ALIMENTAZIONE NELLA TERZA ETA’. TRADIZIONI E SIGNIFICATI SOCIO-CULTURALI DEL CIBO. «Essere nutriti per decenni, dall’infanzia alla vecchiaia, di pochi piatti, materni, sempre riconoscibili, stagione dopo stagione, ha consentito a tanti di loro di arrivare agli ottanta e novanta anni e oltre. Più invecchio e più vado cercando i cibi e i mangiari poveri di una volta, quando la fame era più fame e col pane si mangiava anche la fantasia» Introduzione In tutte le società industriali si è sviluppata la consapevolezza dell’importanza dei problemi della salute e vi è una sostanziale ricerca di migliorare la qualità della vita. Il passaggio da una condizione di benessere a quella di malattia, oltre che a coinvolgere lo stato fisico, ha in età senile, più che in altri periodi dell’esistenza, implicanze psicologiche e sociali. Non sempre l’individuo ha la consapevolezza dei numerosi fattori che incidono sulla trasformazione lenta e progressiva del suo organismo che invecchia. E l’alimentazione gioca qui un ruolo fondamentale. Essa oggi ha acquisito un complesso ampliamento delle conoscenze sulla composizione dei vari nutrimenti e sulla fisiopatologia umana, che la scelta di un alimento al posto di un altro diventa un atto culturale. Si tratta di una scelta che l’uomo opera nell’ambiente in cui vive e che, caratterizzando il suo comportamento, si traduce in sostanza in un fatto di cultura, che trova profonde radici nella tradizione e nella collocazione etico-politica dell’individuo e della sua comunità naturale. Il comportamento alimentare, specie nel soggetto in età presenile e senile, non può più affidarsi a criteri istintivi, stagionali e geografici, come in passato, per il fatto che oggi disponiamo di una enorme varietà di alimenti in tutti i mesi dell’anno, ed abbiamo inoltre, ampliato in modo imponente le conoscenze sulla loro composizione ed il loro coinvolgimento causale in problemi di fisiopatologia umana. Al modo di alimentarsi sono collegate la qualità e la quantità dei cibi, il sapore, la capacità di gusto, la convivialità. Questi aspetti della nutrizione dovrebbero intrecciarsi fra loro in modo armonico, ma nella realtà dell’anziano sono spesso compromessi in seguito a modificazioni fisiche, psichiche, sociali ed economiche. Se i cibi sono consumati in un ambiente famigliare ricco di calore umano anche il saper assaporare e gustare assumono un significato importante. La varietà del cibo, il modo di presentarli a tavola sono elementi fondamentali per aiutare il buon gusto e la convivialità. Tutti questi aspetti vengono meno se la persona si trova in uno stato di solitudine, vive isolata, ed è povera. In questi casi può facilmente insorgere uno stato nutrizionale carenziale. Ma per comprendere l’importanza che assurge il cibo e l’alimentazione per la persona anziana è necessario conoscere, la storia e il tempo in cui sono cresciuti e nutriti, il significato sociale e culturale che l’alimentazione veicola, nel rispetto delle loro tradizioni e identità. Significati sociali della tradizione alimentari Gli anziani, che nella nostra società appaiono soggetti deboli perché deprivati di quel sapere e quelle competenze consoni alla complessità di un mondo dominato dai codici della tecnologia, assurgono invece a soggetti forti perché conoscitori e gestori di codici indubbiamente più arcaici, ma proprio per questo radicati e fondativi di un’identità, una cultura enogastronomia che deve divenire oggetto di insegnamento per favorire il recupero e il consolidamento di tradizioni locali che rischiano di sparire a fronte di un sistemamondo globale. Se pensiamo al concetto di gusto, possiamo pensare alla conoscenza delle specialità tipiche della propria terra come il risultato del processo di “socializzazione culinaria” favorito dalla trasmissione da generazione a generazione di sapori, predisposizioni, accostamenti. La condivisione del cibo introduce le persone nella medesima comunità, le rende membri della stessa cultura alimentare. Pertanto il cibo è strumentale nel sottolineare le differenze tra le culture e serve a rafforzare l’identità di gruppo. Esso è vita, è immerso nel dinamico divenire della nostra società e come tale, anche quando salvaguarda i suoi coefficienti di genuinità, localismo, particolarità, si deve adattare ai tempi che cambiano. Il cibo, il buon cibo tipico, diviene simbolo e metafora di un modo buono di stare assieme, in buona compagnia, in salute e in allegria. Il buon cibo è qualcosa che non si improvvisa, è un sedimento di storie personali e collettive, di gusti, sapori, di territori, di diversità non solo sociali, ma di sesso e di età. E’ un sedimento per chi lo crea e per chi lo gusta, ad ambedue il cibo che meriti tale nome chiede di essere partecipi di una storia, la sua storia, a volte consciamente espressa, il più delle volte sussurrata da un pullulare di segni che comunicano all’inconscio. Il cibo della tradizione aiuta ad entrare nel senso di universi affettivi complessi e positivamente connotati e nel contempo trae senso da questi stessi universi. Le pratiche alimentari costruiscono e ricostruiscono la continuità e la permanenza della vita quotidiana, proiettandola in un passato di certezze e dando spessore alla sua “realtà”. Inoltre identificano una implicita o esplicita corrispondenza fra gerarchia dei valori alimentari e la gerarchia dei gruppi sociali o la gerarchia delle sfere di produzione e di acquisizione del cibo. Le norme che distinguono ciò che è edibile da ciò che non lo è risentono di una sorte di relativismo socio-culturale e temporale. Le differenze si manifestano tra diverse culture e società, all’interno di medesimi gruppi etnici nelle fasi di vita, nei momenti dell’anno, nelle classi sociali e nei singoli individui. Alcuni prodotti vengono considerati cibi, così come sono, altri lo diventano solo se preceduti da una specifica preparazione, pulitura, taglio o cottura. Il processo di introduzione di nuovi cibi all’interno di contesti socio-culturali differenti da quelli d’origine deve tenere in considerazione i primi e la percezione di tali cibi che si verifica in essi. Affinché un cibo diventi popolare in un nuovo contesto rispetto a quello d’origine, è necessario che venga integrato negli schemi percettivi e di consumo degli individui. Per fare ciò, è necessario conoscere la cultura e le tradizioni della vita quotidiana. In base a questo si possono distinguere : Contesti culturali più elevati, in cui le tradizioni e le pratiche culturali influenzano fortemente la vita quotidiana. In tali culture sono centrali le interazioni sociali e le relazioni interpersonali. In contesti culturali elevati vige il rispetto per le tradizioni e le pratiche tramandate nel tempo e ci si orienta verso cibi in possesso di un intenso valore simbolico. Contesti culturali più bassi, in cui le tradizioni e le pratiche culturali influiscono debolmente sulla vita quotidiana. In essi prevalgono l’individualismo e i discorsi diretti. Al contrario, in contesti culturali più bassi, in cui prevalgono l’individualismo ed un minore legame con le tradizioni, si tende a preferire cibi semplici da preparare e da consumare. Caratteristiche in contesti culturali elevati Caratteristiche culturali bassi Forte preferenza per le tradizioni culturali Desiderio di numerose e strette relazioni Valore posto sui piatti tradizionali culturale Importanza della presentazione e della personali e influenze Indisponibilità a sperimentare seguire le stranieri e non accettati culturalmente Disponibilità a cambiare gli Valore posto sui cibi funzionali e nutrienti cibi Preferenza per cibi semplici e veloci da preparare sulla scelta dei cibi per schemi culturali composizione dei cibi Mancanza di forti pressioni tradizioni colleghi, i clienti contesto sulle scelte Predilezione per decisioni e culturali personali con la famiglia, gli amici, i Influsso del contesti preferenze personali e le abitudini in Disponibilità ad accettare nuovi cibi e ad adattare di conseguenza le abitudini alimentari. proprie Alimentazione dell’anziano L’alimentazione dell’anziano va assumendo sempre maggiore importanza: per l’aumento di questa popolazione dovuto ad un allungamento della vita media, per la presunta possibilità di prolungare la vita media correggendo l’alimentazione come fattore ambientale notevolmente controllabile, infine per l’opportunità umana e sociale di mantenere efficiente, in un buono stato di salute, soggetti anziani mediante opportuni suggerimenti dietetici. L’alimentazione deve essere intesa ad ogni età, e soprattutto in età anziana come “piacere di nutrirsi”. Cibarsi non può essere solo una semplice azione di rifornimento di energie per l’organismo: mangiare significa molto di più. Il pasto è sempre un fatto culturale e sociale e racchiude in sé la possibilità di relazionarsi con altre persone, di trovare una gratificazione a livello personale e di gruppo. Questi aspetti, soprattutto nell’anziano, assumono grande importanza anche nei confronti della salute, se questa è considerata in senso complessivo come benessere totale della persona. Ciascuno di noi deve pensare allo stare a tavola come un’occasione di incontro, un’opportunità da non perdere per mantenere viva la creatività e la curiosità verso il mondo. Nelle persone anziane questo piacere talvolta viene a mancare. Le ragioni sono differenti, ma solitamente è proprio per l’impossibilità di condividere il momento del pasto con altre persone. La malnutrizione della terza età è un problema diffuso e di non facile soluzione; spesso è connessa oltre che a problemi economici, alla solitudine. Non riuscire a condividere il pranzo o la cena con qualcuno, non è solo rimandare la possibilità di un incontro a tavola, ma contribuisce a quel processo di privazione dei sensi che può accelerare ed amplificare i “normali” fenomeni dell’invecchiamento. Quali sono le regole generali di comportamento durante i pasti per mantenersi in salute? Innanzitutto vanno evitati regimi alimentari irregolari e monotoni, spesso derivati dalla pigrizia di prepararsi un pasto in solitudine. A nessuno fa piacere mangiare da solo e non di meno risulta noioso cucinare porzioni singole. Questo è decisamente il primo problema, al quale bisogna dedicare cautela ed attenzione, invitando l’anziano a curare se stesso cominciando dalla tavola. Un’altra abitudine diffusa riguarda l’attribuire a ipotetiche intolleranze alimentari, eventuali problemi digestivi, optano per pasti monotoni e ripetitivi. Solo una piccola parte dei problemi digestivi sono imputabili a intolleranze. Spesso l’anziano risponde a queste percezioni prendendo l’abitudine di cenare con alcuni alimenti sempre uguali, come il diffuso pasteggiare a “pane e latte”. Molte intolleranze alimentari supposte verso cibi specifici non sono altro che il risultato di una cattiva igiene alimentare dovuta a pasti troppo copiosi, alimentazione non frazionata, troppo elaborata, cambiamenti di abitudini alimentari imposte da altri. E sono questi i comportamenti che non permettono l’adattamento, sempre difficile all’aumentare dell’età, ai “nuovi” ritmi biologici imposti dall’invecchiamento stesso. E’ necessario correggere gli errori alimentari solo quando sono importanti, pregiudizievoli e quando dalla modifica del comportamento è possibile trarre una sostanziale beneficio per la salute. Non si può voler stravolgere l’alimentazione di tutta una vita se non con grande prudenza e rispetto della persona, introducendo variazioni solo se necessarie e molto progressivamente. Bisogna infatti comprendere che il supporto socio-culturale e simbolico dell’alimentazione-nutrizione risulta in contrasto con la teoria delle conoscenze scientifiche della nutrizione stessa. In primo luogo, è indispensabile considerare lo stato e il fabbisogno nutrizionale in merito alla condizione di salute. Con l’avanzamento dell’età è noto che i processi fisiologici, metabolici e biochimici si modificano, influenzando sfavorevolmente lo stato nutrizionale. La composizione ottimale della dieta nell’anziano non è facile da stabilire, le notevoli variazioni individuali rendono poco utilizzabili gli standard poiché tengono conto solo dell’età, del sesso e dei parametri antropometrici. Tuttavia, si possono tracciare alcune linee guida per una sana alimentazione. La quota calorica deve ripartirsi in un 15-16% di proteine, 28-30% di grassi e 54-57% di zuccheri. La quota proteica consigliata nell’anziano è in media più elevata del 3% rispetto a quello dell’età adulta, per garantire l’apporto di sostanze plastiche indispensabili per prevenire il decadimento dei tessuti. Al contrario è opportuno limitare la introduzione dei grassi, sia per evitare un affaticamento del fegato, sia per prevenire la comparsa di alcune malattie tipiche dell’età senile legate al metabolismo dei lipidi (es. arteriosclerosi). L’apporto di zuccheri in genere varia di poco come percentuale; tuttavia è opportuno operare una scelta qualitativa, preferendo quelli composti (amido) a quelli semplici (saccarosio). L’amido è lo zucchero contenuto in alimenti quali pane, pasta, riso, patate ecc. Quindi un piatto di pasta o di riso ed un giusto apporto di pane (meglio integrale in caso di problemi intestinali), permetteranno di coprire gran parte del fabbisogno di zuccheri. Tale fabbisogno potrà esser coperto anche dalla frutta (molto utile per il suo elevato contenuto di vitamine). Lo stesso discorso qualitativo va applicato ai grassi ed alle proteine. Per i primi sarà preferibile l’uso di olio di origine vegetale (oliva-semi), meglio se crudi, che contengono sostanze, dette acidi grassi, essenziali per l’organismo; controllato invece deve essere l’impiego di grassi di origine animali (burro-lardo-strutto) che contengono un’elevata percentuale di colesterolo, fattore di rischio per l’arteriosclerosi. Per quanto riguarda le proteine, utili sono quelle di origine vegetale contenute principalmente nei legumi, ma indispensabili sono gli alimenti che contengono quelle cosiddette proteine nobili o ad alto valore biologico: carne, pesce, uova, latte, formaggi. Quindi un pasto normale costituito da un primo piatto a base di riso o pasta, condito con pomodoro o verdure, un secondo piatto a base di carne, pesce, uova o formaggio, un contorno di verdure preferibilmente fresche ed un frutto, rappresenta un apporto calorico ben equilibrato e bilanciato tra i costituenti alimentari. Un buon equilibrio tra i costituenti alimentari non è però sufficiente per permettere all’anziano di nutrirsi al meglio. E’ necessario infatti che esista molta varietà nella scelta degli alimenti per non cadere in quelle classiche diete proibitive, dove regna il santificato “pasto in bianco”. Un anziano che non abbia particolari patologie può assumere qualsiasi alimento in relazione alla sua soggettiva tollerabilità, ovviamente senza mai esagerare nella quantità. Prendiamo il vino ad esempio: è utile o dannoso? Sicuramente utile, se non ci sono controindicazioni a tale assunzione e se la quantità non supera i 2-3 bicchieri al giorno, perché ha una funzione stimolante sulla secrezione di enzimi digestivi, perché ha una blanda azione sedativa sui centri nervosi e perché, infine, determina una sensazione di benessere e di sicurezza che riduce le tensioni emotive. Anche i dolci, assunti in giusta misura (una pastarella o una fetta di torta una tantum), possono rientrare in una dieta equilibrata (fatta eccezione per i diabetici). Attenzione però agli eccessi, purtroppo frequenti, in quanto molti anziani diventano golosi soprattutto per motivi psicologici, facendo un eccessivo consumo di un alimento che nelle epoche passate non faceva parte della dieta abituale, appartenendo a quella categoria di cibi un po’ particolari usati soltanto nelle feste e nelle ricorrenze. Il consiglio quindi è quello di praticare una alimentare molto variata, evitando la monotonia spesso frequente e dipendente dalla mancanza di fantasia in cucina, dall’abitudine, da problemi legati alla masticazione, da mancanza di entusiasmo. Una dieta che non tenga conto di una buona varietà di alimenti provoca a lungo andare una stanchezza nei confronti del cibo: ecco allora l’anziano che mangia controvoglia, che rifiuta addirittura il cibo, che non si siede più a tavola con conseguenti notevoli squilibri: ad esempio astenia fisica e psichica e minore resistenza alle malattie infettive e carenza di qualche specifico costituente. Ad una alimentazione variata è necessario abbinare una razionale distribuzione del cibo nell’arco della giornata, suddividendoli in tre pasti principali ed in due spuntini. La vita attuale con impegni lavorativi spesso frenetici costringe spesso ad assumere i pasti in orari irregolari, in maniera frettolosa ed inadeguata (panino, pizzette, snack ecc.). Per l’anziano in pensione ed in generale non gravato da impegni pressanti, è più facile rispettare quella regolarità che è il fondamento di una sana alimentazione. Inoltre occuparsi razionalmente della propria nutrizione può rappresentare anche un impegno che si traduce sia nell’acquisto degli alimenti, sia nella preparazione, può aiutare l’anziano a tenersi occupato. Egli potrà, senza essere pressato da orari, consumare tranquillamente la prima colazione, che dovrà coprire circa 400-500 calorie dell’intero apporto giornaliero, a base di latte, pane, biscotti, marmellata, tutte sostanze energetiche che servono ad affrontare con grinta la giornata; spezzare con un piccolo spuntino a metà mattina a base di frutta o yogurt che permette di arrivare all’ora di pranzo senza languori o crisi ipoglicemiche, così come la merenda del pomeriggio consente di cenare frugalmente, senza che un pasto troppo abbondante appesantisca il riposo notturno, spesso difficile in età senile . E adesso…. un po’ di movimento! Raggiunti i limiti di età convenzionati per il pensionamento, l’anziano è privato del suo ruolo attivo, di protagonista sociale e famigliare. L’esercizio fisico effettuato in base a programmi specifici, può consentire ad ogni individuo avanti negli anni, di riacquistare un’autonomia motoria indispensabile per poter autonomamente condurre una vita di relazione, riacquistando anche quella fiducia in se stesso che va progressivamente perdendo. Movimento, un’alimentazione corretta e alcune periodiche misure mediche preventive, possono permettere di evitare una terza età dominata dalla malattia, dalla dipendenza, dalla perdita di speranza e dalla capacità di progettare. Molti sono i benefici effetti che può avere l’attività fisica sulla persona anziana, quali: − il rinforzo dell’ apparato scheletrico; − prevenire l’ osteoporosi e mantiene elastiche le articolazioni; − aumenta la fluidità del sangue e quindi la circolazione; − protegge dall’arteriosclerosi, dalla trombosi, e abbassa la pressione sanguigna; − attiva la digestione ed aumenta la motilità dell’intestino; − aiuta a dormire meglio; − stimola alcune funzioni celebrali, migliora la funzione respiratoria e cardiocircolatoria; − migliora il tono dell’umore e combatte la depressione. E allora bisogna lasciare da parte l’auto e la poltrona e riprendere, con la dovuta prudenza, anche lo sport preferito! Bibliografia − Assistere Anziani (ottobre 2005) ,Fin-mark srl, Bologna − Cavazzuti F., Geriatria e Gerontologia ,(1990) Casa Ambrosiana, Milano. − Degli Esposti P., Il cibo dalla modernità alla postmodernità, (2004) Franco Angeli. − Fata A., Il cibo come fonte di essere e di ben-essere, (2005) Arnoldo, Roma. − Guidolin E., Sguardi sulla vecchiaia, (1999) Imprimitur, Padova. − Montenero P., Bonazza C., Dietologia pratica, (1980) Ferro, Milano. − Opuscolo informativo Ulss 18 (luglio 2006). − Pozzetto G., Guerra T., Cucina di Romagna, (2004) Franco Muzzio, Roma. − http://www.aging.it − http://www.geragogia.net − http://www.ricercaitaliana.it