Campanella La vita, il pensiero filosofico e le opere di Campanella Copyright ABCtribe.com 1. Biografia 1.2 Campanella e l’Inquisizione Spagnola 2. Il pensiero filosofico dell’autore 2.1 Il Naturalismo di Campanella 2.2 L'autocoscienza 2.3 Il pampsichismo e la magia Copyright ABCtribe.com 3. Opere 3.1 La città del Sole 3.2 Conclusioni sul pensiero di Campanella 3.3 "Del senso delle cose e della magia" 3.4 Il naturalismo rinascimentale: un confronto fra Campanella, Telesio, Giordano Bruno 4. Approfondimenti 4.1 Ancora sulla città del sole 4.2 Altri aspetti della filosofia Campanelliana 4.3 Campanella e il pensiero politico moderno 4.4 Moro e Campanella: utopie a confronto 4.5 Campanella e Galileo 5. Aforismi dell’autore 1. Biografia Giovanni Domenico Campanella nacque a Stilo (Reggio Calabria) nel 1568 da una famiglia povera di origine contadina. Il padre era un umile calzolaio, ma dato che s'era accorto dell'intelligenza precoce del figlio lo fece inserire nell’ordine dei domenicani all'età di 13 anni, e qui il giovane acquisirà il nome di Tommaso.I primi studi, da novizio, li compì nel monastero di Placanica, in seguito in quello di San Giorgio Morgeto; gli studi di livello superiore vengono compiuti invece a Nicastro dal 1585 al 1587 e successivamente, all’età di vent’anni, a Cosenza, dove fece fronte allo studio della teologia. In questo periodo mostrò attenzione e lesse anche libri che la chiesa aveva inserito all'Indice, come per esempio l'Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, ma pure le opere di Marsilio Ficino (bendisposto verso le religioni pagane e orientali) e particolarmente di Bernardino Telesio, filosofo cosentino, il cui De rerum natura iuxta propria principia è stato per lui una scoperta, poiché aveva finalmente compreso che la natura poteva essere esaminata e studiata con i sensi e la riflessione e non con la teologia. Ha deciso di andare a trovare Telesio compiendo un viaggio a piedi di due mesi, ma quando giunse a Cosenza, nel 1588, fece solo in tempo a porre una poesia in latino sulla tomba di lui, a stento defunto.Sulle basi del pensiero di Telesio stende la sua prima opera, Del senso delle cose, chiaramente in chiave antiaristotelica e antiscolastica, che poi pubblicherà di nuovo nel 1604 col titolo Del senso delle cose e la magia. Il De sensu rerum et magia era stato redatto in latino nel 1590, ma in seguito venne derubato da alcuni frati a Bologna nel 1592 e verrà utilizzato nell’ udienza per eresia nei suoi confronti. Lui lo scriverà nuovamente a memoria in italiano nel 1604, e poi di nuovo ancora in latino, e lo divulgherà finalmente a Francoforte nel 1620 e pubblicherà di nuovo a Parigi nel 1637. Nel frattempo la passione per l'animismo universale di Telesio gli procura le prime insinuazioni di eresia e il primo esilio nel monastero di Altomonte, da dove tuttavia evade nel 1589, andando a Napoli, presso il circolo di intellettuali di Giambattista della Porta, dove analizza studi, già cominciati in Calabria, su diverse materie, come l’alchimia, l’ astrologia, la magia, la medicina e anche la cabala, e dove pubblica nel 1591, in otto Copyright ABCtribe.com volumi, uno scritto già cominciato nel monastero suddetto, la Philosophia sensibus demonstrata, rivolta verso un giurista e pensatore napoletano, Jacopo Antonio Marta, rivale di Telesio. In questa opera Campanella riafferma la sua approvazione al naturalismo di Telesio, collocato tuttavia in una cornice neoplatonica, di origine ficiniana, per la quale le leggi della natura non mantengono più la loro autodeterminazione, come in Telesio, ma sono chiarite dall'azione iniziatrice di dio, dal quale scaturisce anche l'ordine provvidenziale che governa l'universo: era la sua prima prova di sottrarsi alla censura dell'Inquisizione. 1.2 Campanella e l’Inquisizione Spagnola Gli sforzi di combinare fede e ragione diventeranno una costante della sua vita, ma per la chiesa non verranno mai considerati sufficienti per fargli evitare il carcere e le torture. Da subito difatti il tribunale domenicano dell'Inquisizione non può acconsentire che la Philosophia sensibus demonstrata si metta contro Aristotele e San Tommaso a favore di Telesio, per cui, dopo averlo fatto trattenere col pretesto di "pratiche demoniache", lo costringe, nel 1592, a otto mesi di detenzione, assicurandogli la libertà soltanto a condizione di rifiutare la filosofia telesiana e di ritornare in Calabria. Campanella promette ma poi giunge a Firenze, auspicando di conseguire dal Granduca Ferdinando I de' Medici una cattedra a Pisa o a Siena, il quale tuttavia gliela nega, limitandosi a un semplice sussidio, avendo procurato notizie negative sul suo conto da parte del cardinale Del Monte. Questo ha spinto il Campanella ad abbandonare Firenze per Bologna, dove il Sant'Uffizio, che lo teneva d'occhio, per mezzo di due finti frati, gli deruba i manoscritti che si porta con sé, per poterli analizzare in cerca di accertamenti a suo danno. Avendo paura del peggio, lascia Bologna nel 1592 per Padova, dove si inserisce come studente spagnolo, usando un falso nome, all'Università, per prendere parte ai corsi di medicina. Qui incontra per la prima volta Galileo Galilei, di cui rimane entusiasta. Lo stesso Galilei gli dà una lettera del Granduca di Toscana, che quasi certamente lo invitava a ripresentarsi a Firenze. Nei primi anni del 1593 egli è ospite, a Padova, del monastero di Sant'Agostino. Qui, tre giorni dopo il suo arrivo, il Padre generale del monastero venne notte tempo sodomizzato da alcuni frati, senza che egli possa riconoscerli, e in conseguenza di ciò, tra i vari ritenuti colpevole, anche il Campanella viene messo sotto inchiesta, da cui tuttavia ne uscirà innocente. Dal '93 al '94 redige diverse opere, fra cui il trattato Della monarchia dei cristiani (andato perso), in cui enuclea il tema di fondo della sua concezione politico-teocratica, l'unione di tutti i popoli sotto un'unica legge, unitamente civile e religiosa, a patto che si realizzi la riforma del clero. Proprio in quegli anni però viene di nuovo arrestato dalla Santa Inquisizione, che da tempo lo teneva sott’occhio. Questa volta, in modo più circostanziato, lo calunniano: 1. di aver redatto l'opuscolo De tribus impostoribus (Mosè, Gesù e Maometto), avviato contro le tre religioni monoteiste, libro a noi ignoto, che sarebbe stato elaborato ben prima della nascita di Campanella; 2. di propugnare le opinioni atee di Democrito, sulla base della sua opera De sensu rerum et magia, rubatogli a Bologna; ABCtribe.com 3. di essere avversario della dottrina e dell'istituzione della Chiesa; 4. di essere eretico perché panpsichista e ilozoista; 5. di aver argomentato su questioni di fede con un giudaizzante, forse avendo in comune le tesi, e di non averlo in ogni modo denunciato; 6. di aver redatto un sonetto contro Cristo, il cui scrittore sarebbe stato però, per Campanella, Pietro Aretino; 7. di avere un libro di geomanzia, che in effetti gli fu posto sotto sequestro al momento dell'arresto. >>> Viene torturato unitamente a due imputati probabili giudaizzanti, Ottavio Longo, originario di Barletta, e Giovanni Battista Clario, di Udine, medico dell'arciduca Carlo d'Asburgo, al fine di acquisire un’ammissione. Dal momento che gli amici cercano di farlo fuggire, il Sant'Uffizio chiede la sua estradizione a Roma nel 1594, propenso ad accusarlo di altre eresie rinvenute nel libro De sensu rerum. Qui viene imprigionato nello stesso carcere in cui vi erano Giordano Bruno (che verrà bruciato vivo nel 1600) e Francesco Pucci (decollato e bruciato sul rogo nel 1597). Per proteggersi dalle nuove calunnie di essere antagonista della Chiesa, Campanella scrive il De regimine ecclesiae (a favore del papato), cui fece seguito, nel 1595, per protestare contro l'accusa di intesa coi protestanti, il Dialogum contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi e, a difesa dell'ortodossia di Telesio e dei suoi fedeli, scrive la Defensio Telesianorum ad Sanctum Officium. Il supplizio cui fu sottoposto nell'aprile del 1595 contrassegnò la pratica conclusione dell’ udienza: il 16 maggio Campanella rinnegava nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, con una corda al collo e il capo chino, e veniva allontanato nel monastero domenicano di Santa Sabina, sul colle Aventino. Alla fine del 1596 viene liberato dal confino di Santa Sabina e affidato al convento di Santa Maria sopra Minerva; nel frattempo, a Napoli, un conterraneo di Campanella, condannato a morte per crimini comuni, Scipione Prestinace, prima di essere ucciso il 17 febbraio 1597, forse per rallentare l'esecuzione, accusava di eresia alcuni suoi conterranei e il Campanella in particolare, che così, il 5 marzo, venne di nuovo arrestato. Il processo terminò il 17 dicembre 1597 con una sentenza di assoluzione, ma Campanella viene diffidato dallo scrivere ed è esiliato in Calabria. Auspicando di liberarsi della sua difficoltosa situazione giudiziaria, Campanella stende subito il Discorso ai prìncipi d'Italia, in cui attribuisce la monarchia universale al re di Spagna, ma non sortisce nessuno effetto pratico. Scrive anche altre opere di minora rilevanza: l'Epilogo magno (Epilogismo), indirizzato a essere inserito nella successiva Philosophia realis, il Prodromus philosophiae instaurandae, divulgato nel 1617, l'Arte metrica, destinata al compagno di sventura Giovan Battista Clario, la Poetica, rivolta al cardinale Cinzio Aldobrandini, e i perduti Consultazione della repubblica Veneta, Syntagma de rei equestris praestantia, De modo sciendi e Physiologia. Nei primi anni del 1598 Campanella prese la via di Napoli, dove si fermò molti mesi, dando lezioni di geografia, lavorando per le perdute Cosmographia e Encyclopaedia facilis, e completando l'Epilogo Magno. In luglio s'avventurò per la Calabria: fatto scendere a Sant'Eufemia, raggiunse Nicastro e da qui, il 15 agosto, Stilo, ospite del monastero domenicano di Santa Maria di Gesù, dove redasse il piccolo trattato De Copyright ABCtribe.com predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, nel quale dichiara la dottrina cattolica del libero giudizio. In una prima stesura dei suoi Articuli prophetales parla dell’aspettativa del nuovo secolo (il XVII) che gli pare rivelato da fenomeni straordinari: allagamenti del Po e del Tevere, inondazioni e terremoti in Calabria, il passaggio di una cometa, profezie e concomitanze astrologiche. Unisce queste cose all’ aspirazione di liberare la Calabria dalle prepotenze dei nobili, dalla corruzione del clero, dalle violenze degli invasori spagnoli. E così si pone a capo di una ribellione popolare contro i clerico-spagnoli, conseguendo l'appoggio di una trentina di monaci, vari banditi (tra il 1559 e il 1563 il bandito valdese Marco Berardi di Mangone era riuscito in Calabria a costituire un piccolo esercito), alcuni piccoli aristocratici, perfino alcuni vescovi, nonché di un'armata turca di 36 navi: i calabresi in tutto giungevano a circa 150 persone. L’ obiettivo era quello di fare della Calabria "una repubblica dei poveri", comunistica e teocratica. >>> Il disegno viene smascherato a causa della denuncia di due cospiratori (Fabio de Lauro e Giambattista Biblia) nel 1599: lo stesso Campanella viene ingannato e arrestato. Imprigionato a Castelvetere, sottoscrisse una confessione nella quale ha fatto i nomi dei principali cospiratori, non ammettendo ogni sua compartecipazione all'impresa. Ma le testimonianze dei suoi favoreggiatori erano unanimi nell'indicarlo come capo della congiura.Rifugiatosi a Napoli unitamente ai suoi compagni rivoluzionari, Campanella fu imprigionato in Castel Nuovo. Il 23 novembre 1599 ebbe luogo l’ identificazione formale dell'accusato. Il Santo Uffizio non acquisì dall'autorità spagnola che i religiosi attribuiti - Campanella e altri sette monaci domenicani - fossero spostati a Roma, di modo che papa Clemente VIII, l'11 gennaio 1600, nominò il nunzio a Napoli, Jacopo Aldobrandini e don Pedro de Vero, che è stato fatto ecclesiastico per l'occasione, magistrati nel processo che si sarebbe tenuto a Napoli. Il viceré conte di Lemos, nelle relazioni inviate al re spagnolo Filippo III, domandò di poter fare un processo per eresia e insurrezione, tuttavia per la prima accusa, essendo in causa dei monaci, necessitava l’autorizzazione della Santa Sede, che però non accorderà. Nel frattempo si procedeva a tormenti ed esecuzioni a carico dei laici rivoluzionari. La repressione a Catanzaro fu durissima e macabra, al fine di spaventare la cittadinanza: i responsabili vennero arrotati, tanagliati e ammazzati con la garrota, i loro corpi attaccati per un piede nella piazza e dopo 24 ore massacrati: le loro case sono buttate a terra e i beni espropriati. Il filosofo è stato imprigionato nel torrione del Maschio Angioino, in isolamento, e di tanto in tanto lo interravano nella fossa "del miglio", umida e buia, al fine di fargli confessare tutto. Ma lui continuava a contestare, dichiarandosi estraneo e accusando altre persone, che però individuavano proprio lui come responsabile della sommossa. Allora si è proceduto alla tortura e dopo alcune sedute egli iniziò a ad ammettere qualche sua responsabilità. Le autorità spagnole avevano l’ intento di sopprimerlo, ma si trovarono all'improvviso arrestate dal farlo a causa dei segni di manifesta pazzia di Campanella (secondo il diritto di quel tempo difatti i folli non potevano essere condannati a morte). Il 10 maggio 1600 i magistrati del Sant'Uffizio cominciano l'esame della causa di eresia contro di lui. Le accuse erano molto gravi: è ateo, non ammette la resurrezione di Cristo, i suoi miracoli, la purezza di Maria, Copyright ABCtribe.com il valore dei sacramenti, l'immortalità dell'anima e altro ancora. Campanella rimaneva muto, svagato, faceva finta di non capire. Fecero la prova a torturarlo in varie maniere per vedere se fingeva la pazzia, e alla fine nel 1603 i giudici, persuasi che fosse veramente pazzo, gli sostituirono la condanna a morte nel carcere a vita.Originariamente, dal 1604 al 1608, la pena venne scontata a Napoli, in Sant'Elmo, nella parte interna di una fossa oscura sotto il suolo, che si colmava d'acqua quando pioveva. Si auguravano che cessasse di vivere ma non avevano fatto i conti col suo fisico straordinario, pur ridotto allo stremo. A quel punto però decisero di conferirgli una reclusione più blanda, in Castel dell'Ovo e in Castel Nuovo, dove è rimasto fino al 1626. >>> Fu fra i pochissimi intellettuali a prendere le sue difese. Galilei, avendo paura di aggravare la sua già incerta situazione giuridica (abiurerà nel 1633), evitò di dargli una risposta. L'Apologia verrà pubblicata in Italia solamente nel 1846, nell’ambito delle Opere di Galilei. Quando il libro fu divulgato in Germania e l'editore pensò di inviare delle copie in Italia, a Roma se ne vietò istantaneamente la vendita e a Napoli Campanella fu nuovamente torturato, anche se tentò di proteggersi sostenendo ch'essa aveva incontrato i favori del cardinale Bonifacio Caetani. La prima versione integrale e critica dell'Apologia è stata quella di cui si prese cure Luigi Firpo nel 1968. La Città del Sole, modificata nel 1613, sarà divulgata a Francoforte nel 1623. Ha potuto fare questo perché nel 1613 aveva potuto accogliere in prigione la visita di Tobia Adami, un editore luterano tedesco che gli divulgherà alcune cose in Germania. È stato alla fine scarcerato nel 1626, grazie a una richiesta dei domenicani calabresi rivolta al re di Spagna e alla raccomandazione di Maffeo Barberini, arcivescovo di Nazareth a Barletta, poi papa col nome di Papa Urbano VIII, che di persona intervenne presso Filippo IV di Spagna. Dopo un mese però fu nuovamente arrestato e portato in catene a Roma, dove gli fecero sapere che su alcuni suoi scritti pendevano ben 80 condanne. E così fu trascinato a Roma e trattenuto per qualche tempo presso il Sant'Uffizio, in carcere, fino a quando venne liberato in modo definitivo il 27 luglio 1628 per interessamento di papa Urbano VIII, di cui è stato consigliere per cinque anni per le questioni che riguardavano l’astrologia. Il papa, andando contro il parere del generale dell'Inquisizione, lo ristabilì e lo fregiò anche del titolo di Magistero in teologia; addirittura gli offrì la possibilità di amministrare la politica missionaria della Santa Sede e di prendere parte - ironia della sorte - alla direzione del Sant'Uffizio. >>> Quando ne verrà liberato rammenterà spesso questo trattamento insensibile, anche allo scopo di dare prova che se era riuscito a restare in vita lo doveva a una particolare protezione divina.Passò 27 anni in prigione a Napoli, durante i quali scrisse, usando la complicità di amici e ovviamente di carcerieri venali, i suoi scritti più rilevanti, rinunciando agli atteggiamenti da folle: La Monarchia di Spagna (1600), augurando per essa un’ Copyright ABCtribe.com