qualunque persona per procacciarsi meriti o eludere pene di un proprio delitto » (p. 200); che « non è escluso che talora si potesse esagerare nell'esercizio delle immunità, e di fatto abusi ne esistevano, ma la legge in vigore era quella » (p. 205). La storia non acconsente vie di mezzo, né perplessità. Non ci sono dubbi sull'ortodossia del cattolicesimo dello Stilese, malgrado gli innegabili influssi telesiani della prima formazione, ma, d'altra parte, non ci possono essere neanche dubbi sull'atteggiamento totalmente difforme dallo spirito del messaggio cristiano delle alte gerarchie della Chiesa, le cui pesanti responsabilità non si possono scaricare su frati « furbi », o su altri scellerati, che denunciavano una persona rettissima come eretica per « procacciarsi meriti », né con le « esigenze storiche ». Nel primo caso, bisognerebbe affermare, e dimostrare, che quei processi erano delle farse (ammesso che si possano, in qualunque tempo, concedere a chi professa fede di cristiano le condanne al rogo per chi cristiano non vuole essere!). Né è opportuno, a parer nostro, giustificare l'incredibile persecuzione all'integgerrimo pensatore, perché « era l'eterno imprudente » (p. 233), «troppo franco e troppo irruento » (p. 234), quasi avessimo preferito un Campanella volgarmente ipocrita, o accomodante, o conformista, e non quel monumento granitico d'intransigenza morale quale egli fu, e che rimane, forse, la più grande lezione che egli lasciò agli uomini di tutte le fedi, amanti del « ben, vero e bello », di quelle qualità, cioè, che sole ci fanno uomini. L'intervento di Luigi Firpo sugli Opuscoli del Campanella, per la particolare competenza dello studioso che, da oltre trent'anni, tiene il campo degli studi campanelliani, è tra i più autorevoli del volume e particolarmente prezioso per gli studiosi dello Stilese. Il Firpo ci informa che « ammontano a diciannove, a tutt'oggi, gli opuscoli campanelliani ricuperati dalla dispersione e dall'abbandono, cioè la metà esatta di quelli elencati nel conclusivo indice del 1638 » (p. 3 1 1 ) ; che, nel 1 9 6 1 , « in una circostanza fortuita », egli ha acquistato sul mercato antiquario francese un codice miscellaneo comprendente « sette scritture politiche del Campanella, tutte quante affatto sconosciute e inedite» (p. 313), risalenti al 1636. Questi scritti sono straordinariamente importanti soprattutto per definire meglio l'indole dello Stilese. « Ciò che manca a queste legazioni — afferma il Firpo — è quello che il ruvido frate calabrese, col suo linguaggio corposo e popolaresco, mai avrebbe potuto infondervi; non tanto l'aulica compostezza dell'orazione costrutta alla latina, quanto il senso del limite fra verità che urge e necessaria finzione, fra ciò che è necessario dire e ciò che è opportuno tacere, fra sapienza politica e arte diplomatica (...). Questo tentativo di sostituire alle finzioni dell'arte la violenza della verità aiuta a capire meglio quest'uomo, a decifrare uno degli aspetti del suo perenne fallimento pratico e della sua grandez-