Tommaso Campanella Giovan Domenico Campanella nacque il 5 settembre del 1568 a Stilo, in Calabria, da modesta famiglia contadina. Nel 1583, appena quindicenne, entrò a far parte dell’Ordine domenicano, assumendo il nome di Tommaso. Dopo essere stato in vari conventi calabresi, dove compì gli studi assicurandosi una salda preparazione filosofica, nel 1589, senza il permesso dei superiori, si trasferì a Napoli. Qui acquisì immediatamente un’ampia fama, grazie alla sua vasta cultura, e pubblicò la sua prima opera, La filosofia dimostrata con i sensi (Philosophia sensibus demonstrata). Alcuni atteggiamenti di Campanella e soprattutto l’avvicinamento a posizioni non molto ortodosse (lo scrittore tra l’altro mostrò interesse per la teoria copernicana) gli guadagnarono la diffidenza dei superiori. Nel 1592, sotto l’accusa di possedere un demone familiare, il frate domenicano fu sottoposto a processo, al termine del quale gli fu imposto di ritornare in Calabria. Campanella, però, non obbedì e iniziò a vagabondare per l’Italia: fu a Roma, a Firenze e poi a Padova, dove conobbe Galilei e maturò un sempre maggiore interesse per le questioni politiche. Ma, ben presto, fu arrestato; rilasciato poco dopo, fu nuovamente arrestato dall’Inquisizione nel 1594, con l’accusa di essere autore di opere blasfeme. Condotto a Roma, fu duramente torturato e costretto ad abiurare. Dopo un periodo di prigionia nelle carceri del Sant’Uffizio (dove, in quel periodo, era rinchiuso anche Giordano Bruno), fu rimandato in Calabria nel piccolo Convento di Santa Maria del Gesù di Stilo. L’insofferenza, da tempo provata da Campanella, per le ingiustizie e le ipocrisie dilaganti nella società contemporanea, crebbe quando egli constatò la miseria e l’oppressione in cui versava la Calabria, giungendo nel 1599 a organizzare un’insurrezione che mirava ad abbattere il potere spagnolo ed ecclesiastico e a creare un governo di tipo comunistico. Ma la congiura, che pur aveva potuto contare sull’appoggio non solo di molti contadini ma anche di gruppi di nobili e uomini di Chiesa, fu scoperta e Campanella venne arrestato il 6 settembre dello stesso anno. Mentre gli spagnoli scatenavano una feroce repressione contro i ribelli, il frate domenicano fu condotto a Napoli, dove fu processato sia per eresia che per tentativi sovversivi e condannato alla carcerazione perpetua, dopo che egli, per scampare alla pena capitale, si era finto pazzo e con grande coraggio aveva sopportato ogni sorta di tortura. Nelle carceri napoletane, dove sarebbe rimasto per ben ventisette anni, Campanella subì inizialmente trattamenti molto duri (per quattro anni, tra il 1604 e il 1608, fu recluso nella “fossa” di Castel Sant’Elmo), ma poi gli fu concesso di ricevere visite e di tenere corrispondenze epistolari con alcuni intellettuali del tempo. Durante i lunghi e drammatici anni di prigionia, il filosofo scrisse instancabilmente numerosi testi, tra cui le Poesie, Città del Sole, la sua opera più nota, e l’Apologia di Galilei (Apologia pro Galilaeo), in cui, in occasione del processo a cui fu sottoposto Galilei 1 nel 1616, si pronunciava a favore dello scienziato toscano (anche se esprimeva delle riserve sulla validità del sistema eliocentrico). Campanella, intanto, mostrava di adeguarsi a posizioni ortodosse, pur continuando a farsi promotore di una riforma in seno alla cristianità; di conseguenza controversi e instabili furono i rapporti con la Chiesa, che a volte assunse atteggiamenti concilianti altre volte molto duri, giungendo a sequestrare al filosofo tutti i suoi manoscritti. Nel 1626 Campanella fu liberato dalle autorità spagnole e consegnato all’Inquisizione romana. Costretto al domicilio forzato nel Palazzo del Sant’Uffizio, riuscì ad accattivarsi le simpatie del pontefice Urbano VIII e a stabilire con lui un rapporto di amicizia; nel 1629 ottenne finalmente la libertà e la cancellazione del suo nome dall’Indice. Un nuovo rischio per Campanella si delineò quando, nel 1633, a Napoli fu sventata una congiura ordita da un suo discepolo: di fronte al pericolo di essere nuovamente arrestato dagli spagnoli, lo scrittore abbandonò l’Italia e si rifugiò a Parigi. Grazie alla benevola accoglienza del cardinale Richelieu e del re Luigi XIII e a una pensione assegnatagli dal sovrano, il frate domenicano trascorse serenamente gli ultimi anni della sua vita, dedicandosi alla riorganizzazione e alla stampa dei suoi numerosissimi scritti. Morì il 21 maggio del 1639. 2