Capitolo XXIII
LA LEGGE PER LA PUBBLICA ISTRUZIONE DEL 1802
Il 26 gennaio 1802 a Lione, nell’antica cappella del collegio dei gesuiti erano convenuti
quattrocento cinquanta deputati. Quando il segretario cominciò a leggere il verbale il
presidente della seduta, Napoleone Bonaparte, lo interruppe chiedendo: “Volete che si
scriva Repubblica Cisalpina o Italiana”. Un coro rispose unanime “Italiana”. La
Repubblica Cisalpina era stata creata nel 1797 per volere di Bonaparte in seguito alla
prima vittoriosa Campagna d’Italia; essa comprendeva la Lombardia (incluse le
province ex-venete di Brescia e Bergamo), il Modenese, e le Legazioni di Bologna
Ferrara e Ravenna. Distrutta nel 1799 dalla reazione austro-russa la Cisalpina era risorta
con la vittoria napoleonica di Marengo (14 giugno 1800), ma stentava a trovare un
assetto istituzionale soddisfacente, anche se il suo territorio si era ingrandito e si
estendeva dalle Alpi all’Appennino, da Novara a Pesaro con una popolazione di quasi
quattro milioni di abitanti. In un momento di sconforto lo stesso Bonaparte si era
lamentato: “di tante cose che feci in vita mia, niuna mi si presenta così ardua quanto
dare una Costituzione al vostro paese”.1
Una delle discussioni preliminari riguardava l’assetto istituzionale della repubblica, se
federale come voleva Talleyrand, potente ministro degli Esteri della Repubblica
francese, o centralizzato come domandavano gli italiani per dare più forza allo Stato.
Prevalse il modello centralizzato con una Repubblica presidenziale. Dopo non pochi
contrasti Bonaparte fu eletto presidente e vicepresidente, con ampie deleghe, fu
nominato Francesco Melzi d’Eril. Il territorio della Repubblica fu diviso in dodici
dipartimenti e quarantasei distretti: Ferrara divenne capoluogo del Dipartimento del
Basso Po, Bologna di quello del Reno (in generale i Dipartimenti prendevano il nome
dai fiumi).2
Una prima discontinuità rispetto alla Cisalpina era costituita dal ruolo della religione
cattolica nella nuova Costituzione: la Costituzione cisalpina era completamente laica e
1
Ugo da Como, I Comizi Nazionali in Lione per la Costituzione della Repubblica Italiana,
Bologna, Zanichelli, 1934 sgg. Carlo Zaghi, Potere, Chiesa e società. Studi e ricerche sull’Italia
giacobina e napoleonica, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984. Dictionnaire Napoléon,
sous la direction de Jean Tulard, voll. 2, Paris, Fayard, 1999. Napoleone e la Repubblica
Italiana (1802-1805), a cura di Carlo Capra, Franco Della Peruta, Ferdinando Mazzocca,
Milano, Skira, 2002. Alain Pillepich, Napoléon et les Italiens: République italienne et Royame
d’Italie (1802-1814), Paris, Fondation Napoléon, 2003.
2
Le Costituzioni italiane, a cura di Alberto Aquarone, Mario D’Addio, Guglielmo Negri,
Milano, Edizioni di Comunità, 1958, pp. 81-153; 312-321. I Carteggi di Francesco Melzi
d’Eril, duca di Lodi, la vicepresidenza della Repubblica Italiana, a cura di Carlo Zaghi, Milano,
Museo del Risorgimento voll. 7, 1958 sgg.
1
proclamava. “A niuno può essere impedito l’esercizio del culto che ha scelto,
conformandosi alle leggi. (…) Niuno può essere obbligato a contribuire alle spese di
qualunque culto”. Il primo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana recitava
invece: “La religione cattolica apostolica romana è la religione dello Stato”. Si
rinunciava inoltre ad ogni aspirazione al suffragio universale: la sovranità nazionale era
esercitata da tre Collegi elettorali, dei possidenti, dei dotti e dei commercianti. Il
Presidente della Repubblica durava in carica dieci anni ed era rieleggibile, nominava i
ministri e i capi dell’esercito. Restava la divisione dei poteri: esecutivo, legislativo e
giudiziario, ma con una forte prevalenza dell’esecutivo. Con queste caratteristiche il
nuovo Stato tendeva però finalmente a consolidarsi, dandosi un sistema di leggi che
durarono per oltre dieci anni fino alla caduta degli stati napoleonici, anche dopo la
trasformazione della Repubblica in Regno nel 1805.3
L’attività legislativa del 1802 fu particolarmente significativa in tre ambiti:
l’organizzazione amministrativa del Territorio, la difesa, la pubblica istruzione. Secondo
il modello francese a capo di ogni dipartimento venne nominato un prefetto e per la
difesa venne ordinata la coscrizione obbligatoria. Nasceva così in Francia per la prima
volta uno Stato italiano che ha lo stesso nome di quello attuale: la sede era stata scelta
per venire incontro alle esigenze di Bonaparte e dei Francesi, a metà strada tra Parigi e
Milano.
Una legge organica
“La pubblica Istruzione è quell’elemento che insensibilmente dispone le opinioni,
apparecchia la morale e stabilisce il carattere delle Nazioni. Col favore di questa
preparazione felice sono i governi abilitati a far discendere i popoli governati sino a
quelle mete che si propongono non coll’urto pericoloso di leggi coattive, ma con la
dolce agitazione del solo intimo sentimento. Perciò i savi legislatori, conoscendo la
necessità assoluta di concertare un’armonica corrispondenza tra le disposizioni
legislative e la morale pratica dei popoli, le leggi adattarono ai costumi o, se le
circostanze politiche non lo permettevano, da lontano prima li prepararono alla coerente
loro riforma con delle particolari istituzioni (…)La diversità medesima dei metodi di
pubblica istruzione usati ne’ differenti domini ora riuniti al territorio della Repubblica,
col rendere difformi le idee e i giudizi, contribuiva anche a dividere una popolazione
dall’altra. Per coerenza di sistema la loro reciproca amalgamazione in una sola unità
politica, esigendo quella dell’unità loro morale, non poté fare a meno di risolvere il
governo ad immaginare quell’uniformità d’insegnamento che servisse anche a
confondere queste due amalgamazioni insieme.” Con queste parole iniziavano i Motivi
del progetto di legge relativo agli stabilimenti di pubblica istruzione con i quali il
Federico Coraccini [Giuseppe Valeriani], Storia dell’amministrazione del Regno d’Italia
durante il dominio francese, Lugano, Veladini, 1823. Melchiorre Roberti, Milano capitale
napoleonica. La formazione di uno stato moderno, 1796-1814, voll. 3, Milano, 1946-1947.
Livio Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica: Repubblica e Regno d’Italia, Bologna, Il
Mulino, 1983. Franco Della Peruta, Esercito e società nell’Italia Napoleonica: dalla Cisalpina
al Regno d’Italia, Milano, 1988.
3
2
Progetto di Legge per la pubblica Istruzione venne presentato al Consiglio Legislativo
della Repubblica Italiana il 9 agosto 1802.4
Il progetto fu dibattuto approfonditamente e trasformato in legge l’8 settembre
successivo.5 Per la prima volta in Italia in un vasto territorio tutta l’istruzione pubblica,
da quella elementare e quella superiore, veniva regolamentata da un’unica legge
destinata ad entrare in vigore. Il progetto seguiva in alcune linee il modello francese, ma
in altre se ne distaccava mantenendo l’istruzione superiore in ambito universitario,
mentre in Francia le Università erano state soppresse e al loro posto create le Grandes
Ecoles. L’influenza più importante del modello francese fu la creazione in ogni
dipartimento di un liceo. Per i professori di liceo era prescritta la laurea e pubblici
concorsi. Venivano quindi messi da parte gli antichi collegi, gestiti quasi
esclusivamente da religiosi (che però non venivano soppressi). L’istruzione superiore si
fondava sulle sedi universitarie di Bologna e di Pavia, sulle Accademie delle Belle Arti
di Bologna e Milano e su quattro scuole speciali (Metallurgia, Idrostatica, Scultura,
Veterinaria), mentre erano soppresse le università minori (Ferrara, Modena, Cesena).6
Scompariva la laurea in teologia, mentre era riconfermata la necessità della laurea o di
un’abilitazione universitaria per esercitare l’attività legale, l’arte notarile, la medicina, la
chirurgia, la farmacia, la professione di architetto civile, di ingegnere, di idraulico, di
agrimensore. L’istruzione elementare era affidata ai comuni che non dovevano tuttavia
discostarsi da norme generali per l’elezione dei maestri. Per i libri di testo per le scuole
elementari era invocata l’opera dell’Istituto Nazionale e dei professori delle Università.
Per le spese nazionali di pubblica istruzione era previsto un bilancio di Lire 666.000.
Queste comprendevano Università, Accademie di Belle arti e Scuole speciali, ma non
l’insegnamento secondario affidato ai dipartimenti e quello elementare, lasciato ai
comuni.7
Archivio Antico dell’Università di Padova (a stampa, senza note tipografiche), ms. 773.
Un esemplare del decreto a stampa si trova nell’ Archivio storico dell’Università di Ferrara,
serie I, n. 3602. Il decreto è anche in Bollettino delle leggi della Repubblica Italiana, 1(1802),
Milano, pp. 295-308.
6
Elena Brambilla, L’istruzione pubblica dalla Repubblica Cisalpina al Regno Italico, in
“Quaderni storici”, 8 (1975), n.23, pp. 491-526. Sante Bucci, La scuola italiana nell’età
napoleonica. Il sistema educativo e scolastico francese nel Regno d’Italia, Roma, Bulzoni,
1976. Stato e pubblica istruzione. Giovanni Scopoli e il suo viaggio in Germania (1812), a cura
di Luigi Blanco e Luigi Pepe, in “Annali Istituto Storico Italo-germanico”, 21 (1995), pp. 405587. Luigi Pepe, L’istruzione pubblica nel triennio repubblicano (1796-1799), in Il sogno di
libertà e di progresso in Emilia negli anni 1796-97. Il primo tricolore e i presupposti dell’unità
nazionale, a cura di Sergio Lenzi, Modena, Lions Distretto 108Tb, 2003, pp. 103-111. Idem.
Matematica e matematici nell’Italia Repubblicana (1796-1799), in Universalismo e nazionalità
nell’esperienza del giacobinismo italiano, a cura di Luigi Lotti e Rosario Villari, Roma-Bari,
Laterza, 2003, pp. 323-337. La Brambilla ha dedicato diversi altri lavori all’istruzione nel
periodo napoleonico, si veda il suo recente saggio Il sistema scolastico, in Napoleone e la
Repubblica cit., pp. 71-81.
7
Luigi Pepe, Università o Grandes Ecoles: il Piano Mascheroni e il dibattito al gran Consiglio
della Repubblica Cisalpina, in Università in Europa, Atti del convegno internazionale di studi a
cura di Andrea Romano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp. 511-523. Idem, La questione
delle Università minori in Italia nel periodo napoleonico, in Le Università minori in Europa.
4
5
3
L’Istituto Nazionale, previsto dall’art. 121 della Costituzione, era incaricato di
raccogliere le scoperte e di perfezionare le scienze e le arti. L’Istituto fu attivato con
legge del 17 agosto 1802, discussa in contemporanea con quella della pubblica
istruzione. I Motivi del progetto di legge organica relativa alla creazione dell’Istituto
Nazionale recitavano: “ I differenti gradi dei lumi e delle scienze formano il barometro
della coltura dei popoli. Ella però, dispersa sulla superficie vastissima dell’Universo,
fiorita in circostanze fortunate, perita nelle vicende luttuose che la fisica sconvolsero e
la morale, richiedeva l’attenzione paziente d’una Società d’uomini illuminati che,
comunicando coi suoi fratelli di scienze sparsi sui diversi punti del Globo, rimontando
per la lunga catena dei tempi, percorrendo le fisiche e politiche rivoluzioni della gran
famiglia degli uomini, riunisse in un sol centro le vecchie e le nuove, le domestiche e le
straniere scoperte, sì nelle arti che nelle scienze, onde misurare la gradazione dello
sviluppo di tempo in tempo occorso all’ingegno umano”.8
L’Istituto aveva sede a Bologna, era diviso in tre sezioni (Scienze fisiche e
matematiche, Scienze morali e politiche, Letteratura e belle arti) ed era composto da
sessanta membri: i primi trenta nominati, gli altri eletti con un sistema di cooptazione.
L’Istituto Nazionale aveva i compiti delle accademie, dovendo dedicarsi i suoi membri
alla ricerca scientifica, ma anche di consulenza della pubblica amministrazione. Da una
parte l’Istituto poteva così essere condizionato dal potere politico, ma dall’altra
garantiva con la sua autorità una notevole indipendenza del comparto pubblica
istruzione dalle decisioni di ministri e di funzionari governativi.
A sovrintendere alla pubblica istruzione, come direttori generali, furono chiamati nel
1805 con la costituzione del Regno d’Italia, studiosi di grande competenza ed energia:
prima il medico Pietro Moscati, poi il prefetto Giovanni Scopoli. Le riforme
napoleoniche dell’istruzione segnarono in Italia la nascita della scuola moderna, aperta
alle esigenze dell’economia e della società, ma anche diretta a formare, attraverso una
solida cultura in ogni ordine, cittadini responsabili, consapevoli dei loro diritti e dei
loro doveri. L’impatto di queste riforme fu così forte che nemmeno la Restaurazione
riuscì a far arretrare la storia a prima del 1789, e quando il Piemonte si avviò a diventare
il fulcro dell’Unità nazionale fu dalle riforme napoleoniche che Boncompagni e Casati
dovettero ripartire.
Modelli francesi ed esperienze italiane
I costituenti e i legislatori della Repubblica Italiana cercarono di costruire l’istruzione
pubblica, della quale facevano gran conto, dall’alto: dall’istruzione superiore e
dall’Istituto Nazionale, seguendo in questo l’esempio della Convenzione Nazionale,
che aveva creato nel 1795 l’Institut, l’Ecole Normale, l’Ecole Polytechnique e le Scuole
Centrali, accantonando in un primo momento la questione della scuola primaria. Per
Convegno internazionale, a cura di Gian Paolo Brizzi e Jacques Verger, Rubbettino, Soveria
Mannelli, 1998, pp. 425-442.
8
Archivio Antico dell’Università di Padova (a stampa, senza note tipografiche), ms. 773. Luigi
Pepe, L’Istituto Nazionale in Italia (1796-1814), in “Bollettino dell’ Unione Matematica
Italiana”, (7), 10-A (1996),pp. 249-278. Idem, Dall’Istituto bolognese all’Istituto nazionale, in
“I Giacobini” nelle Legazioni: gli anni napoleonici a Bologna e a Ravenna, a cura di Angelo
Varni, voll. 3, Fondazione Del Monte di Bologna e di Ravenna, 1999, vol. II, pp. 309-335.
4
altro i modelli francesi venivano seguiti nella legge italiana alla lontana e venivano
mantenute le Università, mentre in Francia esse restavano soppresse; venivano creati
sulla base del modello francese del 1802 i licei, ma accanto ad essi anche i ginnasi, che
in parte accoglievano le istanze municipali di avere più sedi di istruzione media e in
parte riprendevano le scuole intermedie del Piano Mascheroni del 1798.
Il passaggio effettivo da un sistema di istruzione all’altro è un fatto molto complesso
che richiede interventi su più anni: si tratta infatti anche di gestire la conclusione degli
studi in atto, di vincere le naturali resistenze dovute ad abitudini inveterate.
L’istruzione superiore, limitata a due università Pavia e Bologna e a quattro scuole
speciali, fu relativamente la più facile da gestire anche perché venne preso a modello
l’Università di Pavia recentemente riformata. Le scuole speciali faticarono a decollare
(idraulica a Ferrara). I problemi maggiori alle realizzazioni delle riforme vennero
dall’istruzione media. Si trattava di sostituire un razionale canale pubblico alla varietà di
collegi privati, tenuti per lo più da religiosi (Scolopi, Somaschi, ecc) ben radicati nel
territorio. In essi gli insegnamenti spesso obsoleti, tenuti in latino, si sovrapponevano
per antica tradizione nella parte filosofica con i primi anni degli studi universitari
(facoltà delle arti). La separazione tra gli insegnamenti liceali e quelli universitari fu una
delle imprese più difficili e poté essere compiuta solo dopo diversi anni. Essa fece una
vittima illustre: Ugo Foscolo. Egli aveva ottenuto, nel marzo del 1808, la cattedra di
eloquenza italiana che era stata di Vincenzo Monti e poi di Luigi Cerretti. Il 22 gennaio
1809 tenne la prolusione Dell’origine e dell’ufficio della letteratura (Milano, Stamperia
Reale, 1809) seguita da alcune lezioni fino agli inizi di giugno. L’anno successivo
l’insegnamento universitario fu soppresso, perché confinato nei licei.9
L’esperienza dei licei napoleonici ha lasciato una traccia profonda nella pubblica
istruzione italiana: hanno un passato di licei napoleonici alcuni tra i più noti licei
classici e scientifici come il Beccaria a Milano, il Foscarini a Venezia, il Maffei a
Verona, il Canova a Treviso, il Volta a Como, il Carlo Alberto a Novara, lo Stellini a
Udine, il Torricelli a Faenza, il Pigafetta a Vicenza, il Prati a Trento, il Manin a
Cremona, il Petrarca ad Arezzo.10
I licei erano stati creati in Francia con la legge dell’11 floreale anno 10 (1° maggio
1802) al posto delle scuole centrali dell’anno 3, animate da uno spirito enciclopedico
senza un vero asse formativo.11 L’insegnamento liceale era incentrato sulle lettere e il
Ireneo Sanesi, L’insegnamento universitario del Monti e del Foscolo in Contributi alla storia
dell’Università di Pavia, Pavia, Tipografia Cooperativa, 1925, pp. 379-456. Esortazioni alle
storie. Poeti, scienziati e cittadini nell’Ateneo pavese tra Riforme e Rivoluzione, a cura di
Angelo Stella e Gianfranco Lavezzi, Milano, Cisalpino, 2001.
10
Manca ancora uno studio sistematico sui Licei napoleonici, mentre esistono studi sui singoli
licei uno dei più completi è quello di Gregorio Piaia, L’eredità dei “Lumi” al Liceo
Napoleonico di Belluno in Educazione e ricerca storica. Saggi in onore di Francesco De Vivo a
cura di R. Finazzi Sartor, Padova, Alfasessanta, 1995, pp. 27-61. Si veda anche Tonino
Assirelli, Le vicende del liceo “Pigafetta” di Vicenza e l’istruzione liceale in età napoleonica ed
asburgica, Vicenza, 1984. La trasformazione dal 1808 delle università marchigiane in licei
napoleonici è presa in esame in un documentato volume di Emanuele Pagano, La scuola nelle
Marche in età napoleonica, Urbino, Quattroventi, 2000.
11
Sull’insegnamento nelle scuole centrali è ancora utile S. F. Lacroix, Essais sur l’enseignement
en général wet sur celui des mathématiques en particulier, Paris, Courcier, 1805. Lacroix,
9
5
latino (4 professori) e sulle matematiche (2 professori). A capo di un liceo vi era un
provveditore da cui dipendevano un economo con compiti amministrativi ed un censore,
incaricato della disciplina degli studenti. Molti di questi erano ospitati nei locali delle
scuole come convittori a spese dello Stato. Era prevista una divisa per professori e
studenti. Uno dei primi licei fu creato a Torino; a Parigi sorsero i licei Imperial (Louis
le Grand), Charlemagne, Napoléon (Henri IV), Bonaparte (Condorcet). L’autore della
legge per i licei fu il ministro dell’interno Jean Antoine Chaptal (1756-1832), medico e
chimico famoso, nominato ministro da Napoleone il 21 gennaio 1801.12
Chaptal svolse in quegli anni un’attività riformatrice straordinaria che portò in
particolare alla fondazione della Societé d’encouragement pour l’industrie nationale (1
novembre 1801) e all’organizzazione della Camere di Commercio (24 dicembre 1802).
Egli promosse anche una serie di indagini statistiche per conoscere i bisogni dei vari
dipartimenti, affidandone la responsabilità ai prefetti. Si occupò degli ospedali e del
sistema veterinario, creò la prima scuola nazionale per levatrici. L’esercizio della
professione medica, liberalizzato dalla rivoluzione, fu nuovamente regolamentato.
Chaptal lasciò il suo posto di ministro nel luglio del 1804, non approvando la
trasformazione del regime consolare in Impero.
I protagonisti della riforma dell’istruzione in Italia, che in assenza di un ministro
specifico rientrava tra le competenze del Ministro dell’Interno, furono Pietro Moscati,
Giuseppe Compagnoni, Giovanni Paradisi e Giovanni Scopoli.
Pietro Moscati (1739-1824), medico, direttore dell’Ospedale di Milano nel 1785, amico
dei francesi della prima ora, fu membro del Direttorio Cisalpino, arrestato e deportato
dagli Austriaci, partecipò ai Comizi di Lione e fu nominato membro della consulta di
Stato (1802), nel 1805, con il Regno d’Italia fu il primo direttore generale della pubblica
istruzione, carica che tenne fino al 1809, fu poi senatore e conte del Regno d’Italia.
Giuseppe Compagnoni (1754-1833) giornalista e letterato propose al Congresso
Cispadano di Reggio l’adozione del Tricolore come bandiera della Repubblica (7
gennaio 1797), fu poi nell’Università di Ferrara il primo professore in Europa di diritto
Costituzionale. Nel 1798 fece parte del Gran Consiglio della Repubblica Cisalpina,
dove sostenne la soppressione delle corporazioni religiose e fece parte della
Commissione per la pubblica istruzione. Esiliato in Francia nel 1799, pubblicò le Veglie
del Tasso a Parigi nel 1800. Dopo Marengo fu nominato professore di economia politica
a Pavia, ma preferì restare a Milano come Promotore della pubblica istruzione. Nel
1802 fu membro della Consulta e nel 1803 segretario del consiglio legislativo e, quando
questo fu trasformato in Consiglio di Stato (1805), ne fu segretario generale. Con la
caduta del Regno d’Italia ritornò alla sua attività di giornalista e di letterato.
allievo di Condorcet e di Monge, aveva pubblicato per la Scuola centrale “des Quatres Nations”
un corso di matematica in più volumi comprendente un trattato elementare di aritmetica,
elementi di algebra, elementi di geometria, un trattato elementare di trigonometria, complementi
di algebra e di geometria, un trattato elementare di calcolo differenziale e integrale. Questo
corso fu adottato dal governo per i licei e le scuole secondarie. Molti di questi volumi furono
tradotti in italiano. Nei licei della Repubblica e del Regno d’Italia furono tuttavia adottati per la
matematica prima la traduzione del Corso di Matematica dell’Abate Bossut, poi gli Elementi di
algebra e di geometria di Vincenzo Brunacci.
12
Chaptal, sous la direction de Michel Péronnet, Toulouse, Edition Privat, 1988. Jean Antoine
Chaptal, Mes souvenirs sur Napoléon, Paris, Plon, 1893, pp. 87-97.
6
Giovanni Paradisi (1760-1826), matematico, di Reggio, partecipò da protagonista alla
Repubblica Cispadana e Cisalpina. Dopo Marengo fu membro della Commissione
straordinaria di governo della seconda Cisalpina. Dopo i Comizi di Lione, a cui prese
parte, fu nominato nella Consulta di Stato. Dal 1805 al 1809 fu direttore generale per i
ponti e le strade del Regno d’Italia. Fu poi senatore e Presidente del Senato. Membro
dell’Istituto nazionale dal 1802, ne fu il presidente dal 1810.
Giovanni Scopoli (1774-1854), figlio di Giovanni Antonio (professore di botanica e
chimica nell’Università di Pavia), medico, segretario di prefettura a Verona dopo
Lunéville, nel 1805 fu segretario generale in Dalmazia di Vicenzo Dandolo. Nominato
prefetto del Basso Po nel 1807, fu poi prefetto a Treviso e prefetto del Tagliamento. Il
10 ottobre 1809 successe a Moscati come direttore generale della pubblica Istruzione,
svolgendo uno straordinario lavoro di riorganizzazione del sistema dell’istruzione
pubblica e dell’Istituto Nazionale. Promosse celebri inchieste basandosi principalmente
sui professori dei licei (1811). Esse riprendevano i costumi e le abitudini di vita degli
italiani, le feste religiose tradizionali, le cerimonie di massa, i riti funebri, la tipologia
delle case rurali. Nel 1813 Scopoli diresse al principe Eugenio una dettagliata Relazione
della visita fatta delle Pubbliche Scuole in più luoghi di Germania e riflessioni su quelle
del Regno nella quale venivano comparate le scuole della Germania (con esclusione
della Prussia) con il sistema italiano più centralistico. Mantenuto in un primo momento
in carica dagli Austriaci Scopoli fu licenziato nel 1816. Si ritirò a Verona dove trascorse
il resto della sua vita in un ritiro studioso, partecipando ormai anziano alla riunione di
Padova degli Scienziati italiani (1842) e alla commissione Civica di Verona, liberata
dagli austriaci, nel 1848.
Il ministro dell’Interno dal febbraio 1802 al marzo 1803 fu Luigi Villa (1751-1804). Il
18 novembre 1802 il capo della IV Divisione per gli aspetti della pubblica Istruzione del
ministero dell’Interno redigeva un Rapporto sullo stato ed andamento della pubblica
Istruzione all’epoca del governo costituzionale.13
In esso si prendevano in esame i primi provvedimenti per la messa in esecuzione della
legge sulla pubblica Istruzione: era stata nominata una commissione per le Accademie
della belle arti “incaricata di presentare un piano ad entrambe uniforme”; erano stati già
nominati e convocati i primi trenta membri dell’Istituto nazionale. Ma il rapporto
riguardava soprattutto la promozione culturale operata dal governo della Repubblica
Italiana. Si era finanziata la Società italiana della Scienze, creata a Verona da Antonio
Maria Lorgna; si era cercato di rendere regolari i pagamenti degli stipendi a professori,
maestri e bibliotecari, si destinavano somme ai premi per gli scolari. Il governo aveva
inoltre deciso di sostenere la stampa della collana dei Classici Italiani, sottoscrivendo
ottanta copie di ogni volume ed aveva finanziato in parte la pubblicazione di opere di
Gioia, Napoli Signorelli, Tamburini.
Infine si esaltavano le potenzialità della Repubblica nel campo delle scienze
matematiche messe in evidenza dai lavori di Paolo Ruffini sulle equazioni algebriche di
grado superiore al quarto, di Antonio Cagnoli, di Gregorio Fontana, di Vincenzo
Brunacci, Pietro Melchiorre e degli astronomi di Brera. Per quanto riguardava la fisica,
Francesco Melzi d’Eril, Memorie e documenti, a cura di Giovanni Melzi, voll. 2, Milano,
Brigola, 1865; II pp. 471-481.
13
7
la medicina e la chimica eccellevano Alessandro Volta, Giovanni Aldini, Antonio
Scarpa, Luigi Valentino Brugnatelli, Ermenegildo Pini, Filippo Re, Scipione Breislack e
Giovanni Rasori. Nelle lettere si segnalavano Francesco Soave, Vincenzo Monti, Luigi
Bossi, ma anche Ugo Foscolo, Melchiorre Gioia, Pietro Napoli Signorelli.
Si metteva in rilievo inoltre il notevole successo di frequenza di profitto nei nuovi Licei,
ma anche nei superstiti collegi di educazione. Il governo aveva promosso la
vaccinazione antivaiolosa, propugnata in particolare da Luigi Sacco. Provvidenze erano
state disposte per la Scuola Militare di Modena, per la Biblioteca e per il Museo
dell’Università di Pavia. Infine erano stati realizzati provvedimenti per la tutela e il
restauro di opere d’arte tra le quali il Cenacolo di Leonardo.
Diversi documenti conservati nell’archivio di Stato di Milano permettono di ricostruire
in dettaglio il complicato avvio della legge per la pubblica istruzione del 1802. Due tra i
primi sono dovuti rispettivamente a Giovanni Paradisi e a Giuseppe Compagnoni.
Giovanni Paradisi, Consultore di Stato, Presidente della Commissione degli Studi,
rispondendo ad alcuni quesiti di Francesco Melzi d’Eril, Vicepresidente della
Repubblica, il 30 ottobre 1802 sottolineava che:14
I. Era probabilmente impossibile a determinare il limite tra l’Istruzione media e la
sublime.
II. Nessuna diversità poteva stabilirsi tra Ginnasio e Liceo fuorché quella del numero
delle Cattedre. In un dipartimento era previsto un solo liceo, ma erano possibili più
ginnasi, però in un comune non dovevano coesistere Licei e Ginnasi.
III. Insegnamenti obbligatori nei Ginnasi erano:
1. Eloquenza Italiana e Latina
2. Analisi delle idee
3. Elementi di geometria e di algebra
4. Elementi di fisica generale e sperimentale
Insegnamenti obbligatori nei Licei erano:
1. Eloquenza Italiana e Latina
2. Analisi delle idee
3. Elementi di geometria ed algebra
4. Elementi di fisica generale e sperimentale
5. Principi di disegno architettonico e di figura
6. Agraria ed elementi di storia naturale
Insegnamenti facoltativi nei Licei erano
1. Filosofia morale e diritto di natura
2. Istituzioni civili (per la giurisprudenza)
3. Anatomia e fisiologia
4. Istituzioni mediche o istituzioni chirurgiche
Non si dovevano comunque attivare nei licei insegnamenti non previsti nei piani di
istruzione delle università di Pavia e Bologna.
Nelle città sedi di ospedali potevano essere istituite cattedre di
1. Ostetricia
2. Clinica medica e Chirurgia
3. Anatomia applicabile alla chirurgia
14
Archivio di Stato di Milano, Studi, p. m., b. 1.
8
4. Chimica farmaceutica
IV. La supervisione delle scuole era affidata i prefetti e ad una commissione di tre
membri dell’Istituto Nazionale. Era necessario che in ogni prefettura un segretario fosse
appositamente destinato a tale compito.
Nel Rapporto sullo stato e andamento della pubblica Istruzione, redatto dal Ministero
dell’Interno il 22 febbraio 1803 e a firma di Giuseppe Compagnoni, erano contenute
puntuali risposte a quesiti riguardanti: 15
I. Indennità di alloggio per i professori universitari fuori residenza.
II.
Competenza dei Consigli Comunali nella nomina dei maestri elementari
III. Riconoscimenti di studi effettuati ai fini del conseguimento dei titoli di studio (ad
esempio di chi aveva frequentato altre Università)
IV. Spese di manutenzione dei locali ad uso dei Ginnasi
V. Trattamento di vecchi professori che rimanessero senza insegnamenti
Il 31 ottobre 1803 venivano pubblicati sul Foglio Ufficiale della Repubblica Italiana,
(anno II, Milano, Veladini, pp.155-216) i Piani di studi e di disciplina per le Università
nazionali. Nell’ordinamento universitario scompariva la facoltà di teologia, venivano
confermate le facoltà di giurisprudenza e di medicina, l’antica facoltà delle arti lasciava
il posto ad una nuova facoltà matematica che aveva lo scopo di formare gli architetti, gli
ingegneri e i periti agrimensori. Non veniva creata la facoltà di lettere, ma diversi
insegnamenti filosofici e letterari confluivano nella facoltà giuridica (Analisi delle idee,
Eloquenza latina e italiana, Storia e diplomatica, Lingua e letteratura greca, Filosofia
morale e diritto di natura). Venivano aboliti gli antichi Collegi Dottorali che
conferivano le lauree e i gradi accademici furono conferiti, senza l’esborso di spese
spesso assai considerevoli, dai professori. Il titolo universitario aveva valore legale ed
era necessario per esercitare le professioni di avvocato, notaio, medico, chirurgo,
farmacista, architetto, ingegnere, agrimensore. La nomina dei professori universitari
avveniva mediante concorso nazionale, i professori venivano nominati per tre anni e
poi, se confermati, erano inamovibili. Per ogni università era fissato un organico di
trenta cattedre.
Si manifestavano intanto i conflitti di competenze e di attribuzioni nel campo della
stessa istruzione pubblica, a cui si cercò di porre rimedio avocando tutta l’istruzione allo
Stato con il passaggio al Regno d’Italia nel 1805.
Il Regolamento
Con la proclamazione il 18 maggio 1804 di Napoleone a imperatore dei Francesi, la
sorte della Repubblica Italiana era segnata: già il 9 maggio Ferdinando Marescalchi
aveva informato Melzi delle intenzioni di Napoleone di trasformarla in monarchia
ereditaria. Il 15 marzo 1805 Napoleone emanava il primo Statuto del Regno d’Italia con
il quale si proclamava Re, il 26 maggio si incoronava nel Duomo di Milano. Pietro
Moscati, nominato subito direttore generale della pubblica Istruzione, che continuava a
dipendere dal Ministero dell’Interno, produsse una rapida inchiesta sulla situazione
dell’istruzione, dalla quale si ricavava un notevole disordine istituzionale, tranne che per
15
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9
le Università ormai regolamentate e per alcuni Licei dipartimentali. Egli preparò, nel
giro di due mesi un progetto di regolamento aggiuntivo che riguardava in particolare
proprio l’organizzazione dei Licei
Il Progetto di Decreto Reale sull’organizzazione e sul regolamento della pubblica
Istruzione nel Regno fu presentato il 28 agosto 1805 dal ministro dell’Interno Daniele
Felici al Viceré Eugenio Bo. Si tratta di un ampio documento diviso in 209 articoli,
sottoscritto dal consigliere consultore, direttore della pubblica Istruzione Moscati. I
primi quattro articoli riguardano l’ordinamento generale:16
“Art.1.- La pubblica Istruzione dichiarata nazionale è posta in tutta la sua estensione
sotto alla immediata direzione del Governo.
Art.2. – Vi è un consigliere di Stato nominato dal Re, Direttore generale della pubblica
Istruzione del Regno; vi sono tre Ispettori generali, degli Ispettori dipartimentali degli
Studi e dei Vice ispettori nei distretti e cantoni.
Art. 3. – Vi sono nel Regno:
1°. Delle scuole elementari in tutte le comuni e possono riunirsi in un solo comune le
piccole terre o casinaggi.
2°. Delle scuole secondarie in tutte le comuni di prima classe, possono esservi in quelle
di seconda.
3°. De’ licei, de’ collegi o convitti privati approvati dal governo.
4°. Delle scuole elementari, e secondarie di maestri privati, purché approvate dal
governo.
5°. Delle scuole d’arti e mestieri in Milano e in Bologna: la prima sarà aperta
immediatamente, la seconda lo sarà entro due anni.
6°. Due scuole militari per ora una in Pavia, l’altra in Bologna.
7°. Una di genio ed artiglieria in Modena.
8°. Vi possono essere delle scuole speciali mediche e chirurgiche negli spedali che
oltrepassino il numero degli ammalati e delle scuole speciali di Veterinaria, Idraulica e
d’idrometria, Metallurgia e Docimastica [Mineralogia] ed Agricoltura dove il Governo
crederà opportuno stabilire.
9°. Due Università, una in Pavia, l’altra in Bologna.
Art. 4 – Il Re nomina i Professori delle due università di Pavia e di Bologna, quelli delle
due accademie delle belle arti di Milano e di Bologna, gl’Ispettori generali degli studi, i
Governatori delle scuole militari e del genio; nomina pure i Rettori, Amministratori,
Economi, Professori, Ispettori de’ licei, delle scuole speciali, delle scuole secondarie e
primarie.”
I restanti articoli sono ripartiti sotto otto titoli:
“Titolo primo.- Del Consigliere direttore della Pubblica Istruzione
Titolo secondo - Degli ispettori generali
Titolo terzo – Degli ispettori dipartimentali e Vice ispettori
Titolo quarto – Delle scuole elementari o primarie
Titolo quinto – Delle scuole secondarie
Titolo sesto - De’ licei
I.
Istituzione de’ licei
II.
Amministrazione
16
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10
III.
Consiglio d’amministrazione
IV.
Regolamento interno de’ Licei. Del Provveditore
V.
Del Censore
VI.
Dell’Economo
VII. De’ Professori
VIII. De’ Prefetti di camerata
IX.
De’ Maestri di disegno, di scrittura e di arti dilettevoli
X.
Degli Inservienti
XI.
Degli Alunni
XII. Comunicazione degli alunni col di fuori
XIII. Insegnamento e professori
XIV. Degli esami e premi
XV. Delle vacanze
XVI. Dell’infermeria
XVII. Degli esteri
XVIII. Disposizioni generali
Titolo settimo - Scuole di arti e mestieri
Titolo ottavo - Delle Università di Pavia e di Bologna”.
Il regolamento Moscati, oltre che al programma per l’avvenire della pubblica Istruzione
in Italia, fornisce una specie di esame dello stato di essa e si preoccupa esplicitamente
di regolamentare in modo preciso, dopo le Università (1803), anche i Licei.
L’esperienza delle riforme dell’istruzione del 1802 nell’ambito della Repubblica italiana
durò poco più di tre anni. I suoi successi (riorganizzazione del sistema universitario,
creazione dei licei, attivazione dell’Istituto nazionale, definizione degli insegnamenti
scientifici della Scuola di artiglieria e genio di Modena) furono notevoli soprattutto se
si confrontano con altri settori delicati della vita della Repubblica, con i quali
interferivano, come i rapporti tra Stato e Chiesa (il controllo dell’istruzione è stato
sempre un obiettivo della gerarchia ecclesiastica) e quello tra governanti italiani e
truppe francesi di stanza in Italia (a proposito dell’indipendenza dai modelli francesi) .
Per quanto riguarda l’istruzione si trattava da una parte di promuovere
l’alfabetizzazione (l’85% della popolazione era analfabeta) dall’altra di sostituire il
“gotico” edificio dell’istruzione privata, piena di duplicati, casualmente localizzata,
legata a lasciti, fedecommessi (oggetti di perpetue liti), gestita essenzialmente da
religiosi, un’istruzione pubblica e laica. Questo processo fu condotto con
determinazione e con continuità anche con il Regno d’Italia. Tuttavia soprattutto in una
prima fase non si volle, responsabilmente, distruggere prima di costruire e come aveva
fatto Gaspard Monge a Roma, quando avviò la riorganizzazione dell’istruzione nella
Repubblica Romana nel 1798, si protesse e tutelò l’istruzione privata che svolgeva
funzioni di supplenza a quella pubblica ancora carente.17
I licei preparavano alle facoltà universitarie dove si formavano i giuristi, i medici, gli
ingegneri, ma anche alla Scuola di artiglieria e genio di Modena che, fondata nel 1798,
era dotata di insegnamenti scientifici molto avanzati. Meno della metà dei diplomati nei
Luigi Pepe, L’Istituto Nazionale della Repubblica Romana, in “Mélanges Ecole Française de
Rome”, 108 (1996), pp. 703-730.
17
11
licei napoleonici proseguiva tuttavia gli studi: gli altri trovavano impiego nelle
amministrazioni pubbliche, in servizi a livello dipartimentale, nelle forze armate.18
Napoleone nel 1801 aveva firmato il Concordato tra la Repubblica francese e la Santa
sede, ma si era opposto ad ogni tentativo di interferenza della gerarchia ecclesiastica in
materia di istruzione e, in particolare, al diritto reclamato dai vescovi di sorvegliare
l’insegnamento nei licei e alla proposta di creare un tribunale misto per la revisione
della stampa. Fu poi rigido nella soppressione dei conventi: “i frati erano per lui gente
della polizia papale e sobillatori di disordini”. Respinse ogni proposta di istituire un
regime di intolleranza per altri culti o per i non credenti e l’idea di istituire qualsiasi
incapacità politica e civile per i non professanti.
Nella Costituzione italiana del 1802 la religione cattolica era riconosciuta come
religione di Stato, mentre in Francia, in base al concordato, essa era solo la religione
dominante, ossia la religione della maggioranza dei cittadini. L’Italia non aveva subito
la scristianizzazione, operata in Francia dalla rivoluzione; la Curia romana di sentiva più
sicura e si comportò con maggiore intransigenza, cominciando a rivendicare la
restituzione delle Legazioni di Ferrara, Bologna e Ravenna allo Stato della Chiesa. Il
ministro del culto Giovanni Bovara sottolineava il 1 aprile 1803 l’antica posizione della
gerarchia ecclesiastica “che qualunque peccato, essendo sottoposto al giudizio
ecclesiastico, quindi qualunque atto pubblico o privato, qualunque opera non solo tra
cittadino e cittadino, ma ben anche tra Stato e Stato, avendovi inevitabilmente la sua
parte la moralità, così poteva cadere sotto la cognizione della suprema pontificia
autorità”. A questa posizione Melzi oppose un’intransigente difesa delle prerogative
dello Stato, anche presentando continuamente a Napoleone esempi concreti di abusi
dell’autorità ecclesiastica. Per Melzi e Bovara la Curia romana considerava i concordati
una semplice tappa nel cammino del recupero e della rivincita. Per la loro opposizione il
Concordato tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana impiegò tre anni per andare in
porto ed ebbe ben cinque redazioni. Dopo la sua pubblicazione infatti passarono diciotto
mesi per la messa in esecuzione ed esso non ebbe mai completa applicazione nei
territori della Repubblica Italiana. 19
Un evento importante che mise in luce l’effettiva dipendenza della Repubblica dalle
forze francesi occupanti, dichiarate di difesa, fu l’affare Ceroni. Giuseppe Ceroni era un
giovane ufficiale veronese “stimabile per la sua onestà e per i suoi talenti militari”, già
allievo di Melchiorre Cesarotti a Padova che aveva composto versi per l’arrivo dei
Francesi e poi contro la riforma Trouvé. Dal 1799 era capitano, promosso dal generale
Joubert; esule in Francia, dopo Marengo aveva esaltato in versi Bonaparte liberatore
dell’“Italia, unita e indivisibile”. Nel 1802 pubblicò alla macchia un poemetto dedicato
a Leopoldo Cicognara nel quale si scagliava contro i francesi “oppressori” e invocava
un “vendicatore” dell’Italia.20
18
Tra il 1805 e il 1808 fu pubblicato il Corso di matematica in cinque volumi con scritti di
affermati studiosi: Francesco Barbieri, Franca Cattelani Degani, I contributi di P. Cassiani, G.
Tramontini, P. Ruffini alla scuola d’artiglieria e genio di Modena, in Il sogno di libertà cit. pp.
119-126.
19
Carlo Zaghi, Potere, Chiesa e società. Studi e ricerche sull’Italia giacobina e napoleonica,
Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984, pp. 514-537; in particolare pp. 514, 524, 537.
20
Ivi, pp. 629-644.
12
Melzi ordinò il sequestro dell’edizione e Cicognara disse di esserne stato all’oscuro. Il
generale comandante delle truppe francesi in Italia, Murat, dopo aver assecondato il
provvedimento di Melzi, intervenne direttamente, ordinando il sequestro di tutte le carte
del Ceroni. Da queste emerse un certa complicità tra il Ceroni e personaggi in vista
della Repubblica italiana come Cicognara, il generale Pietro Teulié e il prefetto del
Basso Po Pio Magenta. Murat mandò quindi a Bonaparte una relazione in proposito,
nella quale si parlava di complotto antifrancese. Napoleone, preoccupato per il conflitto
che si stava aprendo con l’Inghilterra, reagì irritatissimo: convocò il ministro
Marescalchi (che rimase così impressionato della sfuriata del Primo Console da avere la
febbre) e scrisse una lettera durissima a Melzi. Infine in una lettera alla Consulta di
Stato ordinava l’arresto immediato di Cicognara, Magenta e Teulié. (Ceroni, che era già
stato arrestato e liberato, fu nuovamente arrestato). L’11 aprile 1803 la Consulta di
Stato, sedendo come corte di giustizia, condannò Ceroni a tre anni di carcere e
all’espulsione dall’esercito e destituì dalle cariche pubbliche Cicognara e Teulié, mentre
Magenta fu assolto e reintegrato. Melzi reagì a questo intervento della Consulta
dimettendosi da Vicepresidente e accusando di aver montato il caso il generale
Giuseppe Lechi, collaboratore di Murat; poco dopo anche Murat si dimetteva.
Napoleone pregò Melzi di restare in carica e confermò Murat, rimproverandolo; Lechi
fu spedito nelle Puglie. Gli stessi Teulié, Cicognara e Ceroni furono poi perdonati. In
mezzo a queste vicende personali un problema politico era emerso in modo stridente: i
limiti della sovranità della Repubblica rispetto alla Francia.
In definitiva la pubblica Istruzione della Repubblica Italiana poté essere messa in opera
prima della normalizzazione dei rapporti tra Stato e Chiesa e con una maggiore
autonomia dalla Francia che per quanto atteneva all’organizzazione militare.
La Relazione di Moscati
Rapporto del Consigliere Consultore Moscati, Direttore Generale della pubblica
Istruzione a S. A. S. il Vice Re d’Italia. Milano, li 12 luglio 1805.21
Incaricato da S. M. l’Imperatore, e nostro Re della onorevole ed importante commissione di
organizzare e diriggere la pubblica istruzione del regno, io sottopongo ai sapienti lumi di V. A.
S. quel tal quale progetto di regolamento generale, che mi è stato possibile di delineare nella
deficienza che ho trovato dei dati necessari per istenderne uno più dettagliato e completo. Dopo
matura riflessione io ho creduto partito migliore il cominciare a fare qualche cosa piuttosto che
differire, lasciando frattanto progredire la confusione ed il disordine, fino a che si fossero
raccolti i dettagli ed i dati necessari onde fare un completo generale sistema di pubblica
istruzione. Si aggiunga che la pubblicazione anche prematura di un regolamento che faccia
conoscere le traccie prescritte dal Governo sopra questo importante argomento, potrà servire di
norma ugualmente che di stimolo a tutte le Autorità secondarie onde far pervenire al Direttore
tutte le cognizioni necessarie per il compimento dell’opera.
21
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13
Ella è cosa dispiacevole il dover dire che, dopo tante e replicate ed insistenti ricerche fatte dal
Ministro, non si era finora giunto a sapere con precisione, oltre le due Università ed alcuni Licei
dipartimentali, quante scuole esistano in tutto il nostro territorio; quante sieno veramente e di
qual provenienza le fondazioni, che abbiamo addette alla istruzione pubblica, e ne abbiamo non
poche sparse quà e là; come istituiti e dotati ed esercitati sieno tutti i collegi o i convitti, quali
precisamente sieno i metodi della loro istruzione. Alcuni dipartimenti hanno somministrato
delle notizie sufficientemente esatte, altri le hanno date imperfette, di alcuni mancano affatto le
relazioni, seppure non si trovano mescolate fra le carte delle corrispondenze che si tenevano coi
Dipartimenti, per gli ordini e le provvidenze di dettaglio. Da queste cagioni è nata la
imperfezione delle tabelle generali che non è sfuggita allo sguardo penetrante di S. M. quando
le furono presentate, e nasce ora l’imperfezione di produrre un piano quale dovrebbe essere
completo in tutte le parti intorno all’importante oggetto del quale io sono incaricato.
Non vorrei però, che dal confessare io ingenuamente la imperfezione del progetto che subordino
ai superiori lumi di V.A.S. si venisse a prendere un’idea troppo sfavorevole di esso, poiché, se
per difetto di cognizione di fatto esso manca della dettagliata applicazione del sistema alle
diverse parti del Regno, se non si può per anco fissare per esempio il numero totale delle scuole
primarie, precisare la sede delle secondarie, se non sono indicate individualmente e collocate
ne’ luoghi più convenienti le speciali, egli è però vero che vi si propone abbastanza esattamente
ordinato tutto il sistema della istruzione, che tutti i padri di famiglia vedranno con piacere
leggendolo, quante e quali cure la sovrana beneficenza si prenda dei loro figli, con quali metodi
essi saranno istruiti non solo nella scienze ed arti liberali, ma anche nelle arti meccaniche, tanto
utili alla sapienza del popolo ed alla prosperità dello Stato; vedranno quali e quante giudiziose
cautele si prenderanno onde se ne abbiano non solo bene istruiti, ma anche saggi bene educati e
morali cittadini ed onde sia scossa in avvenire dai loro figli quella polvere tutt’altro che
olimpica che li ricopre.
Di fatto una verità umiliante che non si può tacere si è che, mentre da una parte il nostro
territorio è stato in ogni tempo fecondo di uomini sommi ed in ogni ramo dell’umano sapere
distinti, si vede dall’altro con rammarico che, malgrado le immense somme impiegate ne’
passati tempi per la pubblica istruzione, malgrado non poche, sebbene in dettaglio tenui
fondazioni che si hanno a questo oggetto, forse una quindicesima parte appena della nazione sa
leggere scrivere e far conti, mentre altrove appena si trova nel popolo chi non sa leggere. E
questa riflessione appunto, oltre il desiderio di secondare le giuste premure di V. A. S. pel
sollecito incamminamento ad un sistema generale d’istruzione è quella ad affrettare la
presentazione a V. A. S. del presente regolamento, il quale, se non basta a regolarizzare in tutte
le sue parti la pubblica istruzione del Regno, servirà almeno, quando venga sanzionato
dall’approvazione di S. M. e di V. A., di norma onde poter prendere in considerazione parte a
parte i diversi rami di esso e condurli in seguito verso la perfezione.
Il progetto di regolamento che ho l’onore di subordinare a V. A. S. è basato sui metodi stabiliti
in Francia, la utilità dei quali è confermata dall’esperienze di qualche anno. Se si fosse dovuto
far tutto di nuovo si sarebbe forse potuto esaminare preliminarmente e discutere la massima
fondamentale se convenisse piuttosto nello stabilire un regolamento decretare gratuita
l’istruzione elementare e primaria, dalla quale tutto il popolo, anche il più povero ha bisogno, e
far pagare invece l’istruzione de’ cittadini più agiati, diretta a trarne un individuale profitto o per
impieghi o per professioni che si acquistano, alla quale opinione io inclinai in un opuscolo
anonimo da me pubblicato quando fra noi si fecero leggi per la pubblica istruzione, ma le mie
prescrizioni sono di conformarsi per quanto si possa al sistema francese, ed in fondo trattandosi
di far nuove istituzioni convien forse meglio adottare le comprovate dalla sperienza, di quanto
sia tentare con esito incerto sperimenti nuovi comunque appoggiati a plausibili teorie ed è
perciò appunto, che io mi sono appigliato senza esitanza alle istruzioni datemi prescindendo da
ogni teorica e disparata quistione.
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Fatta questa necessaria apologia alla imperfezione del progetto, ed indicata l’utilità di pubblicar
presto qualche norma onde poter con metodo progredir poi verso la perfezione passerò ad
esporlo, contento se V. A. S. si degnerà, dopo averlo veduto, di valutare se non altro la buona
volontà di chi ha l’onore di presentarglielo.
Pietro Moscati
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Capitolo XXIII - Università degli Studi di Ferrara