Rassegna Stampa
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FONTE: http://www.criticaliberale.it/news/35937 fuoco greco
stefano pietrosanti
Con l’inasprirsi della crisi del debito è sempre più chiaro che, per singoli stati nazionali
europei, l’unica politica economica possibile è una politica restrittiva. Questa, necessaria a
piegare le aspettative di default dei mercati finanziari internazionali, è inevitabile per non
vedere esplodere l’interesse richiesto. Può avere successo, se il paese che la implementa è
drastico nell’attuazione delle misure, capace di “venderle” all’estero e – condizione basilare
– se ha abbastanza riserve da potersi “permettere” di indebolire considerevolmente (e per
qualche anno) la sua domanda interna. Se però si è già sull’orlo del baratro, come la Grecia,
e non si è stati abili nella gestione dell’immagine estera, anche questa via è preclusa. E
allora l’unica possibile è l’attendismo; peggio, è l’attendismo mascherato che vorrebbe
avere effetti con annunci seguiti da fatti scarsi e manganellate su folle sempre più infuriate.
In questo ambito, solo l’Europa come Stato potrebbe avere strumenti nuovi, non usurati, per
creare i presupposti di una ripresa e ridurre al contempo i costi sociali. Ma ciò, senza
legittimazione democratica e approfondimento dell’Unione è impossibile. Nelle strutture
chiave dell’Unione c’è un sonno velenoso, con un Parlamento che non fa nulla di efficace
per rivendicare ed espandere le sue prerogative; mai come oggi è necessario un
rivolgimento, una maggioranza politica nel Parlamento Europeo che faccia di tutto pur di
esprimere e sostenere una Commissione capace di rappresentare l’Europa come comunità
politica. Con quello che sta succedendo, sarebbe il momento di azioni coraggiose, di politici
europei che sentano l’urgenza frustrata che pervade l’aria e osino rivolgersi agli europei in
quanto europei, osino risvegliare una comunità politica e uno spazio per il futuro. Perché
quello che può fare l’Unione per ciò che è, non può avere oggi efficacia a breve in nessun
senso (economico e tanto più politico), mentre gli Stati nazionali sono al meglio in grado di
limitare il debito e fare la faccia rispettabile.
Dove non ci siano le riserve necessarie, questa rispettabilità internazionale dovrà essere
pagata con il totale scollamento dei cittadini dalle loro comunità politiche. Uno scollamento
attuato a forza di crolli di certezze, di polizia che picchia nel mucchio, di lacrimogeni
fuorilegge. Quanto tempo ci vorrà, di questo passo, prima di perdere alla democrazia delle
costituzioni la maggioranza dei cittadini? In Grecia, per la prima volta i violenti organizzati
sono stati applauditi da una folla esasperata. E per quanti, oggi, rivolte di piazza e sassaiole
saranno il “battesimo” politico? L’ostinarsi a rimanere chiusi nel vecchio ordine morto delle
Nazioni rischierà di divenire la scuola per nuove masse politicizzate, violente, non
democratiche, convinte che l’unico modo per prendere in mano il proprio destino sia
prendere in mano una spranga. Regaliamoci qualche altro anno di queste scene, e nessuno
sarà in grado di immaginare quali incubi potremmo ripescare dal nostro passato, quali
incubi nuovi partorire.
Rassegna Stampa
Nel 2007, poco prima dello scoppio della crisi, usciva in Francia un libretto anonimo,
“L’insurrezione che viene”. Basato sull’analisi in chiave rivoluzionaria delle rivolte dei
sobborghi poveri di Parigi, è un condensato di forzature che probabilmente ha messo sulla
strada della galera un certo numero di giovani estremisti in Europa, ma è stato profetico
rispetto al clima che ora si respira nel Continente. “L’incendio del novembre 2005 continua
a proiettare la sua ombra sulle coscienze. Quei primi fuochi di gioia sono il battesimo di un
decennio colmo di promesse .” Promesse che si stanno avverando, oggi. Ogni incapacità,
ogni mancato passo avanti, è stato, è e sarà l’atto di nascita di un nichilista dei tempi
moderni, un forsennato cultore di simili “fuochi di gioia”, un uomo convinto che “nessuno
può negare il peso evidente di un simile assalto senza rivendicazioni e senza messaggi che
non fossero di minaccia; un assalto che nulla aveva a che fare con la politica. Per non vedere
quanto vi sia di puramente politico in una negazione così risoluta della politica bisogna
essere ciechi…” .
Così, programmaticamente, il “partito della catastrofe” - come lo chiamava Keynes –
manca di un dunque dopo ogni analisi distruttiva e perciò è più pericoloso. Da questo
opuscolo esaltato, agli scritti ufficiali di tanti intellettuali radicali, ho sempre la netta,
preoccupante impressione che soluzioni nuove non siano state viste da nessuno di costoro.
Dietro le piazze sento un puro afflato di disperazione. Dietro le analisi feroci, nostalgia più
o meno cosciente per un ordine (quindi anche una gerarchia) “umanista”, per quanto di
retrivo, oppressivo, rassicurante c’è nella filosofia greca.
L’altro-ieri a Parigi, ieri a Londra, oggi in Italia e in Grecia, sempre più persone rinascono
alla politica con la convinzione che siano “…stati bruciati, da alcuni ragazzi allo sbaraglio, i
primi ninnoli di una società che, al pari dei monumenti parigini dopo la Settimana di
sangue, non merita rispetto alcuno. E lo sa.” Qui il punto. Qualcuno deve essere pur ancora
cosciente che, al netto di tutte le sue colpe, questa società, queste democrazie nate dalla
resistenza al fascismo, meritano rispetto. Che c’è un nucleo di bellezza, in questa società.
Che l’unico modo per salvarlo è proiettarla altrove, aprirle un nuovo spazio.
Persone dotate di coraggio, forze politiche dotate di coraggio, in tutto il Continente,
potrebbero frapporre alla rabbia cieca la speranza in ciò che l’Europa potrebbe essere, se
unita davvero. Davanti al nulla proposto, nei fatti, dal “partito della catastrofe”, un
orizzonte chiaro: Europa unita negli ambiti fondamentali, Europa democratica e politica, un
nuovo Stato, un nuovo spazio dove ridefinire diritti e doveri, uno spazio in grado di
garantire i suoi cittadini.
Prendersela con la finanza e l’economia cattiva è un urlo spesso non circostanziato e
sicuramente inutile. Dal crollo del Muro, viviamo una situazione di instabilità e la viviamo
perché la nostra classe dirigente politica si è tirata indietro costantemente di fronte ai
problemi dei nostri tempi. Una classe politica occidentale – ed Europea in primis decisamente meno brillante, colta, coraggiosa del necessario: voilà l’ennemi. Questa va
necessariamente sostituita, lì bisogna cambiare per permettere all’Occidente di progredire e
preservarsi.
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