I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE TIFORMA c/o UNIONCAMERE Firenze, 23 e 31 ottobre 2013 Relatore Avv. Gabriele Martelli Avvocato del Foro di Firenze – Consulente per Enti Locali e Aziende 1 I reati contro la pubblica amministrazione sono suddivisi in due settori. Da un lato si collocano i reati che rappresentano un’aggressione ad interessi della pubblica amministrazione che proviene dall’interno della stessa, cioè commessi da soggetti che appartengono alla pubblica amministrazione. Si tratta di reati propri commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio (articolo 314-335). E’ poi prevista un a seconda categoria di reati commessi da privati ai danni della pubblica amministrazione (articoli 334-356), comprendente situazioni molto diverse, quali, ad esempio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale, i reati di oltraggio e di interruzione di pubblico servizio. 2 E’ ESTREMAMENTE IMPORTANTE ACCERTARE quando un soggetto può essere definito pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio. La versione originaria del codice conteneva due definizioni sostanzialmente tautologiche; infatti, si riteneva pubblico ufficiale il soggetto che svolgeva una pubblica funzione ed incaricato di pubblico servizio chi svolgeva un pubblico servizio. Il legislatore del 1990, con la legge 86, nel quadro di una modifica non complessiva, ma sicuramente articolata, dei reati contro la pubblica amministrazione, ha cercato di affrontare la questione cercando di offrire qualche indicazione in più rispetto al passato. 3 ARTICOLO 357 CODICE PENALE – Nozione di pubblico ufficiale [1] Agli effetti della legge penale sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. [2] Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi. ARTICOLO 358 CODICE PENALE – Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio: [1] Agli effetti della legge penale, sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. [2] Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale. Che differenze ci sono tra Pubblico Ufficiale ed incaricato di pubblico servizio? - I pubblici ufficiali sono coloro che esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Ricoprono una pubblica funzione legislativa i membri del Parlamento ed i membri dei Consigli Regionali. Ricoprono una pubblica funzione giudiziaria, concetto forse meno intuitivo di quello precedente, ma ricollegabile all’esercizio di uno dei classici poteri individuati dalla tripartizione risalente a Montesquieu, coloro che operano nel settore della giurisdizione, compresi i soggetti che non svolgono propriamente una funzione giurisdizionale, ma una semplice funzione di supporto alla stessa. 4 Area magmatica e di difficile individuazione risulta quella residuale, che, in maniera puramente riassuntiva, viene definita pubblica funzione amministrativa. Il legislatore del 1990 ha cercato di cimentarsi proprio su questo terreno, dettando qualche direttiva di identificazione. Ai sensi del secondo comma dell’articolo 357, si considera pubblica funzione amministrativa quella disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi. La norma enuncia, inoltre, una serie di parametri (concetti di formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione oppure il suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi) che servono proprio per distinguere il pubblico ufficiale dall’incaricato di pubblico servizio. Infatti per pubblico servizio, ai sensi del secondo comma dell’articolo 358, si intende un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione. Alla persona incaricata di pubblico servizio però non sono attribuiti i poteri tipici della pubblica funzione. Inoltre, situazioni che, di per sé, rientrerebbero nella definizione di pubblico servizio, vengono escluse per evitare un’eccessiva dilatazione delle qualifiche soggettive (e quindi dell’applicazione dello Statuto Penale della Pubblica Amministrazione). Non sono considerate persone incaricate di pubblico servizio coloro che svolgono semplici mansioni di ordine o prestano opera meramente materiale. Dall’analisi delle due disposizioni, così come sono state riformulate da legislatore nel 1990, si evince che, in definitiva, la prima operazione da effettuare (di fatto piuttosto difficoltosa) consiste nell’identificare l’attività pubblicisticamente qualificata, all’interno della quale occorrerà poi distinguere la pubblica funzione dal pubblico servizio in senso stretto, contrapponendolo alle attività di natura privata (non soggette allo Statuto Penale della Pubblica Amministrazione). Proprio in quest’ambito si gioca la partita più importante in quanto una volta che è stato chiarito che un certo settore rientri tra le attività pubblicisticamente rilevanti sarà sufficiente individuare l’esercizio di determinati poteri, segnalati nella seconda parte della definizione della funzione amministrativa, per distinguere tra pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio. In pratica, risulta pubblico ufficiale il soggetto che ricopre poteri autoritativi ed autocertificativi che lo distinguono dal semplice incaricato di pubblico servizio, cui questi poteri 6 non sono attribuiti. Come si identificano le attività di natura pubblicistica? La risoluzione del problema inerente l’identificazione dell’attività che possa rientrare nella definizione di pubblica amministrazione, venendo di conseguenza regolamentata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, risulta fondamentale perché determina l’applicazione della disciplina penalistica. Infatti, deve essere tenuto ben presente che il ricorso alla disciplina penalistica prevede in alcune situazioni l’applicazione del reato A anziché del reato B (vedi ad esempio la dicotomia peculato – appropriazione indebita) ed in altri casi l’applicazione di una norma penale in vicende che se commesse da un privato risulterebbero penalmente irrilevanti (rifiuto di atti d’ufficio, abuso d’ufficio, ecc…). NON E’ SEMPLICE CAPIRE QUANDO SIAMO DIFRONTE AD UN’ATTIVITA’ DI NATURA PUBBLICISTICA. Anzitutto attività pubblicistica non significa ATTIVITA’ SVOLTA DA UN SOGGETTO PUBBLICO essendo sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalità pubbliche. Si tratta dunque di attività regolamentate da norme di diritto pubblico, che vincolano l'operatività dell'agente o ne disciplinano la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell'autonomia privata. E COSA SONO LE NORME DI DIRITTO PUBBLICO? Sono norme con cui una determinata attività viene finalizzata al perseguimento di interessi pubblici ed in cui la pubblica autorità interviene in maniera più vincolante e più presente che in altri settori. (Per quanto attiene alle Camere di Commercio non si dimentichi che queste sono menzionate tra le Pubbliche Amministrazioni di cui al D. Lgs. 165/2001 e quindi senz’altro la loro attività ha finalità pubbliche, anche se non necessariamente tutta l’attività) Le norme di diritto pubblico (che appunto delimitano l’attività e l’area pubblicisticamente rilevante, all’interno della vengono individuati i P.U. ed I.P.S.) sono norme volte al perseguimento di una pubblica finalità ed alla tutela di un interesse pubblico e, come tali, contrapposte alle norme di diritto privato (che perseguono un fine privato) LA NATURA PUBBLICISTICA DELL’ATTIVITA’ DEVE ESSERE VERIFICATA IN CONCRETO IN BASE AD UN CRITERIO OGGETTIVO FUNZIONALE Ad esempio l’attività del funzionario della Cassa Edile che cura la riscossione delle somme versate dagli imprenditori del settore edilizio a titolo di accantonamento della parte di retribuzione differita dovuta ai propri dipendenti e la successiva erogazione a questi ultimi delle medesime somme, che concernono il trattamento economico contrattuale relativo alle ferie, alla gratifica natalizia e alle festività infrasettimanali, meccanismo questo imposto dalle peculiari connotazioni dello specifico rapporto di lavoro e dall'esigenza di garantire ai lavoratori del settore minimi salariali inderogabili, è un’attività pubblicistica ed il funzionario E’ SENZ’ALTRO UN INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO PERCHE’ svolge un’attività diretta oggettivamente al raggiungimento della pubblica finalità ex «art. 36 Cost. di «assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria» Un dirigente/dipendente di un ente che compie un’attività ed emette un atto/provvedimento che incide sulla programmazione dell’ente, sull’assetto organizzativo e sulla destinazione specifica delle risorse finanziarie disponibili compie senz’altro un’attività di natura pubblicistica, che concorre alla formazione della volontà dell’ente, ed essendo titolare, in forza della sua posizione, di poteri autoritativi, è P.U. Il commercio, invece, in genere si rivolge al pubblico, ma non risulta un pubblico servizio, anche se nel suo ambito si incontrano situazioni non sempre chiare (le farmacie, per esempio, seguono una disciplina che potrebbe consentire di qualificarle come pubblico servizio). In pratica, è presente una serie di settori in cui il problema si pone in maniera più complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista. In questi campi non si può mai dare per scontato che vi sia una qualifica pubblicistica in gioco in quanto è necessario analizzare attentamente la disciplina di settore I dipendenti bancari non sono considerati I.P.S. perché svolgono un’attività imprenditoriale di natura privata. I portieri dell’ospedale non sono considerati incaricati di pubblico servizio perché svolgono un’attività di mera custodia senza fornire un contributo concreto alle finalità del servizio pubblico • • UNA VOLTA DELINETA L’AREA PUBBLICISTICAMENTE RILEVANTE SI DISTINGUE COME DETTO TRA: Chi ha poteri autoritativi o certificativi è PUBBLIO UFFICIALE Chi non ha tali poteri è INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO salvo che svolga semplici mansioni d’ordine o attività puramente materiali. Si tratta di soggetti che svolgono la loro attività inquadrati nell’ambito di un pubblico servizio, ma non risultano incaricati di pubblico servizio perché il loro compito è puramente esecutivo o comunque si esaurisce nel compimento di attività meramente materiali. E’ QUI CHE, NELLA VITA QUOTIDIANA, SI GIOCA LA PARTITA PiU’ IMPORTANTE: MA COME SI FA A CAPIRE SE L’INCARICATO SVOLGE SOLO MANSIONI D’ORDINE O PURAMENTE MATERIALE? Dottrina e giurisprudenza sostengono che per includere un soggetto nel novero degli incaricati di pubblico servizio sia necessaria la possibilità di svolgere un’attività almeno autonoma (se non discrezionale). Occorre dunque accertare se i compiti risultino meramente esecutivi o implichino un ambito, seppure molto ristretto, di scelta 12 Ad esempio, l’autista di un mezzo pubblico, NON E’ CONSIDERATO I.P.S. in virtù del fatto che è tenuto ad eseguire un’attività prevalentemente programmata da altri e NON HA ALCUN MARGINE DI AUTONOMIA E DI SCELTA. Qualche discussione in più si è avuta riguardo gli autisti di mezzi di soccorso (autoambulanze) cui, in alcuni casi è stata attribuita la qualifica di incaricati di pubblico servizio. Il tassista NON è CONSIDERATO I.P.S. in quanto l’attività non lascia al soggetto margini di autonoma determinazione. Il tassista è, infatti, obbligato a contrarre con il pubblico ed è obbligato a seguire il percorso più conveniente per raggiungere la meta indicatagli dal cliente (quindi si presenta con una veste analoga a quella dell’autista della linea filoviaria, tranviaria o automobilistica che è tenuto a seguire un percorso più o meno obbligato ed è privo di margini di autodeterminazione). L’operatore ecologico non è considerato IPS perché svolge funzioni meramente materiali. 13 UNA DELLE TEMATICHE PIU’ DISCUSSE E’ QUELLA RELATIVA ALLA QUALIFICAZIONE DI INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO PER CHI “GESTISCE” I CONTRATTI DI APPALTO Secondo la giurisprudenza che si è formata su tale specifica questione, il pubblico servizio deve comportare una prestazione resa da un soggetto pubblico (o privato che, in forza di diversi meccanismi giuridici, si sostituisca a quello pubblico) alla generalità degli utenti (Cass., sez. un. 30 marzo 2000, n. 71). La nozione di pubblico servizio come prestazione resa alla generalità, da parte di un soggetto, anche privato, che sia inserito nel sistema dei pubblici poteri o sia a questi collegato e che sia sottoposto ad un regime giuridico derogatorio dal diritto comune (Cass. sez. un. 30 marzo 2000, n. 72) è condivisa anche dal CDS. Sulla scia dell'adeguamento agli altri ordinamenti europei (Cons. Stato, ad. plen. ord. 30 maggio 2000, n. 1), la nozione di servizio pubblico nel sistema nazionale postula una sua interpretazione in senso oggettivo, intesa come prestazione necessaria a favore della generalità (art. 16 -ex 7D- del Trattato CE) e si presta a ricomprendere, nell'alveo dei servizi di interesse generale, le attività di servizio, commerciale o non, considerate d'interesse generale dalle pubbliche autorità, e per tale ragione sottoposte ad obblighi specifici di servizio pubblico (cfr. art. 16 -ex art. 90- del Trattato CE). Secondo il diritto comunitario primario e il diritto nazionale, va esclusa dall'alveo dei pubblici servizi la fornitura di beni ad un'amministrazione aggiudicatrice o ad un ente aggiudicatore da parte di un soggetto privato, in esecuzione di un contratto di appalto, solo quando la fornitura stessa sia estranea alla specifica missione dell'amministrazione o dell'ente: al compito cioè che essi assolvono nell'ambito dell'ordinamento e ne giustifica la prerogativa dello speciale regime pubblicistico (Cass. sez. un. 23 aprile 2008, n. 10443; 12 novembre 2001, n. 14032; 12 febbraio 1988 n. 1500); e ciò diversamente dall'affidamento della gestione di servizi aggiuntivi o integrativi che si pongono come accessorio rispetto al servizio reso alla generalità, di cui costituiscono complemento essenziale per il corretto funzionamento ed esercizio (Cass. sez. un. 27 maggio 2009, n. 12252). Ad esempio è indubbio il carattere di complementarità della fornitura, manutenzione e gestione delle paline indicatrici di fermata, rispetto al servizio di trasporto esercitato. Anche il dipendente addetto allo svolgimento delle funzioni di tesoriere riveste la qualità di persona incaricata di pubblico servizio, in considerazione del ruolo servente del reparto di amministrazione finanziaria cui è preposto e del rapporto di diretta complementarietà rispetto al buon funzionamento dell'erogazione dei servizi (e pertanto risponde ad esempio di peculato . Cass. Pen. 42098/2009). I SINGOLI REATI CONTRO LA P.A. Con tale accezione vengono identificate situazioni che possono essere realizzate soltanto da chi occupa una determinata posizione all’interno dell’ordinamento, rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, una qualifica quindi penalisticamente rilevante. Questo gruppo di fattispecie costituisce quello che con formula riassuntiva viene indicato come lo “Statuto penale della pubblica amministrazione”, cioè quella disciplina che riguarda la pubblica amministrazione in senso lato. Lo Statuto Penale della pubblica amministrazione prevede fattispecie reato che se commesse da soggetti non inquadrati nella pubblica amministrazione non costituirebbero illecito penale (ad esempio, l’omissione di atti d’ufficio individua comportamenti che fuori dal settore pubblico non hanno alcuna rilevanza penale), oppure darebbero vita ad una diversa imputazione (ad esempio certe forme di peculato se non fossero previste come tali sarebbero punibili ai sensi dell’appropriazione indebita). 17 IL REATO DI CORRUZIONE, CONCUSSIONE ED INDEBITA… IL REATO DI CORRUZIONE E’ STATO MODIFICATO DALLA L. 190/2012 Prima della L. 190/2012 il codice penale distingueva due tipi di reati di corruzione: 1) Il reato di corruzione per un atto di ufficio ex art. 318 (c.d. corruzione impropria) ove il fatto incriminato al comma primo era quello del “pubblico ufficiale che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta o ne accetta la promessa” (c.d. corruzione impropria antecedente) e, al comma secondo, quello del pubblico ufficiale che “riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto” (c.d. corruzione impropria susseguente). Esempio di scuola: il pubblico ufficiale al fine di ottenere il pagamento di una tangente ritarda il rilascio di una licenza ad un privato legalmente qualificato ad ottenere tale licenza. 2) Il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio ex art. 319 (c.d. corruzione propria) ove il fatto incriminato era (e tutt’oggi è) quello del “pubblico ufficiale che per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio riceve per sé o per un terzo denaro od altra utilità o ne accetta la promessa” . Esempio di scuola: il privato chiede al pubblico ufficiale l’ottenimento di un servizio che non ha diritto ad avere. La differenza tra i due reati si basava proprio sul binomio atto conforme (318 c.p.c.) e atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.). Dunque l’elemento (c.d. costitutivo) dei reati era rappresentato proprio dall’atto conforme (318 c.p.) o contrario (319 c.p.) ai doveri d’ufficio e la pubblica accusa (visto il principio costituzionale di presunzione di innocenza sino a prova contraria) doveva provare (al di là di ogni ragionevole dubbio) la sua esistenza ED ANCHE che proprio in ragione di tale atto il pubblico ufficiale aveva ottenuto (o accettato la promessa di) una utilità non dovuta. Tale operazione però era particolarmente complessa, soprattutto in situazioni di illegalità diffusa, dove la dazione di una utilità andava a remunerare un pubblico ufficiale per atti assunti da altri pubblici ufficiali vicino al primo, in una logica di scambi e protezioni reciproche. Inoltre l’individuazione dello specifico atto oggetto di scambio risultava difficile nel caso di pubblici ufficiali c.d. “a libro paga”intendendo con ciò il pubblico ufficiale che veniva dal privato “pagato in maniera forfettaria o periodicamente non perché compia un determinato atto o ometta un determinato atto, ma perché sia disponibile a compiere od omettere tutti gli atti che dovessero essere utili al privato, che lo sovvenziona”. In questi casi ciò che viene pagato e remunerato non è un atto bensì l’impegno ad attivarsi su ordine del privato 19 Per sopperire a tale difficoltà la giurisprudenza (sia pure con riferimento alla sola corruzione propria) non solo ha attribuito alla nozione di atto di ufficio, intesa dunque in senso lato, una vasta gamma di comportamenti, effettivamente o potenzialmente riconducibili all'incarico del pubblico ufficiale (e quindi non solo il compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l'emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato (seppur individuabi): (vedi, tra le altre, Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006,; Sez. 6, n. 23804 del 17/03/2004), ma è giunta anche a prescindere dalla necessaria individuazione, ai fini della configurabilità del reato, di un atto al cui compimento collegare l’accordo corruttivo, ritenendo sufficiente che la condotta presa in considerazione dall'illecito rapporto tra privato e pubblico ufficiale sia individuabile anche genericamente, in ragione della competenza o della concreta sfera di intervento di quest'ultimo, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti singoli non preventivamente fissati o programmati (Sez. 6, n. 30058 del 16/05/2012; Sez. 6, n. 2818 del 02/10/2006), sino al punto di affermare che integra il reato di corruzione (in particolare di quella cosiddetta "propria“) SIA l'accordo per il compimento di un atto non necessariamente individuato "ab origine“ ma comunque individuabile, SIA l'accordo che abbia ad oggetto l'asservimento più o meno sistematico - della funzione pubblica agli interessi del privato corruttore, che si realizza nel caso in cui il privato prometta o consegni al soggetto pubblico, che accetta, denaro od altre utilità, per assicurarsene, senza ulteriori specificazioni, i futuri favori (Sez. fer., n. 34834 del 25/08/2009). 20 1) 2) Tale orientamento giurisprudenziale è stato positivizzato dal legislatore che con la L. 190/2012 ha riscritto l’art. 318 c.p. lasciando però immutato l’art. 319 c.p. (relativamente al quale sono state inasprite le pene). Il nuovo art. 318 c.p. rubricato, oggi, semplicemente “Corruzione per l’esercizio della funzione” dispone che “Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. Le differenze rispetto al vecchio art. 318 c.p. sono molteplici: Anzitutto viene meno la distinzione tra corruzione impropria antecedente e susseguente Il secondo e più evidente segno di differenziazione tra la vecchia e la nuova ipotesi di “corruzione impropria” è rappresentato dalla soppressione del necessario collegamento della utilità ricevuta o promessa con un atto, da adottare o già adottato, dell’ufficio, divenendo quindi possibile la configurabilità del reato anche nei casi in cui l’esercizio della funzione pubblica non debba concretizzarsi in uno specifico atto (recependo così l’interpretazione giurisprudenziale sopra esposta). La nuova norma pur continuando ad essere formalmente rubricata come “corruzione”, avrebbe in realtà introdotto, secondo alcune prime letture dottrinali, la figura di un vero e proprio “asservimento” del soggetto pubblico ai desiderata del soggetto privato, stante la non necessità di dimostrare appunto un legame tra il compenso ed uno specifico atto di ufficio. 21 NOTA CRITICA: La eliminazione dalla fattispecie di cui all’art. 318 c.p. di qualsiasi riferimento all’atto oggetto di scambio sembrerebbe far venir meno quell’elemento che sino ad oggi ha distinto la corruzione impropria dalla corruzione propria, e costituito dalla promessa o dazione illecita per il compimento di un atto, rispettivamente, proprio dell’ufficio ovvero contrario ai doveri di ufficio del pubblico ufficiale. A seguito della novella, dunque, la sola corruzione “propria” (art. 319 c.p.) continua oggi ad essere impostata sul riferimento ad un atto dell’ufficio mentre quella impropria no. Insomma il fatto che il legislatore abbia deciso di escludere la necessità di individuazione dell’atto solo per il reato di cui all’art. 318 c.p (corruzione impropria) ed abbia altresì deciso coscientemente di non modificare l’art. 319 c.p. (corruzione propria) -ancorato all’atto contrario ai doveri d’ufficio- lascia intendere che per tale ultimo reato occorra la dimostrazione e la prova dell sinallagma dazione o promessa di utilità - compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio NONOSTANTE la giurisprudenza richiamata nelle precedenti slides, con riferimento alla corruzione propria abbia sino ad oggi ritenuto di dover prescindere dalla individuazione di tale atto. 22 3) Il terzo elemento di differenziazione è costituita dal fatto che nel vecchio art. 318 c.p. si faceva riferimento ad una “retribuzione non dovuta” sotto forma di danaro o altra utilità mentre nel nuovo art. 318 c.p. si fa riferimento al pubblico ufficiale che indebitamente riceve denaro o altra utilità. L’inserimento dell’avverbio “indebitamente” in luogo di “retribuzione non dovuta” non sembra aggiungere efficacia selettiva alla norma, essendo riferito non all’atto amministrativo o alla condotta svolta nell’esercizio delle funzioni, ma alla ricezione o all’accettazione della promessa di denaro o altre utilità. Viene così esclusa la rilevanza penale dei casi in cui l’utilità promessa o corrisposta al pubblico ufficiale è effettivamente dovuta allo stesso, per ragioni inerenti all’ufficio, ovvero è dovuta all’amministrazione per conto della quale il soggetto pubblico la riceve. La sostituzione della locuzione “retribuzione” con “denaro o altre utilità” è invece di fondamentale importanza in quanto proprio la qualificazione “retributiva” della dazione aveva alimentato quelle posizioni giurisprudenziali secondo cui la stessa traduceva la precisa volontà del legislatore di escludere dall’ambito di operatività della incriminazione tutte quelle situazioni non caratterizzate da un vero e proprio rapporto “sinallagmatico” tra la prestazione del corruttore e quella del corrotto e di includervi, al contrario, solo quelle dazioni o promesse proporzionate al tipo e all’importanza della prestazione richiesta al pubblico ufficiale, sicché, in definitiva, il reato doveva essere escluso sia nel caso di minima entità dell’utilità sia in quello di evidente sproporzione rispetto al vantaggio ottenuto (Sez. 6, n. 4072 del 09/02/1994) 23 4) 5) 6) Sotto il profilo soggettivo la legge 190/2012 è intervenuta modificando l’art. 320 c.p. attraverso l’eliminazione del riferimento al pubblico impiegato per la punibilità dell’incaricato di pubblico servizio. Nel senso che precedentemente l’art. 320 c.p. prevedeva che il reato di cui all’art. 318 c.p. si applicava alla persona incaricata di pubblico servizio “qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato” mentre il nuovo art. 320 c.p. si limita a stabilire che “Le disposizioni degli art. 318 e 319 si applicano anche all’incaricato di un pubblico servizio.” e dunque anche se non riveste la qualità di pubblico impiegato” . E’ comunque prevista la riduzione di un terzo della pena. La pena prevista per il reato di cui all’art. 318 c.p. è stata aumentata. Prima era della reclusione da sei mesi a tre anni (comma 1) e di quella fino ad un anno (comma 2). Oggi invece è della reclusione da uno a cinque anni, il che consente l’utilizzo di tutti quegli strumenti investigativi , prima esclusi, tra i quali soprattutto le intercettazioni telefoniche. È stata inasprita (in maniera significativa) la pena per il reato di corruzione propria ex art. 319 c.p.. Prima era: reclusione da 2 a 5 anni. Oggi è: reclusione da 4 a 8 anni Le modifiche all’art. 318 hanno poi necessariamente comportato l’adeguamento alla nuova struttura del reato della previsione dell’art. 322 c.p. in tema di “istigazione alla corruzione”, il cui primo comma è stato modellato nel senso che chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora la promessa o l’offerta non sia accettata, alla pena stabilita dal primo (ed oggi unico) comma dell’art. 318 ridotta di un terzo, mentre, in forza del comma terzo, la medesima pena si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri. 24 GIURISPRUDENZA: CASSAZIONE PENALE N. 27719/2013 Per “spesa di rappresentanza” imputabile a un ente pubblico, deve intendersi solo quella destinata a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell’ente al fine di accrescere il prestigio dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (nella specie, da queste premesse, è stato rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna ove si era ravvisato il reato di truffa nei confronti del presidente del consiglio di amministrazione di una società per azioni che si assumeva avesse fraudolentemente ottenuto dalla società il rimborso delle spese effettuate per pranzi non riferibili alla sua carica istituzionale, ma alla sua attività politica: era emerso, infatti, che i pranzi organizzati e per cui era stato ottenuto il rimborso, nulla avevano a che fare per loro oggetto e identità dei partecipanti con attività di rappresentanza o promozionali della società) MA non è configurabile il delitto di corruzione per atto di ufficio ex art. 318 cod. pen. - nel testo vigente prima delle modifiche della l. n. 190 del 2012 - nei confronti del Presidente di una società di gestione di una tratta autostradale, perché, pur rivestendo quest'ultimo la qualifica di incaricato di pubblico servizio, non può essere considerato un pubblico impiegato. CASSAZIONE PENALE N. 14451/2013 Risponde del reato di corruzione il sovrintendente di Polizia Penitenziaria responsabile dell'Ufficio Matricola della Casa Circondariale di (OMISSIS), che ha ricevuto gratuitamente in tempi diversi da (OMISSIS), detenuto presso detta Casa Circondariale, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), due gommoni marini, per operarsi in favore del detenuto nelle pratiche relative alla concessione di permessi-premio o di misure alternative alla detenzione (accertato in (OMISSIS)). CASSAZIONE PENALE N. 38762/2012 In tema di corruzione, non può essere ricondotta alla nozione di "atto di ufficio" la "segnalazione" o "raccomandazione" con cui un pubblico ufficiale sollecita il compimento di un atto da parte di altro pubblico ufficiale, trattandosi di condotta commessa "in occasione" dell'ufficio che, quindi, non concreta l'uso di poteri funzionali connessi alla qualifica soggettiva dell'agente. (Nella specie, la Corte ha escluso il delitto di cui all'art. 318, comma secondo, cod. pen. nei confronti del sindaco di un comune che aveva ricevuto un regalo per avere, in precedenza, sollecitato al direttore di una ASL il trasferimento di un sanitario). 1) Vi sono due ulteriori tematiche da affrontare: La prima è quella della compatibilità del reato corruttivo con l’adozione di atti discrezionali. Prima della riforma dell’art. 318 c.p. la dottrina e giurisprudenza (ritenendo compatibile l’atto discrezionale con il reato corruttivo) si ponevano il problema di distinguere in quali casi l’atto discrezionale era conforme (corruzione impropria) o contrario (corruzione propria) ai doveri di ufficio. La distinzione era di fondamentale importanza sia sotto il profilo sanzionatorio (la corruzione per atto contrario era punita con pena sensibilmente più alta) sia sotto il profilo della prescrizione del reato, sia infine sotto il profilo dell’ammissibilità delle intercettazioni e delle misure cautelari personali, applicabili all’epoca solo per il reato di cui all’art. 319 c.p. (corruzione propria). La giurisprudenza e la dottrina ritenevano che l’esercizio della discrezionalità da parte del pubblico ufficiale viziata ed inquinata dalla promessa o indebita dazione di denaro, non poteva che dar luogo ad un atto contrario ai doveri di ufficio (con la conseguente applicabilità dell’art. 319 c.p.) comprendendo tali doveri anche i generali obblighi di imparzialità, onestà ed esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico. 28 In particolare secondo la Cassazione si configurava il reato di corruzione impropria ex art. 318 c.p. in relazione ad un atto discrezionale solo ed esclusivamente “qualora sia dimostrato che lo stesso atto sia stato determinato dall’esclusivo interesse della pubblica amministrazione e che pertanto sarebbe stato comunque adottato con il medesimo contenuto e le stesse modalità anche indipendentemente dalla indebita retribuzione” (Cass. n. 36083 del 2009), stabilendo così una “presunzione di contrarietà” per tutti gli altri atti discrezionali assunti dal p.u. a fronte dell’illecita retribuzione o promessa di remunerazione Con la nuova formulazione dell’art. 318 c.p., non ponendosi più problemi di distinzione tra atto conforme e atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.), può darsi che spinga la giurisprudenza a cambiare opinione sulla sopra detta “presunzione di contrarietà” (peraltro criticata da parte della dottrina) MA sinceramente non sembra in grado di mettere in discussione la compatibilità del reato corruttivo con l’attività discrezionale della P.A. 29 2) La seconda questione riguarda invece il momento consumativo dei delitti di corruzione. La nuova fattispecie dell’art. 318 c.p. punisce già l’accordo corruttivo senza che sia necessario che alla promessa segua la dazione dell’utilità. Analoga previsione è contenuta nell’art. 319 c.p. che non richiede per l’integrazione del reato, né che la illecita retribuzione venga effettivamente corrisposta né che l’atto contrario venga posto in essere dal pubblico ufficiale. Il problema principale concerne la rilevanza, ai fini di individuare il tempo ed il luogo del reato, dell’effettivo pagamento che intervenga successivamente ed in esecuzione dell’accordo già concluso. Secondo parte della dottrina il pagamento costituirebbe un post factum non punibile, con la conseguenza che per individuare il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione occorrerebbe far riferimento a tempo in cui l’accordo è stato raggiunto. La giurisprudenza invece ha elaborato una soluzione c.d. a duplice schema per cui “il delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione/ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla promessa faccia seguito la dazione/ricezione è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione” (Cass. Sez. Unite n. 15208 del 2010) 30 Per quanto attiene alla posizione del CORRUTTORE, l’art. 321 c.p., richiamando espressamente ed esclusivamente l’ art. 318 comma 1 sanzionava il corruttore solo in caso di c.d. corruzione impropria antecedente. L’art. 321 c.p., verosimilmente per un difetto di coordinamento, non è stato modificato dalla legge 190/2012; ciò non toglie che per effetto dell’inglobamento di corruzione antecedente e susseguente all’interno di un’unica fattispecie, il conduttore possa essere punito anche per la corruzione susseguente, configurandosi in tal modo una ipotesi di nuova incriminazione, insuscettibile, come tale, di applicazione retroattiva. 31 Il reato di corruzione è “aggravato” (cioè la pena è aumentata, ed è aumentata anche la sanzione ex D. Lgs. 231/2001) se, il fatto di cui all'articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi (art. 319 bis). Poco felice è il riferimento al “pagamento o rimborso di tributi”. La formula normativa utilizzata dal legislatore potrebbe apparire generica e suscitare perplessità nella ricostruzione degli esatti confini della nuova fattispecie. Infatti, la legge non chiarisce, se il legislatore abbia voluto circoscrivere l'aggravamento della pena alla sola ipotesi in cui l'attività contraria ai doveri d'ufficio sia diretta all'alterazione dei pagamenti e dei rimborsi, ovvero se i due termini («pagamento» e «rimborso») assumano un significato più generico e, conseguentemente, se oggetto del l'aggravante sia la corruzione posta in essere per lo svolgimento di qualunque attività in grado di condizionare l'entità di debiti e crediti fiscali. La Corte di Cassazione ritiene che la nuova aggravante del delitto di corruzione – che interessa il personale dell'amministrazione finanziaria – riguardi solo le ipotesi di pagamento o rimborso di tributi, senza possibilità di estensione ad altre attività illecite in grado di condizionare l'entità di debiti e crediti fiscali. L’art. 319 ter c.p. invece prevede l’ipotesi della corruzione in atti giudiziari. Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da quattro a dieci. Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni; se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena e della reclusione da sei a venti anni Strettamente connesso al reato di corruzione è quello di istigazione alla corruzione (articolo 322 codice penale) –reato che anch’esso compare tra i c.d. reati presupposto ex D. Lgs 231/2001- che completa l'articolato sistema dei reati di corruzione (articoli da 318 a 321 codice penale), volti a tutelare il corretto funzionamento, il prestigio e l'imparzialità della Pubblica Amministrazione, preservando l'esercizio della funzioni pubbliche e dei pubblici servizi dai pericoli e dai danni che possono derivare da indebite retribuzioni private. La norma, in sostanza, punisce il tentativo di corruzione. L'articolo 322 codice penale prevede diverse ipotesi, distinguendo tra istigazione alla corruzione attiva (commi 1 e 2) e istigazione alla corruzione passiva (commi 3 e 4): le prime sanzionano il privato cittadino che offre o promette denaro o altra utilità non dovuta per indurre il soggetto pubblico a compiere, omettere o ritardare un atto dell'ufficio o contrario ai doveri dell'ufficio. Le seconde, invece, puniscono il soggetto pubblico che “sollecita”, esercitando una pressione psicologica sul privato, una promessa o dazione di denaro o di altra utilità per compiere, omettere o ritardare un atto conforme o contrario ai doveri d'ufficio. 34 In tutti i casi deve trattarsi di promesse, offerte o richieste effettive, serie e potenzialmente idonee a alla realizzazione dello scopo, ossia tali da turbare psicologicamente il soggetto e indurlo, sia pure in astratto, ad accettare la proposta illecita, anche se poi, in concreto, tale proposta non deve essere accettata. IL REATO DI ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE ATTIVA si realizza nel momento in cui viene messa disposizione l'utilità al soggetto pubblico o comunque allorché quest'ultimo venga a conoscenza della promessa. IL REATO DI ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE PASSIVA DEL PUBBLICO FUNZIONARIO, invece, si perfeziona nel momento in cui la sollecitazione viene a conoscenza del privato. Deve mancare, in entrambi i casi, l’accettazione della promessa o l’adesione alla sollecitazione perché altrimenti si risponde per il reato di corruzione consumato. 35 IN CONCRETO IL REATO IN PAROLA SI CONFIGURA TUTTE LE VOLTE IN CUI IL RPIVATO CI CONSEGNA “DELLE UTILITA’” AL FINE DI…MA SE SI TRATTA DINPICCOLE UTILITA’ (O REGALIE) COME BISOGNA COMPORTARCI? Presentare un'offerta di scarso valore economico può costare la condanna per istigazione alla corruzione. Per configurare il reato, dunque, basterà l'aver proposto al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio una qualsiasi utilità, anche modesta, al fine di realizzare un proprio vantaggio. A precisarlo è la Cassazione, sezione VI penale, con la sentenza n. 33724/10. Coinvolto nei fatti, un uomo ritenuto colpevole – dal giudice per l'udienza preliminare – di istigazione alla corruzione (articolo 322 del codice penale). Lo stesso, come era emerso durante il processo, aveva consegnato a un coadiutore giudiziario una busta chiusa contenente un carnet da dieci buoni benzina. L'obiettivo era di indurlo ad adoperarsi in suo favore nel procedimento relativo ad alcune aziende operanti nel settore del gas e sottoposte ad amministrazione giudiziaria (tra le società, una era debitrice della ditta gestita dall'imputato). Questi, in altre parole, aveva offerto una sorta di vantaggio patrimoniale – ticket per l'acquisto del carburante – allo scopo di conseguire, tramite l'ausilio dell'impiegato, una rapida liquidazione del credito vantato dalla propria impresa. La sentenza di condanna trova conferma in appello e il caso arriva in Cassazione. L'amministratore societario, secondo il legale, meritava di essere assolto dalle accuse mosse nei suoi confronti. In effetti – sostiene la difesa – un'utilità così esigua come quella offerta non era idonea a realizzare lo scopo, nel senso che non avrebbe mai potuto indurre il destinatario a compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio. Insomma, c'era un'evidente sproporzione tra il valore del bene promesso e il vantaggio che l'imprenditore avrebbe potuto realizzare ottenendo il credito vantato. A escludere il reato, poi, il fatto che l'offerta non fosse stata rivolta a un pubblico ufficiale, ma a un semplice coadiutore giudiziario, che non poteva ritenersi tale, essendo chiamato a svolgere solo un'attività di carattere tecnico-contabile «priva di valenza esteriore nei rapporti tra l'amministrazione e gli altri soggetti». La Cassazione, però, conferma la sentenza di condanna, ritenuta la sussistenza del reato di istigazione alla corruzione. L'offerta – si legge nella pronuncia – era idonea a configurare il delitto, in quanto «con essa l'imputato non intendeva ottenere il mero adempimento di un'obbligazione» a cui aveva diritto, ma il «pagamento del credito in tempi e modi anticipati e preferenziali rispetto agli altri creditori». La condotta del ricorrente era tesa ad alterare la realtà delle cose volgendole a proprio favore. Invece di attendere una definizione corretta e trasparente della procedura in atto, egli aveva intenzione di procurarsi le proprie spettanze scavalcando le posizioni dei creditori concorrenti (violando, così, i doveri di imparzialità e correttezza che avrebbero dovuto caratterizzare il procedimento di composizione delle pendenze debitorie). Infine – circa la supposta mancata qualità di pubblico ufficiale dell'impiegato destinatario dell'offerta – i giudici di legittimità precisano che va riconosciuta anche in capo al coadiutore nominato nell'ambito di una procedura di amministrazione giudiziaria. Nel rilevarlo, richiamano una precedente pronuncia (n. 13107 del 21 gennaio 2009) con cui era stato sciolto il nodo della questione: il soggetto nominato, su designazione del comitato dei creditori, come coadiutore del curatore del fallimento della società – cooperando a titolo oneroso alla funzione di custodia giudiziaria dell'azienda – svolge un ruolo di indubbia rilevanza pubblicistica. D'altro canto, sostiene la sentenza, anche a volerlo ritenere un mero incaricato di pubblico servizio e non un pubblico ufficiale, ciò non varrebbe a escludere la rilevanza penale dell'istigazione al reato commessa dall'imputato. L'articolo 322 del codice penale – conclude la Corte di cassazione – si riferisce indifferentemente all'una o all'altra figura. Nel caso specifico, il coadiutore aveva svolto (su specifica autorizzazione del giudice) una «qualificata funzione di collaborazione alla realizzazione della procedura giudiziaria, unitamente all'amministratore giudiziario». ANCHE SE RECENTEMNTE la Corte di Cassazione Penale sez. VI 15/2/2013 n. 7505 ha avuto modo di precisare che se le utilità sono veramente di modesta entità allora il reato non si configura I fatti traggono origine dal comportamento di un utente accusato di istigazione alla corruzione (art. 322 codice penale) per “aver offerto a due agenti della polizia stradale la somma di Euro 10,00 al fine di indurli a compiere un atto contrario al proprio dovere di ufficio e più precisamente l’omettere la contestazione dell’infrazione al codice della strada appena commessa dal omissis, condotta concretatasi nel porre la banconota in vista nella carta di circolazione consegnata ai due agenti, profferendo al contempo all’indirizzo degli stessi la frase “lassate stare e pilliatevi nu cafè”, ripetuta con insistenza.” 38 Ha ritenuto la Corte di Cassazione che non sussiste il reato a carico del cittadino per l’improbabilità che l’offerta fosse accettata tenuto conto dell’irrisorio valore della somma (ovviamente avrebbe risposto dei reati previsti l’agente che comunque avesse accettato l’offerta). Ha ritenuto infatti la Corte di Cassazione Penale che “l’esibizione della somma di Euro 10,00, corrispondenti ad una utilità pari a Euro 5 per ciascuno dei pubblici ufficiali operanti e destinatari dell’istigazione, al fine di far loro omettere – e quindi in concreto impedire – la preannunciata contravvenzione, per la sua palese irrisorietà, possa semmai configurare il reato di oltraggio, per l’implicita offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale destinatario della dazione stessa.” 39 MENTRE Qualora dagli atti acquisiti al processo risulti in modo univoco che l'imputato abbia offerto, senza successo, in occasione della contestazione di alcune violazioni al Codice della Strada, agli agenti intervenuti tutto il denaro di cui era in possesso perché evitassero di ritirargli la patente ed il veicolo e non lo denunciassero per il reato di guida in stato di ebbrezza, è evidente la sussistenza del reato di cui all'art. 322, comma 2, c.p.. Ed infatti, il netto rifiuto degli agenti ha impedito che la condotta corruttiva raggiungesse il suo scopo, con conseguente integrazione della fattispecie in parola. Ciò è quanto verificatosi nel caso di specie ove l'offerta di denaro ai pubblici ufficiali è stata ritenuta seria e credibile, tanto più che il mantenimento di una patente valida era assolutamente indispensabile all'imputato per continuare a svolgere la sua attività lavorativa di corriere ed in considerazione del fatto che la predetta offerta illecita fu reiterata più volte dall'imputato, anche dopo che gli agenti lo avevano invitato a desistere, rappresentandogli che sarebbe stato denunciato anche per questo ulteriore reato. (TRIBUNALE DI MONZA 408/2013) MA IN COSA CONSISTE LA CONDOTTA DI SOLLECITAZIONE? La condotta di sollecitazione, punita dal comma quarto dell'art. 322 cod. pen., si distingue sia da quella di costrizione - cui fa riferimento l'art. 317 cod. pen., nel testo come modificato dall'art. 1, comma 75 della l. n. 190 del 2012 - che da quella di induzione - che caratterizza la nuova ipotesi delittuosa dell'art. 319 quater cod. pen, introdotta dalla medesima l. n. 190 - in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare pressioni o suggestioni che tendano a piegare ovvero a persuadere, sia pure allusivamente, il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato dall'assenza sia di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrata l'ipotesi di cui al comma quarto dell'art. 322 cod. pen. in un caso in cui un consulente tecnico di ufficio in una causa civile per la determinazione dell'indennità di esproprio aveva contattato una parte processuale, prospettandole una supervalutazione del bene immobile come alternativa alla corretta valutazione, che avrebbe comunque effettuato, in cambio di una percentuale sulla differenza). CASS. 19190/2013 IL REATO DI INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTILITA’ Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità introdotto dalla L. 190/2012 è strettamente connesso (perché deriva) al reato di concussione. Il previgente art. 317 c.p. (la vecchia disposizione sulla concussione) disponeva che “Il p.u. o l’incaricato di pubblico servizio, che abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”. La legge 190/2012 ha scisso la precedente fattispecie incriminatrice nelle due fattispecie di concussione per costrizione (nuovo art. 317 rubricato “Concussione”) e concussione per induzione (art. 319 quater, rubricato “Indebita induzione a dare o promettere utilità”). Il nuovo art.317 c.p. rubricato “concussione” dispone che “Il p.u. che abusando delle sue qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. La nuova formulazione limita il novero dei soggetti attivi ai soli pubblici ufficiali, in quanto il legislatore ha ritenuto che l’effetto della costrizione all’indebita dazione possa ricollegarsi soltanto all’abuso di alte prerogative amministrative. Configurazione questa che però non considera che anche condotte minacciose di un incaricato di pubblico servizio possono, nella realtà, avere un effetto di integrale soggezione del privato. In ogni caso, estromessa la figura dell’incaricato di pubblico servizio, qualora la condotta prevaricatrice di quest’ultimo si connoti in termini di minaccia o violenza, la prospettabile qualificazione del fatto sarà quella di estorsione aggravata dall’abuso di poteri inerenti un pubblico servizio (art. 61, n. 9, c.p.) con una conseguenza che appare irragionevole, in quanto, sia pure per effetto dell’aggravante suscettibile di bilanciamento, l’incaricato di p.s. è sanzionato con una pena più severa (pari al massimo a dieci anni di reclusione più l’aumento di un terzo) di quella massima prevista dall’art. 317 c.p. per il p.u. (pari a dodici anni di reclusione) 42 I PRESUPPOSTI DEL REATO DI CONCUSSIONE (ED ANCHE DI QUELLO DI INDUZIONE) SONO: A) ABUSO DEI POTERI Si realizza ogni qual volta un soggetto qualificato strumentalizza i poteri, che gli derivano dal fatto di ricoprire una determinata pubblica funzione o di svolgere un determinato pubblico servizio, come mezzo di pressione sul privato o come vero strumento coercitivo, o, comunque come strumento di pressione. L’agente di polizia che si fa consegnare una somma di denaro da un soggetto, minacciando di arrestarlo, evidentemente realizza una costrizione con abuso dei poteri inerenti alla sua funzione e strumentalizza i poteri per spingere il privato a compiere qualcosa che spontaneamente non avrebbe compiuto. Un episodio, che ha riguardato un vigile urbano, che si era fatto consegnare un oggetto d’oro minacciando una ritorsione consistente nel sequestro della vettura, in relazione ad un presunto illecito stradale, è stato chiaramente classificato come ipotesi di abuso dei poteri inerenti alla funzione. A volte può, infatti, accadere che un pubblico ufficiale prospetti l’uso di un potere, che, in realtà, esula completamente dalla sua competenza. Il privato, però, non sempre è in grado di percepire se il pubblico ufficiale disponga del titolo giuridico per esercitare quello specifico potere. Infatti, se chiunque è in grado di comprendere che un professore universitario non è nelle condizioni di sequestrare una macchina, non tutti capiscono che un pubblico ufficiale, che svolge funzioni di polizia giudiziaria, non può minacciare di sequestrare una macchina se il contesto non lo giustifica. Quindi, l’episodio del vigile urbano rientra nelle ipotesi di abuso dei poteri, anche se si tratta di un potere probabilmente non spettante al soggetto nel caso concreto. Lo stesso accade quando un’appartenente alle forze dell’ordine minaccia di arrestare un soggetto in flagranza per un reato che non ammette l’arresto in flagranza. Il privato, non conoscendo, spesso e volentieri, per quali reati sia previsto l’arresto in flagranza, subisce la pressione in relazione all’abuso dei poteri, non potendosi rendere conto che, in concreto, il soggetto qualificato non avrebbe potuto esercitare quel potere. La condotta di abuso dei poteri può essere realizzata anche con una condotta omissiva attraverso il mancato esercizio della funzione o del servizio, per esempio mediante un’omissione o il ritardo di un atto dovuto come accade quando un soggetto viene invitato a pagare dal pubblico ufficiale perché venga rallentata una verifica fiscale 43 Abusare dei poteri dunque implica che il pubblico ufficiale faccia uso dei poteri corrispondenti alla propria condizione soggettiva. Siamo dunque in presenza di un abuso sotto il profilo oggettivo, che si manifesta attraverso la minaccia di compiere un preciso atto o di tenere un determinato comportamento, indipendentemente dal fatto che l’atto o il comportamento rientrino nella sua sfera di competenza tecnica. L’abuso potrà dunque consistere nell’esercizio del potere al di fuori dei casi di legge, ovvero nell’esercizio del potere non per l’attuazione dei fini previsti dalla legge, ma come mezzo per conseguire propri fini illeciti, ovvero nel non esercizio del potere pur ricorrendone i presupposti di legge, ovvero ancora nell’esercizio del potere nei casi di legge, ma in modi diversi da quelli previsti dall’ordinamento, ovvero, infine, nella minaccia di tenere uno dei comportamenti fin qui descritti (nella concussione, a differenza che nell’abuso di ufficio, non si richiede necessariamente l’esecuzione di un atto di abuso di potere, bastandone la minaccia). Ben potrà configurarsi una condotta di abuso anche in relazione ad atti vincolati o dovuti, tutte le volte che l’agente ponga in essere quell’atto in modo che risulti viziato (ad esempio ritardandolo o adottandolo in maniera difforme dal modello legale o non adottandolo e ponendo in essere condotte ostruzionistiche), poiché ciò che conta è sempre la deviazione dell’esercizio dalla sua causa tipica. B) ABUSO DELLE QUALITÀ Il concetto di abuso delle qualità si presenta in maniera più sfumata in quanto non risulta sempre facilmente percepibile. In genere, ricorre ad un abuso della qualità il pubblico ufficiale che esercita una pressione sul privato, non collegandola con un concreto uso (o meglio abuso) dei poteri inerenti alla funzione o al servizio, bensì semplicemente facendo pesare, da un punto di vista statico, la sua funzione all’interno della pubblica amministrazione in modo che il privato non sia immediatamente minacciato dall’uso del potere, ma si renda conto che si trova a che fare con una persona inquadrata in una branca della pubblica amministrazione con la quale, un domani (non oggi, ma un domani), potrebbe avere a che fare e dalla quale, quindi, potrebbe anche subire un pregiudizio. Il soggetto passivo, per questo motivo, è spinto ad assecondare la condotta di costrizione, pur non essendo, come avviene, invece, nell’abuso dei poteri, di fronte al rischio di una ritorsione immediata effettuata attraverso una strumentalizzazione del potere da parte del soggetto qualificato. Quando si abusa delle qualità non viene posto un aut aut collegato ad una vicenda concreta, ma viene insinuato il dubbio, nella mente del soggetto passivo, che, non aderendo alla richiesta del soggetto qualificato, si potrà prima o poi intersecare la propria strada con quella del pubblico ufficiale ed avere problemi. Se, per esempio, un imprenditore edile si sentisse chiedere da un magistrato o da un prefetto la vendita di un immobile ad un prezzo stracciato, in assenza di minaccia o di prospettazione di immediate sanzioni o procedimenti esecutori nei suoi confronti, ma semplicemente venendo messo a conoscenza della veste importante ricoperta dall’interlocutore nel contesto sociale, potrebbe essere indotto a riflettere su quanto gli viene richiesto, mentre normalmente, se la stessa richiesta gli venisse effettuata da un privato, non la prenderebbe neppure in considerazione. L’imprenditore è indotto a riflettere sull’eventualità che, dietro la richiesta effettuata dai soggetti qualificati, vi sia una prospettazione futura di qualche problema finalizzata ad indurlo ad accettare una proposta sicuramente non vantaggiosa. Un caso capitato a Genova ha coinvolto alcuni agenti di un reparto celere che avevano l’abitudine di recarsi presso alcuni negozi per comprare merce a prezzi irrisori, non minacciando perquisizioni o conseguenze collegate alla loro funzione (sarebbe stata, in questo caso un’ipotesi classica di abuso dei poteri), ma semplicemente esibendo la divisa (d’altra parte ci sono situazioni, ad esempio in piccoli centri, in cui un maresciallo dei carabinieri può avere una posizione di prestigio e di peso tale da poter far pesare l’abuso delle qualità). Certamente, l’abuso della qualità non risulta sempre facilmente individuabile. 45 Abusare della qualità implica pertanto che il pubblico ufficiale faccia pesare la sua condizione personale per conseguire lo scopo sanzionato, avvalorando e rendendo credibile ed idoneo - appunto grazie alla propria qualità soggettiva - l’atto intimidatorio con il quale si induce o costringe la persona offesa a dare o a promettere l’indebito. Siamo dunque in presenza di un abuso sotto il profilo soggettivo, di un uso indebito della propria condizione personale (indipendentemente e a prescindere dall’esercizio dei poteri a queste corrispondenti), di un generico sfruttamento della qualità di pubblico ufficiale, non direttamente collegato alla adozione di specifici ed individuati atti amministrativi (tanto che in giurisprudenza si è evidenziato che per l’integrazione del reato è sufficiente che la qualità soggettiva dell’agente abbia avvalorato o comunque reso credibile la sussistenza di una specifica competenza, indipendentemente dal fatto che l’agente abbia in effetti i poteri che si attribuisce). CASO PRATICO (sentenza n. 20792/2010) L’imputato, direttore generale di una Asl, era stato condannato per il delitto di tentata concussione nei confronti del presidente della Commissione invalidi civili, per averlo più volte invitato a riconoscere lo stato di grave invalidità di un soggetto, e per averlo infine, a seguito del rifiuto di quello di aderire alla richiesta, rimosso dall'incarico. I giudici di merito evidenziavano che la sequenza cronologica degli atti posti in essere dall’imputato era indicativa della strumentalizzazione della propria posizione di preminenza, nella prospettiva non certo di perseguire l'interesse pubblico, ma di assicurare un indebito vantaggio a un soggetto privato. Il difensore dell’imputato ricorre per cassazione deducendo tra l’altro l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, mancando l’l'abuso della qualità e/o dei poteri da parte dell’imputato, che agì nell'ambito delle sue prerogative e solo per perseguire l’interesse pubblico. La Suprema Corte accoglie il ricorso, annullando senza rinvio la sentenza di condanna, rilevando che nel caso di specie manca tanto l’abuso della qualità (poiché l’imputato “agì nell'ambito delle sue potestà funzionali, tra le quali deve certamente ritenersi compresa quella di vigilare sulla funzionalità dei vari servizi e di garantire l'uniformità di orientamento e, quindi, l'imparzialità dell'attività amministrativa”), quanto l’abuso dei poteri (“non risultando che l'imputato sia andato oltre le sue prerogative e abbia perseguito finalità estranee all'interesse pubblico, la cui tutela non può non aver di mira anche la posizione soggettiva del singolo individuo, che non deve essere pregiudicata da decisioni affrettate, scarsamente meditate e non in sintonia con le linee guida dell'attività amministrativa”). CASO PRATICO (sentenza n. 28123/2010) L’imputato, responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di Ceregnano, era stato condannato per il delitto di tentata concussione, per aver posto in essere atti idonei diretti ad indurre l’esercente di una attività industriale di recupero dei rifiuti a versargli la somma di 100 milioni di lire, minacciandolo in caso contrario di bloccare o quantomeno ritardare la procedura relativa al rilascio di una autorizzazione relativa all'attività di recupero dei rifiuti. La Suprema Corte conferma la condanna, rilevando tra l’altro la sussistenza nel caso di specie dell'abuso “della qualità pubblica, cioè l'utilizzazione per tornaconto personale del ruolo che l’agente ha assunto nell'ambito dell'organizzazione amministrativa e quindi dell'ufficio, distorcendo il suo scopo di servizio a mezzo per limitare o condizionare la volontà del terzo”, e ciò indipendentemente “da ogni valutazione circa le attribuzioni che il Comune avesse nell'ambito della procedura attivata dal F. per ottenere l'autorizzazione .. e al potere di interdizione eventualmente spettante all'ente comunale”. Il pubblico ufficiale agì dunque “strumentalizzando la sua funzione, nonché sfruttando a fini di privato vantaggio la sua posizione di preminenza connessa all'esercizio di un potere pubblicistico”. C) COSTRIZIONE Solitamente, la costrizione si presenta nel reato di concussione sotto forma di minaccia. E’, invece, più complicato che si possa ravvisare un’ipotesi di violenza in quanto, in genere, il pubblico ufficiale non ha bisogno di esercitare violenza sul soggetto passivo (tra l’altro se il soggetto qualificato fa ricorso alla violenza probabilmente non ricorre all’abuso dei poteri o delle qualità e risponde del reato di rapina autonomamente considerato). Quando il soggetto qualificato abusa dei poteri o della qualità, lo fa, in genere, prospettando una conseguenza spiacevole, quindi realizzando tipicamente la condotta di minaccia. In presenza di minaccia, esplicita o larvata si è di fronte a quella forma di concussione definita come concussione esplicita, ovvero mediante costrizione. 49 Il concetto di costrizione secondo la recente giurisprudenza: Sentenza 11942 del 14 marzo 2013 IL FATTO: Un appartenente alla Polizia di Stato minacciando il titolare di poligono di tiro di non rinnovargli la convenzione per i tiri, faceva risultare per ogni esercitazione un numero di agenti superiore a quelli effettivamente impegnati e si faceva poi consegnare le somme per le esercitazioni mai effettuate. Secondo la Corte di Cassazione nel caso di specie la coartazione del privato era tale da non lasciargli “libertà di scelta” E pertanto del tutto corretta era la qualifica del reato come reato di concussione. La Corte ha precisato che nel nuovo reato di concussione per costrizione il PU agisce con modalità ovvero con forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione al destinatario della pretesa illecita (come appunto accaduto nel caso di specie ove al privato era stato minacciato il danno della mancata rinnovazione della licenza) E proprio sotto tale profilo si distingue dalla nuova fattispecie di cui all’art. 319 quater c.p. 50 D) OGGETTO DELLA DAZIONE O PROMESSA Per quanto riguarda l’oggetto della dazione o promessa da parte del soggetto concusso la norma parla di denaro o altre utilità. Il concetto di denaro non pone alcun problema interpretativo a differenza della nozione di “altre utilità”, sul cui significato si sono profilate rilevanti incertezze interpretative. Un primo orientamento giurisprudenziale proponeva un’interpretazione ampia del concetto di utilità, facendovi rientrare qualsiasi forma di vantaggio, anche di natura morale. In base a questo orientamento, quando il pubblico ufficiale, anziché denaro o vantaggi economici, richiedeva alla vittima prestazioni di natura sessuale si configurava una concussione. Tuttavia, in seguito, questo orientamento era stato messo in discussione da una serie di pronunce che tendevano a negare la rilevanza delle prestazioni di natura sessuale nel quadro del concetto di utilità. In particolare, la Cassazione nel 1988, aveva affermato che l’utilità, idonea a configurare un reato di concussione dovesse rappresentare un vantaggio per il patrimonio e la personalità, negando che profili meramente sentimentali nonché vantaggi sessuali potessero rientrare in quest’ambito. In un altro intervento del 1991 la Cassazione, partendo dalla definizione di utilità in termini di vantaggio per il patrimonio o per la personalità del soggetto attivo, aveva avvallato la tesi restrittiva, che trovava fondamento nell’affinità che dovrebbe intercorrere tra denaro ed altra utilità, stabilendo che il concetto di altra utilità dovesse necessariamente denotare un contenuto economico patrimoniale. In particolare la Cassazione aveva sottolineato come il concetto di utilità nel reato di concussione, ex articolo 317, dovesse necessariamente consistere in un vantaggio per il patrimonio e la personalità del soggetto attivo qualificato sostenendo che la nozione di “altre utilità”, indicata senza alcuna specificazione in alternativa al denaro come dazione o promessa conseguente alla condotta del concussore, fosse stata posta come parametro di affinità con il denaro, nel senso che sia il denaro che le altre utilità dovevano denotare un contenuto economico patrimoniale. In pratica, in base ad una presunta natura giuridica del termine, potevano rientrare nel concetto di utilità macchine, gioielli, case ecc…, ma non rapporti di natura sessuale. 51 In ultimo, per risolvere definitivamente la questione, sono intervenute nel 1993 le Sezioni Unite della Cassazione che hanno negato l’omogeneità tra denaro ed utilità, sostenendo che l’intenzione del legislatore del 1990 fosse chiaramente quella di attribuire al termine “altre utilità” il significato utilizzato nel linguaggio corrente. Le Sezioni Unite hanno correttamente affermato che il termine utilità presente nell’ambito del reato di concussione indichi tutto quello che possa rappresentare un vantaggio per la persona materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, consistente sia in un dare quanto in un fare e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune. Per questo motivo le prestazioni sessuali, che rappresentavano il problema maggiore, rientrano nella categoria delle “altre utilità” ogni qual volta il pubblico ufficiale ne ottenga la promessa o l’effettiva prestazione 52 Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319 quater, deriva proprio da quello di concussione (317 c.p. ed ha in parte i medesimi presupposti. “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni”. Nella nuova fattispecie incriminatrice la condotta del p.u. o dell’incaricato di p.s. è stata ritenuta meritevole di una pena mitigata MENTRE la condotta del privato che si lascia indurre all’indebita promessa o dazione è stata innovativamente ritenuta meritevole di sanzione penale 53 CHE COSA SIGNIFICA INDUZIONE? Sulla base di un’assonanza con un concetto usato nell’ambito della truffa, una parte della dottrina (ed in qualche caso anche la giurisprudenza) ha ritenuto che la condotta induttiva fosse equivalente all’induzione in errore di cui si parla all’articolo 640. La “induzione indebita a dare o promettere utilità” risulterebbe, di conseguenza, un comportamento in cui un soggetto qualificato, abusando dei poteri o delle qualità, trae in inganno il privato inducendolo ad una dazione o ad una promessa di denaro o di altra utilità. Da più parti si è obiettato se fosse plausibile questa equiparazione tra una condotta di concussione implicita ed un comportamento che, così descritto non sembra essere altro che una truffa. In realtà, non si vede il motivo di unificare queste due prospettive. Inoltre, potrebbe apparire squilibrato punire con la durezza della concussione un comportamento da semplici imbroglioni. Per uscire da questa interpretazione, si è sottolineato che la norma in questione non parla di induzione in errore, ma solo genericamente di induzione. L’articolo descrive quindi un fenomeno diverso, ossia una condotta meno pesante della costrizione, in quanto finalizzata ad esercitare una pressione sul privato, sia pure con maggiore garbo, senza essere esplicitamente aggressivi, ma sostanzialmente con lo stesso risultato. 54 La “induzione indebita a dare o promettere utilità” deve essere tenuta distinta dalla truffa che può essere commessa, senza problemi, anche da un pubblico ufficiale. Si configura reato di truffa, ai sensi dell’articolo 640 quando la qualità del pubblico ufficiale concorre in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo che viene convinto con artifici o raggiri ad una prestazione che egli crede dovuta (in pratica, viene ingannato a dare o promettere ciò che non è dovuto); sussiste, invece, “induzione indebita a dare o promettere utilità” quando il pubblico ufficiale assume un atteggiamento prevaricatore allo scopo di ottenere una prestazione non dovuta e pretesa proprio in virtù del suo potere e non già inducendo in inganno la parte offesa (in pratica, il soggetto passivo dell’induzione, pur non essendo messo “nell’angolo” da un soggetto qualificato particolarmente aggressivo, si rende conto di essere di fronte ad una richiesta, ad una pressione che lo porta a dare o promettere quanto non dovuto). 55 Ad esempio, se il pubblico ufficiale ricorre a mezzi ingannevoli per convincere un soggetto a consegnargli una somma di denaro, si resta nell’ambito della truffa (è il caso dell’addetto alla riscossione dei ticket sanitari che convince un parente del paziente del fatto che occorra versare una cifra superiore rispetto al solito, in questo caso avviene un inganno ed il soggetto passivo adempie credendo di pagare il dovuto). Se, invece, il pubblico ufficiale tiene un comportamento che, pur se non esplicitato in forma minacciosa (è sufficiente l’utilizzazione di termini ambigui, come la prospettazione di difficoltà), rende il soggetto consapevole di dare o promettere ciò che non è dovuto, venendo “indotto” da colui che in quel momento sta abusando dei poteri inerenti il suo servizio, si rientra nell’ambito della “induzione”. Si configura tale reato, ad esempio, quando, di fronte ad un atteggiamento magari ostruzionistico o ad un’esplicita richiesta, il paziente è indotto a dare una somma di denaro per essere curato in tempi accettabili. Il soggetto passivo si rende perfettamente conto di consegnare una somma non dovuta, ma adempie in quanto indotto, attraverso un abuso dei poteri, dall’incaricato di pubblico servizio (magari perché gli viene prospettata la possibilità di fruire in tempi ragionevoli delle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale). 56 A fronte di quanto finora illustrato, sembra corretta quella formula, piuttosto risalente e che non deve essere interpretata in chiave strettamente psicologica, che, nella descrizione del fatto tipico della concussione, faceva leva sul cosiddetto “metus publicae potestatis”. Si sosteneva, infatti, che a caratterizzare la concussione fosse il fatto che il privato subisse il timore della pubblica autorità, fatto che significava che il soggetto passivo, per risultare vittima della concussione, dovesse percepire di subire una prevaricazione in quanto se fosse stato invece ingannato non avrebbe avvertito la pressione del soggetto qualificato. L’induzione consiste nello spingere un soggetto, senza ricorrere allo strumento della minaccia, ad una dazione o ad una promessa che, autonomamente, mai si sarebbe piegato a compiere. 57 La concussione mediante induzione (quella che oggi è induzione indebita a dare o promettere utilità), attraverso questa lettura, mantiene, una maggiore omogeneità rispetto alla concussione mediante costrizione, ponendosi come forma più sfumata di pressione. In questi termini, la concussione mediante induzione si rivela un fatto sostanzialmente omogeneo alla costrizione, ma meno evidente, e che viene previsto proprio perché il legislatore si è reso conto che, strumentalizzando la forza, derivante da una determinata posizione all’interno della pubblica amministrazione, il soggetto qualificato non è obbligato ad uscire allo scoperto e non è obbligato ad essere necessariamente aggressivo e minaccioso; anzi, può anche portare il privato a compiere la prima mossa, quasi a chiedere di essere concusso per sbloccare una situazione per lui difficoltosa. 58 Il comportamento induttivo non risulta vincolato a forme predeterminate e tassative, ma è necessario che si riveli in concreto idonea ad influenzare l’intelletto e la volontà della vittima convincendola dell’opportunità di provvedere all’immediata o differita esecuzione dell’ingiusta dazione per evitare conseguenze dannose. Di conseguenza il comportamento del concussore può realizzarsi anche attraverso comportamenti surrettizi, concretizzantisi in suggestione tacita, ammissioni o silenzi, per avere la vittima la convinzione di adeguarsi ad una prassi ineluttabile, confermata dal comportamento del pubblico ufficiale. 59 Una recente pronuncia della Cassazione: Sentenza n. 17285 del 15 aprile 2013. IL FATTO: due funzionari, inducevano un imprenditore agricolo a promettere loro indebitamente una somma di denaro per ottenere l’esito positivo di un’istanza avente ad oggetto il contributo comunitario per favorire i metodi di agricoltura e di allevamento a regime biologico. La vittima, accortosi della stranezza della richiesta, si confrontava con il suo tecnico che gli consigliava di rivolgersi alla Polizia. Così è stato. All’incontro successivo con i funzionari l’imprenditore si presentava munito di registratore e i due funzionari ribadivano la richiesta di soldi. La corresponsione effettiva del denaro non avveniva solo perché i due funzionari si rifiutavano di riceverla. Tuttavia, i Giudici di merito condannavano gli imputati per il reato di cui all’art. 317 c.p. (concussione), atteso che tale ultimo comportamento si era verificato in un momento successivo alla consumazione del reato avvenuta con la promessa di denaro accettata dai due funzionari. 60 La Corte di Cassazione, dopo aver ENUNCIATO ILPRINCIPIO DI DIRITTO IN BASE AL QUALE la condotta di induzione richiesta per la configurabilità del delitto di cui all'art. 319-quater cod. pen. (introdotto dalla legge n. 190 del 2012) è integrata da un'attività di suggestione, di persuasione o di pressione morale, posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio nei confronti del privato, che, percepita come illecita da quest'ultimo, non ne condiziona gravemente la libertà di autodeterminazione, essendo possibile di non accedere alla pretesa del soggetto pubblico; diversamente sarebbe configurabile la fattispecie di concussione di cui all'art. 317 c.p. a carico del pubblico ufficiale o quella di estorsione aggravata di cui agli artt. 629 - 61, n. 9, c.p. a carico dell'incaricato di un pubblico servizio. HA RITENUTO CHE NEL CASO DI SPECIE non è revocabile in dubbio che la richiesta di tangente formulata dai due funzionari non recava con se alcuna costrizione della vittima, avendo il tempo ed il modo di agire a tutela dei suoi interessi riqualificando il fatto nel delitto di cui al 319 quater c.p., 61 ED ANCORA CASS. PEN. 26285/2013: A seguito dell'entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, la minaccia, esplicita o implicita, di un danno ingiusto, finalizzata a farsi dare o promettere denaro o altra utilità, posta in essere con abuso della qualità o dei poteri, integra il delitto di concussione se proveniente da pubblico ufficiale ovvero di estorsione se proveniente da incaricato di pubblico servizio mentre sussiste il delitto di induzione indebita, previsto dall'art. 319 quater cod. pen., qualora il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della qualità o dei poteri, prospetti conseguenze sfavorevoli derivanti dall'applicazione della legge per farsi dare o promettere il denaro o l'utilità. IL PROBLEMA PRINCIPALE E’ QUELLO DI COMPRENDERE MATERIALMENTE QUANDO SI REALIZZA LA “COSTRIZIONE” E QUANDO INVECE SI REALIZZA L’ “INDUZIONE”. La Giurisprudenza di merito (Corte di Appello dell’Aquila 2422/2013) ha recentemente statuito che ciò che differenzia la concussione dalla corruzione ed oggi dalla nuova fattispecie di cui all'art 319 quater c.p., sta non tanto nelle modalità, nel tono utilizzato dal Pubblico Ufficiale, ma nel vantaggio o danno che viene prospettato a sostegno della richiesta; viceversa, le fattispecie della corruzione e quella nuova della induzione indebita a dare o promettere utilità si differenziano a seconda della formazione del volere in capo al privato, che nella corruzione rimane sostanzialmente insensibile rispetto al ruolo ed al contegno del soggetto pubblico, potendo la strumentalizzazione del potere valere al più da mero spunto di un trattativa paritaria, destinata a sfociare in un accordo, potendo risultare illuminante in tal senso l'iniziativa o lo sviluppo di vere e proprie trattative. Nella concussione il privato è vittima del reato, che è così ipotizzabile solo quando l'abuso del Pubblico Ufficiale realizzi un pericolo di pregiudizio. Se invece il privato effettua la dazione o la promessa allo scopo precipuo di trarre un vantaggio, che non sia una mera conseguenza indiretta del pregiudizio o del maggior danno evitato, non è prospettabile la fattispecie concussiva, in quanto in tal caso egli finisce con l'accedere alla richiesta mirando ad assicurarsi un vantaggio illecito, incompatibile con lo stato di soggezione e coartazione. Orbene, commette il reato di concussione chi costringe taluno abusando dei suoi poteri o della sua qualità prospettando un danno ingiusto per ricevere denaro o altra utilità; mentre commette il reato ex art 319 quater c.p. chi per ricevere indebitamente le stesse cose prospetta una qualsiasi conseguenza dannosa o un vantaggio indebito. Nel primo caso l'agente prospetta che se non si paga ne deriverà un pregiudizio, nel secondo che il pregiudizio sarebbe legittimo e che lo si può evitare pagando, così realizzando un vantaggio non dovuto, motivo per cui ad una tale richiesta si può e si deve resistere e, conseguentemente, la nuova fattispecie sanziona anche il privato. Da quanto detto, è possibile, dunque, affermare che il privato è vittima di concussione quando il Pubblico ufficiale l'ha posto, pur senza brutali modalità attuative, nell'alternativa secca di accettare la pretesa indebita o subire un pregiudizio oggettivamente ingiusto, per cui di fatto non gli ha lasciato alcun margine di scelta perché si determina a dare solo per evitare l'ingiusto pregiudizio minacciato. Al contrario, si configura l'ipotesi delittuosa di cui all'art.319 quater c.p., quando l'agente, abusando della sua posizione, formula una richiesta ponendola come condizione per il mancato compimento di un atto doveroso o per il compimento di un atto favorevole per l'interessato. (Questo è quanto accaduto nel caso in esame, ove l'imputato approfittando del clima generale in cui si innestava la vicenda, della sua posizione, con iniziativa autonoma, faceva pressioni sulla vittima affinché desse denaro e ciò al fine evidente di assicurarsi ulteriori appoggi e coperture per continuare a lucrare nell'illecito, prospettando il rischio della fine di tutto ciò. Condotta integrante il reato di cui all'art. 319 quater c.p.). CASSAZIONE PENALE N. 11946/2013 Non integra la fattispecie di concussione ex art. 317 cod. pen. o di induzione ex art. 319 quater cod. pen. la condotta di semplice richiesta di denaro o altre utilità da parte del pubblico ufficiale in presenza di situazioni di mera pressione ambientale, non accompagnata da atti di costrizione o di induzione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il delitto di corruzione per atto di ufficio nel caso di cittadini stranieri che spontaneamente si rivolgevano ad un faccendiere che a sua volta li metteva in contatto con agenti di polizia che, dietro compenso, si interessavano alle pratiche inerenti il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno). CASS. PENALE N. 19190/2013 L'abuso richiesto per la configurazione dei reati di “concussione” (art. 317 c.p.) e di “induzione indebita” (art. 319 quater, c.p.) non può essere sic et simpliciter identificato, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla recente novella legislativa, nella indebita richiesta di denaro o di altra utilità, rivolta dal pubblico ufficiale al privato, poiché la mera "sollecitazione" in tal senso, ancorché reiterata, si sviluppa comunque attraverso forme comportamentali inidonee a determinare quella condotta costrittiva propria del primo modello sopra indicato - che, pur non eliminandola del tutto, incide gravemente sulla libertà di autodeterminazione del soggetto passivo - ed integra, di norma, nel caso sia rifiutata, il reato di istigazione alla corruzione punito dall'art. 322, c. 3 e 4, c.p., e, se accolta, quello di corruzione consumata, punito dall'art. 318, o, rispettivamente, dall'art. 319 c.p.. Sotto altro, ma connesso profilo, anche la condotta induttiva prevista per la configurabilità della diversa ipotesi delittuosa prevista dall'art. 319 quater, c.p., così come introdotta dall'art. 1, c. 75, della L. n. 190 del 2012, richiede un quid pluris consistente nell'esigenza che la medesima attività sollecitatrice sia preceduta o accompagnata da uno e più atti che costituiscono estrinsecazione del concreto abuso delle qualità o del potere dell'agente pubblico. La difficoltà della questione è tale che la Cassazione con Ordinanza 13 maggio 2013, n. 20430 ha rimesso la questione alle Sezioni Unite: In tema di reati contro la pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 618 del Cpp, deve essere rimessa alle sezioni Unite la questione relativa ai presupposti di applicabilità degli articoli 317 e 319-quater del codice penale (come rispettivamente sostituito e introdotto dalla legge 6 novembre 2012 n. 190, contenente «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione») e quali gli elementi di distinzione delle relative fattispecie incriminatrici. IL REATO DI CORRUZIONE TRA PRIVATI L’art. 2635 c.c. introduce, seppur debolmente, nel nostro ordinamento una fattispecie generale di corruzione tra privati. Esempi tipici del reato di corruzione tra privati sono: il responsabile dell’ufficio acquisti di un impresa che preferisce un fornitore, magari meno conveniente, agli altri in ragione della tangente che gli è stata promessa; il manager di un istituto di credito che chiede una remunerazione in denaro per prestare il proprio consenso ad una operazione di fusione non vantaggiosa per la banca; l’amministratore di una società commerciale che affida pratiche ad un legale in cambio di una percentuale sul compenso riconosciuto al professionista. Si tratta di condotte che, inserendosi in attività commerciali e d’affari, sono motivate dal perseguimento di un indebito vantaggio patrimoniale e si traducono nella violazione dei doveri collegati alla funzione ed alla posizione dell’agente nell’ambito della persona giuridica privata. 68 art. 2635 c.c. ante riforma Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società sono puniti con la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità. La pena e' raddoppiata se si tratta di societa' con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Si procede a querela della persona offesa.". Art. 2635 c.c. dopo riforma Corruzione tra privati Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. Si procede a querela della persona offesa, salvo 69 che dal fatto derivi una distorsione della La modifica normativa ha ampliato il novero dei soggetti attivi: oggi, oltre agli amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori, rispondono del reato anche i soggetti ad essi subordinati (ovvero i dipendenti, para-subordinati, agenti ed ogni altro soggetto sottoposto alla direzione o vigilanza dei soggetti qualificati), ma le pene sono ridotte. Quanto alla condotta oggetto di incriminazione essa è tuttora integrata dal compimento o dall’omissione, a fronte della corresponsione o della promessa di denaro o di altra utilità, di atti in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio, a cui oggi si aggiunge la violazione di un più generico obbligo di fedeltà. Verranno pertanto in rilievo tutti gli obblighi in cui si traduce il rapporto fiduciario esistente tra l’agente e la società nonché il generale dovere di lealtà e buona fede nell’esecuzione del rapporto esistente con la società Il reato in questione continua inoltre a dipendere dalla causazione dell’evento costituito dal procurato nocumento alla società che, non essendo specificato che deve essere di natura patrimoniale, potrà essere rappresentato anche dal c.d. danno all’immagine. Il fatto corruttivo resta procedibile a querela di parte, salvo che dall’illecito consegua una distorsione della concorrenza nell’acquisizione di beni o servizi, ovvero che la corruzione del funzionario privato non sia solo stata finalizzata ad acquisire una fornitura a discapito di un concorrente, ma anche che abbia in concreto comportato una violazione di una sorta dipar condicio dei fornitori. Secondo la giurisprudenza l’atto il cui compimento od omissione integra il reato di corruzione tra privati può essere costituito anche da un parere o da un voto espresso ai fini della formazione di una delibera di un organo collegiale della società (Corte di cassazione 5848/2012) IL REATO DI PECULATO ARTICOLO 314 CODICE PENALE – Peculato: Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa dopo l’uso momentaneo è stata immediatamente restituita. . E’ stata tra le altre cose eliminata la vecchia dicotomia tra peculato (articolo 314) e malversazione a danno di privati (articolo 315, ora abrogato), fattispecie pressoché coincidenti che si distinguevano per il semplice fatto che nel peculato il denaro o la cosa mobile appartenevano alla pubblica amministrazione mentre nella malversazione appartenevano al privato, ancorché in possesso della pubblica amministrazione Per fare un esempio, quando gli organi competenti sequestravano un bene ad un privato, affidandolo alla segreteria del giudice per la custodia ai fini giurisdizionali, il fatto dell’appropriazione di quel bene, da parte di un soggetto inquadrato nella pubblica amministrazione, dava luogo formalmente ad una malversazione anche si trattava né più né meno di una forma di peculato. Tra le altre cose, le pene previste per le due fattispecie erano perfettamente coincidenti. Il legislatore per risolvere il problema di dicotomia, ha utilizzato, parlando di denaro o di altra cosa mobile, nell’ambito del nuovo articolo 314, l’accezione “altrui”, che sta a significare l’appartenenza alla pubblica amministrazione o ad un privato. 72 Oltre ad avere riscritto la figura di peculato in senso stretto, il legislatore ha introdotto nel secondo comma, l’ipotesi del peculato d’uso, che, è stata distinta sotto il profilo sanzionatorio, dalla fattispecie dal peculato in senso stretto. Con questo intervento, quanto mai opportuno, è stato definitivamente risolto il dubbio sulla configurabilità di un peculato mediante momentaneo utilizzo illecito di una cosa, differenziando la risposta sanzionatoria rispetto alla vera e propria appropriazione. Il secondo comma del vecchio articolo 314, inerente l’interdizione dai pubblici uffici, pena accessorie che consegue alla condanna, è confluito, senza alcun cambiamento rilevante, in una norma autonoma che riguarda anche il reato di concussione. Trattasi dell’art. 317 bis c.p. in base al quale la condanna per i reati di peculato e concussione comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici E se per circostanza attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre ani, la condanna importa l’interdizione temporanea. A) Peculato in senso stretto Nel quadro generale del reato di peculato, il punto di partenza, che consente di mantenere l’opportuna simmetria rispetto al reato comune di appropriazione indebita, è rappresentato dal fatto che l’autore del reato (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) detiene il possesso o la disponibilità del denaro o dell’altrui cosa mobile per ragioni dell’ufficio. Semplificando la questione, si può affermare che il peculato si rivela una sorta di appropriazione indebita commessa dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio ed avente oggetto non una qualsiasi cosa, bensì una cosa di cui abbia il possesso per ragioni d’ufficio o del servizio; questo collegamento è necessario affinché il fatto transiti da una semplice appropriazione indebita ad un peculato. 1) Possesso e disponibilità per ragioni dell’ufficio o servizio Il possesso o la disponibilità per ragioni dell’ufficio o del servizio rappresenta elemento costitutivo e presupposto fondamentale della fattispecie di peculato. Il possesso e la disponibilità non si configura solo quando sussiste un rapporto molto stretto tra il denaro o la cosa mobile ed il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio (nel senso che la cosa era abbinata in via esclusiva alla cura ed alla possibilità di disporre da parte del pubblico ufficiale), ma anche quando è possibile, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, esercitare in qualche misura un’azione illegittima sulla cosa o sul denaro approfittando della posizione occupata all’interno della pubblica amministrazione. 74 Non èindispensabile un rapporto di disponibilità immediata della cosa da parte del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che il pubblico ufficiale, usando i propri poteri o comunque approfittando del suo inquadramento nella pubblica amministrazione, riesca a mettere le mani sul denaro o sulla cosa mobile appropriandosene nei termini della condotta descritta dall’articolo 314. IL RAPPORTO DI DISPONIBILITÀ, si noti, può essere materiale, ma anche giuridico. Infatti, sembra ridicolo che l’ordinamento consenta, per esempio, l’incriminazione di chi svolge servizio di cassa presso un’Unità sanitaria Locale e si appropria di poche centinaia di euro contenute in cassa non colpendo, invece, il soggetto che, emettendo un provvedimento cartaceo, riesce a spostare miliardi mettendoli a disposizione di un altro soggetto (a lui legato) in maniera illegittima. E’ evidente che IL POSSESSO non si realizzi soltanto quando il denaro o la cosa mobile sono posti nella diretta disponibilità del pubblico ufficiale, ma anche quando il pubblico ufficiale riesca ad influirne sulla destinazione. In questo caso, si realizza una forma di peculato in cui, almeno in partenza, non è presente un rapporto immediato con la cosa, anche se risulta chiaro, come si ricava dal codice, che il pubblico ufficiale gode della possibilità di utilizzarla. N.B.: LA NORMA PARLA DI POSSESSO E DETENZIONE NON A QUALSIASI TITOLO bensì per ragioni dell’ufficio o del servizio. CHE COSA SIGNIFICA “PER RAGIONI DELL’UFFICIO O DEL SERVIZIO”? L’accezione “ragioni dell’ufficio o del servizio” non significa necessariamente che debba essere presente una stretta competenza funzionale da parte del soggetto in quanto si ammette che la disponibilità possa anche derivare da prassi illegittime, da situazioni normativamente non regolamentate o da situazioni di disponibilità di fatto (ipotesi in cui dovrebbero essere soggetti diversi a disporre di quel denaro o di quella cosa). Le ragioni di ufficio consistono dunque nella disponibilità o possesso dei beni in conseguenza delle specifiche competenze e funzioni svolte dal PU o IPS, DERIVANTI SIA DA NORME (DI LEGGE E REGOLAMENTO) SIA DA PRASSI SIA DA CONSUETUDINI CHE CONSENTONO di dirottare l’utilizzazione della cosa dalla destinazione a pubblica utilità al patrimonio privato del soggetto che agisce (o di terzi a lui legati). 76 Si escludendo solamente quelle disponibilità o possesso collegati a rapporti di mera occasionalità di tipo materiale. Occasionalità: il dirigente che distrae somme di denaro che gli sono state consegnate in via fiduciaria dal ragioniere per il pagamento trimestrale IVA, ha il possesso e la disponibilità delle somme per un fatto meramente occasionale e non risponde di peculato. Il Ragioniere che invece di pagare l’IVA si intasca i soldi risponde di peculato. Il Dirigente che per prassi o consuetudine ha accesso alla cassa dell’ente e distrae le somme di denaro ivi contenute, risponde di peculato. Se invece la cassa è affidata ad un dipendente e il dirigente né per prassi né per consuetudini vi ha accesso, in caso di “appropriazione” di quelle somme non risponderà di peculato Altro fatto estremamente importante è che secondo un orientamento giurisprudenziale non commette peculato il soggetto che si appropria di cose di modesto o insignificante valore. La ratio di questa posizione può essere ricercata, come sottolineato dalla Cassazione, nelle finalità della sanzione penale in base alle quali è volontà dell’ordinamento applicare la sanzione solo “in quei casi in cui l’afflizione legislativamente stabilita sia proporzionale al fatto commesso ed il soggetto appaia bisognoso dell’emenda connessa a quell’afflizione”. 77 2. Condotta appropriativa L’individuazione della condotta appropriativa risulta meno semplice di quanto, si possa pensare. Il primo problema che si pone concerne la possibilità di far rientrare all’interno di tale concetto, quelle condotte caratterizzate dalla “distrazione delle somme di denaro o della cosa mobile a favore proprio od altrui”. ANCHE LA DISTRAZIONE DEI BENI RIENTRA NEL CONCETTO DI APPROPRIAZIONE. Nel MOMENTO IN CUI il PU o IPS sposta (c.d. distrazione) delle somme dall’obiettivo A (perseguimento di un interesse pubblico) all’obiettivo B (privilegio di un interesse privato) ECCO che quel PU od IPS si comporta con i soldi dell’ente come se fossero di sua proprietà (“uti propri”). E comportandosi con quei soldi come se fossero suoi di fatto se ne è appropriato. Se poi quei soldi invece di prenderseli lui, li ha dati a altri si avrà distrazione. 78 La Cassazione prevede che “è pertanto configurabile solo la distrazione quando si tratti di pagamenti indebiti in favore di terzi, operati pur sempre in nome e per conto della pubblica amministrazione”. D’altra parte, pare un po’ difficile pensare che un pubblico ufficiale riesca a realizzare un’appropriazione in nome proprio in quanto verrebbe meno anche la giustificazione formale dell’erogazione. 79 B) Peculato d’uso La fattispecie di peculato costituisce un reato autonomo ove il fine perseguito dall’agente di fare un uso momentaneo impedisce di inquadrare il fatto nel peculato ordinario, che prevede, invece, un’appropriazione definitiva o continuata. Esempio tipico l’uso indebito dell’auto blu della pubblica amministrazione, ad esempio per andare in gita nel week-end, rappresenta un distoglimento della cosa, sia pure limitato nel tempo, sia pure non così devastante come l’alienazione della res o il suo introitamento nel patrimonio del privato 1. Concetto di uso momentaneo - Naturalmente l’uso deve risultare momentaneo e deve essere accompagnato dalla restituzione della cosa. Uso momentaneo significa che si può avere peculato d’uso quando si è di fronte ad abusi di tipo sporadico, mentre, invece, quando si è di fronte ad un abuso sistematico può scattare il reato più grave, cioè il peculato per appropriazione. Per la Cassazione ha più volte confermato che l’uso prolungato della cosa di proprietà della pubblica amministrazione, non risulta condotta tipica della fattispecie di peculato d’uso, ma della più grave fattispecie di peculato. Naturalmente vi rientra anche l’ipotesi in cui venga effettuato un impossessamento per un’utilizzazione momentanea, ma la restituzione non possa avvenire per un fatto non imputabile al soggetto (caso fortuito, caso forza maggiore, ecc…). 80 2. Peculato d’uso su cose fungibili - Un punto che rimane dubbio, ed è oggetto di pronunce contraddittorie, riguarda la possibilità di configurare il peculato d’uso su cose fungibili ed in particolare sul denaro. Normalmente si ravvisa peculato per appropriazione non solo nell’ipotesi in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio intaschi definitivamente i soldi della pubblica amministrazione, ma anche nel caso in cui il denaro venga trattenuto indebitamente per un tempo apprezzabile per poi essere restituito, ipotesi in cui sistematicamente si ritarda il versamento delle somme riscosse a vario titolo. La possibilità di configurare il reato di peculato d’uso si nega in quanto, essendo il denaro una cosa fungibile (cioè una cosa, che una volta spesa, non può essere sostituita con un’altre equivalente), non si può realizzare un’appropriazione momentanea perché l’appropriazione riguarda proprio quella cosa determinata di cui si aveva il possesso e di cui si è fatto un uso indebito. Su questa base, l’orientamento prevalente è indirizzato nel senso di ritenere non configurabile il peculato d’uso nei confronti delle cose fungibili e, quindi, ovviamente, di ritenere in questi casi configurabile il peculato in senso proprio. Tra l’altro deve essere rimarcato che il comma 1 dell’articolo 314 parla di denaro o di altra cosa mobile, mentre il comma 2 (peculato d’uso) fa riferimento solamente ad una cosa mobile. 81 3.Uso indebito dell’utenza telefonica Cassazione Penale Sez. Unite, 2 maggio 2013, n. 19054 PREMESSO CHE Con ordinanza 24 settembre 2012, n. 36760, è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: "Se l’utilizzo per fini personali di utenza telefonica assegnata per ragioni di ufficio integri o meno l’appropriazione richiesta per la configurazione del delitto di peculato ex art. 314, comma primo, cod. pen. ovvero una condotta distrattiva o fraudolenta rispettivamente inquadrabile nel delitto di abuso di ufficio o in quello di truffa aggravata a danno dello Stato". HA STATUITO Con sentenza resa all'esito dell'udienza del 20 dicembre 2012 le Sezioni Unite, superando il precendente più rigoroso orientamento che qualificava la condotta in esame in termini di peculato ordinario CHE L’USO INDEBITO COSTITUISCE PECULATO D’USO. la condotta del pubblico agente che, utilizzando illegittimamente per fini personali il telefono assegnatogli per ragioni di ufficio, produce un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione o di terzi o una concreta lesione alle funzionalità dell'ufficio, è sussumibile nel delitto di peculato d'uso di cui all'art. 314, comma secondo, codice penale". Non può non rilevarsi si legge inoltre nella sentenza - "che il raggiungimento della soglia della rilevanza penale presuppone comunque l'offensività del fatto, che, nel caso del peculato d'uso, si realizza con la produzione di un apprezzabile danno al patrimonio della P.A. o di terzi ovvero (ricordando la plurioffensività alternativa del delitto di peculato) con una concreta lesione della funzionalità dell'ufficio: eventualità quest'ultima che potrà, ad esempio, assumere autonomo determinante rilievo nelle situazioni regolate da contratto c.d. ‘tutto incluso'". (CON IL PIANO GARIFFARIO TUTTO INCLUSO E’ DIFFICILE PARLARE DI DANNI) Non si dimentichi poi l’’articolo 10 comma 5 del decreto del ministro per la funzione pubblica del 31/03/1994, in base al quale il pubblico dipendente, in casi eccezionali può effettuare chiamate personali della linee telefoniche dell’ufficio. Non si dimentichi inoltre: AUTORIZZAZIONE E FORZA MAGGIORE 82 4. Uso di internet. E’ PECULATO D’USO: La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20326/08, ha fissato il principio in base al quale il PU o IPS che navighi su Internet per scopi personali, indipendentemente dal tipo di connessione utilizzato dal datore di lavoro, incorre nel reato di peculato al pari di chi utilizza il telefono d'ufficio per scopi personali. Sulla scorta della pronuncia delle Sezioni Unite, però , occorre un uso illegittimo ai fini personali che produca un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione o di terzi o una concreta lesione alla funzionalità dell'ufficio. Vi rientra però anche la condotta di chi naviga scaricando files non inerenti alla pubblica funzione ( files di carattere pornografico). NB: state attenti ad e-mule ed ad altri programmi simili. Il rischio di scaricare files non voluti e di carattere compromettente è serio e reale (ed è tutto rintracciabile) 83 ABUSO D’UFFICIO ARTICOLO 323 CODICE PENALE – Abuso d’ufficio: Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato (clausola di sussidiarietà) , il pubblico ufficiale, o l’incaricato di pubblico servizio, che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento (tipizzazione della condotta ) ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura (escluso dolo eventuale) sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale (solo vantaggio economicamente valutabile) ovvero reca ad altri un danno ingiusto (reato di evento) è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi un cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità. Il soggetto qualificato per realizzare un abuso d’ufficio nello svolgimento delle funzioni o del servizio deve commettere una violazione di legge o di regolamento oppure una violazione del dovere di astensione incombente in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o di eventuali altri casi in cui l’astensione sia imposta dalla legge. Nella norma sull’abuso d’ufficio rientrano solamente condotte che siano espressione dell’attività pubblica affidata all’agente, al contrario quando la funzione ed il servizio risultano del tutto estranei alle attribuzioni dei soggetti qualificati, non è ravvisabile la fattispecie di abuso d’ufficio ma tutt’al più differenti fattispecie reato (ad esempio usurpazione di funzioni pubbliche, ex articolo 347) 84 A) Il soggetto avvantaggiato dall’abuso d’ufficio può essere sia colui che assume tale condotta sia un terzo. Anche il terzo risponde (art. 110 c.p.) del reato di abuso d’ufficio SOLO ED ESCLUSIVAMENTE quando non si sia limitato a godere del vantaggio MA abbia posto in essere una condotta aggiuntiva ulteriore, che vada oltre la condotta minima non punibile di parte speciale, ossia il semplice usufruire del vantaggio patrimoniale (determinazione, accordo, istigazioni, ecc…). nb: Nell’ipotesi in cui si scopra che il soggetto passivo ha remunerato il soggetto qualificato per commettere un abuso d’ufficio entrambi risponderanno del più grave reato di corruzione . 85 B) Salvo che il fatto non costituisca più grave reato si risponde di abuso d’ufficio. Il reato di abuso d’ufficio è norma tipicamente residuale e come tale, in virtù della clausola di riserva, è applicabile solo quando non si configuri un reato più grave. Ad esempio, il reato di corruzione assorbe quello di abuso d’ufficio nell’ipotesi in cui l’abuso d’ufficio consista in condotte funzionali all’accordo corruttivo, Il reato di turbata libertà degli incanti ex articolo 353, comma 2, non da luogo a concorso formale con l’abuso d’ufficio, che viene assorbito nel reato più grave (chiaramente in questo caso entrambe le norme tutelano lo stesso interesse ossia il buon andamento della pubblica amministrazione). Risultano più controversi i rapporti dell’abuso d’ufficio con i reati di falso in quanto la Cassazione ha assunto al riguardo posizioni diverse. Secondo una pronuncia del 2002, che ha confermato un indirizzo già emerso nel 2001, i reati di falso ideologico, ex articolo 479, ed abuso d’ufficio, ex articolo 323, risultano posti a tutela di due interessi diversi, buon andamento della pubblica amministrazione in una caso ed interesse alla veridicità dei mezzi di certezza pubblica nell’altro (il che sarebbe già sufficiente a negare un’eventuale concorso apparente di norme), ed inoltre non sarebbero nemmeno caratterizzati da un rapporto di specialità in astratto in quanto secondo la Cassazione il reato di falso non potrebbe assorbire il reato di abuso d’ufficio essendo privo di alcuni elementi costitutivi come il procurare un danno ingiusto o un vantaggio patrimoniale ingiusto. Nel 1999 la Cassazione si era invece espressa per il concorso apparente di norme in virtù della clausola di riserva prevista all’inizio dell’articolo 323, il che significherebbe l’assorbimento dell’abuso d’ufficio nel più grave reato di falso che prevede una cornice edittale da tre a dieci anni. 86 C) La norma si presente come reato a dolo generico, ma qualificato, in quanto ciò che in precedenza rappresentava il dolo specifico è diventato l’evento del reato con la novità che è sparito il riferimento al vantaggio non patrimoniale. Il procurare (intenzionalmente), a sé o al altri, un ingiusto vantaggio patrimoniale o, in alternativa, l’arrecare ad altri un danno ingiusto risultano eventi che devono essere necessariamente realizzati perché il reato possa ritenersi consumato. l’avverbio intenzionalmente: chi, per esempio, senza regalare niente a nessuno, utilizza lo strumento della trattativa privata in situazioni non legittime non perché amico del soggetto invitato alla gara informale, bensì perché, a fronte di una scadenza vicina, ritiene di essere in difficoltà a seguire le normali procedure, non utilizza quella trattativa per arrecare intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno ingiusto. La Cassazione, in un intervento del 2000, non ha ravvisato abuso d’ufficio per assenza del dolo intenzionale in un caso in cui alcuni amministratori comunali avevano violato la normativa edilizia al fine di evitare lo spopolamento della montagna favorendo però in questo modo alcuni proprietari immobiliari. In ultimo è opportuno ricordare che, come sottolineato anche dalla Cassazione nel 2001, ai fini della configurabilità del dolo intenzionale, risulta del tutto irrilevante il movente, che induce a perseguire, come fine della condotta, la realizzazione del reato. Di conseguenza dolo del reato “de quo” sussiste anche quando l’evento patrimoniale procurato è il mezzo che il pubblico ufficiale si raffigura e vuole per realizzare uno scopo ulteriore, magari lecito. 1) Rettore di Università che assume personale trimestrale con troppa disinvoltura - manca l’intenzionalità di attribuire ai trimestrali un vantaggio patrimoniale 2) Presidente di seggio elettorale che, sbagliando, non consente a un elettore di votare - manca il dolo intenzionale nei confronti dell’elettore 3) Presidente di un Municipio della città di Roma che aveva “requisito” alloggi vuoti a favore di persone sfrattate manca il dolo intenzionale 87 D) Violazione del dovere di astensione E’ importante ricordare la portata della cosiddetta violazione del dovere di astensione, in merito al quale è opportuno non ritenere automatica la realizzazione del reato con una semplice violazione. Non è possibile che la semplice violazione del dovere di astensione possa risultare sufficiente a configurare la fattispecie reato. E’ necessario, invece, che la violazione sia strumentale al perseguimento intenzionale di un vantaggio patrimoniale ingiusto, elemento che fa parte della struttura oggettiva della fattispecie. Il medico in servizio presso una ASL che dopo aver visitato un paziente lo indirizza verso un laboratorio medico non convenzionato di cui è socio, non avvertendo il paziente della possibilità di eseguire l’esame anche presso una struttura convenzionata e violando di conseguenza il dovere di astensione cui era tenuto, risponde del reato di abuso d’ufficio perchè intenzionalmente procura a sé un vantaggio patrimoniale 88 E) Violazione di leggi La condotta del nuovo articolo 323 prevede la violazione di norme di legge o di regolamento. Ci si chiede se per violazione di legge si debba intendere quel vizio “amministrativo” che ricomprende anche l’eccesso di potere. La risposta è estremamente importante perché la patologia dell’eccesso di potere ricomprende una vasta gamma di condotte invece non ricomprese nella violazione formale delle norme di legge. L’eccesso di potere, violando i principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost). Ricomprende infatti comportamenti che, in sé e per sé, non sono direttamente confliggenti con una specifica norma (penale, amministrativa, ecc…). Si tratta quindi di capire se per violazione di legge si possa intendere anche violazione del buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97 Cost e quindi violazione dell’art. 97 Cost. La giurisprudenza sostiene ANZITUTTO che per violazione di legge si deve intendere violazione di una norma che abbia la forma della norma di legge o regolamento E CHE ABBIA NATURA PRECETTIVA, imponendo cioè un preciso “facere” che miri appunto ad inibire e prescrive che il destinatario assuma una condotta che in maniera molto generica potremmo definire “antigiuridica” 89 Pertanto, ad esempio, la violazione di una delibera o determinazione, non avendo la forma o meglio la veste formale di una legge o regolamento non può rientrare nella nozione della violazione di legge. Per quanto attiene invece alla violazione dell’art. 97 Cost (che sicuramente ha la veste formale di norma di legge, è la legge delle leggi) il problema si suole dire che: - il BUON ANDAMENTO è da considerarsi norma programmatica, priva di valore precettivo. Tutte le norme di carattere programmatico, non avendo valore precettivo, non possono integrare il reato in parola - L’IMPARZIALITA’ invece può in determinati casi assumere valore di norma di legge avente carattere precettivo e dunque può rilevare ai fini del reato in parola Quando si verifica tale condizione? Quando l’imparzialità non viene intesa nel suo senso comune come SOGGETO AL DI SOPRA DELLE PARTI (concetto questo privo di valore precettivo) bensì quando viene inteso come tutela ad un interesse nel confronto con l'insieme degli altri interessi pubblici e privati con i quali deve essere "ponderato“ perché in tal caso l’imparzialità è rivolta al perseguimento di obiettivi specifici. 90 In tal senso imparzialità significa obbligo per l'amministrazione di trattare tutti i soggetti portatori di interessi tutelabili con la medesima misura. E dunque divieto di favoritismi. E’ dunque il divieto di favoritismi che ha i caratteri e i contenuti precettivi richiesti dall'art. 323 c.p., in quanto impone all'impiegato o al funzionario pubblico una vera e propria regola di comportamento, di immediata applicazione. Pertanto "il preferenziale disbrigo di pratiche" (ad esempio invece di seguire l’ordine di protocollo di fa lassare avanti la pratica dell’amico, del parente etc) a discapito delle altre agenzie di pratiche automobilistiche configura l’ipotesi di favoritismo in violazione del principio fissato dall'art. 97 Cost., che, in quanto riferibile non solo all'organizzazione dell'ufficio, ma alla condotta della persona fisica del funzionario, può essere presa in considerazione come violazione di legge ai sensi dell'art. 323 c.p.. 91 F) Violazioni di regolamenti Anche sul versante della violazione di regolamenti si è aperto un ampio dibattito. Il regolamento deve essere inteso in senso tecnico, quindi deve farsi riferimento alla tipica fonte di normazione secondaria della pubblica ammnistrazione, quali i regolamenti dipendenti, delegati e di esecuzione, di cui all’articolo 17 della legge 23 Agosto 1988, n.400 (regolamenti governativi) che presentano determinate caratteristiche (tra cui quella più importante di essere adottati, in genere, dall’autorità centrale). Per quanto riguarda gli enti locali si deve fare riferimento all’articolo 5 della legge 8 Giugno 1990, n.142 (ora, articolo 7 del D.Lgs. 18 Agosto 2000, n.267). Non hanno, invece, natura di regolamento le circolari, in quanto, essendo sprovviste di forza normativa, contengono soltanto criteri tecnico-amministrativi la cui violazione può integrare solo il vizio dell’eccesso di potere. Anche nel caso in cui vengano violate regole di competenza è stata riscontrata la violazione di legge Caso dubbio: violazione norme di CCNL In un caso la delibera di rimborso di spese legali per sindaco e dipendente del comune a causa di un procedimento penale costituisce una violazione di una norma del CCNL e quindi non integra l’abuso d’ufficio. In altro caso la nomina di un soggetto privo dei requisiti ad una determinata posizione organizzativa è stata configurata come abuso d’ufficio: se è vero che il regolamento e il CCNL prevedevano la laurea che il soggetto non aveva, questa violazione aveva portato di conseguenza anche la violazione di norme di legge. 92 G) Profitto ingiusto e danno ingiusto Vantaggio patrimoniale oppure in alternativa danno (non necessariamente patrimoniale). Attualmente, invece, una volta riscontrata la violazione di legge occorre dimostrare che la violazione abbia generato un vantaggio patrimoniale ingiusto in quanto, quando il vantaggio si può ritenere conforme al diritto, anche se è stato realizzato seguendo un iter sbagliato, vi potrà essere, tutt’al più, una contestazione di responsabilità sul piano politico, disciplinare amministrativo o contabile, ma non si potrà parlare di fatto penalmente rilevante. Illegittimità dell’atto, d’altra parte, non può significare automaticamente illiceità penale del comportamento. L’ingiusto vantaggio patrimoniale può essere ravvisato in qualsiasi utilità economicamente apprezzabile per il soggetto favorito dall’abuso, come per esempio la vittoria di un concorso pubblico per l’assunzione presso la pubblica amministrazione avvenuta sine iure grazie all’abuso d’ufficio realizzato da un commissario che ha suggerito la prova di esame. Lo stesso discorso è valido per l’illegittimo rilascio di una concessione edilizia in sanatoria o di una autorizzazione amministrativa, entrambe comportanti vantaggi di natura economica. 93 • • • Riguardo al danno ingiusto: un primario che esclude un medico dipendente dalla struttura dei servizi inerenti la propria qualifica per via di dissapori violando la normativa in tema di organizzazione del servizio sanitario. L’autista (sempre che possa essere considerato pubblico ufficiale) che dopo un diverbio decide di fare scendere tutti i passeggeri dall’autobus causando loro un danno ingiusto Un’ipotesi tutt’altro che infrequente di danno ingiusto è rappresentata ancora dall’atteggiamento ostruzionistico assunto da chi si trova al vertice di un ente locale nei confronti di chi occupa una posizione di minoranza, come avviene quando un sindaco impedisce ad un partito avversario di affiggere i propri manifesti. 94 L) Momento consumativo del reato L’aver spostato il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto da oggetto del dolo specifico a condizione di evento strutturale del reato ha portato cambiamenti sul piano delle conseguenze concrete nell’ipotesi in cui il vantaggio non venga raggiunto per l’intervento di qualche fattore impeditivo nella conclusione della vicenda. Se il vantaggio od il danno non si verificano, si rimane nell’ipotesi di tentativo di abuso d’ufficio. Il reato di abuso d’ufficio si considera, comunque, consumato anche qualora il profitto sia stato solo parzialmente realizzato. Secondo la Cassazione nelle ipotesi di abuso d’ufficio commesso mediante il rilascio di una concessione edilizia illegittima, il vantaggio patrimoniale ingiusto per il privato beneficiario del titolo è integrata dalla semplice attribuzione dello “ius aedficandi”, anche a prescindere dall’effettiva realizzazione dell’opera assentita. Un altro esempio può essere rappresentato dal soggetto qualificato che agisce per motivi di rancore personale nei confronti di un sottoposto, che non ha rispettato la sua posizione gerarchica, adoperandosi per farlo trasferire nel classico reparto ghetto in cui nessuno vuole andare, perché si lavoro molto e si è poco gratificati. Una volta disposto il trasferimento, qualora intervenga un’autorità superiore che rilevi l’illegittimità dell’atto, bloccando il trasferimento, il soggetto qualificato, che ha cercato di recare il danno ingiusto al sottoposto, è sanzionabile per tentativo di abuso d’ufficio. Ai sensi della normativa precedente, la situazione sarebbe stata valutata come un abuso d’ufficio consumato in quanto, in precedenza, era sufficiente agire al fine di recare un danno ingiusto. 95 ART. 328 c.p.: Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta 96 stessa Esaminiamo gli elementi costitutivi del reato in questione. 1) Soggetti attivi: Tale reato può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio. È necessario inoltre che questi abbiano COMPETENZA a compiere l’atto richiesto. Nel caso di procedimento amministrativo il cui iter coinvolga più uffici appartenenti alla medesima amministrazione, gli atti o le attività interne, la cui omissione dovrebbe trovare rimedio nella previsione di attività sostitutive di altri soggetti e sanzione nel promovimento del giudizio disciplinare, non sono penalmente rilevanti, ricadendo nella fattispecie della norma penale solo gli atti esterni, costituiti dal provvedimento finale o quelli che, precedendo il provvedimento finale, si presentano come atti necessari dotati di autonoma rilevanza. 97 2) Elemento oggettivo: 2 ipotesi: a) il I° comma fa riferimento al PU o IPS che “indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica di ordine pubblico o di igiene e sanità deve essere compiuto senza ritardo”. Il reato si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione, incidente su beni di valore primario (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e santità) b) Il II° comma prende in considerazione la condotta consistente nel non compiere entro trenta giorni dalla richiesta di chi abbia interesse, l'atto dovuto, senza rispondere esponendo le ragioni del ritardo. Perché sia integrata la condotta di cui al secondo comma dell'articolo 328 c.p. è necessario che sussistano alcuni presupposti: una richiesta scritta da parte del privato (messa in mora), da cui decorre il termine di 30 giorni per l'adozione dell'atto dovuto o per la formulazione della risposta negativa. La richiesta deve provenire non da un privato qualsiasi, bensì solo da chi abbia un interesse qualificato al compimento dell'atto. N.B. Le norme che consentono di verificare l'idoneità della domanda ed il conseguente obbligo dell'ufficio sono quelle che regolano il procedimento amministrativo; un obbligo di avvio del procedimento, non essendo sufficiente la mera richiesta del privato, che potrebbe avere un oggetto non attinente ai compiti dell'Amministrazione interpellata; un'assenza di risposta da parte della Pubblica Amministrazione, la quale non giustifichi il ritardo nell'adozione del provvedimento. La forma scritta richiesta dal comma 2 dell'articolo 328 c.p. deve rispettare i principi generali dell'ordinamento, che richiedono la forma scritta per gli atti destinati ad essere controllati da un'autorità sovra ordinata e per quelli la cui verifica - l'esistenza ed il suo 98 contenuto - sia rimessa non all'autorità amministrativa, ma a quella giudiziaria. N.B. Per poter verificare se la condotta posta in essere da chi è preposto all'ufficio integri o meno il reato di omissione d'atti d'ufficio, è necessario individuare il momento in cui il termine di 30 giorni inizia a decorrere. Sul punto la giurisprudenza non è univoca: parte della giurisprudenza di legittimità ritiene che il comportamento inerte del pubblico ufficiale inizi a decorrere solo successivamente allo scadere del termine di 30 giorni, previsti in linea generale dalla legge 241 del 1990, dopo una successiva messa in mora. Questa tesi si basa sul fatto che, perché si possa configurare il delitto di cui all'articolo 328 c.p., è necessario una prima istanza alla quale è connesso l'avvio del procedimento amministrativo ed una seconda istanza di messa in mora, con la quale si richiede per iscritto all'Amministrazione di provvedere. E' necessario, infatti, perché l'istanza di messa in mora sia valida, che il termine del procedimento amministrativo sia scaduto, cioè sia decorso inutilmente l'originario termine di 30 giorni. Decorso l'ulteriore termine di 30 giorni previsto dall'articolo 328, 2° comma c.p., il reato si perfeziona. Per meglio comprendere in quali casi sia integrato il delitto di omissione di atti d'ufficio, è necessario tenere presente che non ogni silenzio della Pubblica Amministrazione è significativo: solo in alcuni casi, infatti, una norma specifica attribuisce al silenzio il significato di assenso o rifiuto e quindi il valore di atto amministrativo. Nel caso in cui il silenzio non sia significativo dal punto di vista amministrativo, i presupposti richiesti dalla norma penale di cui all'articolo 328 c.p. ricorrono, in quanto la sequenza "obbligo di attivazione inadempimento" è pienamente integrata. 99 Nei casi, invece, di silenzio significativo il legislatore, come si è detto, attribuisce al silenzio il valore di un atto amministrativo positivo o negativo a tutti gli effetti. Ad esempio l'articolo 25 comma 4 della legge 241/90, nell'attribuire rilevanza giuridica al silenzio della P.A., funge da scriminante. Infatti di fronte alla legge penale che incrimina in linea generale la condotta del pubblico ufficiale, il quale richiesto di provvedere ad un atto del proprio ufficio non risponda nel termine previsto di 30, le disposizioni di legge specifiche, che prevedono la fattispecie del silenzio-assenso, autorizzano il pubblico ufficiale a non rispondere all'istanza rivoltagli per iscritto, potendosi avvalere di tale modalità di risposta. 100 3) Elemento soggettivo: Per la configurabilità del reato si richiede, sotto il profilo psicologico, il dolo generico, cioè la volontà cosciente da parte del pubblico ufficiale di rifiutare, ritardare, omettere l’atto da lui dovuto. L’avverbio indebitamente non comporta l’esigenza di un dolo specifico, ma sottolinea la necessità della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti. Il dolo generico deve comunque ritenersi escluso in caso di omissione o rifiuto realizzati in buona fede, sempre che di questa sia stata fornita la prova. NB: recentemente la cassazione con la sentenza dell’8 maggio 2013 n. 19759 ha condannato gli operatori del 118 che a seguito di una chiamata non avevano inviato l’autoambulanza. 101 Secondo parte della giurisprudenza il mero inadempimento ed il rilevo che l’atto amministrativo omesso sia anche qualificabile come dovuto, non si traducono in un’automatica responsabilità penale del pubblico ufficiale ove questo si sia limitato ad uniformare il proprio comportamento ad una prassi già in vigore ed attuata nei confronti di tutti. In tal caso se da un lato le ragioni che determinano l’insorgere ed il consolidarsi della prassi non possono assurgere a cause giustificative dell’omissione, dall’altro lato, ai fini della configurabilità del dolo è comunque necessario che si sia raggiunta la prova che il pubblico ufficiale, nel caso concreto abbia deliberatamente voluto omettere lo specifico atto (Cass. Pen. n. 175623/1987) 102