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Rassegna Stampa del giorno 11 GENNAIO 2011
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
un uomo solo è
in cattiva compagnia!
”
(Paul Valery)
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Marchionne: «Mirafiori?
Ci sono tante alternative»
«Le minacce una manifestazione di inciviltà»
DETROIT — «Paura per le minacce? No. Certo, non fa piacere. Ma non è una questione personale. È una vicenda che denota mancanza di civiltà. Un male per il Paese. Per l'Italia come per qualunque altro Paese. Noi, invece, speriamo che prevalgano comportamenti razionali» . Al Salone di Detroit, l'amministratore delegato di
Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, si presenta a sorpresa col presidente del Lingotto, John Elkann, e liquida
subito la questione delle stelle a cinque punte e delle scritte ingiuriose comparse su alcuni muri di Torino. Vuole
parlare dei progressi della Chrysler, del referendum per Mirafiori del clima di ripresa che si respira in America
nel settore dell'auto. Dopo aver convocato i giornalisti alle 7,45 del mattino di un'alba gelida e serena, li rimprovera scherzosamente per le domande critiche che gli rivolgono: «Ma avete proprio dormito male. Andate giù,
nell'area espositiva e respirate il clima di fiducia che regna. E non me lo inquinate col vostro pessimismo» . Battuta per battuta, ma Marchionne, quando trova il tempo di andare dal dentista? L'incisivo che gli manca al centro
della bocca sta diventando un segno distintivo, come il pullover nero. Lui ride: «Ci vuole tempo. Una volta ci
sono andato, dal dentista. Di notte» . Il dente che gli duole, adesso, è quello della Fiom. Quel Landini col quale
non c'è da dialogare: «Siamo in due mondi diversi, noi facciamo un discorso chiarissimo, parliamo di produrre
auto in Italia, di massimizzare i modelli e l'occupazione, loro vogliono parlare d'altro, discorsi di lungo periodo,
Chrysler, ideologia. Che differenza dal sindacato Usa. Con loro si discute, ma quando si fa un accordo, si va avanti, si passa ai fatti. E tutti lavorano in un'unica direzione. Poi, quando finirà la tregua, verrà il momento di rivendicare. Ma avendo prima creato ricchezza» . Eppure la Fiom torna di continuo: «Come si fa a discutere con
chi eccepisce su tutto. Anche sulla legittimità di un referendum per Mirafiori che è stato voluto dal mondo del
lavoro. L'hanno indetto i sindacati ma per la Fiom è illegittimo. Sarebbe colpa nostra, della Fiat. Ma come si
fa?» L'ala sindacale che contesta l'accordo vuole ricorrere al tribunale del lavoro. «Lo facciano pure» , replica
Marchionne. «Raggiunto il 51%dei consensi al referendum, si chiude il discorso» . E se l'accordo non passerà?
«Non faremo l'investimento e torneremo a Detroit a festeggiare, quantomeno, i successi della Chrysler, un gruppo che abbiamo portato anche in Italia» . È già pronto il «piano B» per le produzioni che erano state destinate a
Mirafiori? «Di piani B ne abbiamo a volontà: in Canada e negli Usa tutti ci chiedono di produrre di più negli
stabilimenti, da Brampton a Sterling Heights. Chiedono di introdurre il terzo turno, di lavorare sei o anche sette
giorni a settimana. Solo da noi tutto questo è un problema. Solo in Italia devi assumere il 115%della forza lavoro perché ti manca sempre un 15%di presenze in fabbrica: non succede in nessuna parte del mondo. In Italia, invece, sembra un fatto quasi naturale. Un problema strutturale. Non si può più andare avanti così. Chiediamo solo di restare in Italia, producendo in condizioni di economicità. E rischiamo in proprio. Non abbiamo chiesto
niente a nessuno, anche se all'estero, dagli Usa al Brasile, i governi incentivano gli investimenti industriali. Ma
se ottenessimo un euro in Italia parlerebbero della solita Fiat che si fa assistere dallo Stato e quindi non chiediamo nulla» . E Marchionne, fino a quando resterà a capo dei due imperi automobilistici? «Sicuramente oltre il
2011. Non so se fino alla conclusione del piano quinquennale, nel 2014» .
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Cgil e tute blu torinesi
Quella sconfitta del ’55
Manghi: ma non nascerà un quarto sindacato
MILANO— Correva l’anno 1955, e a Torino succedeva qualcosa che, come oggi, metteva sotto i riflettori la
Cgil. L’occasione? La sconfitta della Fiom nelle elezioni della commissione interna Fiat: una «débacle» che non
si verificava dai tempi della prima guerra mondiale. Quel 1955 alla guida della Cgil c’era Giuseppe Di Vittorio.
Il quale, a poche ore dalla sconfitta, tenne di fronte al comitato direttivo una relazione che per molti fu come un
«terremoto» . Le cause della sconfitta — disse Di Vittorio quasi 60 anni fa — vanno ricercate in «errori di linea,
errori di politica sindacale» da individuare al più presto. Non abbiamo capito — aggiunse — «le profonde modifiche che si sono prodotte nelle grandi fabbriche, per quanto concerne i metodi produttivi e la struttura delle retribuzioni» ; in Veneto sono arrivati «esperti americani ed hanno messo in atto il sistema della produttività» ; di
fronte a questa e altre novità non si possono avere «impostazione generiche e schematiche che non convincono
nessuno» ; occorre raccogliere notizie, dati, informazioni e porre mano «a una democratizzazione tempo
all’ordine del profonda della vita del sindacato» perché «si è formato un diaframma tra i nostri attivisti» e le
masse» . Di Vittorio, personaggio «sui generis» per una certa sinistra di quei tempi (l’anno dopo condannò
l’invasione sovietica dell’Ungheria), chiuse così il capitolo «sconfitta» . E iniziò quella che Bruno Manghi (sociologo con una lunga storia da sindacalista nella Cisl) chiama oggi «una stagione innovatrice, in cui la Cgil capì che bisognava spostare di più il baricentro sindacale verso le fabbriche» . E adesso? «Penso che vincerà
l’accordo» , pronostica Manghi. E poi? «Escludo che la maggioranza Fiom voglia mettere in piedi la quarta confederazione, il militante medio non è disponibile a lasciare la vecchia Cgil per un’avventura al buio, non vuole
diventare un Cobas. Si andrà invece avanti caso per caso, con intese parziali. Per vedere chi vincerà bisognerà
aspettare i prossimi anni, quando la luce dei riflettori sarà meno forte. Comunque a mio parere non ci saranno
morti. Sono sì almeno 30 anni che la Cgil non è in grado di dettare la sua legge al mondo sindacale, ma il mondo sindacale non può fare a meno della Cgil» . Uno sguardo al futuro lo lancia anche Cesare Annibaldi, responsabile delle relazioni sindacali Fiat dal 1977 al 1995. In anni, quindi, che hanno visto la fabbrica, l’Italia e il
mondo passare dagli slogan della «lotta operaia» al riflusso e al rilancio del capitalismo. «Per il sindacato —
spiega — ci sarà la necessità di affrontare una stagione caratterizzata non solo da accordi simili a quello su Fiat.
Ricordiamoci che produttività e flessibilità sono già da tempo all’ordine del giorno, non solo in Italia ma anche
all’estero. E qui arriva una grossa novità rispetto a 56 anni fa: allora l’Italia era un sistema più chiuso, oggi bisogna più che mai affrontare i grandi temi della competizione internazionale» . Nel 1955, subito dopo la sconfitta della Cgil— raccontano gli storici — alcuni dissero che era colpa del padrone e parlarono di ricatto delle
commesse americane appese a un certo esito elettorale. Eppure, arrivò il «mea culpa» di Di Vittorio.
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Alta tensione in fabbrica
E ai cancelli i delegati
litigano sotto i riflettori
Il reportage Il furgone della Fiom e i volantini del fronte del sì
TORINO— «Tu vuoi fare di questo posto un cimitero, ma noi non lo permetteremo» . «E tu invece hai venduto
i lavoratori per niente» . Sempre più vicini. A separare i nasi dei due delegati di Fim e Fiom non restano ormai
che un paio di centimetri. Il confronto avviene a favore di una telecamera, li hanno messi apposta davanti alla
storica targa "Stabilimenti Mirafiori Carrozzerie", doveva essere una discussione sui contenuti «che permetta
agli spettatori di farsi un'opinione» . Ma il nobile intento rischia presto di trasformarsi in uno spettacolo da fascia protetta. «Sei un comunista del c… » . «Questa è solo ideologia, e tu invece tieni le corna» . Tiè, e fa anche
il gesto. Bava alla bocca, fronte contro fronte, come due pugili in attesa del gong. Al primo spintone con annesso "vaffa"i colleghi intervengono per separarli. Corso Tazzoli, porta 2, l'ingresso dei metalmeccanici in fabbrica.
L'unico posto al mondo dove ogni tanto capita che i media inseguano gli operai che alle 6 del mattino entrano
per il primo turno. Ad attenderli ai cancelli c'è il furgone della Fiom parcheggiato sul marciapiede, dal suo altoparlante esce la musica di Contessa, «compagni dai campi e dalle officine» , Paolo Pietrangeli, circa 1968. I delegati distribuiscono l'opuscolo che riporta integralmente «l'accordo della vergogna» , così viene definito in copertina, con le parti più scabrose evidenziate in giallo. A ridosso dei tornelli invece ci sono quelli del «sì» , i
rappresentanti delle sigle che hanno firmato l'accordo, con tanto di volantini in carta patinata e rima baciata,
«Mirafiori c'è, ora dipende da te» . Due schieramenti opposti, e in mezzo a loro i primi 600 operai reduci dalla
cassa integrazione natalizia, con poca voglia di parlare. «Voto sì, credete davvero che abbiamo possibilità di
scelta?» . «Per me è no, così torniamo indietro di 40 anni, ma non metta il mio nome, la prego» . Non è una bella mattina, e non solo per via del cielo che sembra una lastra di ferro. La scena all'ingresso delle Carrozzerie si
ripete anche alle 13,30 per il cambio turno, ma ha sempre qualcosa di posticcio, come fosse una recita a uso e
consumo di televisioni e giornali. Tanto l e sorti del referendum sull'accordo si decideranno al chiuso delle assemblee dei prossimi giorni, lontano da occhi estranei. Forse l'unico elemento di verità è negli sguardi smarriti
dei metalmeccanici davanti a questo spiegamento di forze. «Troppo, per un solo reparto di una sola fabbrica» .
A dirlo è uno che voterà sì, ma la consapevolezza dell'importanza di questo referendum è un sentimento comune
a entrambi gli schieramenti. E pesa. «I tempi in cui l'Italia guardava a Mirafiori sono lontani, a certe pressioni
non siamo più abituati» . Il segretario torinese della Fiom Federico Bellono ha un sorriso malizioso stampato
sulla faccia. «Strano, siamo noi a distribuire il testo dell'accordo che non abbiamo firmato, siamo noi gli unici
che faranno assemblee… » . Gli altri si sono affidati a volantini che raffigurano due pupazzi, Mirafiori e Pomigliano, che si stringono la mano. «Perché non le fate voi, le assemblee?» . La domanda dell'operaia a Lillo Taormina, delegato Fismic ultrafavorevole all'accordo, raccoglie questa risposta. «E come facciamo, con 4-5 persone che subito si mettono a urlare per non farvi capire nulla?» . La donna annuisce poco convinta, poi varca
l'ingresso. Giovanni Comparetto, delegato Fim da vent'anni, intuisce che la questione non è solo d'immagine ma
di sostanza, in una consultazione dove il 47 per cento dei votanti non è iscritto a nessun sindacato. «Clima di intimidazione? No. Ma sembra più facile dire pubblicamente un no piuttosto che un sì secco. Tocca a noi trovare
le parole per spiegare che questo non è un bell'accordo, ma garantisce investimenti» . La settimana decisiva di
Mirafiori comincia così, con il delegato Fiom Sergio Forelli che tuona all'altoparlante. «Compagni non abbiate
paura, non è vero che chiude la fabbrica se votate no, la fabbrica è degli operai, non di Marchionne» . Un delegato Ugl si mette a urlare usando le mani giunte come altoparlante. «Fate solo disinformazione, siete degli irresponsabili» . Poi si gira e ammicca ai suoi. «Mi fanno schifo questi fiommini» . Intanto i due delegati aspiranti
pugili si avviano verso la pensilina dell'autobus, insultandosi a vicenda, ognuno con il dito puntato verso l'altro.
Comunque vada, farà molto male.
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Il Pd alla Fiom: rispetti il voto
Ma per il leader delle tute blu, Landini, «la partita si può vincere»
Il confronto Marcegaglia: vero che la Fiat potrebbe lasciare l’Italia. Qual è il piano B di chi dice no al referendum? ROMA -Il capo della Fiom, Maurizio Landini, suona la carica e sostiene che la partita di Mirafiori «può
essere ancora vinta» . Ieri ha visto tutti i leader della sinistra, parlamentare ed extraparlamentare, da Pier Luigi
Bersani, segretario del Pd, a Marco Ferrando, che dirige il Partito comunista dei lavoratori. Ha lanciato una
campagna di raccolta di firme contro gli accordi sottoscritti tra la Fiat e gli altri sindacati e una sottoscrizione
straordinaria, perché la Fiom, per finanziare le sue lotte, a cominciare dallo sciopero generale del 28 gennaio, ha
bisogno di soldi. In prima fila, a sostenerla, ci sarà la neonata associazione Lavoro e Libertà, fondata dall’ex
leader della Cgil, Sergio Cofferati, e dall’ex segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti. La Fiom,
come ha confermato Giorgio Cremaschi, prepara inoltre ricorsi alla magistratura del lavoro per far invalidare la
costituzione delle due newco Fiat di Pomigliano e di Mirafiori e i conseguenti contratti di lavoro. Landini avverte infine le altre aziende metalmeccaniche a non seguire l’esempio dell’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, perché altrimenti il conflitto si estenderebbe a macchia d’olio. Insomma, l’organizzazione dei
metalmeccanici Cgil si prepara a una mobilitazione a 360 gradi contro, nella convinzione, come dice Giorgio
Airaudo, «che Marchionne passerà mentre la Fiom ci sarà sempre» . Una Fiom, conclude Landini, che sta aumentando iscritti e delegati. Affermazione contestata dagli altri sindacati, con il segretario della Fim-Cisl, Giuseppe Farina, che taglia corto: «La Fiom dà i numeri» . Ma i toni trionfalistici di Landini e compagni non sono
condivisi neppure dalla Cgil. Il segretario, Susanna Camusso, pur invitando i lavoratori di Mirafiori a votare no
nel referendum di giovedì e venerdì, ribadisce che la Fiom dovrebbe però prendere atto del risultato del voto e
quindi anche di una eventuale vittoria del sì. Una posizione rilanciata ieri anche dal leader del Pd Pierluigi Bersani: «In questi incontri abbiamo ribadito la posizione netta e chiara del Pd: si deve rispettare l'esito del referendum di giovedì e venerdì e si deve mettere mano urgentemente a regole di rappresentanza che garantiscano sia
l'esigibilità degli accordi che i diritti individuali e i diritti sindacali di chi dissente» . Massimo D’Alema, pur non
entrando nel merito del referendum, ha sottolineato come il Pd abbia preso «una posizione chiara, che compete
ad un partito politico, che non è certamente quella di partecipare al referendum. Siamo favorevoli ad un programma di investimenti della Fiat e riteniamo che ci debba essere un patto sociale per lo sviluppo del Paese» .
Marchionne, intanto, avverte che l’investimento a Mirafiori si farà solo se vinceranno i sì. Quanto a eventuali
cause giudiziarie, «la Fiom faccia pure» , si limita a dire il manager. Il presidente della Confindustria, Emma
Marcegaglia, intervenuto ieri a Porta a Porta, suggerisce alla Fiom di firmare l’accordo per poi chiedere chiarezza sugli investimenti, ritenendo anche lei credibile la minaccia di Marchionne di spostare le produzioni in altri
stabilimenti in caso di vittoria del no. Sarebbe questo «un guaio» , secondo il ministro del Lavoro, Maurizio
Sacconi, secondo il quale l’accordo «porterà più salario e condizioni di lavoro che possono essere migliorate»
mentre il leader della Uil, Luigi Angeletti, definisce «una favola, anzi una bugia» l’accusa della Fiom di aver
svenduto i diritti dei lavoratori. Ora gli occhi di tutti sono puntati sul referendum. Ieri la minoranza della Fiom,
capitanata da Fausto Durante e che sta con la posizione della Cgil, ha incontrato la stessa Camusso, e ha ribadito
la richiesta a Landini di prendere atto del risultato. Richiesta che resterà inascoltata. Oggi Camusso ridirà la sua
aprendo, a Chianciano, l’Assemblea delle Camere del Lavoro della Cgil. Poi, sabato, il direttivo della confederazione varerà la proposta a Confindustria, Cisl e Uil per nuove regole sulla rappresentanza: un tentativo di arginare il ciclone Marchionne. Ma se a Mirafiori vinceranno i sì, potrebbe essere troppo tardi.
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Elkann: cresciamo all’estero
per essere più solidi in Italia
DETROIT — Sui muri di Torino, oltre alle stelle a cinque a punte e ai graffiti che insultano Marchionne, è
comparsa una scritta di protesta: «Non siamo noi a dover diventare cinesi, ma i lavoratori cinesi come noi» . Cosa direbbe al suo autore? «Che dobbiamo guardare in faccia la realtà. Non possiamo divorziare dai fatti. La Cina
esiste, è una grande realtà con la quale dobbiamo confrontarci. Bisogna saper distinguere tra cosa può essere nei
desideri di ognuno e quello che è possibile. Non averlo fatto nel modo giusto in passato ci ha portato ad attraversare una fase di declino. Lo so bene, perché dieci anni fa l'ho vissuta in prima persona. Ricordo bene cosa significa finire in una crisi profonda. E non c'è nessuno che ti da una mano. Ne siamo venuti fuori. E'un'esperienza che non dobbiamo assolutamente ripetere» . Dopo aver partecipato con Sergio Marchionne all’incontro con la
stampa italiana, il presidente della Fiat, John Elkann si concede un giro nell’area espositiva del Salone dell'auto
di Detroit. La vasta area della Chrysler, lo stand della Fiat 500, un'occhiata curiosa ai modelli della concorrenza.
Lei si mostra sempre sorridente e disteso, anche in momenti di grande tensione come questo, alla vigilia del referendum per Mirafiori. La responsabilità di erede della più importante dinastia industriale d'Italia non le pesa?
È una sfida che la esalta o che la spaventa? «E'una cosa che affronto con serenità. Anche se in Italia molte cose
sono difficili, sono convinto di fare le cose giuste. Cose indispensabili per dare un futuro alla Fiat» . Per la quale, però, l'Italia potrebbe diventare sempre meno importante, nonostante Fabbrica Italia. Non è solo questione di
Mirafiori o Pomigliano: fatti come il raddoppio del Brasile pesano. E poi c'è il mercato: quello dell'auto nel nostro Paese è destinato a contrarsi anche nel 2011. «Internazionalizzare sempre più la Fiat è una necessità e una
sfida esaltante, soprattutto per me che ho fatto esperienze professionali e di vita in vari Paesi. È la realtà del
mondo d'oggi. Qual è l'alternativa? Dobbiamo tener conto delle direttrici di sviluppo del mondo d'oggi. Solo
crescendo all'estero la Fiat può rafforzarsi e mantenere una realtà produttiva sana, consolidata, in Italia. Paese
nel quale restiamo ben presenti. Oggi siamo qui a Detroit, ma giovedì e venerdì saremo, insieme a Marchionne,
a Torino a seguire l'esito del referendum» . La crescita all'estero passa per l'acquisizione della maggioranza della
Chrysler. Il percorso per salire al 35%del capitale è già segnato. Come finanzierete l'acquisto del 16%che ancora
manca per raggiungere quota 51%? Le voci di cessioni — dall'Alfa alla Magneti Marelli — vengono sempre
smentite, ma ogni volta tornano alla ribalta. «Ho appena detto che ci teniamo stretto tutto. Anche se ci offrono
un mucchio di soldi. Aggiungo che abbiamo già individuato, all'interno del bilancio Fiat, le risorse necessarie
per finanziarie l'acquisizione della quota Chrysler» . Tra lancio di nuovi modelli, tappe del piano industriale americano col raggiungimenti degli obiettivi concordati con la Casa Bianca, acquisizione della maggioranza
Chrysler, quotazione a Wall Street del gruppo americano, il 2011 si presenta per voi come un anno cruciale. Anche un po'congestionato. Va bene che Marchionne ama il movimento, ma riuscirete a fare tutto? «Siamo solo a
gennaio. Vedrà» .
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Torino sale in Chrysler,
entro l’anno a Wall Street
«Non vendiamo né Alfa né Iveco» . Rilancio sui camion Volkswagen: ci interessano
DETROIT — Fiat è già salita dal 20 al 25 per cento in Chrysler e punta a bruciare le tappe della conquista della
maggioranza del capitale dell’azienda Usa, probabilmente già entro il 2011, prima della quotazione a Wall
Street del gruppo di Auburn Hills. Un Sergio Marchionne sempre contrariato dalle vicende italiane e inebriato
dal clima di ripresa che si respira al Salone dell’Auto di Detroit ha confermato ieri, incontrando la stampa, di essere deciso a procedere a passo di carica verso l’acquisto del 51 per cento del capitale Chrysler da parte del Lingotto. Come pagherà il 16 per cento che deve comprare «cash» ? L’amministratore delegato dei due gruppi non
lo ha svelato nemmeno ieri, ma ha assicurato che non sono in vista cessioni: non si vendono né la Magneti Marelli, né la Ferrari o la Iveco. E nemmeno l’Alfa Romeo: «Abbiamo investito troppo. La stiamo portando negli
Usa, a partire dal 2012. Il primo modello potrebbe essere la "Giulia": ha il vantaggio di essere già basata su una
piattaforma "americana". Ma contiamo di arrivare sul mercato americano con l’intera gamma Alfa» . Non solo
non si vende nel settore dell’auto, ma il presidente della Fiat, John Elkann, ha formulato un’ipotesi che va nella
direzione di un allargamento del perimetro di Fiat Industrial, la società nata dalla scissione dalla holding che
raggruppa camion, macchine agricole e veicoli da cantiere. Se la Volkswagen decidesse di concentrarsi sull’auto
e decidesse di cedere i camion, ha detto Elkann, «la Fiat sarebbe un potenziale acquirente» . Marchionne ha aggiunto che non è stata fin qui avviata alcuna trattativa in questa direzione, ma il messaggio del presidente è chiaro: l’interesse per le attività in questione (i marchi Man e Scania) è reale e abbraccia varie ipotesi che vanno
dall’acquisto vero e proprio a forme di «partnership» . Ma a Detroit, dove Chrysler presenta la sua nuova ammiraglia, un’evoluzione ridisegnata molto più rifinita della «300» che diventerà (con gli opportuni aggiustanti) anche l’ammiraglia della Fiat-Lancia (sarà la nuova «Thema» ), si parla soprattutto di auto e di quotazione del
gruppo di Auburn Hills. Marchionne ha confermato che l’obiettivo rimane quello di arrivarci dentro l’anno:
nell’ultimo trimestre, o forse anche prima. Dipenderà soprattutto, secondo l’amministratore delegato dei due
gruppi, dall’andamento della Borsa. Ma prima l’azienda Usa dovrà chiudere due trimestri in utile netto (una
svolta che deve ormai essere dietro l’angolo, visti i tempi strettissimi) e dovrà rimborsare i 7,4 miliardi di dollari
avuti in prestito dai governi Usa e del Canada. Come farà? Intanto il gruppo dovrebbe incassare entro gennaio
tre miliardi di contributi del governo Usa per i programmi di sviluppo di veicoli ecologici e a basso consumo.
Gli altri produttori americani li hanno già avuti. Chrysler e General Motors erano in «stand by» , viste le loro
precarie condizioni di salute dopo l’uscita dalla bancarotta. Ora che sono in pieno recupero e di nuovo affidabili
sul piano industriale, la procedura è stata riavviata. Ieri Marchionne non è tornato su questo punto, ma ha detto
che entro marzo discuterà con le banche Usa il rifinanziamento del debito Chrysler: «I progressi che abbiamo
fatto in questi 19 mesi zittiscono gli scettici e spero che convincano i potenziali investitori e creditori» . Intanto
Fiat incassa il 5%di capitale aggiuntivo per il raggiungimento del primo obiettivo di piano: la produzione negli
Usa di un nuovo motore a basso consumo (il «Fire» della Cinquecento costruito nell’impianto di Dundee).
L’altro 10%«gratuito» arriverà con l’aumento dell’export Chrysler e l’omologazione di una nuova vettura
Chrysler costruita su piattaforma Fiat, capace di percorrere 40 miglia con un gallone di benzina: la nuova Dodge
di derivazione Giulietta che arriverà entro fine anno.
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Fisco, previdenza e diritti:
il Manifesto delle partite Iva
«Occorre mostrare che siamo in tanti per ottenere ascolto»
E ora spunta il Manifesto del lavoro autonomo. Sarà presentato domani alla Triennale di Milano con un vero
spettacolo teatrale. Una rappresentazione per ovviare al deficit di rappresentanza. Inizia il 2011 e le partite Iva
hanno deciso di uscire dall’invisibilità e di proporre all’opinione pubblica un racconto di sé, della propria condizione lavorativa e fiscale. E persino di tentare di collocare il lavoro autonomo nella cultura giuridica e nella storia del Paese.A promuovere l’operazione è stata Acta, l’associazione del terziario avanzato presieduta da Anna
Soru, ma l’intenzione è quella di allargare le alleanze e costruire addirittura «una coalizione del lavoro autonomo» . La nuova generazione Il Manifesto del Quinto Stato inizia spiegando come esistano due generazioni di
partite Iva, la prima ha iniziato la sua attività verso la seconda metà degli anni 70 («quando c’era una voglia diffusa di non sottomettersi agli orari e ai vincoli dell’azienda» ), i più giovani invece hanno fatto il grande passo
sulla spinta delle promesse libertarie portate dalle nuove tecnologie. «Hanno creduto a una società aperta priva
di barriere all’ingresso» . A quest’idea di libertà e indipendenza entrambe le generazioni non sono disposte a rinunciare, «nemmeno oggi che i tempi sono cambiati e il mercato si è fatto molto difficile» . Per quelli che hanno
cominciato 20/30 anni fa tirarsi indietro è impossibile, ma anche i giovani che per certi versi sono stati obbligati
a prendersi una partita Iva sono invitati a non scoraggiarsi. Anche se le istituzioni per lungo tempo «non ci hanno riconosciuto tanto da non riservarci un posto nemmeno nelle statistiche!» . I lavoratori autonomi però non
demordono e anzi coltivano l’idea che le loro battaglie abbiano un valore non solo sindacale-corporativo ma...
«abbiamo un compito storico, impedire che in Italia il capitale umano sia svalorizzato proprio quando sulla scena mondiale si afferma l’economia della conoscenza» . A noi sovente tocca, raccontano, costruirlo il mercato
del terziario avanzato, scoprire le esigenze nascoste della committenza, indicare la via dell’innovazione a organizzazioni molto più strutturate ma miopi. La svolta di Internet Il lavoro autonomo vive sul web e crede nel
web. Il Manifesto lo ribadisce. Gli specialisti di informatica rappresentano uno dei gruppi più consistenti nella
categoria dei free lance della conoscenza. «Il web ci ha permesso di lavorare a casa, contribuendo a quella domestication del lavoro che confonde tempi di vita e tempi di attività per il mercato» . Ha consentito di lavorare
ovunque, sul treno o su una panchina del parco, in metropolitana o nella sala d’aspetto di un aeroporto, contribuendo all’aumento della produttività individuale e molto spesso a un allungamento della giornata lavorativa
ben oltre le otto ore previste dai contratti di lavoro dipendente. «Il web ci ha permesso di lavorare all’estero senza emigrare. Creare un sito o aprire un blog è diventato ormai il primo gesto di chi vuole coinvolgere altre persone in una determinata iniziativa» . Lavorare da soli, comunicare attraverso Internet, comporta il rischio di
considerare i rapporti virtuali come l’unica forma di relazione sociale. Ma questa deformazione professionale si
paga, perché (invece) i rapporti di prossimità sono importanti nelle azioni di lobbying e nelle manifestazioni di
volontà collettiva e di protesta. «Non basta postare un’opinione su un forum o inviare una firma via Internet, occorre mostrare la faccia e mostrare che si è in tanti per ottenere ascolto» . Un freelance vive di capacità relazionale, è questo il suo mercato. Non ci sono scuole o galatei possibili, conta il carattere e la sensibilità della persona ma soprattutto l’esperienza. La capacità si manifesta nel cercare e trovare un cliente ma anche nello stabilire
con lui un rapporto di fiducia, nell’ottenere la stipula di un contratto a condizioni dignitose, nel sapersi muovere
in mezzo ai meandri delle gerarchie aziendali senza urtare la suscettibilità di nessuno, nel farsi pagare in tempi
ragionevoli. «Tutte cose che richiedono intuito, sensibilità, iniziativa, astuzia, rispetto dell’altro» . Non ci sono
scuole o università dove si imparano, ma una regola di comportamento il Manifesto delle partite Iva vuole darsela nell’interesse collettivo: «Rifiutare compensi vergognosi, non accettare di fare dumping, non cedere alla
concorrenza al ribasso» . Illudersi che una regolamentazione delle tariffe come i professionisti organizzati negli
Ordini serva a qualcosa è tempo perso, sostengono. Un lavoro pagato poco si deve rifiutare e basta. Il nodo dei
diritti I lavoratori autonomi si sentono riconosciuti come cittadini ma non ancora come cittadini lavoratori. «A
noi vengono riconosciuti i diritti che appartengono alla sfera delle libertà borghesi ottocentesche ma non quelli
che appartengono ai sistemi di sicurezza sociale propri del Novecento. Secondo il codice civile noi esercitiamo
un’attività a prestazione, vale a dire che il nostro rapporto di lavoro cessa nel momento in cui la prestazione è
stata ultimata e ricomincia quando ce ne viene richiesta una seconda» . Ma questo è servito per molto tempo a
dire che i consulenti sono dei venditori di servizi, dei liberi commercianti di conoscenze, delle mini-imprese,
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non dei lavoratori nei confronti dei quali lo Stato ha degli obblighi di tutela simili a quelli del lavoro dipendente,
pubblico e privato. È vero che l’apparizione sulla scena del lavoro delle partite Iva è stata contemporanea alla
crisi dello Stato-provvidenza e al trasferimento di servizi pubblici essenziali ai privati, ma «noi siamo stati sballottati come gusci di noce in questi cambiamenti e abbiamo sbagliato a infischiarcene» . Hanno ricominciato ad
alzare la testa anche perché lo scambio che lo Stato ha impostato con loro è iniquo. «Siamo esclusi dalle tutele e
ci aumentano le tasse» . E l’incidenza del carico fiscale su redditi che in molti casi sono redditi di mera sussistenza non è uno dei tanti problemi del lavoratore freelance ma è il problema. «Questo ci ha fatti bollare come
renitenti fiscali anche quando stavamo zitti e buoni, si sono divertiti per anni a diffamarci come evasori» ma lavorando con aziende e pubbliche amministrazioni tutti i loro redditi sono documentati e «anche tecnicamente
non potremmo eludere il fisco» . L’esclusione dal modello sociale Questa situazione, dicono ad Acta, ci pone al
di fuori del cosiddetto modello sociale europeo e ci consegna un senso della cittadinanza «incerto» . Affermano
di avere un forte senso del bene pubblico ma un non ben definito senso dello Stato, che si portano dietro più per
retaggi familiari o inclinazioni ideologiche. E constatano che la cosiddetta flexcurity, che dovrebbe negli ordinamenti europei sostituire il vecchio modello di welfare, rischia di diventare l’araba fenice del secondo Millennio. Per ora si assiste a tagli delle prestazioni previdenziali e basta, senza rimodulare la loro ripartizione tra
gruppi di popolazione attiva e gli Stati non riescono più a mettere sul tavolo del negoziato con il cittadino la
vecchia offerta di diminuire le tasse. Che fare? Innanzitutto essere uniti, propone il Manifesto, smetterla di andare avanti ognuno per conto suo e diventare una categoria capace di sostenere una piattaforma di rivendicazioni
come quella che sarà illustrata domani a Milano: fiscalità e previdenza, diritti universali e formazione. E
l’avversario numero uno, almeno in questa fase, è la gestione separata dell’Inps che il documento del Quinto
Stato non esita a definire «uno scandalo» . Sta diventando la vera gallina dalle uova d’oro del sistema previdenziale perché risulta largamente in attivo. Ma tutto ciò sulla pelle dei lavoratori autonomi che pagano più del
26%di contributi e che però rischiano di avere a fine carriera una pensione da fame.
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La crisi gela i consumi,
fermi ai livelli del ’99
Allarme Confcommercio: giù del 2,1%nel 2008-09, ripresa solo nel 2012
ROMA— «Un pauroso salto all’indietro» . E’quello compiuto dai consumi degli italiani nel biennio di recessione 2008-2009, quando la spesa procapite, contraendosi del 2,1%, è tornata ai livelli precedenti il 1999. È l'analisi contenuta nel «Rapporto sui consumi» di Confcommercio, aggiornato al novembre scorso, secondo la
quale «la vera ripresa» dei consumi arriverà solo nel 2012. Scendendo più nel dettaglio, si scopre che, nel biennio esaminato, il reddito disponibile per i consumi si è ridotto molto più della spesa, implicando un incremento e
non una riduzione della propensione al consumo, cioè della frazione di reddito che si spende. La conseguenza
semmai è stata una riduzione di quello che è stato messo da parte. In ogni caso, Confcommercio delinea il profilo di un consumatore maturo, in grado di salvaguardare il proprio tenore di vita attraverso scelte oculate. «I cittadini-consumatori — si legge nel rapporto— non hanno subito passivamente la crisi. Hanno colto le opportunità offerte dal mercato per ridurre al minimo le perdite di benessere» . Perciò, ad esempio, «è stato inevitabile rinunciare a una frazione rilevante delle spese per le vacanze e per la connessa mobilità. L’acquisto di auto è crollato nel 2010, dopo la fine degli incentivi. Il consumo alimentare domestico ha subito gravi cadute» . Secondo
Coldiretti, nel 2009 una famiglia su tre è stata costretta a tagliare gli acquisti alimentari. Ma non è tutta riduzione di consumo effettivo. In pratica si sono ridotti gli sprechi, si è abbassata la qualità. Confcommercio ritiene
necessario cambiare «le vecchie classificazioni piramidali: alla base i consumi necessari, al vertice quelli voluttuari» . Oggi «si può rinunciare a una parte della qualità nell’alimentazione domestica mentre più difficilmente
si opera un taglio drastico per la pizzeria o il ristorante» , di cui si riduce quasi certamente la frequenza. In altri
termini, «i consumatori combattono quotidianamente, e spesso con successo, una battaglia per mantenere il più
elevato possibile il proprio tenore qualitativo in termini di consumo. Tutto quello che si può ridurre, sprechi inclusi, si riduce, mentre ciò che si desidera di più viene tagliato per ultimo» . Per questo motivo la riduzione della
propensione al risparmio, che si è avvertita durante la crisi del biennio 2008-2009, è andata a finanziare non tanto consumi di base, ma gli acquisti di beni e servizi che producono un’elevata soddisfazione dei consumatori.
Lungo questi trend Confcommercio costruisce le previsioni per il prossimo biennio. In termini aggregati, dopo il
modesto 0,4%del 2010 in termini di crescita dei consumi, nel 2011 si dovrebbe completare la «guarigione»
dell’economia e del clima di fiducia dei consumatori (+0,9%i consumi in termini reali). La vera ripresa dei consumi, secondo il rapporto, è collocata soltanto nel 2012 (+1,6%), anno nel quale dovrebbe diventare «concretamente apprezzabile una fase di crescita» . La struttura della spesa vedrà crescere le quote di risorse devolute alle
telecomunicazioni e alla per la salute, a scapito di quella per il vestiario. Anche l’alimentazione fuori casa continuerà a svilupparsi: nel 2012 per ogni euro speso per mangiare in casa quasi altri 50 cen- tesimi saranno spesi
per consumazioni fuori casa. In vista della ripresa, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, suggerisce di
«accelerare e intensificare tutte le azioni, le politiche, le riforme utili al rafforzamento della crescita, della produttività, della competitività e al riassorbimento della disoccupazione» . A partire dalla riforma fiscale.
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Moratoria per i debiti pmi, le banche trattano
Ponzellini (Bpm) lancia le «gabbie» del credito
I tre italiani in corsa per l’Europa
ROMA — Le moratorie scadono a fine mese. Per la sospensione delle rate dei mutui alle famiglie in difficoltà le
banche hanno già annunciato la disponibilità a concedere una proroga di sei mesi, al 31 luglio. Mentre è ancora
da definire la soluzione per la moratoria dei rimborsi dei debiti delle piccole e medie imprese. In questo caso un
ulteriore rinvio dei termini è da escludere, perché i prestiti congelati dovrebbero essere considerati sofferenze e
le banche non possono permetterselo. Tanto più che Bankitalia non lo consente sostenendo che le misure eccezionali prese nel momento più duro della crisi non possono diventare interventi standard incoerenti con le norme
vigenti. «Se chiediamo un rinnovo tout court è un problema, se chiediamo un rientro immediato creiamo danni»
ha osservato ieri il presidente della banca Popolare di Milano, Massimo Ponzellini. «A Milano i clienti che hanno chiesto la moratoria, tra sei mesi, un anno o più, la pagheranno. Temo non sarà così in altre zone del Paese. È
chiaro che bisogna differenziare» aggiunge però il banchiere vicino alla Lega. Le statistiche della Banca d’Italia
confermano in effetti che la capacità di rimborsare i prestiti è più alta in alcune aree geografiche e più bassa in
altre, che non sono solo le meridionali. Ma la differenziazione nel nuovo accordo tra banche e Confindustria,
secondo quanto ha detto a suo tempo il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, se ci sarà, sarà fatta solo in base
alle potenzialità di sviluppo delle singole aziende. Quelle in grado di tenersi in piedi da sole saranno ancora aiutate a superare le difficoltà, le altre no. Per queste, ma sarà una questione interna al rapporto-banca cliente, verrà
studiato un piano di ristrutturazione dei debiti. C’è peraltro da osservare che anche per aderire alla vecchia moratoria, con cui in grande sostanza l’azienda otteneva una boccata di liquidità, era richiesto il requisito della
buona salute imprenditoriale. E che una volta esaurita la sospensione, l’azienda, spiega l’Abi, non deve ridare
indietro le rate sospese, relative alla quota capitale del prestito (gli interessi dovevano essere pagati), bensì riprendere il piano di ammortamenti pattuito. Il nuovo intervento, ancora tutto da definire al tavolo tra Abi, Confindustria e Tesoro, sarà comunque diverso, non sarà una moratoria ma un programma di sostegno. Le misure
allo studio variano da interventi per consolidare i debiti a breve o per allungare la scadenza dei prestiti medio
lunghi a misure di supporto in operazioni di capitalizzazione. Allo studio è anche la possibilità di dare sicurezza
all’imprenditore trasformando i debiti a breve a tasso variabile in fisso o fornendo una rete per ripararsi da eventuali rialzi dei tassi. E ciò ricorrendo a strumenti di copertura come i cosiddetti «derivati lineari» . Per quel che
riguarda le famiglie in difficoltà l’intervento che l’Abi metterà a punto con le associazioni dei consumatori, sarà
più semplice. Perché si tratterà tout court di una proroga. In pratica di una riapertura dei termini per domandare
la sospensione di un anno del pagamento delle rate di mutuo da parte delle famiglie in difficoltà. Ovviamente si
tratta di un’opportunità per coloro che non ne hanno già usufruito.
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Migliora il deficit italiano
Scende al 3,2%del Pil
Timori sui bond di Lisbona, tonfo delle Borse
FRANCOFORTE— La ripresa dell’economica mondiale è «migliore delle previsioni in alcuni Paesi emergenti»
nei quali, tuttavia, cominciano a manifestarsi, come elemento comune, «minacce inflazionistiche» ha spiegato
ieri Jean-Claude Trichet da Basilea in qualità di presidente del Comitato dei governatori di tutto il globo. Aggiungendo che queste minacce sui prezzi «non sono necessariamente presenti anche nei Paesi avanzati» . Non
ancora. Per questo secondo il numero uno della Bce «non è il momento di compiacersi» ed è quindi importante
che le banche centrali mantengano «il controllo sulle aspettative di inflazione» e prendano «decisioni appropriate» dove necessario. Trichet ha sottolineato più volte ieri di «non parlare per conto del Consiglio della Bce» ,
che si riunirà giovedì, e venerdì scorso ha assicurato che «l’inflazione è sotto controllo» . Tuttavia, secondo gli
esperti, la Bce aumenterà i tassi nell’ultimo trimestre del 2011, in anticipo rispetto alle previsioni. Ma le preoccupazioni di Eurolandia ieri si sono concentrate sul risorgere della crisi del debito. E in particolare sulle voci di
primi contatti fra il Portogallo e la Ue per eventuali aiuti, che potrebbero aggirarsi intorno ai 60-80 miliardi di
dollari. E di un aumento delle pressioni sul Portogallo — oltre a Francia, Germania e la Bce, si sarebbero aggiunte anche l’Olanda e la Finlandia affinché Lisbona accetti gli aiuti della Ue, prima che la crisi si estenda anche a Spagna e Belgio. Voci smentite dalla Commissione e da Berlino. Ma i timori dei mercati si sono concentrati sul Portogallo, nonostante le rassicurazioni del premier José Socrates. Domani nuove emissioni portoghesi— a 3 e 10 anni— costituiranno un ulteriore test per i mercati. Nel frattempo gli spread europei, in netto aumento durante la giornata, sono calati leggermente in serata (quelli portoghesi a quota 430 punti) grazie
all’intervento di acquisto di titoli portoghesi, greci e irlandesi da parte della Banca centrale europea. Mentre il
Btp dopo un massimo di 200 punti, è ridisceso a 198-199 punti. rispetto ai Bund. Le tensioni sul Portogallo hanno affondato le Borse, soprattutto i titoli bancari: Milano ha perso il 2,36%, Francoforte l’1,31%, Parigi l’
1,64%e Londra 0,47%. Nel frattempo, migliorano i conti pubblici italiani: l’Istat ha reso noto per il terzo trimestre un miglioramento dell’indebitamento netto, al 3,2%del pil, dal 3,9%del terzo trimestre 2009. Mentre nei
primi nove mesi dell’anno il deficit è sceso al 5,1%del pil, dal 5,5%dell’analogo periodo del 2009. Il ministro
del Tesoro Giulio Tremonti ha ribadito al quotidiano francese Les Echos che l’Italia «non ha avuto problemi di
collocamento» per i titoli di debito pubblico (un’emissione di Bot è attesa per oggi) e che pertanto proseguirà
con la strategia di un «estremo rigore dei conti» . Tremonti ha aggiunto la sua proposta di emettere eurobond
«avanza e ha la maggioranza al Parlamento europeo» , anche perché compatibili con il Trattato di Maastricht e
con le esigenze di stabilità di Eurolandia.
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Fiat salita al 25% in Chrysler
“In Canada se Mirafiori dice no”
Ultimatum di Marchionne. Elkann: interessati ai camion Volkswagen
“Ci sono tante alternative all’
investimento in Italia: dall’
Ontario al Michigan in Usa”
TORINO - La Fiat è salita dal 20 al 25 per cento della Chrysler e Sergio Marchionne dice che «potrà
arrivare al 51 per cento entro quest´anno». Un passo avanti verso la conquista dell´azienda americana la cui lettura è però diversa rispetto a un anno fa anche perché l´ad del Lingotto, in sintonia col
presidente John Elkann, ha ribadito la posizione irremovibile sul caso Mirafiori. «Se c´è il 51% si chiude e si va avanti, se non vogliono si va altrove». E ha detto anche dove, precisando che «non c´è solo un piano B, ma più alternative» di cui due da lui collocate in Usa e in Canada. Ma Fiat ha messo gli
occhi anche sui camion della Volkswagen: «Se volesse vendere le sue attività nei camion, Fiat Industrial sarebbe un potenziale acquirente», ha detto Elkann.
Marchionne e Elkann hanno scelto la tribuna americana per parlare del futuro della Fiat in Italia.
L´occasione è il Salone dell´auto di Detroit. L´ad ha esordito con l´annuncio del primo step verso la
conquista di Chrysler. Poco dopo una nota del Lingotto ha comunicato che, come previsto
dall´accordo del 10 giugno 2009, Chrysler Group «ha emesso una lettera d´impegno irrevocabile nei
confronti del Tesoro Usa con la quale dichiara di aver ricevuto le necessarie autorizzazioni regolamentari e che inizierà la produzione commerciale del motore Fire nello stabilimento di Dundee (Michigan)». Era questa la condizione per il passaggio dal 20 al 25% di Torino nell´azionariato della società
di Detroit nella quale i sindacati americani Uaw Veba detengono il 63,5 del capitale, il Tesoro Usa il
9,2 e il governo canadese il 2,3%. La nota ricorda anche che Fiat «potrà aumentare la propria quota
in Chrysler sino al 35% in tranche del 5 in due ulteriori tappe: l´aumento delle vendite al di fuori
dell´area Nafta, la produzione negli Usa di una vettura con prestazioni di almeno 40 miglia per gallone».
«Sono cauto e ottimista sul futuro», ha detto Marchionne ai microfoni dell´emittente americana Cnbc,
riferendosi alla Chrysler che conta di riportare a Wall Street entro quest´anno «Ancora un paio di trimestri in utile e poi l´Ipo». Non altrettanto ottimista è apparso invece su Mirafiori e sullo scontro con la
Fiom. «Non voglio entrare in polemica con Landini perché non risolviamo niente ma è completamente
impossibile discutere con qualcuno che considera qualsiasi cosa che facciamo noi illegittima». Dunque la proposta della Fiat non cambia. Marchionne la difende con forza e «se la Fiom vuole andare in
tribunale lo faccia». In questo caso lui dirotta l´investimento altrove. Dove? «Ci sono moltissime alternative ovunque, come sterling heights»: dallo stabilimento Chrysler in Michigan a quello di Brampton,
in Ontario (Canada). «Lì c´è un senso di riconoscimento per gli investimenti da noi fatti, ci hanno invitato a investire e aumentare la capacità produttiva, in Europa questo è un problema».
Alle domande sulle scritte Br contro di lui Marchionne taglia corto: «Sono fuori posto, non è questione
del mio coinvolgimento personale. Riflettono la mancanza di civiltà che non è opportuna né in Italia né
in un altro paese». Poi è tornato su Fiat per dire che non «non ha bisogno di vendere niente per pagare il debito americano». «Quello che abbiamo ce lo teniamo stretto», ha aggiunto il presidente Elkann con riferimento a Alfa Romeo («un marchio interessante», l´ha definito il numero uno della Volkswagen, Martin Winterkorn) e Ferrari. Ma «se Volkswagen volesse vendere le sue attività nei camion
- ha aggiunto il presidente - Fiat Industrial sarebbe un potenziale acquirente».
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Ai cancelli è già referendum
“Votiamo sì, ma a malincuore”
E sale la tensione ai gazebo dei sindacati divisi
“Voto sì perché ho un figlio di 5 anni Chi lo mantiene se qui non investono?”
“Chiudono la fabbrica? Qui facciamo le macchine da cento anni”
“Meglio far partire l´investimento e poi provare a cambiare tutti insieme quello che non va”
MICHELE farà fortuna. Chi è Michele? «È quello del furgone delle brioches», dice Pino che la sa lunga. Spiega: «Se passa la mensa a fine turno, Michele farà affari».E aggiunge: «Venderà quella roba
perché bisogna pur tirare avanti fino al momento del pasto. Che poi molti non faranno perché usciranno mezz´ora prima e andranno a casa». La roba di Michele non è un bel vedere: cornetti avvolti
nel cellophane, anche Maria Antonietta avrebbe esitato. Ma questo passa il convento. Il market interno, ultimo grido del welfare Fiat, è sbarrato: «Il supermercato Gigante - dice il cartello - è stato chiuso». Per scarsità di clientela: la cassa integrazione taglia le auto prodotte e anche i clienti tra gli scaffali. Oggi Michele ha il monopolio del mercato dello spuntino.
Mirafiori 5,40, porta 2. Lo spazio davanti al cancello è un set televisivo. Tornano gli striscioni rossi di
un tempo a fare da sfondo alle interviste, come i marchi della mortadella dietro i calciatori negli spogliatoi. Finalmente, dopo tante settimane di dibattito tra gli esperti, arrivano gli operai a dire la loro.
Per chi voti venerdì? La luce dei quarzi da telecamera illumina volti assonnati che scendono dai pullman e si dirigono nella notte verso i tornelli. La risposta più diffusa è «Non te lo dico, ci devo pensare». Luisa, 47 anni, addetta alla Mito, invece parla chiaro: «Voterò no perché non voglio che mi riducano il tempo per le pause: dobbiamo chiedere per favore per poter andare in bagno?». Dal fronte
opposto interviene Angelo, 34 anni, uno tra i meno anziani della linea: «Certo che voterò sì. Ma te lo
posso dire? A malincuore. Voto sì perché non posso fare diversamente. Voto sì per difendere il mio
lavoro. Tu fossi al mio posto non faresti lo stesso? Ho un figlio di 5 anni. Chi lo mantiene se qui non
investono?».
Strano posto le Carrozzerie, strani ragionamenti. Dove chi vota «sì» sembra più arrabbiato di chi vota
«no». Altro che pace sociale in fabbrica. In fondo Angelo e Luisa sono dei privilegiati: grazie alle buone vendite, la linea della Mito è quella che ha fatto meno cassa integrazione nel 2010. Voteranno in
modo opposto ma nessuno dei due sembra entusiasta.
Nei capannelli dei sindacalisti c´è tensione. Ogni gruppo se ne sta chiuso, per conto suo, lontano dagli altri. Tutti hanno speso molto, tutti si giocano una fetta di futuro. Oggi i volantini sono su carta patinata, un lusso in tempi di crisi, un lusso necessario quando ci si gioca tutto in un voto. La Fiom distribuisce addirittura un opuscolo con il testo integrale dell´accordo. La logica è evidente: «Se lo conosci
lo bocci». L´operaio Sergio Forelli si attacca al microfono del camper e spara a zero: «L´accordo ve lo
diamo noi perché gli altri che lo hanno firmato non vogliono farvelo conoscere. Non hanno nemmeno
organizzato le assemblee. Allora l´accordo ve lo raccontiamo noi della Fiom anche se non lo abbiamo
firmato». «Bravo vota no, così chiudono la fabbrica», attacca una signora con la giacca a vento nera
appena scesa dall´autobus. «Chiudono la fabbrica? Ma fammi il piacere. Qui facciamo le macchine
da cento anni. Qui non chiudono un cazzo». Segue capannello e discussione animata. Dura tutto pochi minuti. Poi il gruppo si sposta verso i tornelli per timbrare il cartellino magnetico.
Nel gruppo dei sindacalisti della Cisl Claudio Chiarle ascolta lo speaker della Fiom e scuote la testa:
«Che cosa credono di dire? Pensano che noi non sappiamo che questo accordo ha dei limiti? Lo so
bene anche io. Ma dire no significa rinunciare all´investimento». Soldi e lavoro in cambio di diritti:
questo lo sostiene chi è contrario... Il sindacalista non nega: «Sai che cosa ti dico? Che è meglio dire
sì, far partire l´investimento e poi provare a cambiare tutti insieme le parti dell´accordo che non ci
piacciono». Fingere di dire sì? «E´ la legge del pendolo. Quando il mercato tira puoi provare a chiedere qualcosa in più all´azienda. Ma quando c´è la crisi sono loro che hanno il coltello dalla parte del
manico».
I più convinti sostenitori dell´accordo sono i delegati riuniti davanti al cancello carraio, gli operai del
Fismic, il vecchio sindacato aziendale uscito a pezzi dagli anni ‘
70 e oggi tornato sulla cresta
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dell´onda, l´interprete più adatto del modello americano di Marchionne: «Ma quale legge del pendolo.
Qui c´è da prendere un buon accordo che porta soldi e lavoro. Non c´è nessun ricatto. Sono le condizioni del mercato mondiale a pretendere le nuove regole». Sullo sfondo l´altoparlante rimanda spezzoni di un improvvisato comizio di Paolo Ferrero: «Quello della Fiat - dice il leader di Rifondazione - è
un ricatto mafioso per imporre a tutti voi le regole della ristrutturazione mondiale». Non sono questi i
discorsi che teme il Fismic: «Quel che mi preoccupa - confida Roberto Di Maulo sotto il cappuccio
della giacca a vento - è la scarsa convinzione di chi dice di votare sì. Dobbiamo finirla con questa storia che se vince il no Mirafiori chiude. Questo non è un buon argomento. Qui gli operai sono orgogliosi. E se si arrabbiassero davvero? Non è una buona strategia far pensare che voti sì perché hai le
mani legate. Certo che prevedo una vittoria del sì. Ma di misura».
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ddii LLUUIISSAA GGRRIIOONN
Il dossier
I consumi tornano ai livelli del 1999
La crisi continua: giù spese alimentari e viaggi. Ripresa solo nel 2012
Indagine di Confcommercio. Sangalli: “Tagliare la pressione fiscale per ripartire”
ROMA - Una caduta verticale che ci ha portato indietro di oltre dieci anni, fino al «lontano» 1999.
Questa è stato l´effetto crisi sui consumi degli italiani: fra il 2008 e il 2009 sono caduti del 2,1 per cento in media l´anno. Un vero e proprio tonfo davanti al quale le famiglie non si sono comunque perse
d´animo. Hanno elaborato una strategia alternativa, hanno scelto, hanno tolto da una parte per aggiungere dall´altra, hanno riscoperto l´importanza del rapporto qualità-prezzo. E a volte hanno anche
dato fondo ai risparmi.
Confcommercio ha elaborato un rapporto ad hoc per esaminare il passato e prevedere il futuro, ed è
arrivata alla conclusione che per girare pagina e uscire «dal pauroso salto all´indietro» legato alla crisi
bisognerà aspettare il 2012. Nonostante la recessione sia superata - almeno secondo le leggi della
teoria economica - il 2010 si chiuderà con un modesto più 0,4 per cento; il 2011 sarà l´anno della
«guarigione» con un più 0,9, ma «la vera ripresa» arriverà solo all´inizio del prossimo anno con un
«rimbalzo» all´1,6 per cento. Previsioni che, per altro, secondo le associazioni dei consumatori, sono
del tutto «ottimistiche».
Per spendere, quindi, c´è ancora tempo, eppure - dicono i commercianti - ci sarebbe alcune cose da
fare subito. Confcommercio chiede che la lunga attesa sia accorciata grazie ad un taglio delle tasse e
attuando quella che il presidente Sangalli definisce una «progressiva e compatibile riduzione della
pressione fiscale che ridia fiato ai consumi delle famiglie e agli investimenti delle imprese».
In attesa che ciò avvenga non resta che «adeguare le abitudini di spesa». Attività che - secondo il
rapporto - gli italiani hanno fino qui dimostrato di saper fare con perizia. Due anni di profonda crisi
hanno infatti ridisegnato i bilanci delle famiglie che hanno tagliato il tagliabile concentrando le disponibilità su alcune, specifiche voci. Sono calate le risorse destinate alle vacanze (meno 3,2 per cento)
e quelle per l´alimentazione (anche qui un secco meno 3,2 per cento). C´è stata una riduzione netta
delle spese per l´abbigliamento, mobilità e comunicazioni (tutte al meno 3,1), esclusa la telefonia, che
si è modulata sul più 0,4 per cento. Al contrario le famiglie hanno aumentato le risorse destinate alla
salute (più 2,5 per cento), agli elettrodomestici e alla tecnologia (più 2,4 per cento).
Assestamenti che diventano cambiamenti profondi prendendo in esame un periodo più lungo: fra il
1992 e il 2012 - elabora Confcommercio - la spesa per beni e servizi di telecomunicazioni (dai cellulari a Internet) è aumentata di cinque volte. Al contrario, per quanto riguarda l´alimentazione, la riduzione generale della spesa è andata di pari passo con un capovolgimento del rapporto fra pasti dentro e
fuori casa. Nel 2012 per ogni euro speso per l´alimentazione domestica si spenderanno altri 50 centesimi per mangiare fuori.
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ddii EELLEENNAA PPOOLLIIDDOORRII
Il sociologo fondatore del Censis analizza i dati della Confcommercio sui consumi
De Rita: “Compriamo di meno
perché ormai abbiamo tutto”
Un economista direbbe che bisogna aumentare i salari Ma io sono convinto che non cambierebbe nulla perché non c´è l´offerta
ROMA - «E´ chiaro che la gente non consuma. Ci sono meno soldi e meno bisogni. Ma soprattutto:
c´è meno offerta. Cosa mai ci dovrebbe attirare? Cosa ci dovrebbe spingere a spendere?», si chiede
il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, analizzando i nuovi dati sul crollo dei consumi.
Cosa?
«Nulla, appunto. Se è vero che la cultura capitalistica, come diceva Marcuse, si basa proprio
sull´offerta, ebbene: oggi questa offerta non c´è. E noi non abbiamo più stimoli, più impulsi».
I consumi sono scesi al livello del 1999. La gente, visto anche il lavoro che non c´è, taglia sulla
spese.
«Logico. Ma io mi chiedo: spendere per cosa? Quasi il 90% di noi è proprietario della prima casa, la
metà di questo 90% ne ha anche una seconda per le vacanze. Inoltre gli armadi straripano. E tutti
hanno i telefonini in tasca. Ecco: i telefonini sono stati un boom, ma perché erano una novità».
Qui però calano anche i consumi alimentari: si taglia sui pasti, non solo su vestiti e vacanze
«Mah. Almeno a Roma ci sono piazze e stradine dove debordano tavoli di ristoranti sempre pieni».
I dati parlano di un calo delle spese per il cibo, consumato a casa o fuori. Gli italiani sembrano
tirare la cinghia.
«Mettiamola così: siamo tutti alle prese con una sorta di autoconsumo».
Che significa?
«Che ciascuno si fa un proprio orticello di consumi».
Faccia un esempio concreto
«Se il mio giardiniere mi porta l´insalata di sua produzione, o le mele o le patate, questo business non
risulta nella contabilità ufficiale. Né c´è traccia se io mi accordo col contadino per comprare la metà
del suo maiale».
Morale?
«La penuria di quattrini ci costringe all´oculatezza nelle spese. Quando c´è la crisi, ognuno di noi diventa più attento a come si muove e i soldi che ci sono vanno anzitutto per pagare il mutuo. Non dimentichiamo che fino al 2006-2007, cioè fino a prima della crisi, gli italiani compravano case a non finire. Oggi le stiamo pagando. E meno male: altrove la gente la casa se l´è dovuta vendere. Perciò:
prima viene il mutuo e dunque la casa, poi tutto il resto».
Come se ne esce?
«Un economista direbbe che bisogna aumentare i salari. Ma io sono convinto che se anche questo
avvenisse, non cambierebbe nulla perché non c´è l´offerta. Manca il nuovo. Dov´è il nuovo? Cosa
fanno gli imprenditori?».
E´ colpa loro se la gente non spende?
«In un certo senso sì perché preferiscono spostarsi su mercati emergenti, che hanno bisogno di tutto,
anziché sforzarsi di migliorare l´offerta».
Ma senza consumi che ne è della ripresa?
«I consumi aiutano l´economia se esplodono. In Cina c´è una esplosione dei consumi. Come da noi
c´è stata negli anni Sessanta. Mio padre fece carte false per comprarsi la prima Tv o anche la prima
Seicento: il suo era un bisogno compulsivo. Oggi abbiamo forse una macchina nuova che stimola i
nostri impulsi?».
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ddii VVIITTTTOORRIIAA PPUULLEEDDDDAA
Trichet: ripresa più forte del previsto
Ma le Borse cedono per paura del debito portoghese e dell´inflazione
Male l’
euro: è sceso sotto quota 1,29 contro il dollaro, ai minimi da settembre
MILANO - Il presidente della Bce vede rosa, parla di una ripresa economica globale «confermata», anzi ad un tasso più elevato del previsto anche in Europa («almeno per ora»), e di
una velocità di espansione «impressionante» delle economie emergenti (risultati peraltro
confermato ieri dal superindice Ocse di novembre 2010, con una crescita di 0,3 punti rispetto
a ottobre e l´Europa che avanza dello 0,1). Ma il messaggio di ottimismo di Jean Claude Trichet ieri è stato ascoltato con orecchie distratte dai mercati, che si sono maggiormente concentrati sui venti di crisi che tuttora spirano forte sui paesi più deboli dell´area euro. Non a
caso per tutto il fine settimana si erano rincorse le voci su un pressing di Francia e Germania
presso il Portogallo, affinché accetti gli aiuti internazionali per superare la crisi e prevenga
così un contagio ad altri paesi di Eurolandia come Spagna e Belgio.
Ipotesi in realtà smentite da Berlino e da Lisbona, che ha affermato che non intende ricorrere
ad aiuti. La stessa Commissione europea, dal canto suo, ha aggiunto che «non c´è alcuna
discussione su un intervento di aiuto Ue al Portogallo e neppure si è in attesa di una discussione del genere».
Ma i messaggi in questa direzione hanno avuto scarsa presa sui mercati, che continuano a
credere che Lisbona abbia bisogno di aiuti per 60-70 miliardi di euro e guardano con apprensione alle aste di titoli pubblici di questa settimana. Ieri le Borse hanno segnato netti ribassi,
dal meno 2,36% del Ftse Mib a Piazza Affari, al meno 1,31% di Francoforte, all´1,64% di Parigi (mentre Londra se l´è cavata con una riduzione dello 0,47%). Male è andata anche per
l´euro, ai minimi da settembre sul dollaro (ad un certo punto è sceso anche sotto quota 1,29
per poi risalire) mentre i "cds" che misurano la febbre del rischio default sul debito, per il Portogallo sono volati a 549 punti, segnando un nuovo record assieme all´Irlanda (682 punti). In
rialzo anche i cds sul Belgio, a 255 punti (+7 punti) e sull´Italia, a 255 (+ 2 punti). Sempre in
tensione il differenziale di rendimento, lo spread, dei titoli di Stato rispetto al Bund tedesco:
ieri a fine giornata i titoli portoghesi erano in area 422 punti sopra il Bund e lo spread è tornato ad ampliarsi anche per la Spagna, a 267 punti (l´Italia è a quota 200).
I mercati sono stati innervositi probabilmente anche da un altro aspetto, stavolta contenuto
nelle parole di Trichet: il timore dell´inflazione. Con la ripresa, infatti, nei paesi emergenti si
sta riaffacciando lo spettro dell´inflazione causata specialmente dal fenomeno della fiammata
dei prezzi del cibo. Il fenomeno ha una sua natura strutturale, spiega Trichet, dovuta dal
cambio delle abitudini delle famiglie nei paesi emergenti, ma bisogna prestare «molto molta
attenzione» senza «compiacersi» visto l´impatto sull´indice dell´inflazione che potrebbe anche crescere in futuro. Inoltre nei paesi emergenti, rileva il presidente della Bce, non si arresta il flusso di capitali a breve termine, attratti dagli alti tassi di crescita, e che provocano
squilibri nella valute locali tanto da aver costretto i governi a intervenire più volte e indotto la
Francia, presidente di turno del G20, a inserire il tema nell´agenda dell´organismo.
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Il rapporto Afo per l’Associazione bancaria: quest’anno aumenteranno i depositi
“Il sistema creditizio è solido
nel 2011 gli utili in risalita”
Il credito alle famiglie dovrebbe crescere del 6-7% nel prossimo biennio
ROMA - Le banche italiane reggono l´urto della crisi. La solidità degli istituti emerge dal rapporto di
previsione "Afo-financial outlook 2010-2012" diffuso dall´Abi che per gli utili netti degli istituti italiani,
prevede «una lieve ripresa pari a 5,5 miliardi di euro nel biennio 2011-2012». Nel complesso, la «debolezza del quadro economico-finanziario, la ripresa modesta e minata dalle difficoltà e dalle incertezze dei mercati provocate dai crescenti problemi di sostenibilità del debito pubblico» non minano le
fondamenta delle banche italiane che secondo il rapporto «si confermano solide e a supporto di famiglie e imprese». A fronte di un quadro complessivamente difficile, il settore bancario ha lavorato «a
fianco di famiglie e imprese assicurando un adeguato flusso di credito a supporto dell´economia che,
dopo i rallentamenti dei mesi scorsi, sta ora assumendo un trend crescente». A ottobre, infatti, secondo gli ultimi dati disponibili, «il credito al settore privato non finanziario cresceva ad un tasso annuo del 4,6%, mentre il credito a famiglie e imprese cresceva ad un tasso annuo del 3,4% in forte accelerazione rispetto all´anno precedente».
Per quanto riguarda gli impieghi al settore non finanziario le previsioni accreditano una crescita nel
2010 pari al 2,2%, simile a quella del 2009, per poi salire a poco meno del 5% nel biennio 2011-2012.
In particolare, presenta variazioni positive e in accelerazione il flusso di prestiti alle imprese: da una
riduzione annua del 2,3% nel 2009 a tassi di espansione del 4,9% nel 2012. Anche il credito alle famiglie, dopo il lieve rallentamento atteso per il 2010 dovrebbe crescere invece tra il 6-7% nel prossimo biennio, mostrando una tendenza al consolidamento. Infine i depositi, che per il 2010, dovrebbero
registrare livelli di incremento poco superiori al 4%. In particolare le obbligazioni, soprattutto nei successivi due anni, dovrebbero tornare a crescere a ritmi medi del 6,5%.
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ddii BBAARRBBAARRAA AARRDDÙÙ
Il dossier
Bond e polizze fatte in casa
ecco i consigli interessati delle banche
ai propri clienti
Denuncia di Altroconsumo. L’Abi la contesta
“Il 70% delle agenzie propone investimenti non adatti ai profili degli investitori”
ROMA - Si chiama Mifid e si traduce mai più risparmiatori traditi dalle banche. È la legge che da tre
anni dovrebbe tutelare chi vuole investire. Funziona? Secondo un´indagine di Altroconsumo è ben
poco applicata, se non disattesa del tutto dagli istituti di credito. Eppure da anni, dagli scandali dei
Tango-bond, Cirio, Parmalat, non si fa che parlare di difesa del risparmio, educazione finanziaria,
clienti da servire e non polli da spennare. Molte chiacchiere e poca sostanza, secondo Altroconsumo,
che fotografa una realtà ben diversa: chi sta seduto dietro ai tavoli dei borsini per aiutare il risparmiatore a scegliere lo fa o in modo approssimativo o, peggio ancora, tenendo presente non le esigenze di
chi investe, ma quelle della banca per cui lavora. Tant´è che il consiglio più gettonato è diventato
l´acquisto di obbligazioni della stessa azienda di credito. Altro che suggerimenti equilibrati, come vorrebbe la Mifid, che prevede sia fatta una radiografia al cliente misurandone propensione al rischio,
necessità, patrimonio.
I consulenti delle 80 filiali delle maggiori banche italiane a Roma, Milano e Torino visitate da Altroconsumo tutto hanno fatto tranne che un check-up. Tant´è che nella maggior parte dei casi ai clienti sono
stati proposti investimenti non adatti. È il caso di Sofia, 10 mila euro di patrimonio e disposta a correre
un rischio medio. Sei consulenti le hanno consigliato obbligazioni legate a una polizza index linked o
pronti contro termine. Altre non le hanno proprio dato retta. Ma è ad Alessio, cliente ambizioso, deciso
a rischiare, che vengono offerte le obbligazioni della "casa". L´alternativa? Polizze vita. Di azioni
nemmeno l´ombra. Con il listino infatti le banche «non ci guadagnano nulla», conclude Altroconsumo.
Né viene accontentata Anna, che desidera sicurezza e un investimento a breve per i suoi 20mila euro. Conti di deposito, Bot? Nemmeno a pensarci: obbligazioni o polizze vita. Destino cui non è sfuggito nemmeno Mario (medio rischio), disposto a tenere fermi i soldi per cinque anni.
L´indagine però non convince l´Abi, l´associazione bancaria, che ha scritto ad Altroconsumo chiedendo un incontro per capire quale metodologia sia stata usata. I banchieri contestano anche l´esiguità
del campione: 80 filiali sono ben poca cosa rispetto alle migliaia di sportelli. Nessuna parola invece
sulla Mifid, che ne esce come un oggetto sconosciuto. Eppure sono proprio i signori dei borsini che
devono prima fare il ceck-up al risparmiatore e poi suggerire investimenti in modo comprensibile, corretto e non fuorviante. Cosa che non accade con tanta frequenza. Nel 68 per cento dei casi i consigli
sono stati dati alla cieca e solo una filiale dell´Unicredit a Milano ha fatto compilare il questionario
previsto dalla Mifid.
Abbondano invece i depliant pubblicitari. Inutili o fuorvianti in un Paese dove la conoscenza finanziaria è bassa. In una scala da 0 a 10 l´Italia si colloca a 4,3, secondo uno studio del Consorzio Patti e
dello Studio Ambrosetti di Milano. Circa un italiano su due non possiede le conoscenze basi relative
alla rischiosità dei principali e più diffusi prodotti, azioni e titoli di Stato. La Consob promette nuove ispezioni entro giugno, ma nell´attesa i bond "della casa", collocati in conflitto di interesse, sembrano
andare per la maggiore.
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ddii EETTTTOORREE LLIIVVIINNII
Wall Street dice addio
alle conigliette di Playboy
Hugh Hefner alza la sua offerta e si ricompra il gruppo per toglierlo dal listino
Battuta sul filo di lana l’
offerta del rivale Penthouse Ora partirà il tentativo di rilancio
MILANO - Wall Street dà l´addio alle conigliette di Playboy. Hugh Hefner, il fondatore dello storico
mensile a stelle e strisce, ha lanciato un´Opa da 207 milioni di dollari sulla testata di cui già controlla il
60%. Il rilancio chiude un´asta all´ultimo dollaro con i rivali di Penthouse e prelude all´uscita dal listino. La cordata dell´84enne tycoon del porno-soft americano ha offerto 6,15 dollari per azione, un
prezzo superiore del 18% alla chiusura di venerdì scorso. Un valore lontanissimo dai 32 dollari toccati
dai titoli negli anni d´oro di fine millennio, ma pur sempre una mezza fortuna per i soci che solo due
anni fa l´avevano visto precipitare a poco più di 2 dollari.
«Questo accordo ci garantirà i mezzi e la flessibilità per rilanciare il magazine, facendolo crescere in
tutto il mondo», ha festeggiato ieri un euforico Hefner, galvanizzato pure dal recente fidanzamento
con la 24 enne Playmate Crystal Harris cui ha fatto trovare sotto l´albero di Natale un anello di diamanti da 90mila dollari (lei –si dice –avrebbe contraccambiato con una foto incorniciata del loro cucciolo di King Charles Spaniel).
Rilanciare Playboy, però, rischia per Hefner di essere un´impresa più complessa della conquista
dell´ennesima ragazza-copertina. Il mensile che ha rivoluzionato i costumi americani –sbarcato con
clamore in edicola nel 1953 grazie a un servizio senza veli di Marilyn Monroe –non naviga da tempo
in buone acque. La diffusione, con l´avvento della pornografia d´assalto del web, è in caduta libera; la
pubblicità non arriva. E i conti hanno pagato un pedaggio salatissimo alla crisi: i ricavi sono crollati dai
339 milioni del 2007 ai 240 milioni di dollari del 2009, gli utili (4,9 milioni nel 2007) si sono trasformati
in un buco da 51 milioni nel 2009, cui si sommano gli altri 33 accumulati nei primi nove mesi del 2010.
Nel 1972, un anno dopo lo sbarco a Wall Street, la creatura di Hefner vendeva 7,2 milioni di copie. Lo
scorso anno, invece, l´arzillo editore è stato costretto a ridurre da 2,6 a 1,5 milioni di copie il minimo di
vendite garantito agli inserzionisti.
I numeri, però, raccontano solo una parte della storia. Il brand di Playboy e il suo pittoresco indotto di
conigliette (in fondo le progenitrici delle nostre escort) hanno un posto di rilievo nell´immaginario collettivo di tre generazioni. Non a caso appena in Borsa ha iniziato a circolare la voce di una possibile
vendita, FriendFinder Network –titolare del marchio Penthouse –si è fatta subito avanti mettendo sul
piatto un´offerta da 6,25 dollari ad azione. Ora Playboy volterà pagina. Al timone resterà l´ad Scott
Flanders, nominato un anno fa per risanare i conti del gruppo. E la strategia è chiara: affiancare al
tradizionale business editoriale un´incisiva azione di licensing, specie in Asia, del marchio del coniglio. Una miniera d´oro in grado –si augura Hefner –di riportare in carreggiata i conti della testata.
Lui –visti i costi necessari per far felice la nuova fidanzata e il loro dolcissimo (ma esigente) cagnolino –è il primo ad augurarselo.
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La Fiba-Cisl
Vi augura
una giornata serena!!
Arrivederci a domani12
per una nuova
rassegna stampa!
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