DOTT. G I O R G I O PAPP VOCI ROMENE CONTRO LA DIOCESI Dl HAJDUDOROG BUDAPEST, 1942 DOTT. G I O R G I O PAPP V C C I ROMENE C O N T R O LA DIOCES! Dl HAJDUDOROG / BUDAPEST, 194£ M JOJii y^oőíL JI IN D IC E L'origlne dei greco-cattolici ungheresi I gravami dei Romeni d'Ungheria 3 7 Vescovato ungherese e liturgia mogiara 10 L'erezione dei vescovato di Hajdudorog ed i Romeni 12 L'allarme di guerra dei Romeni 20 Resistenza „nazionale" 25 GKHFK, Nyíregyház 32941-5 c 1 isi H A J D f DOROGI Ott*. HAT. EGYHÁZMEGYE KÖNYVTARA Nyíregyháza Lett-ss.: q j ^ O 3 L'autore romeno Giovanni Georgescu ha pubblicato sotto il titolo „La diócesi magiara di Hajdu-Dorogh" un fascicolo di 63 pagine che veramente contiene un capitolo in italiano dell'opera in romeno sui 60 anni di „lotte nazionali" dei Romeni délia Transilvania, scritta da George Pop de Bàsesti, anch'esso romeno. L'estratto presente del libro originale edito nel 1935 è stato pubblicato nel 1940 dalla tipografiá del seminario di Balázsfalva (Blaj). L'opéra pur vantando dei pregi eccellenti ha anche alcuni difetti. Ê di valore eminente per esempio quel modo dell'esposizione piena di slancio, colorita, ricca, intéressante, spesso lirica che di solito si gusta solo nelle opere dei romanzieri di straricea fantasia. Al contrario rappresentano un'imperfezione esigua eerte mancanze di cognizione di causa e la concezione unilaterale. L'autore non si puô accusare di travisamenti premeditati ; ció è escluso dal preconcetto di fronte a ogni cosa ungherese radicato — a quanto pare — profondamente nella sua anima. Nondimeno forse non nuoceremo additando degli errori grossolani, i più strillanti. Facciamo ció tanto più che in relazione alia restaurazione dell'integrità territoriale della diócesi di Hajdudorog l'opuscolo in questione si presta assai — certo diversamente dagli intenti dell'autore — a rendere nebbiosi la realtà ed i fatti storici e nello stesso tempo a far comparire concrete le fantasticherie delle fantasmagorie del nacionalismo spinto e dello sciovinismo sfrenato. La gravità di questo pericolo è evidente dal sollevamento in forma propagandística della questione, giacché il fascicolo in italiano del seminario di Balázsfalva probabilmente non è stato scritto per l'amore dei Romeni. L'orisine dei $reco=c&ttolici uncieres i II nostro autore naturalmente nega l'origine magiara dei grecocattolici ungheresi e li ritiene dei Romeni e dei Ruteni magiarizzati. Senza voler entrare in discussione con la prevenzione dello storiografo siamo costretti a constatare che l'origine della greco-cattolicità ungherese è molto più antica di quella romena. 1* á Giovanni Balan, famoso studioso romeno (attualmente vescovo romeno di Lugos = Lugoj) nell'introduzione della sua opera sulla storia delle fonti del diritto ecclesiastico romeno, sommando i risultati della storiografia nazionale romena, precisa che gli inizi del cristianesimo di rito greco risalgono all' 870, fra i Romeni. (Cod. Can. Orient. VilJL. 475.) Invece la cronografía di Malalas, la storia ecclesiastica di Joannes Ephesios, la cronaca di Joannes vescovo di Nikiu, la cronografía di Theophanes ed ancora una serie di cronisti raccontano unanimi e con tutti i dettagli che Gorda,, principe degli Onoguri ( = Ungheri primitivi) venne a Constantinopoli sotto il regno dell'imperatore Giustiniano (527—28 d. C.), si fece battezzare insieme col seguito e con la sua schiera (l'imperatore Giustiniano stesso gli fu padrino) e voleva convertiré tutto il suo popolo, ma fu impedito in ció dal suo martirio. Questo Gorda fu il primo principe antico noto di nome del magiarismo primitivo. Un altro principe unghero di nome Kurt capitó nell'infanzia a Constantinopoli dove si fece battezzare e come dice la cronaca universale di Joannes vescovo di Nikiu convertí alia fede cristiana anche il suo popolo. Secondo una nota diocesana del sec. VIII- a gli Onoguri ( = Ungheri primitivi) avevano giá un vascovado separata di rito greco. (V. tutto ció piü ampiamente nella mia opera intitolata: ,,A magyarság és a bizánci kereszténység kapcsolatának kezdetei" (Gli inizi delle relazioni tra la nazione ungherese ed il cristianesimo bizantino) Nyiregyháza, 1938.) Dal tempo che segue dopo la conquista della patria abbiamo a nostra disposizione delle testimonianze ancora piü numeróse riferentisi alie relazioni inseparabili di ogni tempo tra gli Ungheresi ed il Cristianesimo di rito greco. Due duci ungheresi: Gyula e Bulcsu, si fecero battezzare a Bizanzio nella meta del sec. X-°: il duce Gyula portó in Transilvania il vescovo Hierotheos ed i suoi sacerdoti per convertiré gli Ungheresi della Transilvania; la figlia del duce Gyula — Carlotta, madre di Santo Stefano — era una cristiana zelante di rito greco, e fece moltissimo per la conversione al cristia.nesinio della nazione magiara. Era di rito greco il duce Ajtony puré che portó da Viddin dei monaci di rito greco físsandoli a Marosvár. Recentemente parecchi ritengono che anche il duce Koppány sia stato un cristiano di rito greco. Sotto il regno di Santo Stefano e dei suoi successori v'era una serie intera di conventi di rito greco nel paese: a Szávaszentdemeter, a Dunapentele, a Veszprémvólgy, a Visegrád, a Tormo vó, a Marosvár, a Oroszlános, a Pásztó, a Tihany. Re Emerieo chiedeva giá al papa Innocenzio III-0 l'istituzione di un vescovato per gli Ungheresi di rito greco che vivevano dispersi. Una lunga serie di testimonianze fácilmente desumibili dalrarcheologia, dalla storia dell'arte, dall'etnografia, dalla glottologia e dalla storia della cultura attestano l'antichissima origine ungherese della greeo-cattolicitá magiara. (Cf. l'articolo del prof. univ. 5 Dott. Andrea Ivánka: ,,A gorogszertartású magyarság multja" II passato degli Ungheresi di rito greco (Kolozsvár, 194.2). Questi fatti sono del tutto noti anche alie persone poco pratiche délia storia, ma lottare con la prevenzione storica sarebbe un compito vano. Vorremmo solamente attirare l'attenzione del signor Georgescu sul fatto che nel passato non possiamo parlare di magiarizzazione, ma bensi soltanto di romenizzazione: di ingenti masse che furono d'origine magiara e vennero romenizzate. È poi un fatto storico che la simbiosi di due popoli sullo stesso territorio produce la fusione del popolo di cultura superiore con il popolo di cultura inferiore. Il contatto inevitabile cioè rende necessario Puso comune della lingua. All'uomo di intelligenza inferiore è più difficile apprendere la lingua dell'altro, quest'ultimo appunto per la sua intelligenza superiore ne impara la lingua. L'apprendimento della lingua apre poi la via alla fusione. Se a questa necessità storica aggiungiamo ancora il contegno quasi esageratamente tollerante che gli Ungheresi manifestavano e manifestano tutt'ora con le nazionalità (— contegno le di cui basi si trovano nel primo decreto del códice di Santo Stefano, primo re d'Ungheria: „Nam unius linguae uniusque morís regnum, imbecille ©t fragüe est. Propterea jubeo te, fili mi! ut bona volúntate illos nutrias et honeste teneas, ut tecum libentius regant quam alibi habitent" —) allora non v'è da meravigliarsi delle proporzioni gigantesche di questa romenizzazione. Non essendo nostro compito di scrivere un articolo di storia, vorremo solo additare tre fatti per illustrare come questa romenizzazione si svolgesse continuamente e in misura ingente dai tempi più remoti a quelli più recenti. Vogliamo riferirci prima di tutto ad un testimonio che sta sopra popoli e nazioni, l'imparzialità del quale è indiscussa: papa Gregorio IX- 0 parla dei „Valacchi" (Walathi) — nella lettera indirizzata il 14 novembre 1234 al re Béla — che dipendono da vescovi di religione ortodossa (a quibusdam pseudoepiscopis Graecorum ritum tenentibus universa recipiunt ecclesiastica) e dice che molti degli Ungheresi viventi fra di essi passano a loro (nonnulli... U n g a r i . . . transeunt ad eosdem). In seguito espone chiaramente che qui non si tratta solamente di un semplice passaggio o conversione alia religione ortodossa (questi Ungheresi prendono i sacramenti secondo il rito ortodosso — in derogationem non modicam fidei christianae), ma oltre una adesione confessionale ci troviamo di fronte ad una fusione nella nazionalità romena. Questi Ungheresi sono chiamati dal papa Gregorio IX- 0 diventati un popolo con i Valacchi : „Ungari... populus unus facti cum eisdem Walathis".) Questo documento si legge nella raccolta „Documente privitoare la istoria Românilor" di Eudossio Hurmuzaki (I. 130.). I Romeni dunque avevano incominciato la romenizzazione già nel secolo XIII- 0 . 6 La seconda illustrazione é data dagli stessi Romeni. II prete roraeno di nome Gregorio del villaggio di Mohács di Aranyosszék, copiava tra il 1590 ed il 1619 alcuni scritti d'argomento religioso. Questo manoscritto formato da 236 pagine sotto la denominazione di „Codex Sturdzanus" é uno dei tesori ben custoditi del Museo Nazionale di Bucarest. A pagina 153 del preziosissimo monumento letterario romeno si trova il Padrenostro in ungherese abbastanza sfigurato scritto in caratteri glagolitici usati dai Romeni di allora. Senza dubbio é stato copiato da un prete romeno che non sapeva l'ungherese, evidentemente per farne uso nelle funzioni sacre che doveva fare per i fedeli di nazionalitá ungherese. La storia del comune stesso dice chiaramente che i suoi abitanti erano dei puri Székleri (Siculi della Transilvania) di rito greco. Erano attaccati alia loro madrelingua, esigevano quindi anche dal loro sacerdote di nazionalitá straniera di compiere almeno una parte dei riti in ungherese, — quando pero videro che i preti romeni storpiavano la parola ungherese origínale, come faceva il buon pope Gregorio, probabilmente si rassegnarono nell'uso della lingua litúrgica romena e di mano in mano si romenizzarono puré, come anche i nobili Székleri del comune di Mohács. II Padrenostro di Mohács rappresenta una fase di questo processo di romenizzazione. (V. piü ampiamente nell'articolo della „Görög Katholikus Szemle", Rivista Greco-cattolica: A mohácsi Miatyánk, II Padrenostro di Mohács 1942). Per altro i piü antiehi libri liturgici romeni sono pieni di parole e costruzioni ungheresi. La terza illustrazione dall'etá piü moderna viene data puré dai Romeni stessi: nel piü antico schematismo della diócesi di Nagyvárad (Granvaradino) si leggono i nomi di 264 sacerdoti e seminaristi. Dei 264 nomi piü della meta (148) sono altrettanti nomi per eccellenza ungheresi (Aáron, Ábrahám, Antal, Bélteky, Bilkey, Buda, Csighy, Czinka, Dállyay Papp, Erdélyi, Fábián, Farkas, Fejér, Fodor, Gáborffy, Gergely, Görög, Hosszú, Illyés, Karátsonyi, Kardos, Kerekes, Keresztelky, Kováts, Kőváry, Krasznay, Madarászy, Magyar, Markos, Mátyás, Molnár, Nagy, Nernes, Oláh, Orosz, Paál, Pallady, Papfalvay, Papfy, Papp, Pataky, Radnóthy, Rácz, Rezei, Simon, Sutha, Szabó, Szády, Székely, Szentkirályi, Szilágyi, Szőts, Talpassy, Tóth, Vajda, Véghső, Vitéz, Vulkán; Bónyi, Bisztrai, Bozontay, Vezendy, Katóka, Kába, Kiss, Kolosy; Puskás, Szeremy, Szüts), e gli altri 126 nomi sono romeni, slavi e germanici. íll capitolo grecocattolico di Nagyvárad eostituito nel 1777 constava dei seguenti membri: Aáron Jakab, Ferentzy János, Horváth Niketas, Farkas György e Bereghi P á l . . . Di nome romeno non v'era manco uno!) Che poi da questi nomi — naturalmente in gran generalitá — a buon diritto si possa argüiré la nazionalitá dei portatori dei medesimi, proprio i Romeni non lo possono negare. Ché in tutto il mondo essi soli hanno rilasciato decreti e disposizioni legali sulla 7 eosiddetta analisi dei nomi dell'anagrafe, in base a eui poi obbligavano i figli di genitori ungheresi puri a frequentare scuole romene se i loro nomi potevano essere qualificati in qualche modo arbitrario quanto mai: nomi romeni. Del fatto délia romenizzazione del resto, neppure i Romeni stessi fanno un segreto. La VII- a ediziane pubblicata nel 1924 del libro „Geografía României" di Petru Zaharescu (libro di testo per la classe VII- a dei licei) dice: La massa dei Székleri... essendo molto lontana dalla gran massa degli Ungheresi.. . è condannata a fondersi con i Romeni, come si è fusa anche la parte che si trovava prima nella valle di Buzâu e Teleaj. H voler negare l'origine magiara dei greco-cattolici ungheresi, oppure il parlare di magiarizzazione di Romeni è una temeraria incoscienza suggerita da un contegno del tutto antiscientifico. I sr&v&mi dei Romeni d [jfngheria. L'altro caval di battaglia del libello famoso é il mettere in rilievo le lagnanze per i gravami patiti dei Romeni da parte degli Ungheresi. L'autore precisa, che: Nel loro passato bisecolare, questi Romeni sono spesso colpiti, senza misericordia. íp. 3). Cagione di questi frangenti sarebbero stati gli Ungheresi calvinisti, i Greci, i Serbi ed i Sassoni luterani. L'allegazione dei gravami pero trasporta la nostra compassione manifestata per i Romeni „perseguitati" d'Ungheria sul piano del sorriso pietoso: la lista delle colpe addotte sul conto degli Ungheresi si esaurisce con un' única frase: ,JBethlen Nicolás, Naláczi Stefano e Keresztesy Sámuele mossero il metropolita Atanasio Anghel, il quale fece Vunione con Roma, Giovanni Circa di Gdmbut e Nagyszeghy Gabriéle." Contro i Greci si scagliano perché „lo anatemizzarono . . ( 1 . c.). Leggendo tali frangenti é impossibile non pensare alia sorte invidiabile di un popolo che per la realizzazione degli ideali nazionali era costretto a sacrificare tanto poco che anche dopo piü di due secoli la sua piaga piü dolente é l'anatema del patriarca di Constantinopoli, — ed in realta ha raggiunto gratuitamente ció che gli altri popoli hanno conquistato immolando la vita dei migliori cittadini a migliaia. Gli Ungheresi per esempio hanno dato legioni di martiri alia Patria ed alia Chiesa. Ecco perché non possiamo leggere senza un sorriso pietoso i vani tantativi dell'autore con cui vorrebbe dimostrare il martirio dei Romeni transilvani. L'autore constata „che insieme al Dualismo austro-ungherese, si impadronl a Budapest il Calvinismo ungherese: acciecato, agres- « sivo e d'un patriottismo esagerato". Enumera poi gli statisti ungheresi calvinista (facendo calvinisti naturalmente anche quelli che non lo furono mai!); anzi anche di fronte agli statisti cattolici non risparmia la sua opinione del tutto individúale. Chi potrà leggere senza sorriso come constata arditamente di Alberto Apponyi, capo professante, stimato dappertutto in Europa, del cattolicismo ungherese, che era contrario ai principi morali del cristianesimo („in opposizione con i principi morali del cristianesimo"). (p. 4.) Si duole particolarmente dell'allontanamento dei seminaristi romeni dal seminario di rito latino di Nagyvárad e dal seminario centrale di Budapest e lo ascrive al nazionalismo esagerato. Ed in ció ha plenamente ragione! Sbaglia solo neU'asserzione gratuita che il „nazionalismo esagerato" si fosse manifestato da parte dell'autoritá seminaristica. All'opposto il nazionalismo esagerato ardeva nelle anime dei giovani Romeni allontanati! Come anche più tardi non dai superiori seminaristici sono usciti le guardie di ferro più accecate! Legga pure l'autore gli atti delle inchieste disciplinan e si convincerá che v'è poco da vantarsi con queste espulsioni. Rimprovera l'autore agli Ungheresi il fatto che „gli (sic!) Magiari cominciano una campagna di denigrazione contro i Romeni" e per illustrare questa campagna menziona una citazione dall'esemplare d'un giornale umoristico di provincia dal titolo „Szajkó" (Ghiandaia) uscito 50 anni fa, e dal numero di 55 anni fa del Pesti Hirlap. Ed imputa qualche costatazione a Benedek Jancsó. (pp. o, 6.). Ecco delle accuse gravissime! Un giornale umoristico ignoto, un quotidiano insignificante e qualche osservazione d'uno studioso. Noi altri Ungheresi si che potremmo enumerare su intere pagine le citazioni che propagavano l'odio, lo sprezzo ed il disprezzo contro gli Ungheresi infettando cosi le anime di intere generazioni, — non in giornali umoristici, né in quotidiani, ma bensi in libri di testo delle scuole) romene. (I dati raccapriccianti di cui v. nelle note: 1.) Per la confutazione perfetta* delle asserzioni sul nazionalismo esagerato dei circoli governativi magiari del resto ci pensa l'autore stesso. È quasi impossibile che il lettore imparziale non si aweda di queste gravi contraddizioni. Riferisce per esempio l'autore che nel 1881, allorquando gli Ungheresi grecocattolici domandano al re, al governo, alia dieta ed al principe primate di voler appoggiare la loro domanda per l'istituzione di una diócesi separata, „tutti sono contrari al movimento. fuorché i vescovi ruteni di Eperjes e di Munkács." (p. 8.) I veseovi ruteni avevano capito il legittimo desiderio dei fedeli ungheresi. Ma i circoli governativi no! Forse perché erano nazionalisti esagerati?! Parimente cita il nostro autore la risposta parlamentare pronunziata il 5 settembre 1896 dal presidente del consiglio Desiderio Bánffy: „La Diócesi magiara è possibile solo dopo che si avrà il diritto della liturgia ungherese. Senza di questo non si puô fare nemmeno un passo, nell'interesse di quelValtra." (p. 9.). Laddove 9 allora il primo ministro doveva sapere benissimo che senza una diócesi separata mai sarebbe potuto entrare in vigore dal punto di vista della codificazione il diritto dell'uso della lingua litúrgica ungherese. Quindi aveva fissato una condizione impossibile all'istituzione della diócesi. Per caso si tratta di nazionalismo esagerato?' In relazione col programma del „Consiglio dei magiari cattolici di rito greco del paese" anche l'autore stesso precisa che xJSssi non vogliono per nulla diminuiré i diritti dei Ruteni o dei Romeni greco cattolici." (p. 9.) Forse questo si potrebbe chiamare nazionalismo esagerato ? Parlando del memoriale trasmesso alia Santa Sede dal governo ungherese l'autore constata che il governo si era dichiarato di essere disposto a sacrificare „la tendenza d'introdurre nella liturgia la lingua magiara." (p. 12.). Nel medesimo memoriale riconosceva il governo ungherese — come sappiamo dall'autore — che „nella nuova Diócesi non possono entrare tutti i Magiari greco-cattolici." (p. 14.). Dunque tutto ció propagherebbe il nazionalismo esagerato dei circoli governativi ungheresi?! Piuttosto forse l'ingenuitá ed il pregiudizio dell'autor el Di fronte alie accuse confútate giá dall'autore stesso vorremmo riferirci solamente ad una cosa: In Ungheria la donazione straricca dei re apostolici assicurava le dotazioni di quattro vescovati e di un arcivescovato di rito greco. Di questi ho a dispozione solo i dati relativi alia prebenda del vescovato di Nagyvárad, rna anche questi ci permettono di fare dei confronti straodrinariamente interessanti. II benefizio ecclesiatico del vescovo cattolico di rito greco di Nagyvárad immediatamente prima della mutilazione del paese nel Trianon era di 139.328 (diconsi centotrentanove mila trecentoventotto) iugeri catastali e 5 tese quadrate. Proprietá talmente intímense aveva donato ad un único vescovato „romeno unito" il re apostolico ungherese (la regina Maria Teresa) dai beni della Sacra Corona, dello Stato ungherese. Ma si offre un confronto interessantissimo anche fra le proprietá del beneficiato del vescovo „romeno unito" di Nagyvárad e del vescovo greco cattolico ungherese di Hajdudorog. Mentre dei beni dello Stato ungherese uno solo dei vescovi romeni aveva ricevuto 139.328 iugeri, il vescovo grecocattolico magiaro di Hajdudorog dallo stato ungherese aveva ricevuto tutt'insieme 752 iugeri e 349 tese quadrate. Ma mentre la dotazione poc'anzi accennata era una donazione senza alcuna prestazione, il vescovo di Hajdudorog deve pagare il prezzo di questa proprieta in annualitá che durano lunghi anni. Se confrontiamo la prebenda del vescovato romeno di Nagyvárad col numero delle parrocchie della diócesi di Nagyvárad (124), la parte che spetta alie singóle parrocchie (1123 iugeri; naturalmente senza i benefizi parrochiali ed il podere parrocchiano) sorpassa per sé il benefizio del vescovo di Hajdudorog. Ed in fine non dobbiamo dimenticare una cosa. La parte considerevole del benefizio di 139.328 iugeri donato ad un solo vescovo 2 10 romeno dallo stato magiaro fu — a quanto sappia io — espropriata dallo stato romeno. Intediamoci: gli Ungheresi l'avevano data alla chiesa romena ed i Romeni 1' avevano tolta alla chiesa romena. Ma negli occhi dei signori Georgescu e nella presentazione délia propaganda diretta all'estero gli Ungheresi saranno sempre gli oppressori ed i Romeni i liberatori! L'autore si occupa ampiamente anche degli inizi délia pratica litúrgica in ungherese e delle aspirazioni miranti all'istituzione délia diócesi magiara separata. In mancanza di cognizioni di fatti sufficenti anche qui si appoggia più alla fantasia che alla realtà delle cose. Precisa che: „La lotta degli Ungheresi per Verezione di una Diócesi greco-cattolica magiara è abbastanza vecchia. Essa comincia alla fine del secolo XVIII. (p. 6) Dopo aver riferito quanto sopra non possiamo veramente aspettarci che l'autore conosca la lettera del papa Innocenzio III-0 indirizzata al nostro re Emerico nel 1204, dalla quale risulta, che già il re Emerico (1196—1204) aveva fatto una relazione alla Santa Sede nell'interesse dell'erezione di un vescovato che avrebbe avuto proprio il compito di inquadrare in un'organizzazione unitaria i conventi ungheresi di rito greco (già enumerati poco prima) con i fedeli appartenenti ad essi. Fino allora cioè auesti conventi erano sottoposti alla giurisdizione dei vescovi latini. Di Andrea Bacsinszky, párroco di Hajdudorog, più tardi (1771— 1800) vescovo di Munkács, pure constata che „fa la traduzione in ungherese di molti libri liturgici". (p. 7). Sarebbe atta questa asserzione a far credere che la traduzione dei libri liturgici di rito greco cominciasse immediatamente prima dell'anno 1771. Certo non possiamo sperare dall'autore di conoscere e di riconoscere il più antico monumento letterario litúrgico dalla lingua litúrgica magiara che precisamente è contemporáneo col più antico monumento letterario litúrgico romeno, tanto che ci sono pervenuti nel medesimo códice dal tempo che intercorreva tra gli anni 1590—1616. (Cf. ció che si è detto prima del Padrenostro di Mohács.) Naturalmente il nostro autore ignora il fatto che Giuseppe De Camellis, vescovo di Munkács, di nazionalità greca che capitô qui da Roma, verso il 1695 fece traduire in ungherese al suo parente Esaia diversi testi liturgici (Eugenio Petrus: „A magyarság önvédelme a keleti ritusú egyház idegen nyelveinek beolvasztó hatása ellen": L'autodifesa degli Ungheresi contro l'influsso di fusione delle lingue straniere della chiesa di rito 11 orientale, Debrecen, 1897.). Ma l'autore si dimentica accanto alla serie delle traduzioni liturgiche ricordate da lui dal secolo XVTII di Giorgio Kriesfalusy e di Giorgio Szabó, nonché dal secolo XIX di Ignazio (e non Giovanni, come dice il nostro autore!) Roslrovics, — di una schiera intera di traduttori le cui opere sono state in parte pubblicate e in parte si sono divúlgate in manoscritti copiati ed assicuravano la diffusione dell'esercizio litúrgico in ungherese. (Legga pure l'autore lo studio di Hiador Sztripszky „Bibliográfiai jegyzetek az ó-hitü magyarság irodalmából", Note bibliografiche dalla letteratura degli Ungheresi di fede-antica) [e si awedrà delle mancanze délia sua enumerazione ; osserviamo che neppure questa preziosa raccolta contiene i dati di tutte le traduzioni liturgiche!]. L'autore non dimentica perô di mettere tra le righe in relazione con queste traduzioni liturgiche una piccola ed innocente stoccata. Osserva cioè parlando delle edizioni del messale dal 1882 e del rituale (Euchologion) del 1883 che „e stampato con le spese clella città di Debrecen la metropoli del calvinismo ungherese". A questa piccola stoccata avremmo tre osservazioni da fare: Prima di tutto che l'affermazione del nostro autore non corrisponde alla verità. Questi due libri liturgici furono stampati nella „Stamperia délia città di Debrecen", ma non con le spese délia città. Tra le numeróse aziende pubbliche Debrecen aveva anche una tipografía, che su ordinazione — come qualsiasi impresa tipográfica — stampava qualsiasi stampato. Naturalmento solo se il committente ne pagava anche il prezzo. E come possiamo viaggiare sui tram délia città di Debrecen senza alcuna offesa alla nostra fede, come possiamo godere dei prodotti delle aziende viveri délia città di Debrecen senza alcun gravame sulla nostra parrocchia, — pure i nostri avi potevano far stampare i loro libri liturgici nella stamperia délia città di Debrecen, sopprattuto se quella tipografía aveva presentato l'offerta più favorevole. In secondo luogo: se la città di Debrecen (dove per altro ci vivono 24.000 romano cattolici e 5000 grecocattolici accanto ai 78.000 calvinisti) avesse fatto un socrifizio per la chiesa grecocattolica, noi le dovremmo per questa magnanimità dei ringraziamenti riconoscenti. Al massimo ci dorremo del fatto che da parte dei Romeni che professano la stessa fede con noi e praticano lo stesso rito con noi non potemmo provare le minima quantità délia comprensione che avremmo potuto ricevere da una città con maggioranza di religione diversa. In terzo luogo: riteniamo stranissimo il fatto che proprio da parte romena si facciano delle osservazioni a proposito di ció, quando è palese che l'uso délia lingua litúrgica romena, un'intera serie dei libri liturgici più antichi in romeno, le tipografie che significavano la culla délia cultura romena e le scuole romene senza eccezione dovevano la loro esistenza esclusivamente ai signori ungheresi calvinisti eS ai cittadini sassoni luterani. (V. più dettagliamente: n. 2.) 2* 12 L'erezione dei vescovato di Ma.jdudoro$ ed i jR.oment L'autore incomincia con una frase reboante le lagrime in relazione con l'erezione del vascovato di Hajdudorog: „L'erezione della Diócesi greco-cattolica magiara di Hajdu-Dorogh é senza dubbio il piú terribile col-po ricevuto dalla Chiesa romeno-unita, nel suo passato di piú di due secoli". Di questo dolore da puré la causa: ,Jn seguito alVerezione della sudetta Diócesi, questa Chiesa perde 83 parrocchie, 378 filiali e 172 frazioni di villaggio, con 73.225 fedéli". (p. 3.). Notiamo bene: l'autore si duole per la perdita di 73 mila fedeli e non di 73 mila Romeni. Coma abbiamo giá visto per un'asserzione ardita egli non deve certo correre dai vicini, — ma neppure lui osa diré che questi 73 mila fedeli sarebbero Romeni. Naturalmente é sottaciuto dall'autore il fatto che la maggior parte di questi 73 mila fedeli non apparteneva affatto alio stato origínale dei benefici donati ai vescovi romeni. Sembra dimenticarsi che nel 1824 furono annesse 72 parrocchie della diócesi „rutena" di Munkács a quella romena di Nagyvárad, nel 1856 furono annesse 94 parrocchie dalla stessa diócesi di Munkács alia diócesi romena di Szamosujvár, „ultroneo consensu Episcopi". A suo tempo i vescovi, veramente imbevuti dello spirito ecclesiastico, il clero con i fedeli, avevano accettato con perfetta e serena rassegnazione le decisioni della Santa Sede Apostólica. Al contrario i Romeni ritengono un terribile gravame che piü tardi di queste 166 parrocchie., appartenenti originariamente ad una diócesi rutena, appena un quarto insieme con alcune parrocchie sicule (dei Székleri) [che pur sottostando da tempi remotissimi a vescovi romeni, anche nel tempo del censimento romeno del 1930 avevano dichiarato il loro magiarismo!*], furono annesse dalla Santa Sede Apostólica alia diócesi di Hajdudorog. Passa sotto silenzio profondo il nostro autore anche la circostanza che se furono puré annesse alia diócesi di Hajdudorog dei fedeli di nazionalitá straniera, di molto maggiore é il numero dei * Per citarne qualche esempio: solo nel comitato di Háromszék vi sono intere serie di chiese madri e filiali (Lisznyó, Bikfalva, Uzon, Illyefalva, Kézdiszentkereszt. Kézdiszárazpatak, Szárazajta, Zalánpatak, Nagyborosnyó ecc.J, in cui non si é trovato manco un greco-cattolico (neanche per averne uno raro come le mosche huinche!) che non si fosse dichiarato fiero di lingua materna ungherese anche ai commissari del censimento romeno, quantunque questi commissari romeni avessero fatto tutto, con le buone e con le forze per poter allibrare almeno in base alia loro religione come Romeni i nostri Magiari greco-cattolici. E nei luoghi enumerati non vi fu neanche uno che avesse almeno preso nota di questo fatto. Tra i dati del censimento del 1930 possiamo trovare i dati di una sfilza di villaggi dove capita qualche greco-cattolico „di lingua materna romena", ma dai dati risulta chiaramente che essi immigrarono durante il dominio 13 fedeli greco-cattolici magiari restati fuori i limiti délia diócesi dÀ Hajdudorog ! In Ungheria nel 1910 304.318 greco-cattolici si sono dichiarati ungheresi. Ciononostante sui territori annessi alla diócesi di Hajdudorog — contandovi naturalmente anche le 73 parrocchie e 378 filiali sudette — vivevano in tutto 217.840 fedeli greco-cattolici. Secondo la equa giustizia alla nuova diócesi si sarebbe dovuto annettere 304.318 fedeli. Ê vero che tra costoro vi sarebbero stati alcune migliaia di credenti non ungheresi, in cambio perô precisamente lo stesso numero di fedeli magiari sarebbero restati oltre i limiti dell-a nuova diócesi. Ecco quale sarebbe stata la giustizia equa! E che cosa accadde in realtà? Alla nuova diócesi solamente 217.640 credenti aderirono. Cioè con 86.678 anime in meno. E ne segue che anche se per necessità fisiche avevano annesso alia diócesi di Hajdudorog alcune migliaia di non ungheresi, precisamente altrettanti, e per di più ancora 86.678 greco-cattolici magiari restarono fuori i limiti della nuova diócesi. (Per amore della verità osserviamo che sulla sponda destra del Danubio 975, sulla sponda sinistra del Danubio 866, e tra il Danubio e Tibisco circa 2000, in tutto dunque circa 4000 greco-cattolici magiari vivevano sotto la giurisdizione di un ordinario di rito latino. romeno, gli abitanti originari perô senza eccezione uscirono in campo per il loro magiarismo. P. es. a Torja gli abitanti originari greco-cattolici anche nel 1930 fino all'ultimo si sono dichiarati magiari, i quattordici immigrati sono già rcmeni. (Del resto in tutte le filiali di Torja ogni greco-cattolico serna eccezioni si è dichiarato ungherese. Neppure tra le filiali di Lisznyó si è trovata manco una dove si fosse trovato almeno un greco-cattolico romeno.) A Csikszentgyörgy fra il 1910 e 1930 si è quasi raddopiato il numero dei grecocattolici. Gli abitanti originari si sono dichiarati anche davanti ai commissari di censimento romeni senza eccezioni ungheresi, anzi, anche i tre quarti degli immgrati fecero altrettanto. Dunque qui, sotto il dominio romeno il numero dei greco-cattolici che si dichiararano ungheresi aumentó con uno e mezzo e solo tra gli immigrati si è trovata una piccolissima minoranza che si è dichiarata ramena. Csikbánfalva si mostró usperiore; qui non solo gli abitanti originari ma anche tutti i greco-cattolici immigrati si sono dichiarati nel 1930 senza eccezioni ungheresi. A Csikszent király tutti gli abitanti originari greco-cattolici ed una parte degli immigrati si sono dichiarati ungheresi. A Csikmadaras non solo gli abitanti originari greco-cattolici hanno dimostrato il loro magiarismo durante il censimento romeno, m a in seguito aile immigrazioni qui il numero dei greco-cattolici ungheresi si è precisamente raddoppiato sotto il dominio romeno. A Sepsiszentgyörgy gli abitanti originari grecco-cattolici anche nel 1930 si so>io tutti dichiariati di lingua materna ungherese, anzi a causa delle immigrazioni fino al 1930 qui il numero dei greco-cattolici che si dichiararono ungheresi accrebbe più del doppio. A Kdszonjakab falva, a Kászonaltiz, a Vargyas, a Erdöszentgyörgy non vi fu neanche un greco-cattolico che nel 1930 si fosse dichiarato di lingua materna romena. In tutte le filiali di Illyefalva e di Nagyborosnyó si è trovato solo un greco-cattolico di lingua materna romena per ciascuna. Conosciamo intere serie di parrocchie poi dove quasi strilla dai dati 14 Questo numero si deve sottrarre da 88.678.) Ma anche cosi, i grecocattolici magiari restati sotto giurisdizione di ordinari greco-cattolici non ungheresi, superano oltre ottanta mila i fedeli non ungheresi capitati sotto la giurisdizione del vescovo di Hajdudorcg. Dopo questi fatti parlare del frangente terribile inflitto alia chesa „romeno unita" — é una spudoratezm, termine che in questo caso é un eufemismo! (La veracitá dei dati statistici del 1910 é riconosciuta anche in circoli internazionali. Che siano del tutto veraci anche per i Romeni oltre il rigore della legge sul censimento che stima ogni diritto, é assicurato anche dal fatto che dal 1900 al 1910 il numero degli unitari che si dichiararono Romeni accrebbe con piü del 100%. I membri di questo „pugno" di setta sono 100% di origine magiara. Nella loro dispersione alcune frazioni incominciarono a romenizzarsi ed il numero degli unitari che si dichiaravano Romeni nel 1900 era ancora di 276, nel 1910 invece era giá di 559. II censimento del 1910 dimostrava con imparzialita anche questo rápido processo di romenizzazione.) Senza dubbio che il mescolarsi e la convivenza delle diverse nazionalitá provocó uno stato di cose tale che neanche gli angelí avrebbero potuto segnare un limite diocesano che al di qua di esso non vi siano dei Romeni, ed al di la di esso non vi siano degli Unstatistici qualche greco-cattolico che si é dichiarato di lingua materna romena e che venne dato dalla persona del segretario, del carabiniere o per caso del vice sindaco e della sua famiglia. A Lázárfalva p. es. nel 1930 v'era solo un greco-cattolici che si é dichia- rato di lingua materna romena. A Lemhény solo 4; a Esztelnek ed a Kézdimartonos 1 per ciascun comune; a Csiksgentimre puré 1; a Csücménaság giá 3; Csikdánjaiva 4; a Csikjenófalva solo 2; a Tekerópatak 3; a Nyárádkarácson 8; ad Illyésmezo 6; Márésfalva ad Abásfalva 1 per ciascuno; a Karácson- falva 2; in tutte le filia,li liberate di Oláhzsákod, restato oltre il confine, in tutto solamente un grecocattolico is é trovato che riel 1930 si é dichiarato romeno. All'infuori dei comuni rurali enumerati troviamo moltissimi greco-cattolici nella Székelytfpld (Terra dei Székleri) che anche davanti ai commisari di censimento romeni hanno perseverato nel loro magiarismo. Ecco alcune delle parrocchie; a Gelencze 332; a Nagykászon 721; aSzépvíz324; a Csikszentdomonkos 598; a Gyimesbükk 665; a Gyergyószentmiklós 290; a Gyergyóalfalu 403; a Nyárádandrásfalva 342; Marosvásárhely 284; a Szováta 414; a Bozodaifalu 151; a Székelyudvarhely 153; ad Arkos 353 greci cattolici sono dimostrati dal censimento romeno, naturalmente contandovi anche le filiali secondo la vecchia divisione ecclesiastica. Ecco come parla la statistica romena del 1930. Ma il numero dei grecocattolici magiari sottratti dai commisari di censimento romeni appena vagamente si puó congetturare. I dati numerici suddetti puré ci dicono moltissimo se pensiamo al fatto che la stessa statistica romena del 1930 menziona 240 comuni rurali sul territorio passato sotto il dominio romeno dove i calvinisti sorpassano il numero degli ungheresi, dove dunque la statistica dimostra dei calvinisti romeni. Le violenze dei commissari di censimento che avevano fatto dei romeni dai magiari calvinisti puré in 240 villaggi si sono spezzate di fronte alia parseverenza nel magiarismo dei greci-cattolici delle comunitá enumerate. 15 gheresi. La giustizia voleva che si tracciasse un limite equo in modo che il minimo numero possibile di Romeni restasse di qua ed il mínimo numero di Ungheresi restasse di la e che i due gruppi si equilibrassero. Ebbene non avvenne questo! I competenti avevano tracciato i limiti della nuova diócesi prendendo troppo in considerazione gli interessi delle nazionalita e solamente la greco-cattolicita magiara avrebbe da esserne malcontenta. Specialmente se consideriamo il fatto che il numero effettivo dei greco-cattolici ungheresi superava le 304.318 anime indícate dalla statistica del 1910. In Ungheria cioé é diffusissimo l'uso della terminología sbagliata secondo la quale i calvinisti che fanno il loro servizio divino in ungherese sono chiamati magiari, i greco-cattolici invece, in base alia lingua litúrgica usata oggi o prima nelle loro chiese, si chiamano russi o valacchi. Durante il censimento quindi si dichiararono russi o valacchi ( = r o meni) anche certuni che pur essendo magiari, ma abitando o in territorio delle diócesi contrarié alia liturgia magiara, oppure in villaggi di maggioranza rutena o romena, erano costretti a usare la lingua litúrgica paleoslava o romena. L'autore dimentica completamente di ricordare con quale gesto infinitamente córtese il Governo ungherese non aveva neppur messa in tavola le questione della possibilitá di chiedere ai vescovati romeni dai benefici donati loro dai re magiari, per il vescovato di Hajdudorog senza alcun beneficio, delle partecipazioni in proporzione alie parrocchie. Allorquando furono tagliate le diócesi di Kassa e di Szatmár dall' arcidioeesi di Eger, naturalmente fu diviso puré il beneficio del vescovo di Eger. Ció era pero naturale con un prelato ungherese; il governo ungherese non applicó lo stesso principio coi prelati romeni! Si puó immaginare un trattamento piü córtese di questo ? II nostro ingenuo autore puré sente di averie dette grosse quando ritiene il fatto dell'erezione della diócesi di Hajdudorog il massimo gravame per i Romeni modificando le dichiarazioni si duole cosi „piuttosto il modo in cui furono inflitte queste perdite" (p. 3.). Volendo giustificare la sua asserzione ardita fa conoscere le trattative preliminari ed il memoriale del governo ungherese (rilevandone per esempio il fatto che nel seno dei greco-cattolici ungheresi per causa deH'apparteneza a chiese di nazionalita straniera si inizió un movimento di rinnegazione della fede a favore del calvinismo, proprio nel territorio delle diócesi romene; é caratteristico che ció duole al governo „calvinista", ma non duole ai Romeni grecocattolici!), poi schizza le trattative dei vescovi e dice che Merry del Val, cardinale-segretario di stato, interrognado il 22 febbraio 1912 (col n. 55717) sulla questione il metropolita romeno Mihályi aveva chiesto „quali siano le osservazione (sic) concrete che ha da fare a proposito delle parrocchie che saranno distaccate dalla, sua giurisdizione" — a cui il nostro autore aggiunge: ,fer sfortuna,, il Met- 16 ropolita ed i vescovi-uniti non fanno tali osservazioni." Poi continua dicendo che ,,In mancanza di queste osservazioni concrete, l'Italiano Francesco Rossi-Stockalper... ha ricevuto dalla Santa Sede Tincarico di convocare il Metropolita ed i Vescovi uniti a~ Budapest, per álcune deliberazioni preliminari." II metropolita pero adducendo la sua vecchiaia e malattia non vi ando. Quale suo rappresentante ando il canonico V. Suciu. I vescovi Radu e Hosszu vi andarono, ma riferendosi alie decisioni del I Concilio Provinciale avevano dichiarato di non poter far nulla senza il consenso del metropolita („trattandosi di una si importane questione, non possono fare niente senza il consenso del Metropolita.") (pp. 15—16.) I vescovi romeni avrebbero voluto far delle sedute a cui accanto ai vescovi avrebbero partecipato almeno i rappresentanti dei capitoli (uno per ciascuno) ed i rappresentanti del clero delle singóle diócesi (due per ciascuno). Dopo questa adunanza sarebbe seguito „un consiglio intimo" in cui avrebbero avuto la loro parte anche dei laici. (p. 17) I Romeni che si astenevano dalle trattative ufficiali avevano trovato un altro modo per presentare i propri „gravami". II 24 febbr. del 1912 avevano pubblicato un memoriale. II 17 febbraio 1912 ne redassero un altro. II 29 maggio usci un terzo ed il 29 agosto pubblicarono il quarto memoriale. Basilio Suciu, canonico giovane ed agilissimo del metropolita, fu mandato a Roma dove egli passó alcuni giorni, dal 13 al 25 gennaio del 1912, ed ebbe colloqui con moltissimi funzionari del Vaticano e con alcuni cardinali; fu dal segretario della S. Congr. de Prop. Fide pro Negotiis Eccl. Orient., dai Cardinali Pignatelli di Belmonte, Rampolla, Vives y Tuto, dal segretario di Stato del Vaticano cardinal Merry del Val ed infine dal Santo Padre, da Pió X-°. II 6 marzo 1912 Demetrio Radu, poco dopo Basilio Hosszú, vescovi, andarono a Roma ed esposero al Santo Padre tutto quanto avevano da diré a proposito della questione. ' In piena conoscenza di quanto sopra é del tutto inspiegabile la lagnanza dell'autore secondo la quale precedentemente ai memoriali giá enumerati ed alie trattative suddette, alia seduta del consiglio vescovile, tenuta il 9 novembre 1911, non avevano dato la possibilita ai vescovi romeni di poter fare delle osservazioni concrete e solamente sulle generalitá poterono esprimere la loro approvazione in relazione alia istituzione della nuova diócesi. I vescovi romeni allora, come si dice non sapevano ancora che era stato progettato di distaccare dalle loro diócesi circa 70 parrocchie e che avevano avuto delle informazioni secondo le quali la questione si deliberava solamente in linea di principio. Ed in massima non avevano avuto nessuna osservazione contro essa i vescovi romeni. „Anzi, la salutano con simpatía", se dobbiamo credere all'autore. Da puré la causa di questa grande simpatía: „Ogni Diócesi veramente cattolica é una fortezza di virtú cristiane ed una sorgente inesauribile di iniziative e reálizzazioni culturali." (p. 14) 17 Dalla grande approvazione d'un colpo passa in ardimentose accuse: accusa di falso in atti pubblici il collegio dei vescovi ungheresi, per non aver incluso nel verbale del collegio vescovile l'assertiva riserva de vescovi romeni : le attuali Diócesi non devono essere lese, senza il preliminare consenso dei Vescovi." L'autore esclama scandalizzato : „Un falso in documenti pubblici!" (1. c.). Noialtri non partecipammo alla seduta del collegio dei vescovi, anzi non leggemmo neppure il verbale redatto ivi. Ci permetta perô il nostro autore di credere piuttosto al collegio dei vescovi magiari che a lui! Naturalmente l'autore attribuisce una grande importanza a questo verbale. Lo dice con coraggio : „Con questo bugiardo processo verbale Roma è indotta in erroref' (1. c.). Si dimentica perô che in primo luogo un consiglio del collegio vescovile in nessun caso puô avere il compito di deliberare con debiti dettagli il progetto dell'erezione di una diócesi e di stabilire quali parrocchie si debbano annettere ad essa. S'intende da sé che il collegio dei vescovi doveva prendere posizione solamente in linea di principio di fronte a questa questione. In secondo luogo: la riserva dei vescovi romeni (che cioè senza il consenso preliminare dei vescovi non si possa mutilare le loro diócesi) difficilmente si puô conciliare con il potere del pontefice romano che si basa sul diritto divino. Senza dubbio che la natura della cosa vuole che si sentano pure i vescovi interessati, e questo lo sanno benissimo pure a Roma, senza il verbale del collegio vescovile d'Ungheria. In terzo luogo : dopo la seduta del collegio vescovile che doveva prendere posizione — come ci racconta proprio il nostro autore — il cardinale Merry del Val, segretario di Stato del Vaticano, aveva chiesto il 22 febbraio 1912 (n. 55.717) al metropolita: „quali siano le osservazioni concrete che ha da fare a propositio délie parrocchie che saranno distaccate dalla sua giurisdizione" — come ci dice il nostro autore aggiungendovi la sincera conf essione : „Per s fortuna il Metropolita ed i vescovi-uniti non fanno tali osservazioni". Dopo la richiesta scritta del cardinale segretario di Stato l'invio di Francesco Rossi-Stockalper — come appunto ci fa sapere il nostro autore — aveva di mira che la Santa Sede potesse conoscere quale posizione concreta avessero preso i vescovi romeni; il metropolita per causa della sua malattia non si é pronunciato, i vescovi per l'assenza del metropolita non hanno espresso la loro opinione. I tre memoriali editi prima della Bolla Christifideles Graeci, nonche le visite romane di Basilio Suciu e dei vescovi Demetrio Radu e Basilio Hosszu, l'udienza papale di tutti e tre forse non avevano dato occasioni sufficienti per poter esprimere le loro osservazioni? Dove v'é da cercarsi dunque qui il gravame tanto lamentato? ! II discorso del nostro autore è seguito da una conclusione interessantissima. Secondo lui: „Tutti i loro memoriali, d'altronde numerosi ed interessanti, trattano le questioni soltanto in principio, 3 H VIDÜDOROGI GÖR. KAT. EGYHÁZMEGYE KÖNYVTARA 18 indicando il pericole (sic!) che questo vescovado fa nacsere per l'avvenire della santa Unione tra i Romeni (p. 16). È da supporsi che le trattative personali di Basilio Suciu, di Demetrio Radu e di Basilio Hosszu conformemente ai memoriali si occuparono della questione solamente sotto il punto di vista di principio. Ma i vescovi romeni — come proprio il nostro autore constata — al consiglio del collegio vescovile avevano dichiarato ch« aprovavano in massima l'istituzione del vescovato. Le parole del nostro autore sono: Naturalmente, in principio, i nostri Vescovi non aveúano niente contro la sua istituzione. Anzi, lo salutano con simpatia. Ogni Diócesi veramente cattolica è una fortezza di virtù cristiane ed una sorgente inesaurïbïle di iniziative e realizzazioni culturali (p. 14). Che ne segue quindi? Se il punto di vista in massima del collegio dei vescovi romeni era cosí semplice, chiaro e deciso e ne esprimeva la loro intima convinzione (di cui dubitare non abbiamo motivo nè diritto) — perché fu necessario che questo partito preso fosse propagato in quattro memoriali (il quarto fu edito dopo la Bolla Christifideles Graeci) e per di più durante i colloqui del canonico Basilio Suciu, dei vescovi Demetrio Radu e Basilio Hosszu in occasione delle udienze papali di tutti e tre? Sarebbe stato tanto importante ai vescovi romeni di notificare immediatamente e reiteramente quasi con impazienza meravigliosa, alia Santa Sede Apostólica la loro approvazione in massima in relazione con l'erezione della diócesi di Hajdudorog? La grecocattolicità magiara taceva disciplinata ed aspettava con fiducia le decisioni della Santa Sede e proprio ai vescovi romeni sarebbe stata la causa dell'istituzione della diócesi di Hajdudorog — in principio — tanto urgente ed importante?! Non è affatto probabile! Invece da ció ne seguirebbe che il partito preso in massima dai vescovi romeni il 6 novembre 1911 alla seduta del collegio vescovile o non era sincero, oppure davanti la Santa Sede non avevano esposto questo punto di vista; cioè presso la Santa Sede sarebbe stata un'altra la loro opinione. È vero pero che il nostro autore ci permette di argüiré che il partito preso espresso davanti la Santa Sede non poteva essere favorevole all'erezione della diócesi di Hajdudorog, giacchè in esso : „indicarlo il pericolo che questo vescovado fa nascere per l'avvenire deüa santa Unione tra i RomeniIn cambio ci domandiamo ora noi come fu possibile che nel consiglio dei vescovi avessero accettato „con simpatia" l'istituzione della diócesi pericolosa per la Unione dei Romeni ? ! Allora forse non era ancora pericolosa per l'Unione la nuova diócesi; appena due mesi dopo (alia stesura del primo memoriale) diventó poi pericolosa? Allora ancora era „una fortezza di virtù cristiane ed una sorgente inesauribile di iniziative e realizzazioni culturali", due mesi dopo il pericolo stesso dell'Unione, contro cui bisognava scagliarsi e scendere in campo? Una simile ipocrisia e un tale contegno da girella noialtri non 19 possiamo supporre da parte del collegio dei vescovi romeni e decisamente respingiamo una tale accusa! D'altronde è impossibile non porci la domanda: Se il nostro ingenuo autore parlando dei vescovi romeni scrive cosi senza critica, imperniato su contraddizzioni intrinseche, corne potremmo credergli quando scrive degli Ungheresi da lui tanto odiati?! Nella questione dei memoriali perô vorremmo veder in ogni caso chiaro! In relazione col rammentare di frequente il pericolo contro l'Unione è impossibile serbarci la serietà. Non per il fatto che l'Unione non ci fosse sacra. È un nostro tesoro inestimabile per noi e proprio per questo non possiamo permettere di vederla abbassata a mezzo di giuochi meschini, di artifici tattici. Che i greco-cattolici ungheresi hanno una diócesi separata oppure no (e in principio si tratta di questo, non è vero?), questo fatto absolutamente non puô toccare la causa délia Unione dei Romeni? Oppure quella Unione è cosi poco radicata nella anime dei Romeni che la soluzione di una questione che tocca solo la grecocattolicità magiara significherebbe già un taie pericolo per essa? Oppure agli occhi di alcuni la Unione, il ritorno dei Romeni nel seno délia Chiesa cattolica è solamente un buon pretesto per impedire che i grecocattolici ungheresi, che durante parecchi secoli furono sotto giurisdizione ecclesiastica romena, vengano ad essere sottoposti ad un governo ecclesiastico magiaro? Ci siamo già abitutati all'idea che i Romeni considerassero la Unione come una vera parola magica con la quale potere aprire qualsiasi possibilità per loro. Ma che sotto il titolo della Unione romena volessero ostacolare la causa della diócesi indipendente della grecocattolicità magiara, — questo poi è una aperta dichiarazione bellica cotro la lógica. (Per altro parlino i fatti: a causa della erezione della diócesi di Hajdudorog nessun Romeno è passato alio scisma; viceversa quantunque si fosse tolto subito la giurisdizione nei territori passati sotto il dominio romeno nel 1919 al vescovo di Hajdudorog, nei 22 anni passati una ingente massa di grecocattolici diventó scismatica.) L'autore rischia delle asserzioni inauditamente ardite in relazione alie trattative di Roma. Appartiene ai regni della fantasia per esempio quella asserzione che allorquando il vescovo Basilio Hosszu „con la sua grande destrezza diplomática... riesce a ccmvincere il Santo Padre, quali sia-no i piani perfidi dei governi di Budapest e di Vienna — il Papa si sente obbligato a dire: Mi hanno ingannato!" (p. 21). Dal discorso del nostro autore questa udienza sarebbe accaduta nel marzo del 1912. Come è possibile dunque che 1'8 di giugno è stata rilasciata la bolla Christifideles Graeci? Owero il papa sarebbe stato un fantoccio impotente che stava sotto l'influsso dell'ambiente? II nostro autore ne asserisce proprio il contrario in un altro passo attribuendo al cardinale Rampolla la seguente dichiarazione : 2* 20 „Questi hanno fatto che il Santo Padre si riservasse questa causa?' (p. 24). Questa parte dell'opuscolo mette a dura prova la nostra credulita evidentemente per il fatto che vuol preperarci l'autore a credere le sue asserzioni piü ardite ancora delle parti romanzesche raccontate nelle pagine seguenti. L aliarme di guerra dei Rorneni Il metropolita Mihályi aveva formulato il punto di vista dei Romeni di fronte all'istituzione della diócesi di Hajdudorog il 10 novembre 1911/il giorno dopo il consiglio dei vescovi in cui i vescovi romeni avevano dichiarato di accettare con simpatía il progetto dell'erezione del vescovato di Hajdudorog/nelle lettere indirizzate al nunzio di Vienna e al presidente del consiglio ungherese nella seguente maniera: „nessuna parrocchia possa smembrarsi dalle loro attuali diócesi senza il loro consensoNel medesimo tempo pero non avevano dato il loro consenso al distacco di alcuna parrocchia puramente magiara, anzi si sono isolati rígidamente anche dalle trattative riferentisi al distacco; malgrado la richiesta epistolare del cardinal segretario di stato Merry del Val e le trattative di Fr. Rossi—Stockalper. Contemporáneamente a Roma facevano di tutto — per mezzo di memoriali e delegati — per ostacolare Tintero progetto. Mentre i Romeni a Budapest ed a Roma tergiversavano in tal modo di fronte al progetto dell'istituzione della diócesi nuova che in principio approvavano ed in pratica volevano ad ogni costo impedire, per raggiungere i loro fini non si sono astenuti neppure dall'attizzare le passioni delle masse. Dal fascicolo del nostro autore apprendiamo come Torganizzazione della lotta si fosse incominciata già prima della publicazione della bolla Christifideles Graeci (l'organizzazione della lotta in patria, p. 24.) L'autore ci dice anche chi avesse incominciato la lotta: „1 primi che combattano il vescovado magioro di Hajdudorog sono i Vescovi romeni ed il Metropolita". (p. 18.) II 23 aprile 1912 avevano deciso di organizzare una adunanza di protesta („una grande adunanza di protesto"), che il 29 maggio ebbe poi luogo. II nostro autore giubila in termini superlativi della popolaritá, delle ingenti dimensioni e dell'entusiasmo fanatico dell'adunanza. „Un bosco, agitato da burrasca, in balia dell'animazione che li ha dominato tutto il tempo", — „non si è visto tanto amore fanatico, per i suoi dirigenti, come qui" — invito a questa adunanza passa come un frémito da un capo 21 áll'altro del passe". (p. 25.) Da quel che si asserisce avrebbero partecipato all'adunanza venti mila persone, anche dalle regioni lontanissime. In seguito al giubilo del nostro autore é impossibile non domandarci: gli Ungheresi erano stati veramente degli oppressori e dei nazionalisti esagerati se avevano permesso tutto ció?! Ed i dirigenti dei Romeni avevano forse la piü pallida nozione dello spirito ecclesiastico se contro una disposizione papale ancora neppure pubblicata avevano sentito il bisogno di schierare le passioni della folla?! Giacché il fatto che erano convenuti dalle regioni piü lontane e piü varié era senza dubbio dovuto ad una forte direzione e propaganda centrale e non a decisioni spontanee. Se esaminiamo poi i discorsi pronunziati all'adunanza, vediamo delle prove piü sorprendenti della mancanza dello spirito ecclesiastico. Secondo il nostro autore il motto era: „Viene la punizione... perché gli Ungheresi vogliono cambiare le croci dalle chiese". Era compito facile di far credere all'incolto popolo romeno, che attaccavano la sua religione, che volevano rubargli la fede. E davanti a questa folla deviata e fanatizzata non si é vergognato Stefano Csicsó Pop di enunciare: „per la vostra bocca, o fratelli, il Signare stesso esprime la sua vólontá!" Contro la volontá del papa! Poi aveva agitato fino a fondo le passioni della massa: Un uragano ha sorpreso la nostra Chiesa. Gente che non ha niente a fare con Dio e la Chiesa (questo popolo sarebbe il popolo del Regnum Marianum che aveva difeso la cultura europea e cristiana spargendo il sangue contro i Tartarí e Turchi!), colpiscono colla scure alia base déüa Casa del Signore... (!) Oggi la nostra Chiesa e tra le piü potenti. I nemici cercano a scuotere le sue fondamenta, ma trovano il muro dei nostri petti... Questa Chiesa e la culla della nostra nazionalitá... la nostra Chiesa é il piü potente scudo dell'anima romena." (p. 26.) Ecco: l'infatuamento di alcuni come avesse trascinato nelle lotte di nazionalitá la Chiese di Cristo che sta sopra le nazioni! G. Pop de Básesti ando ancore oltre. Chiamó un „mostruoso attentato contro la nostra Chiesa nazinale" il progetto dell'istituzione della diócesi di Hajdudorog (p. 28). Secondo lui l'erezione della diócesi separata della grecocattolicitá magiara ,,é progettata direttamente contro l'esistenza dei Romeni, mirando ad una meta totalmente estranea al destino vero della Chiesa di Cristo". Questo capo dei Romeni apertamente dichiara che la loro chiesa é una chiesa nazionale! E con l'entusiastica approvazione dell'adunanza di Gyulafehérvár ammaestra la Santa Sede spiegando che cose sia veramente ,,il destino vero della Chiesa di Cristo"! Passa puré a prospettare questo pericolo terribile: vogliono distaccare un certo numero di parrocchie dalle diócesi romene. Neanche lui osa affermare che i fedeli di queste parrocchie non 22 siano di lingua materna ungherese. Ma diehiara con ardimento che questi erano tutti romeni solo che si sono magiarizzati. Dimenticandosi della storia, dell'etnografia e della mente sana, ed accecato dalla sfrenata magiarofobia gridó alia folla romena fanatizzata: .Magiari greco-cattolici non ci furono mai e non ci sono neppure ara. I fedeli della nostra Chiesa che parlano l'ungherese, sono fratelli nostri, sono sangue del nostro sangue, che in seguito a delle vicissittidini sfavorevoli, perdettero la loro lingua materna" (p. 28). La storia e l'etnografia possono diré qualunque cosa: l'adunanza di Gyulafehérvár aveva enunciato con tempestoso antusiasmo che Ungheresi greco-cattolici non ci sono, non c'erano mai! I demagoghi che fanatizzavano la folla si sono dimenticati di una cosa: e cioé che anche se avessero avuto ragione loro, la Chiesta di Cristo puó considerare solo, indipendentemente dall'origine che si perde nella nebbia di secoli remotissimi, di quale lingua fanno ora uso i suoi credenti. Anche dai discorsi antiscientifici e pieni d'odio dei demagoghi di Gyulafehérvár le persone ragionevoli non possono dedurre altra conclusione e certezza che l'erezione della diócesi di Hajdudorog era ormai un compito ecclesiastico improrogabile. L'oratore — a sua insaputa — aveva fornito un magnifico argomento per la necessitá della liturgia magiara quando constata che „eccezione fatta per la S. Messa, tutti i servizi divini come puré la predicazione, finora si compiono nella lingua che parlano .. (p. 28). Apertamente non osa é vero, nominare la lingua ungherese, siccome pero i Romeni celebrano puré in romeno la messa, — e l'oratore nella frase precedente aveva parlato di quelli che parlano l'ungherese: con ció aveva riconosciuto che nei territori delle diócesi romene viveva l'uso della lingua litúrgica magiara inestirpabilmente a dispetto del fatto che — come ci dice il nostro autore — i vescovi romeni avessero fatto di tutto per impedirlo. (Cf. p. 7.) É ridicola dopo questi fatti l'esclamazione teatrale degli oratori: „quale é il vero scopo della diócesi greco-cattolica magiara — la nostra magiarizzazione, l'invasione della nostra lingua, del nostro essere romeno". (p. 29.) Che G. Pop de Basesti avesse stimato tanto poco le facoltá d'intelligenza dei suoi ascoltatori ce lo spieghiamo ancora. Ma che Giovanni Georgescu avesse creduto di poter acquistare amici alia causa romena. nei circoli del Vaticano con la narrazione dattagliata di quanto sopra, dobbiamo ritenere da una parte una inaudita ingenuitá, dall'altra, con la supposizione d'una simile ingenuitá nei circoli competenti del Vaticano, come una grave offesa ai medesimi. II nostro oratore pero va oltre con un passo: Fa la domanda: otevamo noi ... non daré espressione ai nostri sentimenti di sdegno e di rivolta di fronte a questo attentato tramato con tanta diabólica perfidia?" E ne dá anche la risposta, che se „la diócesi magiara sará creata, attora possiamo assicurare chmnque che il benedetto gregge qui rappresentató, si trasformerá 23 in un irrequieto flutto, che non avrà riposo finquando non si sarà sbarazzato di questo suo nemico di morte" (p. 30.) C'è forse bisogno di commenti ? ! Possiamo forse trovare nella storia ecclesiastica un esempio simile a questo? Che in relazione con un decreto papale in preparazione vogliano terrorizzare in un tal modo umiliante il Santo Padre stesso? Ha una parte la mente sana nonché lo spirito mínimamente ecelesiastico là, dove una folla fatta accorrere da regioni lontanissime, incolta e fanatizzata giudica dei decreti papali che non sono neanche usciti alla luce? In seguito è vero che non possiamo meravigliarci più del fatto che l'adunanza nel 1-° punto delle sue decisioni dice apertamente: ,¿>er i moltissimi mali clie ne derivano, la creazione délia diócesi greco-cattolica magiara è pericolosa" Sei mesi prima i vescovi romeni avevano salutato „con simpatía" — almeno in principio — il progetto del l'istituzione délia nuova diócesi! Témpora mutantur . . . Destate le passioni délia massa deU'adunanza popolare Basilio Suciu stendeva un memoriale, G. Pop de Bàseçti organizzava la resistenza nazionale. Il memoriale doveva dimostrare il punto di vista romeno adducendo argomenti storici e statistici. Il nostro autore ne rileva due argomenti; tutt'e due non fanno altro che destare il sorriso degli esperti. Prima di tutto nega l'esistenza délia greco-cattolicità ungherese col pretesto che a Hajdudorog nel secolo XVni- 0 vi furono chiese rutena e romena e parrochie rutena a romena. Si dimentica perô che si chiamavano cosi solamente perché erano costrette a seguire il rito ruteno oppure il rito romeno. Come anche oggi dovrebbero fare altrettanto se fosse in facoltà dei Romeni; cioè seguire il rito ruteno o romeno. Nella statistica l'autore è ancor meno felice che nella storia. Egli ritiene di poter tagliar corto con la presunta inattendibilità délia statistica ungherese con un colpo mancino: l'incremento délia popolazione ungherese tra il 1850—1869 era solo di 52000. Tra il 1890—1900 invece era di 473000 ; pertanto esclama trionf almente : „Voilà justement, comme on fait la statistique en Hongrie". Abbiamo già accennato alla veridicità délia statistica magiara proprio parlando dei Romeni. Saremmo curiosi di sapere da dove attinga i dati il nostro tronfio autore. Un censimento con distinzione di nazionalità o di lingua materna nel 1870 in Ungheria non fu fatto. Solo nel 1881 fu introdotto quello sulla lingua materna, mentre giammai quello su nazionalità. Del resto tra il 1850—1867 in Ungheria una dominazione straniera soffocava il magiarismo, perciô moltissimi si dichiaravano apparteneti a nazionalità di loro gradimento non esclusa la romena. Tra il 1890—1900 l'indice dell'incremento demográfico salta su non solo per la nazione ungherese ma anche per le nazionalità, tra cui la romena. Che il numero degli Ungheresi tra il 1890—1900 si sia 24 elevato proprio di 473000, — non ho idea da dove possa desumerlo l'autore. Dai dati statistici dell'anno 1900 risulta invece chiaramente che il numero dei Romeni viventi sul territorio dell'impero ungarico si è elevato di oltre duecentomila. (Il romenismo rapprenestava quindi quasi l'aliquota di un terzo del magiarismo; questa è dunque una proporzione favorevole solo ai Romeni. Se due millioni e mezzo di Romeni aumentarono di oltre duecento mila, perché non avrebbero potuto aumentare di quasi cinquecento mila i circa sette milioni e mezzo di Ungheresi?! D'altronde la medesima statistica dell'anno 1900 dimostra moltissimi Romeni tra i credenti delle sette tra le quali potevano capitare solo in base a processo di romenizzazione. P. es. Tra i Romeni si trovarono 8754 romano-cattolici, 2261 evangelici, 1857 riformati, 276 unitari e 4207 israeliti. Forse anche questa è una falsificazione?!) L'organizzazione délia resistenza nazionale si svolgeva sotto la guida di G. Pop Básesti. I Romeni il 27 luglio del 1912 decidono di presentare al Santo Padre un nuovo memoriale, „dimostrando più sóidamente il motivo per cui non si puo creare la nuova diócesi magiara. (p. 36) nello stesso tempo decidono: „far protestare (!) tutte le parroccliie disgiunte; protestare in modo passivo nel caso che la bolla, fosse eseguita, — protestare e resistere attivamente dove si puo, secondo le circostanze." (pp. 36—37). La decisione fu presa neU'albergo Centrale di Kolozsvár, e mandarono per l'attuazione una commissione. Tra i venti membri délia commissione possiamo legere i nomi del già più volte menzionato Basilio Suciu (il metropolita di più tardi) e quello di Alessandro Rusu, attuale vescovo di Máramaros. Costituirono pure una tripla sottocommissione ; una ne fu la „politico-nazionale?'.( !) Seguirono poi altre adunanze a Szatmárnémeti, a Nagybánya; vi furono coloro che raccomandavano la cessazione délia resistenza. V. Lucaciu li ammoniva: „la creazione délia nuova diócesi non riguarda Vinfallïbïlità paple, non essendo una questione di fede o di morale... per questo si puo discutere in piena liberta (?!)" E proponeva che ogni singóla parrocchia redigesse un memoriale al Santo Padre. Furono incaricati délia redazione dei memoriali G. Maniu, C. Bulcu e V. Lucaciu. (Cosi nacquero dunque i memoriali esprimenti l'umore ed i desideri delle singóle parrocchie!) E in fine enunciarono l'organizzazione separata délia resistenza in ogni villaggio. É istruttivo leggere l'elenco dei nomi; i più appassionati sobillatori di nazionalità, i demagoghi più accecati divisero fra di loro i villaggi di Szatmár, di Bihar, e persino osarono di penetratre a Szabolcs ; a ognuno furono assegnati due o più villagi le cui popolazioni dovevano essere manovrate, e organizzate ai fini della ribellione e della resistenza attiva o passiva in massa. H compito più difficile toccô a Giulio Maniu, ad Alessandro Nicolescu (l'arcivescovo di 25 piü tardi), e a Vittorio Macaveiu: „farranno (sic!) tutto ü possibile néUe parti dei Siculi." (Székieri.) Anche gli altri fecero del loro meglio. Nella maggioranza dei villaggi perö il risultato fu nullo. In altri invece si trovarono credenti che soggiacquero alia sfrenata demagogia dei sobillatori. Resistenz& ^n&zion&te L'utimo capitolo del nostro opuscolo racconta — in una esposizione piü vivace ed eccitante dello stile di qualsiasi romanzo giallo — i dettagli di questa resistenza. II nostro ingenuo autore dopo aver premesso la progettazione centrale di questa resistenza nazionale, l'organizzazione estendentesi al piü piccolo villaggio, — enumera i villaggi e le persone che ne avevano assunto la ribellione — il lettore aspetta con curiositá aizzata quale fosse il risultato di tanto lavorio degü agitatori. I 17 sceltissimi agitatori e fanatici demagoghi delle lőtte di nazionalitá dei Romeni dovevano scatenare colla forza degli elementi le passioni di massa! La lettura dei dettagli successivi procurano una delusione all'aspettativa tesa, del lettore. Solo nei villaggi di Kismajtény, di Szamosdob, di Szaniszló, di Reszege e di Nagykolcs poterono questi agitatori sobillare un esiguo gruppo, come ci racconta il nostro autore stesso. Per gli agitatori mandati in altri villaggi ogni sforzo — come si vede — fu vano. A Kismajtény gli uomini furono ammassati con i rintocchi a martello. „Le campane suonano continuamente... Gli uomini sono chiamati alia scuola, per portare della pietra, dei mattoni e calce di costruzione ..." leggiamo nell'opuscolo (p. 42). La demagogia aveva qui lavorato magistralmente: lo scontro con i gendarmi produsse einque feriti: Mezei Mihály, Borota Bazil, Szilágyi János, Vastag Sándor e Vastag Ágoston. Di essi quattro portano splendidi nomi magiari. Come avevano potuto farli insorgere contro i gendarmi magiari? Anche questo é svelato dal nostro autore. Uno degli imputati interrogato dal giudice sul perché non fossero contenti del nuovo vescovato diede questa risposta sorprendente: „... noi soli dobbiamo ritornare al greco antico, qitando tutto il mondo progredisce?" (p. 43) Quindi non si lagnava del vescovo magiaro, della lingua magiara, ma di quella parte della bolla Christifideles che sanciva lingua litúrgica quella greca antica. Ed appunto questo deplorava anche la parte piü impaziente della greco-cattolicita magiara. Gli abitanti dei piü puri villaggi magiari si doman- 26 davano precisamnete questo: Perché dobbiamo noialtri tornare alia lingua litúrgica greca antica dei prixni secoli, mentre gli Slavi, i Romeni celebrano la messa nella propria lingua? Gli agitatori di nazionalitá di Kismajtény avevano lavorato egregiamente. Avevano sfruttato ai propri fini di nazionalitá persino i desideri radicati profondamente nelle anime dei piú genuini magiari. Invero il nostro autore si distingue egregiamente nella descrizione degli awenimenti di Kismajtény, di Szamosdob, di Szaniszló. di Reszege e di Nagykolcs; e solo che ha il difetto di etranearsi completamente dalla verita storica. I verbali delle deposizioni fatte sotto giuramento davanti ai tribunali raccontano del tutto diversamente le cose. Daltronde le altre asserzioni dell'opuscolo non favoriscono troppo l'attendibilitá delle affermabioni del nostro autore; da parte nostra siamo inclini ad accettare come vera — anche¡ contro i dettagli drammatici del nostro opuscolo — le deposizioni fatte sotto giuramento dai partecipanti attivi della resistenza. (V. n. 3) La resistenza centralmente organizzata, oltre che nei villaggi si svolgeva nella stampa e persino nel parlamento. A illustrazione dei punti di vista romeno e ungherese valgano due citazioni dell'opuscolo: II primo ministro Stefano Tisza — di religione calvinista é vero — nel dicembre 1913 disse quanto segue: ,,A propositio di questo, bisogna notare una cosa: secondo le vostre affermazioni esagerate, nella diócesi Hajdu-Dorogh sono diecinaia (sic) di parrocchie non magiare. Ma nelle diócesi romene unite, vi sono migliaia e migliaia di fedeli magiari. Se loro sono cosi sensibili per il fatto che dei fedeli Romeni siano incorporan alia diócesi magiara, degnatevi guardare anche il rovescio della medaglia dallo stesso punto di vista, ed allora dobbiamo noi puré avere cura, che la loro sorte (cioe il magiarismo di questi greco-cattolici magiari appartenenti alie diócesi romene), sia pienamente assicurata." (p. 49.) Basilio Hosszu, vescovo di Szamosújvár, intanto accentuava nel suo discorso pronunziato alia Camera Alta che: „la nuova eretta diócesi non porta seco la pace, ma la guerra... II Romeno ama piú di ogni cosa la sua nazione el a sua lingua(H). Non appena vedrá che gli é interdetta pregare Iddio nella sua lingua, egli cercherá altrove una religione ove possa assicurarsi questo diritto...!! E terminava il discorso col: ,JlomcLnul tine minte: il Romeno non dimentica! Cosi osava parlare nel parlamento magiaro un vescovo greco-cattolico romeno. Occorrono commenti?! O forse mette in migliore luce i Romeni il telegramma indirizzato al nunzio Scapinelli dal prete di Kismajtény tanto glorificato dall'opuscolo? Eccone il testo: „fino all'ultima goccia di sangue 27 custodiremo e difenderemo la lingua e la fede dei nostri padri, contro la temeritá crudele della Bolla pópale Christifideles Graeci." (p. 53.) Oecorrono eommenti?! L'azione di resistenza organizzata centralmente» — ponendosi contro ogni sentimento ecclesistico e contro la mente sana — cercava di acquistare aderenti per mezzo di agitatori demagoghi, di giornalisti sobillatori e di discorsi in parlamento in perfetta antitesi con l'essenza del cattolicesimo. Naturalmente fu raggiunto qualche risultato che l'autore del nostro opuscolo si compiace coloriré. Del piü importante si dimentica. Dimentica che questo movimento di resistenza diretto dall' alto culminó poi nel raccapricciante attentato a mezzo di bomba a Debrecen e che provocó lo sdegno del mondo civile di allora. Perché é una asserzione del tutto ingenua che dei nichilisti russi abbiano mandato al vescovo di Hajdudorog la bomba che spense la vita a tre uomini innocenti. I nichilisti sogliono attentare alia vita dei sovrani e a quella degli uomini di stato. La vita o la morte del vescovo di Hajdudorog non poteva interessarli. Per contro é evidente la deduzione — e questa deduzione é stata anche comprovata dalle indagini ulteriori — che nazionalisti romeni accecati dall'odio l'avevano mandato al vescovo di Hajdudorog. Ci Guarderemmo bene dal pensare che G. Pop de Básesti e compagni avessero progettato questo attentato. E siamo convinti che non sapessero nulla di questo misfatto. Tuttavia é indubbio che l'eccitamento odioso scatenato da loro contro la nuova diócesi, — continuamente alimentato dai discorsi pronunziati nelle adunanze di Kolozsvár, di Szatmárnémeti e di Nagybánya — provocó la scintilla che nell'anima di alcuni nazionalisti accecati diventó incitamento all'assassinio: l'atto abietto dell'attentato dinamitardo di Debrecen che rifletteva giá l'ombra degli orrori della guerra mondiale e che diede tre martiri alia causa della greco-cattolicita magiara. Solo la Providenza Divina salvó allora la vita del nostro vescovo! La commissione che nell'albergo Centrale di Kolozsvár organizzava in modo astuto „la spontanea manifestazione ed opposizione" dei pacifici ed ignari villaggi in nessuna maniera non poteva meditare quest'infamia; se pero non fosse stcttci accec cttci dallo sciovinismo, avrebbe dovuto capire che le passioni di massa scatenate da essa necessariamente avrebbero condotta a quell'epilogo. Chi semina venti, raccoglie tempesta! La parte finale del nostro libello famoso tratteggia in poche righe come i Romeni abbiano trovato la riparazione ai loro gravami. Sappiamo da ció che ,/ii 12, XI. 1918, a Satu Mare, e ai 18 XI. 1918 a Carei si costituisce il vicariato nazionale romeno, sotto la direzione del P. Romolo Marchas. Lo stesso fanno quei di Targu-Mures e dalla 28 „Secuime" all'll e 26. XI. 1918". Continuando l'autore espone che „in seguito a questi fatti... il Nunzio Apostólico di Vienna, il Conte Teodoro Valfré di Bonzo ... cava ... parrocchie dalla giurisdizione del vescovo di Hajdu-Dorogh e le mette sotto quella del vescovo D. Radu di Oradea, come Amministratore Apostólico. Lo stesso... stacca da Hajdu-Dorogh l'intiero vicariato del „Secuime" aggiungendolo ail'Arcidiocesi e Metropolia di Alba Giulia e Fâgâras." Infine sappiamo che questo nuovo ordinamento venne confermato dal concordato e dal decreto no. 482/1933 délia Congregazione Orientale. Si vede dalla brevissima esposizione dell'autore che non osa approfondire le questioni in causa. Perché se enumerasse i fatti ogni uomo ben pensante potrebbe ricavarne deduzioni delle quali il nostro autore dovrebbe arrossire. Guardiamo invece gli awenimenti nella loro realtà. L'istituzione dell „vicariato nazionàle romeno" viene riconosciuta pure dall'autore; e non ha una parola di condanna per essa, anzi sembra approvarla, giacché in seguito ad essa fu emanata la disposizione del nunzio di Vienna. Prima che, sia la Santa Sede, sia il Nunzio, o qualsiasi altra autorità ecclesiastica avesse potuto dare delle dispozioni in materia, immediatamente dopo lo scoppio délia rivoluzione del 1918 il famoso arciprete Romolo Marchis già ricordato pure dal nostro autore, a capo del clero sciovinista romeno istitui di proprio arbitrio il vicariato nazionale romeno e enunció il distacco dalla diócesi di Hajdudorog. Del fatto informó il clero romeno mediante una circolare nella quale tra l'altro parlava dei sei anni intercorsi ,,da quando la fatale bolla papale „Christifideles" con abietta furberia e forza aveva annesso 46 parrocchie alla diócesi di Hajdudorog di cattiva memoria" (prin fatala Bulâ papalá „Christifideles" 46 de parochii... au fost cu o josnicà viclenie çi fort à adnectate câtrà urgisita diecezá a Hajdudorogului). Poi continua cosi: „1 grandi awenimenti susseguitisi alla guerra mondiale... ebbero per risultato che anche il popolo romeno scuotesse le catene che lo avevano awinto persino nella sua chiesa. La dominazione straniera in seguito alla conseguita indipendenza del popolo romeno venne scacciata dalle chiese romene, dove si era intrufolata con furberia e forza (unde s'a vînt eu viclenie çi fortâ). Dopo constata solennemente quanto segue: „Le adunanze popolari romene del 13 e del 18 m. c. di Szatmár e Nagykároly hanno enunciato il distacco totale delle 46 parrocchie romene dalla diócesi di Hajdudorog, ai preti hanno vietato qualsiasi comunità col vescovo estraneo alla nazione romena. Hanno proclamato un Vicariato nazionale romeno consistente di queste parrocchie in Unione con la Santa Sede Apostólica di Roma quale parte costitutiva della Arcidiocesi di Gyulafehérvár e di Fogaras. (Adunàrile poporale romane din 13 çi 18 1. c. din Sàtmar si Careiimari au enuntat ruperea total S a celor 46 de parochii romane de 29 cátra dieceza HLajdudorogului, preotilor le-a interzis orí ce comunicare mai mult cu episcopul strein de neamul románese. Au proclamat un Vicariat national román constatator din acestea parochii în Uniune cu s. Scaun apostolic al Romei ca parte constitutiva a Mitropoliei de Albaiulia si Fágáras.) Poi con inaudito ardimento continua: „La sovranità del pololo ha eletto e costituito Vicario nazionale roîneno il sottoscritto Arcidiacono . . . con tutti i diritti e la giurisdizione che competono ai Vicari generali in tempo della vacanza di vescovo (!) — della sede vacante vescovile — finché la Santa Sede Apostólica di Roma non incorpora di nuovo questo Vicariato nelle diócesi madri di Nagyvárad e di Szamosu.ivár. Ho ricevuto poi l'incarico di notificare al vescovo di Hajdudorog che non lo riconosciamo più quale nostro vescovo . . . non accettiamo più nessuna sua disposizione." (Suveranitatea poporului a ales si constituit de Vicar national román pe subscrisul Archidiacon... cu tóate drepturile çi iurisdictiunea ce le compet Vicarilor generali ín timpul vacantei de episcop ( ! ), pânàce s. Scaun ap. al Romei a reincorpora acest Vicariat iaràçi în diecezele mame a Oradeimari si a Gherlei. Am primit apoi mandatul d e . . . a face cunoscut Episcopului de Hajdudorog, ca mai mult nu-1 recunoastem de Episcopul nostru . . . nici o dispositiune nu i-o mai primim.) Invita il clero di comunicare in una prossima occasione dal pulpito ai credenti il distacco dal vescovato di Hajdudorog. Poi ordina che nella messa e in occasione degli altri servizi divini al posto del nome del re ricordino il Consiglio Nazionale Romeno Centrale. (Conziliul National Román Central.) L'ardimento sfacciato di questo sedicente „prelato" creatosi col favor© del popolo, accrebbe fino a tal punto che comunicó anche al Nunzio i Vienna la scissione dalla diócesi di Hajdudorog: „La grande adunanza nazionale romena ha deciso il distacco dalla diócesi di Hajdudorog... non ne riconosce più la giurisdizione, vietando ai preti qualsiasi comunità coll'ex vescovo che fu eretto con la forza sopra ü popolo romeno." Anzi osa dire che l'adunanza popolare di Nagykároly ha proclamato il Vicariato nazionale ,,in base rivoluzionaria" ( ! ! ) (— pe baza revolutíonara a proclamat Vica.riatul national román), — „eleggendomi ed affidandomi con tutti i diritti di governo e giurisdizione sopra le parrocchie del Vicariato nazionale romeno, che in base ai ss. canoni competono ai vicari generali in caso di sede vacante." (Come vediamo confonde conseguentemente il vicario generale col vicario del capitolo; indipendentemente da ció peró oltre mezz'anno il signor „vicario di popolo" esercitó senza alcun disturbo ogni sorta di diritto spettante agli ordinari). Alla fine confessa sinceramente: „sono stato costretto in base rivoluzionario-democratica a prendere momentáneamente il governo di questo vicariato giacché il Clero ed il popolo presente mi giuró rispetto e obbedienza, (dar am silit pe bazà-revolutionarà democra- 30 ticà a prelua momentan guvernarea acestui Vicariat, jurându-mi Clerul si poporul prezent cinstea si supunerea cuvenitá). Ecco dunque come fu aperta la strada della riparazione ai gravami presunti dei Romeni. La frenesia dello sciovinismo sfrenato, l'oltraggio impúdico delle disposizioni della Santa Sede, il rifiuto osténtate d'ubbidienza verso il proprio vescovo, la formazione in base rivoluzionaria di un vicariato nazionale, la derivazione del potere di governo dalla grazia e dal potere del popolo, caratterizzano questo awenimento simile al quale difficilmente troviamo anche nei più tristi secoli della storia ecclesiastica. E l'autore del nostro opuscolo ne parla come del movente della vittoria della giustizia romena. Certo : de gustibus . . . # Ricordato ,,il vicariato del popolo" il nostro autore rammenta le disposizioni funeste in materia, del Nunzio Apostolico di Vienna, Valfré di Bonzo. Si dimentica pero svelare lo sfondo intéressante senza pari (potrei dire disperatamente intéressante) di queste due disposizioni. Guardiamo pure l'ordine degli awenimenti: Come tutti sanno l'esercito romeno non mantenne le condizioni dell'armistizio di dolorosa memoria susseguitosi alia guerra mondiale e passando oltre le linee di confine provisorio fissate penetró neU'interno del paese disarmato e cosi capitarono sotto dominazione romena anche le parrocchie che una volta appartenevano alie diócesi di Fogaras, di Nagyvárad e di Szamosujvár e che furono annesse nel 1912 alia diócesi di Hajdudorog. La politica ecclesiastica romena riteneva quale suo compito urgentissimo l'ottenere la riannessione di queste parrochie e quale risultato di una azione diplomática ancor oggi sconosciuta riuscirono ad ottenere che le parrocchie che prima appartenevano a diócesi romene (e che o del tutto o nella maggioranza sono ungheresi) venissero sottoposte alia giurisdizione dell'arcivescovo di Fogaras e a quella del vescovo di Nagyvárad. Valfré di Bonzo, nunzio di Vienna, emanó il 10 maggio 1919 (dunque qualche giorno dopo l'entrata delle truppe romene, alie parrocchie accennate, precedentemente all'inizio delle trattative di pace) il suo decrete no. 16.475 che incarica Demetrio Radu, vescovo di Nagyvárad, di amministrare e di governare „tamquam S. Sedis delegatus" le 46 parrocchie della diócesi di Hajdudorog appartenenti prima ai vescovati di Nagyvárad e di Szamosujvár. II testo del decreto è il seguente : „Cunctis ubique pateat et notum sit omnibus, ad quos spectat, sive in posterum spectare poterit, quod SSmus Dominus Noster Benedictus div. provid. Papa XV. fel. regnans, pro eo flagrat zelo, ut omnium in orbe credentium necessitatibus consulatur, ad fideles illos graecos-catholicos rumeni labii, qui illas incolunt parochias 31 quae per Apostolicam Bullam diei 7 Junii 1912, quae incipit „Christifideles graeci ritus catholici" cuius executio Excellentissimo Patri Domino Archiepiscopo Laodicensi, antecessori nostro, demandata fuerat, (qui evidentemente a causa della negligenza del copista qualche parola fu omessa; forse: ex dioecesibus Magnovaradiensi et Szamosujváriensi dismembratae fuerant atque noviter erectae dioecesi Hajdudoroghensi attributae) quaeque ad rumeni ritus dioeceses pertinebant, Suae charitatis curas convertít eorumque statum attendens atque eorum bono spirituali opportunius atque efficacius consulere desiderans votis Antistitum Rumenorum catholicorum obsecundans, dictas parochias graeco-catholici ritus rumeni labii numero quadraginta sex, quae per memoratam Bullam neoformatae dioecesi Hajdudoroghensi attributae fuerant et quarum quadraginta duae e diócesi rumena Magnovaradiensi et quattuor e dioecesi Szamosujvariensi dismembratae fuerant, curis et zelo Hlmi Patris Domini Episcopi graeci rumeni ritus Magnovaradiensis cornmittere decrevit tamquam Sedis Apostolicae delegati cum facultatibus ordinariis. Quae cum ita sint, Nos, Auctoritate Apostolica speciali modo Nobis tributa, Patri Domino Demetrio Radu, Episcopo rumeno Magnovaradiensi, committimus ut parochias praedictas tamquam Sanctae Sedis delegatus administret atque pro sua prudentia et charitate gubernet, eique omnes et singulas facultates, quae a jure canon ico ordinariis decernuntur, decernimus atque tribuimus." Demetrio Radu, vescovo di Nagyvárad nel suo rescritto no. 709/1919 del 7 giugno 1919 mandó il decreto al vescovo di Hajdudorog, rilevando che ,,le 42 parrocchie romene di Nagyvárad (dunque eccetto due: le parrocchie rutene di Nagyléta e di Nagyvárad) e 4 di Szamosujvár sono state disgiunte ( ? ! ) dalla diócesi di Hajdudorog e sottoposte alia mia propria giurisdizione". Aggiunge continuando che „della pubblicazione ufficiale di questo Decreto disporró io stesso nelle parrocchie interessate." Alcuni giorni dopo (il 29 giugno 1919) Valfré di Bonzo, nunzio apostolico di Vienna, emana un altro decreto col no. 17.669, con cui incarica l'arcivescovo di Fogaras di amministrare e governare „tamquam S. Sedis delegatus" le parrocchie della Terra dei Székleri. II decreto é il seguente: „Cunctis ubique pateat et notum sit omnibus ad quos spectat sive quomodocumque spectare poterit quod SSmus Dominus noster Benedictus div. prov. Papa XV. fel. reg. ad fideles illos graecos catholicos rumeni labii paternum animum convertens, qui sic dicti Vicariatus Siculi parochias incolunt quae, per Bullam Apostolicam diei 7 junii 1912 quae incipit „Christifideles graeci ritus catholici" cuiusque executio Excellentissimo Domino Antecessori nostro demandata fuerat, ex Archidioecesi Fogarasiensi dismembratae fuerant atque noviter erectae dioecesi Hajdudoroghensi attributae, eorumque statum attendens atque ipsorum spirituali bono opportunius ac efficacius consulere desiderans, curis ac zelo IUmi Ordi- 32 narii Albae Juliensis et Fogarasiensis rumeni ritus dictas parochias committere decrevit tamquam Sedis Apostolicae Delegati cum facultatibus Ordinarii. Quae cum ita sint, Nos, Auctoritate Apostolica Nobis speciali modo tributa, Revmo Ordinario Albae Juliae et Fogaras committimus, ut praedictas parochias tamquam S. Sedis delegatus cum facultatibus Ordinarii, usque dum S. S. aliud decernat, administret, atque gubernet, eidem omnes et singulas facultates quae a jure canonico Ordinario decernuntur decernimus atque tribuimus." Nel medesimo tempo Valfré di Bonzo, nunzio di Vienna, awerte col no. 17.673 il vescovo Stefano Miklósy che prendendo in considerazione l'isolamento di queste parrocchie dall'Ordinario awenuto in seguito alia linea di demarcazione, la Santa Sede ha affidato le parrocchie della terra dei Siculi airamministrazione temporanea (temporaneae administrationi) dell'arcivescovo di Gyulafehérvár—Fogaras, le altre parrocchie similmente in modo provisorio (similiter ad tempus) alTamministrazione del vescovo di Nagyvárad. II testo dello scritto accompagnatorio suona cosi: „Quo melius bono animarum illarum paroeciarum e „dioecesibus rumenis per Bullam Christifideles" dismembratarum atque novae erectae dioecesi Hajdudoroghensi attributarum consulatur, attento eo quod illae paroeciae per demarcationis, ut aiunt, lineam nullam cum Ordinario proprio communionem habent, utque insuper mala majora pro Ecclesia vitentur, decrevit SSmus Pater, ut dictarum paroeciarum, quae sic dictum Vicariatum Siculum constituunt, temporaneae administrationi committantur Hlmi Ordinarii rumeni Alba—Juliensis et Fogarasiensis: ceterae vero curis Episcopi rumeni Magnovaradiensis similiter ad tempus commitantur. Ordinarii praedicti tamquam Apostolicae Sedis delegati cum facultatibus Ordinariis propriis se gerent. Heic Amplitudini tuae adnexum exemplar remitto decreti pro paroeciis Vicariatus Siculi dati, quod in totum concordat cum alio decreto pro 46 paroecias ex dioecesibus Magnovaradiensi et Armenopolitana jam expedito. Dum haec renuntiare propero certus sum Amplitudinem Tuam quae Beatissimus Pater, aliis cuiuscumque indolis considerationibus posthabitis, sed solum de salute animarum sollicitus statuenda duxit libenter accepturum." Confrontando i testi dei due decreti con quello della Bolla „Christifideles graeci" dobbiamo constatare che la bolla papale aveva annesso le parrocchie in questione alia diócesi di Hajdudorog quali parrocchie di lingua magiara, i due decreti del nunzio invece le sottoposero alia giurisdizione degli ordinarii romeni quali parrocchie di lingua romena. II primo decreto ricorda 46 parrocchie, laddove 48 (44—j-4) furono le parrocchie annesse dalle diócesi di Nagyvárad 33 e di Szamosújvár alia dioecesi di Hajdudorog. Ne da la spiegazione il rescritto no. 1231/1919 del vescovo di Nagyvárad indirizzato al vescovo di Hajdudorog: „Sua Santitá ha distaccato quelle 46 parrocchie dalla diócesi di V. S. Illma e le ha messe sotto la mia giurisdizione le quali furono richieste da noi altri. E noi altri abbiamo richiesto tutte le parrocchie, eccetto due, le parrocchie rutene di Nagyvárad e di Nagyléta, quindi non rumene, che nella Bolla „Christifideles gTaeci" sono elencate sotto il titolo ,,E dioecesi Magnovaradiensi Rumenorum", nonché 4 parrocchie puré romene ,„E dioecesi Szamosujvariensi". Le parrocchie rutene di Nagyvárad e di Nagyléta indicate dunque continuano a restare sotto la giurdizione di V. S. Illma. É interessante poi quel passo del primo decreto, — in cui il nunzio di Vienna ordina le disposizioni del decreto stesso „votis Antistitum Rumenorum catholicorum obsecundans". I vescovi romeni dunque súbito dopo l'entrata inaspettata dell'esecrito romeno avvenuta in aprile trovarono l'opportunitá di stabilire rapporti col nunzio di Vienna ed in meno di un mese il loro desiderio fu appagato. E importante infine osservare che nessuno dei decreti dice che le parrocchie in questione siano state distaccate dalla diócesi di Hajdudorog, né che siano state incorpórate a quelle di Fogaras e di Nagyvárad, ma dice soltanto che affida queste parrocchie all'arcivescovo di Fogaras ed al vescovo di Nagyvárad, quali delegati della Santa Sede, affinché le amministrino. La delega e Pamministrazione presuppongono necessariamente un ordinamento temporáneo. Lo scritto accompagnatorio citato del nunzio di Vienna é veramente esplicito ed elimina ogni possibilitá di equivoci quando dice che quest'ordinamento é puramente di carattere temporáneo, — le parrocchie della térra dei Siculi temporaneae administrationi committuntur Illmi Ordinarii rumeni Alba-Juliensis et Fogarasiensis; ceterae vero curis Episcopi rumeni Magnovaradiensis similiter ad tempus committantur. .,Del resto il passo: „usque dum S. S. aliud decernat" del secondo decreto ribadisce il concetto di temporaneitá. Lo scritto accompagnatorio del nunzio adduce quale único motivo del prowedimento il ¡fatto che le parrocchie in questione a causa della linea di demarcazione non possono comunicare col proprio Ordinario. Per amore della verita storica dobbiamo osservare che coloro i quali avevano informato erróneamente il nunzio di Vienna semplicemente l'anno fuorviato. Poiché al tempo della emanazione dei decreti anche Nyiregyháza, sede del vescovo di Hajdudorog, si trovava sotto occupazione romena, quindi il vescovo di Hajdudorog avrebbe potuto agevolmente comunicare con le altre parrocchie anch'esse occupate. L'esercito romeno penetró nella seconda meta dell'aprile del 1919 nella parte del ,paese in cui si trovavano le 42 parrocchie. Ed il 27 aprile raggiunsero giá Nyiregyháza. Cosicché a partiré dal 27 aprile 1919 le 42 parrocchie in questione della diócesi di Hajdudorog si trovarono nelle stesse condizioni di territorio occupato come lo era la sede stessa della diócesi, domicilio del vescovo: Nyiregyháza. 34 Ció nonostante il 10 maggio 1919 il nunzio di Vienna fuorviato da fattori sconosciuti emana il decreto di distacco, mette sotto la giurisdizione del vescovo romeno di Nagyvárad le 42 parrocchie per il solo fatto che il vescovo di Hajdudorog „fosse staccato da esse dalla linea di demarcazione." Lo sgomento s'impadronisce degli animi: é possible ció?! Con una simile motivazione allora non queste parrocchie, ma proprio le parrocchie non occupate avrebbero dovuto sottrarsi alia giurisdizione del vescovo di Hajdudorog perché esse per un tempo invero non potevano comunicare col centro diocesano che si era venuto a trovare sotto occupazione. La buona fede indurrebbe a riconoscero tutto ció il risultato di un malinteso; ma nell'arehivio della diócesi di Hajdudorog v'é tuttavia la „busta rivelatrice" comprovante che il risultato funesto dell'azione fuorviatriee é una triste e dolorosa realtá! La busta contenente il decreto della nunziatura di Vienna pervenuta a Nyíregyháza é indirizzata „Dno Stephano Miklósy Episcopo — Nyíregyháza, Romanía". (É vero pero che la parola „Romanía" é stesa du una mano diversa; quando fu scritto l'indirizzo sulla busta alia nunziatura di Vienna, si credeva veramente che Nyíregyháza non fosse occupata, e che veramente fosse staccata dalla linea di demarcazione dalle altre parrocchie. Alia posta pero sopperirono alia incompletezza del recapito.) II fuorviare, l'informazione inesatta, l'inganno avevano dato il loro frutto: un decreto con falsa motivazione di un nunzio in bona fede. Appaghiamo la veritá storiea col precisare che in quella motivazione c'era invero un briciolo di veritá. Nel senso che il vescovo Stefano Miklósy era veramente impeditoí nel governo delle proprie parrocchie, perché durante l'occupazione romena fu portato di forza a Debrecen (naturalmente puré sotto occupazione!) ed ivi tenuto in istato di arresto. Quindi non poteva realmente esercitare la sua giurisdizione sulle sue parrocchie: né sulle 42 in questione, né sulle altre. É vero altresi che su questa base si dovevano sottoporre alia giurisdizione del vescovo di Nagyvárad tutte le parrocchie della diócesi di Hajdudorog. Daltronde é credibliei che gli informatori del nunzio di Vienna non avessero svelato la vera causa dell'impedimento in cui si era trovato il defunto vescovo. Perché in tal caso avrebbero ricevuto ben altro di quello che esigevano con tanta urgenza. Essi pero sapevano benissimo che cosa dovessero diré e che cosa dovessero tacere. I tempi turbolenti, le ruberie nel paese disarmato, l'agonia di una nazione, l'accasciamento che intorpidi gli animi dei patriotti resero possibile allora il successo del loro astuto lavorio. Una busta rivelatrice sveló pero tutto il loro procedimento. Questa é la vera storia del distacco delle parrocchie della diócesi di Hajdudorog. L'incorporamento nelle diócesi romene delle parrocchie della dio- 35 cesi di Hajdudorog cadute sotto occupazione romena awenne solo in seguito al concordato romeno. La costituzione „Solemni conventione" emanata nel 1930 eresse il vescovato di Máramaros e stabili ex novo i limiti delle diócesi romene. Delle nostre parrocchie furono annesse 35 aU'arcivescovato di Gyulafehérvár—Fogaras, 17 al vescovato di Máramaros ed infine 22 al vescovato di Nagyvárad. É intéressante come la costituzione non faccia neppure menzione del distacco delle parrocchie dal vescovato di Hajdudorog. II 9 aprile 1934 la S. Congr. pro Ecclesia Orientali emano un decreto con cui sanciva anche questo distacco. Detto decreto non ricorda perô le parrocchie che prima del 1912 appartenevano alia diócesi di Munkács e che nel 1912 furono annesse alia diócesi di Hajdudorog e che Marmaggi, nunzio di Bucarest, col decreto emanato il 7 marzo 1922 mise sotto la giurisdizione delPamministratore apostolico di Siret, e che poi mediante la costituzione „Solemni Conventione" furono annesse al vescovato di Máramaros (Kokényesd, Nagypeleske, Sárkozujlak, Nagykároly, II. Szárazberek, Turterebes, poi la chiesa madre nata in una delle filiali di Kokényesd: Csedreg), né vi figura la cosiddetta parrocchia rutena di Nagyvárad appartenente prima del 1912 alia diócesi di Nagyvárad. II decreto enumera le altre parrocchie col nome (annettendo 35 parrocchie aU'arcivescovato di Gyulafehérvár—Fogaras, 22 parrocchie al vescovato di Nagyvárad ed infine 10 parrocchie al vescovato di Máramaros). La motivazione del decreto è la seguente: „Apostólica Sedes . .. semper plurimum curavit ut, ob mutatas in aliqua regione rerum conditiones, circumscriptionum ecclesiastiearum limites opportune mutarentur. .. Quum autem, post novam politicam delimitationem Regnorum Romaniae et Hungariae, acciderit ut multae paroeciae dioecesis Hajdudorogensis inclusae in Regno Romaniae manserint, maxime interest ita fines dioecesium circumscribere ut fideles cum suis Ordinariis expeditius et absque ulla difficultate communicare valeant." (Del resto questo decreto si ricorda di queste parrocchie come quali ,,sub administratione Episcoporum provinciae metropolitanae Alba—Juliensis et Fogarasiensis existunt.") La motivazione dunque manco con una parola asserisce che queste parrocchie non fossero di lingua magiara. Anzi riconosce implícitamente la loro essenza magiara col proclamare único e solo motivo del distacco le difficoltá di governo ecclesiastico derivanti dallo stabilimento dei confini politici tra l'Ungheria e la Romania. Queste difficoltá pero nel setiembre del 1940 in seguito alia riannessione di una parte della Transilvania e delle parti della zona dell'Ungheria orientale sono cessate... # Per effetto del secondo lodo di Vienna le parrocchie della diócesi di Hajdudorog (eccettuate tre) che erano capitate sotto occupazione romena nel 1919, epoi passate con sorprendente celerità 36 sotto la giurisdizione dei vescovi romeni dal nunzio di Vienna, sono state riannesse all'Ungheria. Siccome gli abitanti di queste parrocchie — prescindendo da una esigua percentuale — sono di schietta origine magiara e in ogni tempo hanno parlato in lingua ungherese ed avevano professato anche sotto la dominazione romena il loro magiarismo (cf. i dati statistici sulle parrocchie della térra dei Siculi, sopra riportati) — dopo la liberazione aspettavano impazienti la loro riannessione alia diócesi di Hajdudorog. Questa riannessione pero per cause del tutto incomprensibili ritardava e tuttavia ritarda. Gli abitanti genuini magiari delle nostre parrocchie sono ancora costretti a cantare in romeno sull'ormai libera térra magiara, i loro sacerdoti predicano ancora in romeno ed impartiscono l'insegnamento religioso ai loro figli in lingua romena Che sotto la dominazione romena fossero costretti a sopportare tutto ció, ancora lo capivano considerando l'odio dei Romeni contro i greco-cattolici magiari. E a denti stretti attendevano il momento (sul quale ogni magiaro incrollabilmente sperava), in cui potrebbero professarsi nuovarnente liberi greco-cattolici magiari. E questo momento non arrivava mai. La riannessione alia diócesi di Hajdudorog tardava. Si domandavano amaramente se all'epoca dell'occupazione romena, il nunzio di Vienna poté sottoporli alia giurisdizione di un vescovo romeno, perché ritardasse ora mesi e mesi la loro riannessione. Laddove allora non vi fu nessuna causa che giustificasse il distacco, ora invece ci sono tutte per la riannessione. Questa impazienza diventó esasperazione per il fatto che una parte del clero romeno teneva atteggiamento ostile verso il magiarismo e faceva apparire la religione greco-cattolica quale religione nazionale romena. Con quanto abbiamo sopradetto in riferimento specialmente alia grande adunanza di Gyulafehérvár abbiamo giá dimostrato che i dirigenti dei Romeni propagavano senza ostacoli questa convinzione, la quale del resto é affermata apertamente anche dalle leggi romene. Nessuna meraviglia quindi se i fedeli greco-cattolici magiari erano costretti a sentire dal pulpito: Chi é grecocattolico, non puó essere che romeno! Con questo suggello per loro profondamente offensivo fu facile agli sciovinisti romeni di sconvolgere l'equilibrio spirituale dei credenti greco-cattolici magiari. Quando poi dovettero notare che persino la opinione pubblica di ungheresi superficiali li cominciava a qualificare romeni, giacché fedeli di una chiesa che si compiace professarsi romena. costretti a frequentare chiese romene, a cantare anche nelle proprie in romeno, ad ascoltare le prediche romene dei preti romeni, — sono pervenuti totalmente in un intimo dissidio spirituale — e poiché aspettavano invano la riannessione — in un modo oltremodo deplorevole cominciarono ad abbandonare la loro 37 Chiesa. Diventarono una piecola parte di rito latino, la maggiore pero purttroppo calvinista, luterana o unitaria. Le più volte a seconda della religione dei sacerdoti esistenti nel villaggio. Non li condusse la convinzione, ma l'intimo dissidio provoco questi cambiamenti di religione in massa. In tal modo credettero i greco-cattolici magiari liberarsi dalle apperanze del romenismo. Avevano cercato ogni via per trovare tranquillité spirituálé in seno alla chiesa greco-cattolica magiara. Ma tutte le vie furono loro precluse. Ê impossibile leggere senza commozione il diluvio di lettere colle quali quasi implorando chiedevano al vescovo della diócesi di Hajdudorog, alla Associazione Nazionale dei Greco-cattolici Magiari, aile redazioni dei giornali grecocattolici magiari e persino ai privati—l'invio di sacerdoti magiari. Siccome andava per le lunghe la causa della riannessione — era impossible appagare la loro richiesta. E nella loro solitudine si sono decisi ad un passo disperato e abbandonarono la loro fede. Solo per potere — secondo la loro convinzione — serbare il loro magiarismo. Perché non potessero chiamarli più romeni. Abbiamo seguito con infinito dolore il loro passo disperato ed avremmo voluto impedire la loro apostasia. Ma non ci fu data la possibillità di arrestare la corsa dei nostri disperati fratelli verso l'orribile peccato della rinnegazione della fede. La nostra volontà di aiuto urtô nell'ostacolo di non poterci ingerire nelle cause pertinenti diócesi straniere. Per queste anime qualcuno è responsabile davanti a Dio! Consideriamo un po' le dimensioni di questo movimento di apostasia. Una signora magiara greco-cattolica, Dr. Magyarsóky Ferencné, dall'anima profondamente ecclesiastica, dopo aver battuto nella primavera del 1941 la Terra dei Siculi (Székleri) in base a dati ufficiali schizzô la situazione della grecocattolicità di taie regione nel suo articolo „Vészharangot kongatok" (Suono a martello) pubblicato nel dicembre dello stesso anno sulla „Görögkatolikus Szemle" (Rivista Grecocattolica Magiara). Ecco i dati: Nel comitato ai Háromszék restó appena qualche superstite per poter testimoniare l'esistenza passata della chiesa greco-cattolica. Ad Árkos tutti i greeo-eattolici (magiari genuini) indistintamente abbandonarono la loro fede diventando calvinisti ed unitari. Nelle sue dieci chiese filiali appena sei famiglie restarono fedeli alla loro fede; gli altri diventarono calvinisti e in minore parte unitari. A Sepsiszentgyörgy (dove gli abitanti originari anche al tempo del censimento romeno si dichiararono senza eccezioni magiari, anzi in seguito alie immigrazioni durante la dominazione romena il numero dei grecocattolici magiari aumento di più del doppio) appena un quarto di 405 anime rimase fedele alla religione. A Gelencze dei 348 nostri credenti in tutto 3 romeni più circa 25 magiari restarono greco-cattolici. Gli altri divennero di rito latino o calvinisti, nelle 38 sue dieci filial! in tutto ve ne restarono 6 famiglie; e di queste quelle di Kovászna e di Zabola (2 famiglie per ciascuno villaggio) sono romene. Ad Illyef alva — dove al tempo del censimento romeno ogni grecocattolico, anzi anche una parte degli ortodossi si dichiaró di lingua materna magiara — una sola famiglia restó grecocattolica. Gli altri divennero latini o calvinisti. In tre delle sue quattro filiali nessuno vi restó, nella quarta (Elopatak) soltanto una famigha. A Kézdiszentkereszt, dove anche al tempo del censimento romeno i greco-cattolici si dichiararono indistintamente di lingua materna ungherese, restó una sola famiglia. Nelle sue cinque filiali in tutto vi restarono 4 famiglie. Soltanto a Kézdivásárhely non vi fu apostasia. A Lemhény, dove anche al tempo del censimento romeno ogni abitante originario si dichiaró di lingua materna magiara e solo i 4 immigrati erano romeni, vi restó solamente una famiglia. Nelle sue filiali l'apostasia fu di minore proporzione. A Lisznyó — dove anche al tempo del censimento romeno ogni greco-cattolico senza distinzione si dichiaró magiaro, anzi anche oltre due terzi degli ortodossi — in tutto tre famiglie restarono, gli aitri divennero calvinisti. Nelle cinque sue filiali la situazione é altrettanto triste. A Nagyborosnyó — dove nel 1930 pure davanti i commissari di censimento romeni tutti i grecocattolici (anzi anche una parte degli ortodossi) si dichiararono magiari — neanche una famiglia rimase. Tutti diventarono calvinisti. Delle 17 filiali solo in due restarono una famiglia per ciascuno. Gli altri sono calvinisti. Tutti i grecocattolici di Torja abbandonarono la loro chiesa e la sola famiglia romena restó. Anche nelle sei filiali moltissimi sono diventati calvinisti. A Lázárfalva — dove al tempo del censimento romeno tutti i grecocattolici, eccetto uno, si dichiararono magiari — non vi restó neanche una anima. A Kászonjakabfalva, dove anche secondo la statistica romena tutti i grecocattolici senza distinzione sono di lingua materna magiara, non vi restó neppure uno dei nostri credenti. Nelle filiali appartenenti ad esso perdemmo piü di 500 fedeli. A Csikszentgyorgy dei 333 grecocattolici magiari genuini vi restarono in tutto 4 famiglie. Nelle otto sue filiali símilmente accadde. (Sotto la dominazione romena — in seguito a immigrazioni — il numero dei grecocattolici che si professavano magiari si era quasi raddoppiato.) A Csikszentdomonkos fino alia primavera del 1941 piü della meta dei grecocattolici abbandonó la chiesa. Ció fu constatato dalla Dr. Magyarsóky Ferencné. Oggi anche l'altra meta abbandonó la chiesa. Nelle cinque filiali la situazione é símilmente triste. Dei 515 fedeli grecocattolici di Gyergyószentmiklós circa il 50% abbandonó (fino alia primavera del 1941) la chiesa; gli altri sono 39 per metà magiari, per metà romeni, Delle tre filiali solo a Tekerópatak si mantengono i grecoeattolici magiari. A Gyergyóalfalu dei 421 grecoeattolici genuini magiari restarono 2 famiglie. A Gyergyócsomafalva non rimase neanche un solo grecocattolico. Di Gyimesbükk nel 1941 la Magyarsóky Ferencné scriveva ancora quanto segue: ,, Sol tanto nella parrocchia di Gyimesbükk è consolante la situazione." Qui circa 2000 grecoeattolici Sicuii persistettero nella loro fede ed il numero delle conversioni fu relativamente insignificante. (Oltre i due mila Siculi grecoeattolici vi sono qui pure alcune centinaia di Romeni.) II fatto che nelPinconsolante rovina questa piccola isola si mantenne lo dobbiamo al curato-arciprete di Gyimesbükk, il sacerdote Siculo nobile, che dimostró nella propria persona come possa essere qualcuno fedele figlio délia sua Chiesa grecocattolica e contro ogni sorta di oppressione patriotta fedele pure. Dà allora pero anche qui si cambió la situazione. I fedeli si sono stancati di aspettare la loro riannessione alia diócesi di Hajdudorog e finora piu di 1100 anime abbandorano la Chiesa. Délia grecocattolicità magiara di Nyárádandrásfalva persistettero in tutto 3 famiglie. Nelle 18 filiali oggi appena si trova qualche grecocattolico. Gli altri diventarono calvinisti. Dai grecoeattolici genuini di Bôzodujfalu solo 2 famiglie restarono. A Harasztkerék cirea i due terzi dei grecoeattolici divennero calvinisti. Nelle sei filiali è simile le proporzione. A Székelyfalva pero dei 50 grecoeattolici genuini magiari neanche uno restó ; tutti diventarono calvinisti. Quattro quinti di quelli di Szováta abbandonarono la chiesa. Ad Ilyésmezó di 164 anime neppure uno restó. Anche nelle altre tre filiali soltanto 3 famiglie restarono. A Szárazajta—dove sotto ñ censimentoi romeno ogni grecocattolico senza distinzione si dichiaró magiaro, anzi la maggior parte degli ortodossi pure — in tutto vi rimasero 2 famiglie; gli altri diventarono calvinisti. Anche qui ogni grecocattolico era stato di lingua materna magiara, anche secondo la statistica romena. I dati di Kisszentlórinc, di Kisteremi, di Kebeleszentivány e quelli di Székelyudvarhely sono un po'più favorevoli. A Marosvásárhely dei 5000 grecoeattolici più délia metà abbandonó la chiesa. (La Magyarsókyné non pubblica dati delle parrocchie di Szatmár e di Bihar. Li il numero delle apostasie fu di minore proporzione. Pero anche qui parecchi abbandonarono la loro chiesa. Nella città di Szatmárnémeti il numero dei grecoeattolici diminuí di sei mila!) Questa era la situazione nella primavera del 1941. Da allora le cose sono molto peggiorate, — da allora migliaia e migliaia di individui perduta la pazienza nell'aspettare la riannessione e per liberarsi dall'apparenza del romenismo, abbandonarono la loro fede e in quantità allarmante abbaracciarono ü calvinismo, ü luteranesimo o 40 l'unitarismo. Perché quelli avevano un sacerdote magiaro, col quale poter cantare in ungherese e sentir prediche magiare. Questo fu il triste risultato dell'incomprensione derivante dallo sciovinismo che si prefiggeva di costringere anche i fedeli magiari ad appartenere alla chiesa che si dichiarava apertamente romena, a cantare nelle ehiese in romeno, a sentire i sermoni in romeno e a mandare i figli da professori di religione romeni laddove i loro antenati per un millennio sono stati ungheresi. Per queste anime qualcuno è responsabile davanti a Dio ! (Osserviamo che un certo processo di apostasie si era già verificato pure prima del 1912 a causa dell'imposizione délia lingua romena, benché i preti romeni non fossero stati ancora tanto pressanti come sono adesso. Allora ancora tolleravano il canto in magiaro — come constata pure l'autore del nostro opuscolo (p. 28). Proprio queste apostasie indussero il governo ungherese a far passi per l'istituzione di un vescovato ungherese, come apprendiamo pure dal nostro opuscolo (p. 13). Ed anche sotto la dominazione romena questo processo non si è continuato solo, perché se un greeocattolico o un greco orientale voleva fare apostasia, le autorità glielo impedivano siccome atto antinazionale. Cominciarono quindi i greco-cattolici magiari a frequentare senza alcuna formalità di cambiamento di religione chiese di diverse religioni dove non erano interdetti il canto e la parlata magiari. Quando poi si presentó anche la possibilità del cambiamento fórmale in gran numero ne approfittarono.) * Se perô domandiamo a questi apostati perché siano usciti dalla loro religione — rispondono indignati che essi hanno soltanto abbandonato la chiesa romena. E il giorno in cui in Terra dei Siculi vi sarà un'altra volta chiesa grecocattolica magiara, saranno felici di ritornarvi e di professarsi fieri grecocattolici, ma piucchè mai magiari. Solo che si madassero sacerdoti magiari, si facesse echeggiare nelle loro chiese il canto magiaro, si predicasse dai loro pulpiti in favella magiara: questi migliaia e diecine di migliaia di apostati ritornerebbero con vivo entusiamo in seno délia chiesa dei loro antenati. Ë vero perô che quanto più duri l'apsotasia tanto più numerosi saranno coloro che per rispetto umano resteranno awinti alie eresie del calvinismo, del luteranesimo e del unitarismo, — oggi ancora la maggior parte si potrebbe riacquistare alia Chiesa. Perché non ci lasciano andaré li ? ! Per salvare il salvabile, per ricuperare quello che ancora si puô?! Se lo sciovinismo e l'ostinato preconcetto di alcuni ha già sospinto migliaia e diecine di migliaia verso l'apostasia, — perché non ci consentono di riparare ció che essi hanno rovinato?! Per salvare ció che la loro negligenza peccaminosa ha distrutto?! Per ricuperare ció che essi accecati avevano perduto?! Ogni minuto è fatale e ogni ora accresce il numero degli 41 insalvabili. Perché e fino a quando dobbiamo noialtri aspettare impotenti?! Per queste anime qualcuno é responsabile davanti a Dio! Con feroce ironía potremmo domandarci — se ne avessimo voglia se sia meglio cosi per i Romeni? Forse giova piü all'ideale nazionale romeno il fatto che questi uomini pur di salvarsi dall'apparente romensimo divengono apostati invece di potersi fieramente chiamare grecocattolici magiari? Piuttosto continunino a dibattersi fra i tormenti dell'autodissidio purché non si sia noi magiari i salvatori di essi?! Regni il silenzio nelle loro chiese deserte piuttosto che sentire echeggiare il canto magiaro?! Si perdano piuttosto migliaia e diecine di migliaia di esseri per la Chiesa poiché non si possono acquistare per il romenismo?! Per queste anime qualcuno é responsabile davanti a Dio! a Questo é lo stato attuale della millenaria vertenza tra la grecocattolicita magiara e quella romena. II Cristianesimo di rito bizantino aveva messo radici nell'anima dei Magiari alcuni secoli prima che in quelle dei Romeni. Ma il potere statale magiaro proteso verso la cultura occidentale ci ha abbandonati indifesi volendo favorire detta cultura, nello stesso tempo che appoggiava i Romeni con ingenti e ricche istituzioni ecclesiastiche per ricondurli nell'unitá della Chiesa volendo anche in tal modo favorire la cultura occidentale. Di fronte alia grecocattolicita magiara lasciata indifesa giá da secoli indietro si inizió da parte dei Romeni la lotta di snazionalizzazione e di assimilazione sotto vessilli ecclesiastici come risulta dalle parole del papa Gregorio IX, e perduró e perdura sino ai giorni nostri come abiamo visto piü sopra. E tutto ció fu tollerato dalla grecocattolicita magiara senza fiatare! Le radici della nostra pratica litúrgica in lingua ungherese sono antiche precisamente quanto quelle dei Romeni. Ma poiché noi non furnmo in alcun modo sostenuti, perché ci volevano soltanto latinizzare o calvinizzare, per i Romeni proprio i principi magiari della Transilvania ed i magnati magiari assicuravano la liturgia in lingua romena, i nostri credenti erano costretti a seguire per secoli interi accanto alio slavo antico la liturgia in lingua romena. E anche ció fu tollerato in silenzio dalla grecocattolicita magiara! Coll'aiuto della liturgia romena di passo in passo, di villaggio in villaggio procedeva la romenizzazione; nel secolo scorso raggiunse giá anche il comitato Szabolcs, antichissinio nido della grecocattolicitá magiara; dalla diócesi rutena di Munkács che era con noi molto piü tollerante e comprensiva l'una dopo l'altra le parrocchie in maggioranza ungheresi venivano assorbite dalle diócesi romene e la Santa Sede Apostólica nel 1824 aggregó 72 parrocchie, nel 1856 94 parrocchie dalla diócesi di Munkács alie diócesi romene di Nagy- 42 várad e di Szamosujvár, e un* intera serie di parrocchie genuine magiare capitó sotto la giurisdizione dei vescovi romeni molto piü intolleranti con noi. Puré ció fu sopportato senza parola dalla grecocattalicitá magiara! Quando poi dopo il risveglio universale della coscienza nazionale dovevamo vedere che le centinaia di migliaia dei nostri credenti non possono eapire che in questo paese che dimostra una meravigliosa pazienza con ogni sorta di nazionalita, i Ruteni ed i Romeni (questi ultimi appunto per opera e grazia dei magnati magiari) usano nella liturgia la propria lingua nazionale, — e nelle nostre chiese comincia a svilupparsi con necessitá storica l'uso della lingua litúrgica magiara, — i Romeni avevevano tentato tutto per impedire questo fatto (cf. alcune confessioni del nostro opuscolo: pp. 7—9). E quando infine venne in campo la causa delTereziqne del vescovato magiaro (dopo che in Ungheria i greeo-cattolici Romeni avevano giá 4 diócesi e quelli Ruteni 3, tutte fondate dai re magiari e strariccamente heneficiate dalla loro sovrana magnanimitá) ed il governo magiaro osó domandare alia Santa Sede, che con nessuna lesione dei benefici dei vescovati romeni e ruteni, a 217.640 grecocattolici magiari dei 304.318 si creasse un vescovato indipendente e la Santa Sede Apostólica trovó giusta e motivata la domanda, aliara i Romeni con serie di memoriali, con numerosi delegati mandati a Roma, con un vero diluvio di articoli e di discorsi parlamentan, con organizzazioni segrete, con demagogia sobillatrice, con adunanze popolari piene di passioni di massa ed infine con bombe assassine si cimenta ad impedirlo oppure ad annientarlo — la grecocattolicita magiara sopportava, e vero con profondo dolore e sdegno, ma senza f iatare! Che nel deliquio susseguitosi alia guerra mondiale stupidi agitatori di nazionalita che portavano purtroppo la sottana organizzino „vicariato nazionale romeno", esercitino col potere assunto dalla grazia del popolo diritti vescovili, trasportino in arresto di soldati romeni il veseovo legittimo, mutilino la nostra diócesi col nunzio di Vienna in base ad informazioni bugiarde e false e sottopongano nuevamente al governo ecclesiastico romeno parrocchie genuine magiare, — fu puré tollerato in siíenzio, ma con sdegno profondo dalla grecocattolicita magiara. Ma quando finalmente dovevamo vedere che anche dopo la felicissima ora della liberazione dalla dominazione romena la grecocattolicita magiara della Transilvania deve appartenere alia chiesa che si ostenta apertamente romena, deve continuare a sentire le prediche dei preti romeni ostilissimi al magiarismo ed a mandare i figli da professori di religione romeni che propagano la grandezza e la gloria del popolo romeno, e che a causa dell'apparenza del romenismo che per tutti questi fatti pesa su di loro, sono costretti a scappare nelTapostasia, — non potemmo aspettare piü inattivi! 43 Neppure ora aecendiamo le passioni delle masse, lié organizziamo tempestóse adunanze popolari, né pronunziamo discorsi sobillatori dalle botti; non organizziamo neppure ressistenza attiva o passiva con organizzazioni segrete contro i vescovi legittimi nei villaggi genuini magiari capitati sotto governo ecclesiastico romeno, — anzi li esortiamo alla pazienza ed alla perseveranza; né cerchiamo fuorviare i competenti con false informazioni per indurli ad emanare disposizioni dalle motivazioni finte. Ma consapevoli della nostra giustizia incrollabile con fanatica fede nella vittoria della giustizia abbiamo assediato il Cielo con una campagna di preghiere, secondo l'appello dell'articolo commovente pubblicato sulla Gorogkatolikus Szemle nel dicernbre dell'anno scorso dalla Dr. Ma^yarsóky Ferencné, questa signora magiara piena di entusiasmo. Non cessiamo di pregare Iddio giusto in divozioni pubbliche e nelle nostre preghiere affinché conduca alia vittoria la nostra giusta ed equa causa. Noialtri non desideriamo ció che è degli altri. Ma vogliamo rendere conto di ció che secondo la sua ordinazione è nostro! Non vogliamo assolutamente costringere nei legami della diócesi di Haidudorog nessuno che è romeno, — ma bensi vogliamo salvare tutti coloro i quali si dibattono in crisi spirituali e in autodissidi essendo grecocattolici magiari. Dopo tante e tante esperienze amare anche questo libello famoso pieno di passione ci persuade che il romensimo sente un odio incancellabile contro la grecocattolicità magiara. Senza voler ricambiare mínimamente questo odio ci conviciamo che per noialtri sarà il miglior partito di interrompere oaní convivenza forzata e di cercare alie nostre anime consolazione completamente indipendenti uno dall'altro. Quei numerosi gravami e ofi'ese che dovemmo subiré, — queila incompresione profonda e quel preconcetto che sembran radicati nei loro cuori, — lo stesso rende quasi impossibile ogni convivenza. Perché si dovrebbe quindi forzare questa?! L'opuscolo del libellista Giovanni Georgescu termina con le parole: „Cosí finisce il tentativo di (sic!) Magiari, di mettere il piede nella Chiesa dei Romeni (?!), con la loro sconfitta e con la vittoria di questi." Noi non desideriamo la sconfitta delle aspirazioni legittime dei Romeni; noialtri preghiamo soltanto per la vittoria della giustizia. Per la vittoria di quella giustizia equa la quale stima i diritti di tutti, la quale assicura per tutti la libertà di coscienza, la quale non vuol violare la convinzione di nessuno, la quale fa valere i più sacri diritti individuali. Quanto sia sacra per noi l'appartenenza al magiarismo, tanto è raccapriciante per noi che questo sentimento tanto sacro per noi sia imposto a qualcuno contro volontà. Per contro non siamo disposti a tollerare da nessuno di voler allontanare dal magiarismo i nostri fratelli. Noi rispettiamo i diritti degli altri, ma ci aspettiamo che anche gli altri stimino i nostri più sacri diritti! Noi non vogliamo 4i costringere neanche un Romeno a pregare Iddio in magiaro, ma non possiamo affatto lasciare a forzare gli esseri del nostro sangue a preghiere romene, a canti romeni. Perché puré il sangue ci riholle nelle nostre vene al pensiero che alcuni facciano uso della Chiesa per il lavoro della snazionalizzazione. In ció — ne son convinto — sono d'aecordo con noi anche i Romeni dallo spirito ecclesiastico i quali sono costretti a guardare come debba la Chiesa soffrire delle enormi perdite che sono sempre piü irreparabili solo per punti di vista sciovinistici. Giacché senza dubbio vi sono anche tra le file dei Romeni in gran numero tali che si possono figurare l'awenire della chiesa romena senza i gravami della liberta di coscienza dei credenti di lingua materna magiara. E se si riuscirá poi ad eliminare ogni possibilita di attrito dalla vita della grecocattolicitá magiara e di quella romena, certamente sorgerá l'epoca dell'avvicinamento, della mutua comprensione e dell'affetto che stimerá l'uno e l'altro. Voglia Iddio che questo tempo arrivi quanto prima! Note. 1) Il libro di testo pubblieato dall'autore romeno Petru Zahárescu ed approvato dal ministero dell'istruzione romeno col n. 507/1929 chiama gli Ungheresi discendenti dalle orde barbare che invasero l'Europa (sunt remS.'çi|e din hordele ce au náválit în Europa, p. 6) ; chiama gli Ungheresi della Transilvania >,invasori" (naválitori, p. 99). II libro di testo omonimo contiene anche una asserzione che si lasciô seappare di bocca l'autore Zahárescu : La massa dei Székleri.. . essendo molto lontana dalla gran massa degli Ungheresi... è condannata ( ! ) a fondersi con i Romeni, come si è fusa anche la parte che si trovava prima nella valle di Buzau e Teleaj. Del resto i Székleri che si so.no ancora conservati ( ! ) , hanno già assunto il costume romeno e lo stile delle case. (pp. 145-—146) Secondo il libro di testo di S. Mehedinfi çi C. Valsan: România pentru clasa VII secundara ,,i cattolici magiari erano martello sulle teste dei Romeni" (p. 273—74). II libro di testo Istoria Românilor di Víctor Lazar chiama i nobili magiari della Transilvania parassiti, (con l'approvazione n. 262/1924. del ministero). II libro di letture di Adamescu-Dragomirescu pubblica una canzone popolare dal seguente contenuto: Voglia il cielo che venga il tempo quando i Romeni di nuovo risorgono e salvano il paese della Transilvania dai birbanti perché questa terra non è dei cani, ma dei Romeni. Non è paese degli Ungheresi, ma dei nostri indigeni. Nicola Iorga, famaso professore universitario, expresidente del consiglio, nel suo libro „Istoria Românilor" chiama coll'epiteto ,,il buono da nulla Lodovico II- 0 affogato nella palude" il re ungherese caduto sul campo d'onore presso Mohács insieme con il fior fiore del magiarismo nella difesa del cristianesimo e della cultura europea nella lotta contro i Turchi. (p. 172 della VI ediz. del 1926). Lo stesso libro chiama „una crudele rapiña" la pace di Bucarest dell'anno 1918 in cui dal territorio della Romanía che ruppe i trattati furono annessi all'Ungheria 3772 km2 con 23917 anime (Nel Trianon invece fu annesso alia Romanía dall'Ungheria un territorio di 102.787 km2 con 5,265.444 anime!) II libro di testo „Istoria Românilor" di Th. A. Aguletti (23-a edizione del 1928) combatte fortemente le leggi sull'istruzione ungheresi ed afferma che nel 1909 introdussero l'ungherese nelle scuole romene pure quale lingua della religine. (La verità è che il § 18 dell'art. di legge XXVII- 0 del 1907 permetteva alie comunità reiigiose ed ai comuni politidi di poter stabilire quale lingua d'insegnamento, sia la lingua dello stato sia quella materna 46 dell'alunno.) I Romeni attaccano questa cosiddetta legge di Apponyi sull'istruzione elementare perché assertivamente non soltanto esigeve l'insegnamento in ungherese delle materie nazionali (lingua ungherese, storia, geografía, nozioni costituzionali), ma voleva anche che la matematica sia pure insegnata in magiaro. Per contro la verità è che la legge prescrive soltanto in caso di sovvenzioni statali i programmi didattici in tutto, e solo per le materie enumerate. Quindi non la lingua deU'insegnamento, ma solo il programma didattico viene prescritto e solo nel caso delle sovvenzioni richieste ed accordate. Fino alla presentazione di questa legge v'erano in Ungheria 3248 scuole dalla lingua d'insegnamento non ungherese nelle quali non soltanto la lingua d'insegnamento era straniera ma il governo ungherese non aveva possibilità di ingerire neanche nella composizione dei programmi didattici; il governo ungherese dava solamente le sovvenzioni! Il libro di testo „Carte de cetire" di Gh. Joan—T. Gheorghiu—M. M. Dobrovici—P. V. Vasiliu (approvato dal ministero coll'ordinanza 397/1926) contiene una poesía (dal titolo: Horia çi Cloçca) che chiama gli Ungheresi semplicemente dei cani idrofobi (Ungure, câine turbat!) e tra l'altro dice quanto segue: Magiaro dai baffi lunghi, ho già detto alla morte che ti raggiungesse ; ho già detto alie fiamme che ti bruciassero ; ho già detto alla croce che ti perdesse. (Ungurean mustea^â lungà, zis-am mor^i siï te-ajunga; Zis-am parei sa te arzâ; Zis-am crucii sa te piarzS. pp. 111—12). Secondo il libro di testo „Carte de cetire" di Dobrovici Vasiliu (Vl-a edizione del 1926) gli Ungheresi massacravano i nemici oatturati tagliuzzando loro i cuori che poi magia vano crudi (p. 284). Un altro libro, sempre di testo „Carte de cetire" di Dul.fu-Ghista-Chelaru-Grándinescu (approvato col n. 170/1926) parla pure dello stato selvaggio degli Ungheresi e si lagna della oppressione culturale dei Romeni transilvani. (La verità è poi che nel 1912 in Ungheria 1000 abitanti romeni avevano una scuola romena quandc neU'antica Romania soltanto 1340 abitanti avevano una scuola romena!). Secondo il libro di testo „Carte de cetire" (p. 75, 15-a edizione) di Costescu-Stoinescu-Nicolaescu-Cioránescu: „l'aspetto degli Ungheresi appena somigliava a forma umana, ed erano schifosi poiché mangiavano della carne cruda e bevevano sangue, proprio come gli animali. I cuori dei prigionieri venivano strappati da essi e mangiati. Infine il libro di testo „Carte de cetire" di Lecca-Stánescu-BSrbulescu „identifica gli Ungheresi con gli Unni che tra i barbari sono i più selvaggi ed i più cruenti. Era orrore guardarli in faccia. Non venivano neanche annoverati tra gli uomini. Si nutrivano di carogne. E magiavano pure la carne umana". ( ! ) (p. 60—62). 2) Il più an tico libro stampato in romeno fu pubblicato nel 1544 in Ungheria, nella città di Szeben, sotto il titolo „Catechism rumânesc"; il consiglio municipale della città abitata dai Sassoni luterani pubblicô questo catechismo con le proprie spese. L'„Evangheliar rumânesc" edito nel 1561 fu stampato nella stamperia della città di Brassó. Símilmente ,,1'Apostol rumânesc" pubblicato nel 1563. La prefazione del „Tâlcul evangheliilor" edito nel 1564 a Brassó dice che le spese dell'edizione del libro stesso furono sopperite dall'„Illustrissimo Signor Miklós Forró di Háporton, di cui sappiamo che prima era luterano poi diventó calvinista. Nel medesimo anno (1564) fu pubblicato a Brassó il „Molitevnicu rumâ- 47 nesc", libro litúrgico (rituálé), l'editore di cui fu pure il calvinista Miklós Forró di Háporton, se non addiritura il traduttore. Questo rituale cioè senza dubbio è calcato su un originale magiaro. A Brassó vennero pubblicati nel 1570 „Psaltire rumánéscá", nel 1577 Psalterion. poi Ceteroevanghelie, e nel 1587 il „libro dei vangeli con insegnamenti" il lungo titolo di cui allude al principe Cristoforo Báthory ed al giudice municipale Luca Hirscher, sassone. La traduzione in romeno della Sacra scrittura del Vecchio Testamento di capitale importanza nella storia culturale romena, la „Paliia"', secondo l'introduzione fu pubblicato 1582 con la benignitá del principe Sigismondo Báthory e con le spese di Francesco Geszti, prode gonfaloniere magiaro. II traduttore ne fu Michele Tordasi vescovo „romeno" della Transilvania. Dunque dal 1544 al 1582 in tutto 9 libri romeni furono pubblicati in Ungheria, — tutte con le spese di signori magiari e di borghesi sassoni. Durante questo periodo di tempo nei due principati romeni neanche un libro romeno fu stampato! Con maggiore slanciô si awiô la pubblicazione dei libri romeni in Ungheria quando il principe Gabriele Bethlen istitui una stamperia separata romena a Gyulafehérvár. Sette libri romeni furono stampati qui fino il 1656 (Cazania, Catechismus Creçtinesc, Noulu Testamentu — il titolo di cui dice che direttamente su esortazione e ordine e naturalmente del tutto con le spese del principe Giorgio Rákóczi (cu îndammarea çi poruñea, deínpreuna cu toatá keltuiala Georgie Rako^i) fu fatto questa poderosa opera; anche la prefazione dell'arcivescovo romeno di Gyulafehérvár elogia il principe che innalza con grandi spese chiese ai Romeni viventi nel suo paese, istituisce stamperie facendo portare dei maestri stranieri pagati dalla propria tesoreria, — il Catechismus del 1648 — che non fu stampato nella tipografía romena del principe, ma in quella ungherese, Psaltirea del 1651 ed in fine lo „Skutulu Katekizmusului", (—e nei principati romeni nel 1642 fu pubblicato il primo libro in romeno). La stamperia romena di Gyulafehérvár, è vero, fu distrutta dalle orde turco-tartare, il principe Michele Apafi perô istituisce di nuovo tipografía romena prima a Szászsebes poi a Gyulafehérvár. Egli stesso fa traduire l'Antico Testamento ordinando al traduttore Stefano Mátkó Kézdivásárhelyi 12 mastelli annui di frumento. A Szászsebes si pubblica il libro romeno „Sikriulu de Aur" (Cassa d'oro) „redatto e stampato su ordine ed esortazione dell'illustrissimo re transilvano Michele Apafi" (cu poruñea çi indemnarea máriei sale Apafi Mihaiu, kraiulu Andrealului). La stamperia romena che funzionava di nuovo a Gyulafehérvár, tra il 1683 ed il 1699 pubblica 7 libri romeni. Durante questo tempo non fu edito nessun altro libro romeno in nessun posto, eccetto l'unico catechismo del 1648 stampato nella tipografía magiara di Gyulafehérvár. Senza questi libri in romeno che quasi esclusivamente furono pubblicati con l'appoggio morale e materiale di signori magiari la cultura romena e la lingua litúrgica romena ed attraverso questa le coscienza nazionale romena forse soltanto dopo secoli sarebbe nata. (V. tutto ció più ampiamente nell'opera in pubblicazione di Giorgio Kádár: A magyarság szerepe a román egyházi kultúra megteremtésében, La parte della nazione magiara nella creazione della cultura ecclesiastica romena.) 48 L'll novembre 1567 in Transilvania un editto principesco ordinó che le autorità secolari intentassero processi penali contro i sacerdoti di rito greco che osassero somministrare i riti non in romeno. Il decreto principesco emanato il 30 novembre del 1568 prevede severissime pene per tutti i sacerdoti di rito greco che osino far uso di altra lingua che la romena durante la somministrazione dei riti eeclesiastiei. Tutti e due i decreti furono emanati da Giovanni Sigismondo dietro consiglio dei suoi sacerdoti di corte. I Romeni devono a lui la formazione della pratica di lingua litúrgica romena ed attraverso questa la nascità della chiesa „romena", giacché nella Moldavia allora i prelati romeni ancora tenevano fermi inflessibilmente al paleoslavo, punivano duramente quelli che celebravano in romeno la liturgia (messa) e soltanto dopo 200 anni passarono all'uso della lingua litúrgica romena. Giorgio Rákóczi nel 1643 símilmente con un decreto severo vieta (dietro il consiglio di Stefano Katona di Gelej) ai sacerdoti di fede greca che osino usare oltre il romeno altra lingua litúrgica. Parallellamente con la emanazione dei decreti i signori calvinisti magiari ed i borghesi luterani istituiscono stamperie romena. I Sassoni di Brassó creano una tipografía romena nel 1559. Giorgio Rákóczi fonda pure una tipografía romena a Gyulafehérvár. II principe Michele Apaffi obbliga il vescovo romeno di mantenere scuole romene dove tutti partecipino in romeno della scienza dello scrivere e leggere ed i più progrediti studino pure il latino. Della lingua ungherese non ne fa neppure menzione. Ecco: tali nemici furono i Magiari calvinisti ed i Sassoni luterani alia chiesa romena. Essi divennero i creatori della liturgia romena ed i fautori della cultura romena. 3) In ultima analisi restiamo colPesposizione dell'autore come il viaggiatore che senza sospettare diventa di colpo osservatore di un'aggressione a scopo di rapiña in una delle curve della strada maestra. Gli si rizzano persino i capelli dall'orrore quando assassini dagli sguardi selvaggi aggrediscono la gente innocente, il di cui sangue tinge di rosso la polvere della strada, — ma poi nello sfondo ad un tratto echeggia il grido del regista che comanda la scena vicino alia macchina da presa trattandosi soltanto del girare una film. Al posto dello spavento subentra lo scoppio di risa. Tutto ció che ci sta raccontando il nostro autore è molto intéres- sante; solo che non avrebbe dovuto rovinare l'effetto con la premessa che si trattasse di una cosa organizzata. Ed aggiungiajmo : organizzata in modo infame. Poiché quel telegramma di Kismajtény —• chiunque l'avesse escogitato — fu un'idea del tutto da buttare per la finestra. Invece dello sgomento dobbiamo leggere con sorriso misto al dispetto questi dettagli d'ineandeseenza drammatica. Resp.: Dr. G. Papp. Stamperia „Stadium". — Resp.: Gyôry Aladár, direttore.