Capitolo XXIII LA LEGGE PER LA PUBBLICA ISTRUZIONE DEL 1802 Il 26 gennaio 1802 a Lione, nell’antica cappella del collegio dei gesuiti erano convenuti quattrocento cinquanta deputati. Quando il segretario cominciò a leggere il verbale il presidente della seduta, Napoleone Bonaparte, lo interruppe chiedendo: “Volete che si scriva Repubblica Cisalpina o Italiana”. Un coro rispose unanime “Italiana”. La Repubblica Cisalpina era stata creata nel 1797 per volere di Bonaparte in seguito alla prima vittoriosa Campagna d’Italia; essa comprendeva la Lombardia (incluse le province ex-venete di Brescia e Bergamo), il Modenese, e le Legazioni di Bologna Ferrara e Ravenna. Distrutta nel 1799 dalla reazione austro-russa la Cisalpina era risorta con la vittoria napoleonica di Marengo (14 giugno 1800), ma stentava a trovare un assetto istituzionale soddisfacente, anche se il suo territorio si era ingrandito e si estendeva dalle Alpi all’Appennino, da Novara a Pesaro con una popolazione di quasi quattro milioni di abitanti. In un momento di sconforto lo stesso Bonaparte si era lamentato: “di tante cose che feci in vita mia, niuna mi si presenta così ardua quanto dare una Costituzione al vostro paese”.1 Una delle discussioni preliminari riguardava l’assetto istituzionale della repubblica, se federale come voleva Talleyrand, potente ministro degli Esteri della Repubblica francese, o centralizzato come domandavano gli italiani per dare più forza allo Stato. Prevalse il modello centralizzato con una Repubblica presidenziale. Dopo non pochi contrasti Bonaparte fu eletto presidente e vicepresidente, con ampie deleghe, fu nominato Francesco Melzi d’Eril. Il territorio della Repubblica fu diviso in dodici dipartimenti e quarantasei distretti: Ferrara divenne capoluogo del Dipartimento del Basso Po, Bologna di quello del Reno (in generale i Dipartimenti prendevano il nome dai fiumi).2 Una prima discontinuità rispetto alla Cisalpina era costituita dal ruolo della religione cattolica nella nuova Costituzione: la Costituzione cisalpina era completamente laica e 1 Ugo da Como, I Comizi Nazionali in Lione per la Costituzione della Repubblica Italiana, Bologna, Zanichelli, 1934 sgg. Carlo Zaghi, Potere, Chiesa e società. Studi e ricerche sull’Italia giacobina e napoleonica, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984. Dictionnaire Napoléon, sous la direction de Jean Tulard, voll. 2, Paris, Fayard, 1999. Napoleone e la Repubblica Italiana (1802-1805), a cura di Carlo Capra, Franco Della Peruta, Ferdinando Mazzocca, Milano, Skira, 2002. Alain Pillepich, Napoléon et les Italiens: République italienne et Royame d’Italie (1802-1814), Paris, Fondation Napoléon, 2003. 2 Le Costituzioni italiane, a cura di Alberto Aquarone, Mario D’Addio, Guglielmo Negri, Milano, Edizioni di Comunità, 1958, pp. 81-153; 312-321. I Carteggi di Francesco Melzi d’Eril, duca di Lodi, la vicepresidenza della Repubblica Italiana, a cura di Carlo Zaghi, Milano, Museo del Risorgimento voll. 7, 1958 sgg. 1 proclamava. “A niuno può essere impedito l’esercizio del culto che ha scelto, conformandosi alle leggi. (…) Niuno può essere obbligato a contribuire alle spese di qualunque culto”. Il primo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana recitava invece: “La religione cattolica apostolica romana è la religione dello Stato”. Si rinunciava inoltre ad ogni aspirazione al suffragio universale: la sovranità nazionale era esercitata da tre Collegi elettorali, dei possidenti, dei dotti e dei commercianti. Il Presidente della Repubblica durava in carica dieci anni ed era rieleggibile, nominava i ministri e i capi dell’esercito. Restava la divisione dei poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario, ma con una forte prevalenza dell’esecutivo. Con queste caratteristiche il nuovo Stato tendeva però finalmente a consolidarsi, dandosi un sistema di leggi che durarono per oltre dieci anni fino alla caduta degli stati napoleonici, anche dopo la trasformazione della Repubblica in Regno nel 1805.3 L’attività legislativa del 1802 fu particolarmente significativa in tre ambiti: l’organizzazione amministrativa del Territorio, la difesa, la pubblica istruzione. Secondo il modello francese a capo di ogni dipartimento venne nominato un prefetto e per la difesa venne ordinata la coscrizione obbligatoria. Nasceva così in Francia per la prima volta uno Stato italiano che ha lo stesso nome di quello attuale: la sede era stata scelta per venire incontro alle esigenze di Bonaparte e dei Francesi, a metà strada tra Parigi e Milano. Una legge organica “La pubblica Istruzione è quell’elemento che insensibilmente dispone le opinioni, apparecchia la morale e stabilisce il carattere delle Nazioni. Col favore di questa preparazione felice sono i governi abilitati a far discendere i popoli governati sino a quelle mete che si propongono non coll’urto pericoloso di leggi coattive, ma con la dolce agitazione del solo intimo sentimento. Perciò i savi legislatori, conoscendo la necessità assoluta di concertare un’armonica corrispondenza tra le disposizioni legislative e la morale pratica dei popoli, le leggi adattarono ai costumi o, se le circostanze politiche non lo permettevano, da lontano prima li prepararono alla coerente loro riforma con delle particolari istituzioni (…)La diversità medesima dei metodi di pubblica istruzione usati ne’ differenti domini ora riuniti al territorio della Repubblica, col rendere difformi le idee e i giudizi, contribuiva anche a dividere una popolazione dall’altra. Per coerenza di sistema la loro reciproca amalgamazione in una sola unità politica, esigendo quella dell’unità loro morale, non poté fare a meno di risolvere il governo ad immaginare quell’uniformità d’insegnamento che servisse anche a confondere queste due amalgamazioni insieme.” Con queste parole iniziavano i Motivi del progetto di legge relativo agli stabilimenti di pubblica istruzione con i quali il Federico Coraccini [Giuseppe Valeriani], Storia dell’amministrazione del Regno d’Italia durante il dominio francese, Lugano, Veladini, 1823. Melchiorre Roberti, Milano capitale napoleonica. La formazione di uno stato moderno, 1796-1814, voll. 3, Milano, 1946-1947. Livio Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica: Repubblica e Regno d’Italia, Bologna, Il Mulino, 1983. Franco Della Peruta, Esercito e società nell’Italia Napoleonica: dalla Cisalpina al Regno d’Italia, Milano, 1988. 3 2 Progetto di Legge per la pubblica Istruzione venne presentato al Consiglio Legislativo della Repubblica Italiana il 9 agosto 1802.4 Il progetto fu dibattuto approfonditamente e trasformato in legge l’8 settembre successivo.5 Per la prima volta in Italia in un vasto territorio tutta l’istruzione pubblica, da quella elementare e quella superiore, veniva regolamentata da un’unica legge destinata ad entrare in vigore. Il progetto seguiva in alcune linee il modello francese, ma in altre se ne distaccava mantenendo l’istruzione superiore in ambito universitario, mentre in Francia le Università erano state soppresse e al loro posto create le Grandes Ecoles. L’influenza più importante del modello francese fu la creazione in ogni dipartimento di un liceo. Per i professori di liceo era prescritta la laurea e pubblici concorsi. Venivano quindi messi da parte gli antichi collegi, gestiti quasi esclusivamente da religiosi (che però non venivano soppressi). L’istruzione superiore si fondava sulle sedi universitarie di Bologna e di Pavia, sulle Accademie delle Belle Arti di Bologna e Milano e su quattro scuole speciali (Metallurgia, Idrostatica, Scultura, Veterinaria), mentre erano soppresse le università minori (Ferrara, Modena, Cesena).6 Scompariva la laurea in teologia, mentre era riconfermata la necessità della laurea o di un’abilitazione universitaria per esercitare l’attività legale, l’arte notarile, la medicina, la chirurgia, la farmacia, la professione di architetto civile, di ingegnere, di idraulico, di agrimensore. L’istruzione elementare era affidata ai comuni che non dovevano tuttavia discostarsi da norme generali per l’elezione dei maestri. Per i libri di testo per le scuole elementari era invocata l’opera dell’Istituto Nazionale e dei professori delle Università. Per le spese nazionali di pubblica istruzione era previsto un bilancio di Lire 666.000. Queste comprendevano Università, Accademie di Belle arti e Scuole speciali, ma non l’insegnamento secondario affidato ai dipartimenti e quello elementare, lasciato ai comuni.7 Archivio Antico dell’Università di Padova (a stampa, senza note tipografiche), ms. 773. Un esemplare del decreto a stampa si trova nell’ Archivio storico dell’Università di Ferrara, serie I, n. 3602. Il decreto è anche in Bollettino delle leggi della Repubblica Italiana, 1(1802), Milano, pp. 295-308. 6 Elena Brambilla, L’istruzione pubblica dalla Repubblica Cisalpina al Regno Italico, in “Quaderni storici”, 8 (1975), n.23, pp. 491-526. Sante Bucci, La scuola italiana nell’età napoleonica. Il sistema educativo e scolastico francese nel Regno d’Italia, Roma, Bulzoni, 1976. Stato e pubblica istruzione. Giovanni Scopoli e il suo viaggio in Germania (1812), a cura di Luigi Blanco e Luigi Pepe, in “Annali Istituto Storico Italo-germanico”, 21 (1995), pp. 405587. Luigi Pepe, L’istruzione pubblica nel triennio repubblicano (1796-1799), in Il sogno di libertà e di progresso in Emilia negli anni 1796-97. Il primo tricolore e i presupposti dell’unità nazionale, a cura di Sergio Lenzi, Modena, Lions Distretto 108Tb, 2003, pp. 103-111. Idem. Matematica e matematici nell’Italia Repubblicana (1796-1799), in Universalismo e nazionalità nell’esperienza del giacobinismo italiano, a cura di Luigi Lotti e Rosario Villari, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 323-337. La Brambilla ha dedicato diversi altri lavori all’istruzione nel periodo napoleonico, si veda il suo recente saggio Il sistema scolastico, in Napoleone e la Repubblica cit., pp. 71-81. 7 Luigi Pepe, Università o Grandes Ecoles: il Piano Mascheroni e il dibattito al gran Consiglio della Repubblica Cisalpina, in Università in Europa, Atti del convegno internazionale di studi a cura di Andrea Romano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp. 511-523. Idem, La questione delle Università minori in Italia nel periodo napoleonico, in Le Università minori in Europa. 4 5 3 L’Istituto Nazionale, previsto dall’art. 121 della Costituzione, era incaricato di raccogliere le scoperte e di perfezionare le scienze e le arti. L’Istituto fu attivato con legge del 17 agosto 1802, discussa in contemporanea con quella della pubblica istruzione. I Motivi del progetto di legge organica relativa alla creazione dell’Istituto Nazionale recitavano: “ I differenti gradi dei lumi e delle scienze formano il barometro della coltura dei popoli. Ella però, dispersa sulla superficie vastissima dell’Universo, fiorita in circostanze fortunate, perita nelle vicende luttuose che la fisica sconvolsero e la morale, richiedeva l’attenzione paziente d’una Società d’uomini illuminati che, comunicando coi suoi fratelli di scienze sparsi sui diversi punti del Globo, rimontando per la lunga catena dei tempi, percorrendo le fisiche e politiche rivoluzioni della gran famiglia degli uomini, riunisse in un sol centro le vecchie e le nuove, le domestiche e le straniere scoperte, sì nelle arti che nelle scienze, onde misurare la gradazione dello sviluppo di tempo in tempo occorso all’ingegno umano”.8 L’Istituto aveva sede a Bologna, era diviso in tre sezioni (Scienze fisiche e matematiche, Scienze morali e politiche, Letteratura e belle arti) ed era composto da sessanta membri: i primi trenta nominati, gli altri eletti con un sistema di cooptazione. L’Istituto Nazionale aveva i compiti delle accademie, dovendo dedicarsi i suoi membri alla ricerca scientifica, ma anche di consulenza della pubblica amministrazione. Da una parte l’Istituto poteva così essere condizionato dal potere politico, ma dall’altra garantiva con la sua autorità una notevole indipendenza del comparto pubblica istruzione dalle decisioni di ministri e di funzionari governativi. A sovrintendere alla pubblica istruzione, come direttori generali, furono chiamati nel 1805 con la costituzione del Regno d’Italia, studiosi di grande competenza ed energia: prima il medico Pietro Moscati, poi il prefetto Giovanni Scopoli. Le riforme napoleoniche dell’istruzione segnarono in Italia la nascita della scuola moderna, aperta alle esigenze dell’economia e della società, ma anche diretta a formare, attraverso una solida cultura in ogni ordine, cittadini responsabili, consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri. L’impatto di queste riforme fu così forte che nemmeno la Restaurazione riuscì a far arretrare la storia a prima del 1789, e quando il Piemonte si avviò a diventare il fulcro dell’Unità nazionale fu dalle riforme napoleoniche che Boncompagni e Casati dovettero ripartire. Modelli francesi ed esperienze italiane I costituenti e i legislatori della Repubblica Italiana cercarono di costruire l’istruzione pubblica, della quale facevano gran conto, dall’alto: dall’istruzione superiore e dall’Istituto Nazionale, seguendo in questo l’esempio della Convenzione Nazionale, che aveva creato nel 1795 l’Institut, l’Ecole Normale, l’Ecole Polytechnique e le Scuole Centrali, accantonando in un primo momento la questione della scuola primaria. Per Convegno internazionale, a cura di Gian Paolo Brizzi e Jacques Verger, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1998, pp. 425-442. 8 Archivio Antico dell’Università di Padova (a stampa, senza note tipografiche), ms. 773. Luigi Pepe, L’Istituto Nazionale in Italia (1796-1814), in “Bollettino dell’ Unione Matematica Italiana”, (7), 10-A (1996),pp. 249-278. Idem, Dall’Istituto bolognese all’Istituto nazionale, in “I Giacobini” nelle Legazioni: gli anni napoleonici a Bologna e a Ravenna, a cura di Angelo Varni, voll. 3, Fondazione Del Monte di Bologna e di Ravenna, 1999, vol. II, pp. 309-335. 4 altro i modelli francesi venivano seguiti nella legge italiana alla lontana e venivano mantenute le Università, mentre in Francia esse restavano soppresse; venivano creati sulla base del modello francese del 1802 i licei, ma accanto ad essi anche i ginnasi, che in parte accoglievano le istanze municipali di avere più sedi di istruzione media e in parte riprendevano le scuole intermedie del Piano Mascheroni del 1798. Il passaggio effettivo da un sistema di istruzione all’altro è un fatto molto complesso che richiede interventi su più anni: si tratta infatti anche di gestire la conclusione degli studi in atto, di vincere le naturali resistenze dovute ad abitudini inveterate. L’istruzione superiore, limitata a due università Pavia e Bologna e a quattro scuole speciali, fu relativamente la più facile da gestire anche perché venne preso a modello l’Università di Pavia recentemente riformata. Le scuole speciali faticarono a decollare (idraulica a Ferrara). I problemi maggiori alle realizzazioni delle riforme vennero dall’istruzione media. Si trattava di sostituire un razionale canale pubblico alla varietà di collegi privati, tenuti per lo più da religiosi (Scolopi, Somaschi, ecc) ben radicati nel territorio. In essi gli insegnamenti spesso obsoleti, tenuti in latino, si sovrapponevano per antica tradizione nella parte filosofica con i primi anni degli studi universitari (facoltà delle arti). La separazione tra gli insegnamenti liceali e quelli universitari fu una delle imprese più difficili e poté essere compiuta solo dopo diversi anni. Essa fece una vittima illustre: Ugo Foscolo. Egli aveva ottenuto, nel marzo del 1808, la cattedra di eloquenza italiana che era stata di Vincenzo Monti e poi di Luigi Cerretti. Il 22 gennaio 1809 tenne la prolusione Dell’origine e dell’ufficio della letteratura (Milano, Stamperia Reale, 1809) seguita da alcune lezioni fino agli inizi di giugno. L’anno successivo l’insegnamento universitario fu soppresso, perché confinato nei licei.9 L’esperienza dei licei napoleonici ha lasciato una traccia profonda nella pubblica istruzione italiana: hanno un passato di licei napoleonici alcuni tra i più noti licei classici e scientifici come il Beccaria a Milano, il Foscarini a Venezia, il Maffei a Verona, il Canova a Treviso, il Volta a Como, il Carlo Alberto a Novara, lo Stellini a Udine, il Torricelli a Faenza, il Pigafetta a Vicenza, il Prati a Trento, il Manin a Cremona, il Petrarca ad Arezzo.10 I licei erano stati creati in Francia con la legge dell’11 floreale anno 10 (1° maggio 1802) al posto delle scuole centrali dell’anno 3, animate da uno spirito enciclopedico senza un vero asse formativo.11 L’insegnamento liceale era incentrato sulle lettere e il Ireneo Sanesi, L’insegnamento universitario del Monti e del Foscolo in Contributi alla storia dell’Università di Pavia, Pavia, Tipografia Cooperativa, 1925, pp. 379-456. Esortazioni alle storie. Poeti, scienziati e cittadini nell’Ateneo pavese tra Riforme e Rivoluzione, a cura di Angelo Stella e Gianfranco Lavezzi, Milano, Cisalpino, 2001. 10 Manca ancora uno studio sistematico sui Licei napoleonici, mentre esistono studi sui singoli licei uno dei più completi è quello di Gregorio Piaia, L’eredità dei “Lumi” al Liceo Napoleonico di Belluno in Educazione e ricerca storica. Saggi in onore di Francesco De Vivo a cura di R. Finazzi Sartor, Padova, Alfasessanta, 1995, pp. 27-61. Si veda anche Tonino Assirelli, Le vicende del liceo “Pigafetta” di Vicenza e l’istruzione liceale in età napoleonica ed asburgica, Vicenza, 1984. La trasformazione dal 1808 delle università marchigiane in licei napoleonici è presa in esame in un documentato volume di Emanuele Pagano, La scuola nelle Marche in età napoleonica, Urbino, Quattroventi, 2000. 11 Sull’insegnamento nelle scuole centrali è ancora utile S. F. Lacroix, Essais sur l’enseignement en général wet sur celui des mathématiques en particulier, Paris, Courcier, 1805. Lacroix, 9 5 latino (4 professori) e sulle matematiche (2 professori). A capo di un liceo vi era un provveditore da cui dipendevano un economo con compiti amministrativi ed un censore, incaricato della disciplina degli studenti. Molti di questi erano ospitati nei locali delle scuole come convittori a spese dello Stato. Era prevista una divisa per professori e studenti. Uno dei primi licei fu creato a Torino; a Parigi sorsero i licei Imperial (Louis le Grand), Charlemagne, Napoléon (Henri IV), Bonaparte (Condorcet). L’autore della legge per i licei fu il ministro dell’interno Jean Antoine Chaptal (1756-1832), medico e chimico famoso, nominato ministro da Napoleone il 21 gennaio 1801.12 Chaptal svolse in quegli anni un’attività riformatrice straordinaria che portò in particolare alla fondazione della Societé d’encouragement pour l’industrie nationale (1 novembre 1801) e all’organizzazione della Camere di Commercio (24 dicembre 1802). Egli promosse anche una serie di indagini statistiche per conoscere i bisogni dei vari dipartimenti, affidandone la responsabilità ai prefetti. Si occupò degli ospedali e del sistema veterinario, creò la prima scuola nazionale per levatrici. L’esercizio della professione medica, liberalizzato dalla rivoluzione, fu nuovamente regolamentato. Chaptal lasciò il suo posto di ministro nel luglio del 1804, non approvando la trasformazione del regime consolare in Impero. I protagonisti della riforma dell’istruzione in Italia, che in assenza di un ministro specifico rientrava tra le competenze del Ministro dell’Interno, furono Pietro Moscati, Giuseppe Compagnoni, Giovanni Paradisi e Giovanni Scopoli. Pietro Moscati (1739-1824), medico, direttore dell’Ospedale di Milano nel 1785, amico dei francesi della prima ora, fu membro del Direttorio Cisalpino, arrestato e deportato dagli Austriaci, partecipò ai Comizi di Lione e fu nominato membro della consulta di Stato (1802), nel 1805, con il Regno d’Italia fu il primo direttore generale della pubblica istruzione, carica che tenne fino al 1809, fu poi senatore e conte del Regno d’Italia. Giuseppe Compagnoni (1754-1833) giornalista e letterato propose al Congresso Cispadano di Reggio l’adozione del Tricolore come bandiera della Repubblica (7 gennaio 1797), fu poi nell’Università di Ferrara il primo professore in Europa di diritto Costituzionale. Nel 1798 fece parte del Gran Consiglio della Repubblica Cisalpina, dove sostenne la soppressione delle corporazioni religiose e fece parte della Commissione per la pubblica istruzione. Esiliato in Francia nel 1799, pubblicò le Veglie del Tasso a Parigi nel 1800. Dopo Marengo fu nominato professore di economia politica a Pavia, ma preferì restare a Milano come Promotore della pubblica istruzione. Nel 1802 fu membro della Consulta e nel 1803 segretario del consiglio legislativo e, quando questo fu trasformato in Consiglio di Stato (1805), ne fu segretario generale. Con la caduta del Regno d’Italia ritornò alla sua attività di giornalista e di letterato. allievo di Condorcet e di Monge, aveva pubblicato per la Scuola centrale “des Quatres Nations” un corso di matematica in più volumi comprendente un trattato elementare di aritmetica, elementi di algebra, elementi di geometria, un trattato elementare di trigonometria, complementi di algebra e di geometria, un trattato elementare di calcolo differenziale e integrale. Questo corso fu adottato dal governo per i licei e le scuole secondarie. Molti di questi volumi furono tradotti in italiano. Nei licei della Repubblica e del Regno d’Italia furono tuttavia adottati per la matematica prima la traduzione del Corso di Matematica dell’Abate Bossut, poi gli Elementi di algebra e di geometria di Vincenzo Brunacci. 12 Chaptal, sous la direction de Michel Péronnet, Toulouse, Edition Privat, 1988. Jean Antoine Chaptal, Mes souvenirs sur Napoléon, Paris, Plon, 1893, pp. 87-97. 6 Giovanni Paradisi (1760-1826), matematico, di Reggio, partecipò da protagonista alla Repubblica Cispadana e Cisalpina. Dopo Marengo fu membro della Commissione straordinaria di governo della seconda Cisalpina. Dopo i Comizi di Lione, a cui prese parte, fu nominato nella Consulta di Stato. Dal 1805 al 1809 fu direttore generale per i ponti e le strade del Regno d’Italia. Fu poi senatore e Presidente del Senato. Membro dell’Istituto nazionale dal 1802, ne fu il presidente dal 1810. Giovanni Scopoli (1774-1854), figlio di Giovanni Antonio (professore di botanica e chimica nell’Università di Pavia), medico, segretario di prefettura a Verona dopo Lunéville, nel 1805 fu segretario generale in Dalmazia di Vicenzo Dandolo. Nominato prefetto del Basso Po nel 1807, fu poi prefetto a Treviso e prefetto del Tagliamento. Il 10 ottobre 1809 successe a Moscati come direttore generale della pubblica Istruzione, svolgendo uno straordinario lavoro di riorganizzazione del sistema dell’istruzione pubblica e dell’Istituto Nazionale. Promosse celebri inchieste basandosi principalmente sui professori dei licei (1811). Esse riprendevano i costumi e le abitudini di vita degli italiani, le feste religiose tradizionali, le cerimonie di massa, i riti funebri, la tipologia delle case rurali. Nel 1813 Scopoli diresse al principe Eugenio una dettagliata Relazione della visita fatta delle Pubbliche Scuole in più luoghi di Germania e riflessioni su quelle del Regno nella quale venivano comparate le scuole della Germania (con esclusione della Prussia) con il sistema italiano più centralistico. Mantenuto in un primo momento in carica dagli Austriaci Scopoli fu licenziato nel 1816. Si ritirò a Verona dove trascorse il resto della sua vita in un ritiro studioso, partecipando ormai anziano alla riunione di Padova degli Scienziati italiani (1842) e alla commissione Civica di Verona, liberata dagli austriaci, nel 1848. Il ministro dell’Interno dal febbraio 1802 al marzo 1803 fu Luigi Villa (1751-1804). Il 18 novembre 1802 il capo della IV Divisione per gli aspetti della pubblica Istruzione del ministero dell’Interno redigeva un Rapporto sullo stato ed andamento della pubblica Istruzione all’epoca del governo costituzionale.13 In esso si prendevano in esame i primi provvedimenti per la messa in esecuzione della legge sulla pubblica Istruzione: era stata nominata una commissione per le Accademie della belle arti “incaricata di presentare un piano ad entrambe uniforme”; erano stati già nominati e convocati i primi trenta membri dell’Istituto nazionale. Ma il rapporto riguardava soprattutto la promozione culturale operata dal governo della Repubblica Italiana. Si era finanziata la Società italiana della Scienze, creata a Verona da Antonio Maria Lorgna; si era cercato di rendere regolari i pagamenti degli stipendi a professori, maestri e bibliotecari, si destinavano somme ai premi per gli scolari. Il governo aveva inoltre deciso di sostenere la stampa della collana dei Classici Italiani, sottoscrivendo ottanta copie di ogni volume ed aveva finanziato in parte la pubblicazione di opere di Gioia, Napoli Signorelli, Tamburini. Infine si esaltavano le potenzialità della Repubblica nel campo delle scienze matematiche messe in evidenza dai lavori di Paolo Ruffini sulle equazioni algebriche di grado superiore al quarto, di Antonio Cagnoli, di Gregorio Fontana, di Vincenzo Brunacci, Pietro Melchiorre e degli astronomi di Brera. Per quanto riguardava la fisica, Francesco Melzi d’Eril, Memorie e documenti, a cura di Giovanni Melzi, voll. 2, Milano, Brigola, 1865; II pp. 471-481. 13 7 la medicina e la chimica eccellevano Alessandro Volta, Giovanni Aldini, Antonio Scarpa, Luigi Valentino Brugnatelli, Ermenegildo Pini, Filippo Re, Scipione Breislack e Giovanni Rasori. Nelle lettere si segnalavano Francesco Soave, Vincenzo Monti, Luigi Bossi, ma anche Ugo Foscolo, Melchiorre Gioia, Pietro Napoli Signorelli. Si metteva in rilievo inoltre il notevole successo di frequenza di profitto nei nuovi Licei, ma anche nei superstiti collegi di educazione. Il governo aveva promosso la vaccinazione antivaiolosa, propugnata in particolare da Luigi Sacco. Provvidenze erano state disposte per la Scuola Militare di Modena, per la Biblioteca e per il Museo dell’Università di Pavia. Infine erano stati realizzati provvedimenti per la tutela e il restauro di opere d’arte tra le quali il Cenacolo di Leonardo. Diversi documenti conservati nell’archivio di Stato di Milano permettono di ricostruire in dettaglio il complicato avvio della legge per la pubblica istruzione del 1802. Due tra i primi sono dovuti rispettivamente a Giovanni Paradisi e a Giuseppe Compagnoni. Giovanni Paradisi, Consultore di Stato, Presidente della Commissione degli Studi, rispondendo ad alcuni quesiti di Francesco Melzi d’Eril, Vicepresidente della Repubblica, il 30 ottobre 1802 sottolineava che:14 I. Era probabilmente impossibile a determinare il limite tra l’Istruzione media e la sublime. II. Nessuna diversità poteva stabilirsi tra Ginnasio e Liceo fuorché quella del numero delle Cattedre. In un dipartimento era previsto un solo liceo, ma erano possibili più ginnasi, però in un comune non dovevano coesistere Licei e Ginnasi. III. Insegnamenti obbligatori nei Ginnasi erano: 1. Eloquenza Italiana e Latina 2. Analisi delle idee 3. Elementi di geometria e di algebra 4. Elementi di fisica generale e sperimentale Insegnamenti obbligatori nei Licei erano: 1. Eloquenza Italiana e Latina 2. Analisi delle idee 3. Elementi di geometria ed algebra 4. Elementi di fisica generale e sperimentale 5. Principi di disegno architettonico e di figura 6. Agraria ed elementi di storia naturale Insegnamenti facoltativi nei Licei erano 1. Filosofia morale e diritto di natura 2. Istituzioni civili (per la giurisprudenza) 3. Anatomia e fisiologia 4. Istituzioni mediche o istituzioni chirurgiche Non si dovevano comunque attivare nei licei insegnamenti non previsti nei piani di istruzione delle università di Pavia e Bologna. Nelle città sedi di ospedali potevano essere istituite cattedre di 1. Ostetricia 2. Clinica medica e Chirurgia 3. Anatomia applicabile alla chirurgia 14 Archivio di Stato di Milano, Studi, p. m., b. 1. 8 4. Chimica farmaceutica IV. La supervisione delle scuole era affidata i prefetti e ad una commissione di tre membri dell’Istituto Nazionale. Era necessario che in ogni prefettura un segretario fosse appositamente destinato a tale compito. Nel Rapporto sullo stato e andamento della pubblica Istruzione, redatto dal Ministero dell’Interno il 22 febbraio 1803 e a firma di Giuseppe Compagnoni, erano contenute puntuali risposte a quesiti riguardanti: 15 I. Indennità di alloggio per i professori universitari fuori residenza. II. Competenza dei Consigli Comunali nella nomina dei maestri elementari III. Riconoscimenti di studi effettuati ai fini del conseguimento dei titoli di studio (ad esempio di chi aveva frequentato altre Università) IV. Spese di manutenzione dei locali ad uso dei Ginnasi V. Trattamento di vecchi professori che rimanessero senza insegnamenti Il 31 ottobre 1803 venivano pubblicati sul Foglio Ufficiale della Repubblica Italiana, (anno II, Milano, Veladini, pp.155-216) i Piani di studi e di disciplina per le Università nazionali. Nell’ordinamento universitario scompariva la facoltà di teologia, venivano confermate le facoltà di giurisprudenza e di medicina, l’antica facoltà delle arti lasciava il posto ad una nuova facoltà matematica che aveva lo scopo di formare gli architetti, gli ingegneri e i periti agrimensori. Non veniva creata la facoltà di lettere, ma diversi insegnamenti filosofici e letterari confluivano nella facoltà giuridica (Analisi delle idee, Eloquenza latina e italiana, Storia e diplomatica, Lingua e letteratura greca, Filosofia morale e diritto di natura). Venivano aboliti gli antichi Collegi Dottorali che conferivano le lauree e i gradi accademici furono conferiti, senza l’esborso di spese spesso assai considerevoli, dai professori. Il titolo universitario aveva valore legale ed era necessario per esercitare le professioni di avvocato, notaio, medico, chirurgo, farmacista, architetto, ingegnere, agrimensore. La nomina dei professori universitari avveniva mediante concorso nazionale, i professori venivano nominati per tre anni e poi, se confermati, erano inamovibili. Per ogni università era fissato un organico di trenta cattedre. Si manifestavano intanto i conflitti di competenze e di attribuzioni nel campo della stessa istruzione pubblica, a cui si cercò di porre rimedio avocando tutta l’istruzione allo Stato con il passaggio al Regno d’Italia nel 1805. Il Regolamento Con la proclamazione il 18 maggio 1804 di Napoleone a imperatore dei Francesi, la sorte della Repubblica Italiana era segnata: già il 9 maggio Ferdinando Marescalchi aveva informato Melzi delle intenzioni di Napoleone di trasformarla in monarchia ereditaria. Il 15 marzo 1805 Napoleone emanava il primo Statuto del Regno d’Italia con il quale si proclamava Re, il 26 maggio si incoronava nel Duomo di Milano. Pietro Moscati, nominato subito direttore generale della pubblica Istruzione, che continuava a dipendere dal Ministero dell’Interno, produsse una rapida inchiesta sulla situazione dell’istruzione, dalla quale si ricavava un notevole disordine istituzionale, tranne che per 15 Archivio di Stato di Milano, Studi, p. m., b.1 9 le Università ormai regolamentate e per alcuni Licei dipartimentali. Egli preparò, nel giro di due mesi un progetto di regolamento aggiuntivo che riguardava in particolare proprio l’organizzazione dei Licei Il Progetto di Decreto Reale sull’organizzazione e sul regolamento della pubblica Istruzione nel Regno fu presentato il 28 agosto 1805 dal ministro dell’Interno Daniele Felici al Viceré Eugenio Bo. Si tratta di un ampio documento diviso in 209 articoli, sottoscritto dal consigliere consultore, direttore della pubblica Istruzione Moscati. I primi quattro articoli riguardano l’ordinamento generale:16 “Art.1.- La pubblica Istruzione dichiarata nazionale è posta in tutta la sua estensione sotto alla immediata direzione del Governo. Art.2. – Vi è un consigliere di Stato nominato dal Re, Direttore generale della pubblica Istruzione del Regno; vi sono tre Ispettori generali, degli Ispettori dipartimentali degli Studi e dei Vice ispettori nei distretti e cantoni. Art. 3. – Vi sono nel Regno: 1°. Delle scuole elementari in tutte le comuni e possono riunirsi in un solo comune le piccole terre o casinaggi. 2°. Delle scuole secondarie in tutte le comuni di prima classe, possono esservi in quelle di seconda. 3°. De’ licei, de’ collegi o convitti privati approvati dal governo. 4°. Delle scuole elementari, e secondarie di maestri privati, purché approvate dal governo. 5°. Delle scuole d’arti e mestieri in Milano e in Bologna: la prima sarà aperta immediatamente, la seconda lo sarà entro due anni. 6°. Due scuole militari per ora una in Pavia, l’altra in Bologna. 7°. Una di genio ed artiglieria in Modena. 8°. Vi possono essere delle scuole speciali mediche e chirurgiche negli spedali che oltrepassino il numero degli ammalati e delle scuole speciali di Veterinaria, Idraulica e d’idrometria, Metallurgia e Docimastica [Mineralogia] ed Agricoltura dove il Governo crederà opportuno stabilire. 9°. Due Università, una in Pavia, l’altra in Bologna. Art. 4 – Il Re nomina i Professori delle due università di Pavia e di Bologna, quelli delle due accademie delle belle arti di Milano e di Bologna, gl’Ispettori generali degli studi, i Governatori delle scuole militari e del genio; nomina pure i Rettori, Amministratori, Economi, Professori, Ispettori de’ licei, delle scuole speciali, delle scuole secondarie e primarie.” I restanti articoli sono ripartiti sotto otto titoli: “Titolo primo.- Del Consigliere direttore della Pubblica Istruzione Titolo secondo - Degli ispettori generali Titolo terzo – Degli ispettori dipartimentali e Vice ispettori Titolo quarto – Delle scuole elementari o primarie Titolo quinto – Delle scuole secondarie Titolo sesto - De’ licei I. Istituzione de’ licei II. Amministrazione 16 Archivio di Stato di Milano, Studi p. m. , b. 1 10 III. Consiglio d’amministrazione IV. Regolamento interno de’ Licei. Del Provveditore V. Del Censore VI. Dell’Economo VII. De’ Professori VIII. De’ Prefetti di camerata IX. De’ Maestri di disegno, di scrittura e di arti dilettevoli X. Degli Inservienti XI. Degli Alunni XII. Comunicazione degli alunni col di fuori XIII. Insegnamento e professori XIV. Degli esami e premi XV. Delle vacanze XVI. Dell’infermeria XVII. Degli esteri XVIII. Disposizioni generali Titolo settimo - Scuole di arti e mestieri Titolo ottavo - Delle Università di Pavia e di Bologna”. Il regolamento Moscati, oltre che al programma per l’avvenire della pubblica Istruzione in Italia, fornisce una specie di esame dello stato di essa e si preoccupa esplicitamente di regolamentare in modo preciso, dopo le Università (1803), anche i Licei. L’esperienza delle riforme dell’istruzione del 1802 nell’ambito della Repubblica italiana durò poco più di tre anni. I suoi successi (riorganizzazione del sistema universitario, creazione dei licei, attivazione dell’Istituto nazionale, definizione degli insegnamenti scientifici della Scuola di artiglieria e genio di Modena) furono notevoli soprattutto se si confrontano con altri settori delicati della vita della Repubblica, con i quali interferivano, come i rapporti tra Stato e Chiesa (il controllo dell’istruzione è stato sempre un obiettivo della gerarchia ecclesiastica) e quello tra governanti italiani e truppe francesi di stanza in Italia (a proposito dell’indipendenza dai modelli francesi) . Per quanto riguarda l’istruzione si trattava da una parte di promuovere l’alfabetizzazione (l’85% della popolazione era analfabeta) dall’altra di sostituire il “gotico” edificio dell’istruzione privata, piena di duplicati, casualmente localizzata, legata a lasciti, fedecommessi (oggetti di perpetue liti), gestita essenzialmente da religiosi, un’istruzione pubblica e laica. Questo processo fu condotto con determinazione e con continuità anche con il Regno d’Italia. Tuttavia soprattutto in una prima fase non si volle, responsabilmente, distruggere prima di costruire e come aveva fatto Gaspard Monge a Roma, quando avviò la riorganizzazione dell’istruzione nella Repubblica Romana nel 1798, si protesse e tutelò l’istruzione privata che svolgeva funzioni di supplenza a quella pubblica ancora carente.17 I licei preparavano alle facoltà universitarie dove si formavano i giuristi, i medici, gli ingegneri, ma anche alla Scuola di artiglieria e genio di Modena che, fondata nel 1798, era dotata di insegnamenti scientifici molto avanzati. Meno della metà dei diplomati nei Luigi Pepe, L’Istituto Nazionale della Repubblica Romana, in “Mélanges Ecole Française de Rome”, 108 (1996), pp. 703-730. 17 11 licei napoleonici proseguiva tuttavia gli studi: gli altri trovavano impiego nelle amministrazioni pubbliche, in servizi a livello dipartimentale, nelle forze armate.18 Napoleone nel 1801 aveva firmato il Concordato tra la Repubblica francese e la Santa sede, ma si era opposto ad ogni tentativo di interferenza della gerarchia ecclesiastica in materia di istruzione e, in particolare, al diritto reclamato dai vescovi di sorvegliare l’insegnamento nei licei e alla proposta di creare un tribunale misto per la revisione della stampa. Fu poi rigido nella soppressione dei conventi: “i frati erano per lui gente della polizia papale e sobillatori di disordini”. Respinse ogni proposta di istituire un regime di intolleranza per altri culti o per i non credenti e l’idea di istituire qualsiasi incapacità politica e civile per i non professanti. Nella Costituzione italiana del 1802 la religione cattolica era riconosciuta come religione di Stato, mentre in Francia, in base al concordato, essa era solo la religione dominante, ossia la religione della maggioranza dei cittadini. L’Italia non aveva subito la scristianizzazione, operata in Francia dalla rivoluzione; la Curia romana di sentiva più sicura e si comportò con maggiore intransigenza, cominciando a rivendicare la restituzione delle Legazioni di Ferrara, Bologna e Ravenna allo Stato della Chiesa. Il ministro del culto Giovanni Bovara sottolineava il 1 aprile 1803 l’antica posizione della gerarchia ecclesiastica “che qualunque peccato, essendo sottoposto al giudizio ecclesiastico, quindi qualunque atto pubblico o privato, qualunque opera non solo tra cittadino e cittadino, ma ben anche tra Stato e Stato, avendovi inevitabilmente la sua parte la moralità, così poteva cadere sotto la cognizione della suprema pontificia autorità”. A questa posizione Melzi oppose un’intransigente difesa delle prerogative dello Stato, anche presentando continuamente a Napoleone esempi concreti di abusi dell’autorità ecclesiastica. Per Melzi e Bovara la Curia romana considerava i concordati una semplice tappa nel cammino del recupero e della rivincita. Per la loro opposizione il Concordato tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana impiegò tre anni per andare in porto ed ebbe ben cinque redazioni. Dopo la sua pubblicazione infatti passarono diciotto mesi per la messa in esecuzione ed esso non ebbe mai completa applicazione nei territori della Repubblica Italiana. 19 Un evento importante che mise in luce l’effettiva dipendenza della Repubblica dalle forze francesi occupanti, dichiarate di difesa, fu l’affare Ceroni. Giuseppe Ceroni era un giovane ufficiale veronese “stimabile per la sua onestà e per i suoi talenti militari”, già allievo di Melchiorre Cesarotti a Padova che aveva composto versi per l’arrivo dei Francesi e poi contro la riforma Trouvé. Dal 1799 era capitano, promosso dal generale Joubert; esule in Francia, dopo Marengo aveva esaltato in versi Bonaparte liberatore dell’“Italia, unita e indivisibile”. Nel 1802 pubblicò alla macchia un poemetto dedicato a Leopoldo Cicognara nel quale si scagliava contro i francesi “oppressori” e invocava un “vendicatore” dell’Italia.20 18 Tra il 1805 e il 1808 fu pubblicato il Corso di matematica in cinque volumi con scritti di affermati studiosi: Francesco Barbieri, Franca Cattelani Degani, I contributi di P. Cassiani, G. Tramontini, P. Ruffini alla scuola d’artiglieria e genio di Modena, in Il sogno di libertà cit. pp. 119-126. 19 Carlo Zaghi, Potere, Chiesa e società. Studi e ricerche sull’Italia giacobina e napoleonica, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984, pp. 514-537; in particolare pp. 514, 524, 537. 20 Ivi, pp. 629-644. 12 Melzi ordinò il sequestro dell’edizione e Cicognara disse di esserne stato all’oscuro. Il generale comandante delle truppe francesi in Italia, Murat, dopo aver assecondato il provvedimento di Melzi, intervenne direttamente, ordinando il sequestro di tutte le carte del Ceroni. Da queste emerse un certa complicità tra il Ceroni e personaggi in vista della Repubblica italiana come Cicognara, il generale Pietro Teulié e il prefetto del Basso Po Pio Magenta. Murat mandò quindi a Bonaparte una relazione in proposito, nella quale si parlava di complotto antifrancese. Napoleone, preoccupato per il conflitto che si stava aprendo con l’Inghilterra, reagì irritatissimo: convocò il ministro Marescalchi (che rimase così impressionato della sfuriata del Primo Console da avere la febbre) e scrisse una lettera durissima a Melzi. Infine in una lettera alla Consulta di Stato ordinava l’arresto immediato di Cicognara, Magenta e Teulié. (Ceroni, che era già stato arrestato e liberato, fu nuovamente arrestato). L’11 aprile 1803 la Consulta di Stato, sedendo come corte di giustizia, condannò Ceroni a tre anni di carcere e all’espulsione dall’esercito e destituì dalle cariche pubbliche Cicognara e Teulié, mentre Magenta fu assolto e reintegrato. Melzi reagì a questo intervento della Consulta dimettendosi da Vicepresidente e accusando di aver montato il caso il generale Giuseppe Lechi, collaboratore di Murat; poco dopo anche Murat si dimetteva. Napoleone pregò Melzi di restare in carica e confermò Murat, rimproverandolo; Lechi fu spedito nelle Puglie. Gli stessi Teulié, Cicognara e Ceroni furono poi perdonati. In mezzo a queste vicende personali un problema politico era emerso in modo stridente: i limiti della sovranità della Repubblica rispetto alla Francia. In definitiva la pubblica Istruzione della Repubblica Italiana poté essere messa in opera prima della normalizzazione dei rapporti tra Stato e Chiesa e con una maggiore autonomia dalla Francia che per quanto atteneva all’organizzazione militare. La Relazione di Moscati Rapporto del Consigliere Consultore Moscati, Direttore Generale della pubblica Istruzione a S. A. S. il Vice Re d’Italia. Milano, li 12 luglio 1805.21 Incaricato da S. M. l’Imperatore, e nostro Re della onorevole ed importante commissione di organizzare e diriggere la pubblica istruzione del regno, io sottopongo ai sapienti lumi di V. A. S. quel tal quale progetto di regolamento generale, che mi è stato possibile di delineare nella deficienza che ho trovato dei dati necessari per istenderne uno più dettagliato e completo. Dopo matura riflessione io ho creduto partito migliore il cominciare a fare qualche cosa piuttosto che differire, lasciando frattanto progredire la confusione ed il disordine, fino a che si fossero raccolti i dettagli ed i dati necessari onde fare un completo generale sistema di pubblica istruzione. Si aggiunga che la pubblicazione anche prematura di un regolamento che faccia conoscere le traccie prescritte dal Governo sopra questo importante argomento, potrà servire di norma ugualmente che di stimolo a tutte le Autorità secondarie onde far pervenire al Direttore tutte le cognizioni necessarie per il compimento dell’opera. 21 Archivio di Stato di Milano, Studi p.m., b. 1 13 Ella è cosa dispiacevole il dover dire che, dopo tante e replicate ed insistenti ricerche fatte dal Ministro, non si era finora giunto a sapere con precisione, oltre le due Università ed alcuni Licei dipartimentali, quante scuole esistano in tutto il nostro territorio; quante sieno veramente e di qual provenienza le fondazioni, che abbiamo addette alla istruzione pubblica, e ne abbiamo non poche sparse quà e là; come istituiti e dotati ed esercitati sieno tutti i collegi o i convitti, quali precisamente sieno i metodi della loro istruzione. Alcuni dipartimenti hanno somministrato delle notizie sufficientemente esatte, altri le hanno date imperfette, di alcuni mancano affatto le relazioni, seppure non si trovano mescolate fra le carte delle corrispondenze che si tenevano coi Dipartimenti, per gli ordini e le provvidenze di dettaglio. Da queste cagioni è nata la imperfezione delle tabelle generali che non è sfuggita allo sguardo penetrante di S. M. quando le furono presentate, e nasce ora l’imperfezione di produrre un piano quale dovrebbe essere completo in tutte le parti intorno all’importante oggetto del quale io sono incaricato. Non vorrei però, che dal confessare io ingenuamente la imperfezione del progetto che subordino ai superiori lumi di V.A.S. si venisse a prendere un’idea troppo sfavorevole di esso, poiché, se per difetto di cognizione di fatto esso manca della dettagliata applicazione del sistema alle diverse parti del Regno, se non si può per anco fissare per esempio il numero totale delle scuole primarie, precisare la sede delle secondarie, se non sono indicate individualmente e collocate ne’ luoghi più convenienti le speciali, egli è però vero che vi si propone abbastanza esattamente ordinato tutto il sistema della istruzione, che tutti i padri di famiglia vedranno con piacere leggendolo, quante e quali cure la sovrana beneficenza si prenda dei loro figli, con quali metodi essi saranno istruiti non solo nella scienze ed arti liberali, ma anche nelle arti meccaniche, tanto utili alla sapienza del popolo ed alla prosperità dello Stato; vedranno quali e quante giudiziose cautele si prenderanno onde se ne abbiano non solo bene istruiti, ma anche saggi bene educati e morali cittadini ed onde sia scossa in avvenire dai loro figli quella polvere tutt’altro che olimpica che li ricopre. Di fatto una verità umiliante che non si può tacere si è che, mentre da una parte il nostro territorio è stato in ogni tempo fecondo di uomini sommi ed in ogni ramo dell’umano sapere distinti, si vede dall’altro con rammarico che, malgrado le immense somme impiegate ne’ passati tempi per la pubblica istruzione, malgrado non poche, sebbene in dettaglio tenui fondazioni che si hanno a questo oggetto, forse una quindicesima parte appena della nazione sa leggere scrivere e far conti, mentre altrove appena si trova nel popolo chi non sa leggere. E questa riflessione appunto, oltre il desiderio di secondare le giuste premure di V. A. S. pel sollecito incamminamento ad un sistema generale d’istruzione è quella ad affrettare la presentazione a V. A. S. del presente regolamento, il quale, se non basta a regolarizzare in tutte le sue parti la pubblica istruzione del Regno, servirà almeno, quando venga sanzionato dall’approvazione di S. M. e di V. A., di norma onde poter prendere in considerazione parte a parte i diversi rami di esso e condurli in seguito verso la perfezione. Il progetto di regolamento che ho l’onore di subordinare a V. A. S. è basato sui metodi stabiliti in Francia, la utilità dei quali è confermata dall’esperienze di qualche anno. Se si fosse dovuto far tutto di nuovo si sarebbe forse potuto esaminare preliminarmente e discutere la massima fondamentale se convenisse piuttosto nello stabilire un regolamento decretare gratuita l’istruzione elementare e primaria, dalla quale tutto il popolo, anche il più povero ha bisogno, e far pagare invece l’istruzione de’ cittadini più agiati, diretta a trarne un individuale profitto o per impieghi o per professioni che si acquistano, alla quale opinione io inclinai in un opuscolo anonimo da me pubblicato quando fra noi si fecero leggi per la pubblica istruzione, ma le mie prescrizioni sono di conformarsi per quanto si possa al sistema francese, ed in fondo trattandosi di far nuove istituzioni convien forse meglio adottare le comprovate dalla sperienza, di quanto sia tentare con esito incerto sperimenti nuovi comunque appoggiati a plausibili teorie ed è perciò appunto, che io mi sono appigliato senza esitanza alle istruzioni datemi prescindendo da ogni teorica e disparata quistione. 14 Fatta questa necessaria apologia alla imperfezione del progetto, ed indicata l’utilità di pubblicar presto qualche norma onde poter con metodo progredir poi verso la perfezione passerò ad esporlo, contento se V. A. S. si degnerà, dopo averlo veduto, di valutare se non altro la buona volontà di chi ha l’onore di presentarglielo. Pietro Moscati 15