Le Newsletter de Il Sole 24 ORE Percorsi di informazione ed approfondimento per professionisti, aziende e Pubblica Amministrazione Mensile di aggiornamento in materia di diritto, edilizia e urbanistica, immobili, appalti, ambiente e sicurezza pubblicato da Il Sole 24 Ore con approfondimenti dello Studio Legale Ponti di Udine Chiuso in redazione il 31 gennaio 2014 © 2014 Il Sole 24 ORE S.p.a. 9 I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze. Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano a cura della Redazione Edilizia e PA de Il Sole 24 ORE Tel. 06 3022.6483 e-mail: [email protected] www.tecnici24.ilsole24ore.com n. 9 – 31 gennaio 2014 Sommario Pagina NEWS Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, immobili, rifiuti, sicurezza RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 4 19 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, energia, inquinamento, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 29 APPROFONDIMENTI L’ARTICOLO DEL MESE a cura dello STUDIO LEGALE PONTI LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE DEGLI AMMINISTRATORI In genere, l’obbligazione in solido si presenta ogniqualvolta sussistano tre condizioni: una pluralità di soggetti debitori, una medesima obbligazione (identità di prestazione dovuta), un’unica fonte dell’obbligazione.Nell’ambito societario, la responsabilità solidale degli amministratori è regolamentata dall’art. 2392 c.c. per quanto riguarda le s.p.a. e dall’art. 2476 c.c. per quanto riguarda le s.r.l. Luca Ponti, Paolo Panella, Studio legale Ponti 37 Societario e fallimentare PRE-CONCORDATO: MODALITÀ, EFFETTI E PECULIARITÀ PROCESSUALI DEL NUOVO STRUMENTO CONCORDATARIO In cosa consiste e a quali effetti rileva la domanda di concordato con riserva? Qual è il ruolo del Giudice? Cosa deve allegare il proponente? Quali “spazi di azione” ha il debitore dopo aver presentato la domanda di concordato con riserva? Ivan Libero Nocera, Il Sole 24 ORE - Ventiquattrore Avvocato, gennaio 2014 - n. 1 39 Societario e fallimentare PAGAMENTO DELLE TRANSAZIONI COMMERCIALI: EFFETTI CONTABILI E FISCALI Sono in vigore, dal 1° gennaio 2013, le disposizioni in materia di pagamenti delle transazioni commerciali introdotte dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192. Dopo una breve analisi delle novità verrà analizzato l'impatto sul bilancio e i conseguenti effetti fiscali. Gioacchino Pantoni, Claudio Sabbatini, Il Sole 24 ORE - Guida Pratica per le Aziende, gennaio 2014, n. 1 49 Societario e fallimentare RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO: NUOVI STRUMENTI DELLA LEGGE FALLIMENTARE Nel presente contributo verranno introdotte le caratteristiche principali relative agli accordi di ristrutturazione dei debiti Fabrizio Bencini, Mancaruso Matteo, Il Sole 24 ORE - Guida Pratica per le Aziende, gennaio 2014 - n. 1 PONTInews24 57 2 L’ESPERTO RISPONDE Ambiente, appalti, edilizia e urbanistica, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 60 © 2014 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. I testi e l'elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze. Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 20149 Milano PONTInews24 3 Appalti Specialistiche, norma-tampone poco chiara: rischio contenzioso Nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 30 dicembre 2013, è stato pubblicato il decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151, che, al comma 9 dell'articolo 3, detta la disciplina transitoria, destinata a colmare il vuoto normativo creatosi a seguito del parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, recepito dal Dpr 30 ottobre 2013, il quale ha annullato il comma 2 dell'articolo 107 e il comma 2 dell'articolo 109 del Regolamento n. 207/2010. L'articolo 107, comma 2, conteneva l'elenco delle categorie superspecialistiche che, ai sensi dell'articolo 37, comma 11, del Codice non possono essere subappaltate per più del 30%, se la loro incidenza sull'importo contrattuale supera il 15%, e che impongono all'impresa priva della relativa qualificazione di servirsi o del raggruppamento temporaneo verticale oppure dell'avvalimento, ai fini di coprire l'altro 70%. L'annullamento è stato motivato sul rilievo, che molte di tali categorie non apparivano «di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica», ragion per cui sarà necessario effettuare una revisione dell'elenco. A sua volta, il comma 2 dell'articolo 109 è stato annullato, apparendo incongruo che, mentre il comma 1 affermava il principio in base al quale l'affidatario qualificato nella sola prevalente potesse eseguire anche le opere scorporabili, il comma 2 rovesciasse invece tale principio imponendo il subappalto delle categorie scorporabili non coperte da attestazione Soa. Il decreto-legge n. 151/2013 ha tuttavia impegnato il Governo a emanare, entro sei mesi dal 30 dicembre 2013, le disposizioni sostitutive di quelle annullate, precisando che, nel frattempo, e in ogni caso non oltre il 30 settembre 2014, continuano ad applicarsi le regole previgenti, senza però indicare quali siano queste regole. Si apre così un problema interpretativo di non poco momento, dovendosi stabilire se tali regole siano quelle contenute negli annullati articoli 107, comma 2 e 109, comma 2, o le disposizioni vigenti ancor prima, vale a dire gli articoli 72 e 74 del Dpr n. 554/1999. A favore della prima opzione interpretativa, milita non solo l'espressione «continuano a trovare applicazione», che appare più appropriato riferire agli articoli 107 e 109, anziché a norme abrogate. Mentre, contro la reviviscenza degli articoli 107 e 109, gioca una considerazione di natura istituzionale, essendo a dir poco improprio che il potere legislativo ponga nel nulla una decisione del potere giudiziario, avente per giunta un valore di carattere generale. Di certo, sul versante dell'interpretazione letterale, sostenere che le norme che vigevano prima dell'annullamento sono quelle annullate significa salvarsi in angolo, perché sarebbe stato più conforme al «clare loqui» scrivere, anziché «regole previgenti», «norme annullate». Infine, non si comprende il motivo per cui il Governo viene impegnato a sostituire tali disposizioni entro sei mesi, mentre quelle «previgenti» potrebbero restare in vigore per nove mesi. Sembra quasi un preannuncio di sconfitta che, peraltro, non lascia intravedere cosa succederebbe se entrambe le date dovessero spirare senza risultati. In ogni caso, l'adesione all'una o all'altra opzione interpretativa non sposta i termini del problema, atteso che le due coppie di disposizione si distinguono soltanto per il fatto che l'elenco delle superspecialistiche di cui all'articolo 72 è meno numeroso di quello contenuto nell'articolo 107, e questo potrebbe costituire un ulteriore argomento a favore della riviviscenza delle norme del Dpr n. 554/1999, rappresentando un'adesione del legislatore alle censure del Consiglio di Stato, il quale aveva contestato proprio l'eccessiva ampiezza dell'articolo 107. Nella prassi, l'incertezza generata da tale norma transitoria rischia di innescare una nuova occasione di contenzioso, e questo non per una sorta di caccia all'errore, ma per una fuga del legislatore dal parlar chiaro. A meno di non ritenere che abbia volutamente inteso riferirsi alle «regole», anziché agli articoli, per sottolineare che le norme restano annullate, ma le regole che esse contenevano continuano ad applicarsi. Il che non accadeva nemmeno a Bisanzio. (Federico Titomanlio, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 13 gennaio 2014) PONTInews24 4 Ok alla riforma degli appalti, per le Pmi sarà meno costoso partecipare alle gare Il via libera del Parlamento Europeo alla riforma degli appalti pubblici conclude un iter durato più di due anni e attribuisce agli Stati membri ampi margini di manovra nel decidere se rendere vincolanti, in sede di recepimento, le principali prescrizioni contenute nelle tre direttive (appalti pubblici, appalti per servizi nei settori acqua, energia, trasporti e servizi postali e concessioni pubbliche). Le scelte dei governi nazionali faranno la differenza rispetto alle due priorità fondamentali della riforma: favorire l'accesso delle piccole e medie imprese alle gare e potenziare l'uso "strategico" degli appalti pubblici attraverso regole e criteri di aggiudicazione capaci di contrastare le diverse forme di dumping sociale e di premiare prodotti e processi produttivi innovativi e rispettosi dell'ambiente. Sul fronte PMI, si punta sulla riduzione dei costi amministrativi di partecipazione alle gare attraverso l'autocertificazione e un uso progressivamente sempre più ampio e vincolante dell'eprocurement. L'idea iniziale di un passaporto europeo per gli appalti rilasciato da un'autorità competente è stata sostituita dal riconoscimento della possibilità di utilizzare un Documento di Gara Unico Europeo (DGUE), che raccoglierà le informazioni sull'azienda e l'autocertificazione dei requisiti necessari alla partecipazione alle gare. Il formato sarà definito nei prossimi mesi dalla Commissione e adottato in tutti i Paesi. Nel pacchetto di misure per le PMI rientra anche l'introduzione di un tetto ai requisiti di fatturato, che non dovrebbero superare il doppio del valore dell'appalto. Soglie più elevate restano tuttavia possibili ma andranno motivate. Per la suddivisione in lotti dei grandi appalti (oltre i 500 mila Euro), obbligatoria nella proposta della Commissione, il Consiglio ha ottenuto la cancellazione di soglie e vincoli mantenendo in capo ai governi nazionali ogni decisione. Stesso discorso per la possibilità di pagare direttamente le imprese subappaltatrici. Per quanto riguarda l'aumento dell'efficienza della spesa pubblica e l'uso strategico degli appalti, la riforma insiste sulla diversificazione delle procedure d'appalto in base alle specifiche esigenze delle amministrazioni, presentando e chiarendo le modalità e i vantaggi del ricorso a procedure non tradizionali come dialogo competitivo e i partenariati per l'innovazione. Una forte attenzione è dedicata al concetto di offerta economicamente più vantaggiosa e al contrasto della prevalenza del massimo ribasso per l'aggiudicazione delle gare. La riforma incoraggia l'utilizzo di criteri orientati agli aspetti qualitativi delle offerte, che includono, ad esempio, la valutazione del costo del ciclo di vita dei prodotti, dell'impatto ambientale delle tecnologie e dei processi produttivi, e, soprattutto dopo l'intervento del Parlamento Europeo, la piena conformità alla legislazione in materia di lavoro e di ambiente. Nel caso di ribassi anomali, l'ente appaltante è tenuto a richiedere spiegazioni (respinta, invece, la proposta di esclusione automatica in caso di risposta insoddisfacente). Quanto alla digitalizzazione integrale delle procedure d'appalto, l'obbligo scatterà al termine di 30 mesi concessi come periodo transitorio. Ma tale periodo transitorio si conteggia a partire dalla scadenza dei due anni concessi per il recepimento della direttiva da parte dell'Italia. Riassumendo, la transitorietà prevista per l'e-procurement si apre a partire dal febbraio-marzo 2016 (in base alla data della prossima pubblicazione della direttiva). L'obbligo scatterà invece al termine dei due anni e mezzo, a partire da questa data, cioè presumibilmente da agostosettembre 2018. Dopo i pareri di nove commissioni parlamentari, la discussione di 2.500 emendamenti e otto mesi di braccio di ferro tra Parlamento e Consiglio, la riforma si è spostata principalmente sul piano del chiarimento normativo, degli orientamenti strategici e della proposta di soluzioni e buone pratiche che gli Stati membri sono incoraggiati ad adottare. Molte delle prescrizioni più significative sono state trasformate in opzioni a disposizione dei governi nazionali, chiamati comunque a intervenire per aggiornare la normativa attuale secondo i principi sanciti nel testo. Come ricordato, dall'entrata in vigore delle direttive (20 giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale) gli Stati membri avranno 24 mesi per il recepimento nel diritto nazionale. (Pierluigi Boda e Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 15 gennaio 2014) Avcpass, fino al 30 giugno basta l'email ordinaria per le comunicazioni con la Pa Slitta di altri sei mesi l'obbligo di dotare i funzionari delle amministrazioni di una casella di posta elettronica certificata per garantire lo scambio di comunicazioni con la banca dati appalti gestita dall'Autorità di vigilanza. La proroga è stata decisa oggi dal Consiglio dell'Authority di PONTInews24 5 Via Ripetta. «Viste le difficoltà segnalate dalle stazioni appaltanti», si legge nel comunicato diramato dall'Authority, il Consiglio «ha disposto la proroga di sei mesi del regime transitorio relativo all'obbligatorietà della Pec personale di cui all'art.9, co.4 della Deliberazione n. 111 del 20/12/2012». Il riferimento è alla delibera che ha reso operativo dal primo gennaio 2014 l'obbligo di verificare i requisiti delle imprese partecipanti alle gare di appalto pubbliche superiori a 40mila euro tramite il servizio «Avcpass» dell'Autorità. Nonostante fosse annunciato da tempo - e già rinviato dal primo gennaio 2013 al primo giorno di quest'anno - il passaggio dalla verifica tradizionale e cartacea alla modalità telematica ha gettato nel panico le stazioni appaltanti creando difficoltà operative anche tra le imprese. Non a caso Comuni (Anci) e costruttori (Ance) la settimana scorsa hanno scritto al ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi chiedendo di intervenire con una proroga. Ora di fronte alle difficoltà (anche economiche) sollevate dalle amministrazioni in merito all'obbligo di dotare di Pec certificata responsabili del procedimento e funzionari coinvolti nello scambio di informazioni sulle gare gestite attraverso il portale arriva la proroga del regime transitorio già deciso dall'Autorità. Un'apertura alle stazioni appaltanti che d'altro canto fa emergere un ulteriore scricchiolio sulla tenuta del sistema. Nel consentire il ricorso alla mail ordinaria l'Autorità ricorda peraltro che la stazione appaltante è tenuta «a garantire che le caselle di posta elettronica ordinaria utilizzate siano esclusivamente individuali, rilasciate nell'ambito del dominio istituzionale dell'Amministrazione e ad accesso esclusivo del soggetto intestatario». E precisa inoltre che è necessario «fornire al personale operante in qualità di incaricato del trattamento dei dati le necessarie istruzioni circa il corretto utilizzo delle credenziali di accesso». (Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 22 gennaio 2014) Appalti. Il recepimento delle direttive - Ance: servono paletti all'in house Rafforzare l'attenzione alle Pmi, limitare il ricorso all'in house, imporre alle concessionarie di affidare con gara il 100% dei lavori oggetto di concessione. Sono le richieste avanzate dai costruttori dell'Ance in occasione del ciclo di audizioni aperto oggi dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, in vista del recepimento delle direttive europee su appalti e concessioni approvate dal Parlamento di Strasburgo, lo scorso 15 gennaio. Per i costruttori i punti di maggiore innovazione delle nuove regole europee riguardano le misure destinare a favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese al mercato degli appalti pubblici. Tra questi l'obbligo di motivare la mancata suddivisione degli appalti in lotti («punto di partenza irrinunciabile nella fase di recepimento») e l'abbassamento della soglia di fatturato per la partecipazione alle gare («un miglioramento che rischia di risultare ancora insufficiente»). Fin qui le «luci» della nuova direttiva. Per bocca del presidente Paolo Buzzetti i costruttori non hanno mancato però di sottolineare alcune criticità. La più importante, dal punto di vista dei costruttori riguarda la nuova disciplina dell'in house «che rischia di allargare notevolmente le maglie di tale modalità esecutiva», che invece dovrebbe restare «quale assoluta eccezione nel panorama degli affidamenti pubblici». Perplessità anche sulla riduzione dei tempi previsti per la presentazione delle offerte (35 giorni rispetto agli attuali 52) e sul rischio che la scelta di limitare il ricorso al massimo ribasso «si tramuti in una generalizzazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa», che richiede un elevato livello di esperienza delle Pa e comporta un costo di partecipazione più alto per le Pmi. Una richiesta precisa arriva rispetto alle misure dirette a tutelare il subappalto con il pagamento diretto dei subaffidatari. In questo caso, ha precisato Buzzetti, dovrà essere la Pa (e non più l'impresa principale) a controllare l'adempimento degli obblighi verso i lavoratori «con conseguente interruzione della responsabilità solidale dell'appaltatore per tali somme». Importante anche la presa di posizione sulle concessioni autostradali. I costruttori auspicano la revisione di un sistema «contraddistinto dall'assenza di una effettiva apertura al mercato concorrenziale» chiedendo che in caso di accorpamenti e proroghe delle concessioni in essere si imponga alle società di affidare con gara il 100% dei lavori «agendo a tutti gli effetti come un'amministrazione aggiudicatrice». Da parte sua l'Autorità di vigilanza punta a raccogliere l'occasione delle direttive per riordinare tutto il sistema degli appalti, bersagliato da una gragnola di correzioni che negli ultimi due anni ha reso difficile inseguire le novità anche agli addetti ai lavori. Tra le prime proposte, avanzate dal vicepresidente Sergio Gallo, coordinatore delle attività dell'Authority sul recepimento, «la PONTInews24 6 creazione di un codice ad hoc per il partenariato pubblico-privato». (Mauro Salerno, Il Sole 24 Ore- Impresa e Territori, 29 gennaio 2014) Autorità: l'impresa non indica i costi di sicurezza aziendale? Esclusione legittima È pienamente legittima l'esclusione da una gara di un'impresa per omessa indicazione nell'offerta economica dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale. Anche se il bando di gara non li richiedeva esplicitamente. È quanto ha stabilito l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici nel parere di precontenzioso n. 147 del 2013, appena pubblicato. I ricorrenti, nel caso in questione, sostengono l'illegittimità della loro esclusione, dal momento che il bando «non faceva riferimento alcuno all'obbligo di indicare, tanto meno a pena di esclusione, i costi della sicurezza da rischio specifico o aziendale». Inoltre, viene sottolineato che, in base al codice appalti, le cause di esclusione sono tassative e non includono i costi per la sicurezza. Infine, si lamenta anche «la omessa predisposizione da parte della stazione appaltante di un modello per la presentazione dell'offerta economica che avrebbe potuto agevolare la formulazione dell'offerta stessa da parte dei concorrenti». Per inquadrare la questione l'Autorità parte dagli articoli 86 comma 3-bis e 87 comma 4 del Codice appalti.Questi stabiliscono, rispettivamente, che: «Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture». E che: «Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture». A questo si aggiungono diverse pronunce del Consiglio di Stato, secondo cui «nelle gare d'appalto l'indicazione degli oneri aziendali per la sicurezza costituisce un adempimento imposto dalla legge». Quindi, il combinato disposto degli articoli 86, comma 3-bis e 87, comma 4 «impone ai concorrenti di segnalare gli oneri economici che intendono sopportare per l'adempimento degli obblighi di sicurezza sul lavoro». La mancata indicazione di questo elemento comporta l'incompletezza dell'offerta, anche nel caso in cui non ci sia esplicita indicazione nel bando. A tale proposito il parere ricorda il principio di tassatività delle clausole di esclusione, enunciato dall'articolo 46, comma 1-bis del Codice appalti: «La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti». Le esclusioni dei concorrenti per omessa indicazione nell'offerta economica dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale sono «legittimamente disposte in quanto, anche in assenza di un'espressa disposizione della lex specialis di gara, la clausola escludente deriva direttamente dalla legge». (Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 31 gennaio 2014) Economia, fisco, agevolazioni e incentivi Modulistica fiscale 2014: i primi modelli definitivi Sono online i modelli e le relative istruzioni di Cud, 730, 770 Semplificato e Ordinario, Iva e Iva base. I modelli dichiarativi 2014, che dovranno essere utilizzati in occasione delle prossime dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2013, sono stati approvati con i provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 15 gennaio scorso. Un altro provvedimento della stessa data dà il via libera anche alle istruzioni aggiornate per la compilazione della comunicazione annuale dei dati Iva. I modelli confermano la veste grafica e i contenuti già presentati nelle bozze pubblicate a dicembre 2013, con poche variazioni; diverse, invece, e rilevanti le novità rispetto ai modelli utilizzati nel 2013, a seguito delle modifiche normative intervenute nel frattempo. (Agenzia delle Entrate) PONTInews24 7 Ristrutturazioni, ancora un anno per il bonus 50%, «super-tetto» di 96mila euro anche nel 2015 Viviamo in un Paese dove il 55,4% delle abitazioni ha più di 40 anni (il 76,2% nelle città metropolitane): percentuale che secondo elaborazioni e stime del Cresme è destinata a salire nei prossimi anni, in particolare nelle aree urbane. In questo quadro diventano sempre più strategici gli interventi di rinnovo e manutenzione degli edifici, che sono comunque cresciuti negli ultimi tempi, complice l'impatto delle detrazioni fiscali. A dare una spinta agli investimenti è stato in particolare il maxi-sconto del 50% sugli interventi di recupero del patrimonio edilizio, arrivato a metà 2012 e ora ulteriormente prorogato dalla legge di stabilità per tutto il 2014. C'è allora un altro anno per dar corso a quel progetto di ristrutturazione rimasto nel cassetto e non perdere il treno della detrazione "maggiorata": la proroga ha confermato d'altra parte l'eccezionalità di un premio così alto, che infatti nel 2015 scenderà al 40% per poi tornare al 36%, a regime, dal 1° gennaio 2016. Lo sconto sarà quindi a scalare, e per regolarsi bisogna tener presente che la detrazione si determina secondo il principio di cassa per le spese sostenute in ciascun anno: non è perciò importante la data in cui vengono eseguiti i lavori o rilasciata la fattura, ma solo quella in cui si effettua il pagamento attraverso il bonifico bancario o postale dedicato. La proroga ha inciso anche sul limite massimo di spesa agevolabile per ogni singola unità immobiliare, che rimarrà di 96mila euro fino alla fine del 2015 e passerà agli ordinari 48mila euro dal 2016. Di fatto, significa che l'importo massimo da poter detrarre è di 48mila euro per le spese sostenute entro il 2014 (50% di 96mila), di 38.400 euro per quelle nel 2015 (40% di 96mila) e di 17.280 euro dal 2016 (36% di 48mila). Un tetto massimo "ideale", beninteso, perché ognuno deve fare i conti con il proprio reddito e la capienza fiscale, per poter accogliere tutta la detrazione. Il 50% di quanto speso, nel limite consentito, deve essere ripartito in dieci quote annuali di pari importo ma l'incentivo non può superare l'Ipref dovuta: il calcolo è dunque ancor più opportuno quando si portano in detrazione altre somme, dalle spese sanitarie agli interessi mutuo, che abbassano l'imposta. Se nel corso dei dieci anni in cui si spalma l'agevolazione, in un determinato esercizio, il decimo di quota da detrarre supera l'Irpef da pagare, la parte in eccesso non può essere rimborsata né rinviata, e va persa. Manutenzione, ristrutturazione, restauro e risanamento conservativo, ma anche interventi per prevenire furti e aggressioni, eliminare barriere architettoniche, evitare infortuni domestici, contenere l'inquinamento acustico, cablare gli edifici, ottenere un risparmio energetico, adottare misure di sicurezza statica e antisismica, o ripristinare un immobile danneggiato dalle calamità e dove sia stato dichiarato lo stato di emergenza. La casistica dei lavori agevolati è ampia e in questa guida, oltre alle novità, sono illustrate anche tutte le informazioni per approfittare del bonus. Tra l'altro, proprio ieri, l'agenzia delle Entrate, citata dall'Economia nella risposta a un question time alla commissione Finanze della Camera, ha precisato che, nel caso di demolizione con ricostruzione di un edificio di uguale sagoma, il bonus spetta anche se la ricostruzione avviene su un'area di sedime diversa da quella iniziale, purché lo spostamento sia «di lieve entità». L'iter è stato molto semplificato negli ultimi anni, e il passo fondamentale resta quello del bonifico "parlante", che dev'essere eseguito dalla stessa persona alla quale sono intestate le fatture: beneficiario del maxi-sconto è chi sostiene la spesa, sia proprietario o meno (inquilino, comodatario, usufruttuario) dell'abitazione oggetto dell'intervento (sono incluse anche le spese per opere su parti comuni dell'edificio).Oltre al bonus-casa in versione maxi, anche quest'anno rimane viva la detrazione del 50% sull'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+ (A per i forni) "finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione". Il limite di spesa agevolabile, da pagare con bonifico "parlante", carta di credito o bancomat, resta di 10mila euro (indipendentemente da quanto costa la ristrutturazione), così come la detrazione è ripartita sempre in dieci anni. Ma ci sono alcune modifiche da tener presente rispetto al bonus-mobili introdotto l'anno scorso. Si può infatti detrarre il 50% della spesa, se spetta l'agevolazione per uno dei lavori di recupero del patrimonio edilizio pagati dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2015: mobili ed elettrodomestici possono essere cioè comprati prima di pagare i lavori (che però dovranno essere iniziati). (Dario Aquaro, Il Sole 24 ORE - Casa24 Plus, 23 gennaio 2014) PONTInews24 8 Sugli immobili di imprese e professionisti Imu deducibile dal 2013 La deducibilità di una quota dell'Imu dal reddito di impresa e di arti e professioni compete in base al criterio di cassa ma decorre dall'imposta dovuta per il 2013. Questa precisazione è stata fornita ieri dall'agenzia delle Entrate a Telefisco 2014. Il comma 715, articolo 1, della legge 147/2013 ha disposto la deducibilità dell'imposta municipale, relativa ai fabbricati strumentali, dal reddito di impresa e di arti e professioni nella misura del 20%, (30% per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013). È un'imposta la cui deducibilità avviene in base al «critico di cassa» (articolo 99 del Tuir). Peraltro l'Imu viene versata a giugno e dicembre dell'anno per il quale l'imposta è dovuta; quindi, generalmente, il periodo di imposta di competenza coincide con quello di cassa. Tuttavia può accadere che il contribuente versi nell'anno successivo l'imposta municipale per errore o dimenticanza, magari regolarizzandola con il ravvedimento operoso. Potrebbe così accadere che nel 2013 il contribuente abbia versato l'Imu relativa al 2012. Secondo l'agenzia delle Entrate il legislatore ha voluto consentire la deducibilità dell'Imu dal reddito di impresa e di lavoro autonomo a partire dal 2013; pertanto l'Imu relativa agli anni 2012 e precedenti non è deducibile dal reddito anche se pagata nel 2013. Invece in futuro sarà possibile dedurre l'Imu dovuta per un certo anno e versata negli anni successivi. Per esempio, entro il 16 giugno 2014 è consentito versare il conguaglio dell'Imu per il secondo semestre 2013 senza sanzioni e interessi (comma 728, articolo 1, legge 147/2014). Quindi tale imposta, anche se relativa al 2013, sarà deducibile dal reddito d'impresa e professionale prodotto nel 2014. Il principio di cassa che guida la deducibilità della quota Imu, dovuta dal 2013, è comune a imprese e professionisti. L'Agenzia, nelle risposte, ricorda che, essendo l'Imu deducibile nell'anno in cui avviene il pagamento, anche se tardivo, non è comunque consentita la deduzione di sanzioni e interessi. Una seconda risposta riguarda la natura di fabbricato strumentale per i professionisti la cui imposta municipale è deducibile in quota dal reddito professionale. L'Agenzia ricorda che per i professionisti (ma anche per le imprese) si considera strumentale l'immobile utilizzato esclusivamente per l'esercizio dell'arte e professione in base all'articolo 43, comma 2, del Tuir. L'immobile utilizzato promiscuamente per l'attività professionale e abitativa non consente quindi alcuna deducibilità dell'Imu dal reddito professionale. Attenzione: anche un immobile personale del professionista che può essere stato ricevuto, per esempio, in eredità, consente la deducibilità parziale dell'Imu, alla stessa stregua per la quale non si dichiara la rendita catastale nel quadro RB. (Gian Paolo Tosoni, Il Sole 24 ORE, 31 gennaio 2014) Edilizia e urbanistica Permessi e Dia, la tagliola-decadenza Il permesso di costruire decade allo scadere dei tre anni dall'inizio dei lavori e ogni lavoro successivo è realizzato senza titolo. La giurisprudenza su questo è uniforme: da ultimo il Consiglio di Stato e i giudici di primo grado (sezione IV, sentenze n. 6151/2013 e n. 974/2012 e Tar Sicilia-Palermo, n. 1481/2013 Tar Abruzzo-Pescara, n. 61/2013) hanno ribadito che la pronuncia di decadenza del permesso di costruire per inosservanza del termine annuale di inizio dei lavori e di quello triennale per il loro completamento, costituisce espressione di un potere strettamente vincolato e ha natura meramente ricognitiva dei presupposti previsti dalla legge, al verificarsi dei quali la decadenza opera di diritto. La finalità della decadenza è sia quella di garantire l'effettiva realizzazione dell'intervento edificatorio in tempi prestabiliti, sia quella di non vincolare per un periodo indefinito le successive scelte pianificatorie dei Comuni, che potrebbero mutare le originarie previsioni urbanistiche. Infatti, il quarto comma dell'articolo 15 del Tu edilizia (Dpr 380/2001), stabilisce che il permesso di costruire decada con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, a meno che le opere siano già state avviate e vengano completate entro il termine di tre anni dalla data di inizio. L'arco temporale di validità del titolo abilitativo è indicato dagli articoli 15, comma 2 e 23, comma 2 del Testo unico, rispettivamente, per il permesso di costruire e per la Dia/Scia. Nel primo caso le opere vanno iniziate entro un anno dall'effettivo rilascio del titolo - che secondo la giurisprudenza coincide con la sua materiale consegna all'interessato e non con la PONTInews24 9 semplice emanazione dell'atto (Tar Sicilia-Palermo, 181/2011; Tar Liguria, 322/2011; Tar Sicilia-Catania 678/2009) - e devono essere completate entro il successivo triennio. Il termine finale di tre anni è previsto anche per gli interventi eseguibili con denuncia o segnalazione certificata di inizio attività. Per gli interventi con permesso di costruire i termini, iniziale e finale, devono essere espressamente indicati nell'atto, costituiscono condizione di efficacia e validità della concessione ed operano automaticamente, indipendentemente da un'apposita dichiarazione amministrativa (Tar Sicilia-Palermo, 1481/2013). Da ciò consegue che, salva una loro eventuale proroga, dopo la scadenza dei termini le opere eventualmente eseguite saranno considerate prive di titolo abilitativo anche in assenza di un espresso provvedimento di decadenza, con conseguente configurabilità del reato previsto dall'articolo 44, lett. b) del testo unico (Cassazione penale, sezione III, 17971/2010). Per favorire il rilancio economico collegato all'edilizia, l'articolo 30, comma 3 del cosiddetto "decreto del fare" (Dl 69/2012, modificato dalla legge di conversione 98/2013 e poi dal successivo decreto 91/2013, convertito in legge 112/2013) ha disposto una proroga biennale dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del testo unico, così come indicati nei titoli rilasciati o comunque formatisi prima dell'entrata in vigore del decreto. La previsione, in forza del successivo comma 4, trova applicazione anche alle denunce di inizio attività ed alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine. In entrambi i casi la proroga non opera automaticamente, sia perché l'interessato deve comunicare all'amministrazione la volontà di avvalersene, sia perché, al momento della comunicazione, deve sussistere una duplice condizione: - i titoli abilitativi non devono essere in contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati; - i termini devono essere già trascorsi, non essendo certo possibile prorogare un termine già scaduto. A questo fine la «comunicazione dell'interessato», poiché atto recettizio ex articolo 1334 del Codice civile, spiegherà effetti solo con la ricezione da parte dell'ente destinatario. La norma proroga di tre anni anche il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto; e ciò al fine di consentire che il maggiore arco temporale concesso per l'esecuzione degli interventi renda gli stessi compatibili anche con la disciplina in tema di tutela del paesaggio, oltreché con quella urbanistico-edilizia. Il comma 3-bis del "decreto del fare" dispone una proroga triennale anche del termine di validità delle convenzioni di lottizzazione disciplinate dall'articolo28 della legge urbanistica n. 1150/1942, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, nonché dei termini di inizio e fine lavori delle opere eseguite in attuazione dei medesimi accordi, purché stipulati entro il 31 dicembre 2012. Proroga su richiesta per opere complesse Tra eccezioni e proroghe, la decadenza dei titoli abilitativi può, in realtà, anche essere fermata. L'articolo 15, comma 2 del testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001) ammette, ad esempio, la possibilità che i termini di inizio e fine lavori per interventi realizzati da privati possano essere prorogati con provvedimento motivato dell'amministrazione; ma ciò esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o di sue particolari caratteristiche costruttive. In assenza di proroga - perché non richiesta oppure non concessa - il titolo abilitativo decade automaticamente per effetto di previsione legislativa, perdendo efficacia per la parte di opere non eseguite. Casi particolari La previsione di carattere generale è però suscettibile di eccezioni, come statuito in due recenti pronunce, riferite una al termine iniziale e l'altra a quello finale, laddove il ritardo nell'avvio o nella conclusione degli interventi assentiti, sia dipeso da fattori preesistenti o sopravvenuti e non conosciuti dal titolare del permesso di costruire e quindi estranei alla sua volontà. Il Tar Lazio-Roma (sentenza n. 7256/2013), confermando precedenti orientamenti giurisprudenziali (Consiglio di Stato, sezione III, n. 1870/2013, Sez. V, n. 4498/2008), ha sancito che la semplice scadenza del termine apposto per l'avvio dei lavori non determina automaticamente la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il PONTInews24 10 presupposto per l'accertamento della eventuale decadenza. Quindi è stato ritenuto illegittimo il provvedimento di decadenza del titolo abilitativo per mancato inizio dei lavori nel termine annuale poiché, dopo appositi accertamenti, era risultato che il ritardo era stato determinato da una causa di forza maggiore preesistente al rilascio dell'atto di assenso edificatorio, sconosciuta al titolare del permesso di costruire. Nella fattispecie si era verificato che, durante l'esecuzione delle opere di sbancamento, era stata riscontrata dagli operai del cantiere la presenza di condutture interrate per il passaggio del metano e di una conduttura elettrica, che andavano necessariamente spostate prima di eseguire l'intervento edilizio. Con riferimento al termine finale, il Tar Calabria-Catanzaro (sentenza n. 1008/2013) ha affermato che l'amministrazione non può adottare un provvedimento di decadenza del permesso di costruire ogni qualvolta essa sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare di eseguire i lavori. In questa eventualità dovrà trovare applicazione, anche senza richiesta dell'interessato, la proroga del termine per fatti estranei alla volontà del concessionario, sopravvenuti a rallentare i lavori. Nel caso di specie, il ritardo era dovuto all'adozione del provvedimento con cui lo stesso Comune aveva negato l'autorizzazione alla vendita di prodotti non alimentari relativa al chiosco per cui era stato chiesto il permesso di costruire; diniego poi annullato in sede giurisdizionale. È stata quindi ritenuta illegittima anche la dichiarazione di decadenza del titolo abilitativo, in quanto la proroga del termine per la ultimazione dei lavori era stata richiesta per un evento sopravvenuto, estraneo alla volontà del concessionario, e ben conosciuto dalla amministrazione. Pur essendo atto a contenuto vincolato, la dichiarazione di decadenza dovrà comunque essere preceduta dall'avviso di avvio del relativo procedimento, la cui mancanza determina l'illegittimità del provvedimento finale, come recentemente affermato dal Tar Toscana con la sentenza n. 1714 del 12 dicembre 2013, pur segnalandosi pronunce di segno opposto (Tar Campania-Salerno, sentenza n. 1690/2013). (Donato Antonucci, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 20 gennaio 2014) Silenzio-assenso, Cil, Scia: più complicata la trascrizione nelle compravendite di immobili Il Consiglio nazionale del notariato ha predisposto una guida operativa sulla disciplina nazionale edilizia che tiene conto delle normative emanate negli ultimi 18 mesi, aggiornando uno studio del 2011. La scenario dei titoli abilitativi può essere così riassunto relativamente all'attività edilizia: totalmente libera; libera previa comunicazione inizio lavori (CIL); soggetta a segnalazione certificata inizio attività (SCIA); soggetta a permesso di costruire e super-DIA. È appena il caso di ricordare che prima di questo sforzo di "semplificazione", il Testo Unico Edilizia (TUE) D.P.R. N.380/2001 aveva ridotto a due i titoli abilitativi: permesso di costruire e DIA. La guida analizza nel dettaglio l'intero procedimento urbanistico-edilizio e le differenze tra i diversi titoli abilitativi , offrendo anche utili tabelle di sintesi. Conviene, però, soffermarsi su alcuni aspetti specifici , anche controversi, e in particolare sugli adempimenti che devono essere svolti dai notai nella predisposizione degli atti relativi alla commercializzazione degli immobili. LO SPORTELLO UNICO EDILIZIA Al centro del nuovo processo istruttorio e decisionale vi è lo sportello unico edilizia (SUE) , codificato dal D.L. n.83/2012 come unico interlocutore tra la pubblica amministrazione e cittadini, che costituisce, perciò, l'unico punto di accesso per tutte le vicende amministrative riguardanti il titolo abilitativo, dalla richiesta al rilascio; ne discende che l'interessato non potrà più rivolgersi direttamente, ad esempio, alla sovrintendenza per ottenere il parere ,ne' la stessa potrà contattare direttamente il privato (limitando così la partecipazione al procedimento, che in alcuni casi può risolvere alcune problematiche progettuali attraverso un'interlocuzione diretta). Nel caso invece di CIL , l'interessato può richiedere al SUE di provvedere all'acquisizione degli atti di assenso o richiederli direttamente. CITARE LA CIL NEGLI ATTI DI VENDITA All'atto della stipula di un atto avente ad oggetto un immobile sul quale siano stati eseguiti interventi soggetti a CIL, il notaio dovrà valutare se le opere hanno inciso sul classamento PONTInews24 11 dell'immobile e se sia necessaria una denuncia di variazione catastale in modo da assicurare la conformità tra i dati catastali e planimetrici depositati in catasto e lo stato di fatto, a pena di nullità dell'atto di trasferimento. Si specifica che non vi è l'obbligo di citare gli estremi della CIL negli atti traslativi, ma ciò è opportuno per avere un quadro completo della storia urbanisticoedilizia dell'immobile ed al fine di garantire l'acquisto di un immobile conforme alla disciplina urbanistico-edilizia e quindi la qualità del bene oggetto di vendita. TRASFERIRE IL PERMESSO Si ricorda, poi,che il permesso di costruire è trasferibile insieme all'immobile ai successori e aventi causa e non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio. Pertanto il permesso può essere trasferito insieme all'area, ma necessita di un atto di voltura che non da luogo ad un nuovo permesso, ma solo ad un cambio di intestazione. IL CASO CDEL SILENZIO-ASSENSO Viene ribadito che il rilascio del permesso di costruire deve avvenire tramite un atto scritto, ma si forniscono anche indicazioni nel caso si sia formato il silenzio assenso, per cui non esiste un provvedimento formale da citare nell'atto. Il notaio dovrà indicare i presupposti e gli elementi costitutivi del silenzio assenso che si è formato, quali: presentazione SUE; pagamento contributo di costruzione; avvenuto decorso dei termini senza provvedimenti espressi di diniego; mancata richiesta di integrazione documentale; assenza di vincoli. Questi elementi possono essere fatti risultare dall'atto nella forma della dichiarazione di parte, non essendo prevista una specifica attestazione da parte del notaio rogante il quale non è tenuto ad effettuare controlli sulla regolarità urbanistico-edilizia del procedimento conclusosi con il silenzio assenso, ma solo ad una verifica puramente formale circa l'esistenza dei presupposti del silenzio assenso ed a ricevere, per riprodurla in atto, la dichiarazione di parte. IL CASO DELLA SUPER-DIA Un'attenzione particolare è dedicata alla c.d. super-DIA per la quale si ribadisce l'obbligo di menzione nell'atto essendo sostitutiva del permesso di costruire, ma si evidenzia il contrasto interpretativo circa gli estremi da dichiarare, ossia se sia sufficiente la menzione della denuncia, ovvero se sia necessaria l'indicazione di tutti gli elementi del procedimento. Lo studio ritiene che sia sufficiente per la validità dell'atto indicare i soli estremi della denuncia presentata al SUE ( data di presentazione e numero di protocollo attribuito ovvero estremi della raccomandata e della data di ricezione o della ricevuta informatica in caso di utilizzazione della procedura informatica). Sarà invece opportuno, ma non necessario, indicare gli estremi del piano attuativo se previsto e la dichiarazione che ricorrono le condizioni di legge per avvalersi della super-DIA. COSA FARE CON LA SCIA Per gli interventi non più soggetti a DIA semplice, ma a SCIA non è prescritta alcuna menzione a pena di nullità, anche se la stessa è opportuna, anche in questo caso, per ricostruire la storia urbanistico-edilizia del fabbricato. Si sottolinea, altresì, che la violazione della disciplina in materia di SCIA comporta l'applicazione delle sanzioni amministrative, ma non coinvolge mai la validità dell'atto. In proposito viene evidenziata l'introduzione di una sanatoria per legge da parte del D.L. n.70/2011 degli abusi rientranti nel 2% delle misure progettuali. IL CERTIFICATO DI AGIBILITA' Si prende anche posizione sul fatto che il rilascio del certificato di agibilità attesta l'idoneità dell'edificio ad essere utilizzato, ma ciò non toglie che la conformità della costruzione al progetto edilizio ed agli strumenti urbanistici sia condizione per il rilascio dell'agibilità, in quanto il comune anche in presenza di agibilità può ordinare il ripristino per violazioni urbanistico-edilizie. Degna di nota è anche l'affermazione che, per la commerciabilità degli edifici, negli atti comportanti il trasferimento degli stessi non è necessario che il certificato di agibilità sia stato rilasciato e non è di conseguenza neppure necessaria la menzione in atto degli estremi dell'agibilità. La mancanza dell'agibilità , se da un lato non impedisce il trasferimento dell'edificio, dall'altro incide, però, sui rapporti tra le parti stante le conseguenze che ne possono derivare anche sul piano della risolubilità del contratto. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, 27 gennaio 2014) PONTInews24 12 Pubblica amministrazione L'ufficio paga sempre il ritardo - Non conta se il comportamento è dovuto a forza maggiore o a fattori scusabili I titolari d'impresa e soprattutto i loro consulenti che sono in attesa della chiusura di un procedimento amministrativo di cui sono già scaduti i termini possono finalmente presentare istanza per chiedere un indennizzo economico. Attenzione, però: entro 20 giorni dalla scadenza del termine dovranno rivolgersi al dirigente dell'amministrazione titolare di potere sostitutivo per concordare un nuovo termine (pari alla metà del vecchio) per la chiusura della pratica. Se anche questo termine non viene centrato scatta il pagamento: 30 euro per ogni giorno di ritardo fino a un massimo di 2mila euro da versare in via forfettaria e automatica. Sia pure a qualche mese di distanza dal decreto del "fare" (n. 69 del giugno 2013), la firma del ministro Gianpiero D'Alia alla direttiva con le linee guida per l'indennizzo da ritardo dà il via alla piena applicazione una delle misure forse più simboliche dell'ultimo pacchetto di semplificazioni. La misura, teoricamente già efficace dal 21 agosto scorso, rimarrà in vigore per un periodo di 18 mesi e in fase di prima applicazione varrà solo per i procedimenti amministrativi iniziati su istanza di parte relativi all'avvio e all'esercizio dell'attività d'impresa. Non si potrà fare richiesta di indennizzo in caso di scadenza termini per una Dia (denuncia di inizio attività) o una Scia (segnalazione certificata inizio attività). Questo primo periodo di sperimentazione verrà monitorato dalla Funzione pubblica con la collaborazione di Regioni, Anci e associazioni di categoria, dopodiché un successivo regolamento dovrebbe estenderne l'applicazione anche ai cittadini. La direttiva del ministro, che «Il Sole 24 Ore» è in grado di anticipare, arriva al termine di una campagna informativa sull'indennizzo da ritardo condotta su radio e tv e dopo che, nei mesi scorsi, tramite la rete delle Camere di Commercio, sono stati diffusi quattro milioni di opuscoli informativi alle imprese sulle modalità di attuazione di questa e altre semplificazioni. Con l'indennizzo si cerca di fare un passo in più nella direzione della deterrenza nei confronti di una Pa cronicamente incapace di rispettare i tempi per l'adozione delle procedure amministrative previste, visto che l'introduzione della figura del dirigente titolare del potere sostitutivo, che risale a due anni fa, da sola non ha determinato una vera riduzione dei tempi di produzione di atti. Nelle linee guida si chiarisce che l'indennizzo dovrà essere riconosciuto anche in casi di ritardi dovuti a «comportamenti scusabili» o dovuti a «casi fortuiti» o di «forza maggiore» per le amministrazioni. In caso di procedimenti complessi a pagare sarà la sola amministrazione responsabile del mancato rispetto dei termini, e non tutte le altre coinvolte. Altro contenuto importante: il pagamento dell'indennizzo non farà venir meno l'obbligo delle amministrazioni di concludere il provvedimento contestato. Un capitolo a sé è riservato agli obblighi che le amministrazioni dovranno osservare per garantire il massimo di trasparenza e conoscibilità dei termini e delle modalità con cui esercitare il diritto all'indennizzo e dell'avvio del procedimento richiesto: informazioni che dovranno essere garantire sui siti web delle amministrazioni, come previsto dai regolamenti della primavera scorsa sulla Pa trasparente. L'obbligo di indennizzo per ritardo si applica a tutte le amministrazioni e le società controllate che producono certificazioni o autorizzazioni e, nel caso non siano previsti termini di chiusura di un procedimento, per le Pa statali e gli enti nazionale varrà il termine perentorio di 30 giorni. Per procedure particolari potranno essere fissati termini di chiusura anche superiori ai 90 giorni ma mai oltre il limite massimo di 180 giorni. Infine i rimedi giudiziari nei casi in cui i responsabili delle amministrazioni non rispettino l'obbligo di fissazione di nuovi termini da rispettare o non procedano al pagamento dell'indennizzo: le imprese potranno fare ricorso al giudice amministrativo o chiedere un'ingiunzione di pagamento. Ma se il ricorso venisse giudicato inammissibili o manifestamente infondato allora a pagare saranno i privati. La somma da riconoscere sarà da due a quattro volte il contributo unificato. (Davide Colombo, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 11 gennaio 2014) PONTInews24 13 Pagamenti Pa, il 62% è in ritardo Nel 62% dei contratti pubblici i tempi di pagamento sforano i termini di legge e vanno oltre i 60 giorni, mentre, in un appalto su due l'amministrazione pubblica "suggerisce" all'impresa di rallentare l'emissione delle fatture, in modo da diluire anche i saldi. A un anno di distanza dall'arrivo delle nuove regole che impongono pagamenti a 30 giorni (e, solo in casi eccezionali, fino a un massimo di 60), sono ancora poche le amministrazioni che si sono allineate e riescono a pagare nei tempi stringenti richiesti dalla direttiva europea e dal decreto italiano di recepimento (Dlgs 192/2012), in vigore, appunto, per i contratti firmati dal primo gennaio 2013. I primi numeri arrivano dal monitoraggio dei costruttori dell'Ance sui lavori pubblici, ma basta ascoltare anche le altre categorie di fornitori della Pa per capire che il problema è identico e in alcuni casi anche più diffuso. La maglia nera resta alla Sanità (225 giorni di ritardo, si veda l'articolo a fianco), mentre in edilizia i tempi medi di attesa si attestano a 146 giorni (con una prima diminuzione proprio nel 2013). Ben oltre i due mesi consentiti. In realtà, a leggere i bandi di gara di questo primo anno, le amministrazioni sembrano essersi allineate alle nuove regole. Ma, spesso, l'adeguamento si ferma all'avviso pubblico, mentre nel rapporto diretto con il fornitore si moltiplicano i tentativi di aggiramento dei tempi. Come ha fotografato l'Ance, si va, appunto, dalla richiesta di dilazione inserita apertamente nel contratto, al consiglio di scaglionare le fatture (48%) fino al più temibile esito negativo: la rinuncia alla commessa, una volta che l'amministrazione ha capito di non riuscire a stare nei tempi (9% dei casi). Spesso l'impresa non ha mezzi per difendersi: «Il pagamento degli interessi, per esempio, non è mai automatico - spiega il presidente Ance, Paolo Buzzetti - e bisogna sobbarcarsi gli oneri di una richiesta a parte». Anche nei servizi si registrano prassi elusive. Mentre prima la fatturazione dei servizi aveva spesso cadenza mensile, molte amministrazioni ora - denuncia la Federazione delle imprese di servizi (Fise) – tendono a introdurre nei capitolati di appalto clausole che vincolano l'appaltatore ad emettere le fatture con sistematico differimento rispetto al periodo di esecuzione delle prestazioni: si parla di tre o quattro mesi. «Con l'effetto paradossale - spiega il segretario Lorenzo Gradi - di rallentare potenzialmente i tempi anche a chi prima era virtuoso e pagava davvero a 30 o 60 giorni». Già perché qualche ente in grado di rispettare i patti esiste. Per l'Aniasa, ad esempio (l'associazione degli autonoleggiatori) «il 50-60% delle amministrazioni è corretto». Ma i ritardi (solo il Comune di Napoli deve alla categoria 2 milioni e ne ha sbloccati 1,5) hanno spinto l'associazione a dialogare con Consip e ottenere la possibilità di interrompere il servizio ai morosi (si veda il Sole 24 Ore del 16 dicembre 2013). Per le aziende di recapito privato, il mercato è diviso in due. Precisa Luca Palermo, alla guida della Are (associazione recapito espressi): «Al Nord dall'anno scorso i pagamenti a 30, 60 giorni sono diventati la prassi mentre al Sud purtroppo i ritardi sono ancora la regola». Solo dalle società partecipate dalla Regione Sicilia i concorrenti di Poste attendono da 18 mesi «diverse decine di milioni». A novembre erano stati sanati 16,9 miliardi di debiti arretrati. «In effetti i pagamenti ci sono stati e anche in tempi brevi» riconosce Buzzetti. «Ma ora ci siamo di nuovo fermati e se non si interviene a breve rischiamo di trovarci di nuovo con un anno di ritardo». A distanza di quattro mesi dalla scadenza (5 settembre) non si è ancora concluso il censimento degli arretrati. Le amministrazioni stanno ancora caricando i debiti pregressi sulla piattaforma di certificazione dei crediti. Questo ritardo rischia di vanificare anche la nuova possibilità di compensare i crediti fiscali con i debiti Pa (si veda il Sole 24 Ore del 7 gennaio): senza registrazione, infatti, il credito è come se non esistesse. (Valerio Uva, Il Sole 24 ORE, 13 gennaio 2014) PONTInews24 14 Societario e fallimentare Fisco e previdenza frenano le «Stp» Sono 54 le società tra professionisti iscritte nella sezione speciale del Registro delle imprese; 11 hanno sede in Lombardia. Il tipo societario preferito è la Srl, tra l'altro ne sono state costituite due in forma unipersonale. A distanza di nove mesi dall'entrata in vigore del decreto 34/2013 che ha definito le regole per la costituzione delle società tra professionisti (legge 183/2011), i risultati sono piuttosto deludenti, anche se – ha sottolineato Arrigo Roveda, presidente del Consigio notarile di Milano – da fine novembre il numero delle società è raddoppiato. Il bilancio – presentato ieri a Milano al convegno organizzato dall'Ordine dei dottori commercialisti, insieme con il notariato – risente delle incertezze normative e della modalità seguite dal legislatore. « I punti oscuri – ha detto Alessandro Solidoro, presidente dell'Ordine dei dottori commercialisti – sono troppi, basti pensare che non è chiara la natura del reddito prodotto dalla società e non si ha certezza sulla previdenza. Le Stp sono state volute inseguendo le liberalizzazioni, ma non rispondono alle reali esigenze dei professionisti. Tutto ciò nonostante il mercato richieda aggregazione di funzioni e suddivisione di costi per essere competitivi visto che aziende e clienti necessitano di risposte sempre più complesse». Le società tra professionisti, con l'apertura al socio di capitale, non hanno neppure attirato gli investitori. « I soggetti forti – ha notato Roveda – non sono corsi a investire, forse anche a causa della situazione economica; del resto hanno ottenuto vantaggi consistenti, per i prezzi dei servizi, dall'abolizione delle tariffe». Secondo Solidoro e Roveda, la redditività del settore non è così elevata – almeno ora – da remunerare il capitale di rischio. Il convegno di ieri ha cercato di mettere qualche punto fermo dal punto di vista della disciplina. Relatori: Mauro Nicoli e Massimo Bortolin (Ordine dottori commercialisti), Manuela Agostini e Maria Nives Iannaccone (Consiglio notarile di Milano). Il bilancio a nove mesi 54 Le società professionali Sono 54 le società iscritte nella sezione speciale del Registro imprese al 12 gennaio 2014 27 Le Srl La società a responsabilità limitata è la preferita. In aggiunta due Srl sono unipersonali (la possibilità è stata riconosciuta dalle massime dei notai del Triveneto) 11 Le Stp in Lombardia La Lombardia è la regione dove si concentra il maggior numero di società tra professionisti. Segue, con nove compagini, l'Emilia-Romagna. A Milano ne sono state costituite due. L'"istruttoria" dei fascicoli ha messo in evidenza come le società tra professionisti possono essere uno strumento di dislocazione dell'attività professionale in piazze più redditizie (Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 18 gennaio 2014) Società semplificate. Il ministero dello Sviluppo conferma la rigidità del modello standard Il modello standard di atto costitutivo della società a responsabilità limitata semplificata (Srls) «non può essere oggetto di modifiche». E, se prima era in dubbio l'integrabilità del modello con eventuali «clausole aggiuntive non incompatibili» (non la sua inderogabilità), il Dl 76/2013 è solo intervenuto per «dirimere una questione interpretativa» (quella sull'integrabilità del modello) «che aveva visto sin dall'inizio i commentatori generalmente divisi». Lo scrive il ministero dello Sviluppo economico, divisione del Registro imprese, nella nota Prot. n. 6404 del 15 gennaio. La stessa conclusione del ministero della Giustizia, scritta nella nota n. 118972.U dell'11 settembre 2013, integrata da comunicazione del 13 settembre (si veda Il Sole 24 Ore del 19 settembre). La Srls è il nuovo tipo societario, disciplinato dall'articolo 2643-bis del Codice civile, la cui costituzione è praticamente priva di costi, il cui capitale sociale può essere compreso tra 1 e 9.999,99 euro e il cui atto costitutivo va redatto secondo un modello standard fissato da un decreto del ministro della Giustizia. Il Dl 76/2013 ha poi modificato l'articolo 2643-bis: soci della Srls possono essere solo persone fisiche, ma di qualsiasi età (prima potevano essere PONTInews24 15 solo under 35); amministratori della Srls possono essere anche soggetti non soci (prima solo i soci potevano esserlo); le clausole dell'atto costitutivo standard sono inderogabili. Questa normativa aveva sollevato due principali problemi: - se il modello standard emanato col Dm 138/2012 (nel vigore della previgente versione dell'articolo 2643-bis) fosse da considerarsi obsoleto e quindi non utilizzabile fino all'emanazione di un Dm correttivo; - se le clausole del modello standard, essendo inderogabili, fossero integrabili non modificazioni non incompatibili. Su entrambi i punti il ministero della Giustizia ha risposta negativamente. Sul secondo punto, si è ora aggiunto il "no" del ministero dello Sviluppo. Così, è oggi definitivamente accertato che non è possibile introdurre nell'atto costitutivo di Srls clausole destinate a regolamentare stabilmente la vita della società, frutto di un'opzione manifestata dai soci costituenti. Principalmente, non è possibile integrare lo standard di cui al Dm 138/2012 con clausole attinenti, ad esempio: "particolari diritti" dei soci, "circolazione" delle quote di partecipazione al capitale sociale, casi di recesso ulteriori rispetto a quelli previsti per legge, casi di esclusione dalla società, forme di amministrazione diverse dal consiglio di amministrazione, forme di decisione degli amministratori diverse dalla riunione collegiale, termine per l'approvazione del bilancio che sia maggiore di quello stabilito dalla legge, forme di decisione dei soci diverse dalla riunione assembleare, modalità di convocazione dell'assemblea e quorum assembleari diversi da quello prescritti dalla legge, attribuzione ai soci del potere di decisione su questioni gestionali della società eccetera. Uno spiraglio di flessibilità del modello standard, nonostante la sua affermata inderogabilità, pare poter rimanere per quelle clausole che non attengono (come nelle ipotesi sopra elencate) a situazioni "stabili" della vita societaria (e che pertanto tipicamente sono clausole di natura statutaria), ma che regolamentano situazioni meramente temporanee, quali: la data di chiusura del primo esercizio sociale (ad esempio, ragguagliandola all'anno solare); la durata in carica del primo organo amministrativo (per evitarne la permanenza in carica a tempo indeterminato). (Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 25 gennaio 2014) La prova dell'attività salva dal «comodo» La disciplina delle società non operative è da inquadrare tra le presunzioni di evasione e, quindi, la società può dimostrare che non cela alcun «abuso della persona giuridica». Sono ormai numerose le sentenze delle commissioni tributarie (tra le altre Ctp Verona n. 171/3/2013; Ctp Udine n. 41/02/2012; Ctr Lombardia n. 170/28/2011) che confermano la non applicazione della disciplina delle società di comodo quando la società è in grado di dimostrare che svolge un'attività economica. Le società di comodo sono state istituite per colpire l'«abuso della persona giuridica» che si verifica quando i beni intestati a una società non risultano «funzionali» allo svolgimento di una attività economica propria del contratto societario (articolo 2247 del Codice civile), ma rispetto al godimento da parte dei soci (articolo 2248 del Codice civile). Sotto il profilo fiscale, la disciplina delle società non operative (i termini società di comodo o non operative risultano sovrapponibili) vorrebbe quindi disincentivare l'uso dello strumento societario a cui vengono intestati dei beni senza farne seguire un'attività economica (in questo senso anche le circolari 5/E/2007 e 7/E/2013). Si tratta di una presunzione di evasione, basata sul presupposto che determinati beni del patrimonio societario dovrebbero tendenzialmente produrre dei risultati (dei ricavi), così che l'omessa dichiarazione di un determinato ammontare di ricavi fa sorgere il sospetto di un occultamento, di una simulazione dello schermo societario. In quest'ottica deve essere letto anche l'intervento operato con il Dl 138/2011, cioè le società che dichiarano perdite sono ritenute «non operative», considerando che la norma risulta collocata appena prima delle disposizioni legate all'utilizzo dei beni societari da parte dei soci. In sostanza, l'intervento può trovare giustificazione poiché si presume che le perdite vengono conseguite per il fatto che la società sostiene dei componenti negativi che, in realtà, sono da PONTInews24 16 riferire ai soci. In sostanza, come ha confermato la circolare 7/E/2013 (paragrafo 6), oggi nell'ordinamento tributario vi sono due presupposti (il mancato superamento del test e il conseguimento di perdite) che determinano – singolarmente – la presunzione che la società non è operativa, ossia abusa dello schermo societario. (Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 gennaio 2014) Società e reati fiscali, confisca limitata Un freno al sequestro dei beni delle società per reati tributari commessi dai manager. Lo mette, con una pronuncia destinata a costituire punto di riferimento sulla materia, la Corte di cassazione, con la pronuncia depositata ieri. Le Sezioni unite penali, con la nota provvisoria n. 1 (le motivazioni saranno disponibili solo tra qualche tempo), chiariscono che la linea di confine, per quanto riguarda la possibilità di sequestro finalizzato alla confisca dei beni dell'impresa per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante, corre sulla riconducibilità al profitto del reato. Solo se i beni hanno un collegamento diretto con il reato diventa possibile l'applicazione della misura cautelare. In caso contrario, il sequestro di ulteriori beni, anche nella forma per equivalente, non è possibile. Nel contrasto di giurisprudenza che si era venuto a creare all'interno della stessa Corte di cassazione ha così prevalso la linea più favorevole all'impresa. Determinante, in questa lettura, almeno a quanto sottolineato dall'ordinanza di rinvio alle Sezioni unite, è l'assenza nel decreto 231, che sanziona anche gli enti per i reati commessi da dipendenti, degli illeciti tributari. A meno che la struttura aziendale rappresenti uno schermo vero e proprio per la realizzazione dell'attività illegale. Cosa naturalmente sempre più difficile da provare man mano che crescono le dimensioni dell'ente stesso. Altra possibile eccezione, di cui si trovava traccia nei precedenti sempre della Cassazione, stava invece nel carattere transnazionale del reato stesso: in questo caso infatti il profilo internazionale della violazione avrebbe reso possibile l'applicazione della misura cautelare. E una recentissima sentenza dell'anno passato (la n. 1256 del 2013) ha ricordato come la decisione del legislatore di non comprendere i reati tributari nell'elenco di quelli previsti dal decreto 231 del 2001 non costituisce una scelta meditata. In primo piano infatti emerge, secondo i giudici, l'irragionevolezza dell'attuale legislazione penale sul punto. È infatti possibile effettuare la confisca anche nella forma per equivalente nel caso di reato tributario compiuto nell'ambito di associazioni criminali transnazionali, mentre questo non è possibile, in assenza della caratteristica dell'internazionalità, anche a fronte di un maggiore ammontare di imposte evase Evidente, a giudizio della Corte, l'inefficacia dell'attuale sistema punitivo e la disparità di trattamento cui dà luogo l'attuale disciplina. Di segno diverso erano state altre pronunce. Queste mettevano in evidenza come in linea generale la legge permette la confisca diretta dei beni che costituiscono prezzo del reato «indipendentemente dalla qualifica di concorrente nel reato stesso del soggetto nella cui disponibilità è pervenuto il profitto e, nel caso si tratti di una società, prescindendo dalla previsione o meno di responsabilità amministrativa per il reato medesimo». Per quanto riguarda in particolare i reati tributari, malgrado questi siano addebitabili al manager indagato, ha sostenuto la stessa Cassazione, le conseguenze patrimoniali devono ricadere sulla società a favore della quale ha agito, a meno che si dimostri che c'è stata una rottura del rapporto organico che collega il manager all'ente. Il conflitto interpretativo IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE RISOLTO DALLE SEZIONI UNITE L'INTERPRETAZIONE E' applicabile il sequestro preventivo funzionale alla confisca sui beni della persona giuridica con riferimento ai reati tributari commessi dal manager anche nel caso in cui la società non sia una cosidetta "società schermo", ove confluiscono cioè i profitti degli illeciti fiscali LE MOTIVAZIONI La società non deve considerarsi terzo estraneo al reato perché partecipa alla utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati. Per poter aggredire i suoi beni, quindi, non è richiesto che l'ente sia responsabile ai sensi del dlgs 231/2001 PONTInews24 17 LE PRONUNCE Cassazione penale sentenze: 28731/11; 17485/12; 38740/12 L'INTERPRETAZIONE Il sequestro preventivo non può applicarsi ai beni della persona giuridica nel caso in cui si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante a vantaggio della stessa in quanto non sussiste nell'ordinamento e, nella specie, nel dlgs 231/2001 alcuna disposizione in tal senso. Gli articoli 24 e successivi del dlgs n. 231/01 non prevedono i reati tributari tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione del provvedimento LE MOTIVAZIONI La misura cautelare non è ammessa anche se l'ente ha avuto dal reato un vantaggio notevole. La possibilità di aggredire con la misura cautelare il patrimonio dell'ente si concretizzerebbe solo ove la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo per commettere gli illeciti. In tal caso, infatti, il reato non sarebbe stato commesso a vantaggio dell'ente, ma del reo stesso, il quale si avvale dello schermo societario per trarre un interesse personale LE PRONUNCE Cassazione penale sentenze: 25774/12; 15349/13; 22980/13;42350/13 IL RINVIO ALLE SEZIONI UNITE L'INTERPRETAZIONE La Suprema Corte, preso atto delle differenti interpretazioni in seno alla sezione penale, ha ritenuto sussistente il contrasto giurisprudenziale LE MOTIVAZIONI Il contrasto non può ritenersi superato e, comunque, anche in caso di superamento, la questione potrebbe dar luogo ad un nuovo conflitto. Pertanto, si rende necessario un intervento delle sezioni unite LE PRONUNCE Corte di Cassazione, sezione III penale, ordinanza n. 46726, depositata il 22 novembre 2013 (Giovanni Negri, Laura Ambrosi, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 31 gennaio 2014) PONTInews24 18 Legge e prassi (G.U. 31 gennaio 2014, n. 25) Economia, fisco, agevolazioni e incentivi DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 5 dicembre 2013, n. 159 Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). (G.U. 24 gennaio 2013, n. 19) Contenuto La pubblicazione in Gazzetta mette in pista il nuovo Isee Con il Dpcm 5 dicembre 2013, ma pubblicato soltanto sulla "Gazzetta Ufficiale" del 24 gennaio 2014 n. 19, è stato adottato il nuovo regolamento con il quale sono state revisionate le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). Tale revisione si è resa necessaria per dare attuazione alle previsioni contenute nell’articolo 5 del Dl 201/2011 convertito dalla legge 214/2011 e del Dl 95/2012 convertito dalla legge 135/2012. In particolare tale ultima disposizione da un lato (articolo 23, comma 12-bis) dispone l’abrogazione del previgente regolamento Isee (Dpcm 221/1999) entro 30 giorni dall’approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva e dall’altro (articolo 23, comma 12-ter) prevede che le informazioni comunicate ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del Dpr 605/1973 (Anagrafe rapporti) e del comma 2 dell’articolo 11 del Dl 201/2011 (comunicazioni integrative all’Anagrafe dei rapporti utili ai fini della formazione delle liste selettive dei soggetti da sottoporre ad accertamenti fiscali) siano utilizzate dai cittadini ai fini della semplificazione degli adempimenti ai fini della compilazione della dichiarazione sostitutiva unica e in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella stessa dichiarazione sostitutiva unica. L’articolo 2 del Dpcm chiarisce che l’Isee è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate, anche ai fini di stabilire se e in che misura il cittadino deve partecipare alle prestazioni sociali agevolate. In aggiunta all’Isee, gli enti erogatori possono prevedere ulteriori criteri di selezione volti a identificare specifiche platee di beneficiari in relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e se non diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni. Le caratteristiche del nuovo strumento. La situazione economica viene misurata in funzione di tre fattori: 1) il reddito di tutti i componenti del nucleo familiare; 2) il loro patrimonio (valorizzato al 20%); 3) una scale di equivalenza che tiene conto della composizione del nucleo familiare della sua composizione. Come chiarito dallo stesso ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, iI nuovo Isee: – considera tutte le forme di reddito, comprese quelle fiscalmente esenti; – migliora la capacità selettiva dando un peso più adeguato alla componente patrimoniale; – considera le caratteristiche dei nuclei con carichi gravosi, come le famiglie con 3 o più figli e quelle con persone con disabilità; – consente una differenziazione dell’indicatore in riferimento al tipo di prestazione richiesta; – riduce l’area dell’autodichiarazione, consentendo di rafforzare i controlli per ridurre le situazioni di accesso indebito alle prestazioni agevolate. L’Isee deve essere obbligatoriamente utilizzato dagli enti erogatori (Comuni, università) in sede di erogazione delle prestazioni. Tale strumento non va però esteso a prestazioni nazionali che non lo utilizzavano in precedenza. Sono previsti Isee differenziati con riguardo alle prestazioni agevolate di natura socio sanitaria, PONTInews24 19 alle prestazioni agevolate rivolte a minorenni, in presenza di genitori non conviventi ed alle prestazioni di diritto allo studio. Il cittadino può richiedere l’applicazione di un “Isee corrente” calcolato con riferimento a un periodo di tempo più ravvicinato al momento della richiesta della prestazione al ricorrere di determinate condizioni (articolo 9 del regolamento), quali la risoluzione del rapporto di lavoro dipendente. Per le prestazioni sociali a livello locale, l’individuazione delle nuove soglie avverrà con regolamento degli enti erogatori, mentre per quelle nazionali che già utilizzano l’Isee (assegno di maternità per le madri non lavoratrici e assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori) le nuove soglie vengono fissate già nel regolamento. I controlli. Al fine di evitare abusi da parte dei cittadini è prevista una intensificazione dei controlli. Sul patrimonio mobiliare (danaro) è previsto un controllo preventivo per scovare l’esistenza dei conti non dichiarati e un controllo successivo mediante controlli sostanziali della Guardia di finanza su cittadini inclusi in specifiche liste selettive. A fronte della suddetta intensificazione dei controlli è previsto un snellimento della burocrazia. Infatti, solo una parte dei dati dovrà essere autocertificata dal richiedente. I dati fiscali più importanti e quelli relativi alle prestazioni erogate dall’Inps saranno integrati a cura dell’amministrazione. La dichiarazione sostitutiva unica. Per richiedere le prestazioni per le quali è previsto l’Isee i cittadini devono presentare la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu). Tale dichiarazione ha validità dal momento della presentazione al 15 gennaio dell’anno successivo, salvo la facoltà di presentare una nuova dichiarazione per far rilevare i mutamenti delle condizioni familiari ed economiche del proprio nucleo familiare. La Dsu ha carattere modulare e si compone di un modello base relativo al nucleo familiare e a fogli relativi ai singoli componenti. Sono altresì previsti dei moduli aggiuntivi (nei casi previsti), dei moduli sostitutivi per l’Isee corrente e dei moduli integrativi nel caso in cui siano mutate le condizioni. La dichiarazione deve essere presentata ai comuni ovvero ai Caf dipendenti o direttamente all’amministrazione pubblica in qualità di ente erogatore al quale è richiesta la prima prestazione o alla sede dell’Inps competente per territorio. All’Inps la richiesta potrà essere presentata anche telematicamente appena saranno rese disponibili le modalità. (Giovanni Rennella, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 30 gennaio 2014) DECRETO-LEGGE 28 gennaio 2014, n. 4 Disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi. (G.U. 29 gennaio 2013, n. 23) Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 2014 n. 23 il Dl 29 gennaio 2014 n. 4 contenente disposizioni in materia di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi. Non è previsto l’anonimato e dunque ciò consente l’emersione di capitali detenuti all’estero e l’eventuale rientro. Le disposizioni prevedono che le imposte vengano pagate per intero con un meccanismo di diversificate riduzioni delle relative sanzioni. Per quanto riguarda le norme penali, il provvedimento prevede che vengano meno i reati di infedele dichiarazione mentre per altre ipotesi di reato è prevista una attenuazione del carico penale. L’approvazione delle norme sulla “voluntary disclosure”, inoltre, non avrà effetti sul fronte delle sanzioni e dei presidi previsti in materia di contrasto del riciclaggio e di finanziamento al terrorismo. Regolarizzazioni dei capitali detenuti all’estero: la norma sulla cosiddetta “voluntary disclosure” riguarda la regolarizzazione di capitali non dichiarati detenuti all’estero e avviene attraverso una richiesta spontanea del contribuente. Non è un condono. Soggetti interessati: sono le persone fisiche e i soci di società di persone che non hanno dichiarato redditi di capitale percepiti all’estero. Presentazione della domanda: la richiesta di ammissione deve essere presentata entro il 30 settembre 2015. PONTInews24 20 Procedura di collaborazione volontaria: Al momento della richiesta il contribuente è tenuto ad esibire la documentazione completa su investimenti e attività finanziarie costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, su come si sono costituiti e sui guadagni realizzati negli ultimi 10 anni in termini di interessi, dividendi, plusvalenze. Sono regolarizzabili le posizioni fino al 31/12/2013. La collaborazione volontaria deve riguardare tutti i periodi di imposta per i quali non siano scaduti i termini per l’accertamento alla data della presentazione della richiesta. La disclosure non è ammessa se la richiesta viene presentata dopo che il contribuente è già stato interessato da una verifica o una ispezione fiscale. È previsto un contraddittorio individuale con l’Agenzia delle Entrate per individuare, caso per caso, le imposte dovute per intero. Sanzioni: è prevista una riduzione delle sanzioni amministrative. Per la semplice regolarizzazione la sanzione è ridotta di un quarto. La sanzione si riduce fino alla metà se il contribuente trasferisce i capitali in Italia o in un altro Paese dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni, oppure se si rilascia all’intermediario estero l’autorizzazione a trasmettere le informazioni al fisco italiano. Inoltre, chi partecipa alla regolarizzazione spontanea non sarà perseguibile per omessa o infedele dichiarazione. Per i comportamenti fraudolenti (fatture o dichiarazioni false o altri artifici) la pena è ridotta fino alla metà. Versamento: è previsto in un’unica soluzione. La procedura di collaborazione volontaria si chiude con l’avvenuto versamento. Il decreto inoltre interviene su altre tre materie: Detrazioni Irpef: vengono abrogati i commi 575 e 576 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2014 che prevedevano l’aumento del gettito IRPEF in virtù di un taglio delle detrazioni. Le coperture per il mancato gettito verranno dall'incremento degli obiettivi minimi della revisione della spesa già contemplati nella legge di stabilità. Sgravi fiscali per le imprese: per consentire a tutte le imprese di beneficiare nel corso dell'anno 2014 della riduzione dei contributi INAIL previsti nella legge di stabilità per il 2014, per un valore complessivo di un miliardo di euro, viene differito dal 16 febbraio 2014 al16 maggio 2014 il termine per il pagamento e l'invio telematico delle denunce nonché dei premi speciali. Il differimento si applica anche ai premi speciali, diversi dai premi speciali unitari artigiani, di cui all'articolo 42 del DPR 1124/1965. Zone terremotate colpite da alluvione Modena: nei Comuni nella provincia di Modena colpiti dall’alluvione di 17 gennaio 2014 e già colpiti dal sisma del 2012, sono sospesi i termini dei versamenti e adempimenti tributari nel periodo compreso tra il 17 gennaio e il 31 luglio 2014. Concessioni governative dovuta la tassa di concessioni governative sui telefoni cellulari. (Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014) LEGGE 29 gennaio 2014, n. 5 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, recante disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia. (G.U. 29 gennaio 2013, n. 23, Suppl. Ordinario n. 9) Contenuto Le principali misure contenute nel provvedimento sono l'abolizione della seconda rata Imu, sostituita dalla mini-Imu, l'aumento di capitale della Banca d'Italia, l'incremento degli acconti Ires e Irap e gli interventi per agevolare la dismissione degli immobili. Imu: Viene abolita la seconda rata Imu del 2013, sulle abitazioni principali. I proprietari dovranno pagare una mini-rata, pari al 40% degli incrementi di imposta stabiliti nell'anno dagli enti locali, con scadenza al 24 gennaio. Per il 2013 vengono stanziate risorse pari a 2,2 mld per i comuni, per compensare il minor gettito Imu. Con il provvedimento vengono erogati 1,8 mld mentre la quota restante sarà autorizzata con un decreto del Mef. Non sono applicati sanzioni e interessi nel caso di insufficiente versamento della seconda rata, dovuta per il 2013, qualora la differenza sia stata versata entro il termine del 24 gennaio 2014. PONTInews24 21 Bankitalia: Viene autorizzato l'aumento di capitale, mediante utilizzo delle riserve statuarie, all'importo di 7,5 mld di euro. Le quote nominativa, fissate a 20.000 euro dal decreto legge uscito da palazzo Chigi, nel passaggio a palazzo madama sono state aumentate a 25.000 euro. Ciascun partecipante non può possedere una quota di capitale superiore al 3% (nel provvedimento uscito da palazzo Chigi la quota era fissata al 5%). Le categorie di investitori che possono acquistare le quote sono: banche e imprese di assicurazione che hanno sede all'interno dell'Ue, fondazioni bancarie, enti ed istituti di previdenza e assicurazione con sede in Italia e fondi pensione. Immobili: Per rendere più appetibile la dismissione degli immobili pubblici concesso agli acquirenti di sanare le irregolarità, successivamente al trasferimento dello stabile. Con un emendamento approvato da palazzo Madama viene stabilito che siano i ministeri dei Beni culturali e dell'Ambiente a individuare gli immobili che dovranno essere esclusi dalle dismissioni. Acconti ires e irap: L'acconto Ires e Irap vengono portati al 128,5% (dal 101%), nell'anno d'imposta 2013, per gli enti creditizi, finanziari, assicurativi e per Bankitalia. Un decreto del ministero dell'Economia ha incrementato gli acconti di un altro 1,5% portando il totale dell'acconto al 130%. Nel 2014 tutti i soggetti Ires calcolano l'acconto Ires in misura pari al 101,5%. Ma i soggetti interessati dal maxi-acconto dello scorso anno, dovranno aggiungere 8,5 punti percentuali. Con un provvedimento dell'Agenzia delle dogane e dei Monopoli, da adottare entro il 31 dicembre di quest'anno, sarà disposto un ulteriore aumento delle accise sui carburanti, che scatterà nel 2015. (Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014) Immobili MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 20 dicembre 2013 Dismissione di immobili di enti territoriali ai sensi dell'art. 11-quinquies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, come modificato dall'art. 3 del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 (G.U. 3 gennaio 2014, n. 2) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 23 dicembre 2013 Dismissione di immobili del Demanio ai sensi dell'articolo 11-quinquies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e successive modifiche ed integrazioni (G.U. 3 gennaio 2014, n. 2) AGENZIA DELLE ENTRATE PROVVEDIMENTO DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE 3 GENNAIO 2014 Estensione delle modalità di versamento di cui all’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, alle somme dovute in relazione alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili Contenuto Dal 1° febbraio F24 Elide per i contratti di locazione Dal prossimo 1° febbraio potrà essere utilizzato il modello “F24 Versamenti con elementi identificativi”, cosiddetto “F24 Elide”, per pagare le imposte dovute per la registrazione dei contratti di locazione e di affitto di beni immobili. È quanto stabilisce il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 3 gennaio 2014. Percorso di unificazione dei pagamenti iniziato nel 1997. L’articolo 17 del Dlgs 241/1997 stabilisce che i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti. PONTInews24 22 Il comma 2 individua quali sono i crediti e i debiti per i quali può essere utilizzato il modello di versamento unitario e la compensazione. L’articolo 83, comma 1, della legge 342/2000, sostituendo la lettera h-ter) di tale comma 2, ha previsto che versamenti unitari e compensazioni possono riguardare anche altre entrate individuate con decreto del ministro delle Finanze, di concerto con il ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e con i ministri competenti per settore. Così, con il decreto Mef 8 novembre 2011 sono state estese le modalità di versamento unitario, tra l’altro, all’imposta di registro e all’imposta di bollo. Peraltro, tale decreto ha stabilito che le modalità e i termini di versamento per tali nuove imposte sarebbero state determinate, anche progressivamente, con appositi provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate. Registro, bollo e tributi speciali nel nuovo modello. Al fine di razionalizzare le modalità dei versamenti delle imposte e di garantire una maggiore efficienza del sistema, con il provvedimento direttoriale in esame, quindi, è stato esteso l’utilizzo del modello F24 Elide al versamento dell’imposta di registro, tributi speciali e compensi, imposta di bollo, nonché relative sanzioni e interessi, connesse alla registrazione di contratti di locazione e affitto di beni immobili. Il modello, approvato con provvedimento direttoriale 7 agosto 2009, è “scaricabile” dal sito internet dell’Agenzia delle entrate e potrà essere reperito, a partire dal 1° aprile 2014, anche presso gli sportelli bancari, postali e degli agenti della riscossione. F24 Elide obbligatorio dal 1° gennaio 2015. Per quanto concerne il timing dell’operazione, l’F24 Elide potrà essere già utilizzato dal prossimo 1° febbraio, ma sino alla fine di quest’anno convivrà con il modello F23 attualmente utilizzato per tale tipologia di versamenti e che, quindi, continuerà a essere accettato e utilizzabile sino al 31 dicembre 2014. A partire dal 1° gennaio 2015, invece, tali versamenti potranno essere effettuati soltanto mediante modello F24 Elide. In ogni caso, i pagamenti dovuti a seguito di atto emesso dall’ufficio dell’Agenzia delle entrate dovranno sempre essere effettuati con il modello allegato all’atto o in esso indicato. Pagamento allo sportello solo per i non titolari di partita Iva. Il versamento mediante modello F24 Elide, ai sensi dell’articolo 37, comma 49, del Dl 223/2006, dovrà essere effettuato esclusivamente mediante modalità telematiche per i titolari di partita Iva: a tal fine, potranno essere utilizzati i canali telematici dell’Agenzia delle entrate, Entratel ovvero Fisconline, oppure i servizi online degli istituti di credito e delle Poste. I soggetti non titolari di partita Iva, invece, potranno presentare il modello in versione cartacea a uno sportello bancario o postale o dell’agente della riscossione, per il pagamento in contanti, con addebito in conto corrente, con bancomat, postamat eccetera. Codici tributo ancora da definire. La caratteristica del modello F24 Elide è che, oltre a presentare gli abituali campi recanti il codice ufficio e il codice atto, reca anche una serie di spazi riservati all’indicazione della tipologia di versamento per la quale è richiesta la specificazione di particolari elementi identificativi, nonché, appunto, i campi in cui inserire detti elementi identificativi. Al momento non è ancora dato sapere come verrà utilizzato il modello per il versamento di imposta di registro, bollo, tributi speciali ed eventuali sanzioni e interessi relativi alla registrazione di contratti di locazione, atteso che i codici tributo e le istruzioni per la compilazione del modello verranno approvati con un futuro provvedimento direttoriale. Si ricorda, infine, che attualmente il modello F24 Elide è già utilizzato per il versamento dell’Iva ai fini dell’immatricolazione o successiva voltura di veicoli oggetto di acquisto intracomunitario ex articolo 1, comma 9, del Dl 262/2006. (Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 15 gennaio 2014, n. 8) AGENZIA DELLE ENTRATE PROVVEDIMENTO DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE 10 GENNAIO 2014 Approvazione del modello per la «Richiesta di registrazione e adempimenti successivi contratti di locazione e affitto di immobili» (modello RLI), delle relative istruzioni e delle specifiche tecniche per la trasmissione telematica. Modalità di revoca del regime della cedolare secca per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo Contenuto Debutta il 3 febbraio il Rli per registrare le locazioni Con il provvedimento dell’Agenzia delle entrate 10 gennaio 2014 è intervenuta in materia di PONTInews24 23 contratti di locazione approvando un nuovo modello "Richiesta di registrazione e adempimenti successivi - Contratti di locazione e affitto di immobili”, denominato "RLI", che i contribuenti potranno utilizzare, dal prossimo 3 febbraio 2014, «per richiedere la registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili ed eventuali proroghe, cessioni e risoluzioni, nonché per l’esercizio dell’opzione o della revoca della cedolare secca». Il nuovo modello “Rli”, reso disponibile gratuitamente in formato elettronico sul sito dell’Agenzia delle entrate, sostituisce il modello 69, approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle entrate 7 aprile 2011, esclusivamente per l’esecuzione dei seguenti adempimenti: – richiesta di registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili; – proroghe, cessioni e risoluzioni dei contratti di locazione e affitto di beni immobili; – comunicazione dei dati catastali ai sensi dell’articolo 19, comma 15, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78; – esercizio e revoca dell’opzione per la cedolare secca; – denunce relative ai contratti di locazione non registrati, ai contratti di locazione con canone superiore a quello registrato o ai comodati fittizi Il modello 69 resta operativo, quindi, per le registrazioni di atti e contratti diversi da quelli di locazione e affitto. Fase transitoria. È prevista una fase transitoria, fino al 31 marzo, durante la quale potranno essere presentati all'Agenzia delle entrate, indifferentemente, sia il “vecchio” sia il nuovo modello: dopo questa data, il modello 69 sarà definitivamente sostituito dal modello Rli per tutti gli adempimenti connessi ai contratti di locazione e affitto immobiliare espressamente indicati dal provvedimento. La presentazione può avvenire in modalità telematica, direttamente o tramite gli intermediari abilitati. I soggetti non obbligati alla registrazione telematica dei contratti di locazione possono presentare il modello telematicamente anche presso gli uffici dell’Agenzia. Per la presentazione in via telematica del nuovo modello va utilizzato il software “Contratti di locazione e affitto di immobili (RLI)”, “scaricabile” gratuitamente sul sito della stessa Agenzia. È comunque resa disponibile anche la versione web del software per consentire la registrazione dei contratti di locazione senza la necessità dell’installazione del software. In ogni caso, fino al prossimo 31 marzo sarà ancora concesso l’utilizzo dei “vecchi” software, quali “Contratti di locazione”, “Iris” e “Siria”. Presentazione telematica “in forma semplificata”. È altresì consentita una presentazione telematica «in forma semplificata» del modello RLI, cioè senza l’allegazione della copia del testo contrattuale, nei casi, specificatamente indicati, in cui: – il numero di locatori e di conduttori, rispettivamente, non sia superiore a tre; – vi sia una sola unità abitativa e un numero di pertinenze non superiore a tre; – tutti gli immobili siano censiti con attribuzione di rendita; – il contratto contenga esclusivamente la disciplina del rapporto di locazione e, pertanto, non comprenda patti aggiuntivi; – il contratto venga stipulato tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di un’impresa, arte o professione. L'invio telematico dei dati relativi alla richiesta di registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili e dei dati relativi al versamento delle imposte di registro e di bollo deve essere effettuato «secondo le specifiche tecniche contenute nell’Allegato A» al provvedimento. «Ciascun file può contenere i dati relativi alla richiesta di registrazione di un solo contratto ovvero alla comunicazione di uno o più adempimenti successivi che si riferiscono ad un solo richiedente». Il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 7 aprile 2011 ha chiarito che il locatore ha facoltà di revocare l’opzione in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella in cui questa è stata esercitata, secondo modalità da stabilirsi con altro provvedimento dello stesso direttore dell’Agenzia delle entrate. Il nuovo modello si aggancia a quella “previsione” e consente l'esercizio o la revoca dell’opzione per la cedolare secca: «il locatore può revocare l’opzione in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella in cui è stata esercitata l’opzione entro il termine previsto per il pagamento dell’imposta di registro relativa all’annualità di riferimento». Con la revoca torna l'obbligo di pagare l’imposta di registro dovuta per l'annualità di riferimento e per quelle PONTInews24 24 successive. (Vincenzo Morrone, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa) Lavoro, previdenza e professione GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI COMUNICATO Avviso pubblico di avvio della consultazione su «Schema di provvedimento generale in materia di trattamento di dati personali nell'ambito dei servizi di mobile remote payment» (G.U. 3 gennaio 2014, n. 2) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 24 gennaio 2014 Definizioni e ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito (G.U. 27 gennaio 2014, n. 21) Contenuto Professionisti: obbligo di Pos rinviato a giugno prossimo Slitterà di sei mesi, a giugno prossimo, l’obbligo, entrato in vigore il 1° gennaio scorso, per i commercianti e i professionisti, di dotarsi di Pos per ricevere i pagamenti dei clienti superiori a 30 euro mediante carta bancomat, come disciplinato dal Dm 24 gennaio 2014. Lo prevede la versione definitiva dell'emendamento approvato dalla commissione Affari costituzionali del Senato nell’ambito dei lavori di conversione del Dl Milleproroghe. In un primo momento, si era diffusa la notizia di due emendamenti approvati che avrebbero rinviato l’obbligo dal 1°gennaio 2014 al 1° giugno 2015. Adempimento previsto fin dal 2012. Il nuovo obbligo nasce dall’articolo 15, comma 4, del Dl 179/2012, in base al quale, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito, fatte salve, in ogni caso, le disposizioni antiriciclaggio di cui al Dlgs 231/2007. Il successivo comma 5 dispone, inoltre, che con uno o più decreti del ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il ministro dell'Economia e delle Finanze, sentita la Banca d'Italia, sarebbero stati disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, di attuazione della disposizione di cui al comma precedente. Rilevanti i pagamenti superiori a 30 euro. Con il Dm 24 gennaio 2014 del ministero dello Sviluppo economico, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 gennaio 2014 n. 21, è stata data attuazione alle norme menzionate, prevedendo, in particolare, l’obbligo di accettare i pagamenti superiori a 30 euro mediante carta di debito. Tale obbligo si applica ai soggetti che il decreto definisce esercenti, ovvero i beneficiari, imprese o professionisti, dei pagamenti stessi. In sede di prima applicazione, peraltro, ai sensi dell’articolo 2 del decreto, l’adempimento sarebbe applicabile soltanto nei confronti dei contribuenti che nell’anno precedente hanno realizzato un fatturato superiore a 200.000 euro. Infine, il decreto fa salva l’emanazione di un ulteriore provvedimento per la definizione di nuove soglie minime dei pagamenti e nuovi limiti di fatturato. Tutte le disposizioni recate dal decreto, infine, avrebbero dovuto entrare in vigore il 28 marzo 2014, ovvero decorsi 60 gironi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Dubbi sull’utilizzo delle carte di credito. Il nuovo obbligo e le relative disposizioni attuative hanno provocato una certa preoccupazione tra gli operatori, atteso che l’ambito applicativo definito è così esteso che non rende agevole l’individuazione dei soggetti coinvolti: ad esempio, anche sotto il profilo della ragionevolezza, non si comprende la necessità di sottoporre a tale obbligo i professionisti monocommittenti, per i quali, in effetti, si nutrono dubbi circa l’applicabilità del nuovo adempimento. Inoltre, l’articolo 1, comma 1, lettera a), del Dm 24 gennaio 2014 definisce carta di debito lo strumento di pagamento che consente al titolare di effettuare le transazioni presso un esercente abilitato all’accettazione della carta medesima, emessa da un istituto di credito, previo deposito di fondi in via anticipata da parte dell’utilizzatore: si tratta, quindi, della classica carta di debito, ovvero del bancomat. Resta da PONTInews24 25 chiarire, allora, se anche le carte di credito, che sono uno strumento di pagamento diverso, atteso che non richiedono la previa disponibilità di fondi da parte dell’utilizzatore, sono ammesse ai fini del nuovo obbligo. (Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014) INPS CIRCOLARE 30 Gennaio 2014, N. 16 Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 13 marzo 2013. Rilascio del documento unico di regolarità contributiva in presenza di certificazione dei crediti ai sensi dell’art. 13 bis, comma 5, del decreto legge 7 maggio 2012, n. 52 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94. Contenuto Certificazione di crediti P.A. e rilascio del DURC A seguito di quanto stabilito con il decreto ministeriale 13 marzo 2013, l’Inps ha fornito i propri chiarimenti in merito alla possibilità di rilasciare il documento unico di regolarità contributiva in presenza di certificazione dei crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni, emessa tramite la “Piattaforma per la Certificazione dei Crediti”. Con decreto ministeriale 13 marzo 2013 sono state definite le modalità, per dare attuazione a quanto disposto dalla vigente normativa in materia di rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva, in deroga ai consueti criteri di rilascio dello stesso. Il DM citato, prevede infatti la possibilità di emettere comunque un Durc "regolare" anche in presenza di scoperture contributive, purché sia prodotta l'attestazione di sussistenza di crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti della Pubblica Amministrazione, per un importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati. La ratio del legislatore è dunque quella di consentire alle imprese che vantano crediti verso la P.A., di ottenere un Durc, ancorché la loro posizione contributiva presenti delle scoperture che potrebbero però essere sanate, se il credito maturato fosse stato riscosso. Le condizioni per il rilascio del DURC Come si è detto, il Durc viene rilasciato anche in presenza di irregolarità presso INPS, INAIL o Casse edili, se è prodotta una certificazione attestante l'ammontare di crediti vantati dall'azienda richiedente, aventi le caratteristiche sopra individuate. Questa attestazione può essere resa da: - amministrazioni statali, - enti pubblici nazionali, - Regioni, - enti locali - enti del Servizio Sanitario Nazionale. Attenzione: l'importo delle somme a credito, deve essere almeno pari alla scopertura contributiva accertata. Soggetti richiedenti La richiesta di attestazione del credito, deve essere presentata dal titolare del credito - quindi dall'azienda - attraverso il sistema telematico in gestione al MEF, nella "Piattaforma per la certificazione dei crediti (PCC)" e nella nuova funzione "Gestione richiesta DURC". Qui il titolare del credito, o un suo intermediario, genererà la richiesta di rilascio del DURC ai sensi dell'art. 13 bis, comma 5, D.L. n. 52/2012 convertito in L. 94/2012. Dopo la generazione del documento, sarà possibile accedere alla funzione di richiesta del DURC, attraverso lo Sportello Unico Previdenziale. In presenza di richiesta di DURC per rapporti tra privati, la consegna del documento avverrà attraverso PEC o consegna cartacea presso gli istituti coinvolti dal rilascio del DURC. In fase di richiesta di DURC però, il soggetto avrà cura di specificare che il rilascio dovrà avvenire ai sensi dell’art. 13 bis, comma 5, d.l. n. 52/2012. La PPC È opportuno ricordare che la Piattaforma per la Certificazione dei crediti, è una funzionalità che permette ai soggetti che vantano crediti verso la pubblica amministrazione di chiedere che l'ammontare di tali crediti sia certificato. I crediti possono essere legati a somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e PONTInews24 26 prestazioni professionali. Attraverso il sistema è possibile individuare tutte le eventuali successive operazioni di anticipazione, compensazione, cessione e pagamento, effettuate in relazione al credito certificato. Permette infine, come precisa lo stesso Ministero dell'Economia e delle Finanze che ne gestisce il funzionamento, di svolgere tutte le attività del processo di comunicazione dei debiti previste dalle norme sulla ricognizione dei debiti contratti dalla P.A. Note operative Attenzione: in attesa dell’adeguamento dello Sportello Unico Previdenziale, la specifica indicazione che il DURC deve essere rilasciato ai sensi dell’art. 13 bis, comma 5, d.l. n. 52/2012, è inserita - in caso di “appalto pubblico”, nel campo “oggetto dell’appalto”, - in caso di "altra tipologia”, nel campo “Specifica uso”. Rilascio di DURC e capienza Nella PCC (Piattaforma per la Certificazione dei Crediti) è presente la nuova funzione “Verifica la capienza per l’emissione del DURC” e qui è possibile individuare la sussistenza e l’importo dei crediti vantati. Tale verifica dà esito positivo quando l’importo della scopertura contributiva accertata, risulta pari o inferiore a quello evidenziato dal sistema della Piattaforma come saldo disponibile alla data della verifica. In questa prima fase di attuazione operativa, le strutture territoriali di Inail, Inps e Casse Edili devono acquisire vicendevolmente le informazioni legate alle scoperture accertate ed ai crediti vantati, per poter correttamente valutare la capienza con riferimento al debito totale. Validità del Durc ex comma 5 art. 13 bis Anche il Durc rilasciato con queste modalità rimane valido per la durata di 120 giorni dalla data del rilascio e può essere utilizzato per tutte le finalità prevista dalla normativa in vigore. Modalità di utilizzo della Certificazione La certificazione del credito emessa dalla Piattaforma sopra citata, può essere utilizzata - per la compensazione di somme iscritte a ruolo, - per la cessione o anticipazione del credito alle banche o agli intermediari finanziari. (Paolo Sanna, Il Sole 24 ORE – lavoro24.ilsole24ore.com) Pubblica amministrazione MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 30 ottobre 2013 Riduzione degli obiettivi programmatici del patto di stabilità interno per l'anno 2013 delle province e dei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, in attuazione dell'articolo 1, comma 122, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (G.U. 18 gennaio 2014, n. 14) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 novembre 2013 Fondo di solidarietà comunale in attuazione dell'articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. (G.U. 21 gennaio 2014, n. 16, Supplemento ordinario n. 7) AGENZIA PER L'ITALIA DIGITALE COMUNICATO Linee guida per la valutazione comparativa prevista dall'art. 68 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 «Codice dell'Amministrazione digitale». (G.U. 27 gennaio 2014, n. 21) PONTInews24 27 Societario e fallimentare ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI REGOLAMENTO 10 GENNAIO 2014, N.4 Regolamento in materia di liquidazione coatta amministrativa delle imprese di assicurazione di cui al titolo XVI (Misure di salvaguardia, risanamento e liquidazione), capo IV (liquidazione coatta amministrativa) del Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - codice delle assicurazioni private. (G.U. 17 gennaio 2014, n.7) BANCA D'ITALIA PROVVEDIMENTO 21 GENNAIO 2014 Istruzioni per la redazione dei bilanci e dei rendiconti degli Intermediari finanziari ex art. 107 del TUB, degli Istituti di pagamento, degli IMEL, delle SGR e delle SIM Rifiuti LEGGE 7 gennaio 2014, n. 1 (Raccolta 2014) Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati. (G.U. 15 gennaio 2014, n. 11) PONTInews24 28 Giurisprudenza Appalti CONSIGLIO DI STATO, Sezione 4, Sentenza del 02-12-2013, n. 5725 Affidamento - Servizio di ristorazione - Bando di gara - Previsione dell'obbligo di continuità nell’assunzione - Clausola sociale - Riduzione ad libitum del numero di unità impiegate nell’appalto cui rapportare il servizio - Impossibilità NOTA Consiglio di Stato: risarcimento per illegittima aggiudicazione anche senza provare la colpa della Pa In caso di annullamento giudiziale dell'aggiudicazione di una gara pubblica, spetta al giudice amministrativo il potere di decidere discrezionalmente, anche nei casi di violazioni gravi, se mantenere o no l'efficacia del contratto nel frattempo stipulato. Accanto all'eventuale inefficacia contrattuale, vi è però la possibilità, da parte del legittimo aggiudicatario di richiedere sia il risarcimento in forma specifica (subentro contrattuale) che quello per equivalente (perdita di guadagno). Il primo aspetto che viene sottolineato dal Supremo giudice amministrativo - con la decisione numero 5725 del 2 dicembre 2013 - è relativo al minor onere probatorio per ottenere il risarcimento del danno ingiusto da illegittima aggiudicazione. Infatti, in materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto non è necessario provare la colpa dell'amministrazione aggiudicatrice come ulteriore presupposto del risarcimento da adozione di provvedimento illegittimo, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria a condizione che la possibilità di riconoscere detto risarcimento non sia subordinata alla constatazione dell'esistenza di un comportamento "colpevole", secondo quanto desumibile dai principi di cui alla giurisprudenza comunitaria ascrivibile alla Corte CE, Sez. III, 30 settembre 2010, C-314/2009 (per la quale, in tema di appalti pubblici, la direttiva Cons. C.E.E. 21 dicembre 1989 n. 665, modificata dalla direttiva Cons. C.E.E. 18 giugno 1992 n. 50, osta ad una normativa nazionale che subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina di settore da parte di un'Amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l'applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo alla P.A. stessa e sull'impossibilità per quest'ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali, e dunque, in difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata). In pratica quindi, il Collegio, stante la sussistenza dell'elemento soggettivo, è chiamato a pronunciarsi sulla domanda di risarcimento in forma specifica e/o per equivalente e ritiene di potersi pronunciare sulla sorte del contratto applicando la disciplina introdotta dall'art. 122 del c.p.a., anche con riferimento allo stato di esecuzione del contratto, alla possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione e subentrare nel contratto, nonché agli interessi di tutte le parti. Dalla fattispecie che ci occupa quindi tre sono gli importanti effetti che scaturiscono: a) il Consiglio di Stato, nel annullare l'aggiudicazione, dichiara altresì l'inefficacia contrattuale del rapporto in essere b) accoglie la richiesta del risarcimento in forma specifica e obbliga quindi la stazione appaltante ad operarsi per il subentro contrattuale del ricorrente vincitore c) specifica che la stazione appaltante dovrà altresì risarcire al legittimo aggiudicatario una PONTInews24 29 somma di denaro pari al mancato guadagno per la parte di servizio già (illegittimamente) eseguito dall'impresa che non ne aveva il titolo. Essendo la ricorrente seconda classificata, specifica il Consiglio di Stato, ed essendo stata dimostrata la non anomalia della sua offerta, sussiste la certezza che essa avrebbe avuto titolo a conseguire l'aggiudicazione e il contratto in luogo della originaria aggiudicataria, il che di per sé implica la ricorrenza della possibilità di disporre il risarcimento in forma specifica. È ben vero che si tratta di contratto ad avanzato stato di esecuzione: tuttavia non si ravvisano elementi dai quali possa dedursi che sarebbe comunque conforme all'interesse della stazione appaltante, ed all'interesse generale a garantire la continuità del servizio in corso: ciò nel convincimento del Collegio per cui la prima forma di restaurazione del danno, ove possibile, sia quella per reipersecutoria ed in forma specifica e che soltanto nei casi di conclamata impossibilità/non rispondenza all'interesse pubblico (per la complessità dell'appalto, per il prossimo esaurimento della durata, etc) si debba accedere alla "minor" tutela risarcitoria per equivalente. Nel caso di specie quindi ricorrono i presupposti per la declaratoria di inefficacia del contratto stipulato dall'amministrazione con la controinteressata a far data dalla pubblicazione, o notificazione se anteriore, della presente decisione ex art. 122 del cpa e per disporre, dalla stessa data o comunque da quella immediatamente successiva determinata dall'amministrazione in relazione alle esigenze esecutive del servizio il subentro della appellante seconda classificata che, quindi, si sarebbe resa certamente aggiudicataria dell'appalto, nel contratto medesimo. Quanto ai danni «medio tempore» prodottisi (danni risarcibili per equivalente) il giudice di Palazzo Spada osserva che si deve ritenere risarcibile anche l'interesse positivo (con la logica premessa che il periodo da prendere in esame sarà soltanto quello durante il quale la subentrante non ha potuto eseguire il servizio) e, cioè, nella voce relativa al lucro cessante, la perdita del guadagno (o della sua occasione) connesso all'esecuzione del contratto. Spetta quindi all'impresa danneggiata un risarcimento pari ad una percentuale dell'utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria, ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto. Esclusa per ovvie ragioni la sussistenza del richiesto danno curriculare in quanto è stato disposto il subentro, il lucro cessante per la mancata esecuzione dell'appalto dovrà essere corrisposto all‘appellante, ed esso va quantificato non liquidando ma soltanto muovendo da una percentuale del 10% dell'utile che questa avrebbe conseguito (decurtato, ovviamente, in misura proporzionale alla durata del servizio in via diretta assicurato dal medesimo) (Sonia Lazzini, Il Sole 24 OrE – Edilizia e Territorio, 10 gennaio 2014) CONSIGLIO DI STATO, Sezione 5, Sentenza del 22-01-2014, n. 313 COMPUTO METRICO - APPALTO A CORPO - PROGETTO - Indicazione dei lavori e delle misure e quantità di materiali e opere necessarie per realizzare il progetto – Necessità NOTA Appalti: la tempestività del ricorso va verificata sull'aggiudicazione definitiva L'aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto, avendo natura di atto endoprocedimentale a effetti ancora instabili e del tutto interinali, è inidonea a produrre la definitiva lesione della concorrente non risultata aggiudicataria, che si verifica solo con l'aggiudicazione definitiva, che non costituisce atto meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente alla quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso. Questo il principio espresso dal Consiglio di Stato con la decisione del 22 gennaio 2014 n. 313. Il fatto - Dopo essere stata disposta l'aggiudicazione definitiva di un appalto avente a oggetto la progettazione definitiva, esecutiva e l’esecuzione di opere di risanamento conservativo per la realizzazione di alcuni alloggi la seconda classificata ha impugnato detta aggiudicazione davanti al Tar per la Lombardia che ha respinto il ricorso incidentale della aggiudicataria e ha accolto la domanda di annullamento formulata con il ricorso principale. Con il ricorso in appello la società aggiudicataria ha chiesto la riforma di detta sentenza, da un lato, riproponendo i motivi posti a sostegno del ricorso incidentale di primo grado e, dall’altro, contestando la statuizione di PONTInews24 30 accoglimento del ricorso principale. La decisione del Consiglio di Stato - La questione posta all’attenzione dell’adito Collegio di Palazzo Spada, per come innanzi sintetizzata, attiene al rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale al Ga in tema di tutela giurisdizionale negli appalti pubblici. Sul punto, si afferma in sentenza che è inammissibile il ricorso incidentale dell’aggiudicatario di una gara, che intenda contestare la mancata esclusione della parte che ha contrastato l’esito finale della gara, in assenza di impugnazione della delibera di approvazione delle operazioni di gara, la quale, nella parte considerata, conferisce rilevanza esterna all'operato della Commissione. Infatti l'aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, a effetti instabili e interinali, soggetta, ai sensi dell'articolo 12 del Dlgs 163/2006 all'approvazione dell'organo competente, sicché l'atto finale della procedura di gara è l'aggiudicazione definitiva, che non costituisce atto meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente alla quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso. È decisivo quanto statuito dal massimo consesso della Giustizia amministrativa (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 31 del 16 ottobre 2012), circa la relazione giuridica che lega l'aggiudicazione provvisoria a quella definitiva sul piano sostanziale e processuale, nel senso che l'aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto, avendo natura di atto endoprocedimentale a effetti ancora instabili e del tutto interinali, è inidonea a produrre la definitiva lesione della concorrente non risultata aggiudicataria, che si verifica solo con l'aggiudicazione definitiva, che non costituisce atto meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente alla quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso. Si tratta di due atti connotati da autonome valutazioni dell'amministrazione in merito all'esito della gara, tali che la rimozione della prima non caduca automaticamente la seconda, poiché quest'ultima non ne è l'esito ineluttabile, ma il frutto di ulteriore esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione. Tali argomentazioni, in punto di diritto, escludono che l’aggiudicatario che propone il ricorso incidentale escludente non abbia l’onere di impugnare il provvedimento conclusivo del procedimento di gara pur se a esso favorevole, atteso che, nella parte in cui non ha escluso la ditta concorrente, tale atto è comunque lesivo della propria posizione giuridica. Avuto riguardo al caso concreto sottoposto al suo giudizio il Consiglio di Stato ha così ritenuto che, in riforma della impugnata sentenza (che ha riconosciuto l’ammissibilità del ricorso incidentale di primo grado, respingendo nel merito entrambi i motivi posti a fondamento dello stesso), vada dichiarato inammissibile il ricorso incidentale di primo grado. A tanto consegue logicamente la declaratoria di improcedibilità dell’appello principale da essa proposto nella parte in cui ha censurato la reiezione di detti motivi da parte del Tar. A questo punto il Consiglio di Stato passa a esaminare l’appello principale che pone la questione della conformità del computo metrico estimativo della aggiudicataria, in primo grado ritenuto non conforme agli articoli 34 e seguenti del regolamento approvato con Dpr n. 554 del 1999 (essendo la incompletezza del computo metrico motivo di esclusione e incidendo la mancata indicazione di alcune voci di spesa sul profilo economico dell’offerta, sostanziante soluzioni progettuali peggiorative, in violazione della legge di gara che prevedeva soluzioni migliorative).Si osserva così in sentenza che il disciplinare di gara prevedeva, a pena di esclusione, che l’offerta doveva contenere «il computo metrico estimativo suddiviso per singola opera, contenente l’elenco di tutti i prezzi, completo della descrizione e del valore economico del singolo prezzo, redatto ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. 554/1999 e s.m.i».Il Tar, con la impugnata sentenza, premesso che il computo metrico estimativo è funzionale sia alla determinazione dei fattori occorrenti per determinare il prezzo che alla definizione dell’oggetto dei lavori da eseguire, ha ritenuto che le lacune del computo metrico estimativo presentato dalla aggiudicataria non fossero irrilevanti, anche se il contratto doveva essere stipulato a corpo, essendo necessario anche in tale caso che il progetto presenti le caratteristiche della immediata realizzabilità e che sia corredato anche dal computo metrico completo. Ritiene, da parte sua, il Collegio di Palazzo Spada che con l'appalto a corpo non è incompatibile l'esistenza di un progetto esecutivo (che è quello, immediatamente cantierabile, che contiene non solo le linee essenziali dell'opera, ma tutti i suoi elementi), che anzi resta necessario ai fini dell'imprescindibile determinazione dell'oggetto del contratto, elemento comunque essenziale per la sua validità. PONTInews24 31 Anche per l'appalto a corpo è necessario che il progetto presenti tutte le caratteristiche dell'immediata realizzabilità e dunque che sia corredato anche dal computo metrico, consistente nell'indicazione dei lavori e delle misure e quantità di materiali e opere per ciascuna categoria necessarie per realizzare il progetto, e la cui utilità non è solo in funzione della misurazione dei fattori occorrenti rispetto al prezzo, ma prima ancora è in funzione della definizione dell'oggetto dei lavori da eseguire. Da qui il rigetto della relativa censura. (Giuseppe Cassano, Il Sole 24 Ore- Guida al Diritto, 27 gennaio 2014) CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 27 gennaio 2014, n. 355 APPALTI – Scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione – Discrezionalità della stazione appaltante – Art. 57, c. 5 lett. b) d.lgs. n. 163/2006 – Limite al principio – Inconfigurabilità – Ragioni. La scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto tra quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante, incidente sul merito dell’azione amministrativa e sindacabile dal giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza o macroscopico travisamento del fatto (Cons. St. Sez. V, 19.11.2009, n. 7259; Sez. III, 15.4.2013, n. 2032). Non costituisce un limite a tale principio di massima la disposizione di cui all’art. 57, comma 5 lett. b) del codice dei contratti, che, nel prevedere la possibilità di aggiudicazione con procedura negoziata senza pubblicazione di bando di gara per nuovi servizi, analoghi a quelli già aggiudicati in favore della medesima impresa, presuppone l’esistenza di un progetto di massima, oggetto di un precedente contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta, al solo scopo di delineare e rendere trasparenti le caratteristiche dei servizi che possano definirsi analoghi a quelli già affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante. La disposizione, da interpretarsi in senso restrittivo, ha il solo scopo di evitare che il ricorso alla ripetizione di servizi analoghi possa risolversi in uno strumento per aggirare il pacifico divieto di rinnovo, configurandola alla stregua di nuova aggiudicazione in forma negoziata di servizi conformi ad un progetto base oggetto di precedente appalto (cfr. Cons St. Sez. V, 11.5.2009, n. 2882, Sez. VI, 28.1.2011, n. 642). Immobili CORTE DI CASSAZIONE - Sezione II civile - Sentenza 14 gennaio 2014, n. 629 CONTRATTI IMMOBILIARI - PRELIMINARE DI VENDITA - Certificato di abitabilità Mancanza - Recesso dal preliminare - Legittimità È giustificato il recesso dell’acquirente dal preliminare di compravendita se il venditore non rilascia il certificato di abitabilità dell’immobile, in quanto si tratta di un requisito essenziale del bene idoneo ad incidere sulla sua funzione economico-sociale. NOTA Compravendita, legittimo il recesso dal preliminare se manca il certificato di abitabilità È giustificato il recesso dell’acquirente dal preliminare di compravendita se il venditore non rilascia il certificato di abitabilità dell’immobile, in quanto si tratta di un <<requisito essenziale del bene>> idoneo ad incidere sulla sua funzione economico sociale. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 629/2014, considerando la mancata produzione del documento un grave inadempimento, con la condanna dei venditori a corrispondere il doppio della caparra. I precedenti La Suprema corte ricorda che <<la Corte territoriale ha rilevato che la certificazione in questione non era intervenuta neppure nel corso del giudizio. Di qui la corretta valutazione del grave inadempimento e l’applicabilità dell’art. 1460 cod. civ>>. In precedenza la Cassazione ha ritenuto, in simili casi, anche sussistere l’aliud pro alio, affermando che «nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché vale ad incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico - sociale, assicurandone PONTInews24 32 il legittimo godimento e la commerciabilità. Pertanto, il mancato, rilascio della licenza di abitabilità integra inadempimento del venditore per consegna di “aliud pro alio”>>. Una posizione che poi ha gli ermellini hanno ritenuto di <<mitigare>>, escludendola <<solo nel caso in cui sia intervenuto il successivo rilascio del certificato>>. Non solo, per i giudici <<l’assenza del certificato rende ininfluente la questione relativa agli obblighi relativi al preliminare e al definitivo, posto che la Corte territoriale ha chiarito che non si giunse al definitivo proprio in relazione a tale circostanza. In ogni caso, la Corte territoriale ha chiarito che nel preliminare non si faceva cenno al certificato di abitabilità di cui eventualmente il promittente venditore era venuto a conoscenza successivamente ed al quale non poteva ritenersi che avesse rinunciato>> (Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 14 gennaio 2014) CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza 23 gennaio 2014, n. 6 NOTA Case acquistate all'asta, si applica il «prezzo valore» Anche per l'acquisto di case all'asta (sia in sede di procedura espropriativa, sia per pubblico incanto) si deve applicare la regola del "prezzo valore", vale a dire la determinazione della base imponibile dell'imposta di registro mediante la moltiplicazione della rendita catastale per i noti coefficienti di aggiornamento. È quanto risulta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 6/2014, depositata il 23 gennaio 2014, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma del "prezzo valore" (articolo 1, comma 497, legge 266/2005) nella parte in cui non prevede la sua applicazione agli acquisti effettuati in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto. Il prezzo-valore Il "prezzo-valore" è stato introdotto dall'articolo 1, comma 497, legge 23 dicembre 2005, n. 266: secondo tale norma, in caso di contratto a titolo oneroso avente a oggetto il trasferimento di una abitazione a una persona fisica che non agisca nell'esercizio di impresa, arte o professione, la parte acquirente può richiedere che la base imponibile, ai fini dell'imposta di registro, sia costituita (non dal valore del bene trasferito, ma) dal prodotto che si ottiene (da qui la denominazione di questa regola come "principio del prezzo-valore") moltiplicando la rendita catastale per gli applicabili coefficienti di aggiornamento, e quindi indipendentemente dal corrispettivo dichiarato nel contratto. Più tecnicamente, detto articolo 1, comma 497, legge 266/2005 consente di operare «in deroga alla disciplina di cui all'articolo 43 del testo unico» dell'imposta di registro (Dpr 26 aprile 1986, n. 131); tale articolo 43 è appunto la norma della legge di registro che impone, di regola, di considerare il valore (o se superiore, il prezzo pattuito) come base imponibile dei beni immobili fatti oggetto di un trasferimento a titolo oneroso. Trasferimenti coattivi Ora, si tratta di coordinare questo panorama normativo con il disposto dell'articolo 44 del medesimo Dpr 131/1986, il quale, disciplinando la materia dei trasferimenti "coattivi" (si pensi a una procedura esecutiva), sancisce che per la vendita "fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione". Il criterio del "prezzo-valore", di cui alla legge 266/2005, è dunque norma "speciale", che, come tale, si impone sia all'articolo 43 (espressamente da essa derogato) e pure all'articolo 44 del Testo unico del registro (pur non espressamente da esso derogato) oppure è "speciale" l'articolo 44 del Testo unico, dettando la disciplina applicabile alla specifica materia dei trasferimenti "forzosi", di modo che, in questi casi, si deve necessariamente procedere determinando la base imponibile secondo il prezzo di aggiudicazione? L'illegittimità Secondo la Consulta, la norma in questione ha anche lo scopo di consentire al contribuente di scegliere la soluzione più conveniente in relazione all'andamento del mercato immobiliare: e cioè di determinare la base imponibile facendo riferimento al valore catastale o al valore di mercato. Perciò essa è illegittima perché questa facoltà di scelta compete solo alla persona fisica che acquista mediante un contratto ma non a chi acquista in esito a procedure esecutive o per asta pubblica. PONTInews24 33 L'Agenzia delle Entrate era già giunta a un risultato interpretativo parzialmente analogo: nella risposta a un interpello datata 15 luglio 2013 (si veda Il Sole 24 Ore del 30 ottobre 2013) il "prezzo valore" era stato ritenuto applicabile all'acquisto mediante asta pubblica, qualora fosse bandita da un soggetto privato. (Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 gennaio 2014) Societario e fallimentare CORTE DI CASSAZIONE, Civile, Sezione 1, Sentenza del 06-11-2013, n. 24970 Concordato preventivo con continuità aziendale - valutazione del giudice sulla fattibilità economica - impossibilità Un concordato preventivo con continuità aziendale non può essere oggetto di valutazione del giudice sul piano della fattibilità economica. Neppure quando sono assenti impegni delle banche per l'apporto di nuova finanza dopo l'omologazione e neppure quando sono assenti puntuali garanzie sulla dismissione di cespiti immobiliari o le attività dell'impresa interessata sembrano prive di sbocchi futuri. NOTA Fattibilità economica del concordato: non decide il giudice Nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il sindacato del giudice è limitato alla verifica della sussistenza di un'assoluta e manifesta non attitudine del piano di concordato a raggiungere gli obiettivi prefissati. È questo il principio affermato dalla sentenza della Cassazione 24970 del 6 novembre 2013, che è tornata ad affrontare il tema del potere di valutazione del tribunale sulla fattibilità del concordato (si veda anche Il Sole 24 Ore del 27 dicembre). Profilo interpretativo che investe una delle problematiche più significative e delicate dell'intera disciplina del concordato preventivo e che rappresenta un banco di prova del sempre difficile rapporto tra autonomia negoziale e potere conformativo del tribunale. La pronuncia offre numerosi spunti d'interesse in quanto essa, pur inserendosi nel solco della pronuncia delle Sezioni unite sul punto (la 1521/2013), ne chiarisce alcuni importanti profili applicativi. La Suprema corte sottolinea intanto che la fattibilità, intesa come prognosi di concreta realizzabilità del piano concordatario, è presupposto di ammissibilità del concordato, oggetto di un controllo diretto del giudice che non si esercita, quindi, esclusivamente sulla completezza e congruità logica dell'attestazione del professionista prevista dall'articolo 161, comma 3, della legge fallimentare. Viene poi ribadita la distinzione tra fattibilità giuridica, intesa come non incompatibilità del piano con norme inderogabili, e fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del piano medesimo. La prima è sottoposta al pieno sindacato del tribunale, mentre la seconda (quella economica) è riservata alla valutazione dei creditori, tranne che nell'ipotesi in cui il piano appaia manifestamente inadatto a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia la causa concreta del concordato. Causa concreta del concordato che deve essere individuata, caso per caso, con riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente, fermo restando che ogni proposta deve comunque soddisfare la causa astratta comune a tutti i tipi di concordato, individuata in una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole. La decisione, riferita all'ambito dei poteri del giudice nel giudizio di omologa, riafferma così implicitamente l'utilizzabilità di un medesimo parametro valutativo nelle differenti fasi del procedimento in quanto «la specifica determinazione dei poteri del giudice va effettuata in considerazione del ruolo a lui attribuito in funzione dell'effettivo perseguimento della causa del procedimento, ruolo che rimane identico nei diversi momenti ora considerati» (si veda la sentenza 1521/2013 della Cassazione a Sezioni unite). Con la sentenza 24970, i giudici applicano queste enunciazioni di principio al caso concreto sottoposto all'attenzione della corte, che riguardava un concordato in continuità aziendale. Il dubbio di fattibilità era sorto a seguito di alcuni rilievi mossi dal commissario giudiziale nelle relazioni depositate nel corso della procedura. Osservazioni attinenti alla mancanza di un obbligo delle banche di apportare nuova finanza dopo l'omologazione, di garanzie per le PONTInews24 34 previste dismissioni di due immobili e, più in generale, al cattivo andamento economico dell'attività della società che non avrebbe consentito di soddisfare il fabbisogno concordatario. La Corte sottolinea come tali rilievi non rientrino nel sindacato del tribunale sulla fattibilità del piano, dato che la mancanza di garanzie per l'erogazione di nuova finanza o per l'acquisto di immobili da liquidare al prezzo sperato non può comunque escludere il verificarsi di tali circostanze, così come ogni valutazione sull'andamento economico della società implica una prognosi sulla realizzabilità economica del piano. In sostanza, le censure del commissario, secondo la Cassazione, non erano sindacabili dal tribunale perché le criticità rilevate non determinavano una manifesta irrealizzabilità del piano. Infine, va sottolineato che la sentenza, nell'individuare la questione oggetto del giudizio, parla di «sindacato officioso del giudice» e di «rilevabilità d'ufficio del difetto di fattibilità». Resta quindi incerto il potere del tribunale di valutare la fattibilità economica del piano in sede di omologa in caso di opposizione di uno o più creditori. I chiarimenti su fattibilità e credito di rivalsa Iva I CONTROLLI DEL TRIBUNALE La sentenza 24970/2013 ha ribadito – richiamando le Sezioni unite 1521/2013 –che la «fattibilità», vale a dire la prognosi di realizzabilità del piano, è presupposto di ammissibilità del concordato, su cui il giudice si deve pronunciare. E deve farlo verificando in modo diretto e non solo valutando la completezza e la congruità dell'attestazione del professionista prevista dall'articolo 161, comma 3, legge fallimentare LA FATTIBILITÀ GIURIDICA La sentenza della Cassazione ha poi distinto tra fattibilità giuridica e fattibilità economica. In particolare, la fattibilità giuridica deve essere intesa come la non incompatibilità del piano concordatario con norme inderogabili. La valutazione del giudice non incontra limiti particolari in relazione alla fattibilità giuridica LA FATTIBILITÀ ECONOMICA La fattibilità economica consiste nella realizzabilità nei fatti del piano. Il giudizio su questo aspetto implica, si legge nella sentenza, «valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore». La valutazione della fattibilità economica è quindi riservata ai creditori. Il giudice può sollevare d'ufficio solo l'assoluta, manifesta non attitudine del piano a realizzare gli obiettivi prefissati IL RICONOSCIMENTO DEL PRIVILEGIO La Cassazione ha ricordato che il credito di rivalsa Iva è privilegiato in base all'articolo 2758, comma 2, del Codice civile. E ha richiamato la propria sentenza 12064/2013, con cui aveva riconosciuto – prima della modifica dell'articolo 160 della legge fallimentare del Dlgs 169/2007 – che il credito va soddisfatto per intero anche se nel patrimonio del debitore non c'è il bene gravato da privilegio L'ESTENSIONE DEL PRIVILEGIO Secondo la Cassazione, l'orientamento espresso con la sentenza 12064/2013 resta valido anche per il concordato preventivo dopo la riforma del Dlgs 169/2007, che ha introdotto la possibilità si pagare solo in parte i creditori privilegiati. Questo limite, infatti, opera solo se è deciso da un patto concordatario. Se non c'è, vale la regola generale che prevede la soddisfazione integrale (Giovanni B. Nardecchia, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 20 gennaio 2014) CORTE DI CASSAZIONE, Penale, Sentenza del 23-01-2014, n. 3124 FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI - Fallimento e procedure concorsuali (in genere) - Versamento dei tributi Il fallimento della società pochi giorni dopo la scadenza del versamento delle ritenute non integra la causa di non punibilità della forza maggiore e in tale contesto l'amministratore subentrato poco prima è responsabile del reato, stante la sua consapevolezza dello stato economico della società. Non sono, infine, necessarie le certificazioni rilasciate ai sostituiti per provare l'omissione, bastando la dichiarazione 770. PONTInews24 35 NOTA Ritenute omesse non giustificate dal fallimento Il fallimento della società pochi giorni dopo la scadenza del versamento delle ritenute non integra la causa di non punibilità della forza maggiore e in tale contesto l'amministratore subentrato poco prima è responsabile del reato, stante la sua consapevolezza dello stato economico della società. Non sono, infine, necessarie le certificazioni rilasciate ai sostituiti per provare l'omissione, bastando la dichiarazione 770. A fornire queste interpretazioni è la Cassazione, sezione III penale, con la sentenza 3124 depositata ieri. L'amministratore di una società veniva condannata in base all'articolo 10 bis del Dlgs 74/2000 per avere omesso il versamento delle ritenute effettuate e certificate per un importo superiore a 50mila euro. L'uomo avverso la sentenza d'Appello ricorreva per Cassazione lamentando, tra l'altro, l'impossibilità di versare le ritenute in quanto il fallimento era intervenuto solo pochi giorni dopo la scadenza del pagamento e quindi doveva applicarsi la causa di non punibilità della forza maggiore. Si evidenziava, inoltre, sempre sulla ricorrenza della forza maggiore, che nel momento in cui l'imputato aveva assunto l'incarico di amministratore l'indebitamento della impresa era irreversibile, con gravissima mancanza di liquidità. Infine, veniva lamentata l'assenza di prova del mancato pagamento in quanto le certificazioni non erano state prodotte. Queste eccezioni sono state ritenute infondate dalla Cassazione, pur accogliendo il ricorso per altre ragioni. In sostanza, per i giudici di legittimità la circostanza che la dichiarazione di fallimento fosse avvenuta pochi giorni dopo l'omesso versamento non integrava alcuna causa di forza maggiore in quanto le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non possono essere fatte rientrare nel concetto di forza maggiore, il quale, al contrario, presuppone l'individuazione di un fatto assolutamente imprevisto ed imprevedibile. Secondo i giudici, poi, l'imputato aveva assunto la carica di amministratore quando già la società si trovava in una crisi gravissima di liquidità: il mancato pagamento, dunque, era una circostanza conosciuta, con la conseguenza che la relativa omissione deve considerarsi il risultato di una consapevole decisione. Infine, circa l'assenza delle certificazioni delle somme trattenute ai sostituiti, la sentenza evidenzia che è sufficiente per provare la violazione l'allegazione dei modelli 770, atteso che l'omissione era emersa in sede di controllo automatico delle Entrate Tale ultima circostanza, già espressa dalla Suprema corte, lascia perplessi perché, in realtà, la norma incriminatrice fa espresso riferimento alle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate (e non alle ritenute dichiarate) ed è noto che non sempre quanto indicato nel 770 corrisponda alle risultanze delle certificazioni. (Antonio Iorio, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 gennaio 2014) PONTInews24 36 Antincendio Articolo del mese Studio legale Ponti La responsabilità solidale degli amministratori Luca Ponti, Paolo Panella, Studio legale Ponti In 1) 2) 3) genere, l’obbligazione in solido si presenta ogniqualvolta sussistano tre condizioni: una pluralità di soggetti debitori; una medesima obbligazione (identità di prestazione dovuta); un’unica fonte dell’obbligazione. Nell’ambito societario, la responsabilità solidale degli amministratori è regolamentata dall’art. 2392 c.c. per quanto riguarda le s.p.a. e dall’art. 2476 c.c. per quanto riguarda le s.r.l. Nelle s.p.a., in particolare, la responsabilità solidale è regolata dai seguenti principi: di regola gli amministratori sono tutti solidalmente responsabili, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni delegate a uno o più amministratori; anche nella seconda ipotesi (funzioni delegate al comitato esecutivo o a uno o più amministratori delegati) rispondono in solido anche gli altri amministratori se, essendo a conoscenza dei fatti, non hanno fatto quanto in loro potere per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose; in ogni caso, sono esenti da responsabilità gli amministratori che, esenti da colpa, abbiano fatto annotare senza ritardo il loro dissenso nel libro delle adunanze e deliberazioni del consiglio, dandone notizia al Presidente del Collegio Sindacale. Minimali le differenze nelle s.r.l.: non si fa riferimento alle funzioni delegate (perchè, in verità, non esiste una norma nelle s.r.l. che disciplini la delega di funzioni, ancorchè si ritenga pacificamente che sia ammissibile) e non serve far annotare formalmente il proprio dissenso, bastando che (in qualche modo) consti. Il vero problema, tuttavia, è la graduazione di responsabilità: l’obbligazione solidale, infatti, presuppone che tutti siano responsabili nei confronti del creditore ma che nei rapporti interni ciascuno risponde in ragione del grado della sua responsabilità. Il problema non è di poco momento, soprattutto nell’ambito delle responsabilità sociali, proprio perché non sempre è possibile distinguere il contributo causale tra colui che compie la condotta e colui che omette di impedire la medesima condotta. La responsabilità sociale, infatti, non è paragonabile ad altre forme di responsabilità in solido dove, al contrario, sono ben distinguibili i singoli contributi causali dei vari responsabili. Si pensi, ad esempio, alla materia dei sinistri stradali: salvo problemi di accertamento di fatto, la singola responsabilità dei vari responsabili è solitamente distinguibile e misurabile. Tanto è vero che nel regolamento attuativo dell’art. 150 del Codice delle Assicurazioni (sull’indennizzo diretto), il legislatore ha allegato una vera e propria casistica di sinistri stradali statuendo a carico di chi e in che percentuale si intende la responsabilità. Una simile ripartizione, nell’ambito della responsabilità sociale, invece non è ipotizzabile, atteso che le condotte che portano alla responsabilità solidale sono per lo più di tipo omissivo e, quindi, difficilmente tipizzabile il contributo causale e, quindi, il grado di responsabilità. Ci si potrebbe chiedere, infatti, quale sia il confine tra il dovere di diligenza, al di là del rispetto della forma, e dove effettivamente si sfoci nella negligenza, quando manchi il rispetto delle procedure di rito. PONTInews24 37 L’ipotesi tipica è quella dell’amministratore in conflitto di interessi: può ritenersi esente da responsabilità l’amministratore che, pur a conoscenza del conflitto, si accontenta delle dichiarazioni del consigliere in conflitto che nega ogni addebito? Dove deve spingersi il dovere di diligenza? Facendo un altro esempio, è esente da responsabilità l’amministratore che formalmente segue tutto l’iter per non influenzare la decisione su una operazione in cui versa chiaramente in conflitto d’interessi, però sostanzialmente ne determina comunque l’esito? In altre parole, rileva più la sostanza o la forma? La risposta non è semplice e va valutata caso per caso tenendo presente che, a nostro avviso, gli amministratori possono essere chiamati a rispondere sia di quello che sanno ufficialmente che di quello che si può provare sappiano comunque (anche ufficiosamente) e che la norma sul conflitto d’interessi (per tornare all’esempio fatto) difficilmente può ritenersi rispettata se ciò avviene solo sotto un profilo formale. Il concorso, poi, con l’amministratore di fatto è ancora più complesso. Chi tollera, infatti, l’ingerenza dell’amministratore di fatto è responsabile per qualunque cosa faccia questo? Una sorta di colpa cosciente se non addirittura dolo eventuale, per il fatto stesso di accettare l’intromissione di fatto nella gestione sociale? Sicuramente, si deve ritenere che, secondo l’antico brocardo qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu, chi accetta una situazione non legittima deve rispondere anche per quanto ne consegue. La responsabilità, quindi, per omessa vigilanza sull’amministratore di fatto deve ritenersi piena. Diverso, invece, il caso (tornando all’amministrazione formale e non di fatto) della responsabilità per concorso sulle materie che, alla fonte, sarebbero delegate a un consigliere. Si pensi all’esempio del bilancio, ovviamente non è un attività delegabile e tutti i consiglieri rispondono in solido. Tuttavia, può essere che di alcune informazioni del bilancio sia a conoscenza soltanto un consigliere delegato (ad esempio il consigliere delegato alla produzione, o alla vendita, che devono conoscere meglio degli altri i dati della produzione o della vendita). Si può fondatamente ritenere che tutti gli amministratori rispondano in solido per dati di bilancio che ereditano da una conoscenza individuale (e delegata) di uno solo dei consiglieri? Il quesito non è irrilevante, atteso che rispondendo negativamente, si potrebbe aprire uno spiraglio a miriade di possibili esimenti anche per responsabilità tipicamente solidali come quella sulla redazione del progetto di bilancio. Sul punto, si ritiene che dovrebbe prevalere la ragionevolezza, dando per estesa alla responsabilità di tutti la rappresentazione formale dei dati contabili (a prescindere da colui che ne sia, prima di quel momento, l’unico depositario); d’altra parte, lo stesso bilancio è formato molto spesso dai dipendenti amministrativi se non da un contabile o da un commercialista esterno, quindi sarebbe davvero difficile poter escludere la responsabilità degli amministratori in ogni ipotesi (altamente frequente) in cui la paternità dei “numeri” non sia loro. PONTInews24 38 Societario e fallimentare Pre-concordato: modalità, effetti e peculiarità processuali del nuovo strumento concordatario Ivan Libero Nocera, Il Sole 24 ORE - Ventiquattrore Avvocato, gennaio 2014, n. 1 LA QUESTIONE In cosa consiste e a quali effetti rileva la domanda di concordato con riserva? Qual è il ruolo del Giudice? Cosa deve allegare il proponente? Quali “spazi di azione” ha il debitore dopo aver presentato la domanda di concordato con riserva? LA RISPOSTA IN SINTESI Il nuovo istituto del concordato “in bianco” o “con riserva” si caratterizza per la distinzione, anche temporale, tra la domanda processuale, la proposta negoziale e il piano di attuazione della proposta medesima. Si consente, cosi, di anticipare la protezione dalle azioni esecutive e cautelari, nonché gli effetti del concordato già al momento della pubblicazione del solo ricorso nel Registro delle imprese. Il concordato con riserva permette all’imprenditore commerciale che superi le soglie di cui all’art. 1 legge fallimentare di anticipare il dispiegamento degli effetti della domanda di concordato a un momento anteriore rispetto a quello del varo del piano e della proposta. Il proponente debitore deve solo provare il possesso dei requisiti di fallibilità e gli elementi idonei a permettere al Tribunale di affermare la propria competenza. Per contro, il Giudice ha il potere (e il dovere) di verificare esclusivamente la concreta sussistenza dei presupposti della fattispecie, effettuando, dunque, una valutazione sommaria. Una volta superato tale vaglio, il Tribunale fissa i termini per il deposito del piano e della proposta; termine, questo, compreso fra 60 e 120 giorni e, in ogni caso, prorogabile, in presenza di giustificati motivi, per non oltre 60 giorni. Dato che a un semplice onere del ricorrente corrisponde il beneficio di una rilevante tutela finalizzata alla presentazione successiva del piano e della proposta, occorre contrastare un utilizzo abusivo dello strumento, che può essere piegato all’esclusiva finalità di guadagnare tempo al riparo dalle azioni dei creditori. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto che dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del Tribunale. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine, il debitore può inoltre compiere gli atti di ordinaria amministrazione. Inquadramento generale del concordato preventivo con riserva Allo scopo di favorire la continuità aziendale e di assicurare la sopravvivenza delle imprese che, nonostante la crisi di liquidità, risultano ancora competitive sul mercato, la riforma del “pacchetto sviluppo” (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con la legge 7 agosto 2012, n. 134) ha introdotto, al comma 6 dell’art. 161 l. fall., la possibilità di depositare una domanda di concordato con riserva della presentazione del piano, della proposta e della documentazione di cui all’art. 161, commi 2 e 3. Si comprende, perciò, come tale nuova figura sia definito “concordato con riserva” o “concordato in bianco”, ovvero ancora “pre-concordato” (sul tema in generale, si veda Fabiani , «Vademecum per la domanda “prenotativa” di concordato preventivo», in IlCaso.it , II, 313/2012; Id ., «Nuovi incentivi per la regolazione concordata della crisi d’impresa», in Corr. giur. , 2012, 1265; Panzani , «Il concordato in bianco», in IlFallimentarista.it , 2012; Lamanna , «La problematica relazione tra pre-concordato e PONTInews24 39 concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni del Tribunale», ivi , 2012; Id ., «Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale», in IlFallimentarista.it , 2012; Salvato , «Nuove regole per la domanda di concordato preventivo con riserva», in Il Fall. , 2013, 1209; Lo Cascio , «Crisi delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale», ivi , 2013, 5; Fabiani , «Poteri delle parti nella gestione della domanda prenotativa di concordato preventivo», ivi , 2013, 1051). Infatti, il meccanismo si articola attraverso la presentazione di un’istanza corredata dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, da pubblicarsi nel Registro delle imprese a cura della Cancelleria del Tribunale nel cui circondario sia ubicata la sede effettiva dell’impresa. Invece, il piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta concordataria, potrà essere depositato successivamente, corredato dalla proposta e dagli altri documenti indicati nel secondo e nel terzo comma dell’art. 161 l. fall., inclusa la relazione dell’esperto, entro un termine stabilito dal Giudice, intercorrente tra sessanta e centoventi giorni dalla presentazione del ricorso (prorogabile, in presenza di giustificati motivi, per un massimo di altri sessanta giorni). Tale termine appare molto più appropriato rispetto a quello di quindici giorni precedentemente previsto, in quanto consente di strutturare al meglio una proposta concordataria (sul contenuto del piano concordatario si rinvia alle riflessioni di Ambrosini , «Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012», in IlCaso.it , II, 306/2012, 2; Sottoriva , «Il contenuto del piano ex art. 161, comma 2, lettera e , l. fall. nell’ambito della proposta concordataria», in IlFallimentarista.it , 2012). La figura del concordato “con riserva” disciplinato al comma 6, art. 161, l. fall. rappresenta dunque una delle più rilevanti innovazioni dell’intervento legislativo e tra le maggiori espressioni del favor per lo strumento concordatario, il cui scopo principale è ora costituito dalla preservazione delle strutture produttive e aziendali. Come si propone il concordato con riserva? Il nuovo istituto si dimostra notevolmente utile in quanto gli effetti protettivi di cui all’art. 168 l. fall. si producono sin dalla data della pubblicazione del ricorso nel Registro delle imprese. Di conseguenza, è fatto divieto ai creditori di proseguire le azioni cautelari ed esecutive in corso, nonché di instaurarne di nuove, e di acquisire titoli di prelazione in difetto dell’assenso del debitore. Lo strumento permette dunque al debitore di accedere al beneficio dell’anticipazione della protezione, particolarmente favorevole, quando questi, volendo instaurare un procedimento di concordato preventivo, abbia necessità di tempo per predisporre il proprio piano, al riparo delle aggressioni da parte dei creditori ( Lamanna , «La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”», in Il civilista , Milano, 2012, 41). Un analogo scopo si poteva precedentemente ottenere nell’ambito della disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, con l’utilizzo strumentale dell’istanza ex art. 182 bis , comma 6, l. fall., prevista per tutelare la fase della negoziazione con i creditori, ma frequentemente piegata allo scopo di ottenere tempo per predisporre il piano concordatario senza poter essere aggrediti dalle azioni esecutive o cautelari. L’art. 161, comma 6, stabilisce che il pre-concordato si propone con ricorso che può contenere esclusivamente la domanda di accesso alla procedura, con la riserva di depositare in un secondo momento il piano, la proposta e gli ulteriori documenti di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 161, con il solo onere di produrre immediatamente i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti. Poiché il ricorso ex art. 161, comma 6, comprende la domanda di concordato, distinta dal piano e dalla proposta, si ritiene applicabile allo stesso l’art. 161, comma 4, ai sensi del quale «per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’art. 152». Quindi, prima della presentazione del pre-concordato dovrà sussistere, quale requisito indispensabile per la presentazione del ricorso, la deliberazione di cui all’art. 152 l. fall. per cui: «La proposta e le condizioni del concordato, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo o dello statuto: a) nelle società di persone, sono approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale; b) nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, sono deliberate dagli amministratori». PONTInews24 40 Tuttavia, è chiaro come la suddetta deliberazione, in caso di pre-concordato, non possa certo contenere né la “proposta” né le “condizioni” del concordato, che saranno formulate in seguito, entro il termine concesso dal Tribunale. Peraltro, dato che l’art. 152 l. fall. fa riferimento esplicito alla “proposta” e alle relative “condizioni”, prima del deposito del piano e della proposta, occorrerà assumere una seconda deliberazione, sempre ai sensi dell’art. 152, a integrazione di quella “con riserva” che ha accompagnato il ricorso ex art. 161, comma 6. Poiché la domanda di concordato, anche “in bianco”, dev’essere essa pubblicata nel Registro delle imprese, parrebbe potersi escludere che anche la deliberazione debba essere iscritta nel Registro delle imprese prima della presentazione del ricorso. Onere di allegazione in capo al proponente domanda Si è visto come, sia dalla lettera della disposizione, sia dalla complessiva ratio che connota la nuova figura emerga un istituto “minimo” che non esige elementi ulteriori rispetto a quelli espressamente indicati dalla legge, quali, ad esempio i dati aziendali, il contenuto del piano e della proposta. Sarà dunque sufficiente che il proponente dimostri il possesso dei requisiti di fallibilità previsti dall’art. 1 l. fall. Tale onere si rivela abbastanza semplice giacché, per quanto riguarda il presupposto oggettivo dei profili dimensionali, la produzione dei bilanci degli ultimi tre esercizi è di regola sufficiente ad attestare il superamento delle soglie. Del resto, considerando che nel procedimento ex art. 161, comma 6, non si prevede il deposito della relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, una recente sentenza di merito ha affermato che, «ove il sovradimensionamento non risulti dai bilanci, tale evidenza non sarà preclusiva alla fissazione del termine, ma la questione dovrà essere esaminata in sede di eventuale ammissione alla procedura di concordato» (Tribunale di Pistoia 30 ottobre 2012, in IlCaso.it , I, 8079/2012). Per quanto concerne, invece, il presupposto soggettivo integrato dalla qualifica di imprenditore commerciale, basterà rappresentare l’oggetto sociale (ricavabile dallo statuto o da una semplice visura camerale), sottolineando come questo non possa qualificare l’impresa come agricola, considerando le attività individuate dall’art. 2135 c.c. Il proponente deve, inoltre, fornire gli elementi idonei a permettere al Tribunale di affermare la propria competenza, indicando l’ubicazione della sede effettiva, che salva la prova contraria si presume coincidente con quella legale. L’onere del debitore ricorrente è quindi assai agevole, ben potendo il ricorso prescindere da qualsiasi indicazione in merito al contenuto del piano e della proposta. Si nota, quindi, come l’istituto favorisca notevolmente l’imprenditore ricorrente, il quale potrà beneficiare degli effetti del deposito senza dover fornire indicazioni sugli sviluppi futuri della procedura, né allegare documenti ulteriori rispetto ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti. Tuttavia, vale osservare che tale obbligo non sempre può avere utili effetti in quanto le risultanze del bilancio non sempre riproducono l’effettiva situazione economico-gestionale dell’impresa, benché l’elenco dei creditori, se questi individuati per categorie e ammontare, potrebbe indicare il tipo di intervento più adeguato. Infatti, la previsione di un elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti permette di disporre, prima che il debitore predisponga il piano, di un quadro meno sommario di quello che avrebbe potuto ricavarsi dal deposito dei bilanci concernenti gli ultimi tre esercizi, anche se, in mancanza di ulteriori dati certi e specifici, tale previsione può essere di poca utilità. Esclusivamente nell’ipotesi in cui il debitore richieda al Tribunale l’autorizzazione a contrarre nuovi finanziamenti o a pagare crediti anteriori, ai sensi dell’art. 182 quinquies , commi 1 e 4, l. fall., è configurabile un onere supplementare di allegazione in ordine al piano, per lo meno nei suoi elementi essenziali. Ciò in quanto l’esperto deve: in caso di nuovi finanziamenti, verificare il complessivo fabbisogno finanziario sino all’omologazione e attestare la funzionalità dei finanziamenti alla migliore soddisfazione dei creditori; in caso di pagamento di crediti anteriori, certificare l’essenzialità delle prestazioni anteriori oggetto di pagamento rispetto alla prosecuzione dell’attività d’impresa e la loro funzionalità, anche qui, alla migliore soddisfazione dei creditori. La correttezza metodologica di tali verifiche e attestazioni dovrà essere PONTInews24 41 controllata dal Tribunale in sede di autorizzazione. Ruolo del Giudice: prefallimentare competenza, doveri valutativi, rapporti con l’istruttoria Giova precisare come il provvedimento di cui al comma 6 dell’art. 161, l. fall. con il quale il Giudice assegna all’imprenditore il termine per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione ai sensi dei commi 2-3 dello stesso art. 161 sia di competenza del Collegio. Infatti, dal combinato disposto dei commi 6 e 8 dell’art. 161 l. fall., emerge che il Giudice delegato viene nominato solo con il provvedimento di ammissione alla procedura, ai sensi dell’art. 163, comma 2, n. 1, l. fall. (Tribunale di Pisa 19 settembre 2012, in IlCaso.it , I, 7847/2012). Ne consegue che è il Tribunale in composizione collegiale, e non il Giudice delegato, ad assegnare il termine di presentazione della proposta concordataria, come anche a determinare degli obblighi informativi periodici che l’imprenditore è tenuto ad assolvere, sino alla scadenza dello stesso termine. In proposito, tuttavia, si segnala un’isolata pronuncia in cui il Tribunale, in ossequio a un provvedimento di organizzazione interno, ha designato un Giudice singolo quale relatore della procedura (Tribunale di Pistoia 30 ottobre 2012, in IlCaso.it , I, 8079/2012). A ogni modo, nulla osta a che un Giudice possa essere delegato all’audizione della parte, ove necessaria; questi poi dovrà riferire in camera di consiglio, anche se si deve comunque escludere che la decisione risulti di competenza del Giudice monocratico. Il deposito della proposta, del piano e della documentazione di cui all’art. 161, commi 2-3, deve avvenire entro il termine fissato dal Collegio, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, per giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Risulta evidente come il Tribunale adìto non possa, in questa sede, effettuare alcuna valutazione discrezionale circa la concessione del beneficio, dovendo limitarsi unicamente a fissare il termine per il deposito della documentazione prescritta. Il potere valutativo del Giudice risulta dunque circoscritto, essendo ristretto alla verifica della concreta sussistenza dei presupposti della fattispecie. In particolare, dovrà appurare, a pena di inammissibilità del ricorso, la propria competenza territoriale ai sensi degli artt. 9 e 161 l. fall., la legittimazione attiva del debitore istante ai sensi dell’art. 152 l. fall. anche sotto il profilo dell’approvazione e della sottoscrizione del ricorso da parte di coloro che hanno la rappresentanza legale della società, il deposito da parte del ricorrente dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi da cui si ricavano i requisiti soggettivo e oggettivo necessari per essere ammessi alla procedura, la mancata presentazione di analoga domanda concordataria nei due anni precedenti di analoga domanda, alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (in tal senso, si veda Tribunale di Bolzano 25 settembre 2012, in Ilfallimentarista.it ). Si rivela opportuno soffermarsi, per quanto attiene al profilo della concessione del termine, sul rapporto tra la domanda di pre-concordato e l’istruttoria prefallimentare. In merito al sopravvenuto ricorso di concordato preventivo in pendenza dell’istruttoria prefallimentare, la recente pronuncia della Cassazione (cfr. Cassazione civ., Sez. I, 24 ottobre 2012, n. 18190, in Il Fall ., 2012, 1408) ha affermato che l’istanza di fallimento non costituisce un’iniziativa riconducibile alle misure esecutive e, di conseguenza, non rientra nel divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive previsto dall’art. 168 l. fall. Inoltre, la Suprema Corte ha stabilito che non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità tra procedimento concordatario e procedimento prefallimentare, aggiungendo, altresì, come non si possa ipotizzare la riunione dei due procedimenti, la quale permetterebbe una decisione congiunta delle due istanze. In considerazione del più volte evidenziato favor concordatario, il Tribunale deve dare prevalenza alla procedura di concordato, dovendosi pronunciare sull’istanza di fallimento con priorità rispetto alla domanda di concordato solo nel caso in cui quest’ultima sia connotata da abusività. Il detto favore del Legislatore per la soluzione concordataria rispetto alla dichiarazione di fallimento emerge in maniera ancora più accentuata nel concordato “con riserva”, nell’ambito del quale il debitore può beneficiare di un apposito spatium deliberandi anche nell’ipotesi in cui sia già pendente un procedimento prefallimentare, salvi i ca si di ab uso. PONTInews24 42 Normativa di riferimento Legge fallimentare:artt. 1, 22, 152, 161, 163, 167, 168, 169 bis, 182 bis, 182 quinquies. Questi, tuttavia, non possono essere individuati nella mera adozione del pre-concordato quale strumento per bloccare l’istruttoria prefallimentare in attesa della presentazione del piano, visto che tale proposito costituisce uno degli obbiettivi tipici dell’istituto. Infatti, la legge stabilisce esplicitamente al comma 10 dell’art. 161 l. fall. che, nel caso in cui risulti pendente un’istanza di fallimento, il collegio deve concedere automaticamente il termine minimo di sessanta giorni, salva la possibilità di una proroga di altri sessanta giorni in presenza di giustificati motivi. In proposito, una recente sentenza di merito ha precisato come in tema di rapporti tra procedimento per dichiarazione di fallimento e concordato preventivo “con riserva” l’inciso previsto al comma 10, art. 161 l. fall., che mantiene fermo quanto disposto dall’art. 22, comma 1, l. fall., deve essere interpretato nel senso che può essere concesso un termine superiore a quello minimo di sessanta giorni unicamente in caso di rigetto dell’istanza di fallimento ex art. 22, comma 1, l. fall., ed anche in pendenza di reclamo ai sensi del successivo secondo comma, che infatti non è espressamente richiamato (in tal senso, Tribunale di Terni 26 febbraio 2013, in IlCaso.it , I, 8603/2013). Risulta, quindi, palese come il Legislatore abbia operato un bilanciamento tra l’interesse del creditore istante per il fallimento e quello del debitore che presenti domanda di concordato, indicando come punto di equilibrio l’automatismo della concessione di un termine particolarmente breve. Una volta effettuata la verifica dei suddetti presupposti, il Tribunale fissa i termini per il deposito del piano e della proposta, compreso fra sessanta e centoventi giorni, e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, per non oltre sessanta giorni. La durata di tale periodo è quindi lasciata alla discrezionalità del Collegio, tranne nel caso in cui penda un’istanza di fallimento, là dove non sarà possibile discostarsi dal minimo. Il termine più ampio deve essere richiesto dal debitore e l’istanza deve essere adeguatamente motivata, integrando, a questo specifico fine, il contenuto obbligatorio del ricorso previsto per legge ed evidenziando gli aspetti di particolare complessità e rilievo attinenti alla proposta o al piano (Tribunale di Perugia 4 ottobre 2012, in Il Fall. , 2013, 80), senza limitarsi alla mera allegazione della mancata pendenza di procedimenti prefallimentari. Qualora l’imprenditore non indichi alcunché al riguardo, è facile prevedere che il Tribunale disporrà la concessione del beneficio nella misura minima (Tribunale di Palermo 2 ottobre 2012, in Il Fall. , 2013, 81). Il dies a quo del suddetto termine deve individuarsi, in assenza di diversa indicazione da parte del decreto, nella relativa concessione, benché, allo scopo di non dilatare oltremodo l’ampiezza del beneficio di cui possa godere il debitore, è possibile che si affermi la prassi che faccia coincidere il termine iniziale con l’iscrizione del ricorso nel Registro delle imprese, ossia con il momento nel quale iniziano gli effetti della tutela. Obblighi informativi a carico del debitore proponente Allo scopo di contrastare un utilizzo abusivo dello strumento, che può essere piegato all’esclusiva finalità di guadagnare tempo al riparo dalle azioni dei creditori, il Legislatore ha previsto alcuni “anticorpi”, quali la possibilità di disporre obblighi informativi periodici in capo al debitore nelle more della predisposizione del piano; la sanzione dell’inammissibilità della domanda presentata con riserva, qualora, nei due anni precedenti, non fosse stata ammessa un’altra analoga domanda; nonché la riduzione del termine di automatic stay al minimo (ossia sessanta giorni) nel caso in cui penda un procedimento per la dichiarazione di fallimento. Il cd. decreto “del fare” (D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98) ha valorizzato, inoltre, la posizione del commissario giudiziale, anticipandone la nomina facoltativa all’atto del provvedimento del Tribunale che fissa il termine per lo scioglimento della riserva. Tale organo assume un ruolo informativo. Infatti, se nominato, esprime il proprio parere in ordine al compimento da parte del debitore degli atti di straordinaria amministrazione e svolge un’attività di vigilanza sulla procedura sin dal momento della decorrenza degli effetti conservativi e gestionali, in modo tale da verificarne il contenuto, riferendo al tribunale qualsiasi condotta prevista dall’art. 173 l. fall. Tuttavia, PONTInews24 43 l’implementazione del controllo da parte di un organo della procedura di ausilio al Tribunale e al giudice delegato limita inevitabilmente l’ambito di azione del professionista. Oltre a ciò, il Tribunale dispone gli obblighi informativi periodici che il debitore deve osservare anche relativamente alla gestione finanziaria dell’impresa e dell’attività compiuta anche ai fini della predisposizione della proposta e del piano, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Rispetto alla precedente versione dell’art. 161 l. fall. il decreto “del fare” ha rafforzato i meccanismi di controllo e ha dilatato le modalità di adempimento degli obblighi informativi. Il debitore è tenuto a depositare con periodicità mensile una situazione finanziaria dell’impresa, pubblicata nel registro delle imprese subendo in caso di inosservanza le sanzioni di cui all’art. 162 l. fall. Nell’ipotesi in cui la sua attività si riveli inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il Tribunale sentito il debitore e il commissario giudiziale può abbreviare il termine stabilito dal giudice. Si rivela opportuno concentrare l’attenzione sugli obblighi informativi, prescritti genericamente dal Legislatore della riforma all’art. 161, comma 8, l. fall., e posti dal Collegio a carico della società destinataria del decreto che dispone sulla domanda di concordato preventivo con riserva di cui all’articolo 161, comma 6, l. fall. La norma non specifica in maniera puntuale quali informazioni il debitore sia obbligato a fornire, presentandoli in cancelleria, salvo precisare che devono anche riguardare la gestione finanziaria dell’impresa e l’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano, lasciando così al Tribunale ampia discrezionalità in ordine sia alla loro modulazione temporale, sia al loro contenuto. Appare evidente come tale discrezionalità non possa trascurare elementi quali la dimensione dell’impresa, la complessità delle trattative, nonché le passività e attività risultanti dai bilanci. I vincoli informativi che possono essere imposti al debitore, devono essere individuati, di volta in volta, a seconda della singola domanda. Dalle prime decisioni della giurisprudenza di merito ritengono che essi consistono, per lo più, nella richiesta di deposito, se non avvenuto, di una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata, di una rappresentazione del compimento degli atti di ordinaria amministrazione, di una relazione periodica di aggiornamento sullo stato di avanzamento del piano (cfr. infra per i riferimenti giurisprudenziali). La previsione dei doveri informativi, principalmente a beneficio dei creditori, coerentemente con il carattere negoziale assunto dalla procedura concordataria, rappresenta un necessario correttivo rispetto alla facoltà concessa all’imprenditore in crisi di sottrarre il proprio patrimonio alle azioni esecutive e cautelari dei creditori. Infatti, imponendo tale adempimento “pubblicitario”, si tenta di preservare gli interessi del ceto creditorio, relativamente al periodo temporale in cui all’imprenditore è riconosciuta la possibilità di elaborare il piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta concordataria, e, al contempo, ai creditori è precluso l’accesso a qualunque strumento di reazione. In altri termini, lo scopo della norma è di permettere al Tribunale di verificare che nelle more del periodo di “stasi”, concesso per la predisposizione del piano concordatario, il debitore si adoperi e si attivi effettivamente, con tutti gli strumenti a sua disposizione, al fine della presentazione di una proposta concordataria. Altrimenti, il debitore ben potrebbe rimanere inerte, dato che la richiesta potrebbe anche essere dettata solamente dall’esigenza di ritardare semplicemente le azioni esecutive e cautelari, nonché i pagamenti da lui dovuti ai suoi creditori. Oltre a ciò, il debitore potrebbe peggiorare la situazione patrimoniale, visto che, in tale fase, viene preservata la possibilità di compiere tutti gli atti di impresa di ordinaria amministrazione, i quali sono sottratti a revoca sul presupposto della legittimità e godono, inoltre, come visto, del beneficio della prededucibilità. Le valutazioni del Giudice in ordine agli obblighi informativi in capo al debitore troveranno poi ingresso nella successiva fase di esame da parte del Collegio del piano, della proposta e della documentazione. Vale osservare, dunque, come in tale fase di osservazione pre-procedurale, gli obblighi informativi disposti dal Giudice assegnano a tale figura un ruolo decisivo. Dall’analisi dei provvedimenti finora emanati emerge l’utilizzo di un vasto spettro di obblighi informativi, che, a seconda delle esigenze dettate dalla fattispecie, possono essere più o meno dettagliati. Il Tribunale può prescrivere generici obblighi informativi attinenti alla gestione dell’impresa nel tempo richiesto per l’integrazione della domanda (Tribunale di Mantova 27 settembre 2012, in IlCaso.it , I, 7874/2012), ovvero stabilire la comunicazione di relazioni PONTInews24 44 informative di contenuto meno analitico, attestanti le operazioni realizzate, l’elenco dei crediti derivanti, e l’indicazione del nominativo del creditore e dell’importo del credito (Tribunale di Pisa 19 settembre 2012, cit.). Il Collegio, in alternativa, può imporre la presentazione di report a carattere analitico, prevedendo la periodica predisposizione di un’aggiornata relazione patrimoniale, economica e finanziaria sull’andamento delle attività d’impresa (Tribunale di Asti 24 settembre 2012, in IlCaso.it , I, 7859/2012), l’indicazione del compimento di atti di amministrazione anche solo ordinaria (Tribunale di La Spezia 25 settembre 2012, in IlCaso.it , I, 7858/2012), dell’effettuazione di pagamenti d’importo superiore a una determinata somma (Tribunale di Modena 14 settembre 2012, in IlCaso.it , I, 7786/2012), delle richieste di pignoramento pervenute (Tribunale di Velletri 18 settembre 2012, in IlFallimentarista.it ). Inoltre, si può richiedere una relazione in merito all’attività eventualmente svolta con riferimento particolare a eventuali debiti contratti (Tribunale di Modena 15 novembre 2012, in IlCaso.it , I, 8134/2012), o un prospetto relativo all’ordinaria amministrazione dell’attività aziendale, con indicazione dettagliata delle operazioni attive e passive superiori a un determinato importo (Tribunale di Modena 22 ottobre 2012, in IlCaso.it , I, 8000/2012). Infine, è possibile prescrivere di relazionare sullo stato delle trattative in corso con i possibili acquirenti degli immobili; sullo stato della procedura di recupero del credito Iva e sui possibili tempi di realizzo dello stesso; nonché sui flussi di cassa in entrata e in uscita nel periodo interessato dalla relazione (Tribunale di Bolzano 25 settembre 2012, in IlFallimentarista.it ). Per una maggiore garanzia, il Tribunale può disporre la designazione del professionista attestatore ai sensi dell’art. 161, comma 3, l. fall., o dell’art. 182 bis , comma 1, l. fall., aggiungendo, a carico dell’esperto medesimo, il deposito mensile di un report sulle attività e sulle verifiche in corso di svolgimento. Ciò ai fini della relazione che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario in corso di predisposizione, ovvero l’attuabilità dell’accordo secondo quanto disposto dall’art. 182 bis , comma 1, l. fall. (Tribunale di Terni 12 ottobre 2012, cit.). Inoltre, si può prevedere in capo al debitore medesimo l’obbligo di deposito, entro 15 giorni, di una relazione riepilogativa sui contratti in corso di esecuzione (Tribunale di Terni 12 ottobre 2012, cit.). Gestione dell’impresa nella fase di pre-concordato Analogamente all’art. 167 l. fall. a proposito del concordato vero e proprio, il comma 7 dell’art. 161 distingue tra gli atti di ordinaria e quelli di straordinaria amministrazione. Mentre il compimento dei primi non presuppone particolari formalità, la realizzazione dei secondi è ammessa unicamente in presenza di due requisiti concomitanti: in primo luogo, l’urgenza, che si verifica quando risulta impossibile il differimento del compimento dell’atto alla fase successiva all’apertura formale della procedura (cfr. Rolfi , «La generale intensificazione dell’ automatic stay », in IlFallimentarista.it , 2012); in secondo luogo, l’autorizzazione del Tribunale a pena di inammissibilità, da emanarsi all’esito di apposita istanza dell’imprenditore, se del caso seguita dall’assunzione di sommarie informazioni. Posto che l’art. 161, comma 7, l. fall. non definisce in maniera puntuale le operazioni straordinarie, è possibile avere riguardo all’elenco, certamente non tassativo, previsto dall’art. 167, comma 2, l. fall. Per ulteriori riferimenti, essendo pacifico che per sua natura l’attività d’impresa si traduce anche nel compimento di atti dispositivi, si può richiamare la distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione stabilita dalla Giurisprudenza di legittimità che adotta come criterio il concetto di “normale gestione” in relazione al tipo di impresa in oggetto e alle sue dimensioni. Quindi, la diversificazione deve basarsi sulla relazione dell’atto rispetto alla gestione “normale” ossia “ordinaria” del tipo di impresa di cui si tratta e alle dimensioni in cui essa viene esercitata (in proposito cfr. Cass., Sez. I, 4 maggio 1995, n. 4856, in Vita not ., 1996, 941). Come si deduce dall’art. 182 quinquies , comma 4, l. fall., è necessario considerare, altresì, come si ponga fuori dal perimetro dell’ordinaria amministrazione il pagamento dei debiti pregressi, in forza del quale non solo i pagamenti dei debiti anteriori devono considerarsi straordinari, ma essi risultano inderogabilmente vietati nel concordato liquidatorio. PONTInews24 45 Invece, nel concordato in continuità è stabilito un regime autorizzatorio particolarmente oneroso, prevedendosi che un esperto indipendente e provvisto di adeguate qualifiche professionali attesti che il versamento è strettamente funzionale alla prosecuzione dell’attività d’impresa, nonché strumentale al migliore soddisfacimento dei creditori. Nel caso in cui si ritenga di individuare la ratio della disposizione nella necessità di tutelare la par condicio creditorum , potrebbero reputarsi ammissibili i pagamenti dei crediti prededucibili e privilegiati destinati a essere corrisposti per intero, posto che il relativo soddisfacimento si rivela inidoneo ad arrecare pregiudizio agli altri creditori, considerando, inoltre, il positivo effetto della mancata maturazione degli interessi sulle passività saldate anticipatamente. L’ultimo periodo dell’art. 161, comma 7, l. fall. attribuisce il carattere della prededucibilità ai crediti sorti in relazione agli atti legalmente compiuti in costanza di procedura. Inoltre, l’art. 182 quinquies , comma 1, permette all’imprenditore che abbia depositato domanda di concordato preventivo anche “con riserva” di domandare al Tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti, anche essi dichiarati prededucibili, a condizione che un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) , verifichi il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa fino all’omologazione e attesti che gli stessi finanziamenti siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori. Per quanto concerne la compatibilità del pre-concordato con la disciplina dei rapporti pendenti è opportuno osservare come, nonostante il mancato richiamo dell’art. 169 bis all’art. 161, comma 6, si ritiene comunque preferibile l’applicazione della suddetta norma, non ravvisandosi ragioni ostative. Tuttavia, sarà onere del Tribunale adottare gli accorgimenti più opportuni al fine di evitare la risoluzione dei contratti pendenti, se non nei casi di effettiva funzionalità per la migliore soluzione della crisi e a vantaggio della massa dei creditori (si veda in proposito Vella , «Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”», in Il Fall. , 2013, 97). Infatti, un recente arresto ha affermato che la risoluzione dei contratti si giustifica unicamente nell’ipotesi in cui la prosecuzione risulti di ostacolo al perseguimento della soluzione concordataria e, quindi, alla migliore valorizzazione, a vantaggio di tutti i creditori, dei beni e dei rapporti aziendali; tanto che la valutazione in ordine all’opportunità di autorizzare lo scioglimento del contratto in corso di esecuzione al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo esige l’instaurazione del contraddittorio con la controparte contrattuale in modo che questa possa formulare le eventuali ragioni di opposizione (Tribunale di Monza 21 gennaio 2013, in IlCaso.it , I, 8530/2013). Nonostante ciò, una sentenza di merito ha affermato che lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione ex art. 169 bis l. fall. non può essere disposto nell’ipotesi di concordato preventivo con riserva, potendosi però, in tal caso, concedersi la sospensione di detti contratti per il periodo massimo di sessanta giorni (Tribunale di Pistoia 30 ottobre 2012, in IlCaso.it , I, 8079/2012) . Considerazioni conclusive È evidente come i benefici del concordato “con riserva” siano rinvenibili nell’anticipazione dell’emersione della crisi, nella tutela immediata del patrimonio del debitore, nonché nella facilitazione di accesso allo strumento concordatario da parte del debitore. Questi ha la possibilità di elaborare il piano concordatario con maggiore tranquillità, al riparo dalle aggressioni esecutive dei creditori, potendo predisporre nel tempo tecnico necessario, la presentazione di una proposta di concordato preventivo. In proposito, Lamanna , «Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale», cit., evidenzia la diffusa prassi dei Tribunali di concedere ai debitori, nell’ambito dei procedimenti prefallimentari, un termine per depositare le domande di concordato o le proposte di accordo che essi non fossero stati in grado di predisporre in precedenza. Tuttavia, questa possibilità, in mancanza di un’apposita previsione in tal senso, non poteva accompagnarsi a misure di protezione anticipata del patrimonio del debitore. Non sono neppure trascurabili le conseguenze positive per il ceto creditorio che non potrà che trarre vantaggio dall’anticipazione del periodo sospetto ai fini dell’azione revocatoria. Infatti, poiché il ricorso può essere depositato in un momento notevolmente anteriore rispetto alla PONTInews24 46 presentazione del piano e della proposta, il dies a quo per il computo del periodo sospetto retroagirà alla data di deposito della domanda “in bianco” (per approfondimenti in merito, si veda Zorzi , «Riflessioni sull’esenzione da revocatoria ex art. 67, comma 3, lett. a , l. fall. alla luce dell’introduzione del concordato “in bianco”», in IlCaso.it , II, 327/2012.). Inoltre, considerando gli effetti conservativi della presentazione del ricorso ex art. 161, comma 6, si potrebbe ipotizzare un obbligo di ricorrere a tale strumento semplificato, anche in assenza dei presupposti del concordato, al mero scopo di conservare l’attivo in vista del successivo fallimento, evitando il c.d. “assalto alla diligenza” da parte di creditori che intentano acquisire titoli di prelazione, con una maggiore falcidia dei debiti chirografari. Infatti, l’imprenditore appare naturalmente sottoposto al rischio laddove consente al ceto creditorio di accedere alle informazioni rilevanti sulla sua situazione patrimoniale. Di conseguenza, se da una parte si evidenzia la rilevanza di una forma di automatic stay , posto che, la presentazione della domanda “con riserva” di per sé non comporta un effettivo pregiudizio per i creditori, che sarebbero in concreto danneggiati unicamente dal successivo compimento di atti di gestione, i quali sarebbero irrevocabili e farebbero sorgere crediti prededucibili; dall’altra, tuttavia, appaiono parimenti manifesti anche i rischi che possono sorgere in termini di abuso dello strumento concordatario e di pregiudizio dei diritti dei creditori. Se, infatti, come si è detto, il termine per il deposito della proposta concordataria può avvenire anche sei mesi dopo il deposito del ricorso, nei concordati di tipo liquidatorio si corre il pericolo di assegnare un ingiustificato vantaggio all’imprenditore quando l’impresa sia già in principio inevitabilmente destinata alla liquidazione. È palese come in tale ipotesi si moltiplicherebbero gli effetti negativi della crisi sulle imprese che gravitano nel circuito dell’impresa in crisi intrattenendo con essa rapporti commerciali. la PRATICA Fac-simile DOMANDA DI CONCORDATO PREVENTIVO CON RISERVA TRIBUNALE DI <...> RICORSO EX ART. 161, COMMA 6, L. FALL. nell’interesse di <...>, (codice fiscale: <...>), in persona dell’amministratore unico, Dott. <...>, con sede in <...>, ed elettivamente domiciliata in <...>, presso lo studio dell’Avv. <...> (codice fiscale: <...>; indirizzo di posta elettronica certificata: <...>; fax: <...>), che la rappresenta e difende in forza della delega a margine del presente atto. premesso che 1. cenni storici, organi societari e notizie di carattere generale; 2. qualità di imprenditore commerciale non “sotto-soglia”; 3. cause che hanno determinato lo stato di crisi; 4. circostanze che giustificano l’impossibilità, allo stato, di varare il piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta e la proposta stessa; 5. iniziative che la ricorrente si propone di attuare nel corso del periodo di tempo che la separa dal varo del piano; *** Tutto ciò premesso, la <...>, in persona dell’amministratore unico, Dott. <...>, come in epigrafe rappresentata e difesa insta affinché codesto Ill.mo Tribunale voglia: - ordinare alla Cancelleria di pubblicare il presente ricorso nel Registro delle imprese entro il giorno successivo a quello del deposito del medesimo presso la Cancelleria del Tribunale, ai sensi dell’art. 161, 5 comma, l. fall. , affinché ne discendano gli effetti di cui all’art. 168 l. fall., tra i quali il divieto d’iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari e di costituire titoli di prelazione non concordati; PONTInews24 47 - impregiudicata l’eventuale proroga ai sensi della legge, concedere alla ricorrente il termine di cui all’art. 161, comma 6, l. fall. per il deposito in Cancelleria della proposta , del piano e dell’ulteriore documentazione prescritta nella misura massima (pari a centoventi giorni) o, in subordine, nel diverso lasso temporale ritenuto congruo (comunque non inferiore a novanta giorni) ; - autorizzare la <...> alla stipulazione con <...> di un accordo transattivo avente a oggetto il contratto <...> a condizione che l’intesa preveda <...>; - successivamente al deposito, da parte della debitrice, della documentazione che la stessa si è riservata di produrre, ammettere la ricorrente alla procedura di concordato preventivo. Si producono: 1) visura <...>; 2) bilancio <...> al 31.12.2010; 3) bilancio <...> al 31.12.2011; 4) bilancio <...> al 31.12.2012; 5) elenco nominativo dei creditori con indicazione dei rispettivi crediti; 6) situazione patrimoniale <...> al 31.12.2012; 7) delibera dell’amministratore ex art. 152 l. fall. luogo e data <...> Il legale rappresentante <...> PONTInews24 48 Societario e fallimentare Pagamento delle transazioni commerciali: effetti contabili e fiscali Sono in vigore, dal 1° gennaio 2013, le disposizioni in materia di pagamenti delle transazioni commerciali introdotte dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192. Dopo una breve analisi delle novità verrà analizzato l'impatto sul bilancio e i conseguenti effetti fiscali. Gioacchino Pantoni, Claudio Sabbatini, Il Sole 24 ORE - Guida Pratica per le Aziende, gennaio 2014, n. 1 TERMINI DI PAGAMENTO: "RATIO" della normativa Direttive Ue e norme di recepimento L'art. 10, co. 1, L. 11 novembre 2011, n. 180 (cd. Statuto delle imprese) ha delegato il Governo a modificare le disposizioni del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231. Quest'ultima disposizione era stata emanata in recepimento della Dir. 29 giugno 2000, n. 2000/35 Ce per combattere il fenomeno dei ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali. Il D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192, derivante dalla delega di cui sopra, è finalizzato a recepire la Dir. 16 febbraio 2011, n. 2011/7/Ue. Le norme di seguito richiamate fanno riferimento al D.Lgs. 231/2002, così come modificate dal citato D.Lgs. 192/2012. Secondo alcune stime, in Italia il ritardo nei pagamenti della pubblica Amministrazione si aggira sui 90 giorni, contro gli 11 giorni della Germania. SOGGETTI COINVOLTI Imprese, professionisti e Pa La norma in commento, anche per dare un aiuto alle aziende che affrontano la scarsa liquidità del sistema economico, nasce con l'intento di garantire tempi brevi e certi nei pagamenti tra imprese e tra imprese e pubblica Amministrazione; queste ultime sono identificate dall'art. 3, co. 25, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) ed includono lo Stato, le Amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico, loro associazioni, unioni e consorzi. Nella definizione di pubblica Amministrazione vi rientrano anche i soggetti di diritto privato, quando svolgano attività per la quale sono tenuti al rispetto della disciplina di cui al Codice degli appalti. Nel concetto di imprese vanno inclusi anche i professionisti. Privati Sono, invece, esclusi i rapporti commerciali con clienti privati. RAPPORTI COMMERCIALI La disciplina in esame si applica "ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale" (art. 1, D.Lgs. 231/2002). Transazione commerciale Per transazione commerciale si intendono i contratti stipulati tra i soggetti retro indicati che comportano "in via esclusiva o prevalente" una consegna di merci o prestazione di servizi PONTInews24 49 ed il relativo pagamento del prezzo (art. 2, D.Lgs. 231/2002). Lavori pubblici Sono inclusi anche i lavori pubblici, relativi a tutti i settori produttivi. Non è applicabile: • in presenza di procedure concorsuali o procedure di ristrutturazione del debito; • in ipotesi di operazioni diverse da quelle commerciali, come in ipotesi di risarcimento del danno "compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore". Prodotti agroalimentari Al momento manca una presa di posizione ufficiale che chiarisca come la normativa in commento, di ordine generale, si concili con quella - speciale - applicabile alle cessioni di prodotti agroalimentari (art. 62, D.L. 1/2012) che, ad esempio, fissa termini di pagamento (30 o 60 giorni a secondo se i prodotti sono o meno deteriorabili) e delle sanzioni amministrative (da Euro 500 a Euro 500.000) in caso di violazione dei termini di pagamento. TERMINI DI PAGAMENTO I rapporti commerciali con le imprese devono essere regolati entro i termini evidenziati nella tabella più avanti Clausole inique Sono nulle le clausole che definiscono termini di pagamento che "risultano gravemente inique in danno del creditore" (art. 7, D.Lgs. 231/2002). Ad esempio, è nulla la clausola che, nei rapporti commerciali in cui è parte la P.A., predetermina o modifica la data di ricevimento della fattura. Il Giudice può dichiarare, anche d'ufficio, nulla una "clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto". RAPPORTI FRA IMPRESE E PA 30 giorni Dal ricevimento della fattura o della richiesta di pagamento. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento; Dal ricevimento dei beni o dalla prestazione dei servizi, quanto non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta di pagamento o quando queste ultime sono anteriori a quello del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi; Dall'accettazione o dalla verifica (prevista dalla leggo o dal contratto) della conformità al contratto dei beni o dei servizi ricevuti, nel caso in cui la fattura o la richiesta di pagamento vengano ricevute dopo tale data. L'eventuale procedura di conformità non può avere una durata superiore a 30 giorni dal ricevimento della merce o della prestazione del servizio, salvo che la durata superiore ai 30 giorni sia concordata dalle parti in forma scritta oppure prevista nella documentazione di gara e, comunque, non sia gravemente iniqua; Oltre 30 giorni Nei rapporti fra imprese è possibile derogare al termine dei 30 giorni, stabilendo termini superiori: se questi superano i 60 giorni - purché non gravemente iniqui - il termine di pagamento va pattuito in forma scritta. 30 giorni Come sopra visto nei rapporti fra le imprese. PONTInews24 50 Oltre 30 giorni è possibile superare i 30 giorni "quando ciò sia giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione". In ogni caso gli stessi termini vanno pattuiti in forma scritta e non possono comunque superare i 60 giorni (*). 60 giorni I termini di 30 giorni sono raddoppiati se il debitore è: - un'impresa pubblica, tenuta al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al D.Lgs. 11 novembre 2003, n. 333; - un ente pubblico riconosciuto che fornisce assistenza sanitaria. (*) Questa previsione mal si concilia con la disposizione, contenuta nel Codice degli appalti, che stabilisce il termine temporale di 90 giorni per la liquidazione del saldo finale: essa è incompatibile con la disciplina europea e nazionale che prevede il termine di 30 giorni dalla verifica della prestazione (cioè dal certificato di collaudo). INTERESSI Pagamenti tardivi Come aveva già fatto il D.Lgs. 231/2002, anche il D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192 dispone alla scadenza dei termini di pagamento sopra esaminati il decorso automatico degli interessi di mora per i pagamenti tardivi nell'ambito delle operazioni commerciali di cui sopra (art. 4, D.Lgs. 231/2002). Rateazione E' possibile definire una rateazione del pagamento del corrispettivo dovuto; in tal caso gli interessi moratori si applicano esclusivamente agli importi delle rate scadute. Interessi Gli interessi moratori sono individuati negli interessi legali di mora (8% nell'ultimo semestre 2013) oppure negli interessi concordati fra le imprese (art. 2, D.Lgs. 231/2002). Misura Si ricorda che gli interessi di mora sono composti da una componente variabile (stabilito semestralmente dalla Banca centrale europea (Bce) e da una componente fissa (pari a 8 punti percentuali). Sono inique le clausole che escludono l'applicazione degli interessi di mora. Suggerimento operativo: gli interessi di mora: - sono calcolati su base giornaliera, in modo semplice, cioè gli interessi non producono a loro volta interessi (art. 2, co. 1, lett. e), D.Lgs. 231/2002); - si applicano anche nell'ambito dei rapporti di subfornitura, ai sensi della L. 18 giugno 1998, n. 192. SPESE DI RECUPERO CREDITI Debitore in mora Quanto il debitore, in mora a causa di ritardato adempimento della propria prestazione (il pagamento), non è in grado di dimostrare "che il ritardato pagamento è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile", il creditore ha diritto (art. 3, D.Lgs. 231/2002): PONTInews24 51 • • al rimborso delle spese di recupero crediti; ad un importo per il risarcimento danni. Detto importo è fissato forfetariamente nella misura di Euro 40, salvo prova del maggior danno. Sono inique le clausole che escludono il risarcimento per i costi di recupero crediti. DECORRENZA Clausole inserite per legge Le nuove disposizioni "si applicano alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013". Dato che le clausole - a qualunque titolo previsto o introdotte nel contratto relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori e al risarcimento per i costi di recupero, sono nulle laddove esse fossero inique a danno del creditore, si applicano le seguenti disposizioni: CLAUSOLE RELATIVE AL TERMINE DI PAGAMENTO Art. 1339, c.c. "Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge [o da norme corporative], sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti"; Art. 1419, c.c. "La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità. La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative". INQUADRAMENTO GIURIDICO E CONTABILE Disciplina La normativa comunitaria, recepita nel nostro ordinamento, in relazione alla decorrenza automatica degli interessi sui ritardati pagamentoproduce dei riflessi sulla formazione del bilancio d'esercizio e, parallelamente, sulla determinazione del reddito d'impresa. In linea generale si può affermare che la normativa di cui al D.Lgs. 231/2002, recentemente aggiornata con decorrenza 1° gennaio 2013, non ha apportato significativi mutamenti al regime attuale e alle problematiche che già oggi si pongono su questa materia. Suggerimento operativo: infatti, l'art. 11, co. 2, D.Lgs. 231/2002 prevede che sono fatte salve le vigenti disposizioni del Codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole al creditore. Codice civile La nuova disciplina, infatti, conferma il principio - già presente nelle disposizioni del Codice civile - di decorrenza automatica degli interessi di mora per i ritardi nell'adempimento delle obbligazioni pecuniarie; principio che implica la produzione di questi interessi a vantaggio del credito senza la necessità di uno specifico atto di messa in mora e a partire dalla infruttuosa scadenza del termine per adempiere l'obbligazione. In questo senso - è bene sottolineare - già oggi l'art. 1224, c.c. dispone che "nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro sono dovuti, dal giorno della mora, gli interessi legali, anche se non erano precedentemente dovuti e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno"; per tali obbligazioni, inoltre, non è necessaria la costituzione in mora del debitore, atteso che l'art. 1182, c.c., trattando del luogo dell'adempimento, dispone che "l'obbligazione avente per oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo PONTInews24 52 della scadenza" e il successivo art. 1219, co. 2, dichiara non necessaria la costituzione in mora "quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore". Rispetto alle norme accennate, la nuova disciplina si limita a porre regole più dettagliate e a fissare alcune limitazioni alla possibilità di prevedere patti in deroga; ma il criterio di fondo ripetiamo - è sostanzialmente identico. Per cui si presentano le medesime problematiche, mai risolte, già presenti in passato. DISCIPLINA GIA' PRESENTE NEL CODICE CIVILE Art. 3, D.Lgs. 231/2002: il debitore è responsabile dell'inadempimento ed è tenuto a corrispondere al creditore gli interessi moratori salvo che dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile Art. 3, D.Lgs. 231/2002: la mora presuppone che il creditore non abbia ricevuto nei termini l'importo dovuto Art. 4, D.Lgs. 231/2002: gli interessi di mora decorrono automaticamente Art. 1218, c.c.: viene esclusa la responsabilità solo se il creditore non ha adempiuto alla propria obbligazione (art. 1460, c.c.) Art. 1206, c.c.: il debitore evita la mora se dimostra di aver offerto al creditore (es. mediante invio di assegno, in Cass. 1326/1995, ma non attraverso la mera costituzione di un deposito nella disponibilità del debitore, in Cass. 1187/1975). Artt. 1219 e 1224, c.c.: la costituzione in mora si effettua con la richiesta - scritta - di pagamento (mora ex persona). Essa non è necessaria nei casi di mora ex re che include l'ipotesi per cui la prestazione debba essere eseguita al domicilio del creditore (luogo, in senso lato, riferibile alla sfera del creditore, in Cass. 6887/1994). Anche le prestazioni pecuniarie debbono essere eseguite nel domicilio del creditore (art. 1182, c.c.). Il D.Lgs. 231/2002 quindi incide solo sui pagamenti della PA per i quali gli artt. 54 e segg. del Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440 stabiliscono che le obbligazioni pecuniarie dello Stato sono soddisfatte presso gli uffici di tesoreria e sono quindi obbligazioni da adempiersi al domicilio del debitore. Rilevazione per maturazione Per quanto concerne le modalità di rilevazione in bilancio degli interessi di mora, la tesi prevalente è quella della loro contabilizzazioneper maturato, alla stessa stregua degli interessi corrispettivi. Principio di fondo di questa gli interessi di mora devono considerarsi acquisiti al patrimonio del creditore "giorno per giorno, in ragione della durata del diritto"; conseguentemente, nel caso in cui titolare di tale diritto risulti essere un imprenditore commerciale, la maturazione degli interessi secondo le descritte regole ne impone la rilevazione per competenza nelle scritture contabili e nel bilancio, ai fini della determinazione del risultato di gestione, salva, ovviamente, la valutazione dei corrispondenti crediti secondo le regole dettate dall'art. 2426, co. 1, n. 8) c.c. e, cioè, tenendo conto anche del presumibile valore di realizzo. PONTInews24 53 Vecchio principio contabile In passato si era sviluppato un criterio contabile volto a consentire di non rilevare affatto gli interessi di mora, laddove si preveda di non incassarli. In particolare, il documento contabile n. 15 della Commissione per la statuizione dei principi contabili affermava (nel testo antecedente la revisione avvenuta nel 2005) che (par. D.IX. Interessi di dubbio incasso) "quando l'incasso di interessi è dubbio, il riconoscimento dei medesimi va sospeso e quelli in precedenza rilevati vanno valutati al presumibile valore di realizzo"; aggiungendo, comunque, che "se si ritiene di continuare a riconoscerli, va effettuato uno stanziamento nel fondo svalutazione crediti in relazione alla possibilità di recupero". In altri termini, secondo tale orientamento, poteva ritenersi corretto che, in presenza di fondati rischi di realizzabilità dei crediti, sia possibile derogare alla regola di carattere generale che impone la rilevazione degli interessi attivi sulla base della loro maturazione economica. Attuale Oic 15 Il Principio contabile sui crediti, Oic 15, attualmente (nel testo rivisto a seguito, anche, della riforma sul bilancio che ha cancellato gli inquinamenti fiscali) recita (si noti l'esplicito riferimento al D.Lgs. 231/2002): OIC 15 "D.IX. Interessi di dubbio incasso. E' necessario osservare che con il D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 è stata data attuazione alla Direttiva Ue 2000/35 Ce sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Le disposizioni legislative prevedono l'automatica applicazione degli interessi dalla scadenza del termine di pagamento in base al tasso d'interesse diffuso semestralmente dal Ministero dell'Economia. Se il termine non è fissato contrattualmente, gli interessi decorrono dopo trenta giorni a partire, a seconda dei casi, dalla data di ricevimento della fattura, di ricevimento delle merci o prestazione dei servizi, ovvero dalla data di accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali. Al riguardo, quando l'incasso di interessi è dubbio va effettuato uno stanziamento nel fondo svalutazione crediti in relazione alla possibilità di recupero". Interessi attivi di mora Interessi passivi di mora RILEVAZIONE IN CONTO ECONOMICO Voce C.16 - altri proventi finanziari Voce C.17 - interessi e altri oneri finanziari PROFILI FISCALI Vecchie regole: per competenza L'obbligo, di ordine contabile, di rilevare gli interessi moratori che automaticamente (al verificarsi del puntuale adempimento del debitore) vengono a maturare ha indotto il Legislatore (anche a seguito dell'abolizione degli inquinamenti fiscali, come quelli di cui all'art. 71 del vecchio Tuir (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 in vigore fino al 2003) che prevedeva la possibilità di iscrivere un fondo svalutazione interessi dimora al solo fine di posticiparne la tassazione al momento dell'incasso) a rinviare la tassazione di tali particolari poste economiche al momento dell'incasso (si veda l'attuale art. 109, co. 7, Tuir). Nuove regole: per cassa E' interessante ricordare quanto osservato dalla C.M. 20 novembre 1979, n. 43 secondo cui "l'evidenziazione in bilancio degli interessi moratori e l'istituzione del relativo fondo nel periodo d'imposta di maturazione vanno intese come condizioni necessarie affinché gli interessi moratori possano concorrere alla formazione del reddito imponibile nel periodo d'imposta in cui ne avviene la riscossione" e "conseguentemente gli interessi non evidenziati in bilancio e, comunque, quelli per i quali non sia avvenuto l'accantonamento nell'apposito fondo, devono PONTInews24 54 essere assoggettati a tassazione nel periodo di maturazione". Mancata contabilizzazione degli interessi maturati In questa ricostruzione, il contribuente che avesse omesso di rilevare in bilancio per competenza gli interessi di mora sarebbe incappato nella immediata tassazione degli stessi. Tali considerazioni dovrebbero valere ancor oggi: pur non potendo più iscrivere un fondo svalutazione crediti per interessi di mora al solo fine di rinviarne la tassazione (operazione non più necessaria, dato il rinvio di tassazione ex lege al momento dell'incasso degli stessi), resta l'obbligo - di natura contabile - di iscrivere a bilancio i crediti maturati. Questi, al pari degli altri crediti: • sono valutati secondo il presumibile valore di realizzo (art. 2426, n. 8, c.c.); • possono essere dedotti, ai fini della determinazione del reddito imponibile, al ricorrere di elementi certi e precisi (art. 101, co. 5, Tuir). SUGGERIMENTI OPERATIVI Chiarimenti Per cui, data l'incertezza in ordine alla tassazione di interessi di mora maturati, ma non iscritti (e svalutati) in bilancio, si può vagliare l'ipotesi della rinuncia, anche a priori dei crediti maturati per interessi di mora (R.M. 6 settembre 1980, n. 9/517, Cass. 10 maggio 2007, n. 23863). Pertanto, si potrebbe suggerire uno dei seguenti comportamenti che manifestino la convenienza - per il creditore - di rinunciare preventivamente all'automatismo della decorrenza degli interessi di mora. E' opportuno far risultare tale scelta da un verbale del Consiglio di amministrazione. SCELTA 1) Il creditore vuole rinunziare all'automatismo legale per tutti i crediti o solo per alcuni clienti. Per ottenere gli interessi si dovrà procedere a formale intimazione. 2) Il creditore vuole mantenere libertà di scelta, di derogare all'automatismo legale. PONTInews24 SCELTE POSSIBILI MODALITA' APPLICATIVE E' necessario scrivere nelle condizioni generali di vendita (vale per chi ha l'abitudine di far sottoscrivere l'ordine, la copia commissione o il contratto) o in tutte le fatture "interessi di mora, nella misura di cui al D.Lgs 9.10.2002, n. 231, decorrenti dall'intimazione di pagamento". Nel caso si voglia che la rinuncia abbia valore solo per specifici clienti o per certe forniture, sarà sufficiente stampare sulle relative fatture la clausola a fianco riportata. Il risultato può essere ottenuto adottando una delibera del Consiglio di Amministrazione secondo lo schema seguente: "esaminato il testo del D.Lgs. 9.10.2002 n. 231, considerato che la pretesa di ripetere ai clienti tutti gli interessi di mora che potrebbero maturare secondo tale legge, magari su partite di piccolo importo e per ritardi di modesta durata, comporterebbe un notevole aggravio di lavoro amministrativo, il cui onere potrebbe anche essere superiore al vantaggio derivante dagli interessi, considerato, inoltre, che la pretesa di incassare indiscriminatamente i suddetti interessi di mora potrebbe avere conseguenze commerciali negative quali anche la perdita di clienti delibera che gli interessi di mora saranno addebitati ai clienti solo su decisione specifica del responsabile dell'ufficio commerciale (dell'amministratore delegato) che 55 3) Il creditore rinuncia interessi maturati verso singolo debitore. PONTInews24 agli ogni deciderà di intimare il pagamento delle partite aperte, con gli interessi di mora nella misura di cui all'art. 5 del D.Lgs 231 del 2002, in relazione all'andamento degli affari con il particolare cliente; copia dell'intimazione di pagamento inviata al cliente dovrà essere comunicata al responsabile della contabilità per i conseguenti adempimenti contabili; il responsabile dell'ufficio commerciale (dell'amministratore delegato) avrà in relazione alle prospettive di incasso del credito principale e all'andamento degli affari con il particolare cliente, facoltà di rinunciare, in tutto o in parte, agli interessi di mora maturati; nei moduli su cui saranno compilate le fatture sarà scritto interessi di mora, nella misura di cui al D.Lgs. 9.10.2002 n. 231 decorrenti dall'intima-zione di pagamento". Potrà inviarsi una lettera al Cliente del tipo "... Lei ha maturato, nel corso dell'anno... un debito per interessi moratori ai sensi del D.Lgs. 9.10.2002 n. 231 pari ad Euro... che in con-siderazione dei buoni rapporti commerciali, non Le verranno richiesti". 56 Societario e fallimentare Ristrutturazione del debito: nuovi strumenti della legge fallimentare Nel presente contributo verranno introdotte le caratteristiche principali relative agli accordi di ristrutturazione dei debiti Fabrizio Bencini, Mancaruso Matteo, Il Sole 24 ORE - Guida Pratica per le Aziende, gennaio 2014 - n. 1 ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI L'accordo di ristrutturazione dei debiti è disciplinato dall'art. 182 bis, L.f. E' un contratto di diritto privato concluso tra la parte debitrice (generalmente un'impresa) e uno o più creditori che rappresentino una percentuale significativa dei crediti (almeno il 60%). Relazione di un esperto Si perfeziona con il consenso delle parti e non prevede il coinvolgimento della totalità dei creditori, che pertanto sono liberi di accettare o meno individualmente l'accordo contratto con il proponente (debitore). Deve essere accompagnato dalla relazione di un esperto circa l'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei (i creditori che non hanno aderito all'accordo). Pertanto rappresenta uno strumento di risoluzione della crisi di natura privatisticacontrattualistica, semplificato rispetto al concordato preventivo (art. 160,L.f.). Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono caratterizzati da due momenti: • quello stragiudiziale, nel quale l'imprenditore in crisi "rinegozia" con i creditori la propria situazione debitoria; • quello giudiziale, in cui avviene l'omologazione dell'accordo, al fine di renderlo legalmente effettivo tra le parti. Sotto il profilo del contenuto, gli accordi di ristrutturazione presentano le seguenti caratteristiche: • dal lato dei creditori, quest'ultimi possono ricevere proposte di soluzione stragiudiziale da parte del debitore quali: dilazioni di pagamento, rinunce totali o parziali agli interessi o addirittura ad una parte del capitale, emissione di titoli di debito con valenza novativa, conversione di crediti in capitale, creazione anche di nuove obbligazioni come conseguenza di finanziamenti da utilizzare per l'estinzione di precedenti obbligazioni, costituzione di garanzie o impegno a stipulare negozi attuativi; • dal lato del debitore, l'accordo può prevedere sia che l'attività d'impresa continui in capo al debitore stesso o che venga affidata ad un terzo, sia che l'imprenditore ceda in tutto o in parte i beni ad uno o più creditori o che proceda alla liquidazione. Più in generale l'accordo di ristrutturazione del debito è finalizzato a ripristinare la condizione di solvibilità dell'impresa debitrice, attraverso un pagamento in percentuale dei creditori aderenti al patto, senza la necessità che essi rispettino la regola della par condicio creditorum. L'utilizzo di tale strumento potrebbe servire a rimuovere l'insolvenza ed evitare il fallimento dell'impresa. Anche per tale strumento è necessaria la predisposizione di un piano che può avere ad oggetto la mera ristrutturazione dei debiti, ovvero contemplare un vero e proprio risanamento dell'impresa in difficoltà. Il piano, come prescritto dalla legge, deve essere accompagnato dalla relazione redatta da un professionista, il quale assume un ruolo cruciale nell'assicurare l'idoneità dell'accordo a superare la crisi. Pertanto, il Tribunale ha il poteredovere di respingere la richiesta di omologa di un accordo non idoneo a superare la crisi e la cui relazione, soprattutto, sia scarsamente motivata e priva di qualsiasi informativa sulla concreta attuabilità dell'accordo stesso. PONTInews24 57 ASPETTI PARTICOLARI Professionista negli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 67, co. 3, lett. d) (art. 182 bis, co. 1, L.f.) Adempimenti del professionista L'apporto normativo, oltre definire che il professionista deve essere designato daldebitore, prevede anche che egli attesti la veridicità dei dati aziendali e l'attuabilitàdell'accordo con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei. Questa previsione chiarisce che l'attività dell'esperto deve estendersi all'analisi di accertamento circa l'attendibilità e realtà dei dati indicati negli accordi, con la conseguenza di più pregnanti doveri e responsabilità, anche di carattere penale, non potendosi egli limitare a un controllo formale di attuabilità. E' richiesta inoltre, per il professionista, per il richiamo all'art. 67, co. 3, lett. d) la medesima caratteristica diindipendenza prevista per attestare i piani ex art. 67, L.f. L'esperto ha il compito di svolgere una due diligence sulle informazioni prospettiche dell'impresa in crisi. Pertanto la difficoltà dell'incarico del professionista è duplice: da un lato i dati oggetto di revisione non hanno ancora natura certa, ma sono il frutto di proiezioni e attese future degli amministratori, dall'altro lato la situazione non ordinaria in cui il piano viene costruito ne influenza l'attendibilità rendendone particolarmente delicata la valutazione delle ipotesi alla base. E' stato osservato che la ragionevolezza di un piano nasce dall'osservazione congiunta di alcuni rilevanti profili quali: attendibilità, realizzabilità e visibilità. Il professionista chiamato ad esprimere un giudizio di ragionevolezza sia nel contesto digoing concern sia nel più complesso contesto di crisi aziendale non può che fare riferimento ai principi di revisione internazionali in materia di verifica dei dati prospettici. Infatti a livello europeo i principi di revisione vigenti sono quelli emanati dalla commissione dell'Ifac (International Federation of Accountants) denominata Iaasb (International Auditing and Assurance Standard Board). Principi contabili di riferimento Tra i documenti emanati e raccomandati dall'Iaasb vi sono gli Isae International Standards on Assurance Engagements, che costituiscono i principi di revisione applicabili negli incarichi diassurance ossia di attestazione. In particolare trova applicazione nelle fattispecie qui studiate il documento Isae 3400 - che ha sostituito il precedente Isa 810 - il quale tratta il tema "The examinationof prospectivefinancial information", stabilendo gli standard di riferimento per il processo di verifica delle informazioni prospettiche finanziarie. Pagamento dei creditori estranei all'accordo Pagamento dei creditori L'integrazione normativa chiarisce espressamente come il pagamento dei creditori estranei debba avvenire regolarmente. Infatti non sussiste alcuna incertezza nella dottrina prevalente circa la locuzione "regolare pagamento", ovvero un pagamento per intero e alla scadenza. La revisione in questione definisce anche le tempistiche per il soddisfacimento di detti debiti estranei, le quali secondo la dottrina erano previste nell'immediato pagamento a seguito dell'omologa, che sono: • entro cento venti giorni dall'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; • entro cento venti giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti all'omologazione. La previsione di un termine per la soddisfazione dei creditori estranei potrebbe facilitare il ricorso ad una procedura negoziale tra le parti, "beneficiando del cosiddetto scaduto fisiologico" ossia lasciare all'imprenditore il tempo per reperire le risorse necessarie al pagamento dei creditori estranei secondo i termini sopra esposti e consentire di non gravare ulteriormente la propria situazione societaria. Ricorso anticipato o preventivo con riserva di concordato e successiva proposizione dell'accordo PONTInews24 58 (art. 182 bis, L.f.) Ricorso anticipato Le modifiche apportate all'art. 161, L.f. in tema di domanda di concordato relative anche gli accordi di ristrutturazione, permettono di anticipare la tutela da azioni esecutive ecautelari sul patrimonio dell'imprenditore consentendogli di presentare ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo e riservarsi di presentare la proposta definitiva, il piano e la documentazione entro un termine fissato dal giudice compreso: • tra sessanta e centoventi giorni; • prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre 60 gg. In questi stessi termini il debitore, invece della proposta definitiva di concordato preventivo, può depositare domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, L.f. Nuova finanza (art. 182 quinquies, co. 1, L.f.) Gestione della crisi d'impresa La norma richiamata interviene per risolvere una delle maggiori criticità del sistema pre riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. con L. 7 agosto 2012, n. 134, e cioè la difficoltà di una corretta gestione della crisi di impresa per la quasi assoluta mancanza del cd. mercato della Finanza Ponte, finanza che serve all'impresa per superare il periodo intercorrente tra l'evidenziarsi della crisi/insolvenza e la presentazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis. Per poter accedere alla finanza ponte è ora necessario che l'imprenditore in crisi, che presenta l'accordo di ristrutturazione, richieda contestualmente al Tribunale l'autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili (previsione all'evidenza di grande importanza soprattutto in ottica di continuità d'impresa). E' anche necessario che un esperto in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, co. 3, lett. d), L.f. attesti, previa verifica del complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione, che tali finanziamenti siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori. Pagamenti anticipati (art. 182 quinquies, co. 5, L.f.) - Esenzione da azione revocatoria Presentazione di omologazione E' previsto, nel caso di presentazione di domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, che l'impresa debitrice che ne faccia domanda possa chiedere in tale contesto al Tribunale l'autorizzazione a pagare crediti anteriori per prestazione di beni o servizi, con una domanda adeguatamente motivata e supportata da elementi oggettivi. Tuttavia condizione necessaria per concedere l' autorizzazione è che un professionista, in possesso dei requisiti di cui all'art. 67 co. 3 lett. d), L.f. attesti che tali pagamenti siano essenziali e consentano la prosecuzione della attività di impresa sino alla omologa dell'accordo di ristrutturazione e che la prosecuzione della attività di impresa sia funzionale ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. Sospensione dell'obbligo di ricapitalizzazione negli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-sexies, co. 1, L.f.) Bonus da esdebitazione Ai sensi dell'art. 182 sexies, L.f. dalla data di deposito della domanda di omologa e sino alla omologa la presenza di perdite qualificate o la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, non produce gli effetti della relativa causa di scioglimento ad essa connessa sino all'omologa dell'accordo. Successivamente alla omologa le predette norme riacquisteranno operatività ma potrà soccorrere il cd. "bonus da esdebitazione" nella determinazione della perdita. PONTInews24 59 Casi pratici Immobili AFFITTI VALIDI ANCHE SENZA ALLEGARE L'APE D. Ho stipulato un contratto di locazione abitativa a canone libero, della durata di quattro anni più quattro, in data 2 ottobre 2013. Il contratto è stato registrato all'agenzia delle Entrate il 24 ottobre scorso. Ho scoperto solo qualche giorno fa che avrei dovuto predisporre anche una certificazione energetica e allegarla al contratto. Peraltro, né l'inquilino né le Entrate mi hanno chiesto nulla in proposito. Ora sento che la certificazione non è più necessaria. Vorrei avere un chiarimento sulla situazione normativa e sapere se rischio qualcosa per non aver predisposto e allegato a suo tempo la certificazione energetica. ---R. Le regole sulla certificazione energetica sono cambiate di nuovo qualche settimana fa: con il decreto «destinazione Italia» (il Dl 145/2013), dal 24 dicembre scorso non è più necessario allegare l'Ape (attestato di prestazione energetica) al nuovo contratto di locazione per singole unità immobiliari. L'obbligo rimane solo per le locazioni di interi edifici, oltre che per i trasferimenti a titolo oneroso. Può stare tranquillo anche chi – come il lettore – ha stipulato un contratto dal 4 agosto 2013, data di entrata in vigore della legge 90 (di conversione del Dl 63/2013), che disponeva l'obbligo di allegare l'Ape a pena di nullità del contratto stesso. Il contratto viene sanato con il pagamento di una sanzione sostitutiva di quella della nullità in precedenza stabilita. L'unico caso in cui la sanatoria non è possibile è quello in cui la nullità sia già stata dichiarata dal giudice con sentenza passata in giudicato (articolo 1, comma 8, del Dl 145/2013): ma si tratta con tutta evidenza di un'ipotesi di scuola. La sanatoria può essere chiesta da una delle parti del contratto o da un loro avente causa, così che il pagamento della sanzione impedisce qualsiasi eventuale postuma eccezione di nullità. Peraltro, potrebbe darsi benissimo che il contratto prosegua per mesi o anni senza che nessuno invochi la nullità, né chieda la sanatoria. Comunque, con l'entrata in vigore del decreto «destinazione Italia» (24 dicembre 2013) gli obblighi non vengono azzerati. Il locatore deve informare il proprio conduttore sulla prestazione energetica del bene immobile oggetto della locazione, così come la si deduce dal relativo attestato che, in ogni caso, dev'essere messo a disposizione dell'inquilino ancor prima di concludere il contratto di locazione, cioè nel momento in cui iniziano le trattative dirette a concedere il godimento del bene (articolo 6, comma 2, del Dlgs 192/2005, così come modificato dalla legge 90/2013). L'adempimento dell'obbligo di informativa va documentato attraverso l'inserimento nel contratto di una clausola con cui il conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla prestazione energetica del bene locato. È sufficiente riportare nel contratto la dichiarazione dell'interessato di avere ricevuto le opportune informazioni, senza che sia necessario specificare nel dettaglio il tipo e la qualità delle stesse. Si tratta quindi di una semplice dichiarazione del conduttore, da recepire nel corpo del contratto, non richiedendo la norma alcuna altra particolare formalità. Il fatto che l'Ape debba essere messo a disposizione del conduttore sin dal momento delle trattative, unitamente alla dichiarazione che il conduttore stesso deve rendere di avere ricevuto, oltre che le informazioni, anche «la documentazione comprensiva dell'attestato» (nuovo articolo 6, comma 3, del Dlgs 192/ 2005), lascia presumere che incombe sul locatore anche un più generale obbligo di consegna dell'Ape. Eliminato l'obbligo di allegazione dell'Ape per le locazioni di singole unità immobiliari – che in precedenza era sanzionato con la nullità – resta ora una sanzione da 1.000 a 4mila euro (da ridurre alla metà per i contratti di durata inferiore a tre anni) per l'ipotesi di mancata PONTInews24 60 dichiarazione all'interno del contratto. La sanzione viene posta in capo alle parti in via solidale. Tale sanzione è applicabile anche alle ipotesi di contratti stipulati, come sopra si è visto, dopo l'entrata in vigore della legge 90/2013 (4 agosto 2013), a cui non era stato allegato l'Ape o che difettavano dell'informativa su di essa. Si noti che la sanzione non assume naturalmente carattere di sanatoria, così che il pagamento di essa non esonera il proprietario dal provvedere comunque agli obblighi impostigli dal decreto in esame. Gli obblighi riguardano solo i contratti che si stipulano per la prima volta, restando pertanto escluse le ipotesi delle proroghe, delle cessioni, delle successioni dei contratti e casi similari. Sono esclusi dall'obbligo anche i nuovi contratti non soggetti a registrazione, quelli cioè con durata non superiore complessivamente a 30 giorni all'anno. Al di là dell'obbligo di informazione e consegna, non viene comunque meno il dovere del proprietario di dotare il proprio immobile dell'attestato di prestazione energetica, che continua a essere previsto dall'articolo 6, comma 2, del Dlgs 192/2005, e la cui mancanza viene punita con una sanzione da 300 a 1.800 euro. L'obbligo di consegna della certificazione energetica all'inquilino è rispettato attraverso la stessa previsione dell'obbligo di dotazione. Da non dimenticare infine che, nel caso di offerta di vendita o di locazione, gli annunci tramite tutti i mezzi di comunicazione commerciali devono riportare l'indice di prestazione energetica dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o dell'unità immobiliare, e la classe energetica corrispondente. Attenzione, però, alla possibilità che alcune Regioni abbiamo adottato sanzioni differenti, in forza della cosiddetta "clausola di cedevolezza" prevista dal Dlgs 192/2005 (articolo 17) che ha lasciato facoltà alle Regioni di adottare autonomi provvedimenti per disciplinare la materia. E così, ad esempio, per le locazioni stipulate in Piemonte, al pari di quelle in Liguria, il certificato energetico dev'essere messo a disposizione del conduttore, per cui, se l'immobile ne è privo, il locatore incorre nella sanzione pecuniaria da 500 a 5mila euro a seconda delle superfici utili locate. In Lombardia (dove peraltro il certificato continua a denominarsi Ace) l'obbligo di consegna al locatore prevede sanzioni maggiori (da 2.500 a 10mila euro) e dev'essere osservato anche in caso di tacito rinnovo del contratto. Nessuna sanzione invece per l'Emilia Romagna, pur persistendo l'obbligo di consegna. Per la Toscana la mancata dotazione dell'attestato di certificazione energetica comporta il declassamento dell'immobile alla classe più bassa. Infine, la Valle d'Aosta, dove la mancata consegna comporta una sanzione da 300 a 1.800 euro. Caso per caso IL CONDUTTORE DEVE ESSERE «INFORMATO» Il 7 gennaio ho firmato un contratto di locazione con uno studente universitario. Non ho la certificazione energetica e non l'ho ancora registrato alle Entrate. Posso rimediare predisponendo ora una certificazione energetica? -----------L'immobile deve essere fornito dell'(Ape), che può essere quindi sempre predisposto. Non essendo però il conduttore stato preventivamente informato circa la prestazione energetica dell'immobile, il locatore resta soggetto alle sanzioni di cui all'articolo 6, comma 3, Dlgs 192/2005 (da 1.000 a 4mila euro, dimezzati se la locazione non eccede i tre anni). «IPE» E CLASSE NELL'ANNUNCIO SUL PORTONE Sta per scadere un contratto 4+4 nella casa di cui sono proprietario e l'inquilino se ne andrà. Devo inserire la classe energetica dell'alloggio già nell'annuncio affisso sul portone? E cosa succede se non lo faccio? -----------Gli annunci di offerta di locazione tramite tutti i mezzi di comunicazione commerciali devono riportare l'indice di prestazione energetica dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o dell'unità immobiliare e la classe energetica corrispondente. In caso di violazione dell'obbligo, il responsabile dell'annuncio è punito con la sanzione amministrativa da 500 a 3.000 euro. PONTInews24 61 LA CHANCE DI INVOCARE LA NULLITÀ Il 10 settembre ho stipulato un contratto di locazione commerciale senza Ape. Il conduttore non paga regolarmente il canone. Posso invocare la nullità per liberarmi del contratto? -----------Il 4 agosto 2013 è entrata in vigore la legge 90, che ha previsto la nullità del contratto di locazione qualora a esso non sia stato allegato l'attestato di prestazione energetica del bene immobile concesso in locazione. La nullità può essere fatta valere sino che una della parti – e quindi anche il conduttore – non richieda di poterla sanare con il pagamento della sanzione prevista dal Dl 145/13. UNA CLAUSOLA INDICA LA PRESA VISIONE Devo stipulare il contratto di locazione di un ufficio. Ho già l'Ape, ma che cosa devo farne, ora che non è più obbligatorio? -----------L'obbligo primario è quello di inserire nel testo del contratto una apposita clausola con cui il conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine all'attestazione della prestazione energetica, di cui riceve copia. È sufficiente un richiamo di riferimento ai principali dati emergenti dall'Ape che, in ogni caso, deve essere messo a disposizione del conduttore affinché prenda buona nota del suo contenuto. PATTI BREVI FUORI DALL'OBBLIGO Sono proprietario di una casa di vacanze, che do in locazione per 2-3 settimane in estate. Devo necessariamente consegnare l'Ape all'inquilino all'atto del contratto? -----------La nuova normativa dettata in tema di prestazione energetica è chiara nel prevedere l'obbligo di osservanza di tale incombente solo per i contratti di locazione soggetti a registrazione. Inoltre, è necessaria la registrazione solo per quei contratti di durata complessiva superiore a trenta giorni l'anno. Cosicché deve escludersi l'obbligo di consegna dell'Ape al conduttore nei casi in cui la locazione abbia nel suo insieme una durata inferiore. L'ONERE SCATTA PER L'IMMOBILE CEDUTO A TERZI Non ho alcuna intenzione di vendere o locare l'appartamento in cui abito; chiedo se devo comunque provvedere all'Ape. -----------Se si resta al tenore letterale della legge vigente, l'obbligo di dotare l'immobile dell'Ape sussiste solo quando si intenda trasferirlo a titolo oneroso, oppure concederlo in locazione. L'Ape può essere utile per fotografare i reali consumi dell'edificio e individuare eventuali interventi migliorativi. Per alcune tipologie di interventi, è richiesto per beneficiare della detrazione fiscale del 65 per cento. IL DEPOSITO DI MATERIALI È ESENTE Devo affittare un locale, come deposito di materiali edili, che non accoglierà persone, essendo anche privo di energia elettrica. Devo dotarlo di Ape? -----------Sono esclusi dall'obbligo di dotazione dell'Ape tutti gli immobili il cui utilizzo non prevede l'installazione o l'impiego di sistemi tecnici e, in genere, tutti quelli per i quali non sia necessario garantire quel confort abitativo, che ricomprende tutti i casi in cui l'unità immobiliare risulti funzionalmente collegata a una occupazione prevalente e continuativa. Rientra tra questi il locale da adibire a mero deposito. ATTENTI A... L'ATTO SI ALLEGA PER L'INTERO EDIFICIO L'obbligo di allegazione dell'Ape riguarda solo i nuovi contratti di locazione di interi edifici, con esclusione quindi di quelli riguardanti singole unità immobiliari. Per tutte le nuove locazioni, quelle cioè stipulate per la prima volta e fatta eccezione per quelle di durata complessiva inferiore a 30 giorni nell'arco dell'anno, permane l'obbligo di metterlo a disposizione PONTInews24 62 dell'inquilino appena hanno inizio le trattative dirette a concludere il contratto di locazione, quand'anche queste si svolgano non già direttamente tra le parti, ma attraverso un'agenzia immobiliare. Il contratto deve in ogni caso contenere una clausola in forza della quale il conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine all'attestazione della prestazione energetica, di cui ne riceve copia. LA DATA CHIAVE LA SANATORIA PER IL PASSATO L'obbligo di consegnare o di mettere a disposizione del conduttore la certificazione energetica, previsto a pena di nullità dall'articolo 15, comma 9, Dlgs 192/2005, era stato abrogato dall'articolo 35 della legge n. 133/2008, restando invece in vigore solo in alcune Regioni. Il 4 agosto 2013 è entrata in vigore la legge 90, di conversione del Dl 63/2013, che ha reso obbligatoria l'allegazione al contratto di locazione dell'Ape, prevedendo la massima sanzione della nullità del contratto. Per gli immobili privi di Ape, concessi in locazione dopo tale data e sino al 23 dicembre 2013, è prevista la possibilità di evitarne la declaratoria di nullità – sempre che già non sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato – con il pagamento di una sanzione amministrativa. La richiesta deve essere avanzata da una delle parti o da un loro avente causa. (Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 20 gennaio 2014) CANONI IN CONTANTI: RISCHIO SANZIONI FINO AL 40 PER CENTO D. Sono proprietario di alcuni appartamenti concessi in locazione a uso abitativo, con contratto di quattro anni più quattro. Ho appreso che dal 1° gennaio del 2014 i miei inquilini non potranno più pagare in contanti i canoni relativi alla locazione dell'immobile di cui sono proprietario. Non ero a conoscenza della novità e il primo canone del mese di gennaio è stato pagato in contanti. Sono previste sanzioni? Da quando si applica la novità? ---R. Dal 1º gennaio 2014, i canoni di locazione delle abitazioni non possono più essere pagati in contanti. Non è indicato un importo minimo. La novità è stata prevista dalla legge di stabilità del 2014 (legge n. 147/2013, comma 50). Indipendentemente dall'ammontare mensile del canone, devono essere utilizzati esclusivamente mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità dei flussi di denaro. Le eventuali violazioni dovrebbero dare luogo all'irrogazione delle stesse sanzioni previste in materia di antiriciclaggio, cioè dall'1 al 40% (importo variabile) della somma trasferita in contanti. La sanzione sarà irrogata sia nei confronti del soggetto che effettua il pagamento, sia nei confronti di colui che lo riceve. Se si ritiene di poter applicare le sanzioni dell'antiriciclaggio dovrebbe trovare applicazione anche la sanzione minima di 3.000 euro. Il nuovo obbligo viene inserito nell'articolo 12 del «salva Italia» (Dl n. 201/2011), cioè nella disposizione che ha ridotto a 1.000 euro il limite previsto dalla normativa antiriciclaggio che vieta i trasferimenti di denaro contante per importi superiori a 999,99 euro. Anche se non è stato modificato direttamente l'articolo 49 del decreto antiriciclaggio (Dlgs 231/2007), un'interpretazione diretta a sostenere l'inapplicabilità di una sanzione pecuniaria, sembrerebbe contraria alla ratio dell'intervento normativo. D'altra parte, se le disposizioni antiriciclaggio hanno previsto una soglia minima (999,99 euro) che, una volta superata, fa scattare l'irrogazione di una sanzione, sarebbe poco ragionevole non prevedere una conseguenza analoga (l'irrogazione di una sanzione) quando una nuova legge ha introdotto lo stesso obbligo di tracciabilità senza indicare una soglia minima. Infatti il nuovo obbligo è previsto per il pagamento di qualsiasi importo essendo irrilevante l'ammontare del canone di locazione. Si applica il principio di cassa, quindi l'obbligo di tracciabilità riguarda anche eventuali canoni arretrati del 2013, pagati nell'anno 2014. La novità riguarda solo le abitazioni, a eccezione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (in ogni caso esclusi). L'esclusione dalla tracciabilità riguarda anche gli uffici, i negozi, eccetera. In questo caso, eventuali controlli possono essere effettuati sulla base delle scritture contabili del soggetto utilizzatore dell'unità immobiliare. Questi immobili sono destinati a essere utilizzati nell'ambito di attività commerciali o professionali e tale circostanza spiega la PONTInews24 63 scelta di escludere i canoni relativi a queste tipologie di immobili. Il divieto di utilizzare il denaro contante riguarda anche le pertinenze (box auto, cantine, posti auto eccetera). Infatti, la natura di pertinenza, attribuibile ai predetti beni immobili, consente di considerare gli stessi come se si trattasse a ogni effetto di abitazioni. La natura di pertinenza deve desumersi dall'atto e dal contratto di locazione. Ad esempio, se lo stesso proprietario concede in locazione l'abitazione e l'annesso box auto, il pagamento del relativo canone dovrà essere effettuato con mezzi tracciabili. D'altra parte, in questo caso, il contratto sarà unico e presumibilmente il canone di locazione sarà indistinto. Invece, se gli immobili oggetto di locazione (abitazione e box auto) sono di proprietà di due soggetti diversi, l'obbligo di tracciabilità dovrebbe riguardare solo l'immobile abitativo. L'altro proprietario, che possiede unicamente il box auto, dovrebbe poter incassare i relativi canoni in contante, fermo restando, però, l'obbligo di rispettare il limite di 999,99 euro previsto dalla normativa in materia di antiriciclaggio. Il pagamento deve essere effettuato con qualsiasi strumento in grado di assicurare la tracciabilità. La norma non fornisce un'indicazione specifica, quindi il conduttore e il proprietario hanno a disposizione una scelta ampia. I pagamenti possono essere effettuati con bonifico bancario, assegno bancario non trasferibile, assegno circolare non trasferibile, conto corrente postale, carta di debito, carta di credito eccetera. Questi ultimi strumenti di pagamento saranno presumibilmente utilizzati se il passaggio di denaro sarà effettuato con il servizio prestato da un'agenzia incaricata della riscossione dei canoni di locazione. Non sono previste eccezioni per ciò che riguarda i soggetti. Anche gli stranieri non residenti devono effettuare i pagamenti dei canoni con mezzi di pagamento tracciabili. Non si applica neppure il maggior limite di 15mila euro previsto dalle norme in materia di antiriciclaggio (solo per gli stranieri extra Ue) riguardante le attività commerciali. Si precisa inoltre che «l'obbligo della tracciabilità è stato previsto anche ai fini dell'asseverazione dei patti contrattuali per l'ottenimento delle agevolazioni e delle detrazioni fiscali da parte del locatore e del conduttore» (Nicola Forte, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 20 gennaio 2014) Societario e fallimentare PER LA PEC UNA VERIFICA AL REGISTRO DELLE IMPRESE D. Vorrei sapere se una società assicuratrice è tenuta, su richiesta del consumatore, al rilascio della posta elettronica certificata e, in caso positivo, qualora la stessa società non dia risposta, se la Camera di commercio all'uopo interpellata dal consumatore può intervenire in via istituzionale. ---R. L’articolo 16, comma 6, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevede l'obbligo, per le imprese costituite in forma societaria, di iscrivere nel registro delle imprese il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (Pec). Come ricordato anche dalla circolare 3 novembre 2011, n. 3645 del ministero dello Sviluppo economico, le società già iscritte nel registro imprese avrebbero dovuto adempiere a tale obbligo entro il 29 novembre 2011, a pena di subire l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 2630 del Codice civile (sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 1.032 euro con riduzione a un terzo in caso di ravvedimento entro 30 giorni). Più di recente, con decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con legge 4 aprile 2012, n. 35 (in vigore dal 7 aprile 2012), il legislatore è ulteriormente intervenuto ad integrare il citato decreto legge 185 del 2008, prevedendo che l’ufficio del registro delle imprese possa addirittura sospendere la domanda di iscrizione da parte di un'impresa costituita in forma societaria che non abbia segnalato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Tanto detto, è evidente che tutte le imprese assicuratrici costituite, per l’appunto, in forma societaria dovrebbero aver adempiuto da tempo al citato obbligo. Del resto, su internet sono disponibili diversi siti che raccolgono l’elenco degli indirizzi di posta elettronica della maggior parte delle imprese assicuratrici italiane. Laddove, tuttavia, il lettore non riceva alcuna indicazione in merito da parte dell’assicurazione interpellata, potrà rivolgersi al registro delle imprese territorialmente competente per ogni opportuna verifica e/o segnalazione. (Maurizio Di Rocco, Il Sole “4 ORE – L’Esperto risponde, 20 gennaio 2014) PONTInews24 64 POSSIBILE RICORSO DI SOCI E LIQUIDATORI D. Con atto notarile, una società di capitali (Srl) è stata messa in liquidazione a maggio 2007. Il bilancio finale del 2013 non presenta alcun valore nell'attivo, ma solo debiti verso Equitalia per oltre 92mila euro, verso una banca per oltre 51mila euro e verso un fornitore per quasi 10mila euro. Sia la banca sia il fornitore, in questi anni, non hanno fatto alcuna azione di recupero del credito nei confronti della società, e nessuna istanza di fallimento è stata presentata. Se il liquidatore predispone il bilancio finale di liquidazione, per poi procedere alla cancellazione dal registro imprese, in quanto è impossibile proseguire nell'azione liquidatoria per mancanza di fondi, i soci, che non hanno percepito e non percepiranno alcuna somma con il bilancio finale di liquidazione, e il liquidatore stesso possono essere oggetto di notifica di atti impositivi da parte dell'amministrazione finanziaria, o di notifiche da parte di Equitalia? In caso di risposta affermativa, come possono difendersi? ---R. I singoli soci e i liquidatori possono anche essere destinatari di notifica di atti impositivi da parte dell'amministrazione finanziaria, o di notifiche da parte di Equitalia. Al cospetto di tali pretese, se ritenute infondate, essi devono necessariamente opporsi alle cartelle di pagamento o agli atti impositivi loro notificati (anche collettivamente e impersonalmente, presso l’ultima sede sociale), con tempestivo ricorso alla Commissione tributaria provinciale territorialmente competente. Nel ricorso devono eccepire, a pena di decadenza, l’inesistenza dei presupposti stabiliti dalla legge per invocare la loro responsabilità (per esempio: i soci non hanno percepito alcuna somma né con il bilancio finale di liquidazione né in altro modo; non è allegata né provata la colpa imputabile ai liquidatori nella gestione del patrimonio sociale, affinché costoro rispondano del debito sociale).L’articolo 2495 del Codice civile stabilisce infatti che - una volta approvato e depositato presso il registro delle imprese il bilancio finale di una società di capitali (per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata) in liquidazione - i liquidatori «devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese». La cancellazione produce l’"estinzione" della società, ossia la perdita della sua personalità giuridica (similmente a quanto avviene con la morte della persona fisica). La conseguenza è che essa non risponde più dei propri debiti insoddisfatti (salva la possibilità di dichiararne il fallimento entro un anno dall’estinzione, ai sensi dell’articolo 10 della legge fallimentare di cui al Rd 267 del 1942, in presenza delle altre condizioni stabilite dall’articolo 1 della stessa legge).Il Codice prosegue affermando che, «dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi».Perciò, chi pretende di essere soddisfatto dai soci o dai liquidatori con i loro patrimoni personali ha anche l’onere di dimostrare che sussistono le condizioni di una siffatta responsabilità (articolo 2697 del codice Civile: «chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento»). Nemmeno il Fisco è esente da quest’onere. Ma se, nonostante tutto, esso si rivolge ugualmente ai soci e ai liquidatori, questi ultimi devono proporre ricorso contro gli atti loro notificati, invocando la violazione del citato articolo 2495 del Codice civile. (Ezio Maria Pisapia, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde 20 gennaio 2014) PONTInews24 65