UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE DIPARTIMENTO DI ECONOMIA, GESTIONE, SOCIETÀ E ISTITUZIONI CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEL SERVIZIO SOCIALE Tesi di Laurea in Metodi del Servizio Sociale e lavoro di gruppo I “SERVIZIO SOCIALE E MASS MEDIA: LA CONTROINFORMAZIONE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI” Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Giovanna Maria TESTA Candidata: Valentina ZULLO Matricola 146984 ANNO ACCADEMICO 2014/2015 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE DIPARTIMENTO DI ECONOMIA, GESTIONE, SOCIETÀ E ISTITUZIONI DICHIARAZIONE DI ORIGINALITA' Io sottoscritta VALENTINA ZULLO, matr. 146984 iscritta al Corso di laurea triennale in Scienze del Servizio Sociale dichiaro che il presente lavoro dal titolo: “SERVIZIO SOCIALE E MASS MEDIA: LA CONTROINFORMAZIONE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI” è un elaborato prodotto da me e che tutto il materiale riportato (pubblicato o non pubblicato) è esplicitamente citato con riferimento alle fonti originali. Sono consapevole delle conseguenze giuridiche che subentrerebbero, ai sensi della normativa vigente, se ai controlli sull’originalità del lavoro dovessero risultare parti non originali e di cui non è citata la fonte. Campobasso, li Firma All’uomo che non torna più, che di quel tempo vissuto insieme io sono ancora la figlia più felice del mondo! INDICE ABSTRACT.......................................................................................................................... 6 INTRODUZIONE ................................................................................................................. 7 CAPITOLO 1: LE TAPPE EVOLUTIVE DEL SERVIZIO SOCIALE ............................................ 11 1.1 Le tappe di una professione che cambia .............................................................. 12 1.1.1 La filantropia ................................................................................................... 12 1.1.2 La poor law ed il controllo della povertà ........................................................ 13 1.1.3 L’illuminismo e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ............ 14 1.1.4 Il Welfare State ............................................................................................... 15 1.2 Il contesto italiano ................................................................................................. 16 1.2.1 La legge Rattazzi ............................................................................................. 16 1.2.2 La legge Crispi ................................................................................................. 16 1.2.3 L’Italia delle due guerre .................................................................................. 17 1.2.4 Anni ’80: la riorganizzazione dei servizi di assistenza .................................... 17 1.2.5 La crisi del Welfare ......................................................................................... 18 1.2.6 La rivoluzione copernicana del sociale: la legge 328/00 ................................ 19 1.3 La formazione dell’assistente sociale oggi ............................................................ 20 1.3.1 La cultura professionale ................................................................................. 20 1.3.2 Il saper essere ................................................................................................. 21 1.3.3 La definizione internazionale di lavoro sociale .............................................. 22 1.4 IN SINTESI .............................................................................................................. 22 CAPITOLO 2: LE RAPPRESENTAZIONI ED IL MONDO MEDIATICO ................................... 23 2.1 Costruire la realtà attraverso le rappresentazioni ................................................ 24 2.1.1 Meccanismi di formazione delle rappresentazioni sociali ............................ 25 2.1.2 Dalla categorizzazione alla generalizzazione .................................................. 26 2.1.3 Dal pregiudizio agli atteggiamenti .................................................................. 27 2.2 La comunicazione mediatica: il ricevente e l’audience......................................... 28 2.2.1 La costruzione del messaggio: la teoria dell’agenda setting e della spirale del silenzio ..................................................................................................................... 29 2.2.2 Un esempio che vede protagonista il servizio sociale .................................... 31 2.3 La disinformazione mediatica ............................................................................... 32 2.3.1 La Tv del dolore ed il Servizio sociale ............................................................ 33 2.4 Il profilo dell’assistente sociale secondo i mass media e l’opinione pubblica ..... 35 2.4.1 Altri luoghi comuni ......................................................................................... 39 2.4.2 Il reato di rivelazione del segreto professionale ............................................ 39 CAPITOLO 3: LA CONTRO-INFORMAZIONE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI.......................... 41 3.1 La controinformazione .......................................................................................... 43 3.1.1 Le attività del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali .......... 44 3.1.2 Le attività del Sindacato Unitario Nazionale degli Assistenti sociali e dell’Associazione Nazionale Assistenti Sociali ......................................................... 47 3.2 Come comunicare la professione .......................................................................... 49 3.2.1 La “Web Communication” degli assistenti sociali oggi .................................. 54 CONCLUSIONI.................................................................................................................. 59 BIBLIOGRAFIA.................................................................................................................. 61 SITOGRAFIA ..................................................................................................................... 62 RINGRAZIAMENTI ................................................................................................................ 64 ABSTRACT La figura dell’assistente sociale è da sempre vittima di rappresentazioni stereotipate e strumentalizzate dei Mass Media che non solo creano difficoltà relative al far conoscere il ruolo del professionista ma anche e soprattutto difficoltà nel trasmettere fiducia agli utenti o più in generale alla comunità, la quale paradossalmente tende a colpevolizzare il servizio sociale di ledere le fasce della popolazione più deboli e vulnerabili. Comprendere com’è fatta e cosa influenza la rappresentazione subita, come un professionista si autorappresenta attraverso mezzi istituzionali e non, dare poi uno sguardo alle caratteristiche dello strumento mediatico e alle eventuali difficoltà di comunicazione consente di mettere in evidenza le caratterizzazioni di una figura professionale che ha bisogno di essere correttamente valutata e rafforzata nello scenario mediatico, così da poter costruire una base di fiducia all’interno dell’intera comunità sociale e professionale. 6 INTRODUZIONE Una delle prime nozioni che impara uno studente di scienze del servizio sociale è quello di non etichettare, banalizzare il bisogno dell’altro o di evitare di incasellarlo in situazioni viste in precedenza; dare rispetto e dare spazio alla persona sostiene la base del lavoro di un assistente sociale costituito dal “processo di aiuto” che si attua mediante una relazione. Prima ancora dell’intervento infatti vi è la cosiddetta relazione di aiuto con la quale si intende “l’incontro tra due persone di cui una si trova in una condizione di sofferenza, di confusione, di conflitto e/o di disabilità dinnanzi ad un problema da gestire; l’altra invece è dotata di un grado superiore di adattamento, abilità nonché competenza rispetto lo stesso problema ed è pertanto capace di promuovere la crescita dell’altro”. I requisiti per tale relazione sono prevalentemente due: minima volontà da parte di entrambi ad instaurare la relazione; minima volontà da parte di entrambi di riceve informazioni dall’altro. “Se chiedo aiuto mi porteranno via i bambini”, questa frase dà il titolo ad un opuscolo creato dall’assessorato alle Pari Opportunità della Regione Emilia-Romagna per far conoscere quale tutela hanno le madri vittime di violenza; e questa frase spesso riecheggia nella testa dei molti che esitano dal chiedere aiuto. Perché del medico o dell’infermiere ci si fida e dell’assistente sociale invece di meno? Gli utenti oltre che una loro storia personale ed un loro disagio (materiale o immateriale e cosi via) portano con sé delle aspettative sul servizio sociale in generale o sul singolo professionista che influenza il loro atteggiamento, la tesi ha come obiettivo quello di mostrare l’importanza del rendere attivo un assistente sociale nel comunicare la propria professione per creare più fiducia e in generale creare un’immagine di servizio sociale positiva in grado di semplificare l’instaurarsi della relazione di aiuto. Le idee influenzano la vita di un individuo, il suo atteggiamento ed il suo comportamento, per questo creare una rappresentazione positiva non fa altro che rendere più semplice, per quanto possibile, il lavoro dell’assistente sociale. Il primo capitolo è dedicato alla descrizione della figura dell’operatore dalla sua nascita fino ai nostri giorni; attraverso le tappe più importanti si delinea l’inseparabile legame che c’è tra assistenza sociale e la definizione etico culturale dei bisogni. L’assistenza sociale esiste da sempre in passato però si parlava di pura filantropia o di uno spirito religioso volto all’aiuto degli altri. Con le vicissitudini storiche che in diversi modi condizionano i diversi territori del mondo, l’assistenza si fa strada fino a riconoscere la necessità di un operatore competente nel dare sostegno a quella parte della popolazione meno abbiente. Alla fine degli anni ’80 questa figura professionale acquista oltre che una vera e propria identità anche una propria scientificità in virtù di un fenomeno enorme e difficilmente controllabile come quello della globalizzazione che impone ai diversi Stati di rispondere in maniera sempre più innovativa a più e diversi bisogni degli individui. Ed è in questo contesto oltre che in questo tempo che si 7 tutela l’oggetto della scienza del servizio sociale e cioè la persona in rapporto con il proprio ambiente. In questo capitolo quindi viene mostrato come è evoluto il concetto di assistenza, facendo riferimento in maniera particolare al contesto Italiano e descrivendo infine l’iter formativo che porta alla qualifica di assistente sociale. Dimostra come la professione ha sempre, in qualche modo lottato con il pregiudizio o la scarsità di riconoscenza dell’utilità del suo operato, soprattutto da parte di quelle persone che non ne avvertono il bisogno. A seguito dell’analisi del profilo professionale di un assistente sociale elaborata dando uno sguardo alla storia mondiale ed italiana, con il secondo capitolo si inserisce la tematica di uno scarso riconoscimento dell’efficacia del lavoro del servizio sociale da parte di quell’ opinione pubblica fortemente influenzata dalle informazioni divulgate dai diversi mezzi di comunicazione di massa. Si è analizzato a fondo l’influenza che questi ultimi hanno sull’agire dell’individuo e attraverso la consultazione di più manuali di psicologia sociale si approfondisce la tematica delle rappresentazioni, esaminando come queste nascono e come spesso cadono in errore; non ha l’obiettivo di entrare nello specifico dell’analisi del funzionamento di alcuni processi mentali piuttosto con la loro presentazione, si intende sottolineare come la creazione di uno stereotipo o di un pregiudizio sia qualcosa di normale e di come i mass media spesso non solo ne favoriscono la formazione ma anche e soprattutto lo utilizzano per favorire l’audience. Viene presentato il fenomeno della profezia che si auto avvera, una sorta di circolo vizioso che fa si che un pregiudizio inneschi un evento e che tale evento riconfermi il pregiudizio stesso. Ed è per questo che la tesi punta a dimostrare l’importanza della rappresentazione mostrata dai mass media come possibile fonte dei pregiudizi e della profezia che si auto avvera. I mass media producono esperienza attraverso delle rappresentazioni che arrivano direttamente al soggetto, tale non è che una realtà distorta ai fini della creazione di una notizia “interessante” che prevede un filtraggio degli elementi che descrivono la situazione. Per rendere più esaustivo il concetto viene utilizzato un esempio di un caso mediatico trasmesso dal canale Mediaset che vede coinvolti i servizi sociali di Monza. Attraverso lo studio di diverse teorie della sociologia delle comunicazioni, si analizzano i diversi elementi che compongono i mass media “con i quali non solo si potrebbero interpretare le esigenze dei giornali o della televisione o ancora delle testate online ma anticiparne il gioco, comprendere a fondo le dinamiche, i “needs”, la ratio che presiede alle cabine di regia dei piccoli o di grandi media. Significa interpretare un potere ed imparare ad azionare le leve giuste per cambiarlo.”(Torchiaro, 2014). Spiegato perché la televisione, i giornali e cosi via creano una realtà distorta, si contestualizza sul servizio sociale il discorso mostrando come quasi sempre è vittima di quello che il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali chiama “TV DEL DOLORE”, si descrivono le diverse caratteristiche che creano poi la difficoltà mediatica di trovare uno spazio o delle opportunità per comunicare la professione. Dunque dalla 8 necessità di evitare l’utilizzo dei casi di intervento di servizi sociali per fare notizia alla necessità di professionisti che nel loro piccolo, nella loro micro realtà siano in grado oltre che di operare bene anche di comunicare bene il loro operato non lasciando così spazio a divergenze mediatiche che potrebbero causare generalizzazioni faziose. Fatto luce sull’importanza della rappresentazione per quanto concerne la sua influenza sull’atteggiamento e più nello specifico sul comportamento di un utente del servizio sociale, si delinea un quadro generale delle diverse rappresentazioni subite create da mezzi di comunicazione di massa mostrando quali sono gli elementi caratteristici della figura che creano una sorta di consolidamento percettivo. Vengono illustrati estratti dei diversi mezzi di comunicazione: dalle citazioni di libri di letteratura, a scene dei film fino ad arrivare ai talk show o a programmi di denuncia-intrattenimento, esponendo un elenco dei “tratti tipici” e delle aspettative che i mass media attribuiscono allo spettatore nei confronti di un assistente sociale. Ammesso che un assistente sociale voglia comunicare e “giustificare” le proprie mosse professionali cosa, oltre i tratti tipici dello strumento mediatico, può recargli un ulteriore timore? Sicuramente il segreto professionale, il quale ha delle implicazioni etiche e giuridiche che spesso intimoriscono l’operatore e lo costringono a restare in silenzio innanzi alle tante cattive notizie. Concludendo così il secondo capitolo si dà spazio al concetto di “controinformazione” un processo attraverso il quale si diffondono informazioni “taciute” o riportate in modo parziale e non obiettivo dagli organi di comunicazione di massa ufficiali; un processo che nasce e si sviluppa in maniera preponderante in Europa alla fine degli anni ’70 quando molti movimenti si resero conto del monopolio mediatico da parte di alcuni poteri politici ed elaborarono così degli spazi e modi alternativi di fare comunicazione. In quest’ultima parte infatti si mostra come “comunicare il proprio operato” indicando delle linee guida del comunicare bene e descrivendo alcuni progetti di informazione libera portati avanti dagli stessi assistenti sociali. Si asserisce come sia fondamentale puntare ad una comunicazione evocativa e concreta che faccia si che le persone riconoscano nelle loro esperienze, positività dei servizi sociali. Fino ad ora la comunicazione è stata rivolta prevalentemente verso l’interno di una professione che doveva crescere in consapevolezza; invece verso l’esterno è stata prioritariamente impostata sulla rivendicazione di un ruolo tralasciando in gran parte l’informazione del ruolo stesso. Diventa dunque necessario ridurre gli spazi di rivendicazione e creare progetti di informazione per i cittadini sui valori e sulle conoscenze della professione. Dunque da una disinformazione e deformazione ad una informazione che non sia difensiva piuttosto attiva nel micro e nel macro e che tenga conto di come i media siano uno strumento per comunicare un’attività che si crea e si svolge nella realtà. Quindi essere attivi nella comunicazione del servizio sociale significa comunicare partendo dalla realtà che ci circonda per costruire un sentimento positivo che direzioni 9 la “profezia che si auto avvera” verso condizioni favorevoli e molto produttive per la relazione d’aiuto instaurata tra assistente sociale ed utente. Asserito ciò si espone come nei “saperi” dell’assistente sociale oltre che il saper fare vi debba essere il “saper parlare” con il quale si auspica il superamento del senso di impotenza innanzi ai diversi pregiudizi o maldicenze a cui spesso è sottoposto il servizio sociale. In altre parole per comunicare efficacemente ai media (i quali informano il pubblico) è necessario uno specifico know how che si basa sulla comprensione che per poter avere realmente una informazione efficace bisogna sentirsi ed essere il vero responsabile del successo di una comunicazione. 10 CAPITOLO 1: LE TAPPE EVOLUTIVE DEL SERVIZIO SOCIALE “Si dice che ogni assistente sociale ha consumato sette paia di scarpe per comprendere le storie delle persone e delle comunità, la sofferenza ed il disagio, per riallacciare relazioni, suscitare e orientare risorse capaci di offrire sollievo, e per ricostruire il tessuto sociale. Sette paia di scarpe hanno condotto gli assistenti sociali a esplorare ogni miseria fin dall'inizio della storia repubblicana del nostro Paese. Sette paia di scarpe ci sono volute per arrivare a ottenere il riconoscimento della professione, essenziale a chi ha meno, ma spesso ignorata dai potenti che hanno molto.” Sette Paia di Scarpe, Paola Rossi L’assistente sociale è il professionista della scienza del servizio sociale, disciplina che rientra nella macrocategoria delle scienze sociali. Una professione che come quella di altri operatori sociali1, ha difficoltà a sintetizzare la sua essenza in poche e precise parole: “Gli stessi studenti dei corsi di laurea in Lavoro Sociale, in ogni parte del mondo, faticano a spiegare ai loro genitori o ai loro amici, in semplici parole, che cosa sia la professione che essi hanno scelto e che si appresteranno a praticare” (Folgheraiter F. , 2012, p.8 ) Il servizio sociale è una professione che cambia (Dominelli, 2005) in quanto costruisce cambiamenti con gli utenti e subisce i mutamenti di scenari politici, economici e non solo, della realtà in cui è collocata; è pertanto in continua ridefinizione, si è passati 1 Nella categoria degli operatori sociali rientrano oltre che gli assistenti sociali anche gli educatori, gli psicologi, i sociologi, gli antropologi nonché gli operatori sociosanitari. Ognuno con specifiche competenze e relativo percorso formativo. 11 infatti da un’ottica squisitamente filantropica e caritatevole ad una residuale e passivizzante fino ad arrivare ad un’ottica universale ed autodeterminante2. Ciò dunque mostra l’inevitabile adeguamento dell’agire di ogni singolo operatore al contesto locale, nazionale ed internazionale che lo circonda. Per evitare che questi continui mutamenti però confluiscano alla professione frammentazione e confusione, l’operatività sociale ha una base teorica robusta che pone le sue fondamenta nei diritti umani e nella giustizia sociale3. D’altronde, in termini di legislazione, si iniziò a parlare di “assistenza sociale” con la nascita del Welfare State, Stato che garantisce diritti come l’eguaglianza, la libertà dei cittadini ed il benessere sociale mediante appunto attività di assistenza e previdenza sociale o con provvidenze che tutelano economicamente i cittadini più svantaggiati. 1.1 Le tappe di una professione che cambia Le modalità di intervento del servizio sociale si differenziano nel tempo a seconda dell’idea che si ha di utente- individuo bisognoso, pertanto per capire queste modalità bisogna osservarle all’interno del periodo storico e delle relative influenze socioculturali. Se ad esempio l’utente è considerato in maniera negativa l’assistenza avrà un carattere discriminatorio se invece, l’utente è il “povero”, “innocente” l’intervento sarà di aiuto caratterizzato da compassione e comprensione per le difficoltà altrui. 1.1.1 La filantropia Etimologicamente parlando si definisce come il sentimento di amore verso gli altri uomini e rappresenta il carattere degli interventi assistenziali tipici del Medioevo (dal 400 d.C al 1400 d.C) i quali attori erano mossi da uno spirito caritatevole che “prima ancora che al suo oggetto serviva al soggetto” ( Villa F.,2000) e cioè azioni con finalità di aiuto verso il bisognoso ma che arricchivano spiritualmente chi le metteva in atto: Le opere – pensiamo ad esempio all’importanza delle elemosine – sono fondamentali all’uomo per testimoniare a Dio e agli altri il suo essere buon cristiano.(A.Martignoni)4 In questo periodo erano le guerre, l’epidemie, la malattia ed il tempo inclemente a portare la persona allo stato di bisogno; ad esempio i contadini ma anche gli artigiani 2 “*…+da un operatore che fa delle cose per le persone, a un operatore attento all’empowerment dell’utente, a valorizzare le persone e ad ascoltarle.” (Dominelli L.,2005) 3 Il concetto di giustizia sociale iniziò a diffondersi soprattutto nel XIX secolo per delineare quel principio secondo cui la società dovesse evitare di favorire o permettere delle sperequazioni economiche; a quel tempo significava dunque creare una certa uguaglianza economica. Oggi tale concetto si è ampiamente evoluto, non è più solo egualitarismo economico ma significa ridurre i grandi mali che producono sentimenti e fenomeni quali il razzismo o l’xenofobia; consiste pertanto nel promuovere l’uguaglianza e nel riconoscere le differenza. 4 A. Martignoni, Carità e assistenza nel Medioevo Dio, l’uomo e l’altro. https://ilpalazzodisichelgaita.wordpress.com/2011/09/20/carita-e-assistenza-nel-medioevo-dio-luomoe-laltro (ultima consultazione: 16/09/15) 12 provvedevano ai loro bisogni grazie al lavoro delle proprie braccia e dunque a qualunque problema di salute seguiva uno stato di povertà. Nasce in questo contesto il termine “hospitales” identificando con esso strutture simili ad ospizi adibiti a luoghi di: cura per i malati; ricovero per gli orfani; accoglienza per i pellegrini; accoglienza momentanea per i poveri in particolari periodi. L’intervento assistenziale era pertanto raffigurato in piccole comunità religiose autogestite che intorno al XII secolo sarebbero diventate delle confraternite religiose; non esisteva un’organizzazione statale ma grazie al sentimento religioso si riusciva a creare una rete di aiuto per i più deboli. 1.1.2 La poor law ed il controllo della povertà Dall’300 in poi l’ideologia a favore dei bisognosi mutò del tutto difatti i bisogni, soprattutto la povertà, iniziarono ad essere guardati con l’ottica della maledizione e della colpa piuttosto che della benedizione e della spiritualità, ciò si evince anche nella qualifica popolare del povero come un “pitocco”. A testimoniare questa ideologia è la famosissima “Poor law” promulgata in Inghilterra già nel 1531 da Re Enrico VIII, la quale ha attraversato un iter legislativo culminato nel 19485. Con questa si differenziavano i poveri in: i poveri inabili - meritevoli (persone inabili al lavoro, ammalati cronici, ciechi, sordomuti, storpi, malati di mente e madri con bambini piccoli); i poveri abili - non meritevoli (disoccupati e fannulloni) per loro vi era previsto un divieto di elemosinare; i bambini bisognosi (orfani, trovatelli, bambini abbandonati dai genitori). (Figura 1,Oliver Twist,Charles Dickens6,nella rappresentazione chiede altra minestra all’istitutore dell’ospizio parrocchiale ) 5 Abolita con il National Assistance Act a seguito di un periodo di declino di tale sistema di assistenza avuto dall’introduzione di riforme liberali di welfare o dalla disponibilità di forme alternative di assistenza quali la società di mutuo soccorso o i sindacati. 13 In tale contesto si crearono le “charity organisation society” (Londra 1869) organizzazioni volontarie basate sul presupposto di dover in qualche modo disincentivare la richiesta di beneficenza vista come l’accettazione del proprio fallimento e puntare invece alla valorizzazione della persona e della sua capacità di risollevare le sorti della propria vita; offrivano cibo e lavoro evitando cosi la pratica dell’elemosina.7 L’intervento di assistenza di questo periodo era per questo caratterizzato da un controllo sociale, per ogni categoria infatti si prevedevano specifiche strutture tra le quali si ricordano: ospedali generali francesi; case di lavoro inglesi; alberghi dei poveri italiani volti più ad un controllo e ri-educazione che ad un’assistenza. (Figura 2, Napoli 1751: Albergo dei Poveri nell’uso popolare “reclusorio”, per opera di Ferdinando Fuga voluta da Re Carlo III di Borbone) Tali istituti sono l’emblema di questo processo di emarginazione, stigmatizzazione e segregazione sociale degli indigenti attraverso i quali luoghi venivano esclusi dal corpo della società. 1.1.3 L’illuminismo e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino Dall’inizio dell’800 vi è un processo inverso nel trattamento degli indigenti, infatti si passa dal contenimento-emarginazione all’assistenza e alla cura di questi ultimi dei quali i diritti iniziano ad essere oltre che riconosciuti anche tutelati. In questo periodo, definito dell’Illuminismo, si sancisce la prima “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”8 si sottolinea tra questi, il diritto all’assistenza la quale diventa dunque, per la prima volta, un dovere dello Stato. 6 https://ebarrosse9291.files.wordpress.com/2013/07/jakeparker_olivertwist1.jpg (ultima consultazione: 17/09/15) 7 Famosa è la citazione della fondatrice della prima COS, Octavia Hill: “Sono assai sbalordita quando penso a quello che la nostra impazienze elemosina sta facendo ai poveri di Londra. Uomini che dovrebbero alzare la testa come rispettabili padri di famiglia, imparano a cantare come accattoni nelle strade, tutto perché gli diamo dei penny” 8 Sancita mercoledì 26 Agosto 1789 sulla base della Dichiarazione d’indipendenza Americana 14 La dichiarazione del diritto all’assistenza, mai applicata nel concreto, pone quattro principi: l’assistenza al povero è un debito nazionale e per questo motivo ospedali ed altre istituzioni per poveri devono essere vendute a profitto della nazione; la società deve provvedere ai bisogni degli indigenti secondo due modalità: la prima è l’occupazione; la seconda è fornire mezzi di sostentamento ai soli inabili; la cura medica è svolta da un medico professionista; i genitori che non possono occuparsi, economicamente, dei loro figli riceveranno sostegno da aiuto pubblico. Da questo momento in poi dunque tutti i beni di Chiese, Confraternite o altri enti ecclesiastici privati, che fino ad ora si erano occupati di assistenza, saranno trasferiti allo Stato che li investirà nella creazione di strutture o enti socialmente utili (come scuole e ospedali) o comunque lo Stato limiterà l’autogestione di queste associazioni attraverso un controllo pubblico. Si pone cosi la fondamenta dello Stato Sociale che poi si attuerà nell’800. 1.1.4 Il Welfare State Precursore dello Stato di “Benessere sociale” in tutta l’Europa è l’assetto previdenziale ideato in Germania dal cancelliere Von Bismarck che si fonda sul dare origine ad assicurazioni sociali obbligatorie9per i lavoratori, elargite dallo Stato tramite il versamento dei contributi da parte del lavoratore e del datore di lavoro secondo il sistema assicurativo–mutualistico; questo risultò essere in qualche modo elitario e cioè riguardare solo quel cittadino che avendo un lavoro poteva versare i contributi. L’assistenza contrariamente, tutela qualunque cittadino anche senza occupazione. A contrapporsi all’ideologia bismarckiana è quella di Lord Beveridge dell’ universalismo delle prestazioni che ha fatto si che negli anni’ 30 si sia verificata un’estensione dei diritti dei lavoratori a tutti i cittadini, ponendo cosi le basi per gli attuali sistemi di Welfare. Il sistema delle assicurazioni previdenziali è così integrato da una serie di interventi statali che si pongono come principio base quello della “soglia minima di sicurezza sociale” per tutti i cittadini. Tra questi interventi si ricordano: 9 il Servizio Sanitario Nazionale; gli assegni familiari; la politica della piena occupazione; il riassetto dell’assistenza sociale. Assicurazione contro le malattie professionali (1883); Assicurazioni contro gli infortuni e l’invalidità (1884);Assicurazione contro la disoccupazione (1889) 15 (Figura 3 servizi pubblici essenziali ) Questi interventi sono finanziati dallo Stato che recupera le risorse monetarie attraverso la fiscalità generale. 1.2 Il contesto italiano L’Italia come tutte le altre nazioni europee, vede strutturare il proprio sistema assistenziale grazie all’egemonia della Chiesa. Difatti nel 1600 furono fondate congregazioni che si occupavano di raccogliere fondi per i poveri e di creare istituzioni di ricovero per bisognosi con particolari condizioni (orfani, ammalati, ecc.) 1.2.1 La legge Rattazzi Nell’Italia dell’800 l’assistenza è ancora concepita come qualcosa di religioso o di paternalistico, svolta per lo più dalla Chiesa o dai borghesi filantropi spinti dalla volontà di controllare gli emarginati segregandoli in strutture dove non potevano “disturbare” l’ordine sociale e pubblico costituito. In tale periodo vi è l’unità d’ Italia che ha portato con sé tanti problemi come l’aumento della miseria, l’analfabetismo, l’incremento demografico, l’impreparazione all’autogoverno e pertanto l’assistenza fu trasferita al nuovo Stato Nazionale. Con la legge Rattazzi n.753 del 1862 si definirono le modalità di amministrazione delle Opere Pie e cioè di quegli istituti deputati alla beneficenza e alla carità, affidandoli al privato e controllati dallo Stato. Essenzialmente però questo ha dato vita ad un sistema confuso in cui i diversi istituti si accavallano rendendo difficile anche la differenzazione tra struttura privata o semipubblica. Questa legge riflette il pensiero “negativo” del tempo rispetto alla carità ed al concetto di bisognoso considerato come un non avente diritto infatti sempre in tale periodo, con una legge del 1863, si puniva con una pena fino ad un anno di reclusione quell’indigente che praticava il vagabondaggio. 1.2.2 La legge Crispi Con la suddetta10, che sostanzialmente completa le modifiche della precedente, si è sostituito il termine Opera Pia con Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza sottolineando il marcato controllo da parte dello Stato che tuttavia lasciava libertà organizzativa ed amministrativa a queste strutture. Si basava su principi come: 10 laicizzazione degli istituti, infatti vi era la nomina pubblica dei consigli di amministrazione; L.n.6972 del 1890 “Legge sulle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza” 16 controllo statale dei bilanci preventivi11 e consuntivi12; l’obbligo di investire gli immobili in patrimonio dello Stato. Concetto di questo tempo è il domicilio di soccorso con il quale prima le istituzioni e poi il Comune erano obbligati a farsi carico delle spese di assistenza e cura degli indigenti che avevano dimora fissa in quel territorio da almeno cinque anni. Se entrambi, economicamente, non potevano interveniva lo Stato. 1.2.3 L’Italia delle due guerre Caratterizzata da un impulso assicurativo mutualistico, come nel resto dell’Europa, aveva misure di previdenza a base contributiva. Si ricordano la nascita di enti di assistenza come le Opere Nazionali per Invalidi di Guerra oppure, con la legge n.843 del 1937 degli Enti Comunali di Assistenza che sostituivano le congregazioni fornendo assistenza di base; quella specifica invece era affidata ad Enti Nazionali tra i quali si rammentano quelli più famosi dell’ Unione Italiani Ciechi e dell’Opera Nazionale Materno Infantile È in questo contesto che nasce la professione in Italia, infatti sotto l’influenza ideologica dei modelli tayloristici nelle fabbriche si ha la comparsa di scuole di specializzazioni per assistenti sociali che furono poi qualificate come “segretarie sociali”: “La Confederazione dell'Industria, istituisce presso Gregorio al Celio in Roma la prima scuola per assistenti sociali di fabbrica con lo scopo di preparare tecnicamente e spiritualmente il personale femminile che è chiamato a svolgere nelle fabbriche una delicata opera di assistenza sociale ai lavoratori” 13 Successivamente nel secondo dopoguerra si creano scuole di specializzazioni anche al di fuori dei contesti lavorativi per far fronte alle situazioni di degrado sociale create dalle guerre stesse. 1.2.4 Anni ’80: la riorganizzazione dei servizi di assistenza Intorno alla fine degli anni ’70 si realizza il decentramento con l’attribuzione, in merito ai servizi sociali, di funzioni amministrative alle Regioni (appena formatesi) e funzioni organizzative ai Comuni. Inoltre con la legge Bassanini14 si inizia a parlare di sussidiarietà, un principio in base al quale l’organo più vicino ai cittadini e cioè il Comune risulta essere quello maggiormente in grado di interpretare e/o rispondere ai 11 Il bilancio preventivo corrisponde alla definizione esatta di obiettivi da raggiungere e la formulazione di strategie o tattiche idonee per il loro raggiungimento. 12 Il bilancio consuntivo viene redatto al termine di un periodo gestionale per determinarne il risultato economico. 13 Terranova F.,Il potere assistenziale, Editori riuniti, Roma 1975. 14 Legge n.59 del 1997 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa” 17 bisogni della comunità territoriale di riferimento, da questo momento in poi diviene quasi indispensabile l’integrazione tra pubblico e privato. La figura dell’assistente sociale così acquista un ruolo sempre più istituzionalizzato essendo l’attore principale di quello Stato che con la Costituzione15 si era prefigurato di proteggere i propri cittadini16; una professione che rivendicherà la propria identità17 alla fine di questi anni. 1.2.5 La crisi del Welfare Dopo la fase di espansione del Welfare dagli anni 1945 al 1975 (il cosiddetto trentennio glorioso) con una spesa sociale crescente si arriva alla fase di crisi che ha origine dalla crescente inadeguatezza delle “vecchie” soluzioni di fronte ai “nuovi” problemi delle società post-industriali. Vi sono una serie di problemi precursori di tutto ciò: dallo shock petrolifero si passa dalla piena occupazione ad una crescente disoccupazione; con l’invecchiamento della popolazione ed un abbassamento del tasso di natalità si restringe il tessuto umano dal quale attingere con la fiscalità; con l’aumento del numero di donne occupate cambia l’attore famiglia e vi è anche più instabilità familiare; il fenomeno della globalizzazione crea la necessità di ridefinizione dei bisogni e delle prestazioni sociali. Tutto ciò collegato all’aumento della spesa sociale sul debito pubblico crea la necessità di uno Stato Sociale che riesca ad essere essenziale, di basso costo e di alta qualità. Dal 2000 in poi si ha dunque la fase di riforma del Welfare caratterizzata dalla pressione sociale del garantire forme di tutela più estete da un lato e l’urgenza di interventi di contenimento dei costi dall’altro. Si crea cosi il concetto di “Welfare mix” caratterizzato dal fatto che, nell'offerta di servizi, lo Stato assume un ruolo di secondo piano, in quanto i soggetti che li erogano sono organizzazioni private (profit o non profit) e pubbliche, poste in concorrenza tra loro (il cittadino, sulla base di un ragionamento qualità-prezzo, sceglierà l'azienda che più gli "conviene"). Lo Stato, in questo modello di welfare, si occupa solo di erogare ai cittadini che non possono acquistare servizi le risorse necessarie per farlo. 15 Entrata in vigore il 1 Gennaio del 1948 L’articolo 22 fornisce una nuova e moderna definizione della beneficenza pubblica: tutte le attività che attengono, nel quadro della sicurezza sociale, alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento, o di prestazioni economiche, sia in denaro che in natura, a favore di singoli, o di gruppi, qualunque sia il titolo in base al quale sono individuati i destinatari, anche quando si tratti di forme di assistenza a categorie determinate.”(F. VILLA,2000) 17 D.P.R. 14/87 “*…+riconoscimento giuridico del titolo di assistente sociale; abilitazione del diploma di assistente sociale” . 16 18 1.2.6 La rivoluzione copernicana del sociale: la legge 328/00 Per fare chiarezza sull’assistenza sociale, a fronte di tali innovazioni, è stata istituita la Legge 328 del 200018 meglio conosciuta come “Riforma quadro sull’assistenza sociale”. Questa rappresenta la rivoluzione copernicana del sociale in quanto delinea i principi sui quali tutti gli interventi, a livello nazionale, dei servizi sociali devono basarsi, ridefinendo dopo circa cento anni alcuni prerogative dettate dalla Legge Crispi del 1890. Gli obiettivi sono quelli di garantire una certa qualità di vita a tutti i cittadini, assicurare le pari opportunità, rimuovere le discriminazioni, prevenire le condizioni di disagio di quei soggetti provenienti da famiglie con: soggetti con disabilità; inadeguatezza del reddito; condizioni di non autonomia. Si possono cosi schematizzare le novità introdotte dalla suddetta : da un approccio ripartivo ad una approccio di protezione e promozione e dunque da prestazioni meramente monetarie a prestazioni multidisciplinari di rivalutazione delle capacità e risorse dell’utente; dalle prestazioni disarticolate alle prestazioni unitarie; dall’azione esclusiva dell’ente pubblico all’azione svolta da un “mix” di attori tra i quali anche il terzo settore, un’azione integrata (da qui il nome di sistema integrato dei servizi sociali); definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza Sociale(LIVEAS), che le Regioni e i Comuni, tramite interventi di pianificazione (Piano Sociale Regionale e Piano di Zona rispettivamente), si impegnano a garantire; 19 individuazione dei “soggetti prioritari” di interventi sociali quali ad esempio famiglie, minori, disabili, ed anziani, al capo III specifica dettagliatamente l’attuazione di progetti individuali per disabili, sostegno domiciliare alle persone anziane e valorizzazione delle responsabilità familiari; creazione di un “sistema informativo” per la raccolta e la consultazione tempestiva delle informazioni; l’istituzione di una “Commissione di Indagine di Esclusione Sociale” capace di analizzare i nuovi bisogni su scala Nazionale. Dunque da questa Riforma ne esce un servizio sociale che riconosce: 18 l’individuo come soggetto attivo nella risoluzione della propria situazione problematica; Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. I LIVEAS sono stati ampiamente criticati in quanto definiti solo in maniera parziale e generale, rimandando poi la loro definizione pratica ogni tre anni alle Regioni ed ai Comuni, ostacolati spesso dalla scarsità dei fondi; cosa che invece non avviene nel campo sanitario dove i livelli essenziali sono stati ampiamente e dettagliatamente descritti. 19 19 una professione basata sui concetti di “dignità umana”, “giustizia”, “equità sociale” e “solidarietà sociale”; problemi letti, non più solo come individuali, bensì come problematiche legate alla collettività da affrontarsi con progetti e politiche di ampia portata. Gli attori principali sono: LO STATO che fissa un Piano sociale nazionale che indica i livelli uniformi e di base delle prestazioni; stabilisce i requisiti che devono avere le comunità-famiglie e i servizi residenziali nonché i profili professionali nel campo sociale ed infine ripartisce le risorse del Fondo sociale nazionale; LE REGIONI che programmano e coordinano gli interventi sociali, spingendo verso l'integrazione degli interventi sanitari, sociali, formativi e di inserimento lavorativo; che stabiliscono i criteri di accreditamento e vigilano sulle strutture e i servizi sia pubblici che privati; che costituiscono un albo dei soggetti autorizzati a svolgere le funzioni indicate dalla normativa; stabiliscono la qualità delle prestazioni; determinano i livelli di partecipazione alla spesa da parte degli utenti e finanziano e programmano la formazione degli operatori. I COMUNI sono gli organi amministrativi che gestiscono e coordinano le iniziative per realizzare il "sistema locale della rete di servizi sociali". In questo, i Comuni devono coinvolgere e cooperare con le strutture sanitarie, con gli altri enti locali e con le associazioni dei cittadini. 1.3 La formazione dell’assistente sociale oggi L’operatore che fa di questa normativa una pratica è proprio l’assistente sociale che pertanto necessita di una formazione che gli dia i giusti strumenti per renderla attuativa. L’assistente sociale infatti adatta la propria attività agli orientamenti di politica sociale e al mandato istituzionale seguendo però principi e valori della propria professione, integrando quindi richieste dell’ente per il quale lavora, dell’utente e della propria deontologia professionale. 1.3.1 La cultura professionale Per cultura si intende “l’insieme di conoscenze che affinano le capacità ragionatrici di un individuo”20, la scienza del servizio sociale amplia le sue conoscenze utilizzando teorie di altre scienze (psicologia, sociologia, politica, statistica ecc.) integrandole in un’ottica caratterizzata da principi, valori ed obiettivi della pratica creando una propria metodologia professionale. 20 http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/C/cultura.shtml (ultima consultazione: 21/09/2015) 20 Partendo dal presupposto che l’oggetto di studio è l’essere umano in stato di disagio nella sua interdipendenza con il contesto sociale che lo circonda, i suoi ruoli sono: individuazione di stati di bisogno, con segnalazioni dirette o indirette; presa in carico di soggetti in stato di necessità ed analisi dei relativi bisogni, anche in lavoro con equipe multidisciplinare; identificazione degli strumenti più adatti al singolo caso e alle risorse disponibili sul territorio; segnalazione alle autorità giudiziarie dei casi che necessitano del loro intervento (abbandoni, abusi, ecc.); collaborazione con queste autorità per pratiche come affido, adozione o misure alternative alla sicurezza; compiti organizzativi o manageriali (Assistente sociale specialista). …ecc. Dunque ha conoscenze, di base o specialistiche, nel campo della sociologia, psicologia, diritto, economia, della programmazione e degli strumenti informatici; possiede competenze in merito alla sanità, alle politiche sociali, all’organizzazione dei servizi alle persone ed infine ha competenze in merito all’analisi dei fenomeni sociali. 1.3.2 Il saper essere La cultura professionale si caratterizza per il: sapere: conoscenze tecniche organizzate, insieme di teoria e pratica (le buone prassi); saper fare: capacità di applicare sul piano pratico quanto appreso; saper essere: capacità di relazione con l’utente e l’ambiente, inoltre, in virtù di quanto scritto prima21, essenziale è il saper divenire cioè la capacità di sapersi adattare alla società che cambia. Deve saper essere agente di cambiamento. Deve saper essere in continua formazione:22 “la capacità di riformulare contenuti e significati del proprio modo di operare nelle mutevoli situazioni o contesti dell’agire” (Anna Tamburini) Una cultura professionale che si regge su: a)legittimazione formale: riconoscimento giuridico23 e mandato sociale; b) codice etico: insieme di principi e valori comuni a tutti gli assistenti sociali. 21 “*…+il servizio sociale è una professione che cambia” (L.DOMINELLI, op.cit, p.11) Regolamento sulla formazione continua degli assistenti sociali emanato il 24.10.2009 23 Legge n.84 del 23 Marzo 1993 “Ordinamento della professione di assistente sociale ed istituzione dell’albo professionale” 22 21 Dunque l’azione non è improvvisata bensì consapevole difatti l’assistente sociale deve saper essere un operatore riflessivo; un professionista orientato allo studio che deve saper essere uno scienziato sociale. 1.3.3 La definizione internazionale di lavoro sociale La definizione internazionale di “lavoro sociale” Il lavoro Sociale professionale promuove il cambiamento sociale, il processo di soluzione dei problemi nelle relazioni umane, l’empowerment e la liberazione delle persone per accrescere il benessere. Utilizzando le teorie sul comportamento umano e sui sistemi sociali, il lavoro sociale interviene ove le persone interagiscono con i loro ambienti. I principi dei diritti umani e della giustizia sociale sono fondamentali per il Lavoro sociale. (Hare, 2004) 1.4 IN SINTESI Chi è? L’assistente sociale è “un professionista che opera nell’interesse di individui o di gruppi che si trovano in situazioni di difficoltà”.24 E’ capace di ridurre tali difficoltà grazie ad azioni mirate e specifiche. Che cosa fa? Lavora, anche in collaborazione con altre figure professionali come lo psicologo, l’educatore, il medico specialista ecc, in un determinato territorio di cui sa riconoscere bisogni e risorse in modo tale da saper orientare i diversi interventi. Su cosa si basa? Su un sapere in continuo aggiornamento, multidisciplinare e pratico. Come si accede, oggi, alla professione? Bisogna conseguire la laurea Triennale nel corso di “Scienze del Servizio sociale” ed essere abilitato alla professione oltre che essere iscritto all’albo Regionale. Dove lavora? Lavora per enti pubblici o privati, come libero professionista, come tutor o formatore o come giudice onorario presso il Tribunale dei Minorenni o la Corte d’Appello. 24 Codice Deontologico Assistenti Sociali 22 CAPITOLO 2: LE RAPPRESENTAZIONI ED IL MONDO MEDIATICO Il mondo è solo una mia rappresentazione! Il mondo come volontà e rappresentazione Arthur Schopenhauer La televisione presenta un mondo fatto di facce e di facciate, di immagini. Ti fa credere che è tutto lì. Ti fa dimenticare che dietro quelle facce, quelle facciate c'è un altro universo. Che lei, la televisione, non ha modo di esplorare. Beniamino Placido La vita di ogni individuo si traduce in esperienza, parola che deriva dal latino experior25 “provare, tentare”, e si intende con essa la serie di atti come l’osservazione, lo studio e l’azione mediante i quali si acquista la conoscenza della realtà che ci circonda. E’ composta da innumerevoli eventi, oggetti, persone ed impressioni, elementi diversi l’uno dall’altro nell’essenza ma anche nel modo di pensarli. Costantemente si va al di là della realtà in cui si è immersi in quanto il pensiero di essa si formula per attribuzione; si attribuisce ad un elemento su citato il nome, la funzione, la sensazione ma anche un giudizio ed una re-azione. Cosi facendo si cambia, in un certo senso, il modo di pensare a quell’oggetto o a quella persona e cambia dunque l’esperienza ad essa connessa: il medico che esegue l’intervento e cura il padre di un bambino, “è una brava persona perché dà al figlio la possibilità di crescere con un padre sano fisicamente”; l’assistente sociale che avvia un percorso di recupero delle capacità genitoriali per un ex tossicodipendente predisponendo un affidamento familiare “è una cattiva persona perché allontana il bambino dalla propria famiglia”. Dunque si attribuisce la qualifica di brava persona ad una professione e di perfida all’altra sulla base di un’attività mentale che, come direbbe Bruner, discrimina degli elementi favorendone altri. Ovviamente questo è un discorso estensivo del meccanismo di funzionamento della costruzione della realtà ma è di aiuto nella spiegazione di come le persone interpretano determinati stimoli tramite delle caratteristiche del pensiero e anche tramite un 25 Esperiènza – lat. Ex-Perientia da ExPerièns aggettivo verbale derivante da Ex-pèrior, provo,tento. 23 background di conoscenze; infatti allo stesso intervento del servizio sociale può essere attribuita una valenza positiva se si analizza il testo normativo che lo dispone che afferma il diritto di ogni minore a crescere in un ambiente idoneo ai propri bisogni 26, con le relative caratteristiche di temporaneità, mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine nonché previsione del rientro del minore in quest’ultima. Ogni cosa che vediamo o ogni cosa che leggiamo funziona esattamente come ogni cosa che viviamo e cioè costruendo l’idea della realtà che ci circonda attraverso il pensiero e le sue attribuzioni; i mass media sono, da un certo punto di vista, dei produttori di esperienza la quale non è vissuta ma rappresentata27; consentono infatti ad un individuo di conoscere determinate situazioni, di attribuire loro delle opinioni ed influenzano inevitabilmente le loro aspettative di comportamento in merito alle situazioni stesse. La conoscenza prodotta dai media molto spesso oltre che avere le interferenze tipiche del modo di pensare (attribuzioni e background) è alterata anche dai meccanismi di funzionamento dello strumento che la produce. In questo spazio si analizzerà come si costruiscono le idee, come queste influenzano il comportamento e come i mass media hanno su questo processo un ruolo fondamentale ed infine si porrà particolare attenzione all’attuale rappresentazione del profilo dell’assistente sociale. 2.1 Costruire la realtà attraverso le rappresentazioni La rappresentazione è un processo mentale attraverso cui si forma un simbolo o un’immagine della realtà esterna cosi come percepita dal soggetto che la pone in essere; invero la corrente filosofica del “Realismo” afferma che tale attività mentale costituisce l’unica possibilità per conoscere la realtà esterna. È un’operazione fondamentale anche nel rapporto tra individuo e società poiché fornisce aspettative e informazioni in merito ad un comportamento, o più in generale ad un’azione da mettere in atto in una determinata situazione ed, essendo l’individuo “un animale sociale”28 l’attività rappresentativa consente di stare insieme agli altri: “Conoscere il mondo sociale permette l’adattamento degli individui alla propria società d’appartenenza in quanto, occorre 26 Legge 28 Marzo n. 149 del 2001 “Diritto del minore ad una famiglia” all’Articolo 1 comma 2 afferma: “Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.” Seguito dall’Articolo 2 comma 1 che annuncia: “Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.” 27 VERENI P., Identità catodiche. Rappresentazioni mediatiche di identità collettive,Meltemi Editore, Roma 2008. 28 Aristotele, Politica, IV sec. a.C. 24 apprendere regole di comportamento e saperle riconoscere se si vuole far parte di un gruppo, anche di sole due persone29”. Le rappresentazioni che aiutano gli individui a muoversi nel mondo relazionale sono definite sociali e vengono identificate come una conoscenza socialmente condivisa di una realtà comune ad un insieme di persone. Elena Allegri afferma a tal proposito: “*…+ le rappresentazioni sociali reperibili nei media possono essere considerate come indicatori di senso comune.” (Allegri, 2006) Capire una rappresentazione significa comprendere un comportamento, un atteggiamento o un’opinione giacché il nostro modo di pensare è influenzato fortemente dalla rappresentazione che abbiamo dell’oggetto a cui pensiamo; significa avere la consapevolezza dell’idea della realtà che ha l’individuo, se ad esempio il tizio A pensa all’assistente sociale come una figura femminile, sensibile e ben curata, difficilmente riuscirà a relazionarsi con un assistente sociale uomo salvo che non modifichi la sua rappresentazione. (Figura 4, la rappresentazione di uno stereotipo della figura dell’assistente sociale, AS.it) 2.1.1 Meccanismi di formazione delle rappresentazioni sociali Sostanzialmente le rappresentazioni sociali si modificano in continuazione, spesso si collegano ad altre creando un’immagine più esaustiva della realtà. Si formano attraverso due processi cognitivi: 29 l’ancoraggio: canalizzazione, seguendo il principio della somiglianza, di una nuova informazione in categorie pre-esistenti della mente, “etichettare un fatto” (MOSCOVICI, 2005); l’oggettivazione: materializzazione di un’idea che si concretizza diventando un’immagine. CASTELLI C., QUADRIO A., VENINI L., Psicologia sociale dello sviluppo, FrancoAngeli, Milano 1998. 25 Richard Bandler e John Grinder nel libro “La struttura della magia”30 affermano che la realtà differisce da persona a persona a causa dei tre sistemi di filtro con i quali si elabora la stessa; i filtri neurologici derivano dalla circostanza che il sistema umano, geneticamente determinato, è in grado di percepire; i filtri sociali caratterizzati da una società che salvaguarda dei valori a scapito di altri; ed infine i filtri individuali relativi alle passate esperienze o alla propria apertura mentale. Detto ciò si può dire che la rappresentazione è fortemente collegata alla “percezione”è cioè quell’attività della mente che concettualizza stimoli come eventi, comportamenti o persone in categorie mentali che ne sintetizzano i tratti salienti. La percezione non è legata al caso anzi, è un processo continuo di controllo delle ipotesi in quanto quando si ha di fronte un’informazione, sia perché la si vive, sia perché la si osserva (come nel caso dei mass media), il soggetto percepisce formulando un concetto in via ipotetica e, confrontato e confermato dall’esperienza, lo inserisce in quella determinata categoria; il costruttivismo infatti afferma che il ricevente di un messaggio ha una conoscenza autoreferenziale, si sente parte della realtà comunicata che è costruita sulla base delle proprie esperienze. Inoltre la teoria di Asch dell’effetto precedenza (primacy) mostra come le persone formano molto precocemente l’impressione sul target che hanno di fronte senza aspettare di avere tutte le informazioni possibili pertanto la percezione risulta essere selettiva ed inferenziale, si concentra solo su una piccola parte dell’informazione complessiva. Da qui si evince come funziona la formazione di una rappresentazione quando in un corso di laurea in “Scienze del servizio sociale” che conta cento iscritti solo tre sono uomini; è quasi ovvio che si elabora una idea di una professione prettamente femminile e che quindi in futuro si verifichi la situazione della Figura 4. “[…] non vediamo l’ambiente com’è, ma nei termini delle categorie che possediamo per descriverlo” (George Kelly, teoria sul costrutto sociale) Stando a ciò la rappresentazione sociale è l’idea di una persona che è percepita come tipica di una determinata categoria (dalla Figura 4 … l’uomo non può essere un assistente sociale). 2.1.2 Dalla categorizzazione alla generalizzazione Le categorie mentali su descritte consentono alla mente di padroneggiare la vasta quantità di informazioni che provengono dal mondo esterno. Strettamente connesso a questo processo è quello della generalizzazione per cui la mente umana estende e quindi generalizza, l’osservazione di alcuni eventi particolari ad una serie più ampia e generale. Facendo infatti sempre riferimento all’esempio di prima si mostra come la 30 BANDRER R., GRINDER J., La struttura della magia, Astrolabio Ubaldini,Roma 1981. 26 predominanza della figura femminile viene estesa a tutta la categoria “Assistenti Sociali”. Dalla fusione dei due processi si formano gli stereotipi e cioè quell’insieme di caratteristiche associate ad una certa categoria di oggetti o di persone. Allport affermava che sia la categorizzazione che il conseguente stereotipo rappresentano una modalità normale di funzionamento della mente in virtù di una vastità di stimoli sociali che altrimenti renderebbero impossibile il processo cognitivo. Si tratta di euristiche o scorciatoie mentali che spesso non si rivelano corrette in quanto si attribuiscono in maniera indistinta determinate caratteristiche ad un’intera categoria di persone, trascurando le possibili differenze. (Figura 5, gli stereotipi sugli italiani) 31 2.1.3 Dal pregiudizio agli atteggiamenti E’ fondamentale dire che gli stereotipi non hanno sempre un’accezione negativa e che non sono sempre e solo delle generalizzazioni approssimative di percezioni. La connotazione più negativa di questi infatti è rappresentata dal pregiudizio ossia “un’opinione preconcetta concepita non per conoscenza precisa e diretta del fatto o della persona, ma sulla base di voci e opinioni comuni”32. Lo stereotipo è essenzialmente trasmesso culturalmente e socialmente, il pregiudizio invece può essere considerato come un giudizio prematuro, alle volte immotivato e cioè senza una ragione sufficiente. Spesso avere dei pregiudizi su determinate categorie di persone porta ad avere atteggiamenti conseguenti; l’atteggiamento deve essere considerato come una posizione di sfavore o favore nei confronti dell’oggetto in questione, questa posizione spesso spinge ad un comportamento. Detto ciò se le credenze date da un pregiudizio spingono alla modifica di un comportamento si potrebbe verificare quello che la psicologia ha qualificato come “la profezia che si auto avvera” (Merton, 1971) vale a dire una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. Si verifica una specie di circuito composto dalla predizione che genera l’evento e l’evento che genera la predizione. 31 https://coitaliano.files.wordpress.com/2014/01/pregiudizi_sugli_italiani1.jpg?w=538 (ultima consultazione 25/09/2015) 32 Il concetto di pregiudizio, enciclopedia de Agostini 27 Esempio della rappresentazione della “Visita domiciliare”: “[…] la visita domiciliare può rappresentare un tipo di interazione vissuta come intrusiva da parte dell’utente” (ALLEGRI, PALMIERI, ZUCCA, 2006 p.33) caratterizzata da un preconcetto evidente può far nascere un atteggiamento ostile e con esso un comportamento di chiusura e protezione dei “confini familiari” da parte dell’utente che genera dall’altro lato, nell’assistente sociale una curiosità e una voglia di far conoscere l’utilità della visita domiciliare letta però dall’utente come invadenza e controllo. Dunque dal preconcetto (la visita domiciliare è un’intrusione nel mio ambiente di vita) all’atteggiamento di ostilità e conseguente richiesta di apertura dell’assistente sociale si passa nuovamente al pensiero di una visita intrusiva. 2.2 La comunicazione mediatica: il ricevente e l’audience Dato l’enorme potere di influenza delle idee sui comportamenti risulta essere estremamente importante la comunicazione mediatica che, come detto nelle pagine precedenti, è un produttore di esperienza e di attribuzioni in merito alla stessa; mostrare una realtà piuttosto che un’altra significa creare un ambiente mentale e fisico caratterizzato da molte rappresentazioni e pregiudizi negativi.33 Perché un assistente sociale non è mai il protagonista di un film o di un libro? Perché non è mai presente nei talk show? Quali sono le caratteristiche del mondo mediatico che spesso fungono da vincoli o barriere per la creazione di una rappresentazione positiva del servizio sociale? Innanzi a tutto bisogna affermare che con il termine mass media si indica l’insieme di mezzi di comunicazione a distanza di un messaggio aperto ad uno svariato numero di persone; il processo di comunicazione, in generale, è caratterizzato da: emittente; ricevente, nei media si parla di in un rapporto definito dell’ “uno-molti”, cioè un emittente e molti riceventi i quali vengono identificati con la parola “massa”. Il primo a coniugare tale vocabolo per parlare di una nuova entità collettiva fu Herbert Blumer, membro della scuola di Chicago che volle differenziare tale concetto da quello di folla e di gruppo; nel gruppo i membri si conoscono ed interagiscono tra loro essendo consci della loro comune appartenenza, la folla invece è un soggetto più instabile, ristretto e 33 Un assistente sociale sa bene che la visita domiciliare può essere letta sotto più punti di vista pertanto sa come programmarla e strutturarla tenendo ben presente le varie difficoltà legate ad una situazione che cambia(un telefono che squilla, una visita di un vicino inaspettata ecc.). 28 temporaneo oltre che contingente (dieci persone alla fermata dell’autobus possono essere considerate folla). La massa nasce come condizione della società industriale ed urbanizzata che, ingigantendosi sempre più diede vita ad una condizione di anonimato di persone prive di collocazione fissa e di un’organizzazione stabile. Il ricevente codifica il messaggio e risponde con un feedback e dato che la comunicazione di massa non sempre anzi, quasi mai è interattiva il feedback è riscontrabile solo in un momento successivo ed inoltre è indiretto, risponde all’emittente silenziando la comunicazione (cambiando canale, spegnendo la radio, non terminando la lettura dell’articolo di giornale) o continuando ad ricevere il messaggio. Il processo di comunicazione mediatica dunque punta all’audience, all’ascolto e cioè al feedback del ricevente pertanto esercita persuasione attraverso tre specifiche fasi: analisi della composizione della massa: ad esempio esistono messaggi mediatici volti ad un target di riferimento specifico di cui si conosce l’interesse (si pensi ai talent show rivolti ad un pubblico giovanile, in cui la musica è l’elemento predominante); oggettivazione dell’attenzione: deve interessare, non annoiare; suggestione: deve indurre nello spettatore un’opinione di cui non avverte l’esigenza di opporsi. Gli indici di ascolto e di continua ricezione del messaggio saranno tanto più alti quanto più il messaggio sarà credibile e tanto più l’emittente sarà in grado di coinvolgere. 2.2.1 La costruzione del messaggio: la teoria dell’agenda setting e della spirale del silenzio Tutto ciò che accade nella realtà, è interpretato dalle varie forme d’informazione in “notizia” e non notizia, la prima riguarda soprattutto l’eccezione e cioè quello che non rientra nella normalità; sembra che l’elemento importante della notizia non sia tanto la sua autenticità piuttosto il fatto che sia condivisibile e interessante. Mastronardi afferma: “*…+ non distaccarti mai dalla costruzione manipolata che hai in mente. E’ importante che ti abitui a strutturare una realtà diversa da quella vera. Quella vera non fa notizia e corri il rischio che non interessa a nessuno. Se non riesci a manipolarla ridicolizza il personaggio. (MASTRONARDI, 2015 p.21) Infatti secondo la “teoria dell’agenda setting” (McCombs, McLure, Patterson, Shaw) i mass media influenzano l’audience in base alle scelte considerate notiziabili ed anche in base allo spazio e preminenza loro concessa. Pierluigi Magnaschi, direttore fino al 2006 dell’ANSA34 nel convegno “Società senza informazione:i media, i diritti e gli 34 Agenzia Nazionale Stampa Associata, ANSA trasmette oltre 3.500 notizie e più di 1.500 foto al giorno che vengono trasmesse ai mezzi di informazione italiani, alle istituzioni nazionali, locali ed internazionali, 29 esclusi” ha parlato di mille e cinquecento notizie che arrivano sulle loro scrivanie di cui solo cento al massimo centocinquanta vedono la luce sui diversi giornali. “E spesso queste sono quelle notizie strappalacrime.” Il postulato principale di questo meccanismo di costruzione del messaggio è il salience transfer (rendere la notizia saliente e rilevante) i media devono far si che una notizia privata, quasi individuale, diventi di interesse pubblico. La salienza dipende in maniera particolare dal momento storico-ideologico che vive la società, difatti alcune notizie, più o meno importanti, dominano la scena mediatica e poi scompaiono rapidamente senza che “la massa” se ne renda conto proprio perché scompare l’ eccezionalità della notizia. L’emittente pertanto modifica le informazioni attraverso i modi con cui le: seleziona: gatekeeping, filtraggio di una notizia o meno; elabora: raccolta di materiale informativo e le fonti da cui essi provengono35; presenta: fondamentalmente tenendo conto della valutazione del primo impatto, effetto primacy (un giornale, un film o un programma televisivo si valutano nei primi tre o quattro secondi). Per questo molte volte sono “scandalistici” i titoli di un giornale o di un libro36, cosi come quelli di un programma televisivo, vedi Figura 11: “Casa sporca: via i bambini”. I mass media oltre che avere il poter di far conoscere determinate realtà hanno secondo la Teoria della spirale del silenzio il potere di influenzare l’opinione “pubblica”, come definita da Rousseau. La teoria elaborata nel 1970 da Elisabeth Neumann spiega come i mezzi di comunicazione di massa hanno un notevole potere di persuasione in grado di: enfatizzare opinioni prevalenti; ridurre “al silenzio quelle minoritarie, creando una spirale che “inibendo” la minoranza rafforza la percezione collettiva della positività dell’opinione della maggioranza. Proprio il costante e ridondante afflusso di notizie “filtrate” causa nel pubblico un’ incapacità a comprendere l’influenza dei media causando dunque una “omologazione ed appiattimento” del pubblico, ostile al rinnovamento delle opinioni (una sorta di effetto carrozzone). alle associazioni di categoria, ai partiti politici ed ai sindacati. L'ANSA trasmette notiziari nazionali, locali e specifici per settore. 35 N.B. Nel caso di servizi sociali le fonti da cui i servizi informativi accingono sono spesso costituite dagli stessi soggetti che utilizzano il canale in questione per denunciare i fatti esponendo la situazione dal loro punto di vista. 36 Degli esempi di titoli scandalistici di giornale sono dati dalla Figura 9. 30 2.2.2 Un esempio che vede protagonista il servizio sociale (Figura 6, 05 Febbraio 2014, Il caso di Linda Greco di Lissone presentato da Le Iene con il titolo “Quando gli assistenti sociali ti tolgono i bambini” la donna racconta alla Iena Matteo Viviani: “mi ha picchiato fino a rischiare di perdere il bambino. Sono finita in ospedale due volte, alla terza settimana ed al quarto mese. L’ho perdonato, sbagliando, perché non volevo che mio figlio nascesse senza padre. Quando il bambino piangeva, lui si arrabbiava, il piccolo gli dava fastidio e non se ne prendeva cura; ha cominciato ad essere violento anche con la mia prima figlia. Abbiamo avuto due liti fortissime e lui mi ha picchiata di nuovo, ho chiamato i carabinieri e sono andata con i bambini in albergo.” Sempre da quanto si evince dal servizio i figli vengono affidati al padre e la madre può incontrarli in uno spazio neutro, un’ora alla settimana controllata a vista. Inoltre è presente una psichiatra che smentisce la pericolosità sociale della Greco e viene mostrata l’archiviazione della Procura della Repubblica non trasmessa dai servizi sociali al Tribunale dei Minorenni)37 Il caso della Figura 6 è emblematico, analizzandolo come esposto dal MBnews-Il giornale online di Monza e della Brianza38 si notano delle differenze da come è stato esposto da “le Iene”39. Lo strumento mediatico ha presentato il caso selezionando delle fonti con un gatekeeping che ha escluso la ctu o la relazione psichiatrica (richiesta poi dal Giudice che ha valutato la correttezza dell’iter procedurale) e che ha invece accentuato i racconti della Greco e degli amici evidenziando come gli assistenti sociali avessero omesso di dire che la donna fosse “fuggita” di casa per paura di ulteriori violenze da parte del compagno, e dunque per proteggere sé stessa ed i bambini; hanno inoltre mostrato come gli assistenti sociali “scappassero” alla vista delle telecamere. Il sindaco Concetta Manguzzi successivamente ha spiegato come il servizio sia stato tagliato in maniera faziosa omettendo anche la lettura di alcuni documenti: “ *…+Il servizio delle "Iene" ha narrato infatti una verità talmente parziale e manipolata da trasformarsi in una vera menzogna. *…+ Questo spazio non è un locale comunale e - tanto per chiarire - quelle che avete visto alla tv non sono dipendenti del nostro Comune, così come non lo sono le assistenti sociali mostrate mentre si allontanano dalle telecamere. 37 http://www.mbnews.it/2014/02/linda_greco_lissone_sindaco_assistenti_sociali_figli_tolti/ (ultima consultazione 09/01/2016) 38 http://www.mbnews.it/2014/02/lo-sfogo-delle-assistenti-sociali-siamo-stufe-lettera-algiornale/(ultima consultazione: 01/12/2015) 39 È un programma televisivo di intrattenimento che va in onda su Italia 1 dal 22 settembre1997; versione dell’argentino Caiga quien caiga, è caratterizzato da uno stile irriverente e si presenta come un approfondimento dell'attualità italiana e internazionale, realizzato attraverso reportage e provocazioni satiriche. 31 […]Il procedimento giudiziario a cui continuamente si fa riferimento nel servizio televisivo, però, è relativo a un altro fascicolo, aperto questa volta dalla Procura della Repubblica di Monza (che - ripeto - non è il tribunale incaricato dell'affidamento dei minori). Questa seconda pratica è stata effettivamente archiviata, come documentano le immagini, in quanto non risultava che fossero stati commessi reati; ma tale procedimento non ha nulla a che vedere con il fascicolo aperto presso il Tribunale dei Minori (il quale, ricordo per l'ennesima volta, è l'unico competente a decidere sull'affidamento dei bambini!) 40 Si noti dunque come da questo servizio si sia enfatizzata un’opinione pubblica silenziando la minoranza e cioè quegli assistenti sociali che non parlano o che se parlano vengono ammutoliti. (Figura 7: “Parla l’avvocato che difende l’ex compagno di Linda Greco. Per il caso in questione vi è stato un procedimento civile con richiesta immediata del ritiro del servizio da internet (ex art.700 c.c.) che ha comportato l’eliminazione del video da tutte le piattaforme on-line in cui era stato inserito. Inoltre il Giudice, Pierangela Renda, che si occupava del procedimento, penale, nei confronti del compagno ha disposto l’archiviazione e l’apertura del procedimento che vede come imputato Linda Greco per calunnia e false denunce) 2.3 La disinformazione mediatica Ebbene gli strumenti mediatici creano una rappresentazione (idea che si crea attorno ad un evento, una situazione o una persona) attraverso specifici meccanismi che puntano al feedback, ad un ritorno del ricevente-spettatore. Possono creare, amplificare e deformare la realtà proponendone una chiave di lettura dalla quale difficilmente si rimane immune(teoria della spirale del silenzio). Le persone che non vivono una determinata situazione, della quale quindi non hanno la benché minima rappresentazione, ne vengono a conoscenza solo se per i media questa costituisce “la notizia”, ma soprattutto ne ricavano un’immagine per come il mezzo la propone. Il campo di possibilità per la creazione di una rappresentazione piuttosto che un’altra dipende essenzialmente dal ricevente che se ha già un’idea su quella situazione sicuramente la interpreterà in maniera differente rispetto al soggetto che conosce per la prima volta quell’evento per come il mezzo la presenta. Per questo molte volte si afferma che i media creano ed influenzano le persone e più in generale l’opinione pubblica. 40 http://www.comune.lissone.mb.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/5410 (ultima consultazione: 04/12/2015) 32 Un esempio è “Il caso di Leonardo”, ampiamente analizzato dalla dr.ssa Maria Chiara Bartocci41. Nella suddetta analisi spiega come i tentativi di eseguire pacificamente l’allontanamento sono stati impediti dalla madre, la quale secondo la perizia psichiatrica, con il proprio comportamento avrebbe avuto un ruolo principale nella sindrome di alienazione parentale del figlio; la stessa sorvegliava la scuola ed ha filmato la scena dell’intervento della Polizia facendo scoppiare cosi un caso mediatico. (Figura 8, 10 ottobre 2012, Padova, Leonardo prelevato da scuola a seguito di un provvedimento di allontanamento del TdM di Venezia.) Se l’allontanamento viene mostrato in questi termini, lo spettatore che come detto prima, non è a conoscenza della “reale realtà” (quella spiegata dalla dottoressa Bartocci) se non attraverso le immagini trasmesse dai media, non saprà mai cosa vuol dire vivere quella situazione “nei panni” di un bambino, di una madre o di un assistente sociale. Questo dunque, in maniera riassuntiva, provoca un consolidamento percettivo di una rappresentazione distorta frutto di disinformazione e deformazione che genera nello spettatore delle conclusioni negative sul, in questo caso, provvedimento di allontanamento. Oltre a creare la realtà o meglio un’immagine di essa, la comunicazione mediatica intesa come tale può confermare una rappresentazione sociale. 2.3.1 La Tv del dolore ed il Servizio sociale Nei confronti del servizio sociale, il settore della comunicazione attraverso i suoi meccanismi di funzionamento, imposta una logica prettamente commerciale puntando alla notizia “aberrante” e quindi spesso creando più disinformazione e deformazione che promozione dell’immagine del professionista. 41 ROMA, 4 MAGGIO 2015 SALA CAPRANICHETTA, PIAZZA MONTECITORIO, 131 ORE 9.30 - 14.00: Seminario internazionale:“Le rappresentazioni del Servizio Sociale nei Mass Media” http://www.cnoas.it/Attivita/Le_rappresentazioni_del_Servizio_sociale_nei_media/Le_Slides.html (ultima consultazione 03/01/2016) 33 (Figura 9: il caso di Leonardo presentato da “Il Giornale” e “La Repubblica”) La tv del dolore, secondo una indagine sulle cattive pratiche televisive42 è caratterizzata da: esibizione del dolore: pianti, volti affranti; forme e toni inappropriati del racconto; eccessivo patemico: immagini e testi allarmanti e pieni di suspence; accanimento mediatico: violazione della privacy ed aggressività dei reporter; finto intendo pedagogico. Caratteristiche queste denunciate, nel 2008, dall’Autorità per le Garanzie nelle COMunicazioni43 che in una nota afferma: “La cronaca giudiziaria deve sempre rispettare i principi di obiettività, completezza, correttezza e imparzialità dell'informazione e di tutela della dignità umana, evitando tra l'altro di trasformare il dolore privato in uno spettacolo pubblico che amplifichi le sofferenze delle vittime e rifuggendo da aspetti di spettacolarizzazione suscettibili di portare a qualsivoglia forma di “divizzazione” dell'indagato, dell'imputato o di altri soggetti del processo.” Una tv del dolore che punta a sentimenti o anche a curiosità dello spettatore-lettoreascoltatore e che fa del buonismo o della morale del senso comune il focus della comunicazione. Una delle difficoltà mediatiche è quindi far prevalere la ragione (la spiegazione e l’informazione sulle procedure di tutela dei minori) sull’emozione (lo spettacolo televisivo che vede come protagonisti i genitori e raramente i professionisti). 42 Osservatorio di Pavia “Media Research” in collaborazione con l’ordine dei giornalisti ha presentato a Roma il 24 Marzo 2015 una indagine sulle cattive pratiche televisive dal nome “La Tv del dolore”. 43 Delibera n. 13/08/CSP, Atto di indirizzo sulle corrette modalita’ di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni radiotelevisive , Gazzetta Ufficiale della della Repubblica italiana n. 39 del 15 febbraio 2008 34 L’assistente sociale ha pertanto poco spazio e poche opportunità di far conoscere gli strumenti e le motivazioni alla base del servizio sociale. L’emittente capisce la complessità del problema, lo rende notizia drammatica e se il social worker è parte della comunicazione mediatica vi partecipa senza partecipare perché gli si chiede di rispondere a domande sul caso ma per farlo ha bisogno di estendere il discorso ad ulteriori dettagli che superano i tempi televisivi (e soprattutto gli scopi televisivi) e che quindi vengono troncati sul nascere. La stessa tv infatti tralascia: a)la complessità degli interventi: sempre in riferimento al caso di Leonardo, figura11: “Solo quando è diminuito l’impatto emotivo della campagna mediatica, i quotidiani hanno approfondito cos’è la PAS e cosa sono le procedure normative a tutela dei minori che coinvolgono le diverse figure professionali” (Dott.ssa Maria Chiara Bartocci, 2015) ; b)rappresentazione realistica: l’assistente sociale a causa della deformazione della realtà non spiega il suo operato piuttosto lo giustifica, ad esempio per il caso di Rosi Bonanno44 i giornali hanno presentato la notizia affermando: “uccide l’ex fidanzata davanti al figlio ma era stato già denunciato”; “gli assistenti sociali e la polizia sapevano”; gli assistenti sociali si difesero dicendo “noi avevamo il compito di monitorare il bambino che era ben seguito dalla famiglia *…+ non abbiamo strumenti di fronte alle lungaggini della burocrazia, ci sono tempi tecnici che non dipendono da noi”; c) il quadro delle condizioni in cui lavora un assistente sociale: il carico di lavoro (ad esempio da un’inchiesta del 200845 sono circa cento minori affidati ad ogni assistente sociale), la pressione, la perdita di qualità per le poche risorse (ad esempio con l’esternalizzazione dei servizi sociali da parte di molti Comuni che non verificano tanto la professionalità piuttosto privilegiano il basso costo); d)effetti sui clienti: oltre quelli relativi all’influenza sugli atteggiamenti e/o comportamenti anche quelli relativi all’utilizzo dei media come minaccia all’assistente sociale, o come altri modi per avere assistenza. 2.4 Il profilo dell’assistente sociale secondo i mass media e l’opinione pubblica Secondo un postulato democratico i media dovrebbero mostrare la “realtà reale” e non decidere cosa il ricevente debba conoscere ma da fin qui esposto si è mostrato 44 http://cultura.biografieonline.it/rosi-bonanno-storia/ (ultima consultazione: 12/12/2015) 45 Emanuela Zuccalà e Paola D’amico, Non siamo ladri di bambini, IoDonna, 2008 35 come da i media in generale che fanno notizia fino alla tv del dolore, ci sia una quasi totale mancanza di piattaforma di comunicazione e confronto e vi sia la rappresentazione di un operatore come: soggetto che “allarga le braccia”: impotente; assente; il fuggitivo che scappa dalla spiegazione delle “cattive prassi”. Dopo aver spiegato come i mezzi di comunicazione di massa influenzano le opinioni delle persone riceventi i loro i messaggi si analizzano le diverse caratterizzazioni del profilo dell’assistente sociale mostrato dai diversi media e si espongono brevemente anche alcune motivazioni, riscontrabili dalla storia del servizio sociale (infra capitolo 1) e non solo, che possono essere considerate come la radice delle scelte degli elementi della figura da rappresentare. “Amy la seguì nell’ingresso e sopportò le solite osservazioni dell’assistente sociale. Dopo che la donna se ne fu andata, Amy si appoggiò alla porta. Era incredibile. Bastava la presenza di quella donna per risucchiare tutta la gioia dall’aria. Amy non riusciva a capire cosa la signora Hatcher potesse avere contro di lei. Sapeva di non avere la sua approvazione. Disapprovava il fatto che Amy fosse cosi giovane e che non fosse sposata. Anzi, sembrava disapprovare qualsiasi cosa le riguardasse, ma era chiaro che non aveva nulla di concreto per poter evitare che i bambini venissero dati in custodia alla zia. La sola cosa che poteva fare era rendere le cose più difficili, ed era proprio quello che stava facendo.(Il milionario innamorato, Susanne Mccarthy) Innanzitutto la figura appare sempre come una comparsa, non protagonista, con pochi elementi che identificano il ruolo a seconda della rappresentazione che si vuole dare. Un personaggio costruito solo dal punto di vista lavorativo (quasi sempre in una visita domiciliare o in un colloquio) eliminando completamente la sua componente privata e i suoi affetti, suscitando così l’impressione di una figura spietata ed incapace di possedere una propria storia personale. Elena Allegri 46 paragona l’assistente sociale ad un iceberg “*…+ suddiviso in tre sezioni, la prima è la parte che affiora in superficie; la seconda comprende le spinte propulsive della materia atte a mantenere l’equilibrio nell’acqua; la terza, infine, costituisce la struttura portante. Come per l’iceberg anche per l’assistente sociale si vede solo la punta.” Ed è per questo motivo che ogni qualvolta si parla di un assistente sociale lo si fa in modo parziale, blando e mai positivo. 46 ALLEGRI E., Le rappresentazioni dell’assistente sociale. Il lavoro sociale nel cinema e nella narrativa, Carocci Faber, Roma 2006. 36 (Figura 10, Maurizio Cartolano con il contributo dei soci ASit, servizio sociale su internet) Una figura inoltre, che appare tipicamente in vesti femminili. La donna è, da sempre, l’emblema della delicatezza, della sensibilità, dell’affettività verso gli utenti e del senso materno i quali rappresentano gli elementi portanti di qualunque lavoro di cura ed inoltre già dai tempi delle segretarie sociali il ruolo dell’operatore dei servizi sociali era svolto tipicamente dal “sesso debole”. Sembra dunque insito che il comportamento tipico di un “helper” sia femminile. Tradizionalmente l’assistenza sociale si occupa di tematiche tipicamente femminili quali la maternità, l’interruzione della gravidanza, le adozioni, le violenze e molte altre ancora. Difficile, soprattutto per l’utente, pensare che un uomo possa entrare in empatia con una tematica troppo lontana dalla sua vita. 47 Una ricerca condotta dal docente di servizio sociale Florea tenta di spiegare le cause della composizione monosessuale della suddetta categoria professionale, sottolineando come questa sia una scelta “materiale” dell’uomo: bassa retribuzione; precarietà del posto; modeste prospettive di carriera, ciò, e tanto altro, è quello che disincentiva il futuro capofamiglia dallo scegliere tale professione. 47 Il tutto però è influenzato dalla cultura, ad esempio molti musulmani non accettano l’idea di essere aiutati dalle donne 37 (Figura 11,servizio alle “Iene” ed il caso di Andrea Barlocco e Sabrina Saccomanni. Nel servizio in questione viene raccontato che l’assistente sociale accompagnato da due carabinieri, ha effettuato un controllo e appurato che la casa presentava pessime condizioni igieniche, ha deciso di “togliere” la potestà genitoriale) L’assistente sociale è pensata come un carabiniere e cioè come il custode di un ordine precostituito, si è visto come una simile funzione si aveva nel periodo della poor law (infra 1.1.2). E’ l’autorità che sa cosa è bene e cosa è male e quando a predominare è il secondo l’assistente sociale, anche con la forza, lo spazza via. In bilico sempre tra frustrazione personale ed insensibilità professionale. Questa idea si evince anche nella citazione del libro di Susanne Mccarthy quando dice “ … era chiaro che non aveva nulla di concreto per poter evitare che i bambini venissero dati in custodia alla zia”. (Figura 12, scena tratta da un film di commedia statunitense “Fuga d’amore” diretto da Wes Anderson, in cui appare una figura stereotipata di assistente sociale con una divisa blu a metà tra un marinaio ed un controllore, quando si rapporta con gli altri personaggi non si presenta mai con il proprio nome , ma attraverso l’impersonale etichetta di “Servizio Sociale” parlando sempre in terza persona.) L’assistente sociale è considerato un burocrate sociale, distante dalla realtà, che risponde al mandato istituzionale e cioè alle esigenze dell’istituzione presso la quale lavora, integrando nel suo agire la complessità organizzativa, gestionale e strategica. E’ sostanzialmente il funzionario esecutore della routine burocratica, in esso prevale la formalità, la documentazione e la codificazione della situazione problematica. Vi e’ 38 dunque un basso orientamento alla relazione di aiuto e pertanto, si riflette, una persona che non viene mai presa in considerazione. 2.4.1 Altri luoghi comuni Oltre a quelli sopra descritti ci sono altre caratteristiche comuni nella figura mediatica di un assistente sociale: ha un solo ambito di intervento: la tutela minorile;48 come si è visto(infra 2.3.1), questa tematica fa più leva sulla parte emotiva; è un assistente domiciliare, lavora soprattutto con gli anziani; è un idealista utopista che, data la scarsità di risorse, raramente porta a termine i suoi obiettivi; è una persona senza qualifica che probabilmente ha scelto questo mestiere perché “non aveva voglia” di studiare; età tra l’indefinibile e l’attempato; spesso è un “eroe” o un angelico benefattore ma raramente viene riconosciuto come un professionista che svolge il suo lavoro. 2.4.2 Il reato di rivelazione del segreto professionale L’idea di un assistente sociale “cattiva”, “ladra”, “controllore” che si ricava dall’attuale cronaca “del dolore”, mina il rapporto fiduciario che è alla base di ogni relazione di aiuto. Su tale fiducia si fondano anche: la riservatezza: atteggiamento di cautela nella raccolta e nell’utilizzo di dati inerenti la vita privata di ogni singola persona; la tutela della privacy: dovere di protezione delle informazioni o dei dati di un utente; il segreto d’ufficio: dovere di non divulgare informazioni di cui si è venuti a conoscenza a seguito del proprio mandato istituzionale o di qualunque rapporto professionale all’interno di un servizio pubblico; il segreto professionale: “dovere, prima etico e poi giuridico, di non rivelare notizie apprese in forza di un rapporto fiduciario che si è instaurato tra i servizi ed i loro destinatari” (Codice deontologico degli assistenti sociali) Tali doveri sono impliciti nell’operatore del servizio sociale che per il proprio mandato apprende fatti non noti concernenti la vita privata delle persone e di cui non deve né divulgare, né utilizzare informazioni “senza una giusta causa” o per il quale utilizzo ne può derivare un nocumento (ART. 622 C.P.) tanto è vero che vengono trattati al Titolo II del Codice Deontologico degli Assistenti sociali che li qualifica come “diritto degli utenti del servizio sociale”.49 Precisamente il comma 31 afferma “nei rapporti con la 48 Giudice Amy, serie televisiva dal 1999 al 2005; LadybirdLadybird, 1994 diretto da Ken Loach; Mrs Doubtfire, 1993, con protagonista Robin Williams. 49 N.B. L’assistente sociale può astenersi anche dal deporre innanzi al Giudice di fatti di cui è venuto a conoscenza nell’ambito dell’esercizio della propria professione rientrando nella categoria predisposta dall’ Art. 200 c.p. (segreto professionale) in cui si citano“gli esercenti, altri uffici o professioni ai quali la 39 stampa e gli altri mezzi di diffusione l’assistente sociale oltre che ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni e interviste, è tenuto al rispetto della riservatezza del segreto professionale”. Esistono dunque delle deroghe per “giusta causa” che attribuiscono all’assistente sociale la responsabilità di superare l’obbligo del rispetto del segreto quando a suo giudizio vi sono situazioni estremamente gravi che mettono a repentaglio la salute e la vita di terzi anche in virtù del diritto di cronaca desunto dall’articolo 2 della legge n. 69/1963 “Ordinamento della professione del Giornalista” che afferma che può essere esercitato purché siano rispettati i limiti dell’interesse pubblico, della verità e della continenza. E’ importante dire che il segreto può essere violato solo dal professionista o dai suoi collaboratori, la riservatezza può essere violata da terzi anche contro la volontà del professionista o dei suoi collaboratori; esso può essere oggetto di rinuncia da parte del cliente, mentre il consenso dell’interessato non rende legittimo il trattamento dei dati in violazione della normativa sulla riservatezza. In questo contesto è necessario integrare il discorso del segreto professionale con quello delle difficoltà che ha un assistente sociale nel comunicare la professione; in una situazione complessa come quella della comunicazione mediatica di massa, spesso connotata da forti profili commerciali che preferisce anteporre il dolore alla informazione specifica, la categoria professionale è infatti soggetta a richieste che a volte contrastano con gli obblighi e i doveri professionali. Quanto può dire e quanto può rendere noto in merito alla situazione di un utente per spiegare le motivazioni alla base di alcuni gesti? Nel caso di Linda Greco gli assistenti sociali sono rappresentati come soggetti che si “rifugiano dietro lo scudo del diritto alla privacy dell’utente” 50 pertanto … come fa un assistente sociale che vuole “giustificare” le scelte operative in un mondo che “insegue la notizia”, a non ledere il diritto alla privacy? legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale”. Sottolineando poi l’Art. 365 c.p che esclude la punibilità dell’omissione di referto quando lo stesso “...esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”. 50 N.B. Dalla dichiarazione del Sindaco, (infra pag. 34), le persone mostrate nel servizio non sono assistenti sociali! 40 CAPITOLO 3: LA CONTRO-INFORMAZIONE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI Ho iniziato a pensare sempre e solo a ciò che potevo fare io, cambiare io, migliorare io. Ho smesso di pensare cosa avrebbero dovuto fare gli altri, cosa dovevano cambiare gli altri. Così ho smesso di arrabbiarmi per le ingiustizie costanti nelle quali stavo incappando, ho diminuito il tempo perso in azioni inutili o in discussioni senza fine e ho impegnato il mio tempo in azioni utili a raggiungere i miei fini. Elena Giudice (l’Acchiappasogni) (Figura 13: Foto condivisa sui social network: Facebook e Twitter) Perché non si crea uno spazio per rispondere alle domande della Figura 13, domande piene di generalizzazioni, stereotipie ed ignoranza in merito alle procedure del servizio sociale? I meccanismi di funzionamento dei mass media, la tv del dolore ed alcuni valori etici della professione creano timori per l’operatore che esita nell’esporsi in alcune situazioni mediatiche, circostanza che per molti versi risponde dunque alla logica della Teoria della spirale del silenzio. Gli assistenti sociali quindi vengono “silenziati” dall’attuale scenario mediatico che lascia invece spazio a tali rappresentazioni (infra 2.4) che creano perplessità nei soggetti che spesso, per tale motivo esitano dal chiedere aiuto. 41 . (Figura 14:opuscolo ideato nell’ambito del progetto “Violenza di genere e realtà locale” coordinato dal Comune di Ferrara con la partecipazione del centro Donna Giustizia, centro di ascolto uomini maltrattanti di Ferrara e Movimento Nonviolento. Testi di Elena Buccolieri) I mass media hanno delle funzioni sociali da non sottovalutare: sono fonte di significato e di informazioni; sono fonte di potere e di socializzazione; sono mezzi di continuità e di trasmissione culturale; sono mezzi di intrattenimento, rappresentando infatti una delle principali “industrie” che organizza il tempo libero delle persone; sono input per la mobilitazione e il battersi per l’interesse sociale. “Il potere che i media hanno o potrebbero avere dipende dall’uso che ne viene fatto” (Rieffel, 2007) Rieffel ha elaborato una categorizzazione dei media distinguendoli in: media prestigiosi e non; servizi mediatici politici, sociali e finanziari i quali affrontano diverse interpretazioni uno stesso problema; media rivolti all’informazione e media rivolti al mercato. con Pertanto in base alle diverse funzioni si hanno diverse tipologie di comunicazione, come si è detto si può ad esempio strumentalizzare il provvedimento di allontanamento della Figura 11 per screditare l’efficienza dello Stato nella tutela dei minori oppure utilizzare questo stesso esempio per informare in merito alle procedure utilizzate per la stessa tutela; infatti lo strumento mediatico può anche opporsi alla stereotipia scardinando passate rappresentazioni sociali. Ed è su questo particolare che si vuole inserire l’idea di un assistente sociale che tra le sue competenze debba avere anche quella relativa ad una comunicazione mediatica in grado di fare ciò. Pertanto i mass media non devono esser letti più come problemi bensì come risorse, anche perché seppure li si volesse ignorare comunque l’utente o la popolazione in generale continuerebbe ad osservare ed essere influenzato dallo stesso. Per tale motivo in questo contesto si inserisce la parola controinformazione; il servizio sociale comprende l’importanza delle idee delle persone, comprende come i mass 42 media “manipolano” queste idee e risponde a quest’ultimi con una informazione alternativa che non lede assolutamente il segreto professionale. 3.1 La controinformazione Termine utilizzato in Italia dagli anni Settanta in poi soprattutto in riferimento alle contestazioni giovanili del Nord America e dell’Europa che ha come sinonimi nonché significati i concetti quali informazione alternativa o media attivismo, e che esprime l’operato di quei soggetti che partendo dal presupposto che i media siano, in parte o totalmente, asserviti ad interessi economici o politici, e che quindi non rappresentino oggettivamente la realtà dei fatti, si occupano di libertà di informazione attraverso un insieme di pratiche che si avvale di tecnologie della comunicazione (inchieste audio e video, raccolta e diffusione di notizie attraverso il web) senza essere sottoposti né a vincoli editoriali né a vincoli temporali della narrazione di fatti. In passato la comunicazione mediatica contribuiva al formare un’opinione pubblica oggi invece, sembra voler confermare un’opinione comune ossia delle informazioni alle quali i più credono che viene ripresa e ripetuta all’infinito dai mass media che però non approfondiscono nella realtà lo specifico(infra p.36). Fabrizio Rovelli, giornalista della Repubblica in merito a ciò, ha affermato che gli animatori dei mezzi di comunicazione spesso hanno poche informazioni riguardo a specifiche situazioni come nei casi di interventi di servizi sociali. Egli ha esposto l’importanza dell’utilizzo dell’informazione come strumento di libertà approfondendo i problemi, dando loro un senso e che aiuti i lettori a sviluppare la capacità di porre delle domande e non solo la possibilità di ricevere delle risposte anche perché attraverso l’informazione passano molte possibilità per il cittadino di partecipare alla vita pubblica. In altre parole una comunicazione che non deve “appiattire” il ricevente a quello di consumatore passivo piuttosto che stimoli la consapevolezza del sentirsi parte di una comunità e dunque di agire in termini solidali nei confronti degli altri. Esiste confusione tra ciò che è comunicazione e ciò che è informazione. La prima dovrebbe essere svolta dagli operatori che devono attrezzarsi per una corretta ed efficace interazione con i giornalisti per creare una rappresentazione sui media soddisfacente; la seconda, che riguarda i giornalisti, e che è legata alle logiche di notiziabilità solidamente radicate nelle pratiche mediatiche, comporta che i comunicatori debbano imparare queste logiche ed utilizzarle a proprio vantaggio, impostando la comunicazione come un agire strategico. Tutto questo comporta che per una giusta comunicazione ci sia un relazionarsi con i giornalisti. Il 1 Dicembre 2015, al corso di formazione “Allontanamento dei minori tra diritto di cronaca e dovere di riservatezza:un confronto tra giornalisti ed assistenti sociali”51, è stato lanciato il messaggio “COLLABORIAMO”. Con le competenze comunicative di un giornalista e le competenze sociali di un assistente sociale si potrebbe infatti creare un 51 Svoltosi a Roma e promosso dall’Ordine degli assistenti sociali e dall’Ordine dei giornalisti. 43 vero e proprio giornale sociale che non si occupi solo di smentire delle “false notizie” piuttosto di promuovere l’informazione esatta. (Figura 15: Scena del film “A testa Alta” di E. Bercot prodotto da Les Films du Kiosque e distribuito da Officine Ubu, 2015) Un esempio anche piuttosto recente è il film francese “A testa Alta” di Emmanuelle Bercot che delinea la tenacia di quelle figure istituzionali normalmente rappresentate come fallimentari se non dannose, che ruotano intorno ai cosiddetti “minori problematici” tra le quali vi sono anche educatori ed assistenti sociali. E’ di interesse, in questo contesto, spiegare come la regista prima di iniziare le riprese abbia messo in atto proprio ciò cui, secondo Rovelli manca a molti giornalisti o emittenti mediatici, e cioè un apprendimento delle specificità delle situazioni. L’autrice infatti ha condotto una serie di ricerche sulle motivazioni dei professionisti, conoscendo di persona degli assistenti sociali, educatori ed un giudice minorile di Valence : “Ho avuto l’opportunità di osservare le udienze, ho trascorso del tempo in un centro di detenzione minorile, e ho letto un’enorme quantità di libri, guardato ogni film o documentario che trovassi sull’argomento, prendendo molti appunti” (E. Bercot per il Redattore Sociale)52 3.1.1 Le attività del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali Una voce istituzionale degli assistenti sociali in Italia è data dall’Ordine professionale che è una istituzione che nasce con lo scopo di “controllare” che una determinata professione, in questo caso il servizio sociale professionale, non crei dei problemi ai cittadini. 52 http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/494840/A-testa-alta-tenacia-e-passione-di-giudiciminorili-e-assistenti-sociali (ultima consultazione 20/12/2015) 44 L’Ordine degli Assistenti Sociali è stato istituito con la Legge n.84 del 1993 che ha sancito anche l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo per poter svolgere la professione. E’ articolato su base territoriale ed è costituito infatti da venti Ordini regionali e dal Consiglio nazionale (indicato con l’acronimo CNOAS) che coordina le attività dei primi e che può essere considerato come l’espressione della comunità professionale che tutela sia il professionista sia il cliente-utente che fruisce delle prestazioni. Tra le attività si ritrovano gli incontri con i rappresentanti del Parlamento e del Governo nei quali spesso originano delle proposte o dei disegni di legge tra cui si ricorda il DDL n.660 al Senato denominato “Disciplina della professione degli assistenti sociali” 53 conta ventidue articoli divisi in sei capi che trattano tematiche come la formazione e l’accesso alla professione ovvero di procedimenti disciplinari; sempre per la stessa tematica si ricorda la proposta di legge n.550 presentata alla Camera 54; per le stesse il presidente del Consiglio Nazionale è stato audito più volte dalle Commissioni 11 e 12 del Senato per rispondere alle domande emerse sul tirocinio, formazione universitaria per l’accesso alla professione, formazione continua e consigli disciplinari, già modificati in ottemperanza alle disposizioni del D.P.R. 137/2012 sulla riforma degli ordini professionali. In più eventi esterni inoltre l’Ordine esprime la voce degli assistenti sociali, per fare un elenco: nelle giornate internazionali di sensibilizzazione; per le tematiche di attualità in cui è coinvolto il Paese; per le approvazioni delle nuove leggi o regolamenti in determinate materie; nella stipula di protocolli di intesa; nella stesura di linee guida su procedure che vedono coinvolti i servizi sociali. Dunque l’Ordine è l’istituzione che rappresenta il singolo operatore anche nello scenario mediatico, si parla a tal proposito di “informazione specializzata” che attualmente si attua con l’addetto stampa che si occupa di creare dei comunicati volti sia a fornire notizie che parlano di temi sociali sia a mettere in luce l’impegno per il sociale con i diversi interventi.55 53 Presentato nel 2013 dai senatori Mattesini, Maturani, Capacchione, Manassero, Margiotta, Pagliari e Pezzopane. 54 Il 26 Marzo 2013 da Antezza, Biondelli, Amoddio, Sbrollini, Iacono, Arlotti, Mongaiello, Iori, Dincecco, Marantelli, Grassi, Capone, Venitelli, Fedi, Basso, Carra, Marzano, Realacci e Melilli. 55 L’attuale archivio online (www.cnoas.it) contiene circa 270 comunicati stampa dal 2004 ad oggi. Inoltre vi è un notiziario edito dal SUNAS annuale contenente tutte le informazioni in merito alla professione. 45 (Figura 16: Esempio di Comunicato Stampa dall’Ufficio Stampa del CNOAS) 56 Inoltre l’Ufficio stampa si occupa di: monitoraggio dello scenario mediatico attraverso l’analisi delle più importanti agenzie di stampa; di pubblicare notizie in primo piano degli incontri; di attuare nuove strategie di comunicazione per promuovere l’immagine della professione di assistente sociale; di realizzare video servizi giornalistici in occasione di particolari eventi. Nel giugno del 2012 è nato dal Gruppo Comunicazione coordinato da Federico Basigli “I-MAGE” un’agenzia di comunicazione con la quale : “In primo luogo si è deciso di lavorare per promuovere un’immagine corretta della professione troppo spesso attaccata dalle pagine dei giornali e dai salotti televisivi che spesso non garantiscono una giusta informazione sul lavoro che quotidianamente viene svolto” (Assistente Sociale:la professione in Italia. Editoriale 2011- 2013) Tale agenzia ha iniziato ad interagire maggiormente con gli organi di Stampa e con i moderni mezzi di informazione, creando nuove strade di comunicazione anche con iniziative promozionali per spiegare la professione relazionandosi in maniera diretta con i mass media con partecipazioni televisive e radiofoniche, articoli o comunicati stampa. Ad esempio molti consiglieri dell’Ordine hanno partecipato a trasmissioni televisive tra cui: La vita in diretta (rAi1), Codice a barre (rAi3),SKYtg24, rAi NeWS24, Mattino Cinque e tanti altri ancora. 56 http://www.cnoas.it/files/000003/00000314.pdf (ultima consultazione 29/12/2015) 46 (Figura 17: “La vita in diretta: Rapiti o Salvati. Con la presenza di un padre allontanato dalla propria figlia, Melita Cavallo presidente del Tribunale dei Minori di Roma, Isabella Mastropasqua rappresentante dell’Ordine, Marco Casonato psichiatra, Antonello Martinez avvocato. Si discute di un caso di allontanamento di un minore dalla propria famiglia per accuse di violenza sessuale da parte del padre. La dottoressa Cavallo spiega la procedura di immediato allontanamento in caso di abuso o alto rischio di pregiudizio utilizzando frasi come “ preferibilmente senza le forze dell’ordine in divisa”; “non a scuola”; “con la possibilità di stare con la madre quando questa non fa passare messaggi di difesa della figura genitoriale accusata”; “approfondendo la motivazione dell’allontanamento in maniera dettagliata”. La dottoressa Mastropasqua, in rappresentanza dell’Ordine degli Assistenti Sociali spiega i protocolli normativi ed accenna ad alcuni indicatori scientifici utilizzati per la valutazione del rischio.) Sempre in virtù di un’attenuazione degli attacchi rivolti alla professione spesso vengono inviate lettere ai vertici delle emittenti, queste lettere però restano il più delle volte senza risposta.57 In ultima analisi l’attuale Presidente dell’Ordine, Silvana Mordeglia ha richiesto58 un coordinamento nelle attività di relazioni con la stampa in situazioni di criticità relativi a casi/situazioni afferenti la professione facendo si che “si possa far sentire la propria voce forte ed autorevole, a tutti i livelli, veicolando sempre messaggi omogenei e condivisi”. In altre parole gli assistenti sociali con la collaborazione del Consiglio Nazionale e degli Ordini Regionali ad esso attinenti, per ogni situazione mediatica in cui vengono citati i servizi sociali, devono fare: auto- conoscenza del caso mediatico citato dall’emittente; auto-coscienza, valutando se si è intervenuti nel modo giusto; auto-dominio, comunicando la posizione della comunità professionale e facendo un quadro generale e chiaro delle procedure da seguire in determinate situazioni. 3.1.2 Le attività del Sindacato Unitario Nazionale degli Assistenti sociali e dell’Associazione Nazionale Assistenti Sociali Il Sindacato Unitario Nazionale degli Assistenti Sociali (indicato anche con l’acronimo SUNAS) è nato nel 1990 come associazione sindacale di aggregazione di assistenti sociali di ogni settore che intervenendo in modo diretto con azioni di tutela e negoziazione sindacale si è occupato di far riconoscere la professione sul piano giuridico-contrattuale valorizzandola e tutelandola in ogni contesto (università, istituzione e società). 57 http://www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/out.pdf?i=GGFGLGRGJQTGQGVGELSTSB&e=.pdf&t=notizie (ultima consultazione 29/12/2015) 58 http://www.cnoas.it/files/000002/00000205.pdf (ultima consultazione 29/12/2015) 47 Ha un proprio statuto59 approvato al 10° Congresso Nazionale svoltosi a Roma il 6-7-8 giugno 2014 che delinea tutti gli elementi legati alle finalità, alle autoregolamentazioni nonché doveri e diritti degli iscritti. Il SUNAS è l’organo che come il CNOAS si occupa di rappresentare la professione, in maniera particolare utilizza lo strumento del “Notiziario” una rivista mensile di approfondimento, dibattito, informazione e stimolo sul mondo del servizio sociale italiano scritta da operatori e studenti e scaricabile sulla piattaforma online.60 (Figura 18: “Sfoglia il notiziario del Sunas” su www.sunas.it ) L’Associazione Nazionale degli Assistenti Sociali (indicata anche con l’acronimo Ass.N.A.S.) è nata nel 1948 dopo che con il Convegno sull’assistenza sociale di Tremezzo del 1946 alcuni assistenti sociali vollero dare vita ad un organismo di rappresentanza della professione, facendo anche parte della Federazione Internazionale delle Associazioni degli Assistenti Sociali (IFSW). Per molti anni è stata l’unica organizzazione di categoria a portar avanti delle iniziative per il riconoscimento del titolo professionale, la realizzazione dell’Ordine ed ancora oggi si fa promotore di attività di rivendicazione del ruolo della professione. In maniera particolare organizza Congressi Nazionali, ad oggi ventitre, che fungono da occasione di incontro di soggetti istituzionali e non anche con la comunità internazionale per discutere e confrontarsi su temi specifici inerenti la professione. Insieme con i precedenti organi si occupa di predisporre delle giornate di riflessione su temi inerenti i World Social Work Day. 59 http://www.sunas.it/filechisiamo/Statuto.pdf (ultima consulatazione 29/12/2015) 60 http://www.sunas.it/Notiziario.html (ultima consultazione 29/12/2015) 48 (Figura 19:Il manifesto della Giornata mondiale del servizio sociale 2015: “Promuovere la dignità ed il valore delle persone” Roma 17 marzo 2015) 3.2 Come comunicare la professione Come afferma un recente articolo del “The Guardian”61 i social worker chiedono una voce indipendente che riesca a farsi strada e imponga la propria visione del mondo “sociale”. Comunicare significa trasmettere dei contenuti e dei significati; comunicare la professione significa trasmettere significati in merito all’esercizio di un sapere scientifico o all’interno della comunità professionale(con i suoi membri) o all’esterno di essa (con gli utenti e la società in generale). Parlando di controinformazione è fondamentale focalizzarsi principalmente sul secondo target che, secondo fin qui esposto(infra 2), presenta due criticità; in primis la carenza di riconoscimento sociale connotato perlopiù da disomogeneità, parzialità e stereotipia; in secondo luogo l’immagine è definita con troppi elementi negativi. Nei capitoli precedenti sono stati esposti dei punti di forza legati e collegati alla presenza di organi istituzionali deputati ad esprimere la voce della professione ma oltre ciò, il singolo professionista nel proprio campo di possibilità ha necessità di sviluppare competenze comunicative in merito alla propria identità professionale. La comunicazione della professione è compito importante ma allo stesso tempo complesso ed assai delicato difatti quando si comunica si dovrebbe garantire correttezza e completezza dell’insieme di notizie ed approfondimenti che arrivano al ricevente. Per assicurare ciò è fondamentale che i professionisti del sociale siano formati in maniera specifica e mirata, occorre infatti essere bravi e competenti per raccontare una “professione che cambia”. Comunicare l’operato di un assistente 61http://www.theguardian.com/social-care-network/2015/dec/14/social-care-scrooge-christmas wishes (ultima consultazione 18/12/2015) 49 sociale significa informare in merito alle procedure utilizzate in ottemperanza a leggi del settore, ad orientamenti dell’ente ed a regolamenti del servizio. Temi che pur utilizzando linguaggi semplificati per raggiungere una tipologia inesperta (quasi sempre) di riceventi devono essere oggetto di presentazione articolata e discussa con degli approfondimenti. Tecnicismi e concetti astratti possono essere comodi per chi li usa ma non fanno capire, bisogna infatti aiutare a cogliere la complessità dei fenomeni, la molteplicità delle interpretazioni e la difficoltà delle scelte operative (infra 2.3.1). Inoltre siccome si parla di situazioni pratiche un assistente sociale si potrebbe trovare a comunicare in merito ad un caso di cui non ha conoscenza diretta o di un caso di cui ha conoscenza delle persone coinvolte; nella prima situazione dovrà essere attento a discutere delle metodologie utilizzate e delle conoscenze teoriche generali acquisite dalla comunità scientifica; nella seconda circostanza l’operatore, nel dovuto rispetto del segreto professionale e del codice deontologico, non dovrà esprimere opinioni o pareri sulla specificità della situazione per evitare fraintendimenti. Dalle “Linee guida sull’etica della professione e comunicazione nei mass media” a cura dell’Ordine degli Psicologi del Lazio62 risulta essere fondamentale che nella comunicazione: si faccia attenzione a fornire un’immagine della professione coerente con i principi e fondamenti della comunità professionale; si faccia riferimento a teorie e metodologie consolidate; non si esprima nessun tipo di parere negativo sui colleghi e sul loro operato. Detto ciò da quanto fin qui esposto ne consegue che l’informazione specializzata della professione comporta: una buona conoscenza delle prassi professionali e delle relativa contestualizzazione nel territorio; un’articolata competenza comunicativa che tenga conto delle occasioni e dei modi che consentono di “toccare” certi argomenti e di quelli che non lo consentono affatto. La comunicazione tra i primi esseri viventi era costituita prevalentemente da tecniche che gli antichi utilizzavano senza elevarle a dignità di scienza; difatti le scienze delle comunicazioni sono nate da pochissimo tempo. Paul Watzlawick e la Scuola di Palo Alto, con il primo assioma della comunicazione affermarono che “è impossibile non comunicare” infatti in qualsiasi tipo di interazione, anche con il semplice guardarsi negli occhi, si sta comunicando qualcos’altro al soggetto, da ciò si evince che tutti possono comunicare ma non tutti sanno farsi capire. Dunque la comunicazione è una scienza o un’arte che si può imparare. 62 Il 28-06-2011 a cura di: A. Giannini; P.Capri; R.Cubelli; L.Lentini 50 Per capire come imparare a comunicare bisogna tener conto delle cosiddette five W (Who; What; Whom; Why; Where): chi parla, cosa dice, a chi lo dice, perché lo dice e come o dove lo dice. WHO? L’assistente sociale per il proprio mandato professionale inevitabilmente deve saper comunicare; per il cosiddetto front-office difatti lo fa in rapporto con l’utente ad esempio con il colloquio e le sue articolazioni; per il back-office si occupa di documentazione dell’operato ossia un indispensabile strumento informativo nonché gestionale e promozionale come la cartella sociale, la relazione sociale, “il contratto con l’utente” inoltre fa comunicazione nel lavoro in equipe sia mono - professionale che multidisciplinare. E’ specificamente formato per questo, conosce ed è attento ai tre livelli della comunicazione: verbale: ciò che dice o scrive; non verbale: ciò che comunica attraverso elementi come la postura, la prossemica, la mimica,l’abbigliamento, i gesti ed altro ancora; paraverbale: le modalità attraverso cui comunica il messaggio (tono di voce ecc). Il CNOAS ogni anno come per una sorta di “allenamento del parlare”, accredita numerosi corsi di formazione sulla comunicazione efficace63, alcuni relativi anche a specifiche situazioni (“L’assistente sociale nella comunicazione con l’udente con disabilità visiva”)64. WHAT? Per trasmettere una comunicazione, a voce o per iscritto, bisogna però prima aver ben chiaro un concetto così da poterlo divulgare con facilità, nella pagina precedente infatti è stato detto che per ottenere una informazione specializzata sulla professione bisogna avere un’ottima conoscenza delle prassi operative nonché una competenza specifica nella trattazione di dati sensibili. WHOM? Una volta asserito che bisogna essere padroni del concetto da comunicare (del What) è necessario stabilire chi è o sarà il destinatario ed il relativo background di conoscenze che portano alla lettura del contenuto del messaggio in un determinato modo piuttosto che un altro. Nella Figura 4 l’utente con la rappresentazione (background) femminile dell’assistente sociale, penserà di aver sbagliato stanza alla vista di un uomo 63 http://www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/cerca_corsi.cgi (ultima consultazione 03/01/2016) 64 http://win.assistentisocialiodc.it/2012/OTTOBRE/22102012/PROG%20CORSO%20DI%20FORMAZIONE %20METODO%20BRAILLE%20x%20ORDINE%20C.F.%20TOT%206.pdf (ultima consultazione 03/01/2016) 51 seduto alla scrivania del professionista. Lo stesso accade per la comunicazione, non tutti leggono quel “messaggio” allo stesso modo. Tanto è vero che per una comunicazione efficace bisogna muoversi nel background dell’interlocutore con il suo linguaggio. Elena Giudice, PhD in Scienze sociali Applicate nonché assistente sociale libero professionista, parla di marketing sociale a livello cognitivo affermando che per comunicare “bene” la professione bisogna innanzitutto definire chi sono i destinatari così poi da impostare la comunicazione di conseguenza. Nella logica del costruttivismo la conoscenza del ricevente è autoreferenziale, si sente parte della realtà comunicata che è costruita sulla base delle proprie esperienze. (Figura 20: “Come spiegare l’assistente sociale alla nonna: La proposta di M.Bove, M. Busnelli.E.Marino, G. Roccatagliata, G. Scarpa, I. Trivini Bellini. Guida al tirocinio. 2012/2013 su www.assistentesocialeprivato.it ) Kotler affermava65: “Il marketing sociale è l’utilizzo delle tecniche e delle strategie di marketing per influenzare un target ad accettare, modificare o abbandonare un comportamento in modo volontario al fine di ottenere un vantaggio per i singoli individui o la società nel suo complesso.” Nel caso della Figura 21 si noti come l’emittente (la nipote) utilizzi il linguaggio tipico del ricevente (la nonna) ossia il dialetto, e si noti come si porta il soggetto ad : 65 accettare l’idea di un assistente sociale “non cattivo”: “… ma se fanno tutte queste cose perché sono definiti mostri?”; modificare: “… allora non sono cosi mostri”; abbandonare: “… allora aiutano veramente la gente”. Kotler P., Roberto N., Lee N., Social Marketing.Improving the quality of life, 2002. 52 Gli operatori sociali anziché essere professionisti obbligati a combattere delle idee o a stare sulle difensive devono diventare promotori di una visione diversa, utilizzando esempi concreti e contestualizzati che rievocano qualcosa di riconoscibile e ritrovabile nella esperienza del ricevente. Edward De Bono ha affermato che la mente possiede la capacità del centramento e cioè della possibilità di riconoscere cose e situazioni anche quando non sono esattamente nella stessa forma con cui le conosciamo, questo consente ad un soggetto che analizza delle situazioni di rifarsi o ricollegarsi a delle esperienze che per categorizzazione (infra 2.1.1) presentano delle similarità. (Figura 21:”Come spiegare ad un bambino cosa fa l’assistente sociale”. La proposta di: L.Buccella; S. Carraro; S. De Ponti; C.Novichow; S. Paleari; E.Pesenti; M.Quispe; M.Vescovi. Su www.assistentesocialeprivato.it ) Il target, in questo caso è composto da bambini e dunque il linguaggio utilizzato è un semplice discorso tra i protagonisti di una favola che facilmente cattura l’attenzione dei più piccoli. L’assistente sociale è personificato da uno scoiattolo che accompagna l’orso Timmy lungo un ponte tortuoso, metafora delle difficoltà incontrate da chi si rivolge al servizio sociale, lasciandogli nel momento opportuno degli strumenti (che nella favola sono un paio di occhiali) per proseguire da solo lungo la strada. WHY? Fondamentale è poi la funzione della comunicazione che fa si che l’assistente sociale imposterà una tipologia di comunicazione piuttosto che un’altra, come esposto prima con le parole di Rieffel. In relazione con l’utente sarà ad esempio chiaro ed imposterà un linguaggio più semplice possibile in quanto la funzione prioritaria, soprattutto quella del primo colloquio, è quella di impostare una condizione di fiducia che elimini i timori; in equipe invece sarà più diretto, scientifico e specifico in quanto in questo caso la funzione prioritaria sarà quella di affrontare la problematica dell’utente nell’ottica di un progetto globale con diversi profili professionali specializzati. In questo contesto ad esempio la funzione della comunicazione è quella di sostenere o correggere se distorta, l’immagine sociale della professione e del lavoro dell’assistente sociale. WHERE? Lo spazio della comunicazione è rappresentato in maniera preponderante dai mezzi utilizzati per comunicare che non sono semplicemente dei dispositivi “tecnici” che trasmettono informazioni da un individuo ad un altro bensì delle vere e proprie modalità di interazione che vanno dallo scambio faccia a faccia sino alla cosiddetta conversazione mediata. 53 Gli strumenti di comunicazione mediata per la peculiarità di ridurre le distanze spaziotemporali e di rendere visibile ciò che spesso non è visibile si sono evoluti sempre più fino ad avere vere e proprie ripercussioni sulla vita delle persone. Basta pensare che prima vi erano circoli, club, associazioni e luoghi simili dove le persone si incontravano, condividevano interessi ed informazioni, tutto questo oggi invece, secondo un’indagine del CENSIS del 2006 è affidato alla televisione o alla rete e pertanto le “tecnologia digitali non possono essere ignorate da chi opera nel sociale”66 Ebbene come per gli altri elementi anche per questo vi è la necessità di un’attenzione particolare nonché di un’analisi dettagliata da parte del comunicatore in quanto il mezzo, che esso sia face to face o mediato, presenta sempre dei pro e dei contro. 3.2.1 La “Web Communication” degli assistenti sociali oggi Quanto fin qui esposto mostra l’inevitabile adattamento di un assistente sociale al sistema comunicativo della società in cui opera. Se prima infatti si tenevano conferenze o comizi per la promozione della figura professionale in questione, ora tutto ciò non basta. Il Whom attuale infatti è sempre di più costituito da soggetti che affidano, se cosi si può dire, le proprie conoscenze, i propri dubbi e le proprie curiosità ai mass media ed al mondo della rete. Le persone oggi comunicano utilizzando questo nuovo mezzo attraverso e-mail, sms, chat, forum ed i social network; e tra queste persone vi sono anche molti utenti i quali, rispetto al passato sono molto più preparati -e a volte confusi- in merito ai propri diritti grazie proprio all’enorme possibilità di accesso alle conoscenze data da Internet . Il Servizio Sociale oggi lo utilizza sia per il lavoro pratico67, sia come strumento di ricerca ed indagine sociale68sia come mezzo di comunicazione che consente di ampliare i momenti di informazione nonché di avanzamento della comunità professionale. Antonio Bellicoso, direttore del Portale “Servizi Sociali Online” ha affermato che la rete è il passaggio culturale da un modello di comunicazione lineare69 di Shannon ad uno sistemico tra professionisti ed utenti. 66 BANZATO S., BATTISTELLI A., FRATTONE P., Internet per il servizio sociale. Manuale per l’uso della rete, Carocci, Roma 2002. 67 Un esempio è la piattaforma online “Segretariato Sociale 2.0” attiva dal 2013 che si delinea come un Sistema Informativo Informatico che consente la gestione da parte di ogni operatore sociale di frontoffice,dotato di apposite credenziali, di gestire le attività di segretariato sociale. 68 Questionario online: “Indagine sugli assistenti sociali e sulle professioni sociali” http://www.simurgricerche.it/lime2/index.php/survey/index/sid/883281/newtest/Y/lang/it (ultima consultazione 05/01/2016) 69 Emittente, messaggio,canale,ricevente. 54 (Figura 22: S.O.S. Servizi Sociali On line: Assistenti sociali in rete e … cittadini per interagire con la Comunità sul Web e sulla Terra. www.servizisocialionline.it ) “Il portale nasce nel 2009 per erogare consulenza di servizio sociale, gratuitamente, alla cittadinanza, poi estesa anche agli addetti ai lavori, agli studenti di servizio sociale attraverso il Forum e per offrire, contestualmente un luogo di interscambio del sapere, della cultura e della letteratura professionale. Operiamo anche per tutelare la nostra immagine e puntiamo a creare uno spazio di confronto e interazione per promuovere in maniera corretta il ruolo della nostra figura professionale.” (Incipit del sito) Questa rete professionale “nuova” attualmente offre attività: 55 di informazione, documentazione e diffusione del "sapere sociale" grazie alle quali i cittadini possono documentarsi e approfondire gli argomenti e i temi di natura sociale e di Servizio Sociale e conoscere la normativa di legge di riferimento per ogni tipo di argomento e i Servizi ai quali rivolgersi per risolvere i propri problemi; di segretariato sociale difatti il Sito Web, attraverso il suo Staff di Direzione e dei Consulenti Esperti, offre un servizio di segretariato sociale che si articola in accoglienza della richiesta, disamina della stessa insieme al richiedente e restituzione sul da farsi, il tutto attraverso il Forum, dove il cittadino è invitato a porre il suo quesito o la sua problematica; di ascolto che si estrinseca attraverso il Forum e la Chat. Al cittadino viene prestato un ascolto attivo, capace di aiutarlo in seguito ad analizzare il proprio problema e a prepararlo per la fase di "orientamento"; di supporto e sostegno il cittadino che, attraverso il Forum o la Chat esprime un proprio disagio derivante da una situazione problematica che sta vivendo, sia essa di tipo personale che familiare o contestuale, riceve infatti da parte dello Staff la necessaria e adeguata attività di supporto e sostegno al fine di lenire la sofferenza e di diminuire il disagio derivanti dalla condizione problematica esposta per poi essere preparato alla fase di orientamento; di orientamento. Questo tipo di attività si estrinseca nel fornire al cittadino le prospettive e alternative di "cura" disegnando un percorso che lo conduca alla risoluzione dei problemi, utilizzando tecniche e metodologie di servizio sociale professionale, quali il problem solving e l'empowerment; di consulenza in relazione ai servizi sociali; di formazione che si estrinseca sia attraverso la pubblicazione di materiale dedicato nelle sezioni specifiche che nella messa in essere di un corso di formazione specifico che ha lo scopo di impartire conoscenze e competenze nell'ambito dell'applicazione della Web Communication al servizio sociale professionale; di valorizzazione l'attenzione sull'immagine e sulla figura dell'Assistente Sociale. Oltre a ciò è stato creato, il 15 Luglio 2015 uno spazio radio per dar voce agli assistenti sociali, attraverso la trasmissione di programmi di servizio sociale registrati da professionisti o da cittadini che vogliono partecipare con proprie osservazioni, considerazioni, domande o testimonianze sulle esperienze avute con il servizio sociale professionale. (Figura 23: Web Radio degli Assistenti sociali: può essere installata sul sistema Android (Playstore) e sul sistema Apple( AppStore) inserendo la voce “servizi sociali online”). Il web oltre gli esempi appena esposti, è carico di altre iniziative che si occupano di informazione ma soprattutto di costruire un’immagine della professione coerente con i principi auspicati dalla comunità professionale. Ci sono altri due forum più informativi e rivolti in maniera particolare a studenti o studiosi di Servizio Sociale: AssistentiSociali.org; Asit: servizi sociali su internet. Ci sono poi blog curati da professionisti stessi che si raccontano e raccontano la attività pratica del servizio sociale: 56 Pensieri Sociali creato di Chiara Biraghi; L’Assistente Sociale Privato di Elena Giudice; Ho il Sociale in Testa Ci sono più di trenta “pagine” o “gruppi” sul social network Facebook. (Figura 24: Le quattro pagine più visitate su Facebook) Un’altra importante iniziativa è la “Web Tv degli Assistenti Sociali” visibile sul sito Altra Tv e sul canale Youtube omonimo, un vero e proprio mezzo di controinformazione nato nel Novembre del 2008 da un gruppo di assistenti sociali che “non guardano un film ma lo fanno” partecipando come attore e membro del cast tecnico e lavorando in ogni fase fino al termine della realizzazione. L’emittente collabora attraverso la sezione “Video”70 con il CNOAS. Da un’intervista71 alla direttrice della Web Tv, Stefania Scardala si evince come questo progetto nasce esattamente per creare un canale multimediale che sappia rappresentare nonché promuovere una immagine obiettiva dell’assistente sociale e per diffondere e divulgare i principi fondanti la professione e gli obiettivi ed i contesti dell’agire professionale. (Figura 25: 370 video presenti su Youtube, con più di tredicimila visualizzazioni) Oltre i cortometraggi il gruppo di assistenti sociali produce: 70 http://www.cnoas.it/Press_and_Media/Video.html (ultima consultazione 14/01/2016) 71 http://www.spreaker.com/user/s.o.s.webradio/la-web-tv-assistenti-sociali_2 (ultima consultazione 14/01/2016) 57 convegni, seminari, corsi e workshop; presentazioni di libri; documentari su raduni; documentazioni su progetti; slides in formato Avi; eventi formativi; video curriculum; documentazioni su progetti nel sociale Sono avviati altri progetti come quello in Piemonte72 di avviare una “web serie composta da cinque episodi di fiction di venti minuti ciascuno con finalità di divulgazione culturale dell’attività degli assistenti sociali per ciascuna delle tematiche trattate”. 72 Deliberazione del Consiglio Regionale del Piemone n. 122/2015 del 11 Luglio 2015 rif. verbale n. 7 oggetto: “Concorso di idee anno 2015”. 58 CONCLUSIONI Per molti anni gli assistenti sociali hanno chinato il capo innanzi alle rappresentazioni negative del loro operato con la convinzione che il loro svolgere “eticamente” la professione potesse bastare a ridurre le negatività riportata dagli animatori delle informazioni. Ma nell’era della globalizzazione, dell’alta tecnologia, della rivoluzione digitale e dell’enorme flusso di informazioni che arriva direttamente e rapidamente nelle case delle persone la comunità professionale si è resa conto che solo il “saper fare” non basta più a risolvere i problemi di disinformazione in merito all’attività di un assistente sociale. Ci si è resi conto di essere giunti in situazioni quasi, anzi del tutto paradossali: la professione che per prima offre aiuto ai cittadini viene qualificata e dunque riconosciuta dagli stessi come il male della società. Nell’ansia di ricerca di un riconoscimento sociale, tra delusioni e speranze sorgono degli interrogativi: quanto, il professionista può incidere sulla informazione specializzata? cosa ha a disposizione? di cosa invece ha bisogno? Queste domande sono oggi più che mai attuali, perché comunicare il fare è stata sempre posta come una questione secondaria o del tutto irrilevante, infatti fino al 2000 e poco più vi era essenzialmente poca materia comunicativa prodotta dal professionista o da chi per esso fosse in grado di dare la corretta nonché completa informazione. L’assistente sociale è il professionista dell’ascolto e della comunicazione, sa “leggere” le persone, il territorio, i loro bisogni e le loro risorse, affrontando le difficoltà ad esso legato con le fondamenta teoriche date dalla Scienza del Servizio Sociale. E non fa tutto ciò rimanendo in silenzio anzi; ha sempre la padronanza delle situazioni in cui lavora. Con questa tesi si è voluta sottolineare la possibilità della padronanza della rappresentazione della professione e dell’annessa informazione, attraverso metodi alternativi di comunicazione creati e messi appunto dai professionisti stessi che, sfruttando le risorse a disposizione come il web, l’interesse dei lettori, la creatività stanno trasformando un tema che prima era un tabù lesivo del segreto professionale in una vera e propria porta d’accesso ai servizi sociali. La controinformazione dunque è l’inesorabile alternativa all’attacco mediatico della stampa e della tv del dolore che processa e condanna senza appello una delle prime professioni di aiuto operante per ed in uno Stato di diritto. E’ inoltre una sorta di diritto di rettifica a quei servizi mediatici che si tingono di un “finto” intento pedagogico con le caratteristiche di denuncia sociale. 59 Rafforzare l’opinione degli altri sull’identità professionale significa rafforzare l’identità stessa; farsi conoscere attraverso un forte investimento in visibilità mediatica che sappia evidenziare l’esistenza di servizi sociali specifici per determinate situazioni e che porti fiducia alla comunità, significa quindi creare una forma di prevenzione alla disinformazione e contemporaneamente una nuova porta d’accesso o anche, perché no uno sportello d’ascolto degli utenti (passati, presenti e futuri). Non si può più permettere che la sottovalutazione del welfare o che luoghi comuni possano impedire ai cittadini o alle persone in difficoltà di affidarsi e fidarsi del servizio sociale professionale. 60 BIBLIOGRAFIA ALLEGRI E., PALMIERI P., ZUCCA F, Il colloquio nel servizio sociale, Carocci, Roma 2006; ALLEGRI E., Le rappresentazioni del servizio sociale. Il lavoro sociale nel cinema e nella narrativa, Carocci, Roma 2006; AMADEI T., TAMBURINI A., La leva di Archimede. Il codice deontologico dell'assistente sociale tra responsabilità e appartenenza sociale, Franco Angeli, Milano 2002; BORTOLI B.,I giganti del lavoro sociale. Grandi donne (e grandi uomini) nella storia del Welfare, Edizioni Erickson, Trentro 2006; BRUNER J., Il pensiero. Strategie e categorie, Armando Editore, Roma 2009; DAL PASSO F., Storia dell’assistenza. Nascita, evoluzione e futuro del Welfare, Edizioni Accademiche Italiane, Roma 2015; DAL PRA PONTICELLI M., L’assistente sociale oggi. 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Una sintesi http://digspes.unipmn.it/media/saperi_forti/html/per02/per02_03/visibilita/qasintesi media.pdf IUTZU M., La rappresentazione cinematografica dell’Assistente sociale oggi e l’utilizzo dei media nei servizi. http://ainformazione.com/2013/03/07/la-rappresentazione-cinematograficadellassistente-sociale-oggi-e-lutilizzo-dei-media-nei-servizi/ MORELLI F. Società senza informazione. I media, i diritti e gli esclusi, Milano 2002 http://www.ristretti.it/giornale/numeri/42002/contro.htm PENSIERI SOCIALI http://pensierisocialidichiarabiraghi.blogspot.it/ Ordine Nazionale degli Assistenti Sociale http://www.cnoas.it/ Osservatorio di Pavia, La tv del dolore: una indagine sulle cattive pratiche televisive, Roma 2015 http://www.odg.it/files/ricerca%20La%20Televisione%20del%20Dolore.pdf 62 SERVIZI SOCIALI ONLINE http://www.servizisocialionline.it/ SERVIZI SOCIALI SU INTERNET http://www.serviziosociale.com/ Sindacato Unitario Nazionale degli Assistenti Sociali http://www.sunas.it/ SWMR., Le rappresentazioni del servizio sociale nei media: una ricerca transnazionale. I primi risultati, Roma 2015 http://www.cnoas.it/Attivita/Le_rappresentazioni_del_Servizio_sociale_nei_media/Le _Slides.html 63 RINGRAZIAMENTI Desidero innanzitutto ringraziare la Professoressa Giovanna Maria Testa per i preziosi insegnamenti, per le numerose ore dedicate alla mia tesi e soprattutto per avermi trasmesso con tanta semplicità la passione per la conoscenza. Ringrazio il mio supervisore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna Antonella ed anche Rosalia del Dipartimento di Salute Mentale di Benevento, le quali sono state e saranno sempre un modello di riferimento e di guida nel campo lavorativo. Ringrazio Verdiana la persona che mi ha tenuto stretto la mano tra viaggi, corsi, ansie, paure, tirocini, studi ed esami. Mi auguro che mi accompagni con lo stesso fervore lungo tutto il cammino verso la professione. Ringrazio le mie sorelle; Corinne … mentore, guida nonché esempio da una vita e per la vita ed Alessandra il mio rifugio affettuoso da sempre. Ringrazio mia madre, i miei zii e tutta la mia grande famiglia che mi ha insegnato il sacrificio, il rispetto e la disciplina. Ed infine vorrei ringraziare Marco perché le belle esperienze si fanno soprattutto con le belle persone. 64 65