viva passa per la conversione del cuore di ciascuno nel riscoprire e ritrovare
Contributo del OFS
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un Dio con l’uomo e per l’uomo che propone una fede viva che fa dell’incontro
con l’altro una priorità.
Tale prospettiva orienta i nostri orizzonti quasi in modo esclusivo nel servire i fratelli, essere in prima linea per lo specifico secolare della vocazione ricevuta, in tutti i meccanismi
della società; ci impone di vivere il Vangelo nella quotidianità proiettando in una “pastorale della strada” che trova il suo motivo d’essere nel momento della “tenda”, la vita di
fraternità vissuta nell’incontro dei fratelli, nell’Eucarestia, nello slancio
apostolico.
E’ questa fede che ci proponiamo e auguriamo di vivere, nella Chiesa e con la Chiesa,
con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che hanno a cuore il bene comune, attraverso l’attualizzazione di forme di dialogo, accoglienza, condivisione, in spirito di
unità e umiltà.
Contributo del OFS
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OPERA DELLA REGALITA’ DI N.S.G.C.
Quella che ora conosciamo come l’Associazione Opera della Regalità di N.S.G.C. ha
origini lontane. Vale la pena ricordarle per comprendere quanto il Concilio Ecumenico
Vaticano II abbia contato e conti ancora oggi per quest’aggregazione laicale (ma non
soltanto:ad essa aderiscono anche presbiteri e religiosi).
Nel 1917, durante la prima guerra mondiale, padre Agostino Gemelli ofm e la venerabile
Armida Barelli, che già collaboravano strettamente, si erano gettati in un’impresa che poteva sembrare folle: la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù dei soldati al fronte.
L’iniziativa aveva avuto un successo straordinario, inatteso in buona parte anche dai due
promotori. Cessata la guerra, era rimasto in vita il “Comitato permanente del Sacro
Cuore” con la non ben definita intenzione di fare un’opera religioso-educativa per il popolo.
Il Comitato rimase “in sonno” in pratica fino al 1926, cioè fin dopo la promulgazione,
da parte di Papa Pio XI, dell’enciclica Quas Primas (11 dicembre 1925) sulla regalità di
Cristo. Per dare risalto a questo evento e per la sua divulgazione fra il popolo dei credenti,
con la possibilità di azioni concrete, Gemelli e Barelli – sul pollone del Comitato – innestarono l’Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo (in seguito: O.R.) che nel
1928 (con la sottoscrizione dello statuto) ebbe ufficialmente vita con un nome proprio,
una sua autonomia e una specifica attività: l’adorazione notturna e la divulgazione della
pietà (oggi forse diremmo “spiritualità”) liturgica attraverso la stampa e la distribuzione
a tappeto di opuscoletti con la traduzione in italiano del testo latino delle Messe festive
e delle preghiere liturgiche.
La popolarità e la diffusione di queste piccole pubblicazioni e delle altre che seguirono,
fecero immediatamente capire ai fondatori e ai pastori d’anime quanto l’iniziativa fosse
opportuna.
Padre Gemelli non era né liturgo né liturgista; aveva però intuito l’importanza di quella
che il Concilio chiamerà la “partecipazione attiva” dei fedeli alla liturgia, quale fonte di
spiritualità – personale e comunitaria –, di evangelizzazione e di concreto contributo alla
diffusione della dottrina sulla regalità di Cristo.
Si confermò, poi, nei fondatori la percezione della giustezza del loro profondo desiderio
di vivere e far vivere con consapevolezza i momenti liturgici a tutti i credenti, in sintonia
con il Movimento liturgico che in quegli anni si stava sviluppando anche in Italia e che
porterà al profondo rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II (in primis con la Costituzione Sacrosanctum Concilium).
Dopo Gemelli, la presidenza dell’O.R. fu assunta dal cardinale Ferdinando Antonelli
ofm che durante il Concilio fu perito e segretario della Commissione conciliare della
Contributo dell’OPERA DELLA REGALITA’ DI N.S.G.C.
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Sacra Liturgia (che preparò lo schema della Sacrosanctum Concilium) e in seguito membro del Consilium ad exequendam consitutionem de S. Liturgia. Con Antonelli e in seguito con padre Rinaldo Falsini ofm, altro noto liturgista, l’impegno dell’O.R. sul
versante più specificamente liturgico divenne preponderante.
Queste premesse fanno comprendere come per l’O.R. il Concilio abbia rappresentato la
conferma e la realizzazione d’intuizioni già presenti, anzi, già radicate nella porzione di
popolo di Dio che ad essa faceva riferimento. Insieme con altre aggregazioni con scopi
simili, l’O.R., a Concilio appena concluso, si dedicò alla diffusione della conoscenza
della Sacrosanctum Concilium, organizzando convegni nazionali e locali, pubblicazioni
soprattutto rivolte al pubblico dei fedeli e indirizzandovi l’attività dei propri gruppi periferici.
Dopo essersi trasformata negli anni, nel “ramo” di altra associazione laicale, nel
novembre 2004 l’O.R. è tornata ad essere un’autonoma “associazione di fedeli” riconosciuta dalla Conferenza Episcopale Italiana.
In ogni caso, negli anni l’impegno alla realizzazione di quanto indicato dalla Sacrosanctum
Concilium non è mai cessato. L’O.R. – attraverso le sue iniziative, delle quali l’annuale
convegno liturgico pastorale è se non la più importante, di certo la più impegnativa
– ha continuato ad approfondire la ricerca di una spiritualità fondata nella liturgia che informi la vita spirituale dei battezzati e delle comunità locali. Mezzi di diffusione (e anche
di verifica sul campo) di quanto maturato sono gli annuali corsi di esercizi spirituali che
l’O.R. offre a laici, religiosi, presbiteri e diaconi permanenti; le proposte di preghiera, di
meditazione e di adorazione fatte ai gruppi locali; la rivista trimestrale Adveniat e alcuni
altri sussidi.
Un’importante sfida attende l’O.R. a cinquant’anni dal Concilio, una sfida “per la vita”
potremmo chiamarla con un po’ di drammaticità. In questi anni si sono realizzati molti
passi in avanti nella partecipazione del popolo di Dio ai momenti liturgici: si sono moltiplicati, ad esempio, gli “animatori” laici delle liturgie nelle comunità locali. Si ha però
la sensazione che molti passi, e importanti, si debbano ancora fare per passare da un diffuso ritualismo (riti molto ben “eseguiti”, ma senza coglierne lo spirito profondo) alla
comprensione di quanto sosteneva ad esempio un grande teologo come Romano Guardini
che in due sue opere (Lo Spirito della liturgia e Formazione liturgica) ha cercato di mostrare come la liturgia sia l’indiscutibile fondamento dell’uomo di fede nel Verbo di Dio
incarnato, Gesù Cristo (per non essere soltanto uomo superficialmente religioso).
Sentiamo poi molto importante quanto sostiene S.S. Benedetto XVI, che alla liturgia dà
molta attenzione; vale a dire che ci siano liturgie belle e partecipate, decorose e non “fantasiose”, come qualche volta è accaduto e tuttora accade. Si avverte, infatti, sempre più
l’esigenza che il popolo di Dio conosca e comprenda il profondo significato spirituale
d’ogni “gesto”, d’ogni momento della liturgia; delle stesse preghiere liturgiche. E in particolare, che chi si dedica alla così detta “animazione” sia competente, si prepari per un
Contributo dell’OPERA DELLA REGALITA’ DI N.S.G.C.
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compito tanto bello, importante e delicato.
Una sfida vitale, si diceva, poiché la scommessa – se la possiamo chiamare così – è
sull’esistenza stessa di un’associazione come la nostra impegnata in un campo certamente
non popolarissimo. Un punto sembra farsi sempre più chiaro: se l’impegno dell’O.R. è
autenticamente a favore della Chiesa, l’associazione non può che agire “in rete”, vale a
dire in collegamento con altre aggregazioni. L’O.R. non può proporsi come esaustiva
nella formazione di un laicato che nella Chiesa abbia il riconoscimento di un suo compito
specifico e insostituibile (come del resto vivamente auspicato dal Concilio e forse oggi
non appieno realizzato). L’O.R. può invece offrire il proprio umile ma competente aiuto
nella formazione di quello stesso laicato ad una spiritualità liturgica che non potrà mai
essere in competizione con altre sorgenti di spiritualità, bensì in accordo o in completamento di quelle stesse.
È in questo senso che si sta operando sia ai livelli centrali dell’associazione, sia ai suoi
livelli periferici, con risultati che stiamo tuttora attentamente verificando, nella certezza
che se l’O.R. è ancora nei disegni della Trinità, nulla potrà farla accantonare. Pronti,
però, anche a “dimetterci” se lo Spirito ne farà comprendere l’inutilità.
Contributo dell’OPERA DELLA REGALITA’ DI N.S.G.C.
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PAX CHRISTI
Il movimento di Pax Christi nasce alla fine della seconda guerra mondiale. La sua ispirazione è l’urgenza di superare le contrapposizioni, gli odi, le memorie irriconciliate che
dividono due popoli europei, francesi e tedeschi, che si sono contrapposti per tre volte
in maniera micidiale durante un secolo di storia.
Il tema della pace diviene dunque lo stimolo per azioni concrete di aiuto e di presenza
positiva in particolare nella Chiesa francese, con gruppi di preghiera e con interventi nel
territorio tedesco, a sostegno della pastorale della Germania del dopoguerra. Secondo
uno schema tipico del cattolicesimo prima del Vaticano II, l’attenzione e la cura per il
tema della pace vengono sviluppate secondo due tipi di intervento: l'organizzazione di
gruppi di preghiera per la pace e la presenza diretta riconciliatrice in luoghi di contrapposizione e di confronto vendicativo. In certo senso le due modalità di intervento sono
distinte, secondo uno schema di intenzioni interiori e di opere positive presente nella spiritualità di quegli anni.
La novità introdotta nel cattolicesimo dall’evento del Concilio Vaticano II ha consentito
di superare lo schema di pensiero caratteristico del cattolicesimo del ‘900 e che, di fatto,
giustificava la forma tradizionale di Pax Christi.
Nell’evento del Concilio si è manifestata la consapevolezza che il rapporto tra la Chiesa
e la storia va vissuto in termini più ampi e aderenti al compito del credente che riconosce
la chiamata di Dio rivolta a tutta l'umanità.
Le parole del Concilio sulla Chiesa rendono il cristiano più attento al fatto che è responsabilità del popolo di Dio discernere negli avvenimenti della storia, e quindi nella cultura
di un determinato tempo o territorio, come pure nella sensibilità presente nell’animo
umano, i segni della chiamata di Dio alla salvezza. Da questo nasce la responsabilità del
popolo di Dio di stare nella storia e di operare in essa un discernimento che faccia emergere i segni della novità del Regno di Dio.
Ecco allora il nuovo volto della comunità cristiana. Non primariamente una immagine di
Chiesa dualista (gerarchia-cristiani) né un' idea di Chiesa città perfetta, posta sul monte
di fronte al mondo come ad un avversario.
Il Concilio ci propone, come avviene nella "Lumen Gentium", il disegno universale di
salvezza del Padre. Egli, mediante l’azione dello Spirito Santo, che non ha confini e che
opera in ogni battezzato, offre alla Chiesa la certezza di essere dentro un quadro ben più
largo rispetto alla sua esistenza percepibile. In tal modo viene richiesto alla istituzione
ecclesiale, e quindi alle associazioni, ai gruppi e movimenti che ne fanno parte, di camminare con tutti gli uomini e le donne, e di operare secondo tre azioni che consentono un
legame più profondo con la realtà: il discernimento, la testimonianza e la riconciliazione.
Contributo di PAX CHRISTI
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Seguendo questa prospettiva, Pax Christi dopo il Concilio non ha certo dimenticato la sua
origine di movimento di preghiera, ma è stata spinta ad allargare il suo sguardo per riconoscere le spinte presenti nella società, nelle quali si manifesta la forza dello Spirito che
conduce la storia umana a rispondere alla chiamata universale alla salvezza, di cui appunto il Concilio parla.
Ecco dunque la presenza nella società e nella Chiesa con parole e gesti che mettano in
luce per un verso la carenza delle condizioni della pace e le cause delle guerre e, per
altro verso, la necessità di operare per il superamento dei conflitti.
La "Gaudium et spes", coi due solenni moniti contrari alla guerra moderna e alla corsa
agli armamenti, l'esortazione a considerare i fenomeni bellici con "mentalità completamente nuova" e l'invito a costruire la pace con mezzi di pace, contiene le premesse per
intendere la nonviolenza come formazione permanente, scelta etica, azione civile, progetto politico, civiltà del diritto, cammino di fede in Gesù Cristo "nostra pace", testimonianza evangelica ed esperienza ecclesiale.
Pax Christi legge i testi conciliari in simbiosi con la "Pacem in terris" diventata una sorta
di nuova carta fondativa del movimento. Vede nei "pilastri" dell'edificio della pace proposti da Giovanni XXIII, - la verità, la libertà, la giustizia e l'amore- il contenuto e l'obiettivo della "nonviolenza attiva" .
Per questo il Concilio ha rilanciato il suo impegno a tutto campo per un nuovo ordine di
rapporti internazionali, per la trasformazione nonviolenta dei conflitti, per l'unità della famiglia umana, per un'economia di giustizia, per una politica promotrice del bene comune,
per la centralità di un'ONU rinnovata e autorevole, per il dialogo ecumenico e interreligioso, per il disarmo, per la riduzione delle spese militari e del commercio delle armi, per
il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, per la riconversione civile dell'industria bellica, per l'accoglienza, per la democrazia, per la "convivialità delle differenze", tema caro a Mons. Tonino Bello, Presidente di Pax Christi dal
1985 fino alla morte nel ’93.
Possiamo dire che il Concilio ha arricchito Pax Christi, di cui Mons. L. Bettazzi, Padre
Conciliare, è stato Presidente Nazionale ( ‘68- ‘85) e Internazionale (’78-’90), confermandola nella certezza che la pace è centrale per il cristianesimo ( GS 78 : “la pace terrena che nasce dall’amore al prossimo, è immagine ed effetto della pace che promana dal
padre”), facendola più attenta alla storia, più disponibile al dialogo con i non credenti, più
decisa a porsi nelle linee di frattura della nostra società, là dove essa manifesta i segni di
allontanamento dalla vocazione di Dio alla piena umanizzazione della persona e della società.
Contributo di PAX CHRISTI
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RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO
Come abbiamo vissuto il momento del Concilio? Cosa ha significato per la nostra
associazione?
Il Rinnovamento, fin dal suo sorgere, appare come un esaudimento, tra gli altri, di quell’audace speranza profetica formulata da Giovanni XXIII in preparazione al Concilio
Ecumenico Vaticano II: “rinnova nella nostra epoca i prodigi di una nuova Pentecoste”
(25/11/1961).
“La base teologica del Rinnovamento è essenzialmente trinitaria, secondo la visione
della Chiesa segnalata dal Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium” (Salvatore
Martinez, Seminario Internazionale per i Vescovi sui Movimenti – Roma
18/06/1999). Il Rinnovamento carismatico cattolico nasce infatti nel gennaio 1967, negli
Stati Uniti d'America, grazie all'incontro di alcuni giovani universitari cattolici con il
mondo pentecostale. Da qui, come un fuoco divampante, il Rinnovamento carismatico
si è rapidamente diffuso nella Chiesa cattolica, pochissimi anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II. Si può affermare che senza il Concilio Ecumenico Vaticano II, la spiritualità della comunione che in esso viene delineata, la sua ecclesiologia, la sua visione
pnemautologica ed ecumenica, il Movimento non avrebbe potuto diffondersi con la stessa
rapidità e soprattutto fecondare la vita della Chiesa Cattolica, così come è avvenuto. Nel
1971, infatti, a poca distanza da quanto era accaduto in America, si sviluppa in Italia la
grande corrente spirituale nota con il nome di Rinnovamento carismatico cattolico. Quasi
immediatamente l'esperienza italiana venne denominata "Rinnovamento nello Spirito
Santo", come effetto della prima riflessione teologica e della mediazione culturale che gli
iniziatori del Movimento hanno compiuto, in Italia, per attestarne l'identità cattolica. Era
l'aprile del 1977. Il nome Rinnovamento nello Spirito Santo - che anche il cardinale Suenens auspicava fosse fatto proprio da tutto il movimento carismatico - è tratto dalla lettera
di San Paolo a Tito, nella quale l'apostolo afferma che siamo salvati «mediante un lavacro
di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo» (Tt 3, 5).
Il Rinnovamento è diffuso oggi in circa 204 Paesi dei cinque continenti e ha toccato la
vita e l'esperienza spirituale di oltre cento milioni di cattolici, assumendo nelle varie nazioni stili, forme di vita e stati giuridici diversi fra loro anche se, in definitiva, riconducibili all'unica comune scaturigine.
La “missione” del movimento si può riassumere in grandi linee con le seguenti finalità:
- aiutare ad accogliere una rinnovata effusione dello Spirito Santo, la sua guida, i suoi
doni e carismi;
- riscoprire la grazia battesimale e l’identità cristiana;
- favorire l’esperienza, la conoscenza e la pratica dei carismi elargiti dallo Spirito
Santo, in gioiosa e piena adesione alla vita sacramentale ed ecclesiale;
- proporre la santità di vita attraverso l’adesione al Vangelo e la conversione
permanente; promuovere la formazione al servizio ministeriale nella Chiesa e nella
Contributo di RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO
Pagina 81
società quale frutto della vita nuova nello Spirito;
- promuovere un cammino di fede tra gli aderenti riuniti in gruppi e comunità,
attraverso la preghiera comunitaria e la formazione umana, spirituale ed ecclesiale;
promuovere una ministerialità di fatto sia internamente al movimento, sia nel mondo
ecclesiale e civile.
Come può evincersi, molto della dimensione ecclesiale e laicale del movimento ha origine nel documento conciliare della Lumen Gentium, e dalla sua descrizione dell'azione
dello Spirito Santo nella Chiesa e nei fedeli. Possiamo affermare che al di là dei fatti
concreti che ne hanno determinato la nascita, le vere radici del Rinnovamento si alimentano direttamente nei documenti e nello spirito del Concilio Vaticano II.
Proprio in tal senso, nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, vi è un passo molto
significativo: “Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio
(cfr. 1 Cor 3,16; 6,19) e in essi prega e rende testimonianza della loro condizione di figli
di Dio per adozione (cfr. Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr.
Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito
e la Sposa dicono al Signore Gesù: ‘Vieni’ (cfr. Ap 22,17). Così la Chiesa universale
si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo” (LG, 4/287).
Il card. Suenens, uno dei quattro moderatori del Concilio Vaticano II, che alle origini
della nascita del Rinnovamento fu incaricato dal Papa Paolo VI, di seguire e accompagnare la crescita del Rinnovamento a livello internazionale, definiva il Rinnovamento
"un movimento dello Spirito che aiuti la Chiesa a divenire tutta carismatica secondo
le attese e le proposizioni del Concilio Vaticano II". Altro aspetto fondamentale di diretta
ispirazione conciliare è la “vocazione” ecumenica del Rinnovamento, come sempre lo
stesso Cardinale Suenens sottolineava: “A numerosi cristiani che ne fanno l’esperienza,
oggi il Rinnovamento Carismatico appare come un esaudimento, tra tanti altri, di questa audace speranza ecumenica del Concilio. È permesso pensare che il Rinnovamento
si pone tra gli impulsi futuri dello Spirito che il Concilio confusamente prevedeva. La
storia della Chiesa è fatta di queste mozioni e imprese dello Spirito che, periodicamente, vengono a rivitalizzare la Chiesa. Il Rinnovamento si inserisce nel prolungamento della corrente di grazia che fu e rimane il Vaticano II” (Card. Leo Josef Suenens,
in Ecumenismo e Rinnovamento Carismatico; orientamenti Teologici e Pastorali, “II Documento di Malines”, 1974).
Anche nel discernimento di Papa Giovanni Paolo II, a distanza di alcuni anni dalla nascita
del Rinnovamento, si coglie la stretta dipendenza ecclesiale e spirituale del movimento
con il concilio. Infatti, il Papa così si esprimeva: “[…] Il movimento carismatico cattolico è uno dei tanti frutti del Concilio Vaticano II che, quasi nuova Pentecoste, ha suscitato nella vita della Chiesa una straordinaria fioritura di aggregazioni e movimenti,
Contributo di RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO
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particolarmente sensibili all’azione dello Spirito. Come non rendere grazie per i preziosi frutti spirituali che il Rinnovamento ha generato nella vita della Chiesa e nella
vita di tante persone? Quanti fedeli laici - uomini e donne, giovani, adulti e anziani hanno potuto sperimentare nella propria vita la stupefacente potenza dello Spirito e dei
suoi doni! Quante persone hanno riscoperto la fede, il gusto della preghiera, la forza
e la bellezza della Parola di Dio, traducendo tutto ciò in un generoso servizio alla missione della Chiesa! Quante vite cambiate in profondità! Per tutto questo oggi, insieme
a voi, voglio lodare e ringraziare lo Spirito Santo” (Terza Udienza del Papa Giovanni
Paolo II che ha ricevuto in udienza privata, il Comitato nazionale di servizio e il Consiglio
nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo Sala Clementina, Città del Vaticano, 4
aprile 1998).
Sulla stessa lunghezza d’onda l’allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana,
il Card. Camillo Ruini ebbe a dire nel 2002: “[…] A distanza di trent’anni possiamo affermare non senza una profonda riconoscenza al Signore, che il Rinnovamento nello
Spirito è stata una singolare realizzazione di quella audace speranza profetica formulata dal Beato Giovanni XXIII quando, alla vigilia del Vaticano II, cosi pregava: «Rinnova nella nostra epoca i prodigi come di una nuova Pentecoste», come pure delle
parole pronunciate da Paolo VI nell’udienza generale del 16 ottobre 1974: «Voglia il
Signore effondere, oggi, una grande pioggia di carismi, per rendere feconda, bella e
meravigliosa la Chiesa, capace di imporsi all’attenzione e allo stupore del mondo profano, del mondo laicizzante» (Omelia del Cardinale Camillo Ruini in occasione del XXX
anniversario di nascita del Rinnovamento nello Spirito Santo in Italia Basilica di San
Giovanni in Laterano, 14 marzo 2002).
A fronte degli interrogativi post conciliari sul “come vivere il concilio” e sul “come tradurre documenti e teorie in vita ecclesiale”, è opinione diffusa di molti teologi e vescovi
che il Rinnovamento abbia rappresentato un laboratorio di possibile applicazione del
Concilio ecumenico Vaticano II, quasi una provvidenziale risposta dello Spirito Santo che
ha indicato una traduzione degli orientamenti conciliari in esperienza concreta, la quale
potesse incidere significativamente nella vita della Chiesa contemporanea.
Quali sfide pone al nostro oggi ? Come orienta i nostri orizzonti?
Come noto, Giovanni Paolo II alla vigilia del Grande Giubileo del 2000 segnalava l’esigenza di un serio esame di coscienza circa “la ricezione del Concilio, questo grande
dono dello Spirito alla Chiesa sul fine del terzo millennio” (Lettera Apostolica terzo
Millennio Adveniente n. 36). In tale prospettiva le sfide alle quali il Movimento risponde
sono orientate in una duplice direzione:
A) a servizio della Chiesa: Lo Spirito Santo è comunione e fa la comunione. Per
questa ragione, le persone che per la prima volta si coinvolgono nel RnS entrano
in un gruppo ecclesiale creativamente inserito nel tessuto della Chiesa locale,
senza settarismi. Nel gruppo, infatti, si impara a scoprire i propri carismi e a
Contributo di RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO
Pagina 83
esercitarli in forme ministeriali, a operare in modo attivo e responsabile, ad
assumere spontaneamente il proprio ruolo nelle varie attività, a mettersi a
disposizione del parroco; ma anche a non disertare le responsabilità civili, a
vivere la comunione gerarchica nella realtà del gruppo e nella Chiesa, a
rispondere coraggiosamente all'appello missionario del proprio ambiente.
Anche in questo caso, i punti di riferimento sono i documenti conciliari che
presentano la Chiesa sacramentale e carismatica, gerarchica e comunionale,
ministeriale e missionaria.
B) a servizio della nuova evangelizzazione: già il decreto conciliare Apostolicam
Actuositatem indicava chiaramente la stretta dipendenza tra vita carismatica ed
evangelizzazione: “A tutti i cristiani quindi è imposto il nobile impegno di
lavorare affinché il divino messaggio della salvezza sia conosciuto e accettato
da tutti gli uomini, su tutta la terra. Per l'esercizio di tale apostolato lo Spirito
Santo che già santifica il popolo di Dio per mezzo del ministero e dei sacramenti,
elargisce ai fedeli anche dei doni particolari (1 Cor 12,7) «distribuendoli a
ciascuno come vuole» (1 Cor 12,11), affinché mettendo « ciascuno a servizio
degli altri il suo dono al fine per cui l'ha ricevuto, contribuiscano anch'essi
come buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio» (1 Pt 4,10)
alla edificazione di tutto il corpo nella carità” (cfr. Ef 4,16).
Per questo motivo il Rinnovamento nello Spirito sente particolarmente propria la chiamata ad una “nuova evangelizzazione”, promossa in modo incessante dal Papa Benedetto
XVI e partecipa insieme a tanti altri movimenti nell’opera di diffusione delle ragioni
dello Spirito e nella costruzione della civiltà dell’amore auspicata da Giovanni Paolo II.
Per tali ragioni il Movimento sente che sono ancora vive e attuali le indicazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II con i documenti del magistero, le lettere apostoliche, le encicliche che in questi cinquanta anni ne hanno esplicitato i contenuti e dato rinnovato
impulso magisteriale e pastorale.
Contributo di RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO
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SEAC
COORDINAMENTO ENTI E ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO
PENITENZIARIO
Il SEAC nasce nel 1967 nel corso di un incontro, tenuto sull'Isola d'Elba, a Portoferraio,
fra rappresentanti di varie realtà ecclesiali operanti nelle carceri in ruoli di assistenza e
accompagnamento dei detenuti. Sono presenti gli uomini dell'Azione Cattolica, la San
Vincenzo, la Sesta Opera dei Gesuiti di Milano e varie altre sigle. Si stabilisce di dare vita
ad un coordinamento permanente, capace di promuovere l'assistenza carceraria negli istituti in cui essa ancora manca, di sostenere anche con attività formative le esperienze presenti, avendo come obiettivo la promozione dell'accoglienza al detenuto, soprattutto nella
fase post carceraria.
L'influsso del Concilio in questa “nascita” è più che evidente, e letto con grande chiarezza
anche dai primi promotori del SEAC. Si legge in un articolo di commento all'incontro di
Portoferraio: “In questa impegnativa atmosfera post – conciliare viene ad imporsi l'esigenza di revisione di attività tradizionali, specialmente sotto l'aspetto strumentale e strutturale: è evidente che lo spirito di certe attività si rinnova sotto gli impulsi di fermenti che
si agitano”
E di fermenti in quegli anni se ne agitano tanti: a partire dalla riforma dell'ordinamento
penitenziario, del 1975, che segna uno spartiacque ideologico, non estraneo certamente
alle suggestioni conciliari. A distanza di più di venti anni dall'emanazione della Costituzione Italiana si ha finalmente il coraggio di rendere legge quello che era solo un enunciato astratto, e cioè la finalità rieducativa della pena. Pure nella indipendenza e
autonomia della sfera politica e di quella religiosa, non si può non riconoscere che la visione dell'uomo e della società proposta dalla Gaudium et Spes ha dato una spinta propulsiva a questa e ad altre leggi di quel periodo.
Nel corso degli anni successivi l'impianto legislativo vede delle positive integrazioni,
come la Gozzini del 1986, ma anche delle restrizioni, soprattutto in concomitanza con
momenti opachi della storia del nostro Paese, dagli anni di piombo all'emergenza mafiosa, e con mutazioni quali quelle legate alla diffusione delle dipendenze (da droghe, alcool, gioco..) o alle grandi migrazioni dai paesi più poveri.
Il SEAC si inserisce in questa storia anzitutto rivendicando con forza l'importanza della
presenza di assistenti volontari e di rappresentanti della società esterna all'interno delle
carceri, e chiedendone il riconoscimento ufficiale. Una prima stesura della legge 354 del
1975 non prevede la possibilità di assitenza ai carcerati da parte di enti privati, nell'idea,
forse, che l'apparato statale possa giungere a coprire ogni esigenza ed ogni necessità. Il
SEAC si batte perché le porte del carcere non si chiudano agli assitenti, sia in previsione
delle inevitabili difficoltà che la struttura pubblica avrebbe incontrato nel fare fronte
alle innumerevoli esigenze delle persone recluse (la storia ha dato ragione a questa argomentazione), sia per un'idea di collaborazione fra cosa pubblica e enti sociali, che oggi
Contributo di SEAC
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ricondurremmo al principio di sussidiarietà. E così nella legge del 1975 compaiono gli
articoli 17 e 78, che permettono a cittadini della comunità libera di entrare in carcere per
azioni di aiuto e assistenza. E' da sottolineare che per la prima volta nelle leggi dello
stato appare un articolo apposito sul volontariato (art. 78), molti anni prima della legge
sul volontariato del 1991.
Sul piano ecclesiale il SEAC partecipa con vari contributi al convegno Evangelizzazione
e Promozione umana, portando all'attenzione della Chiesa italiana una realtà troppo dimenticata sia sul piano pastorale che della solidarietà e carità. In realtà non tutto è semplice e condiviso all'interno del SEAC: vi è chi tende ad enfatizzare una dimensione più
religiosa e pastorale della presenza in carcere, e che invece vede come ruolo precipuo dei
gruppi SEAC l'impegno di carattere sociale per il recupero, il reinserimento e anche
l'azione per il cambiamento di una realtà per molti aspetti antiumana e quindi anche anticristiana. Non dimentichiamo che se da una parte consulente ecclesiale del SEAC è
Mons. Cesare Curioni, Ispettore Generale dei Cappellani del Carcere, dall'altra il SEAC
ha espressamente scelto nel suo Statuto di accogliere al suo interno persone desiderose
di impegnarsi a favore dei carcerati, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa.
Con il tramonto delle ideologie e delle grandi appartenenze questa dialettica si attenua :
oggi il SEAC si colloca nella Chiesa come un gruppo di frontiera, che pur avendo le sue
radici nel senso cristiano della solidarietà, non chiede ai suoi aderenti appartenenze o
convincimenti granitici, ma il desiderio di impegnarsi con competenza e continuità in
un servizio al mondo della pena . Certamente il contesto è profondamente cambiato rispetto a quello inziale: sono sorte nel frattempo molte e variegate aggregazioni che si occupano del carcere, della giustizia e della pena, e in qualche modo si fa fatica in questo
universo composito a riconoscere la necessità di un coordinamento specifico per il volontariato penitenziario. Tuttavia i gruppi SEAC hanno un loro comune denominatore:
la considerazione primaria dell'aspetto relazionale con il detenuto, con i suoi familiari,
con le vittime del reato; la consapevolezza che il proprio impegno prima ancora che un
“fare qualcosa per” è un accompagnamento, un mettersi a fianco; la costante azione formativa orientata sia alla conoscenza del sistema penitenziario e della realtà fattuale del
carcere, ma anche alla capacità di ascolto della persona nel disagio e di capacità di lavoro
in gruppo.
Molti gruppi SEAC affiancano i cappellani nell'azione catechetica e pastorale in carcere,
o nell'animazione delle liturgie. Si deve riscontrare che oggi si moltiplicano in carcere gli
atteggiamenti di proselitismo da parte di varie religioni e confessioni. Il serbatoio di disperazione, di bisogni economici, di attese relazionali rappresentato dal carcere è tale
che sia relativamente facile, facendo perno su una situazione di soggettiva debolezza,
raccogliere discepoli, magari con il supporto di benefici di vario genere. Da questo rischio
deve guardarsi anche la Chiesa, cercando invece di ricordare e imitare l'atteggiamento di
Pietro con il mendicate storpio alla Porta Bella del Tempio: “Non possiedo né argento né
oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”(At 3,5).
Contributo di SEAC
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Il SEAC per sua fortuna è quasi completamente privo di risorse, ed è ricco solo di quella
umanità che è dono di Cristo, e che ha ricevuto dal Concilio come marchio di fabbrica
alla sua nascita. Questo dono il SEAC vuole continuare a diffondere nella Chiesa italiana
e nella società, per rispondere con fedeltà alla chiamata ricevuta.
Contributo di SEAC
Contributo di SEAC
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U N IO N E ASSO C IA ZI O NI ROG AZ I ON I STE
1. PREMESSA
Il Concilio Vaticano II ha operato un profondo cambiamento nel concetto e nella missione
dei laici, rispetto alla visione ecclesiologica precedente. Infatti sulla base di una teologia
più ancorata alla Sacra Scrittura e all’insegnamento dei Padri della Chiesa, afferma che
la Chiesa si identifica con tutti coloro che sono incorporati in Cristo nel Battesimo.
In Lumen Gentium 10 – 13 si ha il riconoscimento pienamente ecclesiale dei laici.
Ciò si è verificato anche per il Laicato Rogazionista (che si specifica in tre settori: giovani, famiglie e volontariato), che, sia per iniziativa propria dei laici che per un accompagnamento sistematico di qualche religioso e delle rispettive Circoscrizioni, ha
cominciato a prendere consistenza negli anni ’80 esprimendosi in diverse associazioni
con cammini formativi annuali prima distinti e poi unificati nella tematica e, quando è
stato possibile, nelle esperienze di incontri formativi a piccolo e largo raggio.
In questi anni i documenti del Concilio, sono stati e sono oggetto di studio e di formazione per le diverse Associazioni laicali rogazioniste, sia da parte degli Assistenti ecclesiastici che degli stessi laici che hanno acquisito una certa competenza.
2. L’UAR (UNIONE DELLE ASSOCIAZIONI ROGAZIONISTE)
L’Opera di sant’Annibale M. Di Francia (1851-1927) che si specifica particolarmente
nelle due componenti di Congregazione Religiosa (Figlie del Divino Zelo e Rogazionisti)
esprime nella Chiesa e nella Società la dimensione carismatica del Rogate (preghiera ed
azione per le vocazioni, carità verso i piccoli ed i poveri) ed insieme con il Laicato Rogazionista si configura nella “Famiglia del Rogate”. Essa, tenendo conto della diversità
delle identità vocazioni, realizza fondamentalmente i tre aspetti del carisma: pregare per
le vocazioni, diffondere la preghiera per le vocazioni, farla per primi da buoni operai. Il
Concilio Vaticano II ha dato un vigoroso stimolo alla riflessione ed all’impostazione di
un percorso formativo, abituando i laici all’accoglienza del Magistero della Chiesa, alla
condivisione ed alla missione.
L’UAR raggruppa i fedeli laici, giovani ed adulti che, legati alle Famiglie Religiose dei
Padri Rogazionisti e delle Figlie del Divino Zelo, condividono il carisma e la missione
rogazionista.
Le Associazioni sono frutto della nuova mentalità del Concilio Vaticano II, anche se, il
nucleo originario dei Laici rogazionisti è presente nel panorama ecclesiale sin dal 1900
quando S. Annibale istituì la Pia Unione della Rogazione Evangelica, una crociata di fedeli laici per la presa in carico e la diffusione nella Chiesa e nel mondo della preghiera
per le vocazioni (egli la chiamava la Rogazione).
Contributo dell’UNIONE ASSOCIAZIONI ROGAZIONISTE
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S. Annibale nei suoi scritti delinea i tratti significativi dei laici impegnati a servizio delle
vocazioni, nella categoria evangelica dei buoni operai ed identificandoli nei genitori,
educatori, politici, governanti delle nazioni1.
I laici che orbitano attorno alle due Congregazioni religiose, fatta eccezione per l’Associazione degli Ex-Allievi Rogazionisti sorta agli inizi degli anni ‘60, solo dopo il Concilio
Vaticano II si sono dati una stabile conformazione, costituendosi in Associazioni con
proprio statuto.
Grazie al Concilio è cominciata una riflessione profonda all’interno delle associazioni,
sulla identità laicale a partire dalla vocazione e dal carisma che le anima, inteso come
dono personale e comunitario, responsabilità ed impegno di vita, missione e servizio alla
Chiesa ed alla società.
Tutto ciò ha determinato nel corso degli anni una presa di coscienza sia da parte dei laici
rogazionisti della loro identità e missione nella Chiesa, frutto di una vera e propria vocazione, che dei Religiosi e religiose nell’accoglienza di questo dono a positivo supporto
per le loro Congregazioni.
3. IDENTITÀ LAICALE ROGAZIONISTA
Una grande influenza ha avuto nella configurazione dell’identità del laico rogazionista,
il presupposto conciliare dell’universale vocazione alla santità. L’impegno fondamentale
del laico rogazionista è quello di tendere alla santità, vivendo il carisma del Rogate come
vocazione, rispondendo così compiutamente alla vocazione fondamentale di ogni cristiano, derivante dal Battesimo, “vero ingresso nella santità di Dio”2 e trovando nello
svolgimento del suo proprio compito e ministero, la strada per raggiungere il particolare
ideale di santità.
Il Rogate si specifica come nuova via di santità per i laici rogazionisti. S. Annibale è la
loro guida e maestro. Il cammino spirituale e formativo rogazionista, infatti, non può
prescindere dagli insegnamenti, dall’esempio e dall’esperienza spirituale che S. Annibale
ha lasciato con la sua vita e nei suoi scritti.
Compito del laico rogazionista è far propria l’”ispirazione carismatica primigenia” e coniugarla nello specifico stato di vita di ciascuno, con l’ambiente e la cultura di oggi.
Pertanto egli vive il carisma del Rogate (vision e mission) facendo in modo che esso risulti propositivo ed influente in merito alle problematiche e ai contesti religiosi, sociali
e culturali propri del mondo laicale:
• Nell’ambito ecclesiale: il culto e la liturgia, la catechesi, i sacramenti e
l’evangelizzazione;
1 Cf. Di Francia A., Scritti, vol. 43, pp. 157 – 158.
2 Novo Millennio Ineunte, n. 31.
Contributo dell’UNIONE ASSOCIAZIONI ROGAZIONISTE
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• Nell’ambito sociale: la famiglia, i giovani, il ruolo e la promozione della donna, la
società e la politica, il mondo della scuola e del lavoro, della cultura e della
comunicazione, dello sport e del divertimento;
• Nell’ambito morale ed etico: il vissuto delle persone e i grandi problemi morali, la
bioetica e la sessualità; la promozione umana e le sfide epocali della globalizzazione,
immigrazione, fame povertà; la pace, la giustizia e il problema della prevenzione dei
conflitti; l’ambiente, l’ecologia e la salvaguardia del creato.
Il Laico rogazionista tutto questo lo vive nell’ambito della “Famiglia del Rogate” (religiosi, religiose e laici), all’interno della Chiesa, nelle singole comunità cristiane di appartenenza, divenendo così attore e protagonista della missione affidata il giorno del
Battesimo.
4. BUONI OPERAI DEL REGNO
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”
(Gv 13,35). Nella Chiesa-Comunione ogni fedele deve far proprie queste parole del Vangelo e metterle in pratica. Poiché è solo “realizzando questa comunione di amore che la
Chiesa si manifesta come - sacramento -, ossia – segno e strumento dell’intima unione
con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”3.
Una nota distintiva della vocazione del laico rogazionista è data dal suo essere inserito
nella Chiesa come buon operaio del Regno. Egli, sull’esempio di S. Annibale, offre “la
testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell’unità della Chiesa universale, e con il Vescovo – principio visibile e fondamentale dell’unità – della Chiesa particolare, e nella stima vicendevole fra
tutte le forme di apostolato nella Chiesa”4.
Dopo 50 anni dall’emanazione dei documenti Conciliari, essi, ancora oggi, pongono seri
interrogativi sul ruolo dei laici all’interno della Chiesa e sulla testimonianza che da essi
deve scaturire, per poter essere luce e lievito, in una società così mutevole come la nostra.
Tutto questo è oggetto di riflessione ed ha delineato i vari percorsi formativi.
5. IL PROGETTO CULTURALE ROGAZIONISTA
Da questa riflessione, recependo gli stimoli offerti dal Progetto culturale della Chiesa in
Italia, è nato il “Progetto Culturale del Laicato Rogazionista”, frutto di una condivisione
a largo raggio dal punto di vista teorico ed esperienziale di tutte le componenti del laicato
rogazionista, con l’apporto teologico e carismatico dei religiosi. La sua prospettiva è formare una mentalità cristiana che non fugga dalle domande del nostro tempo, ma che rimanga nella crisi del nostro tempo, per costruire insieme al mondo risposte, forse, non
del mondo.
3 Novo Millennio Ineunte, n.42; cf. Lumen Gentium, n.1.
4 Christifideles Laici, n. 30.
Contributo dell’UNIONE ASSOCIAZIONI ROGAZIONISTE
Pagina 90
Noi, laici, ci siamo interrogati sulla nostra capacità ed il nostro coraggio di essere testimoni e fautori di un rinnovamento umano e spirituale che parta dall’annuncio semplice
e quotidiano della nostra fede e arrivi ad incidere sulla mentalità e la cultura del nostro
tempo.
Noi laici siamo i soggetti di questo Progetto che “non è una sintesi dottrinale organica e
completa fin dall’inizio, ma un processo di formazione e di animazione prolungato nel
tempo cui siamo chiamati tutti come Chiesa. Alla luce del nucleo di riferimento, Cristo,
siamo chiamati a considerare le tendenze emergenti, i fatti e le situazioni del nostro tempo
per maturare orientamenti di pensiero e di azione.”5 Non abbiamo elaborato una conoscenza scientifica della società in cui viviamo, e neanche un’efficace strategia ecclesiale,
ma più propriamente, abbiamo cercato di scorgere ciò che Dio chiede alla sua Chiesa ed
al nostro Laicato rogazionista, leggendo nella storia l'appello di Dio e vedendo nei bisogni
degli uomini la chiamata di Dio!
Fino al 2010 ha visto una sua prima stesura ed oggi è in fase di pubblicazione.
Gli obiettivi che si è posto il PCLR sono quelli di stimolare i laici rogazionisti a:
• Diventare promotori di una autentica cultura vocazionale nel mondo e nella Chiesa
di oggi;
• Consolidare e incentivare tutte le iniziative che favoriscono la formazione e la
spiritualità del Laicato Rogazionista;
• Impegnarsi nell’annuncio e nell’affermazione della Cultura Vocazionale in un mondo
in cui prevalgono scelte segnate dall’egoismo e dal relativismo etici;
• Testimoniare nella quotidianità l’impegno ad essere buon operaio della messe del
Signore, coltivando una buona vita di fede in una dinamica di continua conversione;
• Favorire la conoscenza ed il culto a S. Annibale, promuovendolo quale patrono delle
vocazioni, al fine di diffondere la preghiera per le vocazioni e la cultura vocazionale
nella Chiesa e nell’attuale società;
• Testimoniare nella quotidianità l’impegno a servire Gesù nei poveri, negli orfani, negli
emarginati, come da carisma.
Il Concilio continua ad essere così fonte di novità di vita per noi laici, che ancora oggi
abbiamo bisogno di approfondire e incarnare la presenza di Cristo sulle strade del mondo,
rendendoci sempre più coerenti e coscienti della nostra vocazione e missione nella
Chiesa.
5 Conferenza Episcopale Italiana, Con il dono della carità dentro la storia, 258, pag.32.
Contributo dell’UNIONE ASSOCIAZIONI ROGAZIONISTE
Pagina 91
UCID (UNIONE CRISTIANA IMPRENDITORI DIRIGENTI)
1. Il Concilio Ecumenico Vaticano II è stato nel dopoguerra il primo evento globale, che
riunì i vescovi delle due parti del mondo, nonostante la guerra fredda. Inoltre proiettò –
ben prima che si parlasse di globalizzazione - i cristiani europei nel mondo e diede una
spinta decisiva al tentativo di superare gli scismi cristiani. Il Vaticano II è una memoria
di speranza.
Tali istanze del Concilio si ritrovano nei movimenti e nelle associazioni ecclesiali. In
essi vi è uno slancio missionario e in alcuni una spiccata apertura ecumenica. La denominazione di “ecclesiali” viene dal fatto che il loro scopo è quello di presentare nella
Chiesa la sua articolazione come comunione organica tra varie vocazioni. E’ in fondo la
componente comunitaria ad essere esaltata, come si fece del resto in Concilio. Così
l’Esortazione apostolica Christifideles laici al n. 29, riprendendo il n. 18a del Decreto
Apostolicam actuositatem, e riferendosi in modo generale all’apostolato associato, afferma che esso è “un segno che deve manifestarsi nei rapporti di comunione sia all’interno che all’esterno delle varie forme aggregative nel più ampio contesto della comunità
cristiana”.
Per l’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID), la crescente coscienza comunitaria
degli imprenditori si è andata saldando con la valorizzazione della dimensione locale e
comunitaria della Chiesa inaugurata dal Concilio Ecumenico Vaticano II.
Proprio il percorso sul territorio dell’organizzazione ecclesiale, arrivando alle singole
comunità locali, doveva incontrare il tradizionale radicamento localistico dei nostri imprenditori. Questi, quindi, si trovano coinvolti non solo nel destino socioeconomico delle
singole comunità ma anche e specialmente nella loro qualità della vita, nella loro coesione
sociale, nella loro capacità di integrazione (dei giovani come degli immigrati), nel valore
della relazione con gli altri, nella stessa concezione di cosa è l’altro. Anche qui, in forma
addirittura più esplicita delle altre saldature, imprenditori e vita ecclesiale diventano
compagni di una stessa avventura storica ed esistenziale.
Il lungo periodo percorso dell’esperienza imprenditoriale italiana si è intrecciato con una
più lucida coscienza dell’imprenditore, con una crescita dell’ispirazione spirituale del
lavoro d’impresa, e via via con una progressiva saldatura con la dimensione religiosa, per
come essa è vissuta sia in azienda che nella società. Questo, però, non vuol dire che il più
è stato fatto: è stata operata una saldatura tra due dimensione – quella imprenditoriale e
quella spirituale e religiosa . che erano lontane e si consideravano operanti su livelli diversi.
Il percorso di questa convergenza è iniziato: occorre ora rafforzare l’impegno nel futuro.
E qui occorre un supplemento d’anima, e più precisamente un supplemento di ispirazione
cristiana. Imprenditori che credevano solo nella propria soggettività si sono progressivamente avvicinati alla dimensione religiosa. Una spinta ulteriore può venire solo se ci si
Contributo dell’UNIONE CRISTIANA IMPRENDITORI DIRIGENTI
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applica insieme a capire quale senso profondo di spiritualità l’imprenditore può e deve
ancora maturare.
E qui viene in mente un solo obiettivo: essere corresponsabili e testimoni di un dono: il
dono del creare. Se vuole, l’imprenditore può coniugarlo nel proprio lavoro come creare
impresa, creare prodotti, creare offerta, creare innovazione, creare occupazione. Ma sappia dentro di sé, e sappia testimoniarlo in pubblico, che il dono del creare non gli viene
da lui stesso, ma da una più alta opera divina della creazione.
La realtà dell’UCID favorisce questa presa di coscienza, tende a radicarla, portando a
frutto i grandi insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II.
2. Si ritiene che il Concilio Ecumenico Vaticano II abbia dato uno slancio nuovo alla
Dottrina Sociale della Chiesa che costituisce la guida fondamentale per un’associazione
come l’UCID con i tre momenti della conoscenza, della diffusione, dell’applicazione.
A due anni dalla chiusura del Concilio, giunge infatti la grande Enciclica Sociale di Paolo
VI: la Populorum Progressio del 1967. Lo sviluppo è fondamentale per la libertà dei popoli ed ha un significato ben più largo e profondo della semplice crescita economica,
perché coinvolge l’uomo con i suoi valori di libertà, responsabilità, dignità, creatività. Lo
sviluppo, ricorda Paolo VI, è il nuovo nome della pace. L’uomo deve rimanere al centro
di ogni processo di sviluppo perché è fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Sviluppo e bene comune sono due valori che devono procedere insieme per la crescita
integrale dell’uomo nella carità e nella verità. La carità è la misura massima della giustizia
e il suo valore teologico rafforza il legame tra Dio e l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza.
Lo spirito imprenditoriale nasce e si sviluppa nella famiglia secondo i valori che gli sono
propri. L’impresa a sua volta riversa nella famiglia i valori dello sviluppo per il bene comune, esaltando i due grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa che sono la solidarietà e la sussidiarietà. In questo modo, anche l’impresa può diventare luogo di
catechesi e riversare i suoi benefici sulle famiglie che costituiscono il nucleo fondamentale e primigenio della società secondo l’insegnamento cristiano.
Collegata alla Populorum Progressio è la Caritas in Veritate di Benedetto XVI del 2009.
Benedetto XVI, nella Caritas in Veritate, parla di vocazione allo sviluppo (dimensione trascendente e teologica) e di ruolo fondamentale dell’imprenditore, dell’impresa e dell’imprenditorialità. Tali categorie vengono citate nella Caritas in Veritate ben cinquanta volte:
non era mai successo nel pensiero sociale della Chiesa, nemmeno nella grande enciclica
Centesimus Annus di Giovanni Paolo II.
La Caritas in Veritate parla esplicitamente di Responsabilità Sociale dell’Impresa (RSI),
affermando che essa riguarda non solo il fare profitto per gli azionisti, ma anche i dipendenti, la risorsa più preziosa dell’azienda, le comunità locali, le istituzioni locali, i clienti,
Contributo dell’UNIONE CRISTIANA IMPRENDITORI DIRIGENTI
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i fornitori e tutti gli altri soggetti che hanno relazioni con l’impresa.
L’UCID ha ritenuto necessario differenziarsi dalla visione tradizionale della RSI, vista
spesso come mero strumento di marketing con i suoi vari distintivi puramente formali
(codici etici, bilancio etico-sociale, certificazione etica e così via), per parlare invece di
Responsabilità Imprenditoriale per il Bene Comune (RIBC). Il Centro Cardinale Giuseppe Siri ha elaborato, a questo riguardo, una serie molto interessante di indicatori per
misurare l’orientamento delle imprese al bene comune, per il momento testato sulle
aziende di maggiori dimensioni, ma in prospettiva destinato ad essere allargato alle imprese medie e piccole. I risultati finora raggiunti sono coerenti con l’ipotesi che i comportamenti etici delle imprese pagano nel lungo periodo, con un valore economico
superiore alle imprese con comportamenti non etici. Sono risultati incoraggianti che aumentano la nostra responsabilità a proseguire sul percorso intrapreso, alla luce dei grandi
insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II.
La profonda crisi che stiamo vivendo, e che purtroppo non è finita, impone una riflessione
sui fondamenti del modello di sviluppo dei popoli nel quadro dell’economia globale.
Anche questa crisi ci fa capire, come sempre è avvenuto nella lunga storia dell’uomo, che
i fondamenti dello sviluppo duraturo non possono essere solo economici, ma nel contempo culturali, etici e morali. In questo senso, appaiono profetiche le parole pronunciate
dal Cardinale Ratzinger in una conferenza del 1985: “Anche le energie spirituali sono un
fattore economico: le regole del mercato funzionano solo se esiste un consenso morale
di fondo che le sostiene”.
A cura di Giovanni Scanagatta
Contributo dell’UNIONE CRISTIANA IMPRENDITORI DIRIGENTI
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UCIIM
Il periodo che portò alla conclusione dell’ultimo concilio ecumenico rappresentò per
l’Uciim un momento di profonda attesa e di particolare attenzione per i pronunciamenti
che, di lì a poco dalla grandiosa aula conciliare della basilica vaticana, sarebbero stati diramati a tutti i credenti della Santa Romana Chiesa. Sono, in tal senso, illuminanti le parole di Cesarina Checcacci - importante presenza, fino alla fine degli anni ’90, della
politica scolastica italiana, terzo Presidente nazionale Uciim dal 1974 al 1997 e tra i primissimi membri dell’istituto secolare “Compagnia di Gesù Maestro” - che, durante gli
anni del Concilio Vaticano II, rivestì un ruolo centrale all’interno del direttivo dell’Unione
Cattolica Italiana Insegnanti Medi. La sua testimonianza da stretta collaboratrice di Gesualdo Nosengo - laico consacrato della “Compagnia di S. Paolo”, promotore della
“Compagnia di Gesù Maestro”, fondatore e primo Presidente dell’Uciim dal 1944 al
1968 - racconta come quest’ultimo, già riconosciuto, nel 2006, dalla Conferenza Episcopale del Piemonte “testimone del Cristo risorto, speranza di salvezza per il mondo”,
visse - sia dal punto di vista della produzione scientifica come pedagogista e catecheta,
sia da quello della testimonianza diretta come docente e responsabile dell’Uciim - un
impegno totale a favore dell’emergere di alcuni temi - tra questi, principalmente, quello
della partecipazione dei laici alla vita ecclesiale - che a distanza, anche di diversi anni,
verranno formalizzati dai documenti conciliari: “A riguardare, oggi, a tanti anni di distanza, la mia esperienza nelle iniziative volute dal Prof. Nosengo, debbo riconoscere
che a supporto di questa straordinaria volontà era, in primo luogo, un’intuizione teologica
ed ecclesiologica straordinaria, maturata nella preghiera e nella contemplazione a lui abituali per fedeltà quotidiana. Egli rivendicava ciò che allora, negli anni ’50, in particolar
modo, non era pacifico entro la comunità ecclesiale, ma che oggi è divenuto patrimonio
della Chiesa tutta, particolarmente a seguito del Concilio Ecumenico Vaticano II, delle
sue costituzioni, dei suoi decreti e del successivo Magistero dei Sommi Pontefici. Quando
io incontrai Nosengo, nel 1943-44, egli stava lavorando ad un libro al quale atteneva con
grande importanza, la cui idea portante era che ai laici, ai Christi fideles, spettava il dovere di rendersi consapevoli delle loro responsabilità anche apostoliche, da considerarsi
non compito eccezionale, ma normale conseguenza del Battesimo che li aveva incorporati
nella Chiesa. Connaturale, quindi, e non per esplicito mandato il dover fare della propria
vita una offerta continua ed una testimonianza dell’annuncio evangelico”1. Il volume, a
cui fa riferimento la Checcacci, è l’Azione apostolica dei laici pubblicato per le Edizioni
Studium nel ’45. Un testo che, oltre ad evidenziare la profeticità del suo Autore, denuncia
la necessità di fondare il Regno di Cristo a partire dalla quotidianità della vita laicale.
Questa, nelle sue diverse sfaccettature della vita famigliare e professionale, rappresenta
il presupposto da dove dovrà diramarsi un nuovo e più forte apostolato che “[…] se fa
tutto nello spirito dell’Evangelo, fa azione cattolica: edifica Cristo; alimenta il Corpo
mistico”2. Sottesa a tale affermazione è l’idea per la quale ciascuna persona - indipendentemente dalla scelta della consacrazione religiosa - ha la reale possibilità di assurgere
alla perfezione della vita cristiana facendosi, tutti i giorni, elemento teoforico che si
1Checcacci C., La spiritualità di Gesualdo Nosengo: alla scuola di Gesù Maestro, in Cavallotto G. (a c. di), Prima la persona. Gesualdo
Nosengo: una vita al servizio dell’educazione, Urbaniana University Press, Roma, 2000, p. 259.
2 Nosengo G., L’azione apostolica dei laici, Editrice Studium, Roma, 1945, p.15.
Contributo dell’UCIIM
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oppone, con forza, alle azioni nefaste del mysterium iniquitatis: “Agiscono innumerevoli
impulsi di male: il cristiano, portatore di Dio, con le energie attinte dalla Chiesa, reagisce
e le vince opponendo forze di bene. È questa la sua lotta: questa la sua prova. C’è per questo. Ed è un compito immenso: divino in un certo senso, perché anche per il suo tramite
- per il tramite di quello che egli, uomo, fa - il divino s’inserisce nel circuito umano e galvanizza, con potenza sovraumana, la debolezza di tutti. Si riflette in lui, uomo, così, l’incarnazione di Cristo, poiché in lui il Verbo seguita a realizzarsi nella società: a farsi
nutrimento degl’intelletti, ispirazione degl’istituti, poesia e arte, politica ed economia:
vita collettiva, fusa ed elevata da un’idea sovraumana”3.
I prodromi di un discorso innovativo
Gesualdo Nosengo, già nel ’34, ancora studente di pedagogia alla Cattolica di Milano,
scrive un libro - con prefazione di Mons. F. Olgiati pur se, l’anno successivo, si laureerà
in Pedagogia generale sotto la guida di M. Casotti - intitolato Armata d’avanguardia. Il
libro rappresenta un’articolata dichiarazione d’intenti utile ad individuare: sia le coordinate principali delle scelte di vita, che i centri d’interesse della successiva produzione
scientifica di Nosengo. In Armata d’avanguardia, pertanto, vi è un sentito appello acciocché i giovani credenti intraprendano un cammino verso il laicato consacrato atto a testimoniare Cristo, senza tuniche né sagrestie, dalle maglie più interne della società come
lavoratori e cittadini. È opportuno intendere questo orizzonte di significati, non solo
quale primo e fondamentale passaggio della riflessione nosenghiana, ma come direzione
costante della vita personale, religiosa e professionale di Gesualdo Nosengo: sia come
membro della Compagnia di San Paolo, sia quale fondatore dell’Uciim e, più tardi, della
Compagnia di Gesù Maestro. Proprio a partire da Armata d’avanguardia per passare, un
decennio dopo, al già ricordato testo L’azione apostolica dei laici - non dimenticando,
inoltre, i diversi scritti in merito all’educazione religiosa – si può intendere la trasversalità
e la pervicacia con la quale il Pedagogista, nel significativo intreccio degli oneri scaturenti
dalle non poche responsabilità quotidiane, porti avanti la giovanile convinzione: l’impegno autentico del professionista cristiano può realmente trasformare la vita sociale. Tutte
le persona, infatti, in virtù della loro naturale propensione alla socievolezza e attraverso
l’educazione scolastica che promuove in ciascuno il maggior grado di sviluppo di cui è
suscettibile sono, indistintamente, chiamate, ciascuna per sé, a farsi socius nell’esplicare
un’attività lavorativa e nel rispettare le leggi giuste dello Stato di cui sono cittadini. Quest’ordine, tuttavia, per Nosengo, è soltanto un prerequisito affinché ciascun uomo trasformi le intrinseche abilità sociali in virtù societarie e attraverso queste si apra ad una
vita d’amore e carità stabilendo un autentico equilibrio comunitario regolante i rapporti
interpersonali e transnazionali. L’aspirazione principale di Gesualdo Nosengo, così come
emerge dai sui scritti e dalla sua stessa biografia, consiste, quindi, nel quotidiano impegno
all’interno della società affinché questa, soprattutto attraverso l’educazione scolastica e
l’evangelizzazione, si informi, destituendo con forza i retaggi delle ideologie totalitarie,
all’umanesimo cristiano. Unico orizzonte di senso capace di edificare la civiltà integrale
quale comunità universale per l’uomo totale (individuale, sociale, morale e religioso, naturale e soprannaturale). Negli sforzi di Nosengo è, quindi, insita la volontà di una restau3 Nosengo G., L’azione apostolica dei laici, op. cit., pp. 15 -16.
Contributo dell’UCIIM
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razione cristiana dell’ordine temporale in stretta comunanza di intenti con quanto affermato dal Decreto sull’Apostolato dei Laici: “I laici […] hanno il proprio compito nella
Chiesa e nel mondo. In realtà essi esercitano l'apostolato evangelizzando e santificando
gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l'ordine temporale, in
modo che la loro attività in quest'ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e
serva alla salvezza degli uomini” (Apostolicam actuositatem, 2). Una più vigorosa presenza cristiana, quindi, che dovrà coinvolgere tutte le istituzioni, a diverso titolo, educative e tra queste, sicuramente, la scuola: “Anche le scuole, i collegi e gli altri istituti
cattolici di educazione devono promuovere nei giovani il senso cattolico e l'azione apostolica. Qualora questa formazione manchi, o perché i giovani non frequentano tali scuole
o per altra causa, la curino con tanto maggiore impegno i genitori, i pastori d'anime e le
associazioni. Gli insegnanti, poi, e gli educatori i quali con la loro vocazione e il loro ufficio esercitano una eccellente forma di apostolato dei laici, siano provveduti della necessaria dottrina e dell'arte pedagogica con cui potranno impartire efficacemente questa
formazione” (Apostolicam actuositatem, 30).
Pietà per chi soffre l’ignoranza
È opportuno fare, nel ricordare la straordinaria ricorrenza del 50esimo anno dall’apertura
del Vaticano II, un piccolo accenno ad un altro 50esimo che seppur meno rilevante del
primo ha con questo qualche attinenza. Il secondo anniversario, da ricordare nel 2012,
per la sua importanza all’interno del mondo scolastico ed educativo, è quello inerente alla
nascita della Scuola media unica. Con la Legge 31 dicembre 1962, n. 1859 veniva, infatti,
istituita, realizzando gli auspici dell’art. 34 della Costituzione, la Scuola media unica per
tutti i preadolescenti italiani. Il provvedimento legislativo rappresentò la condizione necessaria per un ripensamento della scuola di avviamento e per una conseguente democratizzazione dell’accesso all’istruzione secondaria di primo livello per centinaia di
migliaia di ragazzi. Gesualdo Nosengo e l’Uciim furono assoluti e coraggiosi protagonisti
di questa stagione di riforma che, senza alcun dubbio, è la più importante del secondo dopoguerra. Attraverso la nuova scuola media si riuscì a dare risposta alla crescente domanda formativa dell’Italia degli anni ’60, dando vita ad una struttura scolastica,
maggiormente attenta ai contenuti disciplinari ed educativi, che ad un primo periodo di
cultura generale, scuola primaria, avvicendasse un secondo periodo di sviluppo orientativo, scuola media, capace di guidare l’adolescente verso la scelta significativa della
scuola superiore.
Ad apertura del Concilio, all’interno di uno dei primissimi documenti, Gesualdo Nosengo
e l’Uciim trovarono, immediatamente, la ragione per la quale si faceva doveroso continuare a prodigarsi, in quel lungo sforzo iniziato diversi anni prima, a favore della nascita
della scuola media unica: “Rivolgiamo continuamente il nostro animo verso tutte le angosce che affliggono oggi gli uomini; perciò innanzitutto le nostre premure si volgono
verso i più umili, i più poveri, i più deboli; sull’esempio di Cristo sentiamo pietà per la
folla che soffre la fame, la miseria e l’ignoranza” (Messaggio dei Padri Conciliari al
mondo, 20 ottobre 1962). Tale messaggio fu, giustamente, interpretato da Nosengo come
Contributo dell’UCIIM
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un importante segnale di conferma: la Chiesa docente aveva la sua medesima pietà - vera
ragione di fondo che lo spinse a farsi fautore della riforma del ’62 - per coloro i quali avevano inadeguata istruzione: “Nel messaggio è detto che il Sommo Pontefice e i Vescovi
di tutto l’orbe sentono pietà per la folla che soffre...l’ignoranza. Questo ci ricorda la significativa espressione contenuta nel Vangelo di S. Marco (cap. VI, v. 34) dove è scritto:
Gesù vide una folla numerosa e ne ebbe pietà, perché erano come pecore che non hanno
pastore e si mise ad insegnare loro molto cose. A coloro per cui sente pietà Gesù subito
provvede mettendosi loro ad insegnare. Si è soliti sentire pietà per coloro che non hanno
sufficienti mezzi per nutrirsi, per vestirsi, per ripararsi dalle intemperie, ma non è comune
il sentimento di pietà per coloro che non hanno avuto sufficiente istruzione. Eppure essi
sono privati di un bene di valore assai superiore e più durevole dei beni materiali”4. Il
primo Presidente dell’Uciim si poneva - nell’esprimere l’idea per la quale l’accesso alla
cultura doveva essere esteso a tutti, adeguando l’insegnamento allo sviluppo cognitivo
di ciascun alunno - su posizioni avanzatissime nient’affatto condivise nell’Italia degli
anni ’60 che chiedeva alla scuola severità e selezione. In quegli anni, infatti, il possedere
la cultura veniva ancora inteso - in stretta continuità con la tradizione liberale e gentiliana
- in termini del tutto individualistici, per utile profitto personale e/o per vanitoso autocompiacimento. La cultura, invece, di rappresentare un valore perseguibile da tutti era
piuttosto intesa quale simbolo di distinzione e separazione tra le persone; alla stregua di
un altro fattore che, assieme alle diseguaglianze socio-economiche, marcava la differenza
di status tra la classe dirigente e quella subalterna. Gesualdo Nosengo, tuttavia, nella sua
battaglia contro l’ignoranza dei giovani – a favore di circa un milione e mezzo di preadolescenti italiani che non riceveva istruzione media inferiore – perseguiva altri e ben più
importanti significati. Nosengo, infatti, al di là delle giuste preoccupazioni di politica
scolastica e pedagogiche, pensava alla cultura quale aspetto fondamentale per la vocazione integrale della persona. La cultura come strumento attraverso il quale offrire, soprattutto ai giovani, un’altra importante possibilità di avvicinarsi, a partire dallo studio
delle forme sensibili, alla contemplazione graduale e ascendente della Forma suprema5.
L’Uciim nello spirito del Concilio
L’ideazione dell’Uciim, a cui Nosengo dedicò oltre vent’anni di indefesso impegno,
nasce all’interno di questo orizzonte valoriale e si traduce nell’intento di aumentare la
presenza cristiana nella scuola di tutti. Da qui l’impegno necessario, non solo nel difendere gli istituti afferenti alla FIDAE, ma anche e soprattutto le scuole pubbliche dove la
maggior parte delle famiglie iscrive la propria prole per l’espletamento del diritto-dovere
all’istruzione. È, propriamente in questo campo, che l’Uciim, sulle orme di Nosengo,
cerca - parafrasando il titolo di un testo delle Edizioni Uciim del ’66 - la “traduzione
educativa del Concilio”. Innanzitutto - come suggerito dalla Costituzione Pastorale Gaudium et spes - collaborando all’interno del consorzio civile: sia, attraverso l’impegno
educativo, per la costruzione di un mondo più attento alla persona; sia, attraverso l’impegno scolastico, per far si che la cultura umana acquisti un posto importante nella vo
cazione integrale dell'uomo (Gaudium et spes, 57). Necessario, a questo scopo, alimentare,
4 Nosengo G., Pietà per la folla, “La scuola e l’uomo”, Anno XIX - n. 11, Novembre 1962, p. 1.Cfr.
5 Nosengo G., La verità nella scuola, Edizioni Uciim, Roma, 1953, pp. 7-8.
Contributo dell’UCIIM
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all’interno della stessa realtà associativa, la spiritualità professionale di ciascun iscritto
che assume su di sé, riversandolo nell’esercizio della professione docente, l’impegno di
informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi (Apostolicam actuositatem, 13c).
Il docente, nella prospettiva di significati promossi dall’associazione in stretto accordo
con i documenti conciliari, è chiamato all’esercizio di una professionalità capace di congiungere, per il bene superiore della persona dell’alunno, gli aspetti tecnico-procedurali
con quelli valoriali e morali. È chiaro, quindi, come nell’insegnamento l’obiettivo didattico debba rappresentare, sempre e comunque, un sottoinsieme di quello educativo. In tal
senso appare in tutta la sua insufficienza l’idea, perorata da molti, di una scuola tutta
protesa nel solo perseguire l’insegnamento delle discipline che incurante della cogenza
del compito educativo si fa neutrale rispetto ai temi connessi all’educazione morale, sociale e religiosa dei giovani: “Se si vuol dire che la scuola non deve essere settaria, che
non deve essere legata ad un partito, siamo tutti d’accordo e siamo noi i primi a chiedere
che sia neutra. Ma se questa frase volesse significare che la scuola deve ignorare la religione e cioè una grande zona della verità, della verità riconosciuta dai più come la fondamentale per la vita, non siamo e non possiamo più essere d’accordo. Una scuola che
ignori deliberatamente o, peggio, nasconda la verità, proprio quella che, invece, ha il dovere d’insegnare, non può più portare con diritto il titolo di educativa. La neutralità in una
scuola educativa non può esistere”6.
E proprio in questo contesto, in una visione cioè di una scuola che educhi globalmente,
va segnalato l’impegno continuo che l’Associazione ha profuso, prima e dopo il rinnovo
del Concordato del 1984, per la valorizzazione dell’Ora di Religione Cattolica a scuola
e per la tutela dei suoi docenti.
L’Uciim, nel vero spirito del Concilio, non divide l’attività professionale dalla vita religiosa, anzi cerca dalla prima l’alimento vitale della seconda: “Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile, ma che cerchiamo quella futura,
pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che, invece, proprio la fede li obbliga di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno. A
loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente
nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale
consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali. La
dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana,
va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo” (Gaudium et spes, 43). Un tale fondamento religioso e valoriale alla base della vita associativa è, inoltre, la premessa attraverso la quale quest’ultima si apre al dialogo con chi, diversamente da essa, ha altre idee
e rifermenti valoriali. L’Uciim in questa volontà di non arroccamento ideologico, senza,
però, barattare i propri riferimenti valoriali, affronta le tante sfide connesse all’educazione
e alla scuola nella convinzione che: “Il rispetto e l'amore deve estendersi pure a coloro
che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di vedere,
tanto più facilmente potremo con loro iniziare un dialogo” (Gaudium et spes, 28).
6 Nosengo G., L’insegnamento della religione, “La scuola e l’uomo”, Anno III - n. 4, Aprile 1946, p. 3.
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Un’apertura al dialogo che lontana dalle trappole del politically correct non è fine a se
stessa, ma strumento attraverso il quale trovare opportune risposte alla crescente e complessa domanda formativa che emerge dalle famiglie: “All’Uciim, pertanto, il difficile
compito di dare il proprio qualificato e disinteressato contributo alla realizzazione di una
scuola rinnovata in grado di dialogare e collaborare, una scuola in cui convergano, per
la formazione integrale dei giovani, le competenze, la professionalità, la deontologia dei
docenti e dei dirigenti, la cooperazione coi genitori, i rapporti con le realtà locali”7 nell’auspicio “di fare grande la scuola italiana affinché sia sempre più rispondente ai valori
della persona, ai valori di una società morale, libera, solidale e pacifica, che sappia trovare
i suoi fondamenti nella dimensione religiosa”8. Queste le parole che, a 50 anni dal Vaticano II, mostrano come l’Uciim incarni nel suo operato lo spirito del Concilio facendosi
strumento di servizio per tutti coloro i quali, a diverso titolo, operano nella scuola e nell’educativo.
L’attuale presidente dell’UCIIM, Giovanni Villarossa, nel n. 1 de “La Scuola e L’Uomo”
del 2010 così manifestava il suo pensiero in continuità con il Fondatore: “Dal Congresso
appena celebrato è emersa una esplicita esigenza di crescita dell’Unione e il desiderio
d’impegno nella diffusione dei nostri valori, fedeli al messaggio evangelico e alle indicazioni programmatiche ed operative che da esso discendono per i docenti, i dirigenti e
i formatori.
Si tratta di un impegno di presenza da assumere, all’interno del contesto pluralistico della
scuola italiana, da singoli o in gruppo, per sollecitare e attivare il confronto dialogico
unitamente alla quotidiana ricerca di coerenza nelle convinzioni, nelle proposte, nel modo
di agire. Si impone l’istanza di un rinnovamento delle dinamiche relazionali e metodologiche all’interno dell’Unione per poter affrontare e approfondire indagini sui temi dell’educazione e della scuola, per favorire l’individuazione e la diffusione di idee
innovative e regolative nel nostro operare con i giovani (insieme ai genitori, in un processo di continua interazione con la società del cambiamento), per non cedere a posizioni
di passiva assimilazione dei condizionamenti sociali, per rivedere ed aggiornare costantemente una professionalità sempre più complessa. Impellente risulta anche la necessità
di affrontare criticamente le continue innovazioni proposte dal sistema della comunicazione multimediale per tentare di essere, nella misura a ciascuno consentita e nell’ambito delle singole responsabilità, operatori d’innovazione significativa” .
7 Falletta A., Mastrandrea C., Pacifico M., L’Uciim in dialogo, “La scuola e l’uomo”, Anno LXIX - n. 3-4, Marzo-Aprile 2012, p. 27.
8 Ibidem.
Contributo dell’UCIIM
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UNITALSI
L'incontro con il Signore è avvenimento che trasforma e trasfigura la nostra vita, collocando la nostra esistenza in un orizzonte nuovo nel quale vivere il mistero del Dio Uno
e Trino, l'evento di salvezza attraverso il quale il Padre nella pienezza dei tempi manda
il Figlio affinché mediante la sua passione, morte e resurrezione redima il mondo e doni
lo Spirito Santo che guida la Chiesa nell'attesa del suo ritorno glorioso1. Tale evento è
tratto caratteristico del nostro vivere, elemento distintivo del cristiano che approccia i
suoi giorni nella prospettiva di una vita nuova colorata e vivificata di speranza: pur non
sapendo nei particolari cosa lo attende è però ben consapevole che ogni giorno è per lui
come porta spalancata verso l’incontro col Signore2; la creatura anela così al suo Creatore,
uomini e donne di ogni tempo che inseguono e cercano Colui che dona senso all’esistenza, innamorati che gridano al loro Signore e vivono la sollecitudine della Chiesa nel
saper cogliere e leggere i segni dei tempi mediante una sensibile opera di discernimento
affinché Dio sia presente nelle pieghe del nostro mondo e ciascun uomo possa incontrarlo3. L’esperienza del pellegrinaggio, così cara all’Unitalsi, può essere utilizzata come
metafora per rileggere il cammino di fede del cristiano; non a caso tale tema, oltre a caratterizzare i racconti biblici, ritorna anche nei vari documenti conciliari: lungo questo
peregrinare - che vuole essere passaggio attraverso la porta della fede verso l’incontro con
Cristo - il credente impara a scrutare i segni dei tempi e ad interpretarli alla luce del Vangelo (GS 4)4. In questa avventura tuttavia l’uomo non è solo, creatura isolata e egoista,
bensì la sua vocazione - e quindi la sua partecipazione al progetto di salvezza - implica
in sé il comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo (GS 24). Si tratta di una
sfida costante propria dell’agire missionario e al contempo premurosa attenzione al contesto culturale e sociale nel quale l’uomo vive; del resto tutta la storia della salvezza è simile ad un pellegrinaggio educativo, una sorta di viaggio pedagogico lungo il quale Dio
progressivamente educa il suo Popolo e lo prepara all’incontro col Figlio, tappa e meta
del nostro errare verso la salvezza. La Chiesa individua proprio nell’emergenza educativa
l’orizzonte nel quale collocare gli sforzi perché le nostre comunità possano quotidianamente sperimentare la forza sanante e liberante che scaturisce dell’incontro col Cristo e
il suo Vangelo5.
L’immagine dell’uomo come pellegrino è quindi salda nella nostra mente: sarà forse perché le sue prime gesta – certamente non lodevoli – lo costringono a levar le gambe fuori
dall’Eden verso quei faticosi giorni impastati di spine e cardi (Gen 3,14-24). Ma le stesse
1 Cfr. BENEDETTO XVI, Porta fidei, LEV, 2012, 1.
2 Cfr. BENEDETTO XVI, Spe Salvi, LEV, 2007, 2.
3 Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla lue del Vangelo, così
che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura
e sulle loro relazioni reciproche (GS 4).
4 L’Unitalsi è un’Associazione pubblica di fedeli che, in forza della loro fede e del loro particolare carisma di carità, si propongono di
incrementare la vita spirituale degli aderenti e di promuovere un’azione di evangelizzazione e di apostolato verso e con le persone ammalate, disabili e in difficoltà, in riferimento al messaggio del Vangelo e al Magistero della Chiesa” (art. 1 Statuto); L’Associazione attua
il fine di cui all’articolo precedente anche svolgendo un servizio verso e con le persone ammalate, disabili e in difficoltà, promuovendo
il culto Mariano mediante la preparazione, la guida e la celebrazione di pellegrinaggi a Lourdes e ai Santuari Italiani e Internazionali
(art. 2 Statuto).
5 Cfr. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 4.
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pagine bibliche raccontano il ricongiungimento ultimo, l’arrivo presso la Gerusalemme
celeste dove saranno beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della
vita e potranno entrare per le porte nella città (Ap 22,14). Saggiamo dunque la palese
evidenza che il credente è pellegrino in virtù della sua fede in Cristo Gesù: è la fede a infondere la speranza nei suoi passi, muovendoli verso una meta che abiterà - completamente e definitivamente – solo al termine della sua tappa terrena. E in questo grande
viaggio un posto – certo e preminente – hanno senza dubbio coloro che contribuiscono
con i loro patimenti al progetto di redenzione e sospingono la Chiesa peregrinante sulla
terra all’intima unione con quella celeste (LG 49-51); a loro – come ad ogni pellegrino
– vanno assicurati i presupposti perché la malattia, prima spirituale e poi fisica, non
diventi un ostacolo a vivere in pienezza quelle esperienze che rinsaldano la fede.
Per-correre la vita buona del Vangelo significa ribadire con convinzione che il cammino
di fede della Chiesa peregrinante sulla terra è illuminato da Cristo, luce delle genti: una
luce che splendendo in modo particolare sul volto della Chiesa, intende raggiungere tutti
gli uomini per annunciare il Vangelo di salvezza, specie quando piagati dalla malattia,
dalla sofferenza e dalla disabilità6.
Per-correre la vita buona del Vangelo significa svoltare per la strada verso il Regno equipaggiati degli strumenti di viaggio necessari per giungere alla meta, ricordandosi che la
Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo,
sentendola, insieme alla Sacra Tradizione, come la regola suprema della propria fede
(DV 21); ed è per questo motivo che sua preoccupazione è di raggiungere una intelligenza
sempre più profonda delle Sacre Scritture per poter nutrire di continuo i suoi figli con la
Divina Parola; e compito di tutti i fedeli è di apprendere Gesù Cristo con la frequente lettura della Sacra Scrittura accompagnata dalla preghiera7.
Per-correre la vita buona del Vangelo significa abitare il nostro tempo con lo spirito del
pellegrino al quale il Signore chiede di compiere scelte responsabili alla luce della fede,
partecipando consapevolmente, pienamente e attivamente all’azione liturgica della
Chiesa (SC 14), attraverso la quale si attua l’opera della nostra redenzione (SC 2 e 6) e
si offre al credente l’esperienza dell’incontro con Cristo, sempre presente nella sua Chiesa
e in modo speciale nelle azioni liturgiche (SC 7)8.
Per-correre la vita buona del Vangelo significa aumentare la qualità della nostra testimonianza e ravvivare l’amore verso Dio e verso il prossimo declinandolo - all’interno dell’esperienza associativa dell’Unitalsi - come servizio “verso e con” le persone malate,
6 La Chiesa dunque diventa il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (LG 1): lungo tale
percorso di salvezza si incammina il popolo di Dio, il popolo della nuova e perfetta alleanza in cui il sacerdozio comune dei fedeli - inaugurato dal battesimo – e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente non solo di grado, sono tuttavia
ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo (LG 10).
7 La centralità della parola nella vita della Chiesa è stata recentemente ribadita dal Sommo Pontefice: <<Pertanto, esorto tutti i fedeli
a riscoprire l’incontro personale e comunitario con Cristo, Verbo della Vita che si è reso visibile, e a farsi suoi annunciatori perché il
dono della vita divina, la comunione, si dilati sempre più in tutto il mondo. Infatti, partecipare alla vita di Dio, Trinità d’Amore, è gioia
piena. Ed è dono e compito imprescindibile della Chiesa comunicare la gioia che viene dall’incontro con la Persona di Cristo, Parola
di Dio presente in mezzo a noi>>; Cfr BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postdsinodale Verbum Domini, LEV, Città del Vaticano, 2010, 2.
8 Nella liturgia terrena noi partecipiamo alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo
come pellegrini (SC 8).
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disabili e sofferenti, svolgendo in tal modo un servizio dal carattere anche sociale, oltre
che spirituale, fino al punto di poter considerare il valore delle aspettative e delle
necessità di quelle categorie di persone quali diritti da inserire a pieno titolo nella promozione del bene comune a cui il Concilio Vaticano II fa riferimento (GS 26)9.
Il nostro percorrere la vita buona del Vangelo ci porta inevitabilmente a varcare la Porta
della fede (At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio: è una porta sempre
aperta che immette nella famiglia ecclesiale e allarga il nostro orizzonte anche verso il
mondo della malattia, della sofferenza e della disabilità; proprio quest’ultimo tema
chiama in causa ciascuno di noi, personalmente e insieme, come associazione di fedeli
al servizio dei malati: la fede in Gesù Cristo unico Salvatore ci spinge verso il banchetto
celeste senza rifiutare o rinnegare il passaggio attraverso la croce. Il vincolo coniugale
tra Creatore e creature vorrebbe essere patto saldo e inconfutabile, abbraccio serrato che
conosce ogni benedizione; eppure la creatura barcolla e geme quando l’esperienza del dolore si affaccia come ospite sgradito e inatteso, fino a diventare stabile convivente al
quale non si intende riconoscere alcun legame parentale. Proprio la fede allora rivela tutta
la sua capacità di accogliere la misteriosa esperienza del dolore e della sofferenza, coniugando modi, tempi e persone al ritmo di una voce sola, brezza leggera che rinfresca e profuma di nuovo il talamo nuziale.
Fede e sofferenza si misurano e si guardano in un frangente di silenzio eterno, scheggia
di vita che può degenerare in abisso di disperazione, scintilla di passione che può incendiare cuori e giorni. Sofferenza e fede si fronteggiano in una rischiosa danza, l’una capace
di affondare il passo letale della separazione, l’altra sempre disposta a ribadire e ricomporre l’acuto del connubio. E di passo in passo, e di strofa in strofa, fede e sofferenza tessono le trame dell’esistenza, offrendo alle creature la possibilità del senso: un senso che
non annulla la dimensione del dolore, semmai lo contempla; un senso che non deride
fallimenti e scoraggiamenti, semmai li compatisce e trasfigura; un senso che trapela dapprima timido e impacciato e poi trasale nel grembo fino a diventare novello “si”; un senso
che trafigge smarrimenti e naufragi, e sferra un colpo deciso all’incredulità10.
Ci accompagna in questo pellegrinaggio la Beata Vergine Maria, la donna esemplare che
<<porge alla Chiesa lo specchio in cui essa è invitata a riconoscere la propria identità,
gli affetti del cuore, gli atteggiamenti e i gesti che Dio attende da lei. Con questa disponibilità, ci poniamo sotto lo sguardo della Madre di Dio, perché ci guidi nel cammino dell’educazione>>11. A colei che ha risposto all’annuncio dell’Angelo come Madre dei
credenti affidiamo il cammino della Chiesa attraverso la Porta della fede!
9 SINODO DEI VESCOVI, XIII Assemblea Generale Ordinaria, La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, Instrumentum Laboris, LEV, 2012, 158.
10 Cfr. L. SAPIENZA (Ed), Paolo VI. L’anno della fede, Edizioni Viverein, 2012, 40: <<Fede è propriamente una risposta al dialogo
di Dio, alla sua Parola, alla sua rivelazione. È il “si”, che consente al Pensiero divino di entrare nel nostro; è l’adesione dello spirito, intelletto, volontà, ad una verità che si giustifica non per la sua evidenza diretta, scientifica, come si dice, ma per l’autorità trascendente
di una testimonianza, a cui non solo è ragionevole aderire, ma intimamente logico per una strana e vitale forza persuasiva che rende l’atto
di fede estremamente personale e soddisfacente>>.
11 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, cit, 56.
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MOVIMENTO DI SPIRITUALITÀ VIVERE IN
“Il Concilio Ecumenico Vaticano II, come pure il magistero postconciliare, hanno prestato speciale attenzione alle forme aggregative di partecipazione nella vita della Chiesa,
manifestando nei loro confronti la loro profonda stima e considerazione (cfr. Apostolicam
Actuositatem 18. 19. 21)”: così recita il Decreto di approvazione emanato dal Pontificium
Consilium pro laicis in data 8 dicembre 2001; l’8 dicembre, la stessa data di conclusione
della grande Assise Ecumenica nel 1965.
L’approvazione pontificia è stata la tappa solare nel cammino del Movimento di Spiritualità Vivere In: è la Chiesa che ha incorporato l’Aggregazione e l’ha riconosciuta parte
di Sé. Non è solo un atto giuridico, di per sé prezioso, il riconoscimento del Movimento
di Spiritualità “Vivere In” come Associazione privata internazionale di fedeli, di diritto
pontificio, con personalità giuridica; è un mistero di Grazia donata che dà vigore e stabilità a questa piccola cellula del “Corpo di Cristo” che è la Chiesa.
L’alba, la prima intuizione sul Movimento di Spiritualità “Vivere In”, risale al tempo immediatamente preconciliare, al 1958. Luogo: la Trappa delle Tre Fontane, in Roma, dove
l’Apostolo Paolo suggellò il suo amore per Cristo realizzando con l’effusione del sangue
il suo “cupio dissolvi”.
Il fondatore del Movimento, don Nicola Giordano, sacerdote della diocesi di Conversano-Monopoli, docente presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI di Molfetta,
ispirato dallo Spirito Santo, maturò l’idea di un movimento per laici, dalla spiritualità fondata sulla Parola di Dio, con le coordinate ardite della dimensione trinitaria, cristocentrica
e mariana e con la vastità di orizzonti apostolici che abbracciassero tutto l’umano: l’identità, il pensiero, la storia, la cultura, la politica. Il testo sacro maggiormente determinante
nella sua ispirazione fu l’affermazione paolina al capitolo 8 della Lettera ai Romani, riportata nel Decreto pontificio citato: “Predestinati ad essere conformi all’immagine del
Figlio suo perché Egli sia il primogenito tra molti fratelli”.
Seguirono dieci anni di preghiera, riflessione, maturazione di idee costitutive che trovavano via via la loro conferma nel Magistero conciliare. Intanto, la necessità vitale dello
studio della Parola; così la Dei Verbum al n. 25: “... il Santo Concilio esorta con ardore
e insistenza tutti i fedeli ad apprendere ‘la sublime scienza di Gesù Cristo’ con la frequente lettura delle Scritture”. Il Movimento chiede fin dal suo sorgere come impegno
prioritario lo studio amoroso, “come apis argumentosa”, della Parola di Dio e la conoscenza dei Padri della Chiesa (come lo stesso Documento conciliare raccomanda al n. 23).
Mentre il Concilio si svolgeva e ne venivano promulgati i documenti, il Movimento compiva i primi passi con notevole forza propulsiva, pur nella povertà dei mezzi, e si giunse
alla prima approvazione diocesana nel 1968, primavera del post-concilio e tempo di
grandi sussulti di trasformazione socio-culturale.
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Una seconda connotazione del patrimonio di pensiero del Movimento di Spiritualità “Vivere In” è la visione antropologica: l’Incarnazione del Verbo di Dio ha donato ad ogni
figlio d’uomo la preziosità della divinizzazione; l’uomo, pur nella sua finitudine creaturale, porta in sé il germe infinito di Dio. La “Gaudium et Spes” al n. 22 afferma: “In
realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell’uomo...
Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò
stesso essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità sublime. Con l’incarnazione il
Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”: è l’antropologia a fondamento del
Nuovo Umanesimo che il Movimento persegue, propone e cerca di attuare nei vari ambiti
dell’umano.
Una ulteriore luce del Magistero conciliare circa il pensiero e gli orizzonti apostolici del
Movimento di Spiritualità “Vivere In” viene dal Decreto Apostolicam actuositatem. Il
Decreto dice ai laici: “Immenso è il campo di apostolato che si apre nell’ordine nazionale
e internazionale, dove sono specialmente i laici ad essere ministri della sapienza cristiana.
(...) si sentano (i laici) obbligati a promuovere il vero bene comune” (AA 14). È un servizio che dall’inizio, e oggi con maggiore urgenza, il Movimento propone: un servizio
continuo, molto spesso silenzioso, che non fa notizia, perché l’interiorità che cresce non
fa rumore. Più generazioni di giovani si sono formate grazie a questo servizio e ora sono,
a loro volta, operatori convinti e fedeli.
Dall’inizio del Concilio Vaticano II sono passati cinquant’anni: è più che mai importante
la traditio del deposito di dottrina che è decisamente un tesoro di sapienza per la Chiesa
e l’umanità di oggi e degli anni a venire.
Dai documenti del Movimento si legge: “In sintesi animare l’ambiente sociale, diventare
ministri della sapienza cristiana, assumere il compito di rinnovamento dell’ordine temporale sono le finalità specifiche di tutto il Movimento Vivere In”. Riecheggia l’insegnamento del Concilio Vaticano II che all’interno di questo orizzonte di apostolato indica
alcune urgenze: la famiglia, la cultura umana, la vita economico-sociale, la vita politica...” (cfr GS 46).
Sono questi i settori operativi che il Movimento cerca di tenere vivi aggiornando i metodi
e i linguaggi nella convinzione che i laici debbano saper “ascoltare attentamente, docilmente, delicatamente i suggerimenti, i desideri di Dio attraverso un’attenzione costante
alla storia” per cogliere e interpretare i pensieri, i movimenti, le ansie e le attese dell’umanità e cercare insieme ai fratelli la risposta unica: Cristo Gesù Via, Verità e Vita.
Contributo di VIVERE IN
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