A cura del Dirigente scolastico Dott.ssa Angela Maria Colella Anno scolastico 2010-2011 In ricordo di quanti vissero in quel periodo e per chi non c’era ancora … PREMESSA In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la scuola Primaria e la Scuola dell’Infanzia Sant’Antonio della Direzione Didattica “Diomede Marvasi” hanno voluto festeggiare organizzando numerose iniziative didattiche, con l’obiettivo di raccontare e condividere il meglio delle esperienze educative e formative della storia italiana. L’iniziativa nasce dal convincimento che solo la formazione dei ragazzi, cittadini di domani, potrà creare i presupposti per rinsaldare la democrazia e l’unità nel nostro Paese perché la scuola rappresenta l’elemento fondamentale per la costruzione dell’identità nazionale. Tali attività sono frutto di dedizione, entusiasmo, amicizia e spirito di collaborazione, tutte doti che contraddistinguono quanti hanno contribuito alla realizzazione di questa manifestazione. Tra le iniziative, l’elaborazione di quest’opuscolo si prefigge di ripercorrere sequenzialmente gli eventi storici più indicativi che hanno condotto l'Italia a essere una nazione unita, per lingua, tradizioni, usi e costumi con la consapevolezza che, per prepararsi al futuro, è necessario, rileggere con attenzione e senza infingimenti quanto gli italiani sono riusciti a realizzare nel passato e ricordare quei calabresi che, per il contributo di fede, di sangue, di sacrifici e di operosità che hanno offerto alla causa santa di redenzione nazionale, non meritano di restare nell’ombra ingrata della dimenticanza. L’invito dunque è quello di partecipare, condividere, scoprire un’esperienza di cui i ragazzi e le scuole d’Italia saranno i veri protagonisti. Ins. Arianna Messineo N el documento della legge n. 4671 del Regno di Sardegna che fa seguito alla seduta del 14 marzo 1861 del parlamento, nella quale è stato votato il relativo disegno di legge che successivamente in data 21 aprile 1861 diventa legge n. 1 del Regno d'Italia si possono leggere le seguenti parole che valgono come proclamazione ufficiale del Regno d'Italia …. “Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d'Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861" Da un'Italia divisa in sette Stati, in circa due anni, dalla primavera del 1859 alla primavera del 1861, nacque il nuovo regno: un percorso che parte dalla vittoria militare degli eserciti francopiemontesi nel 1859 e dal contemporaneo progressivo sfaldarsi dei vari Stati italiani che avevano legato la loro sorte alla presenza dell'Austria nella penisola e si conclude con la proclamazione di Vittorio Emanuele II re d'Italia. La speranza di una patria unita cominciò a formarsi nella coscienza degli italiani sul finire del XVIII secolo non più solo secolare sogno di poeti e artisti. Le idee, sorte dalla rivoluzione francese, furono motore per i circoli di “novatori “e rivoluzionari italiani di fine 700. L’ideologia repubblicana sarebbe potuta servire ad abbattere ducati e monarchie per creare l’Italia: “una, libera e retta da un giusto governo democratico” (il monitore bolognese 11 ottobre 1996) 1796: vengono proclamate le repubbliche transpadana e cispadana, sotto la protezione napoleonica, comprendenti i territori lombardi, emiliani e romagnoli, parte della Toscana e del Veneto; esse confluiranno nella Repubblica Cisalpina nell’estate del 1797. Alla Repubblica Cispadana si deve il primo tricolore italiano della storia approvato a Reggio Emilia nello stesso anno. Le rivolte popolari scoppiate nei propri territori dovute alle promesse disattese da parte francese e le sconfitte subite dai napoleonici contro la coalizione austrorussa nel biennio 97-99 sancirono la fine della repubblica. Ricostituita nel 1801 c o me “Repubblica Italiana” durerà fino al 1805 anno in cui Napoleone creerà il Regno Italico tradendo definitivamente le speranze repubblicane e indipendentiste dei primi patrioti italiani. 1815: il congresso di Vienna restaura l’ancienne regime in tutta l’Europa centrale segnando la fine dell’era napoleonica. Tuttavia, la spinta patriottica e rivoluzionaria negli italiani era ormai nata. Negli stessi anni uomini d’azione d’ogni ceto e classe sociale avviano, in ogni regione d’Italia, operazioni di stampo patriottico: nascono le società segrete (I cavalieri della libertà piemontesi,I carbonari napoletani, la giovane Italia mazziniana ed altre ancora). Ad esse si contrapponevano nella penisola altre società segrete di stampo restauratore ed antiunitario. I primi moti carbonari si ebbero negli anni 1813/1814 in Abruzzo e Calabria ma il culmine fu la presa di Napoli del 20. Francesco I di Borbone, messo alle strette si vide costretto a concedere la costituzione, la rivolta venne stroncata con la forza pochi mesi dopo dalle milizie armate austriache della Santa Alleanza. Ancora nel 1820-21 i patrioti piemontesi dopo aver cercato di sostenere militarmente gli omologhi meridionali animarono proteste anti-austriache. I fer- menti patriottici sfociarono nell’insurrezione del marzo 1821 con cui si proclamò la Costituzione. Anche questa rivolta venne soffocata nel sangue poche settimane dopo dalle milizie regie appoggiate da quelle austriache che sconfissero i patrioti costituzionalisti a Torino. 1828: ritiratisi nel 1826 gli austriaci, il Cilento carbonaro esplose in rivolte anti borboniche chiedendo la Costituzione. La sommossa venne repressa con stragi, persecuzioni e la distruzioni di bosco di S. Giovanni a Piro (SA). Non ancora arresisi, i carbonari risollevarono le masse nel biennio 1830/31, questa volta al centro nord. I territori dell’Emilia Romagna delle Marche e dell’Umbria si riunirono sotto il tricolore nello stato delle “provincie unite italiane”. Ancora una volta gli eserciti restauratori repressero nel sangue le ribellioni dichiarando fuorilegge i colori identitari italiani del tricolore. La carboneria italiana definitivamente sconfitta si sciolse in quegli anni. Un ex carbonaro Giuseppe Mazzini, esiliato a Marsiglia proprio nel 1831 diede vita a “la Giovine Italia”, una società segreta patriottica e democratica il cui simbolo era il tricolore italiano bandito dagli Austriaci. L’impegno della società fu immediato, numerosissimi gli affiliati molte le sommosse in tutto il nord-ovest dell’Italia tra il 1833 e il 1836, seppur con scarse fortune. In seguito molte rivolte vennero organizzate dai mazziniani i quali vennero perseguitati internazionalmente. Considerati come terroristi vennero giudicati e condannati a pene massime. Tra i tanti eroi mazziniani si ricordano i fratelli Bandiera fondatori della società segreta “Esperia” che tentò di organizzare una sollevazione nel sud dell’Italia, in Calabria. Ricercati dall’esercito borbonico i fratelli Bandiera furono catturati e fucilati presso Cosenza nel 1844. Impossibilitata nel proseguire l’impari lotta di uomini e mezzi contro imperi e monarchie del tempo, “la Giovine Italia” fu sciolta. Tuttavia la tenacia combattiva dei patrioti non venne meno. Mazzini fondò l’Associazione Nazionale Italiana e i circoli rivoluzionari si riorganizzarono per una nuova stagione di battaglie … cominciava il ‘48. Il 1848 è l’anno d’avvio del Risor- gimento Italiano, delle sommosse patriottiche che costrinsero i monarchi di tutta Italia a fare concessioni liberali delle prime battaglie sotto la bandiera unificatrice che sfociarono nella prima guerra di indipendenza. Nei primissimi giorni del 48 i patrioti di tutta Italia insorsero. A Napoli le manifestazioni furono inizialmente pacifiche ma le rivolte estese ormai a tutto il regno costrinsero Ferdinando II di Borbone a concedere la Costituzione adottando la bandiera tricolore. In quell’anno l’Europa fu nuovamente investita da un’ondata di moti insurrezionali. In Francia la situazione politica ed economica era estremamente precaria a causa dell’atteggiamento di stampo conservatore assunto da Luigi Filippo d’Orleans. Gli oppositori del sovrano diedero vita a l l a “campagna dei banchetti”, chiamata così perché i comizi politici venivano camuffati con banchetti offerti da e s p o n e n ti antigovernativi. Il tentativo da parte del ministro Guizot di impedire uno di questi banchetti sfociò in una rivolta popolare che portò alla nascita della Repubblica. Fu proclamato il diritto al lavoro e furono creati gli opifici nazionali volti ad elimi- nare la disoccupazione. Fu anche introdotto il suffragio universale maschile. Gli opifici nazionali, improduttivi e troppo costosi, furono ben presto chiusi dalla borghesia moderata, salita al potere, dopo aver fatto sedare nel sangue dalla guardia nazionale una rivolta operaia. Fu così varata una Costituzione moderata e la Francia divenne una Repubblica Presidenziale. Come primo presidente della Repubblica fu nominato Luigi Napoleone. I moti insurrezionali interessarono anche l’Impero Asburgico dove, promossa da studenti e insegnanti, scoppiò una rivolta che da Vienna si diffuse in tutto l’impero per il passaggio all’offensiva dei vari movimenti democratici. Tale offensiva ebbe come conseguenza l’abbandono di Vienna da parte di Metternich prima e di Ferdinando I dopo e la costituzione di governi provvisori a Budapest e a Praga. Insurrezioni scoppiarono anche in Germania dove si sollevò una rivolta che da Berlino si diffuse nelle altre città tedesche. Fu quindi convocata un’assemblea costituente di Francoforte con lo scopo di scrivere la Costituzione per la Germania unificata. In Italia la rivolta scoppiò inizialmente a Venezia e a Milano che si ribellarono alla dominazione asburgica. Anche l’Italia meridionale fu investita da moti insurrezionali. A Palermo scoppiò una rivolta che costrinse Ferdinando II a concedere la Costituzione. La rivolta si propagò anche in altre città italiane costringendo i sovrani a concedere anch’essi la Costituzione A Venezia, la rivolta fu guidata da Daniele Manin e Nicolò Tommaseo e portò alla proclamazione della Repubblica di San Marco (17-03-1848). La rivolta milanese (conosciuta anche come le cinque giornate di Milano) fu guidata da Carlo Cattaneo e portò all’instaurazione di un governo provvi- sorio costituto dagli insorti. La vittoria milanese spinse Carlo Alberto (sul trono dal 1831) a dichiarare guerra all’Austria. A lui si unirono anche Pio IX, Leopoldo II e Ferdinando II; la guerra contro l’Austria divenne quindi una guerra nazionale (I Guerra d’Indipendenza 1848-1849). Per i personali interessi di Carlo Alberto l’intesa si ruppe presto. Il Regno Sabaudo, dopo qualche successo contro l’Austria, fu costretto a firmare l’armistizio con gli austriaci. Nel 1849 nell’Impero Asburgico, g r a z i e all’esercito fedele alla corona, fu restaurata la vecchia monarchia. In Germania Federico Guglielmo IV rifiutò la corona offertagli dall’assemblea di Francoforte e ripristinò con le armi la monarchia abbattuta dagli insorti. In Italia la fine della “Guerra Regia" diede inizio alla guerra del popolo. Purtroppo la guerra dei democratici ebbe dimensioni di gran lunga inferiori a quelle sperate da Mazzini. Nel regno delle due Sicilie i Borboni liquidarono la Costituzione prima concessa. Nello Stato Pontificio, a seguito della mobilitazione dei democratici e dei liberali, sorse nel 1849 la Repubblica Romana governata da un triunvirato: Mazzini, Saffi ed Armellini, che intraprese una politica di laicizzazione dell’ex Stato Pontificio. In Toscana, i democratici costrinsero Leopoldo II a fuggire a Gaeta dove già si era rifugiato Pio IX. Anche la Toscana fu governata da un triunvirato: Guerrazzi, Montanelli e Mazzoni. Mazzini, a seguito della situazione favorevole determinatasi, voleva accelerare il processo di unificazione, ma trovò l’opposizione di Guerrazzi. Carlo Alberto, timoroso per la caduta di prestigio della monarchia sabauda, piuttosto che sottostare alle pesanti condizioni austriache imposte con la pace, decise di continuare la guerra. Una nuova sconfitta lo portò ad abdicare a favore di Vittorio Emanuele II. Intanto l’esercito austriaco occupò la Toscana consentendo a Leopoldo II di riprendere il potere. La Repubblica Romana cadde per l’intervento di Luigi Napoleone erettosi a difensore dei cattolici per accaparrarsene l’appoggio. L’ultima a cadere, dopo una lunga resistenza all’assedio degli austriaci, fu la Repubblica di Venezia. L’unico stato italiano che non subì moti rivoluzionari fu lo Stato sabaudo. Alla guida del governo sabaudo vi era Camillo Benso di Cavour, per il quale il regno di Sardegna, stringendo alleanze con potenze straniere, doveva cacciare l’Austria dalla penisola per poter costituire un vasto regno dell’Italia Settentrionale. Tale convinzione portò Cavour ad inviare in Crimea un contingente sardo; ciò consentì al regno sabaudo di partecipare al Congresso di Parigi dove Cavour sollevò la questione italiana. Di fronte all’ennesimo insuccesso dei mazziniani nella spedizione di Sapri, Cavour, nell’incontro segreto di Plombiers, decise di allearsi con la Francia. Secondo gli accordi stipulati, Napoleone III (Luigi Napoleone diviene imperatore nel 1852 con tale nome) sarebbe entrato in guerra a fianco del regno sabaudo solo se quest’ultimo fosse stato attaccato dall’Austria. In cambio la Francia avrebbe ricevuto Nizza e la Savoia. Cavour, per provocare l’Austria, fece disporre truppe sabaude lungo il confine con i territori austriaci. Dopo un ultimatum austriaco respinto da Vittorio Emanuele II, l’Austria attaccò il regno di Sardegna (II Guerra d’Indipendenza). Come da patti la Francia si schierò con Vittorio Emanuele II. Dopo una serie di vittorie delle truppe sardo-francesi, Napoleone III propose all’Austria un armistizio in quanto nell’Italia centrale esponenti filopiemontesi, saliti al potere, chiedevano l’annessione al regno sabaudo. Il 12 luglio 1859 a Villafranca fu siglata la pace tra Francia ed Austria. La pace prevedeva la cessione della Lombardia da parte dell’Austria alla Francia, la quale successivamente la consegnò all’Italia, e la restaurazione dell’ordine nell’Italia centrale. Nel 1860 nell’Italia centrale si tennero dei plebisciti con esito favorevole all’annessione al regno sabaudo. Terminava così la prima fase dell’unificazione pensata da Cavour. A questo punto entrarono in scena i mazziniani con l’organizzazione di una spedizione di mille volontari guidati da Giuseppe Garibaldi, avente lo scopo di fare insorgere le masse popolari meridionali. La spedizione partì da Quarto il 5 maggio 1860. Garibaldi, sbarcato in Sicilia, piegò subito la resistenza delle male armate truppe borboniche e, in nome di Vittorio Emanuele II, vi proclamò la dittatura. Dopo aver sedato nel sangue un moto contadino contro i proprietari ter- rieri iniziò la risalita verso Napoli. Garibaldi sbarcò in Calabria in località Rumbolo di Melito di Porto Salvo (19 agosto 1860) che costituisce la parte più a sud dell’Italia continentale. Nelle acque del mar Ionio, antistanti la dimora che scelse per le proprie truppe (oggi denominata Casina dei Mille e che al tempo apparteneva ai marchesi Ramirez), era visibile sino a poco tempo fa la nave garibaldina “Torino” arenatasi durante lo sbarco frettoloso delle truppe, avvenuto sotto il fuoco nemico delle navi borboniche e la resistenza di uno sparuto gruppo di fedeli ai borboni prontamente messo a tacere. Nella Casina dei Mille Garibaldi dimorò un paio di giorni per far riprendere fiato alle sue truppe, sopportando anche l’attacco delle navi borboniche che non ebbe però alcun esito. Di tale attacco è testimonianza una palla di cannone ancora oggi visibile sul muro di un balcone della casina, mentre lo sbarco di Rumbolo è ricordato da una stele eretta nel punto esatto dello sbarco. Raggiunse trionfante la città di Reggio, trovò moltissimi calabresi (patrioti illuminati dalla luce massonica ma anche semplici cittadini) pronti a battersi al s u o fianco per uno Stato unitario, libero e indipendente. Un cospicuo gruppo di liberi muratori, già da mesi, aveva infatti deciso di appoggiare l’impresa garibaldina, grazie anche al ruolo determinante svolto dalla Massoneria reggina che a quei tempi si riconosceva nell’Obbedienza del Grande Oriente di Palermo, del quale Garibaldi era il Gran Maestro. Anche in Calab r i a , pertanto, l'apporto del pens i e r o massonico nella causa dell'Unità d'Italia si rivelò piuttosto notevole. Tra i più importanti protagonisti delle gesta garibaldine troviamo Benedetto Musolino, di Pizzo, patriota, politico e massone, che Garibaldi arruolò col grado di colonnello; Francesco Sprovieri, di Acri, giurista e politico, che fu al comando della terza Compagnia delle giubbe garibaldine; Giovanni Nicotera, di Sambiase, che già faceva parte della «Giovine Italia» di Mazzini; Francesco Stocco, di Decollatura anche lui molto vicino agli ambienti mazziniani - che organizzò il Corpo volontario dei «Cacciatori della Sila», raggiungendo il grado di maggior generale. Infatti,della storia del Risorgimen- to molti degli italiani conoscono le figure principali che, per il fatto che si studiano nei libri di testo, sono perciò più popolari. Ma non sempre è così. Vi sono, infatti, tantissimi personaggi che, per il contributo di fede, di sangue, di sacrifici e di operosità che hanno offerto alla causa santa di redenzione nazionale, non meritano di restare nell’ombra ingrata della dimenticanza. Il luminoso cinquantennio in cui si svolse la vita terrena di Diomede Marvasi, qua rtogenito tra i dodici figli del notaio Tommaso Marvasi e di Girolama Guzzo, nato a Cittanova il 13 agosto 1827, è, per l’Italia, denso di vibranti avvenimenti, di fervente attività preparatoria e di bruciante azione per i suoi stessi destini (da Alba della Piana Rassegna bio-bibliografica Giovanni Russo). Tanti altri patrioti (come ad esempio: Raffaele Mauro, di San Demetrio Corone; Luigi Minnicelli, di Rossano; Stanislao Lamenza, di Saracena) non sono mai assurti, purtroppo, alla gloria della storia. Seguiti da tutti questi grandi uomini e da tantissimi altri volontari in camicia rossa, i «Mille» di Garibaldi quindi risalirono a tappe il territorio calabrese da Melito di Porto Salvo attraverso l’Aspromonte, superando ogni ostacolo, Raggiunta Soveria Mannelli - nel Catanzarese - riuscirono a disarmare dodicimila soldati borbonici. Anche da quelle parti, non mancano a tutt’oggi i non era interessato a combattere contro di esse. Questi preferì attendere l’arrivo del re. Nel frattempo nell’Italia meridionale si tennero dei plebisciti per l’annessione al regno sabaudo, che ebbero esito favorevole Il 26 ottobre 1860, con lo storico incontro di Teano, Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele II tutti i terri- cimeli che testimoniano il suo passaggio. Peraltro, una famiglia di San Pietro Apostolo, che ebbe l’onore di ospitare l’eroico generale in occasione di una sua breve sosta, conserva ancora la tazzina da lui usata per bere un caffè. Molto forte e sentito fu anche il contributo offerto all’Unità d’Italia dalla comunità arbëreshe cosentina. Al suo passaggio da Lungro, Garibaldi trovò cinquecento volontari (calabresi di origini albanesi) che orgogliosamente si unirono alle sue truppe. La marcia verso Napoli proseguiva; vi entrarono il 7 settembre 1860. Intanto, per paura che Garibaldi potesse giungere a Roma, Cavour inviò truppe piemontesi in Umbria e nelle Marche, occupandole. Le truppe quindi si misero in marcia verso Napoli pronte a scontrarsi con Garibaldi il quale però tori da lui liberati. In epoca immediatamente successiva anche le Marche e l’Umbria furono annesse al regno sabaudo per mezzo di plebisciti. L’unificazione nazionale prendeva così corpo, anche se essa non era ancora completa perché il Lazio rimaneva territorio papale e il Veneto era in mano austriaca. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II era proclamato re d’Italia. 1862 - mentre al Regno d’Italia, già formato, mancavano ancora Roma e Venezia - al grido di «Roma o morte», Garibaldi approdò nuovamente in Calabria, con l’intenzione di intraprendere il suo cammino verso la città eterna e far breccia sullo Stato Pontificio.. Questa volta, però, appena giunto in Aspromonte, trovò ad attenderlo il fuoco nemico. Un reparto di bersaglieri, comandato dal generale Cialdini, gli tese un’imboscata, sparando sulle giubbe rosse che, sebbene accerchiate, riuscirono ad abbozzare una valorosa resistenza. Garibaldi rimase ferito (non «a una gamba», come recita il testo di una famosa canzonetta dell’epoca) ma al tallone sinistro. Si narra che, durante il soccorso, fu trovato accasciato ai piedi di un pino, intento a fumarsi tranquillamente un sigaro. Con lo scoppio d e l l a guerra aus t r o prussiana del 1866, l’Italia si schierò con la Prussia con il preme d i t a t o intento di sottrarre il Veneto all’Austria (III Guerra d’Indipendenza). La guerra ebbe esito negativo per l’Italia, ma, grazie alle vittorie prussiane e alla pace di Vienna, il Veneto fu annesso al regno d’Italia. Per il completamento del processo d’unificazione mancava soltanto l’annessione dello Stato pontificio, operazione questa di difficile attuazione in quanto Pio IX non era in alcun modo intenzionato a rinunciare al potere temporale. D i fronte a questo rifiuto del Papa, Garibaldi e i suoi volontari tentarono per due volte di occupare Roma ma Napoleone III, protettore dello Stato pontificio, glielo impedì. Con la caduta di Napoleone III a seguito della guerra francoprussiana, truppe italiane guidate dal generale Cadorna entrarono a Roma dopo essersi aperti un varco presso Porta Pia (20 settembre 1870), ponendo fine al potere temporale del papa. Nel luglio 1871 Roma divenne la capitale del regno d’Italia. L’unità d’Italia si era finalmente realizzata. “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani” Questa frase, coniata da Ferdinando Martini nel 1896 per sintetizzare un concetto di Massimo D’Azeglio (predecessore di Cavour alla guida del governo sabaudo), intendeva mettere in evidenza l’importante e difficile compito che spettava al nuovo governo del Regno d’Italia. L’Italia unita era un paese di 22 milioni di abitanti ed era molto arretrata sia socialmente che economicamente L’80% della popolazione era analfabeta, l’economia si basava ancora sull’agricoltura e vi era un enorme divario tra Nord e Sud che originò la questione meridionale. Infatti, in Calabria, come in altre regioni del Mezzogiorno, restavano da risolvere gravissimi problemi economici, sociali e politici. Lo stato di arretratezza in cui si trovava la Regione dopo secoli di abbandono non poteva essere risolto nel volgere di pochi anni; d'altra parte il processo di unificazione era stato voluto dalle classi dirigenti, mentre si avvertiva la mancanza di un vasto consenso popolare. In questo clima d'insoddisfazione la Calabria fu afflitta dalla piaga del banditismo (1861-1866) che a volte era soltanto un fenomeno di criminalità ma che in altri casi traeva origine dalla delusione dei ceti contadini L'insufficiente assorbimento della mano d'opera disponibile sul mercato del lavoro provocò un considerevole movimento d'emigrazione sopratutto transoceanica negli ultimi decenni del sec. XIX e nei primi decenni del secolo scorso; le restrizioni imposte dagli Stati Uniti, il ristagno economico seguito alla crisi del 1929 e le complicazioni politiche e militari degli anni successivi rallentarono il flusso dell'emigrazione che poi é ripresa, dopo la seconda guerra mondiale (1940/45), con destinazione verso i paesi dell'Europa occidentale, il Canada, l'Australia e le regioni più sviluppate dell'Italia del nord. Tuttavia si deve riconoscere che notevoli benefici vennero apportati alla Calabria dalla diffusione dell'istruzione e dalla realizzazione di grandi opere pubbliche stradali e ferroviarie eseguite dal 1865 al 1900. Ma la politica d'interventi dello Stato subì un arresto a causa del terremoto del 1908 e degli effetti della prima guerra mondiale (1915/ 1918) a cui i Calabresi diedero un grande contributo di sangue e d'eroismo. Nel periodo tra le due guerre va menzionata l'attuazione del Programma di bonifica, grazie alla quale, ed alla disinfestazione attuata dopo il 1945, fu praticamente debellata, la malaria. Dopo la seconda guerra mondiale, il Problema del Mezzogiorno e della Calabria in Particolare viene affrontato maniera organica con una serie di speciali interventi legislativi (1950). Altri Problemi crea per la Calabria l'integrazione economica dell'Italia nel Mercato Comune Europeo (1957) che, almeno in prospettiva, potrebbe concorrere a ridurre il divario con le regioni più favorite della Comunità. Nel 1970 si svolge la prima consultazione elettorale per l'attuazione dell'ordinamento regionale Previsto dalla Costituzione. QUESTA E’ L’ITALIA LA NOSTRA PATRIA, E’ UNA REPUBBLICA DEMOCRATICA Perché gli uomini che vi abitano possano vivere nella PACE e nella GIUSTIZIA devono RISPETTARE LE LEGGI. LA COSTITUZIONE ITALIANA QUESTA LEGGE IMPORTANTE E’ COME IL TRONCO DI UN GRANDE ALBERO E I RAMI RAPPRESENTANO TUTTE LE ALTRE LEGGI CHE VENGONO SCRITTE, E PER VIVERE, PRENDONO NUTRIMENTO DAL TRONCO CIOE’ DALLA “LEGGE COSTITUZIONALE” Rielaborazione a cura ins. Latella Giovanna F.S. Area 1 Referente Scuola -Territorio Elaborazione grafica ins. Marra Donatella