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Mensile di aggiornamento in materia di diritto, edilizia
e urbanistica, immobili, appalti, ambiente e sicurezza
pubblicato da Il Sole 24 Ore con approfondimenti
dello Studio Legale Ponti di Udine
Chiuso in redazione il 31 gennaio 2014
© 2014 Il Sole 24 ORE S.p.a.
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I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con
scrupolosa attenzione, non possono comportare
specifiche responsabilità per involontari errori e
inesattezze.
Sede legale e Amministrazione:
via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano
a cura della Redazione
Edilizia e PA de Il Sole 24 ORE
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n. 9 – 31 gennaio 2014
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia,
immobili, rifiuti, sicurezza
RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, energia, inquinamento, rifiuti, sicurezza ed
igiene del lavoro
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APPROFONDIMENTI
L’ARTICOLO DEL MESE a cura dello STUDIO LEGALE PONTI
LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE DEGLI AMMINISTRATORI
In genere, l’obbligazione in solido si presenta ogniqualvolta sussistano tre condizioni:
una pluralità di soggetti debitori, una medesima obbligazione (identità di prestazione
dovuta), un’unica fonte dell’obbligazione.Nell’ambito societario, la responsabilità
solidale degli amministratori è regolamentata dall’art. 2392 c.c. per quanto riguarda le
s.p.a. e dall’art. 2476 c.c. per quanto riguarda le s.r.l.
Luca Ponti, Paolo Panella, Studio legale Ponti
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Societario e fallimentare
PRE-CONCORDATO: MODALITÀ, EFFETTI E PECULIARITÀ PROCESSUALI DEL NUOVO STRUMENTO
CONCORDATARIO
In cosa consiste e a quali effetti rileva la domanda di concordato con riserva? Qual è il
ruolo del Giudice? Cosa deve allegare il proponente? Quali “spazi di azione” ha il
debitore dopo aver presentato la domanda di concordato con riserva?
Ivan Libero Nocera, Il Sole 24 ORE - Ventiquattrore Avvocato, gennaio 2014 - n. 1
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Societario e fallimentare
PAGAMENTO DELLE TRANSAZIONI COMMERCIALI: EFFETTI CONTABILI E FISCALI
Sono in vigore, dal 1° gennaio 2013, le disposizioni in materia di pagamenti delle
transazioni commerciali introdotte dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192.
Dopo una breve analisi delle novità verrà analizzato l'impatto sul bilancio e i
conseguenti effetti fiscali.
Gioacchino Pantoni, Claudio Sabbatini, Il Sole 24 ORE - Guida Pratica per le Aziende,
gennaio 2014, n. 1
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Societario e fallimentare
RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO: NUOVI STRUMENTI DELLA LEGGE FALLIMENTARE
Nel presente contributo verranno introdotte le caratteristiche principali relative agli
accordi di ristrutturazione dei debiti
Fabrizio Bencini, Mancaruso Matteo, Il Sole 24 ORE - Guida Pratica per le Aziende,
gennaio 2014 - n. 1
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L’ESPERTO RISPONDE
Ambiente, appalti, edilizia e urbanistica, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
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 Appalti
 Specialistiche, norma-tampone poco chiara: rischio contenzioso
Nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 30 dicembre 2013, è stato pubblicato il decreto-legge 30
dicembre 2013, n. 151, che, al comma 9 dell'articolo 3, detta la disciplina transitoria, destinata
a colmare il vuoto normativo creatosi a seguito del parere della Commissione speciale del
Consiglio di Stato, recepito dal Dpr 30 ottobre 2013, il quale ha annullato il comma 2
dell'articolo 107 e il comma 2 dell'articolo 109 del Regolamento n. 207/2010.
L'articolo 107, comma 2, conteneva l'elenco delle categorie superspecialistiche che, ai sensi
dell'articolo 37, comma 11, del Codice non possono essere subappaltate per più del 30%, se la
loro incidenza sull'importo contrattuale supera il 15%, e che impongono all'impresa priva della
relativa qualificazione di servirsi o del raggruppamento temporaneo verticale oppure
dell'avvalimento, ai fini di coprire l'altro 70%. L'annullamento è stato motivato sul rilievo, che
molte di tali categorie non apparivano «di notevole contenuto tecnologico o di rilevante
complessità tecnica», ragion per cui sarà necessario effettuare una revisione dell'elenco.
A sua volta, il comma 2 dell'articolo 109 è stato annullato, apparendo incongruo che, mentre il
comma 1 affermava il principio in base al quale l'affidatario qualificato nella sola prevalente
potesse eseguire anche le opere scorporabili, il comma 2 rovesciasse invece tale principio
imponendo il subappalto delle categorie scorporabili non coperte da attestazione Soa.
Il decreto-legge n. 151/2013 ha tuttavia impegnato il Governo a emanare, entro sei mesi dal
30 dicembre 2013, le disposizioni sostitutive di quelle annullate, precisando che, nel frattempo,
e in ogni caso non oltre il 30 settembre 2014, continuano ad applicarsi le regole previgenti,
senza però indicare quali siano queste regole.
Si apre così un problema interpretativo di non poco momento, dovendosi stabilire se tali regole
siano quelle contenute negli annullati articoli 107, comma 2 e 109, comma 2, o le disposizioni
vigenti ancor prima, vale a dire gli articoli 72 e 74 del Dpr n. 554/1999. A favore della prima
opzione interpretativa, milita non solo l'espressione «continuano a trovare applicazione», che
appare più appropriato riferire agli articoli 107 e 109, anziché a norme abrogate.
Mentre, contro la reviviscenza degli articoli 107 e 109, gioca una considerazione di natura
istituzionale, essendo a dir poco improprio che il potere legislativo ponga nel nulla una
decisione del potere giudiziario, avente per giunta un valore di carattere generale.
Di certo, sul versante dell'interpretazione letterale, sostenere che le norme che vigevano prima
dell'annullamento sono quelle annullate significa salvarsi in angolo, perché sarebbe stato più
conforme al «clare loqui» scrivere, anziché «regole previgenti», «norme annullate».
Infine, non si comprende il motivo per cui il Governo viene impegnato a sostituire tali
disposizioni entro sei mesi, mentre quelle «previgenti» potrebbero restare in vigore per nove
mesi. Sembra quasi un preannuncio di sconfitta che, peraltro, non lascia intravedere cosa
succederebbe se entrambe le date dovessero spirare senza risultati.
In ogni caso, l'adesione all'una o all'altra opzione interpretativa non sposta i termini del
problema, atteso che le due coppie di disposizione si distinguono soltanto per il fatto che
l'elenco delle superspecialistiche di cui all'articolo 72 è meno numeroso di quello contenuto
nell'articolo 107, e questo potrebbe costituire un ulteriore argomento a favore della
riviviscenza delle norme del Dpr n. 554/1999, rappresentando un'adesione del legislatore alle
censure del Consiglio di Stato, il quale aveva contestato proprio l'eccessiva ampiezza
dell'articolo 107.
Nella prassi, l'incertezza generata da tale norma transitoria rischia di innescare una nuova
occasione di contenzioso, e questo non per una sorta di caccia all'errore, ma per una fuga del
legislatore dal parlar chiaro. A meno di non ritenere che abbia volutamente inteso riferirsi alle
«regole», anziché agli articoli, per sottolineare che le norme restano annullate, ma le regole
che esse contenevano continuano ad applicarsi.
Il che non accadeva nemmeno a Bisanzio.
(Federico Titomanlio, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 13 gennaio 2014)
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 Ok alla riforma degli appalti, per le Pmi sarà meno costoso partecipare alle gare
Il via libera del Parlamento Europeo alla riforma degli appalti pubblici conclude un iter durato
più di due anni e attribuisce agli Stati membri ampi margini di manovra nel decidere se
rendere vincolanti, in sede di recepimento, le principali prescrizioni contenute nelle tre direttive
(appalti pubblici, appalti per servizi nei settori acqua, energia, trasporti e servizi postali e
concessioni pubbliche).
Le scelte dei governi nazionali faranno la differenza rispetto alle due priorità fondamentali della
riforma: favorire l'accesso delle piccole e medie imprese alle gare e potenziare l'uso
"strategico" degli appalti pubblici attraverso regole e criteri di aggiudicazione capaci di
contrastare le diverse forme di dumping sociale e di premiare prodotti e processi produttivi
innovativi e rispettosi dell'ambiente.
Sul fronte PMI, si punta sulla riduzione dei costi amministrativi di partecipazione alle gare
attraverso l'autocertificazione e un uso progressivamente sempre più ampio e vincolante dell'eprocurement. L'idea iniziale di un passaporto europeo per gli appalti rilasciato da un'autorità
competente è stata sostituita dal riconoscimento della possibilità di utilizzare un Documento di
Gara Unico Europeo (DGUE), che raccoglierà le informazioni sull'azienda e l'autocertificazione
dei requisiti necessari alla partecipazione alle gare. Il formato sarà definito nei prossimi mesi
dalla Commissione e adottato in tutti i Paesi. Nel pacchetto di misure per le PMI rientra anche
l'introduzione di un tetto ai requisiti di fatturato, che non dovrebbero superare il doppio del
valore dell'appalto. Soglie più elevate restano tuttavia possibili ma andranno motivate. Per la
suddivisione in lotti dei grandi appalti (oltre i 500 mila Euro), obbligatoria nella proposta della
Commissione, il Consiglio ha ottenuto la cancellazione di soglie e vincoli mantenendo in capo ai
governi nazionali ogni decisione. Stesso discorso per la possibilità di pagare direttamente le
imprese subappaltatrici.
Per quanto riguarda l'aumento dell'efficienza della spesa pubblica e l'uso strategico degli
appalti, la riforma insiste sulla diversificazione delle procedure d'appalto in base alle specifiche
esigenze delle amministrazioni, presentando e chiarendo le modalità e i vantaggi del ricorso a
procedure non tradizionali come dialogo competitivo e i partenariati per l'innovazione. Una
forte attenzione è dedicata al concetto di offerta economicamente più vantaggiosa e al
contrasto della prevalenza del massimo ribasso per l'aggiudicazione delle gare. La riforma
incoraggia l'utilizzo di criteri orientati agli aspetti qualitativi delle offerte, che includono, ad
esempio, la valutazione del costo del ciclo di vita dei prodotti, dell'impatto ambientale delle
tecnologie e dei processi produttivi, e, soprattutto dopo l'intervento del Parlamento Europeo, la
piena conformità alla legislazione in materia di lavoro e di ambiente. Nel caso di ribassi
anomali, l'ente appaltante è tenuto a richiedere spiegazioni (respinta, invece, la proposta di
esclusione automatica in caso di risposta insoddisfacente).
Quanto alla digitalizzazione integrale delle procedure d'appalto, l'obbligo scatterà al termine di
30 mesi concessi come periodo transitorio. Ma tale periodo transitorio si conteggia a partire
dalla scadenza dei due anni concessi per il recepimento della direttiva da parte dell'Italia.
Riassumendo, la transitorietà prevista per l'e-procurement si apre a partire dal febbraio-marzo
2016 (in base alla data della prossima pubblicazione della direttiva). L'obbligo scatterà invece
al termine dei due anni e mezzo, a partire da questa data, cioè presumibilmente da agostosettembre 2018.
Dopo i pareri di nove commissioni parlamentari, la discussione di 2.500 emendamenti e otto
mesi di braccio di ferro tra Parlamento e Consiglio, la riforma si è spostata principalmente sul
piano del chiarimento normativo, degli orientamenti strategici e della proposta di soluzioni e
buone pratiche che gli Stati membri sono incoraggiati ad adottare. Molte delle prescrizioni più
significative sono state trasformate in opzioni a disposizione dei governi nazionali, chiamati
comunque a intervenire per aggiornare la normativa attuale secondo i principi sanciti nel testo.
Come ricordato, dall'entrata in vigore delle direttive (20 giorni dopo la loro pubblicazione nella
Gazzetta ufficiale) gli Stati membri avranno 24 mesi per il recepimento nel diritto nazionale.
(Pierluigi Boda e Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 15 gennaio 2014)
 Avcpass, fino al 30 giugno basta l'email ordinaria per le comunicazioni con la Pa
Slitta di altri sei mesi l'obbligo di dotare i funzionari delle amministrazioni di una casella di
posta elettronica certificata per garantire lo scambio di comunicazioni con la banca dati appalti
gestita dall'Autorità di vigilanza. La proroga è stata decisa oggi dal Consiglio dell'Authority di
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Via Ripetta. «Viste le difficoltà segnalate dalle stazioni appaltanti», si legge nel comunicato
diramato dall'Authority, il Consiglio «ha disposto la proroga di sei mesi del regime transitorio
relativo all'obbligatorietà della Pec personale di cui all'art.9, co.4 della Deliberazione n. 111 del
20/12/2012». Il riferimento è alla delibera che ha reso operativo dal primo gennaio 2014
l'obbligo di verificare i requisiti delle imprese partecipanti alle gare di appalto pubbliche
superiori a 40mila euro tramite il servizio «Avcpass» dell'Autorità.
Nonostante fosse annunciato da tempo - e già rinviato dal primo gennaio 2013 al primo giorno
di quest'anno - il passaggio dalla verifica tradizionale e cartacea alla modalità telematica ha
gettato nel panico le stazioni appaltanti creando difficoltà operative anche tra le imprese. Non
a caso Comuni (Anci) e costruttori (Ance) la settimana scorsa hanno scritto al ministro delle
Infrastrutture Maurizio Lupi chiedendo di intervenire con una proroga.
Ora di fronte alle difficoltà (anche economiche) sollevate dalle amministrazioni in merito
all'obbligo di dotare di Pec certificata responsabili del procedimento e funzionari coinvolti nello
scambio di informazioni sulle gare gestite attraverso il portale arriva la proroga del regime
transitorio già deciso dall'Autorità. Un'apertura alle stazioni appaltanti che d'altro canto fa
emergere un ulteriore scricchiolio sulla tenuta del sistema.
Nel consentire il ricorso alla mail ordinaria l'Autorità ricorda peraltro che la stazione appaltante
è tenuta «a garantire che le caselle di posta elettronica ordinaria utilizzate siano
esclusivamente individuali, rilasciate nell'ambito del dominio istituzionale dell'Amministrazione
e ad accesso esclusivo del soggetto intestatario». E precisa inoltre che è necessario «fornire al
personale operante in qualità di incaricato del trattamento dei dati le necessarie istruzioni circa
il corretto utilizzo delle credenziali di accesso».
(Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 22 gennaio 2014)
 Appalti. Il recepimento delle direttive - Ance: servono paletti all'in house
Rafforzare l'attenzione alle Pmi, limitare il ricorso all'in house, imporre alle concessionarie di
affidare con gara il 100% dei lavori oggetto di concessione. Sono le richieste avanzate dai
costruttori dell'Ance in occasione del ciclo di audizioni aperto oggi dall'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici, in vista del recepimento delle direttive europee su appalti e concessioni
approvate dal Parlamento di Strasburgo, lo scorso 15 gennaio.
Per i costruttori i punti di maggiore innovazione delle nuove regole europee riguardano le
misure destinare a favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese al mercato degli
appalti pubblici. Tra questi l'obbligo di motivare la mancata suddivisione degli appalti in lotti
(«punto di partenza irrinunciabile nella fase di recepimento») e l'abbassamento della soglia di
fatturato per la partecipazione alle gare («un miglioramento che rischia di risultare ancora
insufficiente»). Fin qui le «luci» della nuova direttiva. Per bocca del presidente Paolo Buzzetti i
costruttori non hanno mancato però di sottolineare alcune criticità.
La più importante, dal punto di vista dei costruttori riguarda la nuova disciplina dell'in house
«che rischia di allargare notevolmente le maglie di tale modalità esecutiva», che invece
dovrebbe restare «quale assoluta eccezione nel panorama degli affidamenti pubblici».
Perplessità anche sulla riduzione dei tempi previsti per la presentazione delle offerte (35 giorni
rispetto agli attuali 52) e sul rischio che la scelta di limitare il ricorso al massimo ribasso «si
tramuti in una generalizzazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa», che richiede un
elevato livello di esperienza delle Pa e comporta un costo di partecipazione più alto per le Pmi.
Una richiesta precisa arriva rispetto alle misure dirette a tutelare il subappalto con il
pagamento diretto dei subaffidatari. In questo caso, ha precisato Buzzetti, dovrà essere la Pa
(e non più l'impresa principale) a controllare l'adempimento degli obblighi verso i lavoratori
«con conseguente interruzione della responsabilità solidale dell'appaltatore per tali somme».
Importante anche la presa di posizione sulle concessioni autostradali. I costruttori auspicano la
revisione di un sistema «contraddistinto dall'assenza di una effettiva apertura al mercato
concorrenziale» chiedendo che in caso di accorpamenti e proroghe delle concessioni in essere
si imponga alle società di affidare con gara il 100% dei lavori «agendo a tutti gli effetti come
un'amministrazione aggiudicatrice».
Da parte sua l'Autorità di vigilanza punta a raccogliere l'occasione delle direttive per riordinare
tutto il sistema degli appalti, bersagliato da una gragnola di correzioni che negli ultimi due anni
ha reso difficile inseguire le novità anche agli addetti ai lavori. Tra le prime proposte, avanzate
dal vicepresidente Sergio Gallo, coordinatore delle attività dell'Authority sul recepimento, «la
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creazione di un codice ad hoc per il partenariato pubblico-privato».
(Mauro Salerno, Il Sole 24 Ore- Impresa e Territori, 29 gennaio 2014)
 Autorità: l'impresa non indica i costi di sicurezza aziendale? Esclusione legittima
È pienamente legittima l'esclusione da una gara di un'impresa per omessa indicazione
nell'offerta economica dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale. Anche se il
bando di gara non li richiedeva esplicitamente. È quanto ha stabilito l'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici nel parere di precontenzioso n. 147 del 2013, appena pubblicato.
I ricorrenti, nel caso in questione, sostengono l'illegittimità della loro esclusione, dal momento
che il bando «non faceva riferimento alcuno all'obbligo di indicare, tanto meno a pena di
esclusione, i costi della sicurezza da rischio specifico o aziendale». Inoltre, viene sottolineato
che, in base al codice appalti, le cause di esclusione sono tassative e non includono i costi per
la sicurezza. Infine, si lamenta anche «la omessa predisposizione da parte della stazione
appaltante di un modello per la presentazione dell'offerta economica che avrebbe potuto
agevolare la formulazione dell'offerta stessa da parte dei concorrenti».
Per inquadrare la questione l'Autorità parte dagli articoli 86 comma 3-bis e 87 comma 4 del
Codice appalti.Questi stabiliscono, rispettivamente, che: «Nella predisposizione delle gare di
appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti
di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il
valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla
sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e
alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture». E che: «Nella valutazione
dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono
essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle
caratteristiche dei servizi o delle forniture». A questo si aggiungono diverse pronunce del
Consiglio di Stato, secondo cui «nelle gare d'appalto l'indicazione degli oneri aziendali per la
sicurezza costituisce un adempimento imposto dalla legge».
Quindi, il combinato disposto degli articoli 86, comma 3-bis e 87, comma 4 «impone ai
concorrenti di segnalare gli oneri economici che intendono sopportare per l'adempimento degli
obblighi di sicurezza sul lavoro». La mancata indicazione di questo elemento comporta
l'incompletezza dell'offerta, anche nel caso in cui non ci sia esplicita indicazione nel bando. A
tale proposito il parere ricorda il principio di tassatività delle clausole di esclusione, enunciato
dall'articolo 46, comma 1-bis del Codice appalti: «La stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal
regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti». Le esclusioni dei concorrenti per omessa
indicazione nell'offerta economica dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale
sono «legittimamente disposte in quanto, anche in assenza di un'espressa disposizione della
lex specialis di gara, la clausola escludente deriva direttamente dalla legge».
(Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 31 gennaio 2014)
 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
 Modulistica fiscale 2014: i primi modelli definitivi
Sono online i modelli e le relative istruzioni di Cud, 730, 770 Semplificato e Ordinario, Iva e
Iva base. I modelli dichiarativi 2014, che dovranno essere utilizzati in occasione delle prossime
dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2013, sono stati approvati con i provvedimenti del
direttore dell’Agenzia delle Entrate del 15 gennaio scorso. Un altro provvedimento della stessa
data dà il via libera anche alle istruzioni aggiornate per la compilazione della comunicazione
annuale dei dati Iva. I modelli confermano la veste grafica e i contenuti già presentati nelle
bozze pubblicate a dicembre 2013, con poche variazioni; diverse, invece, e rilevanti le novità
rispetto ai modelli utilizzati nel 2013, a seguito delle modifiche normative intervenute nel
frattempo.
(Agenzia delle Entrate)
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
Ristrutturazioni, ancora un anno per il bonus 50%, «super-tetto» di 96mila euro
anche nel 2015
Viviamo in un Paese dove il 55,4% delle abitazioni ha più di 40 anni (il 76,2% nelle città
metropolitane): percentuale che secondo elaborazioni e stime del Cresme è destinata a salire
nei prossimi anni, in particolare nelle aree urbane. In questo quadro diventano sempre più
strategici gli interventi di rinnovo e manutenzione degli edifici, che sono comunque cresciuti
negli ultimi tempi, complice l'impatto delle detrazioni fiscali. A dare una spinta agli investimenti
è stato in particolare il maxi-sconto del 50% sugli interventi di recupero del patrimonio edilizio,
arrivato a metà 2012 e ora ulteriormente prorogato dalla legge di stabilità per tutto il 2014.
C'è allora un altro anno per dar corso a quel progetto di ristrutturazione rimasto nel cassetto e
non perdere il treno della detrazione "maggiorata": la proroga ha confermato d'altra parte
l'eccezionalità di un premio così alto, che infatti nel 2015 scenderà al 40% per poi tornare al
36%, a regime, dal 1° gennaio 2016. Lo sconto sarà quindi a scalare, e per regolarsi bisogna
tener presente che la detrazione si determina secondo il principio di cassa per le spese
sostenute in ciascun anno: non è perciò importante la data in cui vengono eseguiti i lavori o
rilasciata la fattura, ma solo quella in cui si effettua il pagamento attraverso il bonifico bancario
o postale dedicato.
La proroga ha inciso anche sul limite massimo di spesa agevolabile per ogni singola unità
immobiliare, che rimarrà di 96mila euro fino alla fine del 2015 e passerà agli ordinari 48mila
euro dal 2016. Di fatto, significa che l'importo massimo da poter detrarre è di 48mila euro per
le spese sostenute entro il 2014 (50% di 96mila), di 38.400 euro per quelle nel 2015 (40% di
96mila) e di 17.280 euro dal 2016 (36% di 48mila). Un tetto massimo "ideale", beninteso,
perché ognuno deve fare i conti con il proprio reddito e la capienza fiscale, per poter accogliere
tutta la detrazione. Il 50% di quanto speso, nel limite consentito, deve essere ripartito in dieci
quote annuali di pari importo ma l'incentivo non può superare l'Ipref dovuta: il calcolo è
dunque ancor più opportuno quando si portano in detrazione altre somme, dalle spese
sanitarie agli interessi mutuo, che abbassano l'imposta. Se nel corso dei dieci anni in cui si
spalma l'agevolazione, in un determinato esercizio, il decimo di quota da detrarre supera l'Irpef
da pagare, la parte in eccesso non può essere rimborsata né rinviata, e va persa.
Manutenzione, ristrutturazione, restauro e risanamento conservativo, ma anche interventi per
prevenire furti e aggressioni, eliminare barriere architettoniche, evitare infortuni domestici,
contenere l'inquinamento acustico, cablare gli edifici, ottenere un risparmio energetico,
adottare misure di sicurezza statica e antisismica, o ripristinare un immobile danneggiato dalle
calamità e dove sia stato dichiarato lo stato di emergenza. La casistica dei lavori agevolati è
ampia e in questa guida, oltre alle novità, sono illustrate anche tutte le informazioni per
approfittare del bonus.
Tra l'altro, proprio ieri, l'agenzia delle Entrate, citata dall'Economia nella risposta a un question
time alla commissione Finanze della Camera, ha precisato che, nel caso di demolizione con
ricostruzione di un edificio di uguale sagoma, il bonus spetta anche se la ricostruzione avviene
su un'area di sedime diversa da quella iniziale, purché lo spostamento sia «di lieve entità».
L'iter è stato molto semplificato negli ultimi anni, e il passo fondamentale resta quello del
bonifico "parlante", che dev'essere eseguito dalla stessa persona alla quale sono intestate le
fatture: beneficiario del maxi-sconto è chi sostiene la spesa, sia proprietario o meno (inquilino,
comodatario, usufruttuario) dell'abitazione oggetto dell'intervento (sono incluse anche le spese
per opere su parti comuni dell'edificio).Oltre al bonus-casa in versione maxi, anche quest'anno
rimane viva la detrazione del 50% sull'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe
non inferiore alla A+ (A per i forni) "finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di
ristrutturazione". Il limite di spesa agevolabile, da pagare con bonifico "parlante", carta di
credito o bancomat, resta di 10mila euro (indipendentemente da quanto costa la
ristrutturazione), così come la detrazione è ripartita sempre in dieci anni. Ma ci sono alcune
modifiche da tener presente rispetto al bonus-mobili introdotto l'anno scorso. Si può infatti
detrarre il 50% della spesa, se spetta l'agevolazione per uno dei lavori di recupero del
patrimonio edilizio pagati dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2015: mobili ed elettrodomestici
possono essere cioè comprati prima di pagare i lavori (che però dovranno essere iniziati).
(Dario Aquaro, Il Sole 24 ORE - Casa24 Plus, 23 gennaio 2014)
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 Sugli immobili di imprese e professionisti Imu deducibile dal 2013
La deducibilità di una quota dell'Imu dal reddito di impresa e di arti e professioni compete in
base al criterio di cassa ma decorre dall'imposta dovuta per il 2013. Questa precisazione è
stata fornita ieri dall'agenzia delle Entrate a Telefisco 2014.
Il comma 715, articolo 1, della legge 147/2013 ha disposto la deducibilità dell'imposta
municipale, relativa ai fabbricati strumentali, dal reddito di impresa e di arti e professioni nella
misura del 20%, (30% per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013). È un'imposta la
cui deducibilità avviene in base al «critico di cassa» (articolo 99 del Tuir). Peraltro l'Imu viene
versata a giugno e dicembre dell'anno per il quale l'imposta è dovuta; quindi, generalmente, il
periodo di imposta di competenza coincide con quello di cassa. Tuttavia può accadere che il
contribuente versi nell'anno successivo l'imposta municipale per errore o dimenticanza, magari
regolarizzandola con il ravvedimento operoso. Potrebbe così accadere che nel 2013 il
contribuente abbia versato l'Imu relativa al 2012. Secondo l'agenzia delle Entrate il legislatore
ha voluto consentire la deducibilità dell'Imu dal reddito di impresa e di lavoro autonomo a
partire dal 2013; pertanto l'Imu relativa agli anni 2012 e precedenti non è deducibile dal
reddito anche se pagata nel 2013. Invece in futuro sarà possibile dedurre l'Imu dovuta per un
certo anno e versata negli anni successivi. Per esempio, entro il 16 giugno 2014 è consentito
versare il conguaglio dell'Imu per il secondo semestre 2013 senza sanzioni e interessi (comma
728, articolo 1, legge 147/2014). Quindi tale imposta, anche se relativa al 2013, sarà
deducibile dal reddito d'impresa e professionale prodotto nel 2014. Il principio di cassa che
guida la deducibilità della quota Imu, dovuta dal 2013, è comune a imprese e professionisti.
L'Agenzia, nelle risposte, ricorda che, essendo l'Imu deducibile nell'anno in cui avviene il
pagamento, anche se tardivo, non è comunque consentita la deduzione di sanzioni e interessi.
Una seconda risposta riguarda la natura di fabbricato strumentale per i professionisti la cui
imposta municipale è deducibile in quota dal reddito professionale. L'Agenzia ricorda che per i
professionisti (ma anche per le imprese) si considera strumentale l'immobile utilizzato
esclusivamente per l'esercizio dell'arte e professione in base all'articolo 43, comma 2, del Tuir.
L'immobile utilizzato promiscuamente per l'attività professionale e abitativa non consente
quindi alcuna deducibilità dell'Imu dal reddito professionale.
Attenzione: anche un immobile personale del professionista che può essere stato ricevuto, per
esempio, in eredità, consente la deducibilità parziale dell'Imu, alla stessa stregua per la quale
non si dichiara la rendita catastale nel quadro RB.
(Gian Paolo Tosoni, Il Sole 24 ORE, 31 gennaio 2014)
 Edilizia e urbanistica
 Permessi e Dia, la tagliola-decadenza
Il permesso di costruire decade allo scadere dei tre anni dall'inizio dei lavori e ogni lavoro
successivo è realizzato senza titolo. La giurisprudenza su questo è uniforme: da ultimo il
Consiglio di Stato e i giudici di primo grado (sezione IV, sentenze n. 6151/2013 e n. 974/2012
e Tar Sicilia-Palermo, n. 1481/2013 Tar Abruzzo-Pescara, n. 61/2013) hanno ribadito che la
pronuncia di decadenza del permesso di costruire per inosservanza del termine annuale di
inizio dei lavori e di quello triennale per il loro completamento, costituisce espressione di un
potere strettamente vincolato e ha natura meramente ricognitiva dei presupposti previsti dalla
legge, al verificarsi dei quali la decadenza opera di diritto.
La finalità della decadenza è sia quella di garantire l'effettiva realizzazione dell'intervento
edificatorio in tempi prestabiliti, sia quella di non vincolare per un periodo indefinito le
successive scelte pianificatorie dei Comuni, che potrebbero mutare le originarie previsioni
urbanistiche. Infatti, il quarto comma dell'articolo 15 del Tu edilizia (Dpr 380/2001), stabilisce
che il permesso di costruire decada con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, a meno che le opere siano già state avviate e vengano completate entro il
termine di tre anni dalla data di inizio.
L'arco temporale di validità del titolo abilitativo è indicato dagli articoli 15, comma 2 e 23,
comma 2 del Testo unico, rispettivamente, per il permesso di costruire e per la Dia/Scia.
Nel primo caso le opere vanno iniziate entro un anno dall'effettivo rilascio del titolo - che
secondo la giurisprudenza coincide con la sua materiale consegna all'interessato e non con la
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semplice emanazione dell'atto (Tar Sicilia-Palermo, 181/2011; Tar Liguria, 322/2011; Tar
Sicilia-Catania 678/2009) - e devono essere completate entro il successivo triennio. Il termine
finale di tre anni è previsto anche per gli interventi eseguibili con denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività.
Per gli interventi con permesso di costruire i termini, iniziale e finale, devono essere
espressamente indicati nell'atto, costituiscono condizione di efficacia e validità della
concessione ed operano automaticamente, indipendentemente da un'apposita dichiarazione
amministrativa (Tar Sicilia-Palermo, 1481/2013).
Da ciò consegue che, salva una loro eventuale proroga, dopo la scadenza dei termini le opere
eventualmente eseguite saranno considerate prive di titolo abilitativo anche in assenza di un
espresso provvedimento di decadenza, con conseguente configurabilità del reato previsto
dall'articolo 44, lett. b) del testo unico (Cassazione penale, sezione III, 17971/2010).
Per favorire il rilancio economico collegato all'edilizia, l'articolo 30, comma 3 del cosiddetto
"decreto del fare" (Dl 69/2012, modificato dalla legge di conversione 98/2013 e poi dal
successivo decreto 91/2013, convertito in legge 112/2013) ha disposto una proroga biennale
dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del testo unico, così come
indicati nei titoli rilasciati o comunque formatisi prima dell'entrata in vigore del decreto.
La previsione, in forza del successivo comma 4, trova applicazione anche alle denunce di inizio
attività ed alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine.
In entrambi i casi la proroga non opera automaticamente, sia perché l'interessato deve
comunicare all'amministrazione la volontà di avvalersene, sia perché, al momento della
comunicazione, deve sussistere una duplice condizione:
- i titoli abilitativi non devono essere in contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o
adottati;
- i termini devono essere già trascorsi, non essendo certo possibile prorogare un termine già
scaduto.
A questo fine la «comunicazione dell'interessato», poiché atto recettizio ex articolo 1334 del
Codice civile, spiegherà effetti solo con la ricezione da parte dell'ente destinatario.
La norma proroga di tre anni anche il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di
efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto; e ciò al fine di
consentire che il maggiore arco temporale concesso per l'esecuzione degli interventi renda gli
stessi compatibili anche con la disciplina in tema di tutela del paesaggio, oltreché con quella
urbanistico-edilizia.
Il comma 3-bis del "decreto del fare" dispone una proroga triennale anche del termine di
validità delle convenzioni di lottizzazione disciplinate dall'articolo28 della legge urbanistica n.
1150/1942, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale,
nonché dei termini di inizio e fine lavori delle opere eseguite in attuazione dei medesimi
accordi, purché stipulati entro il 31 dicembre 2012.
Proroga su richiesta per opere complesse
Tra eccezioni e proroghe, la decadenza dei titoli abilitativi può, in realtà, anche essere fermata.
L'articolo 15, comma 2 del testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001) ammette, ad esempio, la
possibilità che i termini di inizio e fine lavori per interventi realizzati da privati possano essere
prorogati con provvedimento motivato dell'amministrazione; ma ciò esclusivamente in
considerazione della mole dell'opera da realizzare o di sue particolari caratteristiche
costruttive. In assenza di proroga - perché non richiesta oppure non concessa - il titolo
abilitativo decade automaticamente per effetto di previsione legislativa, perdendo efficacia per
la parte di opere non eseguite.
Casi particolari
La previsione di carattere generale è però suscettibile di eccezioni, come statuito in due recenti
pronunce, riferite una al termine iniziale e l'altra a quello finale, laddove il ritardo nell'avvio o
nella conclusione degli interventi assentiti, sia dipeso da fattori preesistenti o sopravvenuti e
non conosciuti dal titolare del permesso di costruire e quindi estranei alla sua volontà.
Il Tar Lazio-Roma (sentenza n. 7256/2013), confermando precedenti orientamenti
giurisprudenziali (Consiglio di Stato, sezione III, n. 1870/2013, Sez. V, n. 4498/2008), ha
sancito che la semplice scadenza del termine apposto per l'avvio dei lavori non determina
automaticamente la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il
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presupposto per l'accertamento della eventuale decadenza. Quindi è stato ritenuto illegittimo il
provvedimento di decadenza del titolo abilitativo per mancato inizio dei lavori nel termine
annuale poiché, dopo appositi accertamenti, era risultato che il ritardo era stato determinato
da una causa di forza maggiore preesistente al rilascio dell'atto di assenso edificatorio,
sconosciuta al titolare del permesso di costruire. Nella fattispecie si era verificato che, durante
l'esecuzione delle opere di sbancamento, era stata riscontrata dagli operai del cantiere la
presenza di condutture interrate per il passaggio del metano e di una conduttura elettrica, che
andavano necessariamente spostate prima di eseguire l'intervento edilizio.
Con riferimento al termine finale, il Tar Calabria-Catanzaro (sentenza n. 1008/2013) ha
affermato che l'amministrazione non può adottare un provvedimento di decadenza del
permesso di costruire ogni qualvolta essa sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al
titolare di eseguire i lavori. In questa eventualità dovrà trovare applicazione, anche senza
richiesta dell'interessato, la proroga del termine per fatti estranei alla volontà del
concessionario, sopravvenuti a rallentare i lavori.
Nel caso di specie, il ritardo era dovuto all'adozione del provvedimento con cui lo stesso
Comune aveva negato l'autorizzazione alla vendita di prodotti non alimentari relativa al chiosco
per cui era stato chiesto il permesso di costruire; diniego poi annullato in sede giurisdizionale.
È stata quindi ritenuta illegittima anche la dichiarazione di decadenza del titolo abilitativo, in
quanto la proroga del termine per la ultimazione dei lavori era stata richiesta per un evento
sopravvenuto, estraneo alla volontà del concessionario, e ben conosciuto dalla
amministrazione.
Pur essendo atto a contenuto vincolato, la dichiarazione di decadenza dovrà comunque essere
preceduta dall'avviso di avvio del relativo procedimento, la cui mancanza determina
l'illegittimità del provvedimento finale, come recentemente affermato dal Tar Toscana con la
sentenza n. 1714 del 12 dicembre 2013, pur segnalandosi pronunce di segno opposto (Tar
Campania-Salerno, sentenza n. 1690/2013).
(Donato Antonucci, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 20 gennaio 2014)
 Silenzio-assenso, Cil, Scia: più complicata la trascrizione nelle compravendite di
immobili
Il Consiglio nazionale del notariato ha predisposto una guida operativa sulla disciplina
nazionale edilizia che tiene conto delle normative emanate negli ultimi 18 mesi, aggiornando
uno studio del 2011.
La scenario dei titoli abilitativi può essere così riassunto relativamente all'attività edilizia:
totalmente libera; libera previa comunicazione inizio lavori (CIL); soggetta a segnalazione
certificata inizio attività (SCIA); soggetta a permesso di costruire e super-DIA.
È appena il caso di ricordare che prima di questo sforzo di "semplificazione", il Testo Unico
Edilizia (TUE) D.P.R. N.380/2001 aveva ridotto a due i titoli abilitativi: permesso di costruire e
DIA.
La guida analizza nel dettaglio l'intero procedimento urbanistico-edilizio e le differenze tra i
diversi titoli abilitativi , offrendo anche utili tabelle di sintesi. Conviene, però, soffermarsi su
alcuni aspetti specifici , anche controversi, e in particolare sugli adempimenti che devono
essere svolti dai notai nella predisposizione degli atti relativi alla commercializzazione degli
immobili.
LO SPORTELLO UNICO EDILIZIA
Al centro del nuovo processo istruttorio e decisionale vi è lo sportello unico edilizia (SUE) ,
codificato dal D.L. n.83/2012 come unico interlocutore tra la pubblica amministrazione e
cittadini, che costituisce, perciò, l'unico punto di accesso per tutte le vicende amministrative
riguardanti il titolo abilitativo, dalla richiesta al rilascio; ne discende che l'interessato non potrà
più rivolgersi direttamente, ad esempio, alla sovrintendenza per ottenere il parere ,ne' la
stessa potrà contattare direttamente il privato (limitando così la partecipazione al
procedimento, che in alcuni casi può risolvere alcune problematiche progettuali attraverso
un'interlocuzione diretta). Nel caso invece di CIL , l'interessato può richiedere al SUE di
provvedere all'acquisizione degli atti di assenso o richiederli direttamente.
CITARE LA CIL NEGLI ATTI DI VENDITA
All'atto della stipula di un atto avente ad oggetto un immobile sul quale siano stati eseguiti
interventi soggetti a CIL, il notaio dovrà valutare se le opere hanno inciso sul classamento
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dell'immobile e se sia necessaria una denuncia di variazione catastale in modo da assicurare la
conformità tra i dati catastali e planimetrici depositati in catasto e lo stato di fatto, a pena di
nullità dell'atto di trasferimento. Si specifica che non vi è l'obbligo di citare gli estremi della CIL
negli atti traslativi, ma ciò è opportuno per avere un quadro completo della storia urbanisticoedilizia dell'immobile ed al fine di garantire l'acquisto di un immobile conforme alla disciplina
urbanistico-edilizia e quindi la qualità del bene oggetto di vendita.
TRASFERIRE IL PERMESSO
Si ricorda, poi,che il permesso di costruire è trasferibile insieme all'immobile ai successori e
aventi causa e non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli
immobili realizzati per effetto del suo rilascio. Pertanto il permesso può essere trasferito
insieme all'area, ma necessita di un atto di voltura che non da luogo ad un nuovo permesso,
ma solo ad un cambio di intestazione.
IL CASO CDEL SILENZIO-ASSENSO
Viene ribadito che il rilascio del permesso di costruire deve avvenire tramite un atto scritto, ma
si forniscono anche indicazioni nel caso si sia formato il silenzio assenso, per cui non esiste un
provvedimento formale da citare nell'atto. Il notaio dovrà indicare i presupposti e gli elementi
costitutivi del silenzio assenso che si è formato, quali: presentazione SUE; pagamento
contributo di costruzione; avvenuto decorso dei termini senza provvedimenti espressi di
diniego; mancata richiesta di integrazione documentale; assenza di vincoli. Questi elementi
possono essere fatti risultare dall'atto nella forma della dichiarazione di parte, non essendo
prevista una specifica attestazione da parte del notaio rogante il quale non è tenuto ad
effettuare controlli sulla regolarità urbanistico-edilizia del procedimento conclusosi con il
silenzio assenso, ma solo ad una verifica puramente formale circa l'esistenza dei presupposti
del silenzio assenso ed a ricevere, per riprodurla in atto, la dichiarazione di parte.
IL CASO DELLA SUPER-DIA
Un'attenzione particolare è dedicata alla c.d. super-DIA per la quale si ribadisce l'obbligo di
menzione nell'atto essendo sostitutiva del permesso di costruire, ma si evidenzia il contrasto
interpretativo circa gli estremi da dichiarare, ossia se sia sufficiente la menzione della
denuncia, ovvero se sia necessaria l'indicazione di tutti gli elementi del procedimento. Lo
studio ritiene che sia sufficiente per la validità dell'atto indicare i soli estremi della denuncia
presentata al SUE ( data di presentazione e numero di protocollo attribuito ovvero estremi
della raccomandata e della data di ricezione o della ricevuta informatica in caso di utilizzazione
della procedura informatica). Sarà invece opportuno, ma non necessario, indicare gli estremi
del piano attuativo se previsto e la dichiarazione che ricorrono le condizioni di legge per
avvalersi della super-DIA.
COSA FARE CON LA SCIA
Per gli interventi non più soggetti a DIA semplice, ma a SCIA non è prescritta alcuna menzione
a pena di nullità, anche se la stessa è opportuna, anche in questo caso, per ricostruire la storia
urbanistico-edilizia del fabbricato.
Si sottolinea, altresì, che la violazione della disciplina in materia di SCIA comporta
l'applicazione delle sanzioni amministrative, ma non coinvolge mai la validità dell'atto. In
proposito viene evidenziata l'introduzione di una sanatoria per legge da parte del D.L.
n.70/2011 degli abusi rientranti nel 2% delle misure progettuali.
IL CERTIFICATO DI AGIBILITA'
Si prende anche posizione sul fatto che il rilascio del certificato di agibilità attesta l'idoneità
dell'edificio ad essere utilizzato, ma ciò non toglie che la conformità della costruzione al
progetto edilizio ed agli strumenti urbanistici sia condizione per il rilascio dell'agibilità, in
quanto il comune anche in presenza di agibilità può ordinare il ripristino per violazioni
urbanistico-edilizie. Degna di nota è anche l'affermazione che, per la commerciabilità degli
edifici, negli atti comportanti il trasferimento degli stessi non è necessario che il certificato di
agibilità sia stato rilasciato e non è di conseguenza neppure necessaria la menzione in atto
degli estremi dell'agibilità. La mancanza dell'agibilità , se da un lato non impedisce il
trasferimento dell'edificio, dall'altro incide, però, sui rapporti tra le parti stante le conseguenze
che ne possono derivare anche sul piano della risolubilità del contratto.
(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, 27 gennaio 2014)
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 Pubblica amministrazione
 L'ufficio paga sempre il ritardo - Non conta se il comportamento è dovuto a forza
maggiore o a fattori scusabili
I titolari d'impresa e soprattutto i loro consulenti che sono in attesa della chiusura di un
procedimento amministrativo di cui sono già scaduti i termini possono finalmente presentare
istanza per chiedere un indennizzo economico. Attenzione, però: entro 20 giorni dalla scadenza
del termine dovranno rivolgersi al dirigente dell'amministrazione titolare di potere sostitutivo
per concordare un nuovo termine (pari alla metà del vecchio) per la chiusura della pratica. Se
anche questo termine non viene centrato scatta il pagamento: 30 euro per ogni giorno di
ritardo fino a un massimo di 2mila euro da versare in via forfettaria e automatica.
Sia pure a qualche mese di distanza dal decreto del "fare" (n. 69 del giugno 2013), la firma del
ministro Gianpiero D'Alia alla direttiva con le linee guida per l'indennizzo da ritardo dà il via alla
piena applicazione una delle misure forse più simboliche dell'ultimo pacchetto di
semplificazioni.
La misura, teoricamente già efficace dal 21 agosto scorso, rimarrà in vigore per un periodo di
18 mesi e in fase di prima applicazione varrà solo per i procedimenti amministrativi iniziati su
istanza di parte relativi all'avvio e all'esercizio dell'attività d'impresa. Non si potrà fare richiesta
di indennizzo in caso di scadenza termini per una Dia (denuncia di inizio attività) o una Scia
(segnalazione certificata inizio attività). Questo primo periodo di sperimentazione verrà
monitorato dalla Funzione pubblica con la collaborazione di Regioni, Anci e associazioni di
categoria, dopodiché un successivo regolamento dovrebbe estenderne l'applicazione anche ai
cittadini. La direttiva del ministro, che «Il Sole 24 Ore» è in grado di anticipare, arriva al
termine di una campagna informativa sull'indennizzo da ritardo condotta su radio e tv e dopo
che, nei mesi scorsi, tramite la rete delle Camere di Commercio, sono stati diffusi quattro
milioni di opuscoli informativi alle imprese sulle modalità di attuazione di questa e altre
semplificazioni.
Con l'indennizzo si cerca di fare un passo in più nella direzione della deterrenza nei confronti di
una Pa cronicamente incapace di rispettare i tempi per l'adozione delle procedure
amministrative previste, visto che l'introduzione della figura del dirigente titolare del potere
sostitutivo, che risale a due anni fa, da sola non ha determinato una vera riduzione dei tempi
di produzione di atti. Nelle linee guida si chiarisce che l'indennizzo dovrà essere riconosciuto
anche in casi di ritardi dovuti a «comportamenti scusabili» o dovuti a «casi fortuiti» o di «forza
maggiore» per le amministrazioni. In caso di procedimenti complessi a pagare sarà la sola
amministrazione responsabile del mancato rispetto dei termini, e non tutte le altre coinvolte.
Altro contenuto importante: il pagamento dell'indennizzo non farà venir meno l'obbligo delle
amministrazioni di concludere il provvedimento contestato.
Un capitolo a sé è riservato agli obblighi che le amministrazioni dovranno osservare per
garantire il massimo di trasparenza e conoscibilità dei termini e delle modalità con cui
esercitare il diritto all'indennizzo e dell'avvio del procedimento richiesto: informazioni che
dovranno essere garantire sui siti web delle amministrazioni, come previsto dai regolamenti
della primavera scorsa sulla Pa trasparente. L'obbligo di indennizzo per ritardo si applica a
tutte le amministrazioni e le società controllate che producono certificazioni o autorizzazioni e,
nel caso non siano previsti termini di chiusura di un procedimento, per le Pa statali e gli enti
nazionale varrà il termine perentorio di 30 giorni. Per procedure particolari potranno essere
fissati termini di chiusura anche superiori ai 90 giorni ma mai oltre il limite massimo di 180
giorni.
Infine i rimedi giudiziari nei casi in cui i responsabili delle amministrazioni non rispettino
l'obbligo di fissazione di nuovi termini da rispettare o non procedano al pagamento
dell'indennizzo: le imprese potranno fare ricorso al giudice amministrativo o chiedere
un'ingiunzione di pagamento. Ma se il ricorso venisse giudicato inammissibili o manifestamente
infondato allora a pagare saranno i privati. La somma da riconoscere sarà da due a quattro
volte il contributo unificato.
(Davide Colombo, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 11 gennaio 2014)
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 Pagamenti Pa, il 62% è in ritardo
Nel 62% dei contratti pubblici i tempi di pagamento sforano i termini di legge e vanno oltre i
60 giorni, mentre, in un appalto su due l'amministrazione pubblica "suggerisce" all'impresa di
rallentare l'emissione delle fatture, in modo da diluire anche i saldi.
A un anno di distanza dall'arrivo delle nuove regole che impongono pagamenti a 30 giorni (e,
solo in casi eccezionali, fino a un massimo di 60), sono ancora poche le amministrazioni che si
sono allineate e riescono a pagare nei tempi stringenti richiesti dalla direttiva europea e dal
decreto italiano di recepimento (Dlgs 192/2012), in vigore, appunto, per i contratti firmati dal
primo gennaio 2013.
I primi numeri arrivano dal monitoraggio dei costruttori dell'Ance sui lavori pubblici, ma basta
ascoltare anche le altre categorie di fornitori della Pa per capire che il problema è identico e in
alcuni casi anche più diffuso.
La maglia nera resta alla Sanità (225 giorni di ritardo, si veda l'articolo a fianco), mentre in
edilizia i tempi medi di attesa si attestano a 146 giorni (con una prima diminuzione proprio nel
2013). Ben oltre i due mesi consentiti.
In realtà, a leggere i bandi di gara di questo primo anno, le amministrazioni sembrano essersi
allineate alle nuove regole. Ma, spesso, l'adeguamento si ferma all'avviso pubblico, mentre nel
rapporto diretto con il fornitore si moltiplicano i tentativi di aggiramento dei tempi. Come ha
fotografato l'Ance, si va, appunto, dalla richiesta di dilazione inserita apertamente nel
contratto, al consiglio di scaglionare le fatture (48%) fino al più temibile esito negativo: la
rinuncia alla commessa, una volta che l'amministrazione ha capito di non riuscire a stare nei
tempi (9% dei casi).
Spesso l'impresa non ha mezzi per difendersi: «Il pagamento degli interessi, per esempio, non
è mai automatico - spiega il presidente Ance, Paolo Buzzetti - e bisogna sobbarcarsi gli oneri di
una richiesta a parte».
Anche nei servizi si registrano prassi elusive. Mentre prima la fatturazione dei servizi aveva
spesso cadenza mensile, molte amministrazioni ora - denuncia la Federazione delle imprese di
servizi (Fise) – tendono a introdurre nei capitolati di appalto clausole che vincolano
l'appaltatore ad emettere le fatture con sistematico differimento rispetto al periodo di
esecuzione delle prestazioni: si parla di tre o quattro mesi. «Con l'effetto paradossale - spiega
il segretario Lorenzo Gradi - di rallentare potenzialmente i tempi anche a chi prima era virtuoso
e pagava davvero a 30 o 60 giorni».
Già perché qualche ente in grado di rispettare i patti esiste. Per l'Aniasa, ad esempio
(l'associazione degli autonoleggiatori) «il 50-60% delle amministrazioni è corretto». Ma i ritardi
(solo il Comune di Napoli deve alla categoria 2 milioni e ne ha sbloccati 1,5) hanno spinto
l'associazione a dialogare con Consip e ottenere la possibilità di interrompere il servizio ai
morosi (si veda il Sole 24 Ore del 16 dicembre 2013).
Per le aziende di recapito privato, il mercato è diviso in due. Precisa Luca Palermo, alla guida
della Are (associazione recapito espressi): «Al Nord dall'anno scorso i pagamenti a 30, 60
giorni sono diventati la prassi mentre al Sud purtroppo i ritardi sono ancora la regola». Solo
dalle società partecipate dalla Regione Sicilia i concorrenti di Poste attendono da 18 mesi
«diverse decine di milioni».
A novembre erano stati sanati 16,9 miliardi di debiti arretrati. «In effetti i pagamenti ci sono
stati e anche in tempi brevi» riconosce Buzzetti. «Ma ora ci siamo di nuovo fermati e se non si
interviene a breve rischiamo di trovarci di nuovo con un anno di ritardo».
A distanza di quattro mesi dalla scadenza (5 settembre) non si è ancora concluso il censimento
degli arretrati. Le amministrazioni stanno ancora caricando i debiti pregressi sulla piattaforma
di certificazione dei crediti. Questo ritardo rischia di vanificare anche la nuova possibilità di
compensare i crediti fiscali con i debiti Pa (si veda il Sole 24 Ore del 7 gennaio): senza
registrazione, infatti, il credito è come se non esistesse.
(Valerio Uva, Il Sole 24 ORE, 13 gennaio 2014)
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 Societario e fallimentare
 Fisco e previdenza frenano le «Stp»
Sono 54 le società tra professionisti iscritte nella sezione speciale del Registro delle imprese;
11 hanno sede in Lombardia. Il tipo societario preferito è la Srl, tra l'altro ne sono state
costituite due in forma unipersonale.
A distanza di nove mesi dall'entrata in vigore del decreto 34/2013 che ha definito le regole per
la costituzione delle società tra professionisti (legge 183/2011), i risultati sono piuttosto
deludenti, anche se – ha sottolineato Arrigo Roveda, presidente del Consigio notarile di Milano
– da fine novembre il numero delle società è raddoppiato. Il bilancio – presentato ieri a Milano
al convegno organizzato dall'Ordine dei dottori commercialisti, insieme con il notariato –
risente delle incertezze normative e della modalità seguite dal legislatore.
« I punti oscuri – ha detto Alessandro Solidoro, presidente dell'Ordine dei dottori
commercialisti – sono troppi, basti pensare che non è chiara la natura del reddito prodotto
dalla società e non si ha certezza sulla previdenza. Le Stp sono state volute inseguendo le
liberalizzazioni, ma non rispondono alle reali esigenze dei professionisti. Tutto ciò nonostante il
mercato richieda aggregazione di funzioni e suddivisione di costi per essere competitivi visto
che aziende e clienti necessitano di risposte sempre più complesse». Le società tra
professionisti, con l'apertura al socio di capitale, non hanno neppure attirato gli investitori. « I
soggetti forti – ha notato Roveda – non sono corsi a investire, forse anche a causa della
situazione economica; del resto hanno ottenuto vantaggi consistenti, per i prezzi dei servizi,
dall'abolizione delle tariffe». Secondo Solidoro e Roveda, la redditività del settore non è così
elevata – almeno ora – da remunerare il capitale di rischio.
Il convegno di ieri ha cercato di mettere qualche punto fermo dal punto di vista della disciplina.
Relatori: Mauro Nicoli e Massimo Bortolin (Ordine dottori commercialisti), Manuela Agostini e
Maria Nives Iannaccone (Consiglio notarile di Milano).
Il bilancio a nove mesi
54 Le società professionali
Sono 54 le società iscritte nella sezione speciale del Registro imprese al 12 gennaio 2014
27 Le Srl
La società a responsabilità limitata è la preferita. In aggiunta due Srl sono unipersonali (la
possibilità è stata riconosciuta dalle massime dei notai del Triveneto)
11 Le Stp in Lombardia
La Lombardia è la regione dove si concentra il maggior numero di società tra professionisti.
Segue, con nove compagini, l'Emilia-Romagna. A Milano ne sono state costituite due.
L'"istruttoria" dei fascicoli ha messo in evidenza come le società tra professionisti possono
essere uno strumento di dislocazione dell'attività professionale in piazze più redditizie
(Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 18 gennaio 2014)

Società semplificate. Il ministero dello Sviluppo conferma la rigidità del modello
standard
Il modello standard di atto costitutivo della società a responsabilità limitata semplificata (Srls)
«non può essere oggetto di modifiche». E, se prima era in dubbio l'integrabilità del modello con
eventuali «clausole aggiuntive non incompatibili» (non la sua inderogabilità), il Dl 76/2013 è
solo intervenuto per «dirimere una questione interpretativa» (quella sull'integrabilità del
modello) «che aveva visto sin dall'inizio i commentatori generalmente divisi». Lo scrive il
ministero dello Sviluppo economico, divisione del Registro imprese, nella nota Prot. n. 6404 del
15 gennaio. La stessa conclusione del ministero della Giustizia, scritta nella nota n. 118972.U
dell'11 settembre 2013, integrata da comunicazione del 13 settembre (si veda Il Sole 24 Ore
del 19 settembre).
La Srls è il nuovo tipo societario, disciplinato dall'articolo 2643-bis del Codice civile, la cui
costituzione è praticamente priva di costi, il cui capitale sociale può essere compreso tra 1 e
9.999,99 euro e il cui atto costitutivo va redatto secondo un modello standard fissato da un
decreto del ministro della Giustizia. Il Dl 76/2013 ha poi modificato l'articolo 2643-bis:
soci della Srls possono essere solo persone fisiche, ma di qualsiasi età (prima potevano essere
PONTInews24
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solo under 35);
amministratori della Srls possono essere anche soggetti non soci (prima solo i soci potevano
esserlo);
le clausole dell'atto costitutivo standard sono inderogabili.
Questa normativa aveva sollevato due principali problemi:
- se il modello standard emanato col Dm 138/2012 (nel vigore della previgente versione
dell'articolo 2643-bis) fosse da considerarsi obsoleto e quindi non utilizzabile fino
all'emanazione di un Dm correttivo;
- se le clausole del modello standard, essendo inderogabili, fossero integrabili non
modificazioni non incompatibili.
Su entrambi i punti il ministero della Giustizia ha risposta negativamente. Sul secondo punto,
si è ora aggiunto il "no" del ministero dello Sviluppo.
Così, è oggi definitivamente accertato che non è possibile introdurre nell'atto costitutivo di Srls
clausole destinate a regolamentare stabilmente la vita della società, frutto di un'opzione
manifestata dai soci costituenti.
Principalmente, non è possibile integrare lo standard di cui al Dm 138/2012 con clausole
attinenti, ad esempio: "particolari diritti" dei soci, "circolazione" delle quote di partecipazione al
capitale sociale, casi di recesso ulteriori rispetto a quelli previsti per legge, casi di esclusione
dalla società, forme di amministrazione diverse dal consiglio di amministrazione, forme di
decisione degli amministratori diverse dalla riunione collegiale, termine per l'approvazione del
bilancio che sia maggiore di quello stabilito dalla legge, forme di decisione dei soci diverse dalla
riunione assembleare, modalità di convocazione dell'assemblea e quorum assembleari diversi
da quello prescritti dalla legge, attribuzione ai soci del potere di decisione su questioni
gestionali della società eccetera.
Uno spiraglio di flessibilità del modello standard, nonostante la sua affermata inderogabilità,
pare poter rimanere per quelle clausole che non attengono (come nelle ipotesi sopra elencate)
a situazioni "stabili" della vita societaria (e che pertanto tipicamente sono clausole di natura
statutaria), ma che regolamentano situazioni meramente temporanee, quali:
la data di chiusura del primo esercizio sociale (ad esempio, ragguagliandola all'anno solare);
la durata in carica del primo organo amministrativo (per evitarne la permanenza in carica a
tempo indeterminato).
(Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 25 gennaio 2014)
 La prova dell'attività salva dal «comodo»
La disciplina delle società non operative è da inquadrare tra le presunzioni di evasione e,
quindi, la società può dimostrare che non cela alcun «abuso della persona giuridica».
Sono ormai numerose le sentenze delle commissioni tributarie (tra le altre Ctp Verona n.
171/3/2013; Ctp Udine n. 41/02/2012; Ctr Lombardia n. 170/28/2011) che confermano la non
applicazione della disciplina delle società di comodo quando la società è in grado di dimostrare
che svolge un'attività economica.
Le società di comodo sono state istituite per colpire l'«abuso della persona giuridica» che si
verifica quando i beni intestati a una società non risultano «funzionali» allo svolgimento di una
attività economica propria del contratto societario (articolo 2247 del Codice civile), ma rispetto
al godimento da parte dei soci (articolo 2248 del Codice civile).
Sotto il profilo fiscale, la disciplina delle società non operative (i termini società di comodo o
non operative risultano sovrapponibili) vorrebbe quindi disincentivare l'uso dello strumento
societario a cui vengono intestati dei beni senza farne seguire un'attività economica (in questo
senso anche le circolari 5/E/2007 e 7/E/2013).
Si tratta di una presunzione di evasione, basata sul presupposto che determinati beni del
patrimonio societario dovrebbero tendenzialmente produrre dei risultati (dei ricavi), così che
l'omessa dichiarazione di un determinato ammontare di ricavi fa sorgere il sospetto di un
occultamento, di una simulazione dello schermo societario.
In quest'ottica deve essere letto anche l'intervento operato con il Dl 138/2011, cioè le società
che dichiarano perdite sono ritenute «non operative», considerando che la norma risulta
collocata appena prima delle disposizioni legate all'utilizzo dei beni societari da parte dei soci.
In sostanza, l'intervento può trovare giustificazione poiché si presume che le perdite vengono
conseguite per il fatto che la società sostiene dei componenti negativi che, in realtà, sono da
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riferire ai soci. In sostanza, come ha confermato la circolare 7/E/2013 (paragrafo 6), oggi
nell'ordinamento tributario vi sono due presupposti (il mancato superamento del test e il
conseguimento di perdite) che determinano – singolarmente – la presunzione che la società
non è operativa, ossia abusa dello schermo societario.
(Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 gennaio 2014)
 Società e reati fiscali, confisca limitata
Un freno al sequestro dei beni delle società per reati tributari commessi dai manager. Lo
mette, con una pronuncia destinata a costituire punto di riferimento sulla materia, la Corte di
cassazione, con la pronuncia depositata ieri. Le Sezioni unite penali, con la nota provvisoria n.
1 (le motivazioni saranno disponibili solo tra qualche tempo), chiariscono che la linea di
confine, per quanto riguarda la possibilità di sequestro finalizzato alla confisca dei beni
dell'impresa per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante, corre sulla
riconducibilità al profitto del reato. Solo se i beni hanno un collegamento diretto con il reato
diventa possibile l'applicazione della misura cautelare. In caso contrario, il sequestro di ulteriori
beni, anche nella forma per equivalente, non è possibile.
Nel contrasto di giurisprudenza che si era venuto a creare all'interno della stessa Corte di
cassazione ha così prevalso la linea più favorevole all'impresa. Determinante, in questa lettura,
almeno a quanto sottolineato dall'ordinanza di rinvio alle Sezioni unite, è l'assenza nel decreto
231, che sanziona anche gli enti per i reati commessi da dipendenti, degli illeciti tributari. A
meno che la struttura aziendale rappresenti uno schermo vero e proprio per la realizzazione
dell'attività illegale. Cosa naturalmente sempre più difficile da provare man mano che crescono
le dimensioni dell'ente stesso. Altra possibile eccezione, di cui si trovava traccia nei precedenti
sempre della Cassazione, stava invece nel carattere transnazionale del reato stesso: in questo
caso infatti il profilo internazionale della violazione avrebbe reso possibile l'applicazione della
misura cautelare.
E una recentissima sentenza dell'anno passato (la n. 1256 del 2013) ha ricordato come la
decisione del legislatore di non comprendere i reati tributari nell'elenco di quelli previsti dal
decreto 231 del 2001 non costituisce una scelta meditata. In primo piano infatti emerge,
secondo i giudici, l'irragionevolezza dell'attuale legislazione penale sul punto. È infatti possibile
effettuare la confisca anche nella forma per equivalente nel caso di reato tributario compiuto
nell'ambito di associazioni criminali transnazionali, mentre questo non è possibile, in assenza
della caratteristica dell'internazionalità, anche a fronte di un maggiore ammontare di imposte
evase Evidente, a giudizio della Corte, l'inefficacia dell'attuale sistema punitivo e la disparità di
trattamento cui dà luogo l'attuale disciplina.
Di segno diverso erano state altre pronunce. Queste mettevano in evidenza come in linea
generale la legge permette la confisca diretta dei beni che costituiscono prezzo del reato
«indipendentemente dalla qualifica di concorrente nel reato stesso del soggetto nella cui
disponibilità è pervenuto il profitto e, nel caso si tratti di una società, prescindendo dalla
previsione o meno di responsabilità amministrativa per il reato medesimo». Per quanto
riguarda in particolare i reati tributari, malgrado questi siano addebitabili al manager indagato,
ha sostenuto la stessa Cassazione, le conseguenze patrimoniali devono ricadere sulla società a
favore della quale ha agito, a meno che si dimostri che c'è stata una rottura del rapporto
organico che collega il manager all'ente.
Il conflitto interpretativo
IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE RISOLTO DALLE SEZIONI UNITE
L'INTERPRETAZIONE
E' applicabile il sequestro preventivo funzionale alla confisca sui beni della persona giuridica
con riferimento ai reati tributari commessi dal manager anche nel caso in cui la società non sia
una cosidetta "società schermo", ove confluiscono cioè i profitti degli illeciti fiscali
LE MOTIVAZIONI
La società non deve considerarsi terzo estraneo al reato perché partecipa alla utilizzazione
degli incrementi economici che ne sono derivati. Per poter aggredire i suoi beni, quindi, non è
richiesto che l'ente sia responsabile ai sensi del dlgs 231/2001
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LE PRONUNCE
Cassazione penale sentenze:
28731/11;
17485/12;
38740/12
L'INTERPRETAZIONE
Il sequestro preventivo non può applicarsi ai beni della persona giuridica nel caso in cui si
proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante a vantaggio della
stessa in quanto non sussiste nell'ordinamento e, nella specie, nel dlgs 231/2001 alcuna
disposizione in tal senso. Gli articoli 24 e successivi del dlgs n. 231/01 non prevedono i reati
tributari tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione del provvedimento
LE MOTIVAZIONI
La misura cautelare non è ammessa anche se l'ente ha avuto dal reato un vantaggio notevole.
La possibilità di aggredire con la misura cautelare il patrimonio dell'ente si concretizzerebbe
solo ove la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo per
commettere gli illeciti. In tal caso, infatti, il reato non sarebbe stato commesso a vantaggio
dell'ente, ma del reo stesso, il quale si avvale dello schermo societario per trarre un interesse
personale
LE PRONUNCE
Cassazione penale sentenze: 25774/12; 15349/13; 22980/13;42350/13
IL RINVIO ALLE SEZIONI UNITE
L'INTERPRETAZIONE
La Suprema Corte, preso atto delle differenti interpretazioni in seno alla sezione penale, ha
ritenuto sussistente il contrasto giurisprudenziale
LE MOTIVAZIONI
Il contrasto non può ritenersi superato e, comunque, anche in caso di superamento, la
questione potrebbe dar luogo ad un nuovo conflitto. Pertanto, si rende necessario un
intervento delle sezioni unite
LE PRONUNCE
Corte di Cassazione, sezione III penale, ordinanza n. 46726, depositata il 22 novembre 2013
(Giovanni Negri, Laura Ambrosi, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 31 gennaio 2014)
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Legge e prassi
(G.U. 31 gennaio 2014, n. 25)

 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 5 dicembre 2013, n. 159
Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di
applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).
(G.U. 24 gennaio 2013, n. 19)
 Contenuto
La pubblicazione in Gazzetta mette in pista il nuovo Isee
Con il Dpcm 5 dicembre 2013, ma pubblicato soltanto sulla "Gazzetta Ufficiale" del 24 gennaio
2014 n. 19, è stato adottato il nuovo regolamento con il quale sono state revisionate le
modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica
equivalente (Isee). Tale revisione si è resa necessaria per dare attuazione alle previsioni
contenute nell’articolo 5 del Dl 201/2011 convertito dalla legge 214/2011 e del Dl 95/2012
convertito dalla legge 135/2012. In particolare tale ultima disposizione da un lato (articolo 23,
comma 12-bis) dispone l’abrogazione del previgente regolamento Isee (Dpcm 221/1999) entro
30 giorni dall’approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva e dall’altro (articolo
23, comma 12-ter) prevede che le informazioni comunicate ai sensi dell’articolo 7, comma 6,
del Dpr 605/1973 (Anagrafe rapporti) e del comma 2 dell’articolo 11 del Dl 201/2011
(comunicazioni integrative all’Anagrafe dei rapporti utili ai fini della formazione delle liste
selettive dei soggetti da sottoporre ad accertamenti fiscali) siano utilizzate dai cittadini ai fini
della semplificazione degli adempimenti ai fini della compilazione della dichiarazione sostitutiva
unica e in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella stessa dichiarazione
sostitutiva unica.
L’articolo 2 del Dpcm chiarisce che l’Isee è lo strumento di valutazione, attraverso criteri
unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate,
anche ai fini di stabilire se e in che misura il cittadino deve partecipare alle prestazioni sociali
agevolate. In aggiunta all’Isee, gli enti erogatori possono prevedere ulteriori criteri di selezione
volti a identificare specifiche platee di beneficiari in relazione a tipologie di prestazioni che per
la loro natura lo rendano necessario e se non diversamente disciplinato in sede di definizione
dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni.
Le caratteristiche del nuovo strumento. La situazione economica viene misurata in
funzione di tre fattori: 1) il reddito di tutti i componenti del nucleo familiare; 2) il loro
patrimonio (valorizzato al 20%); 3) una scale di equivalenza che tiene conto della
composizione del nucleo familiare della sua composizione.
Come chiarito dallo stesso ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, iI nuovo Isee:
– considera tutte le forme di reddito, comprese quelle fiscalmente esenti;
– migliora la capacità selettiva dando un peso più adeguato alla componente patrimoniale;
– considera le caratteristiche dei nuclei con carichi gravosi, come le famiglie con 3 o più figli e
quelle con persone con disabilità;
– consente una differenziazione dell’indicatore in riferimento al tipo di prestazione richiesta;
– riduce l’area dell’autodichiarazione, consentendo di rafforzare i controlli per ridurre le
situazioni di accesso indebito alle prestazioni agevolate.
L’Isee deve essere obbligatoriamente utilizzato dagli enti erogatori (Comuni, università) in
sede di erogazione delle prestazioni. Tale strumento non va però esteso a prestazioni nazionali
che non lo utilizzavano in precedenza.
Sono previsti Isee differenziati con riguardo alle prestazioni agevolate di natura socio sanitaria,
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alle prestazioni agevolate rivolte a minorenni, in presenza di genitori non conviventi ed alle
prestazioni di diritto allo studio.
Il cittadino può richiedere l’applicazione di un “Isee corrente” calcolato con riferimento a un
periodo di tempo più ravvicinato al momento della richiesta della prestazione al ricorrere di
determinate condizioni (articolo 9 del regolamento), quali la risoluzione del rapporto di lavoro
dipendente.
Per le prestazioni sociali a livello locale, l’individuazione delle nuove soglie avverrà con
regolamento degli enti erogatori, mentre per quelle nazionali che già utilizzano l’Isee (assegno
di maternità per le madri non lavoratrici e assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli
minori) le nuove soglie vengono fissate già nel regolamento.
I controlli. Al fine di evitare abusi da parte dei cittadini è prevista una intensificazione dei
controlli. Sul patrimonio mobiliare (danaro) è previsto un controllo preventivo per scovare
l’esistenza dei conti non dichiarati e un controllo successivo mediante controlli sostanziali della
Guardia di finanza su cittadini inclusi in specifiche liste selettive.
A fronte della suddetta intensificazione dei controlli è previsto un snellimento della burocrazia.
Infatti, solo una parte dei dati dovrà essere autocertificata dal richiedente. I dati fiscali più
importanti e quelli relativi alle prestazioni erogate dall’Inps saranno integrati a cura
dell’amministrazione.
La dichiarazione sostitutiva unica. Per richiedere le prestazioni per le quali è previsto l’Isee
i cittadini devono presentare la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu). Tale dichiarazione ha
validità dal momento della presentazione al 15 gennaio dell’anno successivo, salvo la facoltà di
presentare una nuova dichiarazione per far rilevare i mutamenti delle condizioni familiari ed
economiche del proprio nucleo familiare. La Dsu ha carattere modulare e si compone di un
modello base relativo al nucleo familiare e a fogli relativi ai singoli componenti. Sono altresì
previsti dei moduli aggiuntivi (nei casi previsti), dei moduli sostitutivi per l’Isee corrente e dei
moduli integrativi nel caso in cui siano mutate le condizioni. La dichiarazione deve essere
presentata ai comuni ovvero ai Caf dipendenti o direttamente all’amministrazione pubblica in
qualità di ente erogatore al quale è richiesta la prima prestazione o alla sede dell’Inps
competente per territorio. All’Inps la richiesta potrà essere presentata anche telematicamente
appena saranno rese disponibili le modalità.
(Giovanni Rennella, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 30 gennaio 2014)
DECRETO-LEGGE 28 gennaio 2014, n. 4
Disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché
altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad
adempimenti tributari e contributivi.
(G.U. 29 gennaio 2013, n. 23)

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 2014 n. 23 il Dl 29 gennaio 2014 n. 4
contenente disposizioni in materia di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e
contributivi. Non è previsto l’anonimato e dunque ciò consente l’emersione di capitali detenuti
all’estero e l’eventuale rientro. Le disposizioni prevedono che le imposte vengano pagate per
intero con un meccanismo di diversificate riduzioni delle relative sanzioni. Per quanto riguarda
le norme penali, il provvedimento prevede che vengano meno i reati di infedele dichiarazione
mentre per altre ipotesi di reato è prevista una attenuazione del carico penale.
L’approvazione delle norme sulla “voluntary disclosure”, inoltre, non avrà effetti sul fronte delle
sanzioni e dei presidi previsti in materia di contrasto del riciclaggio e di finanziamento al
terrorismo.
Regolarizzazioni dei capitali detenuti all’estero: la norma sulla cosiddetta “voluntary
disclosure” riguarda la regolarizzazione di capitali non dichiarati detenuti all’estero e avviene
attraverso una richiesta spontanea del contribuente. Non è un condono.
Soggetti interessati: sono le persone fisiche e i soci di società di persone che non hanno
dichiarato redditi di capitale percepiti all’estero.
Presentazione della domanda: la richiesta di ammissione deve essere presentata entro il 30
settembre 2015.
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Procedura di collaborazione volontaria: Al momento della richiesta il contribuente è
tenuto ad esibire la documentazione completa su investimenti e attività finanziarie costituiti o
detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, su come si sono costituiti e
sui guadagni realizzati negli ultimi 10 anni in termini di interessi, dividendi, plusvalenze. Sono
regolarizzabili le posizioni fino al 31/12/2013. La collaborazione volontaria deve riguardare tutti
i periodi di imposta per i quali non siano scaduti i termini per l’accertamento alla data della
presentazione della richiesta. La disclosure non è ammessa se la richiesta viene presentata
dopo che il contribuente è già stato interessato da una verifica o una ispezione fiscale. È
previsto un contraddittorio individuale con l’Agenzia delle Entrate per individuare, caso per
caso, le imposte dovute per intero.
Sanzioni: è prevista una riduzione delle sanzioni amministrative. Per la semplice
regolarizzazione la sanzione è ridotta di un quarto. La sanzione si riduce fino alla metà se il
contribuente trasferisce i capitali in Italia o in un altro Paese dell’Unione europea o in Stati
aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di
informazioni, oppure se si rilascia all’intermediario estero l’autorizzazione a trasmettere le
informazioni al fisco italiano. Inoltre, chi partecipa alla regolarizzazione spontanea non sarà
perseguibile per omessa o infedele dichiarazione. Per i comportamenti fraudolenti (fatture o
dichiarazioni false o altri artifici) la pena è ridotta fino alla metà.
Versamento: è previsto in un’unica soluzione. La procedura di collaborazione volontaria si
chiude con l’avvenuto versamento.
Il decreto inoltre interviene su altre tre materie:
Detrazioni Irpef: vengono abrogati i commi 575 e 576 dell'articolo 1 della legge di stabilità
per il 2014 che prevedevano l’aumento del gettito IRPEF in virtù di un taglio delle detrazioni.
Le coperture per il mancato gettito verranno dall'incremento degli obiettivi minimi della
revisione della spesa già contemplati nella legge di stabilità.
Sgravi fiscali per le imprese: per consentire a tutte le imprese di beneficiare nel corso
dell'anno 2014 della riduzione dei contributi INAIL previsti nella legge di stabilità per il 2014,
per un valore complessivo di un miliardo di euro, viene differito dal 16 febbraio 2014 al16
maggio 2014 il termine per il pagamento e l'invio telematico delle denunce nonché dei premi
speciali. Il differimento si applica anche ai premi speciali, diversi dai premi speciali unitari
artigiani, di cui all'articolo 42 del DPR 1124/1965.
Zone terremotate colpite da alluvione Modena: nei Comuni nella provincia di Modena
colpiti dall’alluvione di 17 gennaio 2014 e già colpiti dal sisma del 2012, sono sospesi i termini
dei versamenti e adempimenti tributari nel periodo compreso tra il 17 gennaio e il 31 luglio
2014.
Concessioni governative dovuta la tassa di concessioni governative sui telefoni cellulari.
(Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014)
LEGGE 29 gennaio 2014, n. 5
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, recante
disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia.
(G.U. 29 gennaio 2013, n. 23, Suppl. Ordinario n. 9)
 Contenuto
Le principali misure contenute nel provvedimento sono l'abolizione della seconda rata Imu,
sostituita dalla mini-Imu, l'aumento di capitale della Banca d'Italia, l'incremento degli acconti
Ires e Irap e gli interventi per agevolare la dismissione degli immobili.
Imu: Viene abolita la seconda rata Imu del 2013, sulle abitazioni principali. I proprietari
dovranno pagare una mini-rata, pari al 40% degli incrementi di imposta stabiliti nell'anno dagli
enti locali, con scadenza al 24
gennaio. Per il 2013 vengono stanziate risorse pari a 2,2 mld per i comuni, per compensare il
minor gettito Imu. Con il provvedimento vengono erogati 1,8 mld mentre la quota restante
sarà autorizzata con un decreto del Mef. Non sono applicati sanzioni e interessi nel caso di
insufficiente versamento della seconda rata, dovuta per il 2013, qualora la differenza sia stata
versata entro il termine del 24 gennaio 2014.
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Bankitalia: Viene autorizzato l'aumento di capitale, mediante utilizzo delle riserve statuarie,
all'importo di 7,5 mld di euro. Le quote nominativa, fissate a 20.000 euro dal decreto legge
uscito da palazzo Chigi, nel passaggio a palazzo madama sono state aumentate a 25.000 euro.
Ciascun partecipante non può possedere una quota di capitale superiore al 3% (nel
provvedimento uscito da palazzo Chigi la quota era fissata al 5%). Le categorie di investitori
che possono acquistare le quote sono: banche e imprese di assicurazione che hanno sede
all'interno dell'Ue, fondazioni bancarie, enti ed istituti di previdenza e assicurazione con sede in
Italia e fondi pensione.
Immobili: Per rendere più appetibile la dismissione degli immobili pubblici concesso agli
acquirenti di sanare le irregolarità, successivamente al trasferimento dello stabile. Con un
emendamento approvato da palazzo Madama viene stabilito che siano i ministeri dei Beni
culturali e dell'Ambiente a individuare gli immobili che dovranno essere esclusi dalle
dismissioni.
Acconti ires e irap: L'acconto Ires e Irap vengono portati al 128,5% (dal 101%), nell'anno
d'imposta 2013, per gli enti creditizi, finanziari, assicurativi e per Bankitalia. Un decreto del
ministero dell'Economia ha incrementato gli acconti di un altro 1,5% portando il totale
dell'acconto al 130%. Nel 2014 tutti i soggetti Ires calcolano l'acconto Ires in misura pari al
101,5%. Ma i soggetti interessati dal maxi-acconto dello scorso anno, dovranno aggiungere
8,5 punti percentuali. Con un provvedimento dell'Agenzia delle dogane e dei Monopoli, da
adottare entro il 31 dicembre di quest'anno, sarà disposto un ulteriore aumento delle accise sui
carburanti, che scatterà nel 2015.
(Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014)
 Immobili
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 20 dicembre 2013
Dismissione di immobili di enti territoriali ai sensi dell'art. 11-quinquies del decreto-legge 30
settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248,
come modificato dall'art. 3 del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133
(G.U. 3 gennaio 2014, n. 2)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 23 dicembre 2013
Dismissione di immobili del Demanio ai sensi dell'articolo 11-quinquies del decreto-legge 30
settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e
successive modifiche ed integrazioni
(G.U. 3 gennaio 2014, n. 2)
AGENZIA DELLE ENTRATE
PROVVEDIMENTO DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE 3 GENNAIO 2014
Estensione delle modalità di versamento di cui all’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio
1997, n. 241, alle somme dovute in relazione alla registrazione dei contratti di locazione e
affitto di beni immobili
 Contenuto
Dal 1° febbraio F24 Elide per i contratti di locazione
Dal prossimo 1° febbraio potrà essere utilizzato il modello “F24 Versamenti con elementi
identificativi”, cosiddetto “F24 Elide”, per pagare le imposte dovute per la registrazione dei
contratti di locazione e di affitto di beni immobili. È quanto stabilisce il provvedimento del
direttore dell’Agenzia delle entrate 3 gennaio 2014.
Percorso di unificazione dei pagamenti iniziato nel 1997. L’articolo 17 del Dlgs 241/1997
stabilisce che i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti
all'Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni e degli enti previdenziali, con
eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti.
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Il comma 2 individua quali sono i crediti e i debiti per i quali può essere utilizzato il modello di
versamento unitario e la compensazione. L’articolo 83, comma 1, della legge 342/2000,
sostituendo la lettera h-ter) di tale comma 2, ha previsto che versamenti unitari e
compensazioni possono riguardare anche altre entrate individuate con decreto del ministro
delle Finanze, di concerto con il ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione
economica, e con i ministri competenti per settore. Così, con il decreto Mef 8 novembre 2011
sono state estese le modalità di versamento unitario, tra l’altro, all’imposta di registro e
all’imposta di bollo. Peraltro, tale decreto ha stabilito che le modalità e i termini di versamento
per tali nuove imposte sarebbero state determinate, anche progressivamente, con appositi
provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate.
Registro, bollo e tributi speciali nel nuovo modello. Al fine di razionalizzare le modalità
dei versamenti delle imposte e di garantire una maggiore efficienza del sistema, con il
provvedimento direttoriale in esame, quindi, è stato esteso l’utilizzo del modello F24 Elide al
versamento dell’imposta di registro, tributi speciali e compensi, imposta di bollo, nonché
relative sanzioni e interessi, connesse alla registrazione di contratti di locazione e affitto di beni
immobili. Il modello, approvato con provvedimento direttoriale 7 agosto 2009, è “scaricabile”
dal sito internet dell’Agenzia delle entrate e potrà essere reperito, a partire dal 1° aprile 2014,
anche presso gli sportelli bancari, postali e degli agenti della riscossione.
F24 Elide obbligatorio dal 1° gennaio 2015. Per quanto concerne il timing dell’operazione,
l’F24 Elide potrà essere già utilizzato dal prossimo 1° febbraio, ma sino alla fine di quest’anno
convivrà con il modello F23 attualmente utilizzato per tale tipologia di versamenti e che,
quindi, continuerà a essere accettato e utilizzabile sino al 31 dicembre 2014. A partire dal 1°
gennaio 2015, invece, tali versamenti potranno essere effettuati soltanto mediante modello
F24 Elide. In ogni caso, i pagamenti dovuti a seguito di atto emesso dall’ufficio dell’Agenzia
delle entrate dovranno sempre essere effettuati con il modello allegato all’atto o in esso
indicato.
Pagamento allo sportello solo per i non titolari di partita Iva. Il versamento mediante
modello F24 Elide, ai sensi dell’articolo 37, comma 49, del Dl 223/2006, dovrà essere
effettuato esclusivamente mediante modalità telematiche per i titolari di partita Iva: a tal fine,
potranno essere utilizzati i canali telematici dell’Agenzia delle entrate, Entratel ovvero
Fisconline, oppure i servizi online degli istituti di credito e delle Poste. I soggetti non titolari di
partita Iva, invece, potranno presentare il modello in versione cartacea a uno sportello
bancario o postale o dell’agente della riscossione, per il pagamento in contanti, con addebito in
conto corrente, con bancomat, postamat eccetera.
Codici tributo ancora da definire. La caratteristica del modello F24 Elide è che, oltre a
presentare gli abituali campi recanti il codice ufficio e il codice atto, reca anche una serie di
spazi riservati all’indicazione della tipologia di versamento per la quale è richiesta la
specificazione di particolari elementi identificativi, nonché, appunto, i campi in cui inserire detti
elementi identificativi. Al momento non è ancora dato sapere come verrà utilizzato il modello
per il versamento di imposta di registro, bollo, tributi speciali ed eventuali sanzioni e interessi
relativi alla registrazione di contratti di locazione, atteso che i codici tributo e le istruzioni per
la compilazione del modello verranno approvati con un futuro provvedimento direttoriale. Si
ricorda, infine, che attualmente il modello F24 Elide è già utilizzato per il versamento dell’Iva ai
fini dell’immatricolazione o successiva voltura di veicoli oggetto di acquisto intracomunitario ex
articolo 1, comma 9, del Dl 262/2006.
(Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 15 gennaio 2014, n. 8)
AGENZIA DELLE ENTRATE
PROVVEDIMENTO DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE 10 GENNAIO 2014
Approvazione del modello per la «Richiesta di registrazione e adempimenti successivi contratti di locazione e affitto di immobili» (modello RLI), delle relative istruzioni e delle
specifiche tecniche per la trasmissione telematica. Modalità di revoca del regime della cedolare
secca per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo
 Contenuto
Debutta il 3 febbraio il Rli per registrare le locazioni
Con il provvedimento dell’Agenzia delle entrate 10 gennaio 2014 è intervenuta in materia di
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contratti di locazione approvando un nuovo modello "Richiesta di registrazione e adempimenti
successivi - Contratti di locazione e affitto di immobili”, denominato "RLI", che i contribuenti
potranno utilizzare, dal prossimo 3 febbraio 2014, «per richiedere la registrazione dei contratti
di locazione e affitto di beni immobili ed eventuali proroghe, cessioni e risoluzioni, nonché per
l’esercizio dell’opzione o della revoca della cedolare secca».
Il nuovo modello “Rli”, reso disponibile gratuitamente in formato elettronico sul sito
dell’Agenzia delle entrate, sostituisce il modello 69, approvato con il provvedimento
dell’Agenzia delle entrate 7 aprile 2011, esclusivamente per l’esecuzione dei seguenti
adempimenti:
– richiesta di registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili;
– proroghe, cessioni e risoluzioni dei contratti di locazione e affitto di beni immobili;
– comunicazione dei dati catastali ai sensi dell’articolo 19, comma 15, del decreto legge 31
maggio 2010 n. 78;
– esercizio e revoca dell’opzione per la cedolare secca;
– denunce relative ai contratti di locazione non registrati, ai contratti di locazione con canone
superiore a quello registrato o ai comodati fittizi
Il modello 69 resta operativo, quindi, per le registrazioni di atti e contratti diversi da quelli di
locazione e affitto.
Fase transitoria. È prevista una fase transitoria, fino al 31 marzo, durante la quale potranno
essere presentati all'Agenzia delle entrate, indifferentemente, sia il “vecchio” sia il nuovo
modello: dopo questa data, il modello 69 sarà definitivamente sostituito dal modello Rli per
tutti gli adempimenti connessi ai contratti di locazione e affitto immobiliare espressamente
indicati dal provvedimento.
La presentazione può avvenire in modalità telematica, direttamente o tramite gli intermediari
abilitati. I soggetti non obbligati alla registrazione telematica dei contratti di locazione possono
presentare il modello telematicamente anche presso gli uffici dell’Agenzia. Per la presentazione
in via telematica del nuovo modello va utilizzato il software “Contratti di locazione e affitto di
immobili (RLI)”, “scaricabile” gratuitamente sul sito della stessa Agenzia. È comunque resa
disponibile anche la versione web del software per consentire la registrazione dei contratti di
locazione senza la necessità dell’installazione del software. In ogni caso, fino al prossimo 31
marzo sarà ancora concesso l’utilizzo dei “vecchi” software, quali “Contratti di locazione”, “Iris”
e “Siria”.
Presentazione telematica “in forma semplificata”. È altresì consentita una presentazione
telematica «in forma semplificata» del modello RLI, cioè senza l’allegazione della copia del
testo contrattuale, nei casi, specificatamente indicati, in cui:
– il numero di locatori e di conduttori, rispettivamente, non sia superiore a tre;
– vi sia una sola unità abitativa e un numero di pertinenze non superiore a tre;
– tutti gli immobili siano censiti con attribuzione di rendita;
– il contratto contenga esclusivamente la disciplina del rapporto di locazione e, pertanto, non
comprenda patti aggiuntivi;
– il contratto venga stipulato tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di un’impresa,
arte o professione.
L'invio telematico dei dati relativi alla richiesta di registrazione dei contratti di locazione e
affitto di beni immobili e dei dati relativi al versamento delle imposte di registro e di bollo deve
essere effettuato «secondo le specifiche tecniche contenute nell’Allegato A» al provvedimento.
«Ciascun file può contenere i dati relativi alla richiesta di registrazione di un solo contratto
ovvero alla comunicazione di uno o più adempimenti successivi che si riferiscono ad un solo
richiedente».
Il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 7 aprile 2011 ha chiarito che il
locatore ha facoltà di revocare l’opzione in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella
in cui questa è stata esercitata, secondo modalità da stabilirsi con altro provvedimento dello
stesso direttore dell’Agenzia delle entrate.
Il nuovo modello si aggancia a quella “previsione” e consente l'esercizio o la revoca
dell’opzione per la cedolare secca: «il locatore può revocare l’opzione in ciascuna annualità
contrattuale successiva a quella in cui è stata esercitata l’opzione entro il termine previsto per
il pagamento dell’imposta di registro relativa all’annualità di riferimento». Con la revoca torna
l'obbligo di pagare l’imposta di registro dovuta per l'annualità di riferimento e per quelle
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successive.
(Vincenzo Morrone, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa)
 Lavoro, previdenza e professione
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
COMUNICATO
Avviso pubblico di avvio della consultazione su «Schema di provvedimento generale in materia
di trattamento di dati personali nell'ambito dei servizi di mobile remote payment»
(G.U. 3 gennaio 2014, n. 2)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 24 gennaio 2014
Definizioni e ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito
(G.U. 27 gennaio 2014, n. 21)
 Contenuto
Professionisti: obbligo di Pos rinviato a giugno prossimo
Slitterà di sei mesi, a giugno prossimo, l’obbligo, entrato in vigore il 1° gennaio scorso, per i
commercianti e i professionisti, di dotarsi di Pos per ricevere i pagamenti dei clienti superiori a
30 euro mediante carta bancomat, come disciplinato dal Dm 24 gennaio 2014. Lo prevede la
versione definitiva dell'emendamento approvato dalla commissione Affari costituzionali del
Senato nell’ambito dei lavori di conversione del Dl Milleproroghe. In un primo momento, si era
diffusa la notizia di due emendamenti approvati che avrebbero rinviato l’obbligo dal 1°gennaio
2014 al 1° giugno 2015.
Adempimento previsto fin dal 2012. Il nuovo obbligo nasce dall’articolo 15, comma 4, del
Dl 179/2012, in base al quale, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i soggetti che effettuano
l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad
accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito, fatte salve, in ogni caso, le
disposizioni antiriciclaggio di cui al Dlgs 231/2007. Il successivo comma 5 dispone, inoltre, che
con uno o più decreti del ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il ministro
dell'Economia e delle Finanze, sentita la Banca d'Italia, sarebbero stati disciplinati gli eventuali
importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, di attuazione
della disposizione di cui al comma precedente.
Rilevanti i pagamenti superiori a 30 euro. Con il Dm 24 gennaio 2014 del ministero dello
Sviluppo economico, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 gennaio 2014 n. 21, è stata data
attuazione alle norme menzionate, prevedendo, in particolare, l’obbligo di accettare i
pagamenti superiori a 30 euro mediante carta di debito. Tale obbligo si applica ai soggetti che
il decreto definisce esercenti, ovvero i beneficiari, imprese o professionisti, dei pagamenti
stessi. In sede di prima applicazione, peraltro, ai sensi dell’articolo 2 del decreto,
l’adempimento sarebbe applicabile soltanto nei confronti dei contribuenti che nell’anno
precedente hanno realizzato un fatturato superiore a 200.000 euro. Infine, il decreto fa salva
l’emanazione di un ulteriore provvedimento per la definizione di nuove soglie minime dei
pagamenti e nuovi limiti di fatturato. Tutte le disposizioni recate dal decreto, infine, avrebbero
dovuto entrare in vigore il 28 marzo 2014, ovvero decorsi 60 gironi dalla pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale.
Dubbi sull’utilizzo delle carte di credito. Il nuovo obbligo e le relative disposizioni attuative
hanno provocato una certa preoccupazione tra gli operatori, atteso che l’ambito applicativo
definito è così esteso che non rende agevole l’individuazione dei soggetti coinvolti: ad esempio,
anche sotto il profilo della ragionevolezza, non si comprende la necessità di sottoporre a tale
obbligo i professionisti monocommittenti, per i quali, in effetti, si nutrono dubbi circa
l’applicabilità del nuovo adempimento. Inoltre, l’articolo 1, comma 1, lettera a), del Dm 24
gennaio 2014 definisce carta di debito lo strumento di pagamento che consente al titolare di
effettuare le transazioni presso un esercente abilitato all’accettazione della carta medesima,
emessa da un istituto di credito, previo deposito di fondi in via anticipata da parte
dell’utilizzatore: si tratta, quindi, della classica carta di debito, ovvero del bancomat. Resta da
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chiarire, allora, se anche le carte di credito, che sono uno strumento di pagamento diverso,
atteso che non richiedono la previa disponibilità di fondi da parte dell’utilizzatore, sono
ammesse ai fini del nuovo obbligo.
(Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014)
INPS
CIRCOLARE 30 Gennaio 2014, N. 16
Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministro del Lavoro e delle
Politiche Sociali 13 marzo 2013. Rilascio del documento unico di regolarità contributiva in
presenza di certificazione dei crediti ai sensi dell’art. 13 bis, comma 5, del decreto legge 7
maggio 2012, n. 52 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94.
 Contenuto
Certificazione di crediti P.A. e rilascio del DURC
A seguito di quanto stabilito con il decreto ministeriale 13 marzo 2013, l’Inps ha fornito i propri
chiarimenti in merito alla possibilità di rilasciare il documento unico di regolarità contributiva in
presenza di certificazione dei crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati nei confronti delle
pubbliche amministrazioni, emessa tramite la “Piattaforma per la Certificazione dei Crediti”.
Con decreto ministeriale 13 marzo 2013 sono state definite le modalità, per dare attuazione a
quanto disposto dalla vigente normativa in materia di rilascio del Documento Unico di
Regolarità Contributiva, in deroga ai consueti criteri di rilascio dello stesso.
Il DM citato, prevede infatti la possibilità di emettere comunque un Durc "regolare" anche in
presenza di scoperture contributive, purché sia prodotta l'attestazione di sussistenza di crediti
certi, liquidi ed esigibili nei confronti della Pubblica Amministrazione, per un importo almeno
pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati.
La ratio del legislatore è dunque quella di consentire alle imprese che vantano crediti verso la
P.A., di ottenere un Durc, ancorché la loro posizione contributiva presenti delle scoperture che
potrebbero però essere sanate, se il credito maturato fosse stato riscosso.
Le condizioni per il rilascio del DURC
Come si è detto, il Durc viene rilasciato anche in presenza di irregolarità presso INPS, INAIL o
Casse edili, se è prodotta una certificazione attestante l'ammontare di crediti vantati
dall'azienda richiedente, aventi le caratteristiche sopra individuate.
Questa attestazione può essere resa da:
- amministrazioni statali,
- enti pubblici nazionali,
- Regioni,
- enti locali
- enti del Servizio Sanitario Nazionale.
Attenzione: l'importo delle somme a credito, deve essere almeno pari alla scopertura
contributiva accertata.
Soggetti richiedenti
La richiesta di attestazione del credito, deve essere presentata dal titolare del credito - quindi
dall'azienda - attraverso il sistema telematico in gestione al MEF, nella "Piattaforma per la
certificazione dei crediti (PCC)" e nella nuova funzione "Gestione richiesta DURC".
Qui il titolare del credito, o un suo intermediario, genererà la richiesta di rilascio del DURC ai
sensi dell'art. 13 bis, comma 5, D.L. n. 52/2012 convertito in L. 94/2012.
Dopo la generazione del documento, sarà possibile accedere alla funzione di richiesta del
DURC, attraverso lo Sportello Unico Previdenziale.
In presenza di richiesta di DURC per rapporti tra privati, la consegna del documento avverrà
attraverso PEC o consegna cartacea presso gli istituti coinvolti dal rilascio del DURC. In fase di
richiesta di DURC però, il soggetto avrà cura di specificare che il rilascio dovrà avvenire ai sensi
dell’art. 13 bis, comma 5, d.l. n. 52/2012.
La PPC
È opportuno ricordare che la Piattaforma per la Certificazione dei crediti, è una funzionalità che
permette ai soggetti che vantano crediti verso la pubblica amministrazione di chiedere che
l'ammontare di tali crediti sia certificato.
I crediti possono essere legati a somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e
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prestazioni professionali. Attraverso il sistema è possibile individuare tutte le eventuali
successive operazioni di anticipazione, compensazione, cessione e pagamento, effettuate in
relazione al credito certificato.
Permette infine, come precisa lo stesso Ministero dell'Economia e delle Finanze che ne gestisce
il funzionamento, di svolgere tutte le attività del processo di comunicazione dei debiti previste
dalle norme sulla ricognizione dei debiti contratti dalla P.A.
Note operative
Attenzione: in attesa dell’adeguamento dello Sportello Unico Previdenziale, la specifica
indicazione che il DURC deve essere rilasciato ai sensi dell’art. 13 bis, comma 5, d.l. n.
52/2012, è inserita
- in caso di “appalto pubblico”, nel campo “oggetto dell’appalto”,
- in caso di "altra tipologia”, nel campo “Specifica uso”.
Rilascio di DURC e capienza
Nella PCC (Piattaforma per la Certificazione dei Crediti) è presente la nuova funzione “Verifica
la capienza per l’emissione del DURC” e qui è possibile individuare la sussistenza e l’importo
dei crediti vantati. Tale verifica dà esito positivo quando l’importo della scopertura contributiva
accertata, risulta pari o inferiore a quello evidenziato dal sistema della Piattaforma come saldo
disponibile alla data della verifica.
In questa prima fase di attuazione operativa, le strutture territoriali di Inail, Inps e Casse Edili
devono acquisire vicendevolmente le informazioni legate alle scoperture accertate ed ai crediti
vantati, per poter correttamente valutare la capienza con riferimento al debito totale.
Validità del Durc ex comma 5 art. 13 bis
Anche il Durc rilasciato con queste modalità rimane valido per la durata di 120 giorni dalla data
del rilascio e può essere utilizzato per tutte le finalità prevista dalla normativa in vigore.
Modalità di utilizzo della Certificazione
La certificazione del credito emessa dalla Piattaforma sopra citata, può essere utilizzata
- per la compensazione di somme iscritte a ruolo,
- per la cessione o anticipazione del credito alle banche o agli intermediari finanziari.
(Paolo Sanna, Il Sole 24 ORE – lavoro24.ilsole24ore.com)
 Pubblica amministrazione
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 30 ottobre 2013
Riduzione degli obiettivi programmatici del patto di stabilità interno per l'anno 2013 delle
province e dei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, in attuazione dell'articolo 1,
comma 122, della legge 13 dicembre 2010, n. 220
(G.U. 18 gennaio 2014, n. 14)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 novembre 2013
Fondo di solidarietà comunale in attuazione dell'articolo 1, comma 380, della legge 24
dicembre 2012, n. 228.
(G.U. 21 gennaio 2014, n. 16, Supplemento ordinario n. 7)
AGENZIA PER L'ITALIA DIGITALE
COMUNICATO
Linee guida per la valutazione comparativa prevista dall'art. 68 del decreto legislativo 7 marzo
2005, n. 82 «Codice dell'Amministrazione digitale».
(G.U. 27 gennaio 2014, n. 21)
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 Societario e fallimentare
ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI
REGOLAMENTO 10 GENNAIO 2014, N.4
Regolamento in materia di liquidazione coatta amministrativa delle imprese di assicurazione di
cui al titolo XVI (Misure di salvaguardia, risanamento e liquidazione), capo IV (liquidazione
coatta amministrativa) del Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - codice delle
assicurazioni private.
(G.U. 17 gennaio 2014, n.7)
BANCA D'ITALIA
PROVVEDIMENTO 21 GENNAIO 2014
Istruzioni per la redazione dei bilanci e dei rendiconti degli Intermediari finanziari ex art. 107
del TUB, degli Istituti di pagamento, degli IMEL, delle SGR e delle SIM
 Rifiuti
LEGGE 7 gennaio 2014, n. 1 (Raccolta 2014)
Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo
dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.
(G.U. 15 gennaio 2014, n. 11)
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Giurisprudenza
 Appalti
 CONSIGLIO DI STATO, Sezione 4, Sentenza del 02-12-2013, n. 5725
Affidamento - Servizio di ristorazione - Bando di gara - Previsione dell'obbligo di
continuità nell’assunzione - Clausola sociale - Riduzione ad libitum del numero di
unità impiegate nell’appalto cui rapportare il servizio - Impossibilità
 NOTA
Consiglio di Stato: risarcimento per illegittima aggiudicazione anche senza provare la
colpa della Pa
In caso di annullamento giudiziale dell'aggiudicazione di una gara pubblica, spetta al giudice
amministrativo il potere di decidere discrezionalmente, anche nei casi di violazioni gravi, se
mantenere o no l'efficacia del contratto nel frattempo stipulato. Accanto all'eventuale
inefficacia contrattuale, vi è però la possibilità, da parte del legittimo aggiudicatario di
richiedere sia il risarcimento in forma specifica (subentro contrattuale) che quello per
equivalente (perdita di guadagno).
Il primo aspetto che viene sottolineato dal Supremo giudice amministrativo - con la decisione
numero 5725 del 2 dicembre 2013 - è relativo al minor onere probatorio per ottenere il
risarcimento del danno ingiusto da illegittima aggiudicazione. Infatti, in materia di risarcimento
da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto non è necessario provare la colpa
dell'amministrazione aggiudicatrice come ulteriore presupposto del risarcimento da adozione di
provvedimento illegittimo, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della
tutela previsto dalla normativa comunitaria a condizione che la possibilità di riconoscere detto
risarcimento non sia subordinata alla constatazione dell'esistenza di un comportamento
"colpevole", secondo quanto desumibile dai principi di cui alla giurisprudenza comunitaria
ascrivibile alla Corte CE, Sez. III, 30 settembre 2010, C-314/2009 (per la quale, in tema di
appalti pubblici, la direttiva Cons. C.E.E. 21 dicembre 1989 n. 665, modificata dalla direttiva
Cons. C.E.E. 18 giugno 1992 n. 50, osta ad una normativa nazionale che subordini il diritto ad
ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina di settore da parte di
un'Amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in
cui l'applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di
colpevolezza in capo alla P.A. stessa e sull'impossibilità per quest'ultima di far valere la
mancanza di proprie capacità individuali, e dunque, in difetto di imputabilità soggettiva della
violazione lamentata).
In pratica quindi, il Collegio, stante la sussistenza dell'elemento soggettivo, è chiamato a
pronunciarsi sulla domanda di risarcimento in forma specifica e/o per equivalente e ritiene di
potersi pronunciare sulla sorte del contratto applicando la disciplina introdotta dall'art. 122 del
c.p.a., anche con riferimento allo stato di esecuzione del contratto, alla possibilità per il
ricorrente di conseguire l'aggiudicazione e subentrare nel contratto, nonché agli interessi di
tutte le parti.
Dalla fattispecie che ci occupa quindi tre sono gli importanti effetti che scaturiscono:
a) il Consiglio di Stato, nel annullare l'aggiudicazione, dichiara altresì l'inefficacia contrattuale
del rapporto in essere
b) accoglie la richiesta del risarcimento in forma specifica e obbliga quindi la stazione
appaltante ad operarsi per il subentro contrattuale del ricorrente vincitore
c) specifica che la stazione appaltante dovrà altresì risarcire al legittimo aggiudicatario una
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somma di denaro pari al mancato guadagno per la parte di servizio già (illegittimamente)
eseguito dall'impresa che non ne aveva il titolo.
Essendo la ricorrente seconda classificata, specifica il Consiglio di Stato, ed essendo stata
dimostrata la non anomalia della sua offerta, sussiste la certezza che essa avrebbe avuto titolo
a conseguire l'aggiudicazione e il contratto in luogo della originaria aggiudicataria, il che di per
sé implica la ricorrenza della possibilità di disporre il risarcimento in forma specifica.
È ben vero che si tratta di contratto ad avanzato stato di esecuzione: tuttavia non si ravvisano
elementi dai quali possa dedursi che sarebbe comunque conforme all'interesse della stazione
appaltante, ed all'interesse generale a garantire la continuità del servizio in corso: ciò nel
convincimento del Collegio per cui la prima forma di restaurazione del danno, ove possibile, sia
quella per reipersecutoria ed in forma specifica e che soltanto nei casi di conclamata
impossibilità/non rispondenza all'interesse pubblico (per la complessità dell'appalto, per il
prossimo esaurimento della durata, etc) si debba accedere alla "minor" tutela risarcitoria per
equivalente.
Nel caso di specie quindi ricorrono i presupposti per la declaratoria di inefficacia del contratto
stipulato dall'amministrazione con la controinteressata a far data dalla pubblicazione, o
notificazione se anteriore, della presente decisione ex art. 122 del cpa e per disporre, dalla
stessa
data
o
comunque
da
quella
immediatamente
successiva
determinata
dall'amministrazione in relazione alle esigenze esecutive del servizio il subentro della
appellante seconda classificata che, quindi, si sarebbe resa certamente aggiudicataria
dell'appalto, nel contratto medesimo.
Quanto ai danni «medio tempore» prodottisi (danni risarcibili per equivalente) il giudice di
Palazzo Spada osserva che si deve ritenere risarcibile anche l'interesse positivo (con la logica
premessa che il periodo da prendere in esame sarà soltanto quello durante il quale la
subentrante non ha potuto eseguire il servizio) e, cioè, nella voce relativa al lucro cessante, la
perdita del guadagno (o della sua occasione) connesso all'esecuzione del contratto. Spetta
quindi all'impresa danneggiata un risarcimento pari ad una percentuale dell'utile che
effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria, ferma restando la
possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine
di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto. Esclusa per ovvie ragioni la sussistenza del
richiesto danno curriculare in quanto è stato disposto il subentro, il lucro cessante per la
mancata esecuzione dell'appalto dovrà essere corrisposto all‘appellante, ed esso va
quantificato non liquidando ma soltanto muovendo da una percentuale del 10% dell'utile che
questa avrebbe conseguito (decurtato, ovviamente, in misura proporzionale alla durata del
servizio in via diretta assicurato dal medesimo)
(Sonia Lazzini, Il Sole 24 OrE – Edilizia e Territorio, 10 gennaio 2014)
 CONSIGLIO DI STATO, Sezione 5, Sentenza del 22-01-2014, n. 313
COMPUTO METRICO - APPALTO A CORPO - PROGETTO - Indicazione dei lavori e delle
misure e quantità di materiali e opere necessarie per realizzare il progetto –
Necessità
 NOTA
Appalti: la tempestività del ricorso va verificata sull'aggiudicazione definitiva
L'aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto, avendo natura di atto endoprocedimentale
a effetti ancora instabili e del tutto interinali, è inidonea a produrre la definitiva lesione della
concorrente non risultata aggiudicataria, che si verifica solo con l'aggiudicazione definitiva, che
non costituisce atto meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente alla
quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso. Questo il principio espresso dal Consiglio
di Stato con la decisione del 22 gennaio 2014 n. 313.
Il fatto - Dopo essere stata disposta l'aggiudicazione definitiva di un appalto avente a oggetto
la progettazione definitiva, esecutiva e l’esecuzione di opere di risanamento conservativo per la
realizzazione di alcuni alloggi la seconda classificata ha impugnato detta aggiudicazione davanti
al Tar per la Lombardia che ha respinto il ricorso incidentale della aggiudicataria e ha accolto la
domanda di annullamento formulata con il ricorso principale. Con il ricorso in appello la società
aggiudicataria ha chiesto la riforma di detta sentenza, da un lato, riproponendo i motivi posti a
sostegno del ricorso incidentale di primo grado e, dall’altro, contestando la statuizione di
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accoglimento del ricorso principale.
La decisione del Consiglio di Stato - La questione posta all’attenzione dell’adito Collegio di
Palazzo Spada, per come innanzi sintetizzata, attiene al rapporto tra ricorso principale e ricorso
incidentale al Ga in tema di tutela giurisdizionale negli appalti pubblici. Sul punto, si afferma in
sentenza che è inammissibile il ricorso incidentale dell’aggiudicatario di una gara, che intenda
contestare la mancata esclusione della parte che ha contrastato l’esito finale della gara, in
assenza di impugnazione della delibera di approvazione delle operazioni di gara, la quale, nella
parte considerata, conferisce rilevanza esterna all'operato della Commissione.
Infatti l'aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, a effetti instabili e
interinali, soggetta, ai sensi dell'articolo 12 del Dlgs 163/2006 all'approvazione dell'organo
competente, sicché l'atto finale della procedura di gara è l'aggiudicazione definitiva, che non
costituisce atto meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente alla
quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso.
È decisivo quanto statuito dal massimo consesso della Giustizia amministrativa (Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria, n. 31 del 16 ottobre 2012), circa la relazione giuridica che lega
l'aggiudicazione provvisoria a quella definitiva sul piano sostanziale e processuale, nel senso
che l'aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto, avendo natura di atto
endoprocedimentale a effetti ancora instabili e del tutto interinali, è inidonea a produrre la
definitiva lesione della concorrente non risultata aggiudicataria, che si verifica solo con
l'aggiudicazione definitiva, che non costituisce atto meramente confermativo della prima e in
riferimento esclusivamente alla quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso.
Si tratta di due atti connotati da autonome valutazioni dell'amministrazione in merito all'esito
della gara, tali che la rimozione della prima non caduca automaticamente la seconda, poiché
quest'ultima non ne è l'esito ineluttabile, ma il frutto di ulteriore esercizio del potere
discrezionale dell'amministrazione.
Tali argomentazioni, in punto di diritto, escludono che l’aggiudicatario che propone il ricorso
incidentale escludente non abbia l’onere di impugnare il provvedimento conclusivo del
procedimento di gara pur se a esso favorevole, atteso che, nella parte in cui non ha escluso la
ditta concorrente, tale atto è comunque lesivo della propria posizione giuridica. Avuto riguardo
al caso concreto sottoposto al suo giudizio il Consiglio di Stato ha così ritenuto che, in riforma
della impugnata sentenza (che ha riconosciuto l’ammissibilità del ricorso incidentale di primo
grado, respingendo nel merito entrambi i motivi posti a fondamento dello stesso), vada
dichiarato inammissibile il ricorso incidentale di primo grado. A tanto consegue logicamente la
declaratoria di improcedibilità dell’appello principale da essa proposto nella parte in cui ha
censurato la reiezione di detti motivi da parte del Tar.
A questo punto il Consiglio di Stato passa a esaminare l’appello principale che pone la
questione della conformità del computo metrico estimativo della aggiudicataria, in primo grado
ritenuto non conforme agli articoli 34 e seguenti del regolamento approvato con Dpr n. 554 del
1999 (essendo la incompletezza del computo metrico motivo di esclusione e incidendo la
mancata indicazione di alcune voci di spesa sul profilo economico dell’offerta, sostanziante
soluzioni progettuali peggiorative, in violazione della legge di gara che prevedeva soluzioni
migliorative).Si osserva così in sentenza che il disciplinare di gara prevedeva, a pena di
esclusione, che l’offerta doveva contenere «il computo metrico estimativo suddiviso per singola
opera, contenente l’elenco di tutti i prezzi, completo della descrizione e del valore economico
del singolo prezzo, redatto ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. 554/1999 e s.m.i».Il Tar, con la
impugnata sentenza, premesso che il computo metrico estimativo è funzionale sia alla
determinazione dei fattori occorrenti per determinare il prezzo che alla definizione dell’oggetto
dei lavori da eseguire, ha ritenuto che le lacune del computo metrico estimativo presentato
dalla aggiudicataria non fossero irrilevanti, anche se il contratto doveva essere stipulato a
corpo, essendo necessario anche in tale caso che il progetto presenti le caratteristiche della
immediata realizzabilità e che sia corredato anche dal computo metrico completo. Ritiene, da
parte sua, il Collegio di Palazzo Spada che con l'appalto a corpo non è incompatibile l'esistenza
di un progetto esecutivo (che è quello, immediatamente cantierabile, che contiene non solo le
linee essenziali dell'opera, ma tutti i suoi elementi), che anzi resta necessario ai fini
dell'imprescindibile determinazione dell'oggetto del contratto, elemento comunque essenziale
per la sua validità.
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Anche per l'appalto a corpo è necessario che il progetto presenti tutte le caratteristiche
dell'immediata realizzabilità e dunque che sia corredato anche dal computo metrico,
consistente nell'indicazione dei lavori e delle misure e quantità di materiali e opere per
ciascuna categoria necessarie per realizzare il progetto, e la cui utilità non è solo in funzione
della misurazione dei fattori occorrenti rispetto al prezzo, ma prima ancora è in funzione della
definizione dell'oggetto dei lavori da eseguire. Da qui il rigetto della relativa censura.
(Giuseppe Cassano, Il Sole 24 Ore- Guida al Diritto, 27 gennaio 2014)
 CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 27 gennaio 2014, n. 355
APPALTI – Scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione – Discrezionalità della
stazione appaltante – Art. 57, c. 5 lett. b) d.lgs. n. 163/2006 – Limite al principio –
Inconfigurabilità – Ragioni.
La scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto tra quello dell’offerta
economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso costituisce espressione tipica
della discrezionalità della stazione appaltante, incidente sul merito dell’azione amministrativa e
sindacabile dal giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità, arbitrarietà,
irragionevolezza o macroscopico travisamento del fatto (Cons. St. Sez. V, 19.11.2009, n.
7259; Sez. III, 15.4.2013, n. 2032). Non costituisce un limite a tale principio di massima la
disposizione di cui all’art. 57, comma 5 lett. b) del codice dei contratti, che, nel prevedere la
possibilità di aggiudicazione con procedura negoziata senza pubblicazione di bando di gara per
nuovi servizi, analoghi a quelli già aggiudicati in favore della medesima impresa, presuppone
l’esistenza di un progetto di massima, oggetto di un precedente contratto aggiudicato secondo
una procedura aperta o ristretta, al solo scopo di delineare e rendere trasparenti le
caratteristiche dei servizi che possano definirsi analoghi a quelli già affidati all’operatore
economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante. La
disposizione, da interpretarsi in senso restrittivo, ha il solo scopo di evitare che il ricorso alla
ripetizione di servizi analoghi possa risolversi in uno strumento per aggirare il pacifico divieto
di rinnovo, configurandola alla stregua di nuova aggiudicazione in forma negoziata di servizi
conformi ad un progetto base oggetto di precedente appalto (cfr. Cons St. Sez. V, 11.5.2009,
n. 2882, Sez. VI, 28.1.2011, n. 642).
 Immobili
 CORTE DI CASSAZIONE - Sezione II civile - Sentenza 14 gennaio 2014, n. 629
CONTRATTI IMMOBILIARI - PRELIMINARE DI VENDITA - Certificato di abitabilità Mancanza - Recesso dal preliminare - Legittimità
È giustificato il recesso dell’acquirente dal preliminare di compravendita se il venditore non
rilascia il certificato di abitabilità dell’immobile, in quanto si tratta di un requisito essenziale del
bene idoneo ad incidere sulla sua funzione economico-sociale.
 NOTA
Compravendita, legittimo il recesso dal preliminare se manca il certificato di
abitabilità
È giustificato il recesso dell’acquirente dal preliminare di compravendita se il venditore non
rilascia il certificato di abitabilità dell’immobile, in quanto si tratta di un <<requisito essenziale
del bene>> idoneo ad incidere sulla sua funzione economico sociale. Lo ha stabilito la Corte di
cassazione, con la sentenza 629/2014, considerando la mancata produzione del documento un
grave inadempimento, con la condanna dei venditori a corrispondere il doppio della caparra.
I precedenti
La Suprema corte ricorda che <<la Corte territoriale ha rilevato che la certificazione in
questione non era intervenuta neppure nel corso del giudizio. Di qui la corretta valutazione del
grave inadempimento e l’applicabilità dell’art. 1460 cod. civ>>.
In precedenza la Cassazione ha ritenuto, in simili casi, anche sussistere l’aliud pro alio,
affermando che «nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità
costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché vale ad incidere
sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico - sociale, assicurandone
PONTInews24
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il legittimo godimento e la commerciabilità. Pertanto, il mancato, rilascio della licenza di
abitabilità integra inadempimento del venditore per consegna di “aliud pro alio”>>. Una
posizione che poi ha gli ermellini hanno ritenuto di <<mitigare>>, escludendola <<solo nel
caso in cui sia intervenuto il successivo rilascio del certificato>>.
Non solo, per i giudici <<l’assenza del certificato rende ininfluente la questione relativa agli
obblighi relativi al preliminare e al definitivo, posto che la Corte territoriale ha chiarito che non
si giunse al definitivo proprio in relazione a tale circostanza. In ogni caso, la Corte territoriale
ha chiarito che nel preliminare non si faceva cenno al certificato di abitabilità di cui
eventualmente il promittente venditore era venuto a conoscenza successivamente ed al quale
non poteva ritenersi che avesse rinunciato>>
(Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 14 gennaio 2014)
 CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza 23 gennaio 2014, n. 6
 NOTA
Case acquistate all'asta, si applica il «prezzo valore»
Anche per l'acquisto di case all'asta (sia in sede di procedura espropriativa, sia per pubblico
incanto) si deve applicare la regola del "prezzo valore", vale a dire la determinazione della
base imponibile dell'imposta di registro mediante la moltiplicazione della rendita catastale per i
noti coefficienti di aggiornamento.
È quanto risulta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 6/2014, depositata il 23
gennaio 2014, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma del "prezzo valore"
(articolo 1, comma 497, legge 266/2005) nella parte in cui non prevede la sua applicazione
agli acquisti effettuati in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto.
Il prezzo-valore
Il "prezzo-valore" è stato introdotto dall'articolo 1, comma 497, legge 23 dicembre 2005, n.
266: secondo tale norma, in caso di contratto a titolo oneroso avente a oggetto il trasferimento
di una abitazione a una persona fisica che non agisca nell'esercizio di impresa, arte o
professione, la parte acquirente può richiedere che la base imponibile, ai fini dell'imposta di
registro, sia costituita (non dal valore del bene trasferito, ma) dal prodotto che si ottiene (da
qui la denominazione di questa regola come "principio del prezzo-valore") moltiplicando la
rendita catastale per gli applicabili coefficienti di aggiornamento, e quindi indipendentemente
dal corrispettivo dichiarato nel contratto.
Più tecnicamente, detto articolo 1, comma 497, legge 266/2005 consente di operare «in
deroga alla disciplina di cui all'articolo 43 del testo unico» dell'imposta di registro (Dpr 26
aprile 1986, n. 131); tale articolo 43 è appunto la norma della legge di registro che impone, di
regola, di considerare il valore (o se superiore, il prezzo pattuito) come base imponibile dei
beni immobili fatti oggetto di un trasferimento a titolo oneroso.
Trasferimenti coattivi
Ora, si tratta di coordinare questo panorama normativo con il disposto dell'articolo 44 del
medesimo Dpr 131/1986, il quale, disciplinando la materia dei trasferimenti "coattivi" (si pensi
a una procedura esecutiva), sancisce che per la vendita "fatta in sede di espropriazione forzata
ovvero all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la
base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione".
Il criterio del "prezzo-valore", di cui alla legge 266/2005, è dunque norma "speciale", che,
come tale, si impone sia all'articolo 43 (espressamente da essa derogato) e pure all'articolo 44
del Testo unico del registro (pur non espressamente da esso derogato) oppure è "speciale"
l'articolo 44 del Testo unico, dettando la disciplina applicabile alla specifica materia dei
trasferimenti "forzosi", di modo che, in questi casi, si deve necessariamente procedere
determinando la base imponibile secondo il prezzo di aggiudicazione?
L'illegittimità
Secondo la Consulta, la norma in questione ha anche lo scopo di consentire al contribuente di
scegliere la soluzione più conveniente in relazione all'andamento del mercato immobiliare: e
cioè di determinare la base imponibile facendo riferimento al valore catastale o al valore di
mercato. Perciò essa è illegittima perché questa facoltà di scelta compete solo alla persona
fisica che acquista mediante un contratto ma non a chi acquista in esito a procedure esecutive
o per asta pubblica.
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L'Agenzia delle Entrate era già giunta a un risultato interpretativo parzialmente analogo: nella
risposta a un interpello datata 15 luglio 2013 (si veda Il Sole 24 Ore del 30 ottobre 2013) il
"prezzo valore" era stato ritenuto applicabile all'acquisto mediante asta pubblica, qualora fosse
bandita da un soggetto privato.
(Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 gennaio 2014)
 Societario e fallimentare
 CORTE DI CASSAZIONE, Civile, Sezione 1, Sentenza del 06-11-2013, n. 24970
Concordato preventivo con continuità aziendale - valutazione del giudice sulla
fattibilità economica - impossibilità
Un concordato preventivo con continuità aziendale non può essere oggetto di valutazione del
giudice sul piano della fattibilità economica. Neppure quando sono assenti impegni delle
banche per l'apporto di nuova finanza dopo l'omologazione e neppure quando sono assenti
puntuali garanzie sulla dismissione di cespiti immobiliari o le attività dell'impresa interessata
sembrano prive di sbocchi futuri.
 NOTA
Fattibilità economica del concordato: non decide il giudice
Nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il sindacato del giudice è limitato alla
verifica della sussistenza di un'assoluta e manifesta non attitudine del piano di concordato a
raggiungere gli obiettivi prefissati.
È questo il principio affermato dalla sentenza della Cassazione 24970 del 6 novembre 2013,
che è tornata ad affrontare il tema del potere di valutazione del tribunale sulla fattibilità del
concordato (si veda anche Il Sole 24 Ore del 27 dicembre). Profilo interpretativo che investe
una delle problematiche più significative e delicate dell'intera disciplina del concordato
preventivo e che rappresenta un banco di prova del sempre difficile rapporto tra autonomia
negoziale e potere conformativo del tribunale.
La pronuncia offre numerosi spunti d'interesse in quanto essa, pur inserendosi nel solco della
pronuncia delle Sezioni unite sul punto (la 1521/2013), ne chiarisce alcuni importanti profili
applicativi.
La Suprema corte sottolinea intanto che la fattibilità, intesa come prognosi di concreta
realizzabilità del piano concordatario, è presupposto di ammissibilità del concordato, oggetto di
un controllo diretto del giudice che non si esercita, quindi, esclusivamente sulla completezza e
congruità logica dell'attestazione del professionista prevista dall'articolo 161, comma 3, della
legge fallimentare.
Viene poi ribadita la distinzione tra fattibilità giuridica, intesa come non incompatibilità del
piano con norme inderogabili, e fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del
piano medesimo. La prima è sottoposta al pieno sindacato del tribunale, mentre la seconda
(quella economica) è riservata alla valutazione dei creditori, tranne che nell'ipotesi in cui il
piano appaia manifestamente inadatto a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia la causa
concreta del concordato. Causa concreta del concordato che deve essere individuata, caso per
caso, con riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente, fermo restando che ogni
proposta deve comunque soddisfare la causa astratta comune a tutti i tipi di concordato,
individuata in una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo
ragionevole.
La decisione, riferita all'ambito dei poteri del giudice nel giudizio di omologa, riafferma così
implicitamente l'utilizzabilità di un medesimo parametro valutativo nelle differenti fasi del
procedimento in quanto «la specifica determinazione dei poteri del giudice va effettuata in
considerazione del ruolo a lui attribuito in funzione dell'effettivo perseguimento della causa del
procedimento, ruolo che rimane identico nei diversi momenti ora considerati» (si veda la
sentenza 1521/2013 della Cassazione a Sezioni unite).
Con la sentenza 24970, i giudici applicano queste enunciazioni di principio al caso concreto
sottoposto all'attenzione della corte, che riguardava un concordato in continuità aziendale. Il
dubbio di fattibilità era sorto a seguito di alcuni rilievi mossi dal commissario giudiziale nelle
relazioni depositate nel corso della procedura. Osservazioni attinenti alla mancanza di un
obbligo delle banche di apportare nuova finanza dopo l'omologazione, di garanzie per le
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previste dismissioni di due immobili e, più in generale, al cattivo andamento economico
dell'attività della società che non avrebbe consentito di soddisfare il fabbisogno concordatario.
La Corte sottolinea come tali rilievi non rientrino nel sindacato del tribunale sulla fattibilità del
piano, dato che la mancanza di garanzie per l'erogazione di nuova finanza o per l'acquisto di
immobili da liquidare al prezzo sperato non può comunque escludere il verificarsi di tali
circostanze, così come ogni valutazione sull'andamento economico della società implica una
prognosi sulla realizzabilità economica del piano.
In sostanza, le censure del commissario, secondo la Cassazione, non erano sindacabili dal
tribunale perché le criticità rilevate non determinavano una manifesta irrealizzabilità del piano.
Infine, va sottolineato che la sentenza, nell'individuare la questione oggetto del giudizio, parla
di «sindacato officioso del giudice» e di «rilevabilità d'ufficio del difetto di fattibilità». Resta
quindi incerto il potere del tribunale di valutare la fattibilità economica del piano in sede di
omologa in caso di opposizione di uno o più creditori.
I chiarimenti su fattibilità e credito di rivalsa Iva
I CONTROLLI DEL TRIBUNALE
La sentenza 24970/2013 ha ribadito – richiamando le Sezioni unite 1521/2013 –che la
«fattibilità», vale a dire la prognosi di realizzabilità del piano, è presupposto di ammissibilità
del concordato, su cui il giudice si deve pronunciare. E deve farlo verificando in modo diretto e
non solo valutando la completezza e la congruità dell'attestazione del professionista prevista
dall'articolo 161, comma 3, legge fallimentare
LA FATTIBILITÀ GIURIDICA
La sentenza della Cassazione ha poi distinto tra fattibilità giuridica e fattibilità economica. In
particolare, la fattibilità giuridica deve essere intesa come la non incompatibilità del piano
concordatario con norme inderogabili. La valutazione del giudice non incontra limiti particolari
in relazione alla fattibilità giuridica
LA FATTIBILITÀ ECONOMICA
La fattibilità economica consiste nella realizzabilità nei fatti del piano. Il giudizio su questo
aspetto implica, si legge nella sentenza, «valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e
comportanti un margine di errore». La valutazione della fattibilità economica è quindi riservata
ai creditori. Il giudice può sollevare d'ufficio solo l'assoluta, manifesta non attitudine del piano
a realizzare gli obiettivi prefissati
IL RICONOSCIMENTO DEL PRIVILEGIO
La Cassazione ha ricordato che il credito di rivalsa Iva è privilegiato in base all'articolo 2758,
comma 2, del Codice civile. E ha richiamato la propria sentenza 12064/2013, con cui aveva
riconosciuto – prima della modifica dell'articolo 160 della legge fallimentare del Dlgs 169/2007
– che il credito va soddisfatto per intero anche se nel patrimonio del debitore non c'è il bene
gravato da privilegio
L'ESTENSIONE DEL PRIVILEGIO
Secondo la Cassazione, l'orientamento espresso con la sentenza 12064/2013 resta valido
anche per il concordato preventivo dopo la riforma del Dlgs 169/2007, che ha introdotto la
possibilità si pagare solo in parte i creditori privilegiati. Questo limite, infatti, opera solo se è
deciso da un patto concordatario. Se non c'è, vale la regola generale che prevede la
soddisfazione integrale
(Giovanni B. Nardecchia, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 20 gennaio 2014)
 CORTE DI CASSAZIONE, Penale, Sentenza del 23-01-2014, n. 3124
FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI - Fallimento e procedure concorsuali (in
genere) - Versamento dei tributi
Il fallimento della società pochi giorni dopo la scadenza del versamento delle ritenute non
integra la causa di non punibilità della forza maggiore e in tale contesto l'amministratore
subentrato poco prima è responsabile del reato, stante la sua consapevolezza dello stato
economico della società. Non sono, infine, necessarie le certificazioni rilasciate ai sostituiti per
provare l'omissione, bastando la dichiarazione 770.
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 NOTA
Ritenute omesse non giustificate dal fallimento
Il fallimento della società pochi giorni dopo la scadenza del versamento delle ritenute non
integra la causa di non punibilità della forza maggiore e in tale contesto l'amministratore
subentrato poco prima è responsabile del reato, stante la sua consapevolezza dello stato
economico della società. Non sono, infine, necessarie le certificazioni rilasciate ai sostituiti per
provare l'omissione, bastando la dichiarazione 770.
A fornire queste interpretazioni è la Cassazione, sezione III penale, con la sentenza 3124
depositata ieri. L'amministratore di una società veniva condannata in base all'articolo 10 bis
del Dlgs 74/2000 per avere omesso il versamento delle ritenute effettuate e certificate per un
importo superiore a 50mila euro.
L'uomo avverso la sentenza d'Appello ricorreva per Cassazione lamentando, tra l'altro,
l'impossibilità di versare le ritenute in quanto il fallimento era intervenuto solo pochi giorni
dopo la scadenza del pagamento e quindi doveva applicarsi la causa di non punibilità della
forza maggiore. Si evidenziava, inoltre, sempre sulla ricorrenza della forza maggiore, che nel
momento in cui l'imputato aveva assunto l'incarico di amministratore l'indebitamento della
impresa era irreversibile, con gravissima mancanza di liquidità. Infine, veniva lamentata
l'assenza di prova del mancato pagamento in quanto le certificazioni non erano state prodotte.
Queste eccezioni sono state ritenute infondate dalla Cassazione, pur accogliendo il ricorso per
altre ragioni.
In sostanza, per i giudici di legittimità la circostanza che la dichiarazione di fallimento fosse
avvenuta pochi giorni dopo l'omesso versamento non integrava alcuna causa di forza maggiore
in quanto le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non possono essere fatte
rientrare nel concetto di forza maggiore, il quale, al contrario, presuppone l'individuazione di
un fatto assolutamente imprevisto ed imprevedibile.
Secondo i giudici, poi, l'imputato aveva assunto la carica di amministratore quando già la
società si trovava in una crisi gravissima di liquidità: il mancato pagamento, dunque, era una
circostanza conosciuta, con la conseguenza che la relativa omissione deve considerarsi il
risultato di una consapevole decisione. Infine, circa l'assenza delle certificazioni delle somme
trattenute ai sostituiti, la sentenza evidenzia che è sufficiente per provare la violazione
l'allegazione dei modelli 770, atteso che l'omissione era emersa in sede di controllo automatico
delle Entrate
Tale ultima circostanza, già espressa dalla Suprema corte, lascia perplessi perché, in realtà, la
norma incriminatrice fa espresso riferimento alle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate
(e non alle ritenute dichiarate) ed è noto che non sempre quanto indicato nel 770 corrisponda
alle risultanze delle certificazioni.
(Antonio Iorio, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 gennaio 2014)
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Antincendio
Articolo del mese
Studio legale Ponti

La responsabilità solidale degli amministratori
Luca Ponti, Paolo Panella, Studio legale Ponti
In
1)
2)
3)
genere, l’obbligazione in solido si presenta ogniqualvolta sussistano tre condizioni:
una pluralità di soggetti debitori;
una medesima obbligazione (identità di prestazione dovuta);
un’unica fonte dell’obbligazione.
Nell’ambito societario, la responsabilità solidale degli amministratori è regolamentata dall’art.
2392 c.c. per quanto riguarda le s.p.a. e dall’art. 2476 c.c. per quanto riguarda le s.r.l.
Nelle s.p.a., in particolare, la responsabilità solidale è regolata dai seguenti principi:
di regola gli amministratori sono tutti solidalmente responsabili, a meno che non si tratti
di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni delegate a uno o più amministratori;
anche nella seconda ipotesi (funzioni delegate al comitato esecutivo o a uno o più
amministratori delegati) rispondono in solido anche gli altri amministratori se, essendo a
conoscenza dei fatti, non hanno fatto quanto in loro potere per impedirne il compimento o
eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose;
in ogni caso, sono esenti da responsabilità gli amministratori che, esenti da colpa,
abbiano fatto annotare senza ritardo il loro dissenso nel libro delle adunanze e deliberazioni del
consiglio, dandone notizia al Presidente del Collegio Sindacale.
Minimali le differenze nelle s.r.l.: non si fa riferimento alle funzioni delegate (perchè, in verità,
non esiste una norma nelle s.r.l. che disciplini la delega di funzioni, ancorchè si ritenga
pacificamente che sia ammissibile) e non serve far annotare formalmente il proprio dissenso,
bastando che (in qualche modo) consti.
Il vero problema, tuttavia, è la graduazione di responsabilità: l’obbligazione solidale, infatti,
presuppone che tutti siano responsabili nei confronti del creditore ma che nei rapporti interni
ciascuno risponde in ragione del grado della sua responsabilità.
Il problema non è di poco momento, soprattutto nell’ambito delle responsabilità sociali, proprio
perché non sempre è possibile distinguere il contributo causale tra colui che compie la condotta
e colui che omette di impedire la medesima condotta.
La responsabilità sociale, infatti, non è paragonabile ad altre forme di responsabilità in solido
dove, al contrario, sono ben distinguibili i singoli contributi causali dei vari responsabili.
Si pensi, ad esempio, alla materia dei sinistri stradali: salvo problemi di accertamento di fatto,
la singola responsabilità dei vari responsabili è solitamente distinguibile e misurabile.
Tanto è vero che nel regolamento attuativo dell’art. 150 del Codice delle Assicurazioni
(sull’indennizzo diretto), il legislatore ha allegato una vera e propria casistica di sinistri stradali
statuendo a carico di chi e in che percentuale si intende la responsabilità.
Una simile ripartizione, nell’ambito della responsabilità sociale, invece non è ipotizzabile, atteso
che le condotte che portano alla responsabilità solidale sono per lo più di tipo omissivo e,
quindi, difficilmente tipizzabile il contributo causale e, quindi, il grado di responsabilità.
Ci si potrebbe chiedere, infatti, quale sia il confine tra il dovere di diligenza, al di là del rispetto
della forma, e dove effettivamente si sfoci nella negligenza, quando manchi il rispetto delle
procedure di rito.
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L’ipotesi tipica è quella dell’amministratore in conflitto di interessi: può ritenersi esente da
responsabilità l’amministratore che, pur a conoscenza del conflitto, si accontenta delle
dichiarazioni del consigliere in conflitto che nega ogni addebito? Dove deve spingersi il dovere
di diligenza?
Facendo un altro esempio, è esente da responsabilità l’amministratore che formalmente segue
tutto l’iter per non influenzare la decisione su una operazione in cui versa chiaramente in
conflitto d’interessi, però sostanzialmente ne determina comunque l’esito?
In altre parole, rileva più la sostanza o la forma?
La risposta non è semplice e va valutata caso per caso tenendo presente che, a nostro avviso,
gli amministratori possono essere chiamati a rispondere sia di quello che sanno ufficialmente
che di quello che si può provare sappiano comunque (anche ufficiosamente) e che la norma sul
conflitto d’interessi (per tornare all’esempio fatto) difficilmente può ritenersi rispettata se ciò
avviene solo sotto un profilo formale.
Il concorso, poi, con l’amministratore di fatto è ancora più complesso.
Chi tollera, infatti, l’ingerenza dell’amministratore di fatto è responsabile per qualunque cosa
faccia questo? Una sorta di colpa cosciente se non addirittura dolo eventuale, per il fatto stesso
di accettare l’intromissione di fatto nella gestione sociale?
Sicuramente, si deve ritenere che, secondo l’antico brocardo qui in re illicita versatur tenetur
etiam pro casu, chi accetta una situazione non legittima deve rispondere anche per quanto ne
consegue.
La responsabilità, quindi, per omessa vigilanza sull’amministratore di fatto deve ritenersi piena.
Diverso, invece, il caso (tornando all’amministrazione formale e non di fatto) della
responsabilità per concorso sulle materie che, alla fonte, sarebbero delegate a un consigliere.
Si pensi all’esempio del bilancio, ovviamente non è un attività delegabile e tutti i consiglieri
rispondono in solido.
Tuttavia, può essere che di alcune informazioni del bilancio sia a conoscenza soltanto un
consigliere delegato (ad esempio il consigliere delegato alla produzione, o alla vendita, che
devono conoscere meglio degli altri i dati della produzione o della vendita).
Si può fondatamente ritenere che tutti gli amministratori rispondano in solido per dati di
bilancio che ereditano da una conoscenza individuale (e delegata) di uno solo dei consiglieri?
Il quesito non è irrilevante, atteso che rispondendo negativamente, si potrebbe aprire uno
spiraglio a miriade di possibili esimenti anche per responsabilità tipicamente solidali come
quella sulla redazione del progetto di bilancio.
Sul punto, si ritiene che dovrebbe prevalere la ragionevolezza, dando per estesa alla
responsabilità di tutti la rappresentazione formale dei dati contabili (a prescindere da colui che
ne sia, prima di quel momento, l’unico depositario); d’altra parte, lo stesso bilancio è formato
molto spesso dai dipendenti amministrativi se non da un contabile o da un commercialista
esterno, quindi sarebbe davvero difficile poter escludere la responsabilità degli amministratori
in ogni ipotesi (altamente frequente) in cui la paternità dei “numeri” non sia loro.
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Societario e fallimentare

Pre-concordato: modalità, effetti e peculiarità processuali del nuovo
strumento concordatario
Ivan Libero Nocera, Il Sole 24 ORE - Ventiquattrore Avvocato, gennaio 2014, n. 1
LA QUESTIONE
In cosa consiste e a quali effetti rileva la domanda di concordato con riserva? Qual è il ruolo
del Giudice? Cosa deve allegare il proponente? Quali “spazi di azione” ha il debitore dopo aver
presentato la domanda di concordato con riserva?
LA RISPOSTA IN SINTESI
Il nuovo istituto del concordato “in bianco” o “con riserva” si caratterizza per la distinzione,
anche temporale, tra la domanda processuale, la proposta negoziale e il piano di attuazione
della proposta medesima. Si consente, cosi, di anticipare la protezione dalle azioni esecutive e
cautelari, nonché gli effetti del concordato già al momento della pubblicazione del solo ricorso
nel Registro delle imprese. Il concordato con riserva permette all’imprenditore commerciale
che superi le soglie di cui all’art. 1 legge fallimentare di anticipare il dispiegamento degli effetti
della domanda di concordato a un momento anteriore rispetto a quello del varo del piano e
della proposta. Il proponente debitore deve solo provare il possesso dei requisiti di fallibilità e
gli elementi idonei a permettere al Tribunale di affermare la propria competenza. Per contro, il
Giudice ha il potere (e il dovere) di verificare esclusivamente la concreta sussistenza dei
presupposti della fattispecie, effettuando, dunque, una valutazione sommaria. Una volta
superato tale vaglio, il Tribunale fissa i termini per il deposito del piano e della proposta;
termine, questo, compreso fra 60 e 120 giorni e, in ogni caso, prorogabile, in presenza di
giustificati motivi, per non oltre 60 giorni. Dato che a un semplice onere del ricorrente
corrisponde il beneficio di una rilevante tutela finalizzata alla presentazione successiva del
piano e della proposta, occorre contrastare un utilizzo abusivo dello strumento, che può essere
piegato all’esclusiva finalità di guadagnare tempo al riparo dalle azioni dei creditori. Dopo il
deposito del ricorso e fino al decreto che dichiara aperta la procedura di concordato preventivo,
il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione
del Tribunale. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine, il debitore può inoltre
compiere gli atti di ordinaria amministrazione.
Inquadramento generale del concordato preventivo con riserva
Allo scopo di favorire la continuità aziendale e di assicurare la sopravvivenza delle imprese che,
nonostante la crisi di liquidità, risultano ancora competitive sul mercato, la riforma del
“pacchetto sviluppo” (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con la legge 7 agosto 2012, n.
134) ha introdotto, al comma 6 dell’art. 161 l. fall., la possibilità di depositare una domanda di
concordato con riserva della presentazione del piano, della proposta e della documentazione di
cui all’art. 161, commi 2 e 3. Si comprende, perciò, come tale nuova figura sia definito
“concordato con riserva” o “concordato in bianco”, ovvero ancora “pre-concordato” (sul tema in
generale, si veda Fabiani , «Vademecum per la domanda “prenotativa” di concordato
preventivo», in IlCaso.it , II, 313/2012; Id ., «Nuovi incentivi per la regolazione concordata
della crisi d’impresa», in Corr. giur. , 2012, 1265; Panzani , «Il concordato in bianco», in
IlFallimentarista.it , 2012; Lamanna , «La problematica relazione tra pre-concordato e
PONTInews24
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concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni del Tribunale», ivi ,
2012; Id ., «Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale», in
IlFallimentarista.it , 2012; Salvato , «Nuove regole per la domanda di concordato preventivo
con riserva», in Il Fall. , 2013, 1209; Lo Cascio , «Crisi delle imprese, attualità normative e
tramonto della tutela concorsuale», ivi , 2013, 5; Fabiani , «Poteri delle parti nella gestione
della domanda prenotativa di concordato preventivo», ivi , 2013, 1051).
Infatti, il meccanismo si articola attraverso la presentazione di un’istanza corredata dei bilanci
relativi agli ultimi tre esercizi, e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei
rispettivi crediti, da pubblicarsi nel Registro delle imprese a cura della Cancelleria del Tribunale
nel cui circondario sia ubicata la sede effettiva dell’impresa. Invece, il piano contenente la
descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta concordataria,
potrà essere depositato successivamente, corredato dalla proposta e dagli altri documenti
indicati nel secondo e nel terzo comma dell’art. 161 l. fall., inclusa la relazione dell’esperto,
entro un termine stabilito dal Giudice, intercorrente tra sessanta e centoventi giorni dalla
presentazione del ricorso (prorogabile, in presenza di giustificati motivi, per un massimo di altri
sessanta giorni). Tale termine appare molto più appropriato rispetto a quello di quindici giorni
precedentemente previsto, in quanto consente di strutturare al meglio una proposta
concordataria (sul contenuto del piano concordatario si rinvia alle riflessioni di Ambrosini ,
«Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012», in
IlCaso.it , II, 306/2012, 2; Sottoriva , «Il contenuto del piano ex art. 161, comma 2, lettera e ,
l. fall. nell’ambito della proposta concordataria», in IlFallimentarista.it , 2012).
La figura del concordato “con riserva” disciplinato al comma 6, art. 161, l. fall. rappresenta
dunque una delle più rilevanti innovazioni dell’intervento legislativo e tra le maggiori
espressioni del favor per lo strumento concordatario, il cui scopo principale è ora costituito
dalla preservazione delle strutture produttive e aziendali.
Come si propone il concordato con riserva?
Il nuovo istituto si dimostra notevolmente utile in quanto gli effetti protettivi di cui all’art. 168
l. fall. si producono sin dalla data della pubblicazione del ricorso nel Registro delle imprese. Di
conseguenza, è fatto divieto ai creditori di proseguire le azioni cautelari ed esecutive in corso,
nonché di instaurarne di nuove, e di acquisire titoli di prelazione in difetto dell’assenso del
debitore. Lo strumento permette dunque al debitore di accedere al beneficio dell’anticipazione
della protezione, particolarmente favorevole, quando questi, volendo instaurare un
procedimento di concordato preventivo, abbia necessità di tempo per predisporre il proprio
piano, al riparo delle aggressioni da parte dei creditori ( Lamanna , «La legge fallimentare dopo
il “Decreto sviluppo”», in Il civilista , Milano, 2012, 41).
Un analogo scopo si poteva precedentemente ottenere nell’ambito della disciplina degli accordi
di ristrutturazione dei debiti, con l’utilizzo strumentale dell’istanza ex art. 182 bis , comma 6, l.
fall., prevista per tutelare la fase della negoziazione con i creditori, ma frequentemente piegata
allo scopo di ottenere tempo per predisporre il piano concordatario senza poter essere
aggrediti dalle azioni esecutive o cautelari.
L’art. 161, comma 6, stabilisce che il pre-concordato si propone con ricorso che può contenere
esclusivamente la domanda di accesso alla procedura, con la riserva di depositare in un
secondo momento il piano, la proposta e gli ulteriori documenti di cui ai commi 2 e 3 dell’art.
161, con il solo onere di produrre immediatamente i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e
l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti. Poiché il ricorso ex art.
161, comma 6, comprende la domanda di concordato, distinta dal piano e dalla proposta, si
ritiene applicabile allo stesso l’art. 161, comma 4, ai sensi del quale «per la società la domanda
deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’art. 152». Quindi, prima della presentazione
del pre-concordato dovrà sussistere, quale requisito indispensabile per la presentazione del
ricorso, la deliberazione di cui all’art. 152 l. fall. per cui: «La proposta e le condizioni del
concordato, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo o dello statuto: a) nelle società di
persone, sono approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale; b)
nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, nonché nelle
società cooperative, sono deliberate dagli amministratori».
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Tuttavia, è chiaro come la suddetta deliberazione, in caso di pre-concordato, non possa certo
contenere né la “proposta” né le “condizioni” del concordato, che saranno formulate in seguito,
entro il termine concesso dal Tribunale. Peraltro, dato che l’art. 152 l. fall. fa riferimento
esplicito alla “proposta” e alle relative “condizioni”, prima del deposito del piano e della
proposta, occorrerà assumere una seconda deliberazione, sempre ai sensi dell’art. 152, a
integrazione di quella “con riserva” che ha accompagnato il ricorso ex art. 161, comma 6.
Poiché la domanda di concordato, anche “in bianco”, dev’essere essa pubblicata nel Registro
delle imprese, parrebbe potersi escludere che anche la deliberazione debba essere iscritta nel
Registro delle imprese prima della presentazione del ricorso.
Onere di allegazione in capo al proponente domanda
Si è visto come, sia dalla lettera della disposizione, sia dalla complessiva ratio che connota la
nuova figura emerga un istituto “minimo” che non esige elementi ulteriori rispetto a quelli
espressamente indicati dalla legge, quali, ad esempio i dati aziendali, il contenuto del piano e
della proposta. Sarà dunque sufficiente che il proponente dimostri il possesso dei requisiti di
fallibilità previsti dall’art. 1 l. fall.
Tale onere si rivela abbastanza semplice giacché, per quanto riguarda il presupposto oggettivo
dei profili dimensionali, la produzione dei bilanci degli ultimi tre esercizi è di regola sufficiente
ad attestare il superamento delle soglie. Del resto, considerando che nel procedimento ex art.
161, comma 6, non si prevede il deposito della relazione aggiornata sulla situazione
patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, una recente sentenza di merito ha
affermato che, «ove il sovradimensionamento non risulti dai bilanci, tale evidenza non sarà
preclusiva alla fissazione del termine, ma la questione dovrà essere esaminata in sede di
eventuale ammissione alla procedura di concordato» (Tribunale di Pistoia 30 ottobre 2012, in
IlCaso.it , I, 8079/2012).
Per quanto concerne, invece, il presupposto soggettivo integrato dalla qualifica di imprenditore
commerciale, basterà rappresentare l’oggetto sociale (ricavabile dallo statuto o da una
semplice visura camerale), sottolineando come questo non possa qualificare l’impresa come
agricola, considerando le attività individuate dall’art. 2135 c.c. Il proponente deve, inoltre,
fornire gli elementi idonei a permettere al Tribunale di affermare la propria competenza,
indicando l’ubicazione della sede effettiva, che salva la prova contraria si presume coincidente
con quella legale.
L’onere del debitore ricorrente è quindi assai agevole, ben potendo il ricorso prescindere da
qualsiasi indicazione in merito al contenuto del piano e della proposta. Si nota, quindi, come
l’istituto favorisca notevolmente l’imprenditore ricorrente, il quale potrà beneficiare degli effetti
del deposito senza dover fornire indicazioni sugli sviluppi futuri della procedura, né allegare
documenti ulteriori rispetto ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei
creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti.
Tuttavia, vale osservare che tale obbligo non sempre può avere utili effetti in quanto le
risultanze del bilancio non sempre riproducono l’effettiva situazione economico-gestionale
dell’impresa, benché l’elenco dei creditori, se questi individuati per categorie e ammontare,
potrebbe indicare il tipo di intervento più adeguato. Infatti, la previsione di un elenco
nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti permette di disporre, prima che il
debitore predisponga il piano, di un quadro meno sommario di quello che avrebbe potuto
ricavarsi dal deposito dei bilanci concernenti gli ultimi tre esercizi, anche se, in mancanza di
ulteriori dati certi e specifici, tale previsione può essere di poca utilità. Esclusivamente
nell’ipotesi in cui il debitore richieda al Tribunale l’autorizzazione a contrarre nuovi
finanziamenti o a pagare crediti anteriori, ai sensi dell’art. 182 quinquies , commi 1 e 4, l. fall.,
è configurabile un onere supplementare di allegazione in ordine al piano, per lo meno nei suoi
elementi essenziali. Ciò in quanto l’esperto deve: in caso di nuovi finanziamenti, verificare il
complessivo fabbisogno finanziario sino all’omologazione e attestare la funzionalità dei
finanziamenti alla migliore soddisfazione dei creditori; in caso di pagamento di crediti anteriori,
certificare l’essenzialità delle prestazioni anteriori oggetto di pagamento rispetto alla
prosecuzione dell’attività d’impresa e la loro funzionalità, anche qui, alla migliore soddisfazione
dei creditori. La correttezza metodologica di tali verifiche e attestazioni dovrà essere
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controllata dal Tribunale in sede di autorizzazione.
Ruolo del Giudice:
prefallimentare
competenza,
doveri
valutativi,
rapporti
con
l’istruttoria
Giova precisare come il provvedimento di cui al comma 6 dell’art. 161, l. fall. con il quale il
Giudice assegna all’imprenditore il termine per la presentazione della proposta, del piano e
della documentazione ai sensi dei commi 2-3 dello stesso art. 161 sia di competenza del
Collegio. Infatti, dal combinato disposto dei commi 6 e 8 dell’art. 161 l. fall., emerge che il
Giudice delegato viene nominato solo con il provvedimento di ammissione alla procedura, ai
sensi dell’art. 163, comma 2, n. 1, l. fall. (Tribunale di Pisa 19 settembre 2012, in IlCaso.it , I,
7847/2012). Ne consegue che è il Tribunale in composizione collegiale, e non il Giudice
delegato, ad assegnare il termine di presentazione della proposta concordataria, come anche a
determinare degli obblighi informativi periodici che l’imprenditore è tenuto ad assolvere, sino
alla scadenza dello stesso termine.
In proposito, tuttavia, si segnala un’isolata pronuncia in cui il Tribunale, in ossequio a un
provvedimento di organizzazione interno, ha designato un Giudice singolo quale relatore della
procedura (Tribunale di Pistoia 30 ottobre 2012, in IlCaso.it , I, 8079/2012). A ogni modo,
nulla osta a che un Giudice possa essere delegato all’audizione della parte, ove necessaria;
questi poi dovrà riferire in camera di consiglio, anche se si deve comunque escludere che la
decisione risulti di competenza del Giudice monocratico.
Il deposito della proposta, del piano e della documentazione di cui all’art. 161, commi 2-3,
deve avvenire entro il termine fissato dal Collegio, compreso fra sessanta e centoventi giorni e
prorogabile, per giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.
Risulta evidente come il Tribunale adìto non possa, in questa sede, effettuare alcuna
valutazione discrezionale circa la concessione del beneficio, dovendo limitarsi unicamente a
fissare il termine per il deposito della documentazione prescritta. Il potere valutativo del
Giudice risulta dunque circoscritto, essendo ristretto alla verifica della concreta sussistenza dei
presupposti della fattispecie. In particolare, dovrà appurare, a pena di inammissibilità del
ricorso, la propria competenza territoriale ai sensi degli artt. 9 e 161 l. fall., la legittimazione
attiva del debitore istante ai sensi dell’art. 152 l. fall. anche sotto il profilo dell’approvazione e
della sottoscrizione del ricorso da parte di coloro che hanno la rappresentanza legale della
società, il deposito da parte del ricorrente dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi da cui si
ricavano i requisiti soggettivo e oggettivo necessari per essere ammessi alla procedura, la
mancata presentazione di analoga domanda concordataria nei due anni precedenti di analoga
domanda, alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato
preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (in tal senso, si veda
Tribunale di Bolzano 25 settembre 2012, in Ilfallimentarista.it ).
Si rivela opportuno soffermarsi, per quanto attiene al profilo della concessione del termine, sul
rapporto tra la domanda di pre-concordato e l’istruttoria prefallimentare. In merito al
sopravvenuto ricorso di concordato preventivo in pendenza dell’istruttoria prefallimentare, la
recente pronuncia della Cassazione (cfr. Cassazione civ., Sez. I, 24 ottobre 2012, n. 18190, in
Il Fall ., 2012, 1408) ha affermato che l’istanza di fallimento non costituisce un’iniziativa
riconducibile alle misure esecutive e, di conseguenza, non rientra nel divieto di iniziare o
proseguire azioni esecutive previsto dall’art. 168 l. fall. Inoltre, la Suprema Corte ha stabilito
che non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità tra procedimento concordatario e
procedimento prefallimentare, aggiungendo, altresì, come non si possa ipotizzare la riunione
dei due procedimenti, la quale permetterebbe una decisione congiunta delle due istanze.
In considerazione del più volte evidenziato favor concordatario, il Tribunale deve dare
prevalenza alla procedura di concordato, dovendosi pronunciare sull’istanza di fallimento con
priorità rispetto alla domanda di concordato solo nel caso in cui quest’ultima sia connotata da
abusività. Il detto favore del Legislatore per la soluzione concordataria rispetto alla
dichiarazione di fallimento emerge in maniera ancora più accentuata nel concordato “con
riserva”, nell’ambito del quale il debitore può beneficiare di un apposito spatium deliberandi
anche nell’ipotesi in cui sia già pendente un procedimento prefallimentare, salvi i ca si di ab
uso.
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Normativa di riferimento
Legge fallimentare:artt. 1, 22, 152, 161, 163, 167, 168, 169 bis, 182 bis, 182 quinquies.
Questi, tuttavia, non possono essere individuati nella mera adozione del pre-concordato quale
strumento per bloccare l’istruttoria prefallimentare in attesa della presentazione del piano,
visto che tale proposito costituisce uno degli obbiettivi tipici dell’istituto. Infatti, la legge
stabilisce esplicitamente al comma 10 dell’art. 161 l. fall. che, nel caso in cui risulti pendente
un’istanza di fallimento, il collegio deve concedere automaticamente il termine minimo di
sessanta giorni, salva la possibilità di una proroga di altri sessanta giorni in presenza di
giustificati motivi.
In proposito, una recente sentenza di merito ha precisato come in tema di rapporti tra
procedimento per dichiarazione di fallimento e concordato preventivo “con riserva” l’inciso
previsto al comma 10, art. 161 l. fall., che mantiene fermo quanto disposto dall’art. 22,
comma 1, l. fall., deve essere interpretato nel senso che può essere concesso un termine
superiore a quello minimo di sessanta giorni unicamente in caso di rigetto dell’istanza di
fallimento ex art. 22, comma 1, l. fall., ed anche in pendenza di reclamo ai sensi del successivo
secondo comma, che infatti non è espressamente richiamato (in tal senso, Tribunale di Terni
26 febbraio 2013, in IlCaso.it , I, 8603/2013).
Risulta, quindi, palese come il Legislatore abbia operato un bilanciamento tra l’interesse del
creditore istante per il fallimento e quello del debitore che presenti domanda di concordato,
indicando come punto di equilibrio l’automatismo della concessione di un termine
particolarmente breve. Una volta effettuata la verifica dei suddetti presupposti, il Tribunale
fissa i termini per il deposito del piano e della proposta, compreso fra sessanta e centoventi
giorni, e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, per non oltre sessanta giorni. La durata
di tale periodo è quindi lasciata alla discrezionalità del Collegio, tranne nel caso in cui penda
un’istanza di fallimento, là dove non sarà possibile discostarsi dal minimo.
Il termine più ampio deve essere richiesto dal debitore e l’istanza deve essere adeguatamente
motivata, integrando, a questo specifico fine, il contenuto obbligatorio del ricorso previsto per
legge ed evidenziando gli aspetti di particolare complessità e rilievo attinenti alla proposta o al
piano (Tribunale di Perugia 4 ottobre 2012, in Il Fall. , 2013, 80), senza limitarsi alla mera
allegazione della mancata pendenza di procedimenti prefallimentari. Qualora l’imprenditore
non indichi alcunché al riguardo, è facile prevedere che il Tribunale disporrà la concessione del
beneficio nella misura minima (Tribunale di Palermo 2 ottobre 2012, in Il Fall. , 2013, 81).
Il dies a quo del suddetto termine deve individuarsi, in assenza di diversa indicazione da parte
del decreto, nella relativa concessione, benché, allo scopo di non dilatare oltremodo l’ampiezza
del beneficio di cui possa godere il debitore, è possibile che si affermi la prassi che faccia
coincidere il termine iniziale con l’iscrizione del ricorso nel Registro delle imprese, ossia con il
momento nel quale iniziano gli effetti della tutela.
Obblighi informativi a carico del debitore proponente
Allo scopo di contrastare un utilizzo abusivo dello strumento, che può essere piegato
all’esclusiva finalità di guadagnare tempo al riparo dalle azioni dei creditori, il Legislatore ha
previsto alcuni “anticorpi”, quali la possibilità di disporre obblighi informativi periodici in capo al
debitore nelle more della predisposizione del piano; la sanzione dell’inammissibilità della
domanda presentata con riserva, qualora, nei due anni precedenti, non fosse stata ammessa
un’altra analoga domanda; nonché la riduzione del termine di automatic stay al minimo (ossia
sessanta giorni) nel caso in cui penda un procedimento per la dichiarazione di fallimento.
Il cd. decreto “del fare” (D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9
agosto 2013, n. 98) ha valorizzato, inoltre, la posizione del commissario giudiziale,
anticipandone la nomina facoltativa all’atto del provvedimento del Tribunale che fissa il termine
per lo scioglimento della riserva. Tale organo assume un ruolo informativo. Infatti, se
nominato, esprime il proprio parere in ordine al compimento da parte del debitore degli atti di
straordinaria amministrazione e svolge un’attività di vigilanza sulla procedura sin dal momento
della decorrenza degli effetti conservativi e gestionali, in modo tale da verificarne il contenuto,
riferendo al tribunale qualsiasi condotta prevista dall’art. 173 l. fall. Tuttavia,
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l’implementazione del controllo da parte di un organo della procedura di ausilio al Tribunale e
al giudice delegato limita inevitabilmente l’ambito di azione del professionista. Oltre a ciò, il
Tribunale dispone gli obblighi informativi periodici che il debitore deve osservare anche
relativamente alla gestione finanziaria dell’impresa e dell’attività compiuta anche ai fini della
predisposizione della proposta e del piano, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza
del commissario giudiziale. Rispetto alla precedente versione dell’art. 161 l. fall. il decreto “del
fare” ha rafforzato i meccanismi di controllo e ha dilatato le modalità di adempimento degli
obblighi informativi.
Il debitore è tenuto a depositare con periodicità mensile una situazione finanziaria dell’impresa,
pubblicata nel registro delle imprese subendo in caso di inosservanza le sanzioni di cui all’art.
162 l. fall. Nell’ipotesi in cui la sua attività si riveli inidonea alla predisposizione della proposta
e del piano, il Tribunale sentito il debitore e il commissario giudiziale può abbreviare il termine
stabilito dal giudice.
Si rivela opportuno concentrare l’attenzione sugli obblighi informativi, prescritti genericamente
dal Legislatore della riforma all’art. 161, comma 8, l. fall., e posti dal Collegio a carico della
società destinataria del decreto che dispone sulla domanda di concordato preventivo con
riserva di cui all’articolo 161, comma 6, l. fall. La norma non specifica in maniera puntuale
quali informazioni il debitore sia obbligato a fornire, presentandoli in cancelleria, salvo
precisare che devono anche riguardare la gestione finanziaria dell’impresa e l’attività compiuta
ai fini della predisposizione della proposta e del piano, lasciando così al Tribunale ampia
discrezionalità in ordine sia alla loro modulazione temporale, sia al loro contenuto. Appare
evidente come tale discrezionalità non possa trascurare elementi quali la dimensione
dell’impresa, la complessità delle trattative, nonché le passività e attività risultanti dai bilanci.
I vincoli informativi che possono essere imposti al debitore, devono essere individuati, di volta
in volta, a seconda della singola domanda. Dalle prime decisioni della giurisprudenza di merito
ritengono che essi consistono, per lo più, nella richiesta di deposito, se non avvenuto, di una
situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata, di una rappresentazione del
compimento degli atti di ordinaria amministrazione, di una relazione periodica di
aggiornamento sullo stato di avanzamento del piano (cfr. infra per i riferimenti
giurisprudenziali).
La previsione dei doveri informativi, principalmente a beneficio dei creditori, coerentemente
con il carattere negoziale assunto dalla procedura concordataria, rappresenta un necessario
correttivo rispetto alla facoltà concessa all’imprenditore in crisi di sottrarre il proprio patrimonio
alle azioni esecutive e cautelari dei creditori. Infatti, imponendo tale adempimento
“pubblicitario”, si tenta di preservare gli interessi del ceto creditorio, relativamente al periodo
temporale in cui all’imprenditore è riconosciuta la possibilità di elaborare il piano contenente la
descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta concordataria,
e, al contempo, ai creditori è precluso l’accesso a qualunque strumento di reazione. In altri
termini, lo scopo della norma è di permettere al Tribunale di verificare che nelle more del
periodo di “stasi”, concesso per la predisposizione del piano concordatario, il debitore si
adoperi e si attivi effettivamente, con tutti gli strumenti a sua disposizione, al fine della
presentazione di una proposta concordataria.
Altrimenti, il debitore ben potrebbe rimanere inerte, dato che la richiesta potrebbe anche
essere dettata solamente dall’esigenza di ritardare semplicemente le azioni esecutive e
cautelari, nonché i pagamenti da lui dovuti ai suoi creditori. Oltre a ciò, il debitore potrebbe
peggiorare la situazione patrimoniale, visto che, in tale fase, viene preservata la possibilità di
compiere tutti gli atti di impresa di ordinaria amministrazione, i quali sono sottratti a revoca sul
presupposto della legittimità e godono, inoltre, come visto, del beneficio della prededucibilità.
Le valutazioni del Giudice in ordine agli obblighi informativi in capo al debitore troveranno poi
ingresso nella successiva fase di esame da parte del Collegio del piano, della proposta e della
documentazione. Vale osservare, dunque, come in tale fase di osservazione pre-procedurale,
gli obblighi informativi disposti dal Giudice assegnano a tale figura un ruolo decisivo.
Dall’analisi dei provvedimenti finora emanati emerge l’utilizzo di un vasto spettro di obblighi
informativi, che, a seconda delle esigenze dettate dalla fattispecie, possono essere più o meno
dettagliati. Il Tribunale può prescrivere generici obblighi informativi attinenti alla gestione
dell’impresa nel tempo richiesto per l’integrazione della domanda (Tribunale di Mantova 27
settembre 2012, in IlCaso.it , I, 7874/2012), ovvero stabilire la comunicazione di relazioni
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informative di contenuto meno analitico, attestanti le operazioni realizzate, l’elenco dei crediti
derivanti, e l’indicazione del nominativo del creditore e dell’importo del credito (Tribunale di
Pisa 19 settembre 2012, cit.).
Il Collegio, in alternativa, può imporre la presentazione di report a carattere analitico,
prevedendo la periodica predisposizione di un’aggiornata relazione patrimoniale, economica e
finanziaria sull’andamento delle attività d’impresa (Tribunale di Asti 24 settembre 2012, in
IlCaso.it , I, 7859/2012), l’indicazione del compimento di atti di amministrazione anche solo
ordinaria (Tribunale di La Spezia 25 settembre 2012, in IlCaso.it , I, 7858/2012),
dell’effettuazione di pagamenti d’importo superiore a una determinata somma (Tribunale di
Modena 14 settembre 2012, in IlCaso.it , I, 7786/2012), delle richieste di pignoramento
pervenute (Tribunale di Velletri 18 settembre 2012, in IlFallimentarista.it ). Inoltre, si può
richiedere una relazione in merito all’attività eventualmente svolta con riferimento particolare a
eventuali debiti contratti (Tribunale di Modena 15 novembre 2012, in IlCaso.it , I, 8134/2012),
o un prospetto relativo all’ordinaria amministrazione dell’attività aziendale, con indicazione
dettagliata delle operazioni attive e passive superiori a un determinato importo (Tribunale di
Modena 22 ottobre 2012, in IlCaso.it , I, 8000/2012).
Infine, è possibile prescrivere di relazionare sullo stato delle trattative in corso con i possibili
acquirenti degli immobili; sullo stato della procedura di recupero del credito Iva e sui possibili
tempi di realizzo dello stesso; nonché sui flussi di cassa in entrata e in uscita nel periodo
interessato dalla relazione (Tribunale di Bolzano 25 settembre 2012, in IlFallimentarista.it ).
Per una maggiore garanzia, il Tribunale può disporre la designazione del professionista
attestatore ai sensi dell’art. 161, comma 3, l. fall., o dell’art. 182 bis , comma 1, l. fall.,
aggiungendo, a carico dell’esperto medesimo, il deposito mensile di un report sulle attività e
sulle verifiche in corso di svolgimento. Ciò ai fini della relazione che attesta la veridicità dei dati
aziendali e la fattibilità del piano concordatario in corso di predisposizione, ovvero l’attuabilità
dell’accordo secondo quanto disposto dall’art. 182 bis , comma 1, l. fall. (Tribunale di Terni 12
ottobre 2012, cit.). Inoltre, si può prevedere in capo al debitore medesimo l’obbligo di
deposito, entro 15 giorni, di una relazione riepilogativa sui contratti in corso di esecuzione
(Tribunale di Terni 12 ottobre 2012, cit.).
Gestione dell’impresa nella fase di pre-concordato
Analogamente all’art. 167 l. fall. a proposito del concordato vero e proprio, il comma 7 dell’art.
161 distingue tra gli atti di ordinaria e quelli di straordinaria amministrazione. Mentre il
compimento dei primi non presuppone particolari formalità, la realizzazione dei secondi è
ammessa unicamente in presenza di due requisiti concomitanti: in primo luogo, l’urgenza, che
si verifica quando risulta impossibile il differimento del compimento dell’atto alla fase
successiva all’apertura formale della procedura (cfr. Rolfi , «La generale intensificazione dell’
automatic stay », in IlFallimentarista.it , 2012); in secondo luogo, l’autorizzazione del
Tribunale a pena di inammissibilità, da emanarsi all’esito di apposita istanza dell’imprenditore,
se del caso seguita dall’assunzione di sommarie informazioni.
Posto che l’art. 161, comma 7, l. fall. non definisce in maniera puntuale le operazioni
straordinarie, è possibile avere riguardo all’elenco, certamente non tassativo, previsto dall’art.
167, comma 2, l. fall.
Per ulteriori riferimenti, essendo pacifico che per sua natura l’attività d’impresa si traduce
anche nel compimento di atti dispositivi, si può richiamare la distinzione tra ordinaria e
straordinaria amministrazione stabilita dalla Giurisprudenza di legittimità che adotta come
criterio il concetto di “normale gestione” in relazione al tipo di impresa in oggetto e alle sue
dimensioni. Quindi, la diversificazione deve basarsi sulla relazione dell’atto rispetto alla
gestione “normale” ossia “ordinaria” del tipo di impresa di cui si tratta e alle dimensioni in cui
essa viene esercitata (in proposito cfr. Cass., Sez. I, 4 maggio 1995, n. 4856, in Vita not .,
1996, 941).
Come si deduce dall’art. 182 quinquies , comma 4, l. fall., è necessario considerare, altresì,
come si ponga fuori dal perimetro dell’ordinaria amministrazione il pagamento dei debiti
pregressi, in forza del quale non solo i pagamenti dei debiti anteriori devono considerarsi
straordinari, ma essi risultano inderogabilmente vietati nel concordato liquidatorio.
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Invece, nel concordato in continuità è stabilito un regime autorizzatorio particolarmente
oneroso, prevedendosi che un esperto indipendente e provvisto di adeguate qualifiche
professionali attesti che il versamento è strettamente funzionale alla prosecuzione dell’attività
d’impresa, nonché strumentale al migliore soddisfacimento dei creditori.
Nel caso in cui si ritenga di individuare la ratio della disposizione nella necessità di tutelare la
par condicio creditorum , potrebbero reputarsi ammissibili i pagamenti dei crediti prededucibili
e privilegiati destinati a essere corrisposti per intero, posto che il relativo soddisfacimento si
rivela inidoneo ad arrecare pregiudizio agli altri creditori, considerando, inoltre, il positivo
effetto della mancata maturazione degli interessi sulle passività saldate anticipatamente.
L’ultimo periodo dell’art. 161, comma 7, l. fall. attribuisce il carattere della prededucibilità ai
crediti sorti in relazione agli atti legalmente compiuti in costanza di procedura. Inoltre, l’art.
182 quinquies , comma 1, permette all’imprenditore che abbia depositato domanda di
concordato preventivo anche “con riserva” di domandare al Tribunale l’autorizzazione a
contrarre finanziamenti, anche essi dichiarati prededucibili, a condizione che un professionista
in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) , verifichi il complessivo fabbisogno
finanziario dell’impresa fino all’omologazione e attesti che gli stessi finanziamenti siano
funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.
Per quanto concerne la compatibilità del pre-concordato con la disciplina dei rapporti pendenti
è opportuno osservare come, nonostante il mancato richiamo dell’art. 169 bis all’art. 161,
comma 6, si ritiene comunque preferibile l’applicazione della suddetta norma, non ravvisandosi
ragioni ostative. Tuttavia, sarà onere del Tribunale adottare gli accorgimenti più opportuni al
fine di evitare la risoluzione dei contratti pendenti, se non nei casi di effettiva funzionalità per
la migliore soluzione della crisi e a vantaggio della massa dei creditori (si veda in proposito
Vella , «Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”», in Il Fall.
, 2013, 97).
Infatti, un recente arresto ha affermato che la risoluzione dei contratti si giustifica unicamente
nell’ipotesi in cui la prosecuzione risulti di ostacolo al perseguimento della soluzione
concordataria e, quindi, alla migliore valorizzazione, a vantaggio di tutti i creditori, dei beni e
dei rapporti aziendali; tanto che la valutazione in ordine all’opportunità di autorizzare lo
scioglimento del contratto in corso di esecuzione al momento della presentazione della
domanda di concordato preventivo esige l’instaurazione del contraddittorio con la controparte
contrattuale in modo che questa possa formulare le eventuali ragioni di opposizione (Tribunale
di Monza 21 gennaio 2013, in IlCaso.it , I, 8530/2013).
Nonostante ciò, una sentenza di merito ha affermato che lo scioglimento dei contratti in corso
di esecuzione ex art. 169 bis l. fall. non può essere disposto nell’ipotesi di concordato
preventivo con riserva, potendosi però, in tal caso, concedersi la sospensione di detti contratti
per il periodo massimo di sessanta giorni (Tribunale di Pistoia 30 ottobre 2012, in IlCaso.it , I,
8079/2012) .
Considerazioni conclusive
È evidente come i benefici del concordato “con riserva” siano rinvenibili nell’anticipazione
dell’emersione della crisi, nella tutela immediata del patrimonio del debitore, nonché nella
facilitazione di accesso allo strumento concordatario da parte del debitore. Questi ha la
possibilità di elaborare il piano concordatario con maggiore tranquillità, al riparo dalle
aggressioni esecutive dei creditori, potendo predisporre nel tempo tecnico necessario, la
presentazione di una proposta di concordato preventivo.
In proposito, Lamanna , «Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia
concorsuale», cit., evidenzia la diffusa prassi dei Tribunali di concedere ai debitori, nell’ambito
dei procedimenti prefallimentari, un termine per depositare le domande di concordato o le
proposte di accordo che essi non fossero stati in grado di predisporre in precedenza. Tuttavia,
questa possibilità, in mancanza di un’apposita previsione in tal senso, non poteva
accompagnarsi a misure di protezione anticipata del patrimonio del debitore. Non sono
neppure trascurabili le conseguenze positive per il ceto creditorio che non potrà che trarre
vantaggio dall’anticipazione del periodo sospetto ai fini dell’azione revocatoria. Infatti, poiché il
ricorso può essere depositato in un momento notevolmente anteriore rispetto alla
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presentazione del piano e della proposta, il dies a quo per il computo del periodo sospetto
retroagirà alla data di deposito della domanda “in bianco” (per approfondimenti in merito, si
veda Zorzi , «Riflessioni sull’esenzione da revocatoria ex art. 67, comma 3, lett. a , l. fall. alla
luce dell’introduzione del concordato “in bianco”», in IlCaso.it , II, 327/2012.).
Inoltre, considerando gli effetti conservativi della presentazione del ricorso ex art. 161, comma
6, si potrebbe ipotizzare un obbligo di ricorrere a tale strumento semplificato, anche in assenza
dei presupposti del concordato, al mero scopo di conservare l’attivo in vista del successivo
fallimento, evitando il c.d. “assalto alla diligenza” da parte di creditori che intentano acquisire
titoli di prelazione, con una maggiore falcidia dei debiti chirografari. Infatti, l’imprenditore
appare naturalmente sottoposto al rischio laddove consente al ceto creditorio di accedere alle
informazioni rilevanti sulla sua situazione patrimoniale.
Di conseguenza, se da una parte si evidenzia la rilevanza di una forma di automatic stay ,
posto che, la presentazione della domanda “con riserva” di per sé non comporta un effettivo
pregiudizio per i creditori, che sarebbero in concreto danneggiati unicamente dal successivo
compimento di atti di gestione, i quali sarebbero irrevocabili e farebbero sorgere crediti
prededucibili; dall’altra, tuttavia, appaiono parimenti manifesti anche i rischi che possono
sorgere in termini di abuso dello strumento concordatario e di pregiudizio dei diritti dei
creditori.
Se, infatti, come si è detto, il termine per il deposito della proposta concordataria può avvenire
anche sei mesi dopo il deposito del ricorso, nei concordati di tipo liquidatorio si corre il pericolo
di assegnare un ingiustificato vantaggio all’imprenditore quando l’impresa sia già in principio
inevitabilmente destinata alla liquidazione. È palese come in tale ipotesi si moltiplicherebbero
gli effetti negativi della crisi sulle imprese che gravitano nel circuito dell’impresa in crisi
intrattenendo con essa rapporti commerciali.
la PRATICA
Fac-simile
DOMANDA DI CONCORDATO PREVENTIVO CON RISERVA
TRIBUNALE DI <...>
RICORSO EX ART. 161, COMMA 6, L. FALL.
nell’interesse di
<...>, (codice fiscale: <...>), in persona dell’amministratore unico, Dott. <...>, con sede in
<...>, ed elettivamente domiciliata in <...>, presso lo studio dell’Avv. <...> (codice fiscale:
<...>; indirizzo di posta elettronica certificata: <...>; fax: <...>), che la rappresenta e difende
in forza della delega a margine del presente atto.
premesso che
1. cenni storici, organi societari e notizie di carattere generale;
2. qualità di imprenditore commerciale non “sotto-soglia”;
3. cause che hanno determinato lo stato di crisi;
4. circostanze che giustificano l’impossibilità, allo stato, di varare il piano contenente la
descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta e la proposta
stessa;
5. iniziative che la ricorrente si propone di attuare nel corso del periodo di tempo che la separa
dal varo del piano;
***
Tutto ciò premesso, la <...>, in persona dell’amministratore unico, Dott. <...>, come in
epigrafe rappresentata e difesa
insta
affinché codesto Ill.mo Tribunale voglia:
- ordinare alla Cancelleria di pubblicare il presente ricorso nel Registro delle imprese entro il
giorno successivo a quello del deposito del medesimo presso la Cancelleria del Tribunale, ai
sensi dell’art. 161, 5 comma, l. fall. , affinché ne discendano gli effetti di cui all’art. 168 l. fall.,
tra i quali il divieto d’iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari e di costituire titoli di
prelazione non concordati;
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- impregiudicata l’eventuale proroga ai sensi della legge, concedere alla ricorrente il termine di
cui all’art. 161, comma 6, l. fall. per il deposito in Cancelleria della proposta , del piano e
dell’ulteriore documentazione prescritta nella misura massima (pari a centoventi giorni) o, in
subordine, nel diverso lasso temporale ritenuto congruo (comunque non inferiore a novanta
giorni) ;
- autorizzare la <...> alla stipulazione con <...> di un accordo transattivo avente a oggetto il
contratto <...> a condizione che l’intesa preveda <...>;
- successivamente al deposito, da parte della debitrice, della documentazione che la stessa si è
riservata di produrre, ammettere la ricorrente alla procedura di concordato preventivo.
Si producono:
1) visura <...>;
2) bilancio <...> al 31.12.2010;
3) bilancio <...> al 31.12.2011;
4) bilancio <...> al 31.12.2012;
5) elenco nominativo dei creditori con indicazione dei rispettivi crediti;
6) situazione patrimoniale <...> al 31.12.2012;
7) delibera dell’amministratore ex art. 152 l. fall.
luogo e data <...>
Il legale rappresentante <...>
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Societario e fallimentare

Pagamento delle transazioni commerciali: effetti contabili e fiscali
Sono in vigore, dal 1° gennaio 2013, le disposizioni in materia di pagamenti delle transazioni
commerciali introdotte dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192. Dopo una breve analisi delle
novità verrà analizzato l'impatto sul bilancio e i conseguenti effetti fiscali.
Gioacchino Pantoni, Claudio Sabbatini, Il Sole 24 ORE - Guida Pratica per le Aziende, gennaio
2014, n. 1
TERMINI DI PAGAMENTO: "RATIO" della normativa
Direttive Ue e norme di recepimento
L'art. 10, co. 1, L. 11 novembre 2011, n. 180 (cd. Statuto delle imprese) ha delegato il
Governo a modificare le disposizioni del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231. Quest'ultima
disposizione era stata emanata in recepimento della Dir. 29 giugno 2000, n. 2000/35 Ce per
combattere il fenomeno dei ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali. Il D.Lgs. 9
novembre 2012, n. 192, derivante dalla delega di cui sopra, è finalizzato a recepire la Dir. 16
febbraio 2011, n. 2011/7/Ue.
Le norme di seguito richiamate fanno riferimento al D.Lgs. 231/2002, così come modificate dal
citato D.Lgs. 192/2012. Secondo alcune stime, in Italia il ritardo nei pagamenti della pubblica
Amministrazione si aggira sui 90 giorni, contro gli 11 giorni della Germania.
SOGGETTI COINVOLTI
Imprese, professionisti e Pa
La norma in commento, anche per dare un aiuto alle aziende che affrontano la scarsa liquidità
del sistema economico, nasce con l'intento di garantire tempi brevi e certi nei pagamenti
tra imprese e tra imprese e pubblica Amministrazione; queste ultime sono identificate
dall'art. 3, co. 25, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) ed includono lo
Stato, le Amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto
pubblico, loro associazioni, unioni e consorzi. Nella definizione di pubblica Amministrazione vi
rientrano anche i soggetti di diritto privato, quando svolgano attività per la quale sono tenuti al
rispetto della disciplina di cui al Codice degli appalti. Nel concetto di imprese vanno inclusi
anche i professionisti.
Privati
Sono, invece, esclusi i rapporti commerciali con clienti privati.
RAPPORTI COMMERCIALI
La disciplina in esame si applica "ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una
transazione commerciale" (art. 1, D.Lgs. 231/2002).
Transazione commerciale
Per transazione commerciale si intendono i contratti stipulati tra i soggetti retro indicati
che comportano "in via esclusiva o prevalente" una consegna di merci o prestazione di servizi
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ed il relativo pagamento del prezzo (art. 2, D.Lgs. 231/2002).
Lavori pubblici
Sono inclusi anche i lavori pubblici, relativi a tutti i settori produttivi.
Non è applicabile:
• in presenza di procedure concorsuali o procedure di ristrutturazione del debito;
• in ipotesi di operazioni diverse da quelle commerciali, come in ipotesi di risarcimento
del danno "compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore".
Prodotti agroalimentari
Al momento manca una presa di posizione ufficiale che chiarisca come la normativa in
commento, di ordine generale, si concili con quella - speciale - applicabile alle cessioni di
prodotti agroalimentari (art. 62, D.L. 1/2012) che, ad esempio, fissa termini di pagamento (30
o 60 giorni a secondo se i prodotti sono o meno deteriorabili) e delle sanzioni amministrative
(da Euro 500 a Euro 500.000) in caso di violazione dei termini di pagamento.
TERMINI DI PAGAMENTO
I rapporti commerciali con le imprese devono essere regolati entro i termini evidenziati nella
tabella più avanti
Clausole inique
Sono nulle le clausole che definiscono termini di pagamento che "risultano gravemente inique
in danno del creditore" (art. 7, D.Lgs. 231/2002).
Ad esempio, è nulla la clausola che, nei rapporti commerciali in cui è parte la P.A.,
predetermina o modifica la data di ricevimento della fattura.
Il Giudice può dichiarare, anche d'ufficio, nulla una "clausola avuto riguardo a tutte le
circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il
principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del
contratto".
RAPPORTI FRA IMPRESE E PA
30 giorni
Dal ricevimento della fattura o della richiesta di pagamento. Non hanno
effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica
formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento;
Dal ricevimento dei beni o dalla prestazione dei servizi, quanto non è certa la
data di ricevimento della fattura o della richiesta di pagamento o quando
queste ultime sono anteriori a quello del ricevimento delle merci o della
prestazione dei servizi;
Dall'accettazione o dalla verifica (prevista dalla leggo o dal contratto) della
conformità al contratto dei beni o dei servizi ricevuti, nel caso in cui la fattura
o la richiesta di pagamento vengano ricevute dopo tale data. L'eventuale
procedura di conformità non può avere una durata superiore a 30 giorni dal
ricevimento della merce o della prestazione del servizio, salvo che la durata
superiore ai 30 giorni sia concordata dalle parti in forma scritta oppure
prevista nella documentazione di gara e, comunque, non sia gravemente
iniqua;
Oltre 30 giorni
Nei rapporti fra imprese è possibile derogare al termine dei 30 giorni,
stabilendo termini superiori: se questi superano i 60 giorni - purché non
gravemente iniqui - il termine di pagamento va pattuito in forma scritta.
30 giorni
Come sopra visto nei rapporti fra le imprese.
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Oltre 30 giorni
è possibile superare i 30 giorni "quando ciò sia giustificato dalla natura o
dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua
conclusione". In ogni caso gli stessi termini vanno pattuiti in forma scritta
e non possono comunque superare i 60 giorni (*).
60 giorni
I termini di 30 giorni sono raddoppiati se il debitore è:
- un'impresa pubblica, tenuta al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al
D.Lgs. 11 novembre 2003, n. 333;
- un ente pubblico riconosciuto che fornisce assistenza sanitaria.
(*) Questa previsione mal si concilia con la disposizione, contenuta nel Codice degli appalti,
che stabilisce il termine temporale di 90 giorni per la liquidazione del saldo finale: essa è
incompatibile con la disciplina europea e nazionale che prevede il termine di 30 giorni dalla
verifica della prestazione (cioè dal certificato di collaudo).
INTERESSI
Pagamenti tardivi
Come aveva già fatto il D.Lgs. 231/2002, anche il D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192 dispone alla
scadenza
dei
termini
di
pagamento
sopra
esaminati
il decorso
automatico degli interessi di mora per i pagamenti tardivi nell'ambito delle operazioni
commerciali di cui sopra (art. 4, D.Lgs. 231/2002).
Rateazione
E' possibile definire una rateazione del pagamento del corrispettivo dovuto; in tal caso gli
interessi moratori si applicano esclusivamente agli importi delle rate scadute.
Interessi
Gli interessi moratori sono individuati negli interessi legali di mora (8% nell'ultimo semestre
2013) oppure negli interessi concordati fra le imprese (art. 2, D.Lgs. 231/2002).
Misura
Si ricorda che gli interessi di mora sono composti da una componente variabile (stabilito
semestralmente dalla Banca centrale europea (Bce) e da una componente fissa (pari a 8 punti
percentuali).
Sono inique le clausole che escludono l'applicazione degli interessi di mora.
Suggerimento operativo: gli interessi di mora:
- sono calcolati su base giornaliera, in modo semplice, cioè gli interessi non producono a loro
volta interessi (art. 2, co. 1, lett. e), D.Lgs. 231/2002);
- si applicano anche nell'ambito dei rapporti di subfornitura, ai sensi della L. 18 giugno 1998,
n. 192.
SPESE DI RECUPERO CREDITI
Debitore in mora
Quanto il debitore, in mora a causa di ritardato adempimento della propria prestazione (il
pagamento), non è in grado di dimostrare "che il ritardato pagamento è stato determinato
dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile", il creditore ha
diritto (art. 3, D.Lgs. 231/2002):
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51
•
•
al rimborso delle spese di recupero crediti;
ad un importo per il risarcimento danni. Detto importo è fissato forfetariamente nella
misura di Euro 40, salvo prova del maggior danno.
Sono inique le clausole che escludono il risarcimento per i costi di recupero crediti.
DECORRENZA
Clausole inserite per legge
Le nuove disposizioni "si applicano alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1°
gennaio 2013". Dato che le clausole - a qualunque titolo previsto o introdotte nel contratto relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori e al risarcimento per i costi
di recupero, sono nulle laddove esse fossero inique a danno del creditore, si applicano le
seguenti disposizioni:
CLAUSOLE RELATIVE AL TERMINE DI PAGAMENTO
Art. 1339, c.c.
"Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge [o da norme
corporative], sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle
clausole difformi apposte dalle parti";
Art. 1419, c.c.
"La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la
nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero
concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le
clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative".
INQUADRAMENTO GIURIDICO E CONTABILE
Disciplina
La normativa comunitaria, recepita nel nostro ordinamento, in relazione alla decorrenza
automatica degli interessi sui ritardati pagamentoproduce dei riflessi sulla formazione del
bilancio d'esercizio e, parallelamente, sulla determinazione del reddito d'impresa.
In linea generale si può affermare che la normativa di cui al D.Lgs. 231/2002, recentemente
aggiornata con decorrenza 1° gennaio 2013, non ha apportato significativi mutamenti al
regime attuale e alle problematiche che già oggi si pongono su questa materia.
Suggerimento operativo: infatti, l'art. 11, co. 2, D.Lgs. 231/2002 prevede che sono fatte
salve le vigenti disposizioni del Codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina
più favorevole al creditore.
Codice civile
La nuova disciplina, infatti, conferma il principio - già presente nelle disposizioni del Codice
civile - di decorrenza automatica degli interessi di mora per i ritardi nell'adempimento delle
obbligazioni pecuniarie; principio che implica la produzione di questi interessi a vantaggio del
credito senza la necessità di uno specifico atto di messa in mora e a partire dalla infruttuosa
scadenza del termine per adempiere l'obbligazione. In questo senso - è bene sottolineare - già
oggi l'art. 1224, c.c. dispone che "nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di
denaro sono dovuti, dal giorno della mora, gli interessi legali, anche se non erano
precedentemente dovuti e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno"; per
tali obbligazioni, inoltre, non è necessaria la costituzione in mora del debitore, atteso che l'art.
1182, c.c., trattando del luogo dell'adempimento, dispone che "l'obbligazione avente per
oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo
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della scadenza" e il successivo art. 1219, co. 2, dichiara non necessaria la costituzione in mora
"quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore".
Rispetto alle norme accennate, la nuova disciplina si limita a porre regole più dettagliate e a
fissare alcune limitazioni alla possibilità di prevedere patti in deroga; ma il criterio di fondo ripetiamo - è sostanzialmente identico.
Per cui si presentano le medesime problematiche, mai risolte, già presenti in passato.
DISCIPLINA GIA' PRESENTE NEL CODICE CIVILE
Art. 3, D.Lgs. 231/2002: il debitore è
responsabile dell'inadempimento ed è tenuto
a corrispondere al creditore gli interessi
moratori salvo che dimostri che il ritardo nel
pagamento del prezzo è stato determinato
dall'impossibilità della prestazione derivante
da causa a lui non imputabile
Art. 3, D.Lgs. 231/2002: la mora
presuppone che il creditore non abbia ricevuto
nei termini l'importo dovuto
Art. 4, D.Lgs. 231/2002: gli interessi di
mora decorrono automaticamente
Art.
1218,
c.c.:
viene
esclusa
la
responsabilità solo se il creditore non ha
adempiuto alla propria obbligazione (art.
1460, c.c.)
Art. 1206, c.c.: il debitore evita la mora se
dimostra di aver offerto al creditore (es.
mediante
invio
di
assegno,
in
Cass.
1326/1995, ma non attraverso la mera
costituzione di un deposito nella disponibilità
del debitore, in Cass. 1187/1975).
Artt. 1219 e 1224, c.c.: la costituzione in
mora si effettua con la richiesta - scritta - di
pagamento (mora ex persona). Essa non è
necessaria nei casi di mora ex re che include
l'ipotesi per cui la prestazione debba essere
eseguita al domicilio del creditore (luogo, in
senso lato, riferibile alla sfera del creditore, in
Cass. 6887/1994). Anche le prestazioni
pecuniarie debbono essere eseguite nel
domicilio del creditore (art. 1182, c.c.). Il
D.Lgs. 231/2002 quindi incide solo sui
pagamenti della PA per i quali gli artt. 54 e
segg. del Regio Decreto 18 novembre 1923,
n. 2440 stabiliscono che le obbligazioni
pecuniarie dello Stato sono soddisfatte presso
gli uffici di tesoreria e sono quindi obbligazioni
da adempiersi al domicilio del debitore.
Rilevazione per maturazione
Per quanto concerne le modalità di rilevazione in bilancio degli interessi di mora, la tesi
prevalente è quella della loro contabilizzazioneper maturato, alla stessa stregua
degli interessi corrispettivi. Principio di fondo di questa gli interessi di mora devono
considerarsi acquisiti al patrimonio del creditore "giorno per giorno, in ragione della durata del
diritto"; conseguentemente, nel caso in cui titolare di tale diritto risulti essere un imprenditore
commerciale, la maturazione degli interessi secondo le descritte regole ne impone la
rilevazione per competenza nelle scritture contabili e nel bilancio, ai fini della determinazione
del risultato di gestione, salva, ovviamente, la valutazione dei corrispondenti crediti secondo le
regole dettate dall'art. 2426, co. 1, n. 8) c.c. e, cioè, tenendo conto anche del presumibile
valore di realizzo.
PONTInews24
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Vecchio principio contabile
In passato si era sviluppato un criterio contabile volto a consentire di non rilevare affatto gli
interessi di mora, laddove si preveda di non incassarli. In particolare, il documento contabile n.
15 della Commissione per la statuizione dei principi contabili affermava (nel testo antecedente
la revisione avvenuta nel 2005) che (par. D.IX. Interessi di dubbio incasso) "quando l'incasso
di interessi è dubbio, il riconoscimento dei medesimi va sospeso e quelli in precedenza rilevati
vanno valutati al presumibile valore di realizzo"; aggiungendo, comunque, che "se si ritiene di
continuare a riconoscerli, va effettuato uno stanziamento nel fondo svalutazione crediti in
relazione alla possibilità di recupero".
In altri termini, secondo tale orientamento, poteva ritenersi corretto che, in presenza di fondati
rischi di realizzabilità dei crediti, sia possibile derogare alla regola di carattere generale che
impone la rilevazione degli interessi attivi sulla base della loro maturazione economica.
Attuale Oic 15
Il Principio contabile sui crediti, Oic 15, attualmente (nel testo rivisto a seguito, anche, della
riforma sul bilancio che ha cancellato gli inquinamenti fiscali) recita (si noti l'esplicito
riferimento al D.Lgs. 231/2002):
OIC 15
"D.IX. Interessi di dubbio incasso.
E' necessario osservare che con il D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 è stata data attuazione alla
Direttiva Ue 2000/35 Ce sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Le disposizioni legislative prevedono l'automatica applicazione degli interessi dalla scadenza del
termine di pagamento in base al tasso d'interesse diffuso semestralmente dal Ministero
dell'Economia. Se il termine non è fissato contrattualmente, gli interessi decorrono dopo trenta
giorni a partire, a seconda dei casi, dalla data di ricevimento della fattura, di ricevimento delle
merci o prestazione dei servizi, ovvero dalla data di accertamento della conformità della merce
o dei servizi alle previsioni contrattuali. Al riguardo, quando l'incasso di interessi è dubbio va
effettuato uno stanziamento nel fondo svalutazione crediti in relazione alla possibilità di
recupero".
Interessi attivi di mora
Interessi passivi di mora
RILEVAZIONE IN CONTO ECONOMICO
Voce C.16 - altri proventi finanziari
Voce C.17 - interessi e altri oneri finanziari
PROFILI FISCALI
Vecchie regole: per competenza
L'obbligo, di ordine contabile, di rilevare gli interessi moratori che automaticamente (al
verificarsi del puntuale adempimento del debitore) vengono a maturare ha indotto il
Legislatore (anche a seguito dell'abolizione degli inquinamenti fiscali, come quelli di cui all'art.
71 del vecchio Tuir (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 in vigore fino al 2003) che prevedeva la
possibilità di iscrivere un fondo svalutazione interessi dimora al solo fine di posticiparne la
tassazione al momento dell'incasso) a rinviare la tassazione di tali particolari poste economiche
al momento dell'incasso (si veda l'attuale art. 109, co. 7, Tuir).
Nuove regole: per cassa
E' interessante ricordare quanto osservato dalla C.M. 20 novembre 1979, n. 43 secondo cui
"l'evidenziazione in bilancio degli interessi moratori e l'istituzione del relativo fondo nel periodo
d'imposta di maturazione vanno intese come condizioni necessarie affinché gli interessi
moratori possano concorrere alla formazione del reddito imponibile nel periodo d'imposta in cui
ne avviene la riscossione" e "conseguentemente gli interessi non evidenziati in bilancio e,
comunque, quelli per i quali non sia avvenuto l'accantonamento nell'apposito fondo, devono
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essere assoggettati a tassazione nel periodo di maturazione".
Mancata contabilizzazione degli interessi maturati
In questa ricostruzione, il contribuente che avesse omesso di rilevare in bilancio per
competenza gli interessi di mora sarebbe incappato nella immediata tassazione degli stessi.
Tali considerazioni dovrebbero valere ancor oggi: pur non potendo più iscrivere un fondo
svalutazione crediti per interessi di mora al solo fine di rinviarne la tassazione (operazione
non più necessaria, dato il rinvio di tassazione ex lege al momento dell'incasso degli stessi),
resta l'obbligo - di natura contabile - di iscrivere a bilancio i crediti maturati. Questi, al pari
degli altri crediti:
• sono valutati secondo il presumibile valore di realizzo (art. 2426, n. 8, c.c.);
• possono essere dedotti, ai fini della determinazione del reddito imponibile, al ricorrere
di elementi certi e precisi (art. 101, co. 5, Tuir).
SUGGERIMENTI OPERATIVI
Chiarimenti
Per cui, data l'incertezza in ordine alla tassazione di interessi di mora maturati, ma non
iscritti (e svalutati) in bilancio, si può vagliare l'ipotesi della rinuncia, anche a priori dei crediti
maturati per interessi di mora (R.M. 6 settembre 1980, n. 9/517, Cass. 10 maggio 2007, n.
23863).
Pertanto, si potrebbe suggerire uno dei seguenti comportamenti che manifestino la
convenienza - per il creditore - di rinunciare preventivamente all'automatismo della decorrenza
degli interessi di mora.
E' opportuno far risultare tale scelta da un verbale del Consiglio di amministrazione.
SCELTA
1) Il creditore vuole rinunziare
all'automatismo legale per tutti i
crediti o solo per alcuni clienti.
Per ottenere gli interessi si
dovrà
procedere
a
formale
intimazione.
2) Il creditore vuole mantenere
libertà di scelta, di derogare
all'automatismo legale.
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SCELTE POSSIBILI
MODALITA' APPLICATIVE
E' necessario scrivere nelle condizioni generali di
vendita (vale per chi ha l'abitudine di far sottoscrivere
l'ordine, la copia commissione o il contratto) o in tutte
le fatture "interessi di mora, nella misura di cui al D.Lgs
9.10.2002, n. 231, decorrenti dall'intimazione di
pagamento".
Nel caso si voglia che la rinuncia abbia valore solo per
specifici clienti o per certe forniture, sarà sufficiente
stampare sulle relative fatture la clausola a fianco
riportata.
Il risultato può essere ottenuto adottando una delibera
del Consiglio di Amministrazione secondo lo schema
seguente: "esaminato il testo del D.Lgs. 9.10.2002 n.
231, considerato che la pretesa di ripetere ai clienti tutti
gli interessi di mora che potrebbero maturare secondo
tale legge, magari su partite di piccolo importo e per
ritardi di modesta durata, comporterebbe un notevole
aggravio di lavoro amministrativo, il cui onere potrebbe
anche essere superiore al vantaggio derivante dagli
interessi, considerato, inoltre, che la pretesa di
incassare indiscriminatamente i suddetti interessi di
mora potrebbe avere conseguenze commerciali negative
quali anche la perdita di clienti
delibera
che gli interessi di mora saranno addebitati ai clienti
solo su decisione specifica del responsabile dell'ufficio
commerciale
(dell'amministratore
delegato)
che
55
3) Il creditore rinuncia
interessi maturati verso
singolo debitore.
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agli
ogni
deciderà di intimare il pagamento delle partite aperte,
con gli interessi di mora nella misura di cui all'art. 5 del
D.Lgs 231 del 2002, in relazione all'andamento degli
affari con il particolare cliente; copia dell'intimazione di
pagamento inviata al cliente dovrà essere comunicata al
responsabile della contabilità per i conseguenti
adempimenti contabili; il responsabile dell'ufficio
commerciale (dell'amministratore delegato) avrà in
relazione alle prospettive di incasso del credito
principale e all'andamento degli affari con il particolare
cliente, facoltà di rinunciare, in tutto o in parte, agli
interessi di mora maturati; nei moduli su cui saranno
compilate le fatture sarà scritto interessi di mora, nella
misura di cui al D.Lgs. 9.10.2002 n. 231 decorrenti
dall'intima-zione di pagamento".
Potrà inviarsi una lettera al Cliente del tipo "... Lei ha
maturato, nel corso dell'anno... un debito per interessi
moratori ai sensi del D.Lgs. 9.10.2002 n. 231 pari ad
Euro... che in con-siderazione dei buoni rapporti
commerciali, non Le verranno richiesti".
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Societario e fallimentare

Ristrutturazione del debito: nuovi strumenti della legge fallimentare
Nel presente contributo verranno introdotte le caratteristiche principali relative agli accordi di
ristrutturazione dei debiti
Fabrizio Bencini, Mancaruso Matteo, Il Sole 24 ORE - Guida Pratica per le Aziende, gennaio
2014 - n. 1
ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
L'accordo di ristrutturazione dei debiti è disciplinato dall'art. 182 bis, L.f.
E' un contratto di diritto privato concluso tra la parte debitrice (generalmente un'impresa) e
uno o più creditori che rappresentino una percentuale significativa dei crediti (almeno il 60%).
Relazione di un esperto
Si perfeziona con il consenso delle parti e non prevede il coinvolgimento della totalità dei
creditori, che pertanto sono liberi di accettare o meno individualmente l'accordo contratto con
il proponente (debitore).
Deve essere accompagnato dalla relazione di un esperto circa l'attuabilità dell'accordo stesso,
con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
estranei (i creditori che non hanno aderito all'accordo).
Pertanto rappresenta uno strumento di risoluzione della crisi di natura privatisticacontrattualistica, semplificato rispetto al concordato preventivo (art. 160,L.f.).
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono caratterizzati da due momenti:
• quello stragiudiziale, nel quale l'imprenditore in crisi "rinegozia" con i creditori la propria
situazione debitoria;
• quello giudiziale, in cui avviene l'omologazione dell'accordo, al fine di renderlo
legalmente effettivo tra le parti.
Sotto il profilo del contenuto, gli accordi di ristrutturazione presentano le seguenti
caratteristiche:
• dal lato dei creditori, quest'ultimi possono ricevere proposte di soluzione stragiudiziale
da parte del debitore quali: dilazioni di pagamento, rinunce totali o parziali agli interessi
o addirittura ad una parte del capitale, emissione di titoli di debito con valenza
novativa, conversione di crediti in capitale, creazione anche di nuove obbligazioni come
conseguenza di finanziamenti da utilizzare per l'estinzione di precedenti obbligazioni,
costituzione di garanzie o impegno a stipulare negozi attuativi;
• dal lato del debitore, l'accordo può prevedere sia che l'attività d'impresa continui in
capo al debitore stesso o che venga affidata ad un terzo, sia che l'imprenditore ceda in
tutto o in parte i beni ad uno o più creditori o che proceda alla liquidazione.
Più in generale l'accordo di ristrutturazione del debito è finalizzato a ripristinare la condizione
di solvibilità dell'impresa debitrice, attraverso un pagamento in percentuale dei creditori
aderenti al patto, senza la necessità che essi rispettino la regola della par condicio creditorum.
L'utilizzo di tale strumento potrebbe servire a rimuovere l'insolvenza ed evitare il fallimento
dell'impresa. Anche per tale strumento è necessaria la predisposizione di un piano che può
avere ad oggetto la mera ristrutturazione dei debiti, ovvero contemplare un vero e proprio
risanamento dell'impresa in difficoltà. Il piano, come prescritto dalla legge, deve essere
accompagnato dalla relazione redatta da un professionista, il quale assume un ruolo cruciale
nell'assicurare l'idoneità dell'accordo a superare la crisi. Pertanto, il Tribunale ha il
poteredovere di respingere la richiesta di omologa di un accordo non idoneo a superare la crisi
e la cui relazione, soprattutto, sia scarsamente motivata e priva di qualsiasi informativa sulla
concreta attuabilità dell'accordo stesso.
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ASPETTI PARTICOLARI
Professionista negli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 67, co. 3, lett.
d) (art. 182 bis, co. 1, L.f.)
Adempimenti del professionista
L'apporto normativo, oltre definire che il professionista deve essere designato daldebitore,
prevede anche che egli attesti la veridicità dei dati aziendali e l'attuabilitàdell'accordo con
particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il pagamento integrale dei creditori
estranei. Questa previsione chiarisce che l'attività dell'esperto deve estendersi all'analisi di
accertamento circa l'attendibilità e realtà dei dati indicati negli accordi, con la conseguenza di
più pregnanti doveri e responsabilità, anche di carattere penale, non potendosi egli limitare a
un controllo formale di attuabilità. E' richiesta inoltre, per il professionista, per il richiamo
all'art. 67, co. 3, lett. d) la medesima caratteristica diindipendenza prevista per attestare i
piani ex art. 67, L.f.
L'esperto ha il compito di svolgere una due diligence sulle informazioni prospettiche
dell'impresa in crisi. Pertanto la difficoltà dell'incarico del professionista è duplice: da un lato i
dati oggetto di revisione non hanno ancora natura certa, ma sono il frutto di proiezioni e attese
future degli amministratori, dall'altro lato la situazione non ordinaria in cui il piano viene
costruito ne influenza l'attendibilità rendendone particolarmente delicata la valutazione delle
ipotesi alla base.
E' stato osservato che la ragionevolezza di un piano nasce dall'osservazione congiunta di alcuni
rilevanti profili quali: attendibilità, realizzabilità e visibilità.
Il professionista chiamato ad esprimere un giudizio di ragionevolezza sia nel contesto digoing
concern sia nel più complesso contesto di crisi aziendale non può che fare riferimento ai
principi di revisione internazionali in materia di verifica dei dati prospettici. Infatti a livello
europeo i principi di revisione vigenti sono quelli emanati dalla commissione dell'Ifac
(International Federation of Accountants) denominata Iaasb (International Auditing and
Assurance Standard Board).
Principi contabili di riferimento
Tra i documenti emanati e raccomandati dall'Iaasb vi sono gli Isae International Standards on
Assurance Engagements, che costituiscono i principi di revisione applicabili negli incarichi
diassurance ossia di attestazione. In particolare trova applicazione nelle fattispecie qui studiate
il documento Isae 3400 - che ha sostituito il precedente Isa 810 - il quale tratta il tema "The
examinationof prospectivefinancial information", stabilendo gli standard di riferimento per il
processo di verifica delle informazioni prospettiche finanziarie.
Pagamento dei creditori estranei all'accordo
Pagamento dei creditori
L'integrazione normativa chiarisce espressamente come il pagamento dei creditori estranei
debba avvenire regolarmente. Infatti non sussiste alcuna incertezza nella dottrina prevalente
circa la locuzione "regolare pagamento", ovvero un pagamento per intero e alla scadenza. La
revisione in questione definisce anche le tempistiche per il soddisfacimento di detti debiti
estranei, le quali secondo la dottrina erano previste nell'immediato pagamento a seguito
dell'omologa, che sono:
• entro cento venti giorni dall'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data;
• entro cento venti giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti
all'omologazione.
La previsione di un termine per la soddisfazione dei creditori estranei potrebbe facilitare il
ricorso ad una procedura negoziale tra le parti, "beneficiando del cosiddetto scaduto fisiologico"
ossia lasciare all'imprenditore il tempo per reperire le risorse necessarie al pagamento dei
creditori estranei secondo i termini sopra esposti e consentire di non gravare ulteriormente la
propria situazione societaria.
Ricorso anticipato o preventivo con riserva di concordato e successiva proposizione dell'accordo
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(art. 182 bis, L.f.)
Ricorso anticipato
Le modifiche apportate all'art. 161, L.f. in tema di domanda di concordato relative anche gli
accordi
di
ristrutturazione,
permettono di
anticipare la tutela da azioni
esecutive ecautelari sul patrimonio dell'imprenditore consentendogli di presentare ricorso per
l'ammissione alla procedura di concordato preventivo e riservarsi di presentare la proposta
definitiva, il piano e la documentazione entro un termine fissato dal giudice compreso:
• tra sessanta e centoventi giorni;
• prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre 60 gg.
In questi stessi termini il debitore, invece della proposta definitiva di concordato preventivo,
può depositare domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.
182 bis, L.f.
Nuova finanza (art. 182 quinquies, co. 1, L.f.)
Gestione della crisi d'impresa
La norma richiamata interviene per risolvere una delle maggiori criticità del sistema pre
riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. con L. 7 agosto 2012, n. 134, e
cioè la difficoltà di una corretta gestione della crisi di impresa per la quasi assoluta mancanza
del cd. mercato della Finanza Ponte, finanza che serve all'impresa per superare il periodo
intercorrente tra l'evidenziarsi della crisi/insolvenza e la presentazione dell'accordo di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis.
Per poter accedere alla finanza ponte è ora necessario che l'imprenditore in crisi, che presenta
l'accordo di ristrutturazione, richieda contestualmente al Tribunale l'autorizzazione a contrarre
finanziamenti prededucibili (previsione all'evidenza di grande importanza soprattutto in ottica
di continuità d'impresa). E' anche necessario che un esperto in possesso dei requisiti di cui
all'art. 67, co. 3, lett. d), L.f. attesti, previa verifica del complessivo fabbisogno finanziario
dell'impresa sino all'omologazione, che tali finanziamenti siano funzionali alla migliore
soddisfazione dei creditori.
Pagamenti anticipati (art. 182 quinquies, co. 5, L.f.) - Esenzione da azione
revocatoria
Presentazione di omologazione
E' previsto, nel caso di presentazione di domanda di omologazione di un accordo di
ristrutturazione dei debiti, che l'impresa debitrice che ne faccia domanda possa chiedere in tale
contesto al Tribunale l'autorizzazione a pagare crediti anteriori per prestazione di beni o
servizi, con una domanda adeguatamente motivata e supportata da elementi oggettivi.
Tuttavia condizione necessaria per concedere l' autorizzazione è che un professionista, in
possesso dei requisiti di cui all'art. 67 co. 3 lett. d), L.f. attesti che tali pagamenti siano
essenziali e consentano la prosecuzione della attività di impresa sino alla omologa dell'accordo
di ristrutturazione e che la prosecuzione della attività di impresa sia funzionale ad assicurare la
migliore soddisfazione dei creditori.
Sospensione dell'obbligo di ricapitalizzazione negli accordi di ristrutturazione dei
debiti (art. 182-sexies, co. 1, L.f.)
Bonus da esdebitazione
Ai sensi dell'art. 182 sexies, L.f. dalla data di deposito della domanda di omologa e sino alla
omologa la presenza di perdite qualificate o la riduzione del capitale al di sotto del minimo
legale, non produce gli effetti della relativa causa di scioglimento ad essa connessa sino
all'omologa dell'accordo. Successivamente alla omologa le predette norme riacquisteranno
operatività ma potrà soccorrere il cd. "bonus da esdebitazione" nella determinazione della
perdita.
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Casi pratici
 Immobili
 AFFITTI VALIDI ANCHE SENZA ALLEGARE L'APE
D. Ho stipulato un contratto di locazione abitativa a canone libero, della durata di quattro anni
più quattro, in data 2 ottobre 2013. Il contratto è stato registrato all'agenzia delle Entrate il 24
ottobre scorso. Ho scoperto solo qualche giorno fa che avrei dovuto predisporre anche una
certificazione energetica e allegarla al contratto. Peraltro, né l'inquilino né le Entrate mi hanno
chiesto nulla in proposito. Ora sento che la certificazione non è più necessaria. Vorrei avere un
chiarimento sulla situazione normativa e sapere se rischio qualcosa per non aver predisposto e
allegato a suo tempo la certificazione energetica.
---R. Le regole sulla certificazione energetica sono cambiate di nuovo qualche settimana fa: con il
decreto «destinazione Italia» (il Dl 145/2013), dal 24 dicembre scorso non è più necessario
allegare l'Ape (attestato di prestazione energetica) al nuovo contratto di locazione per singole
unità immobiliari. L'obbligo rimane solo per le locazioni di interi edifici, oltre che per i
trasferimenti a titolo oneroso.
Può stare tranquillo anche chi – come il lettore – ha stipulato un contratto dal 4 agosto 2013,
data di entrata in vigore della legge 90 (di conversione del Dl 63/2013), che disponeva
l'obbligo di allegare l'Ape a pena di nullità del contratto stesso. Il contratto viene sanato con il
pagamento di una sanzione sostitutiva di quella della nullità in precedenza stabilita. L'unico
caso in cui la sanatoria non è possibile è quello in cui la nullità sia già stata dichiarata dal
giudice con sentenza passata in giudicato (articolo 1, comma 8, del Dl 145/2013): ma si tratta
con tutta evidenza di un'ipotesi di scuola.
La sanatoria può essere chiesta da una delle parti del contratto o da un loro avente causa, così
che il pagamento della sanzione impedisce qualsiasi eventuale postuma eccezione di nullità.
Peraltro, potrebbe darsi benissimo che il contratto prosegua per mesi o anni senza che
nessuno invochi la nullità, né chieda la sanatoria.
Comunque, con l'entrata in vigore del decreto «destinazione Italia» (24 dicembre 2013) gli
obblighi non vengono azzerati. Il locatore deve informare il proprio conduttore sulla
prestazione energetica del bene immobile oggetto della locazione, così come la si deduce dal
relativo attestato che, in ogni caso, dev'essere messo a disposizione dell'inquilino ancor prima
di concludere il contratto di locazione, cioè nel momento in cui iniziano le trattative dirette a
concedere il godimento del bene (articolo 6, comma 2, del Dlgs 192/2005, così come
modificato dalla legge 90/2013).
L'adempimento dell'obbligo di informativa va documentato attraverso l'inserimento nel
contratto di una clausola con cui il conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la
documentazione in ordine alla prestazione energetica del bene locato. È sufficiente riportare
nel contratto la dichiarazione dell'interessato di avere ricevuto le opportune informazioni,
senza che sia necessario specificare nel dettaglio il tipo e la qualità delle stesse. Si tratta quindi
di una semplice dichiarazione del conduttore, da recepire nel corpo del contratto, non
richiedendo la norma alcuna altra particolare formalità.
Il fatto che l'Ape debba essere messo a disposizione del conduttore sin dal momento delle
trattative, unitamente alla dichiarazione che il conduttore stesso deve rendere di avere
ricevuto, oltre che le informazioni, anche «la documentazione comprensiva dell'attestato»
(nuovo articolo 6, comma 3, del Dlgs 192/ 2005), lascia presumere che incombe sul locatore
anche un più generale obbligo di consegna dell'Ape.
Eliminato l'obbligo di allegazione dell'Ape per le locazioni di singole unità immobiliari – che in
precedenza era sanzionato con la nullità – resta ora una sanzione da 1.000 a 4mila euro (da
ridurre alla metà per i contratti di durata inferiore a tre anni) per l'ipotesi di mancata
PONTInews24
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dichiarazione all'interno del contratto. La sanzione viene posta in capo alle parti in via solidale.
Tale sanzione è applicabile anche alle ipotesi di contratti stipulati, come sopra si è visto, dopo
l'entrata in vigore della legge 90/2013 (4 agosto 2013), a cui non era stato allegato l'Ape o che
difettavano dell'informativa su di essa. Si noti che la sanzione non assume naturalmente
carattere di sanatoria, così che il pagamento di essa non esonera il proprietario dal provvedere
comunque agli obblighi impostigli dal decreto in esame.
Gli obblighi riguardano solo i contratti che si stipulano per la prima volta, restando pertanto
escluse le ipotesi delle proroghe, delle cessioni, delle successioni dei contratti e casi similari.
Sono esclusi dall'obbligo anche i nuovi contratti non soggetti a registrazione, quelli cioè con
durata non superiore complessivamente a 30 giorni all'anno.
Al di là dell'obbligo di informazione e consegna, non viene comunque meno il dovere del
proprietario di dotare il proprio immobile dell'attestato di prestazione energetica, che continua
a essere previsto dall'articolo 6, comma 2, del Dlgs 192/2005, e la cui mancanza viene punita
con una sanzione da 300 a 1.800 euro. L'obbligo di consegna della certificazione energetica
all'inquilino è rispettato attraverso la stessa previsione dell'obbligo di dotazione.
Da non dimenticare infine che, nel caso di offerta di vendita o di locazione, gli annunci tramite
tutti i mezzi di comunicazione commerciali devono riportare l'indice di prestazione energetica
dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o dell'unità immobiliare, e la classe energetica
corrispondente.
Attenzione, però, alla possibilità che alcune Regioni abbiamo adottato sanzioni differenti, in
forza della cosiddetta "clausola di cedevolezza" prevista dal Dlgs 192/2005 (articolo 17) che ha
lasciato facoltà alle Regioni di adottare autonomi provvedimenti per disciplinare la materia. E
così, ad esempio, per le locazioni stipulate in Piemonte, al pari di quelle in Liguria, il certificato
energetico dev'essere messo a disposizione del conduttore, per cui, se l'immobile ne è privo, il
locatore incorre nella sanzione pecuniaria da 500 a 5mila euro a seconda delle superfici utili
locate.
In Lombardia (dove peraltro il certificato continua a denominarsi Ace) l'obbligo di consegna al
locatore prevede sanzioni maggiori (da 2.500 a 10mila euro) e dev'essere osservato anche in
caso di tacito rinnovo del contratto.
Nessuna sanzione invece per l'Emilia Romagna, pur persistendo l'obbligo di consegna. Per la
Toscana la mancata dotazione dell'attestato di certificazione energetica comporta il
declassamento dell'immobile alla classe più bassa. Infine, la Valle d'Aosta, dove la mancata
consegna comporta una sanzione da 300 a 1.800 euro.
Caso per caso
IL CONDUTTORE DEVE ESSERE «INFORMATO»
Il 7 gennaio ho firmato un contratto di locazione con uno studente universitario. Non ho la
certificazione energetica e non l'ho ancora registrato alle Entrate. Posso rimediare
predisponendo ora una certificazione energetica?
-----------L'immobile deve essere fornito dell'(Ape), che può essere quindi sempre predisposto. Non
essendo però il conduttore stato preventivamente informato circa la prestazione energetica
dell'immobile, il locatore resta soggetto alle sanzioni di cui all'articolo 6, comma 3, Dlgs
192/2005 (da 1.000 a 4mila euro, dimezzati se la locazione non eccede i tre anni).
«IPE» E CLASSE NELL'ANNUNCIO SUL PORTONE
Sta per scadere un contratto 4+4 nella casa di cui sono proprietario e l'inquilino se ne andrà.
Devo inserire la classe energetica dell'alloggio già nell'annuncio affisso sul portone? E cosa
succede se non lo faccio?
-----------Gli annunci di offerta di locazione tramite tutti i mezzi di comunicazione commerciali devono
riportare l'indice di prestazione energetica dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o
dell'unità immobiliare e la classe energetica corrispondente. In caso di violazione dell'obbligo, il
responsabile dell'annuncio è punito con la sanzione amministrativa da 500 a 3.000 euro.
PONTInews24
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LA CHANCE DI INVOCARE LA NULLITÀ
Il 10 settembre ho stipulato un contratto di locazione commerciale senza Ape. Il conduttore
non paga regolarmente il canone. Posso invocare la nullità per liberarmi del contratto?
-----------Il 4 agosto 2013 è entrata in vigore la legge 90, che ha previsto la nullità del contratto di
locazione qualora a esso non sia stato allegato l'attestato di prestazione energetica del bene
immobile concesso in locazione. La nullità può essere fatta valere sino che una della parti – e
quindi anche il conduttore – non richieda di poterla sanare con il pagamento della sanzione
prevista dal Dl 145/13.
UNA CLAUSOLA INDICA LA PRESA VISIONE
Devo stipulare il contratto di locazione di un ufficio. Ho già l'Ape, ma che cosa devo farne, ora
che non è più obbligatorio?
-----------L'obbligo primario è quello di inserire nel testo del contratto una apposita clausola con cui il
conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine
all'attestazione della prestazione energetica, di cui riceve copia. È sufficiente un richiamo di
riferimento ai principali dati emergenti dall'Ape che, in ogni caso, deve essere messo a
disposizione del conduttore affinché prenda buona nota del suo contenuto.
PATTI BREVI FUORI DALL'OBBLIGO
Sono proprietario di una casa di vacanze, che do in locazione per 2-3 settimane in estate. Devo
necessariamente consegnare l'Ape all'inquilino all'atto del contratto?
-----------La nuova normativa dettata in tema di prestazione energetica è chiara nel prevedere l'obbligo
di osservanza di tale incombente solo per i contratti di locazione soggetti a registrazione.
Inoltre, è necessaria la registrazione solo per quei contratti di durata complessiva superiore a
trenta giorni l'anno. Cosicché deve escludersi l'obbligo di consegna dell'Ape al conduttore nei
casi in cui la locazione abbia nel suo insieme una durata inferiore.
L'ONERE SCATTA PER L'IMMOBILE CEDUTO A TERZI
Non ho alcuna intenzione di vendere o locare l'appartamento in cui abito; chiedo se devo
comunque provvedere all'Ape.
-----------Se si resta al tenore letterale della legge vigente, l'obbligo di dotare l'immobile dell'Ape
sussiste solo quando si intenda trasferirlo a titolo oneroso, oppure concederlo in locazione.
L'Ape può essere utile per fotografare i reali consumi dell'edificio e individuare eventuali
interventi migliorativi. Per alcune tipologie di interventi, è richiesto per beneficiare della
detrazione fiscale del 65 per cento.
IL DEPOSITO DI MATERIALI È ESENTE
Devo affittare un locale, come deposito di materiali edili, che non accoglierà persone, essendo
anche privo di energia elettrica. Devo dotarlo di Ape?
-----------Sono esclusi dall'obbligo di dotazione dell'Ape tutti gli immobili il cui utilizzo non prevede
l'installazione o l'impiego di sistemi tecnici e, in genere, tutti quelli per i quali non sia
necessario garantire quel confort abitativo, che ricomprende tutti i casi in cui l'unità
immobiliare risulti funzionalmente collegata a una occupazione prevalente e continuativa.
Rientra tra questi il locale da adibire a mero deposito.
ATTENTI A...
L'ATTO SI ALLEGA PER L'INTERO EDIFICIO
L'obbligo di allegazione dell'Ape riguarda solo i nuovi contratti di locazione di interi edifici, con
esclusione quindi di quelli riguardanti singole unità immobiliari. Per tutte le nuove locazioni,
quelle cioè stipulate per la prima volta e fatta eccezione per quelle di durata complessiva
inferiore a 30 giorni nell'arco dell'anno, permane l'obbligo di metterlo a disposizione
PONTInews24
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dell'inquilino appena hanno inizio le trattative dirette a concludere il contratto di locazione,
quand'anche queste si svolgano non già direttamente tra le parti, ma attraverso un'agenzia
immobiliare. Il contratto deve in ogni caso contenere una clausola in forza della quale il
conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine
all'attestazione della prestazione energetica, di cui ne riceve copia.
LA DATA CHIAVE
LA SANATORIA PER IL PASSATO
L'obbligo di consegnare o di mettere a disposizione del conduttore la certificazione energetica,
previsto a pena di nullità dall'articolo 15, comma 9, Dlgs 192/2005, era stato abrogato
dall'articolo 35 della legge n. 133/2008, restando invece in vigore solo in alcune Regioni. Il 4
agosto 2013 è entrata in vigore la legge 90, di conversione del Dl 63/2013, che ha reso
obbligatoria l'allegazione al contratto di locazione dell'Ape, prevedendo la massima sanzione
della nullità del contratto. Per gli immobili privi di Ape, concessi in locazione dopo tale data e
sino al 23 dicembre 2013, è prevista la possibilità di evitarne la declaratoria di nullità – sempre
che già non sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato – con il pagamento di una
sanzione amministrativa. La richiesta deve essere avanzata da una delle parti o da un loro
avente causa.
(Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 20 gennaio 2014)
 CANONI IN CONTANTI: RISCHIO SANZIONI FINO AL 40 PER CENTO
D. Sono proprietario di alcuni appartamenti concessi in locazione a uso abitativo, con contratto
di quattro anni più quattro.
Ho appreso che dal 1° gennaio del 2014 i miei inquilini non potranno più pagare in contanti i
canoni relativi alla locazione dell'immobile di cui sono proprietario.
Non ero a conoscenza della novità e il primo canone del mese di gennaio è stato pagato in
contanti.
Sono previste sanzioni? Da quando si applica la novità?
---R. Dal 1º gennaio 2014, i canoni di locazione delle abitazioni non possono più essere pagati in
contanti. Non è indicato un importo minimo. La novità è stata prevista dalla legge di stabilità
del 2014 (legge n. 147/2013, comma 50). Indipendentemente dall'ammontare mensile del
canone, devono essere utilizzati esclusivamente mezzi di pagamento in grado di assicurare la
tracciabilità dei flussi di denaro.
Le eventuali violazioni dovrebbero dare luogo all'irrogazione delle stesse sanzioni previste in
materia di antiriciclaggio, cioè dall'1 al 40% (importo variabile) della somma trasferita in
contanti. La sanzione sarà irrogata sia nei confronti del soggetto che effettua il pagamento, sia
nei confronti di colui che lo riceve. Se si ritiene di poter applicare le sanzioni dell'antiriciclaggio
dovrebbe trovare applicazione anche la sanzione minima di 3.000 euro.
Il nuovo obbligo viene inserito nell'articolo 12 del «salva Italia» (Dl n. 201/2011), cioè nella
disposizione che ha ridotto a 1.000 euro il limite previsto dalla normativa antiriciclaggio che
vieta i trasferimenti di denaro contante per importi superiori a 999,99 euro.
Anche se non è stato modificato direttamente l'articolo 49 del decreto antiriciclaggio (Dlgs
231/2007), un'interpretazione diretta a sostenere l'inapplicabilità di una sanzione pecuniaria,
sembrerebbe contraria alla ratio dell'intervento normativo. D'altra parte, se le disposizioni
antiriciclaggio hanno previsto una soglia minima (999,99 euro) che, una volta superata, fa
scattare l'irrogazione di una sanzione, sarebbe poco ragionevole non prevedere una
conseguenza analoga (l'irrogazione di una sanzione) quando una nuova legge ha introdotto lo
stesso obbligo di tracciabilità senza indicare una soglia minima. Infatti il nuovo obbligo è
previsto per il pagamento di qualsiasi importo essendo irrilevante l'ammontare del canone di
locazione. Si applica il principio di cassa, quindi l'obbligo di tracciabilità riguarda anche
eventuali canoni arretrati del 2013, pagati nell'anno 2014.
La novità riguarda solo le abitazioni, a eccezione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica
(in ogni caso esclusi). L'esclusione dalla tracciabilità riguarda anche gli uffici, i negozi,
eccetera. In questo caso, eventuali controlli possono essere effettuati sulla base delle scritture
contabili del soggetto utilizzatore dell'unità immobiliare. Questi immobili sono destinati a
essere utilizzati nell'ambito di attività commerciali o professionali e tale circostanza spiega la
PONTInews24
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scelta di escludere i canoni relativi a queste tipologie di immobili.
Il divieto di utilizzare il denaro contante riguarda anche le pertinenze (box auto, cantine, posti
auto eccetera). Infatti, la natura di pertinenza, attribuibile ai predetti beni immobili, consente
di considerare gli stessi come se si trattasse a ogni effetto di abitazioni. La natura di pertinenza
deve desumersi dall'atto e dal contratto di locazione. Ad esempio, se lo stesso proprietario
concede in locazione l'abitazione e l'annesso box auto, il pagamento del relativo canone dovrà
essere effettuato con mezzi tracciabili. D'altra parte, in questo caso, il contratto sarà unico e
presumibilmente il canone di locazione sarà indistinto. Invece, se gli immobili oggetto di
locazione (abitazione e box auto) sono di proprietà di due soggetti diversi, l'obbligo di
tracciabilità dovrebbe riguardare solo l'immobile abitativo. L'altro proprietario, che possiede
unicamente il box auto, dovrebbe poter incassare i relativi canoni in contante, fermo restando,
però, l'obbligo di rispettare il limite di 999,99 euro previsto dalla normativa in materia di
antiriciclaggio.
Il pagamento deve essere effettuato con qualsiasi strumento in grado di assicurare la
tracciabilità. La norma non fornisce un'indicazione specifica, quindi il conduttore e il
proprietario hanno a disposizione una scelta ampia. I pagamenti possono essere effettuati con
bonifico bancario, assegno bancario non trasferibile, assegno circolare non trasferibile, conto
corrente postale, carta di debito, carta di credito eccetera. Questi ultimi strumenti di
pagamento saranno presumibilmente utilizzati se il passaggio di denaro sarà effettuato con il
servizio prestato da un'agenzia incaricata della riscossione dei canoni di locazione.
Non sono previste eccezioni per ciò che riguarda i soggetti. Anche gli stranieri non residenti
devono effettuare i pagamenti dei canoni con mezzi di pagamento tracciabili. Non si applica
neppure il maggior limite di 15mila euro previsto dalle norme in materia di antiriciclaggio (solo
per gli stranieri extra Ue) riguardante le attività commerciali.
Si precisa inoltre che «l'obbligo della tracciabilità è stato previsto anche ai fini
dell'asseverazione dei patti contrattuali per l'ottenimento delle agevolazioni e delle detrazioni
fiscali da parte del locatore e del conduttore»
(Nicola Forte, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 20 gennaio 2014)
 Societario e fallimentare
 PER LA PEC UNA VERIFICA AL REGISTRO DELLE IMPRESE
D. Vorrei sapere se una società assicuratrice è tenuta, su richiesta del consumatore, al rilascio
della posta elettronica certificata e, in caso positivo, qualora la stessa società non dia risposta,
se la Camera di commercio all'uopo interpellata dal consumatore può intervenire in via
istituzionale.
---R. L’articolo 16, comma 6, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con legge
28 gennaio 2009, n. 2, prevede l'obbligo, per le imprese costituite in forma societaria, di
iscrivere nel registro delle imprese il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (Pec).
Come ricordato anche dalla circolare 3 novembre 2011, n. 3645 del ministero dello Sviluppo
economico, le società già iscritte nel registro imprese avrebbero dovuto adempiere a tale
obbligo entro il 29 novembre 2011, a pena di subire l'applicazione delle sanzioni previste
dall'articolo 2630 del Codice civile (sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 1.032 euro
con riduzione a un terzo in caso di ravvedimento entro 30 giorni). Più di recente, con decreto
legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con legge 4 aprile 2012, n. 35 (in vigore dal 7 aprile
2012), il legislatore è ulteriormente intervenuto ad integrare il citato decreto legge 185 del
2008, prevedendo che l’ufficio del registro delle imprese possa addirittura sospendere la
domanda di iscrizione da parte di un'impresa costituita in forma societaria che non abbia
segnalato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Tanto detto, è evidente che tutte le
imprese assicuratrici costituite, per l’appunto, in forma societaria dovrebbero aver adempiuto
da tempo al citato obbligo. Del resto, su internet sono disponibili diversi siti che raccolgono
l’elenco degli indirizzi di posta elettronica della maggior parte delle imprese assicuratrici
italiane. Laddove, tuttavia, il lettore non riceva alcuna indicazione in merito da parte
dell’assicurazione interpellata, potrà rivolgersi al registro delle imprese territorialmente
competente per ogni opportuna verifica e/o segnalazione.
(Maurizio Di Rocco, Il Sole “4 ORE – L’Esperto risponde, 20 gennaio 2014)
PONTInews24
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 POSSIBILE RICORSO DI SOCI E LIQUIDATORI
D. Con atto notarile, una società di capitali (Srl) è stata messa in liquidazione a maggio 2007.
Il bilancio finale del 2013 non presenta alcun valore nell'attivo, ma solo debiti verso Equitalia
per oltre 92mila euro, verso una banca per oltre 51mila euro e verso un fornitore per quasi
10mila euro. Sia la banca sia il fornitore, in questi anni, non hanno fatto alcuna azione di
recupero del credito nei confronti della società, e nessuna istanza di fallimento è stata
presentata. Se il liquidatore predispone il bilancio finale di liquidazione, per poi procedere alla
cancellazione dal registro imprese, in quanto è impossibile proseguire nell'azione liquidatoria
per mancanza di fondi, i soci, che non hanno percepito e non percepiranno alcuna somma con
il bilancio finale di liquidazione, e il liquidatore stesso possono essere oggetto di notifica di atti
impositivi da parte dell'amministrazione finanziaria, o di notifiche da parte di Equitalia? In caso
di risposta affermativa, come possono difendersi?
---R. I singoli soci e i liquidatori possono anche essere destinatari di notifica di atti impositivi da
parte dell'amministrazione finanziaria, o di notifiche da parte di Equitalia. Al cospetto di tali
pretese, se ritenute infondate, essi devono necessariamente opporsi alle cartelle di pagamento
o agli atti impositivi loro notificati (anche collettivamente e impersonalmente, presso l’ultima
sede sociale), con tempestivo ricorso alla Commissione tributaria provinciale territorialmente
competente. Nel ricorso devono eccepire, a pena di decadenza, l’inesistenza dei presupposti
stabiliti dalla legge per invocare la loro responsabilità (per esempio: i soci non hanno percepito
alcuna somma né con il bilancio finale di liquidazione né in altro modo; non è allegata né
provata la colpa imputabile ai liquidatori nella gestione del patrimonio sociale, affinché costoro
rispondano del debito sociale).L’articolo 2495 del Codice civile stabilisce infatti che - una volta
approvato e depositato presso il registro delle imprese il bilancio finale di una società di capitali
(per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata) in liquidazione - i liquidatori
«devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese». La cancellazione
produce l’"estinzione" della società, ossia la perdita della sua personalità giuridica (similmente
a quanto avviene con la morte della persona fisica). La conseguenza è che essa non risponde
più dei propri debiti insoddisfatti (salva la possibilità di dichiararne il fallimento entro un anno
dall’estinzione, ai sensi dell’articolo 10 della legge fallimentare di cui al Rd 267 del 1942, in
presenza delle altre condizioni stabilite dall’articolo 1 della stessa legge).Il Codice prosegue
affermando che, «dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i
loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base
al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è
dipeso da colpa di questi».Perciò, chi pretende di essere soddisfatto dai soci o dai liquidatori
con i loro patrimoni personali ha anche l’onere di dimostrare che sussistono le condizioni di una
siffatta responsabilità (articolo 2697 del codice Civile: «chi vuol far valere un diritto in giudizio
deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento»). Nemmeno il Fisco è esente da
quest’onere. Ma se, nonostante tutto, esso si rivolge ugualmente ai soci e ai liquidatori, questi
ultimi devono proporre ricorso contro gli atti loro notificati, invocando la violazione del citato
articolo 2495 del Codice civile.
(Ezio Maria Pisapia, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde 20 gennaio 2014)
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