CIRCOLO CULTURALE ORBETELLANO “GASTONE MARIOTTI” ORBETELLO AL TEMPO DELLA MALARIA Acquerello di Ennio Graziani Ricerca storica e autore: Giovanni Damiani La malaria è una malattia infettiva prodotta da specifici parassiti (parassita malarico, o plasmodio, o ematozoario). Come le altre malattie infettive anche la malaria fu riconosciuta essere prodotta da un germe specifico scoperto da un medico militare francese, il Dr. Laveran, in Algeria il 6 ottobre 1880. 2 In seguito, alcuni scienziati stranieri fra i quali Ronald Ross e Patrick Manson e gli italiani, Celli, Bastianelli. Bignami, Ricchi e, in particolare, il Prof. Giovan Battista Grassi, portarono un grande contributo allo studio del germe malarico e alla messa a punto dei mezzi per combatterlo. Soprattutto Giovan Battista Grassi, che girò in lungo e largo tutte le zone malariche dell’Italia, riuscì a stabilire che non tutte le 23 specie di zanzare che si contano in Italia sono portatrici della malaria, ma solo la specie Anopheles claviger. I successivi esperimenti fatti nell’Ospedale di S. Spirito in Roma, insieme ai medici Bignami e Bastianelli, dimostrarono che era stata trovata la via per risolvere il grosso problema della malaria. A proposito del Prof. Grassi, che era Senatore del Regno, dobbiamo registrare che operava prevalentemente intorno Roma, nell’agro Pontino, e nella Campania, in provincia di Salerno, ma nel suo peregrinare per le zone malariche italiane, fu più volte in Maremma, dove conobbe il nostro Raffaello Del Rosso, che lo aiutò nelle sue ricerche. Fra i due nacque una grande amicizia e si svilupparono momenti di collaborazione anche nelle ricerche che il Grassi effettuava sulle anguille. Quando nel 1905, Del Rosso pubblico il libro “Pesche e peschiere antiche e moderne nell’Etruria Marittima”, il Grassi gli inviò una bella lettera che, fra le altre cose, diceva: “La lettura del lavoro del Sig. Del Rosso mi ha fatto immenso piacere. Lo presenterò con mio discorso alla R. Accademia dei Lincei, perché con esso egli si è reso grandemente benemerito della importantissima industria della pesca”. Fino a quel momento si credeva che la malaria fosse causata dagli effluvi di aliti maligni, dai miasmi che stagnavano nell'aria, per cui fu ritenuta la malattia miasmatica per eccellenza, donde il nome che le derivò di mala aria, equivalente a cattiva aria, provocata dai miasmi che si sviluppavano dalle paludi. Volendo trattare il tema dell'influenza malarica in Maremma, sorge naturalmente una domanda: La malaria ha sempre interessato la Maremma, oppure, è arrivata in queste plaghe proveniente da altri continenti? Anche se mancano prove certe tutto lascia credere che la malaria, di origine tropicale, si sia sviluppata in India e da qui, attraverso l'Asia Minore, l'Africa Settentrionale e la Sardegna, abbia raggiunto la Maremma, luogo dove prima di questo evento si erano sviluppate civiltà autoctone, inglobate poi dalla civiltà superiore degli Etruschi, senza che trovassero ostacolo nella malaria. Fonti storiche consentono di rilevare che già agli albori del Medioevo la malaria aveva fatto la sua apparizione in Maremma. L'uomo ha avuto grandi colpe in merito all'impaludamento di vaste zone del territorio maremmano, primario elemento 3 dell'insorgere della malaria. La palude è infatti l’ambiente ideale e più importante in cui l’Anopheles si sviluppa. Infatti per la loro particolare conformazione hanno bisogno, per depositare le loro uova di acque poco mobili o stagnanti. Dall'epoca romana in poi, oltre ad essere stato teatro di numerose guerre, invasioni e distruzioni, lotte intestine, contagi ed epidemie, ad un certo momento, si formarono i grandi latifondi terrieri ai quali si devono imputare le maggiori responsabilità circa l'abbandono del diffuso uso delle lavorazioni agricole e di conseguenza dello spopolamento delle campagne le quali, senza quel lavoro continuo dei piccoli e medi agricoltori, divennero prima selvagge e poi, pian piano, grandi estensioni di terreni paludosi. Dopo l’unità d’Italia si cominciò finalmente a parlare di strumenti generali, che oltre a consentire di conoscere l’entità della cosiddetta “gran malattia fisica dell’Italia” in grandi zone del territorio nazionale, consentissero di cominciare a lavorare seriamente per trovare i rimedi atti a debellarla. Un interessante lavoro fu quello che portò alla formazione della “Carta della malaria dell’Italia”. Ormai da anni si discuteva di questo flagello che imperversava in molte zone della nostra penisola, ma volendo trovare il momento esatto, circa la spinta che fu alla base dell’origine del lavoro per la formazione della carta della malaria, dobbiamo riferirci all’opera della Commissione parlamentare ferroviaria, che negli anni 1879 – 80, percorse tutta l’Italia per esaminare le condizioni delle nostre ferrovie, portando a termine un’inchiesta colossale, che aprì anche un enorme squarcio di luce sulla precaria situazione sanitaria del territorio nazionale. Da ciò, la constatazione che quella situazione era causa di danni diretti e indiretti all’economia nazionale, anche se non si aveva un concetto esatto della cosa, perché scarsi erano gli studi e le pubblicazioni in proposito. Ogni amministrazione agiva per proprio conto, non occupandosi affatto di quello che facevano le altre in rapporto a materie non connesse strettamente col servizio ferroviario. Per la prima volta un gruppo di persone “neutrali” pensava di esaminare l’insieme e cercava di fare la somma “del bene e del male”. Una parte della commissione parlamentare, in questa occasione, si era interessata in modo particolare del male, che era risultato estremamente grave. Le condizioni delle migliaia di persone impiegate nelle ferrovie, soprattutto nelle zone malariche, furono trovate “infelicissime” e si comprese che la malaria era molto più estesa di quanto si credeva. Le deposizioni degli impiegati, i dati statistici presentati, i registri degli ospedali, l’ammontare delle spese per medicinali, per 4 surrogazione di impiegati caduti ammalati di malaria, tutto concorse a dimostrare uno stato di cose che reclamava imperiosamente i necessari provvedimenti. La Commissione si era resa conto che finché quelle condizioni venivano ignorate nel loro insieme, finché era possibile illudersi e credere che col tempo sarebbero migliorate, il pazientare, il dilazionare poteva scusarsi; ma adesso non era più possibile: ogni speranza di miglioramento sarebbe stata provocata solo da apposite opere, per cui, non era più lecito rimanere inerti. In relazione a queste tragiche considerazioni nel giugno del 1880 il Senato decideva di costituire un Ufficio Centrale il quale, esaminata con serietà la grave situazione, convenne che era il caso di occuparsene celermente e senza dilazioni ed in base alla grande estensione delle zone malariche, si pose il quesito: se non era meglio estendere le ricerche alla malaria in genere anziché limitarsi a provvedere determinate località delle strade ferrate”. E questa fu la direzione presa dall’Ufficio Centrale che era composta dei seguenti membri: Senatori conte Pietro Bembo, Comm. Carlo Verga e conte Luigi Torelli (Presidente) e dei dottori Jacopo Maleschotti e Diomede Pantaloni. Nel dicembre 1880 il Ministero dell’Interno diramava ai 259 Consigli di Sanità del Regno dislocati in ogni Provincia e nei Circondari, le disposizioni fissate dall’Ufficio Centrale; ebbe così inizio il lavoro per la formazione della “Carta della malaria dell’Italia”. Dopo aver fatto conoscere ai detti Consigli gli scopi assunti dall’Ufficio Centrale, gli vennero formulati alcuni quesiti ai quali dovevano rispondere, proponendo di ammettere nelle rilevazioni da fare tre gradazioni della malaria: leggera, grave, gravissima e indicando i criteri da seguire per fare le classificazioni che dovevano essere riportate su carte messe a disposizione dall’Istituto Topografico Militare. Il Consiglio Centrale e ed i Consigli di Sanità, cominciarono immediatamente a lavorare, con la certezza che la carta della malaria sarebbe stato il vero primo passo per generare in Italia la convinzione dell’estensione del male e la necessità di un sollecito rimedio. Si pensava che era necessario venire al concreto e scendere ai particolari se si voleva agire e la carta sarebbe stato uno strumento di grande valore. E per corroborare il concetto della differenza che corre fra l’aggirarsi nel vago e precisare un argomento, si prendeva ad esempio il passo che aveva fatto la questione in tre anni, dacché l’inchiesta parlamentare ferroviaria aveva cominciato ad entrare nei particolari. La relazione che fu predisposta alla fine dell’indagine e del 5 lavoro, che portò alla formazione della carta della malaria, diceva, finalmente, come era distribuito questo male nelle diverse regioni e ove imperversava maggiormente; cosa costava alle amministrazioni pubbliche e private, quale contingente offriva agli ospedali l’esercito per soldati colpiti da quel flagello e cosa si doveva pensare per l’avvenire; ed infine, se poteva ritenersi che sarebbe diminuita o aumentata e quali ne sarebbero state le cause. Nel 1882 la “Carta della Malaria dell’Italia” era stata definita ed allegata ad una importante relazione, che prevedeva i provvedimenti da adottare, illustrata da Luigi Torelli, Senatore del Regno e approvata dal Senato. Così, alle nozioni generiche a poco a poco cominciarono a subentrare quelle particolareggiate, indispensabili per l’applicazione dei rimedi ad un così grande flagello. Premesse queste considerazioni, è interessante evidenziare qualche elemento trattato dalla relazione. Le province erano in quel momento 69, di cui, 6 completamente esenti dalla malaria: Delle altre 63 province, 13 avevano territori con malaria leggera, 29 con malaria grave e 21 con malaria gravissima e comunque di tutte le categorie. Le Province immuni dalla malaria erano: Genova, Porto Maurizio, Firenze, Massa Carrara, Pesaro e Piacenza;. Le Province con territori di malaria leggera ossia di prima categoria erano: Ancona, Aquila, Ascoli Piceno, Cremona, Cuneo, Forlì, Lucca, Macerata, Milano Mantova, Reggio Emilia, Treviso, Vicenza. Le province con territori di malaria grave ossia di seconda categoria erano: Alessandria, Arezzo, Avellino, Belluno, Benevento, Bergamo, Bologna, Cagliari, Caltanissetta, Catania, Como, Chieti, Ferrara, Livorno, Messina, Modena, Napoli, Novara, Padova, Pavia, Parma, Ravenna, Rovigo, Siena, Sondrio, Teramo Torino, Udine, Verona. Le Province con territori di malaria gravissima ossia di terza categoria erano: Bari, Brescia, Campobasso, Catanzaro, Caserta, Cosenza, Foggia, Girgenti, Grosseto, Lecce, Palermo, Perugia, Pisa, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Sassari, Siracusa, Trapani, Venezia. L’Ufficio Centrale del Senato non si limitò a trattare la questione della malaria, ma cercò di trattare e approfondire un altro argomento doloroso e che si connetteva con la malaria, l’emigrazione, che da alcuni anni aveva assunto proporzioni gravi, che senza dubbio produceva cospicui danni. Ridurre al giusto valore questo fenomeno, vedere quale nesso aveva con la questione della malaria era per l’Ufficio Centrale argomento degno di essere preso in considerazione. Mentre fino al 1860, pur essendo considerata una sventura, fu, 6 tutto sommato una emigrazione intelligente, perché sapevano dove andare, a chi si affidavano, dopo quella data si verificò un’altra emigrazione, soprattutto nel mezzogiorno dell’Italia continentale, spinta anch’essa dal desiderio di migliorare la propria sorte, ma in parte frutto di una delle più riprovevoli speculazioni, in un epoca dove ormai dominavano affaristi senza scrupoli. Agenti pagati da speculatori cominciarono a percorrere l’Italia insinuando, come singoli o famiglie intere che si risolvevano ad emigrare in paesi transatlantici (più che altrove nell’America del sud), sarebbero stati ricevuti a braccia aperte, avrebbero avuto terreni da coltivare gratuitamente e perfino anticipazioni in denaro, insomma, una vita felice. Questi agenti furono strumenti pagati da speculatori che erano in diretta comunicazione con gli armatori che dovevano fare il trasporto degli emigranti, e talvolta anche con quelli ai quali dovevano essere consegnati al loro arrivo sul luogo, spesso questo secondo passaggio mancava e quindi si trasportavano a casaccio ove sapevano che c’era ricerca di braccia. La causa principale dell’emigrazione fu il bisogno che spingeva intere famiglie a lasciare i propri paesi, senza sapere a cosa andavano incontro, ma non era esente da questa decisione la disastrosa situazione del suolo in estese parti d’Italia, soprattutto le zone malariche. Finito questo lungo preambolo sulla situazione generale e su ciò che si stava facendo per migliorare i territori malarici, torniamo al territorio della nostra Provincia. Le comunità di Gavorrano, Castiglione della Pescaia, Grosseto, Magliano in Toscana, Orbetello con Talamone e Capalbio, e altre zone confinanti fino ad oltre i 500 metri sul livello del mare, fra cui Buriano, Montepescali, Paganico, Saturnia e Sovana, furono sempre i più insalubri della Maremma. L'organizzazione sanitaria non fu purtroppo in grado di incidere sensibilmente su questa tremenda malattia. Uno dei più efficaci interventi, ritenuto di una certa utilità fu l'allontanamento dei cittadini, volontario o imposto, dalle zone malariche alle zone salubri della Provincia, nei periodi più caldi dell'anno, la famosa "estatatura". Il Comune di Scansano fu il territorio di eccellenza per l’estatatura. Queste erano le indicazioni fornite per "vivere nelle Maremme" prima della scoperta del chinino: "Alimentarsi bene; la miseria alimentare produce denutriti che difficilmente si liberano dalle febbri; gli strapazzi per eccessivo lavoro muscolare predispongono alla recidività; le sbornie domenicali e delle feste comandate predispongono ad ammalarsi di malaria, i malati a 7 riammalarsi; non si distruggono le libellule, i pesci, imperocchè mangiano larve e ninfe di zanzare e le libellule, gli uccelli e i pipistrelli, mangiano le zanzare." E ancora: "Data la temperatura dolce della Maremma, le zanzare pungono, ogni tanto, anche d'inverno; vivono come ospiti nelle case, e la Maremma, per la ragione detta sopra, rappresenta l'optimum per la loro cultura; le zanzare, di giorno, vivono nascoste e riparate; escono a pungere l'uomo di sera e la notte; occorre rincasare presto, non uscire nelle prime ore del mattino. Non si confondano le zanzare malarigene (anofele) con quelle zanzare (culex) che quando pungono fanno un grande ronzio: le prime possono pungere anche attraverso vestiti spessi senza che, molte volte, l'uomo se ne accorga. Occorre fare assegnamento sull'educazione di chi abita un luogo malarico, perchè sappia preservarsi, con tutte le sue forze dalla Malaria. E' necessario distruggere le larve nell'acqua (polveri vegetali, alcuni colori di anilina, petroli, ecc.); fare grandi coltivazioni di crisantemi; distruggere per quanto è possibile le zanzare. Non dormire all'aperto, non tenere lumi accesi nelle stanze a finestre aperte; usare profumi zanzarifughi (olio essenziale di trementina, iodoformio, mentolo alla trementina): Mezzi meccanici: un buon vestiario; un cappello col velo per coprire la faccia e i guanti, farebbero ridere i nostri bravi ma ignoranti lavoratori........eppure quanto preservano anche questi mezzi dalle febbri! Si usino le reticelle alle finestre adottate nelle cantoniere, Stazioni ferroviarie di zone malariche. Con pochi assi e le reticelle, si possono costruire, davanti casa, delle verande per godere il fresco nelle serate d'estate, senza pericolo di essere punti, non solo dalle zanzare malarigene, ma da moltissimi altri insetti, se non malefici come quelle, noiosissimi." Anche se successivamente il chinino divenne il rimedio sovrano contro le febbri, le indicazioni riportate furono tenute sempre in grande considerazione. I malati di malaria cronica furono numerosi. In questi casi il diagramma della temperatura corporea era quasi sempre ad andamento irregolare: si riscontrava aumento di volume della milza e del fegato, spiccate anemie, astenia, frequenti nevralgie e nefriti; nei casi più gravi la malattia esitava in cachessia malarica con edemi, asciti, colorito terreo della cute, ittero, diatesi emorragica. La morte, per molti di questi casi, fu il punto di arrivo. Dopo il 1880 con la scoperta del chinino, che fu per molto tempo il farmaco di elezione nella terapia e nella prevenzione della malaria, le cose cominciarono ad andare un po' meglio e l'organizzazione sanitaria iniziò ad avere qualche risultato positivo. L'Amministrazione Comunale di Orbetello divise il territorio in 8 varie zone malariche e su di esse sviluppò tutta una serie di attività tese a combattere la malattia. Furono messi in funzione tre depositi di chinino, uno generale e principale in Orbetello e gli altri due secondari in Capalbio e Talamone. Ogni deposito fu affidato ad un apposito incaricato che teneva il bilancio statistico sull'entrata e sull'uscita dei vari preparati chinacei; fu anche addetto alla consegna del medicinale (tabloidi, fiale e cioccolatini) ai vari richiedenti (proprietari, agenti di campagna, capi di imprese di lavoro, singoli operai, ecc.). Le richieste destinate alla collettività venivano fatte su proposta dei medici di Sezione a mezzo di speciali moduli, mentre per le persone singole, venivano fatte su ricette a stampa fornite ai medici dall'Ufficio Sanitario del Comune. La distribuzione del chinino, fatta su proposta dei medici di Sezione ai tre depositi, veniva integrata e completata con quella direttamente fatta dai singoli medici nelle gite periodiche antimalariche che facevano nelle varie località delle Condotte mediche; i medicinali venivano prelevati dagli stessi depositi, nelle rispettive Sezioni. Queste gite antimalariche venivano effettuate dai medici con vetture a carico del Comune, o private, di proprietà delle diverse tenute agricole, oppure in bicicletta di proprietà dei medici stessi. In questo modo venivano raggiunti tutti i centri e nuclei abitati e in molti casi anche le case sparse. I medici pubblici erano insufficienti per il territorio orbetellano, allora esteso per 414,55 Kmq.; di solito erano tre, uno ad Orbetello e gli altri due a Capalbio e Talamone. Non era davvero facile trovare medici che volevano venire a lavorare in Maremma. I medici liberi professionisti erano molto rari e per questo, il lavoro dei Medici Condotti e degli Ufficiali Sanitari era davvero molto pesante. Tuttavia, le denunce dei casi di malaria venivano fatte con sufficiente regolarità e diligenza. Dal 1885 al 1910, per una deficienza degli archivi, le notizie sul numero dei casi di malaria (recidivi e primitivi), sono molto scarse, comunque i pochi documenti consultati hanno consentito di stabilire che i casi di malaria non scendevano mai al di sotto dei 250 annui, con punte massime di 450 nelle annate più calde. Dal 1911 i dati di archivio sono più copiosi e puntuali: 1911 casi 362, 1912 casi 255, 1913 casi 276, 1914 casi 220, 1915 casi 336. Fino al 1923 i casi si sono mantenuti entro questi limiti, mentre nel 1924 e 1925 si verificava un considerevole aumento: rispettivamente 500 e 400. Il Servizio Antimalarico non credeva però a questi dati, li riteneva molto inferiori alla realtà. Infatti, era noto che molti casi non venivano denunciati dai malati che ritenevano la malattia una 9 fatalità inevitabile, oppure, perchè sfuggivano all'osservazione dei medici. A volte anche qualche medico ometteva la denuncia. La difficoltà nella lotta alla malaria derivava molto dalle cattive condizioni igieniche, dalle vaste estensioni di terreni paludosi ancora esistenti nel Comune di Orbetello, il cui territorio è stato l'ultimo della Toscana ad essere interessato dalla bonifica integrale. Il chinino dava buoni risultati se associato a tutta una serie di provvedimenti igienici e meccanici. Tuttavia, nei primi decenni del secolo scorso, si verificò una vasta produzione di farmaci, sciroppi, ecc. che, si diceva, avrebbero debellato definitivamente la malaria. Circa l'uso di questi ritrovati, si verificarono forti polemiche fra i medici che operavano nelle zone malariche e, giornali, farmacisti, signorotti, agenti di campagna, comari con i loro consigli, stregoni con le loro pozioni e i loro esorcismi. Questi surrogati della chinina, come la Sincomina, il Pamala, l'Ectina, l’Esanofele, l’Antimalarico De Giovanni, ecc., invasero il mercato, ma per la malattia l'esito fu negativo; più tardi anche il famoso e reclamizzato 606 e altri preparati ebbero la stessa sorte.s I bravi e coscienziosi medici che, come abbiamo visto, operavano in condizioni difficilissime , lottavano senza stancarsi contro queste stupide credenze e mettevano in guardia gli ammalati sulla inattendibilità dei risultati di questi ritrovati e sulla propaganda subdola che veniva fatta da persone senza scrupoli. Solo il chinino si stava dimostrando realmente efficace, sostenevano questi medici. Nel 1919 il Prof. Cremona metteva a punto un farmaco che chiamò Smalarina (terapia a base di mercurio antimoniale), ma benchè i giornali ne dicessero mirabilie e gli opuscoli illustrativi ne osannassero l'efficacia, non entrava in commercio perchè la Direzione Generale di Sanità non si pronunciava circa la somministrazione di questo nuovo medicinale. Passarono così alcuni anni da quel 1919 e i medici impegnati nella lotta alla malaria, non sapevano come comportarsi, si trovavano in difficoltà perchè pressati da un opinione pubblica in cerca di migliori rimedi per debellare la malaria. A gran voce chiedevano alle Autorità Sanitarie Superiori una parola chiara e definitiva che tardava a venire. La smalarina non entrò mai in commercio. Nel 1942, gli scienziati britannici avevano trovato un sostituto sintetico del chinino, la “mepacrina”, che arrestava il male e che si dimostrò persino più potente del prodotto naturale, C’era chi sosteneva, in quel momento, che se non fossero riusciti a trovare questo sostituto sintetico del chinino, il corso della guerra nel lontano Oriente avrebbe potuto prendere una piega ben diversa. Si dice che il comandante dell’esercito inglese “lo espresse molto bene dicendo che i giapponesi sarebbero stati capaci di lasciare alle zanzare, portatrici dell’infezione, tutto il peso del combattimento”. 10 Tuttavia il chinino e la mepacrina, per quanto ottimi medicinali, potevano agire solo al margine del terribile pericolo che la zanzara -“la regina della morte”, come la chiamavano alcuni popoli – rappresentava per l’uomo. In quegli anni, la morte per malaria falciava ancora migliaia di persone in tutto il mondo e gli esperti valutavano che vi erano più di 800 milioni di persone sofferenti di malaria: Più di un terzo dell’intera popolazione del mondo. Nel 1946 entrava finalmente in commercio la Paludrina, nome commerciale del farmaco antimalarico Cloroguanide. C’erano voluti tre anni prima che il mondo fosse messo al corrente di questa nuova scoperta scientifica. Essa rispondeva a tre requisiti vitali: “impediva l’infezione, malgrado le punture mortali della zanzara; controllava completamente i sintomi della malaria nei casi d’infezione e curava effettivamente il male; impediva le regolari ricadute, che erano le più terribili caratteristiche della febbre”. Presa coscienza del modo in cui si diffondeva la malaria, oltre alla ricerca scientifica per la produzione di farmaci efficaci a combatterla, si dava inizio a tutta una serie di provvedimenti che prendevano di mira l'anofele su due fronti: muovendole guerra per la sua distruzione e opponendole un piano di difesa per impedirle di pungere. Fra i tanti provvedimenti indicati, sembra interessante trascriverne integralmente alcuni che avevano, senza dubbio, una discreta efficacia: 1 - Avendo necessità l'anofele di acque stagnanti per riprodursi depositandovi le uova, provvedere alla piccola bonifica del suolo, che consisteva nella eliminazione di tutte le piccole raccolte d'acqua stagnante, soprattutto nei pressi delle case, colmandole con la terra, unitamente alla eliminazione di tutte le inutili e dannose raccolte d'acqua che potevano formarsi in botti, tinozze, trogoli, abbeveratoi, ecc. 2 - Nelle vaste estensioni acquitrinose (paludi), in attesa della conclusione della grande bonifica, il miglior mezzo per distruggere le larve e ninfe dell'anofele consisteva nello spandere del petrolio sull'acqua, che aveva la funzione di asfissiarle. La petrolizzazione doveva essere fatta tutti gli anni da aprile a ottobre, ogni 18 giorni se il caldo era moderato, ogni 12 giorni se molto forte. Oltre al petrolio venivano usate altre sostanze e fra queste, con buon successo, una polvere chiamata Verde di Parigi. Questa sostanza velenosa è costituita da sale doppio di arsenico ed acetato di rame e si adoperava mescolata a polvere raccolta per le strade o a cenere, passate al setaccio per eliminare le parti più grossolane, nella proporzione di 10 parti di Verde di Parigi e 1000 parti di polvere o cenere; per spanderla sull'acqua si usava, di solito, un comune 11 soffietto di quelli che i contadini adoperavano per dare lo zolfo alla vigna. Lo spandimento andava ripetuto ogni 8 giorni. Il Verde di Parigi era più vantaggioso del petrolio, perchè meno costoso ed efficace anche nelle acque in movimento e ricche di vegetazione, ma aveva lo svantaggio di uccidere solo le larve perchè se ne nutrivano, ma non le ninfe. Nelle proporzioni usate non era nocivo per i pesci, anguille, ranocchie, e tutti gli altri animali acquatici, compresi gli uccelli. Tutti i recipienti, pozzi, ecc. che contenevano acqua per uso domestico o per abbeverare il bestiame dovevano essere coperti con coperchi di lamiera. 3 - Altro mezzo per impedire la riproduzione delle zanzare consisteva nell'introdurre nelle acque stagnanti, o poco correnti, alcuni pesciolini grandi divoratori di larve. Fra questi pesci, detti larvifaghi meritano menzione l'anguilla, lo spinarello, ma specialmente la gambusia affinis, pesciolino introdotto appositamente dall'America, che si riproduce 5 o 6 volte l'anno. Gli altri provvedimenti consistevano, come abbiamo già visto, nella difesa meccanica delle finestre e porte con reti metalliche, nelle fumigazioni di anidride solforosa e cianidriche, oppure, bruciando nei locali chiusi foglie secche, paglia, fieno, ecc., o zampironi che si trovavano in commercio. Inoltre, era tenuto in gran conto, l'igiene della casa, gli abiti di stoffa spessa per resistere al pungiglione delle zanzare, ed altri provvedimenti minori. Il Prof. Guglielmo Memmi, primario dell'Ospedale di Grosseto, dava alle stampe nel 1925 il "Decalogo per difendersi dalla malaria" e nel 1928 il "Decalogo per la cura e le profilassi chininiche della malaria nell'adulto", riprodotto integralmente fra i documenti a corredo perchè dimostra quanto era ancora difficoltosa e preoccupante la lotta alla malaria nella prima metà del secolo appena finito. Ritornando al territorio orbetellano, annotiamo ancora una serie di interessanti dati. Il consumo di chinino nel 1915 fu il seguente: Tabloidi Kg. 27,450, Cioccolatini Kg. 4,590, Fiale da 0,50 g. n. 110, Fiale da 1,00 g. n. 80. Alla fine dell'anno residuavano nei depositi comunali Kg. 7,595 di tabloidi, g. 410 di cioccolatini, n. 140 Fiale da 0,50 g. e n. 70 da 1,00 g. Oltre alle riferite quantità, l'Amministrazione Ferroviaria somministrava al proprio personale dislocato sul territorio comunale Kg. 20 di chinino in tabloidi e g. 120 in fiale, mentre l'Impresa Imbarchi e Sbarchi e la Società Colla e Concimi, somministravano al proprio personale Kg. 2 di chinino. 12 Inoltre, il chinino che veniva somministrato alla popolazione attraverso ricette staccate dai medici di famiglia e prelevato in Farmacia e quello somministrato ai ricoverati in Ospedale, può complessivamente calcolarsi in Kg. 45. Pertanto, il consumo di chinino di quell’anno fu di circa Kg. 100. In quell'anno, escluso il centro storico, il numero degli abitanti compresi nelle zone malariche (case sparse, Frazioni di Capalbio e Talamone, nuclei abitati e quelli della Città (circa 300) che si recavano di buon mattino in campagna per lavoro, per far ritorno la sera, erano oltre 3.800, i quali formavano il numero delle persone che in diversi modi ricevevano somministrazioni di chinino a scopo preventivo. Le persone a cui veniva invece somministrato chinino a scopo curativo furono 336, di cui 125 in Ospedale. Morì di malaria una sola persona. Nel 1924 veniva consumato complessivamente circa 120 kg. di chinino. 4.000 persone su una popolazione di circa 8.000 persone avevano avuto somministrazioni di chinino a scopo preventivo, mentre il numero delle persone che avevano avuto somministrazioni di chinino a scopo curativo erano state 500. Morirono di malaria 3 persone. Nel 1925 i morti di malaria furono 7. Una interessante esperienza sulla profilassi antimalarica avveniva in territorio di Orbetello nel 1901. Nel Presidio di Talamone, nell'ambito della "Campagna Antimalarica del 1901 nella Maremma Grossetana - Direttore Prof. B. Gosio", venivano fatti esperimenti sui militari di due compagnie di artiglieria da costa, esperimenti portati a conoscenza con l'opuscolo "Saggio di Profilassi Antimalarica nel Presidio di Talamone", del Dr. G.B. Mariotti Bianchi, Tenente medico dell'Ospedale Militare di Roma. Nella seconda metà del 1800 sul Colle di Talamonaccio venivano costruite una Caserma militare e un Forte-deposito munizioni. Ogni anno, per periodi di 15, 20 giorni, la Caserma ospitava compagnie di artiglieria da costa per le esercitazioni di tiro. Il 1 luglio 1901 arrivarono a Talamone due compagnie di militari, una proveniente da La Spezia e l'altra da Ancona, per effettuare le solite esercitazioni di tiro. Le Autorità Militari, su richiesta del Prof. B. Gosio, Direttore della Campagna Antimalarica della Maremma Grossetana, inviavano al seguito di queste truppe il Tenente Medico G. B. Mariotti Bianchi con il compito di organizzare un servizio per la sperimentazione degli ultimi ritrovati per combattere la malaria, "al fine di poter trarre risultati scientifici attendibili da quel materiale abbondante dato dal 13 buon numero di militari". I militari arrivati alla Caserma di Talamonaccio consistevano in 6 ufficiali e 176 uomini di truppa; un complesso di 182 persone, che rimanevano in quel luogo per 15 giorni. Prima dell'arrivo dei militari avevano munito di rete metallica tutte le aperture esterne della caserma (porte e finestre) e ucciso le zanzare rimaste prigioniere con abbondanti fumigazioni di anidride solforosa. Per la protezione dei militari era stato provveduto con l'uso di guanti allungati che coprivano la parte inferiore delle braccia e veli che si applicavano direttamente al chepì con rapidissima operazione, facendo uso di un cerchio di filo di ottone; si trattava degli stessi strumenti usati dai membri della Commissione governativa del Presidio di Grosseto nei suoi spostamenti per verifiche e sopralluoghi nelle zone malariche della Maremma. Finalmente aveva inizio la fase più delicata, la profilassi con l'uso del chinino e tutta una serie di raccomandazioni circa l'uso dei mezzi meccanici e i comportamenti da tenere. La somministrazione del chinino veniva fatta al mattino, a digiuno, alla dose di un grammo per individuo nei giorni 7, 8, 14 e 15 luglio e, tornate le due Compagnie alle rispettive guarnigioni, La Spezia e Ancona, veniva somministrata un'ulteriore dose di un grammo di chinino nei giorni 21 e 23 luglio. Tutti i militari interessati all'esperimento venivano tenuti per un mese, dopo la loro partenza da Talamone, in osservazione rigorosa dai rispettivi ufficiali medici. Durante la sperimentazione nella Caserma di Talamonaccio il Tenente medico metteva in atto una serie di verifiche e controlli sul comportamento dei militari che lo convincevano che non tutti si attenevano alle disposizioni ricevute; per modificare questo comportamento si arrivava persino alle minacce di restrizione di tutti coloro che disobbedivano. Così, per controllare in modo continuo quanto avveniva fra i militari , il Comando della Caserma creava delle Ronde con il compito di sorvegliare che gli ordini circa l'uso dei guanti e del velo, del corretto uso di porte e finestre e delle somministrazioni del chinino nei giorni prescritti avveniva regolarmente. Ogni mattina, subito dopo l'uscita dei militari dalle camerate, il Tenente medico faceva un'ispezione minuziosa alla ricerca delle zanzare entrate durante la giornata precedente; i risultati delle ricerche sono esposti nella tabella seguente: ANOFELI CATTURUTE NEI LUOGHI PROTETTI 14 Data 2 luglio 3 " 4 " 5 " 6 " 9 " 10 " 11 " 12 " 13 " 14 " Anofeli catturate 5 1 5 7 9 28 6 36 12 80 92 L'Ufficiale medico avvertiva, nelle sue note, che essendo il soffitto delle camerate altissimo e non possedendo scale, la ricerca veniva limitata ai luoghi più bassi. Alla fine dell'esperimento 161 militari avevano compiuto regolarmente la cura e adempiuto a tutte le prescrizioni, mentre gli altri 15 avevano "qualche volta disobbedito". Il 24 luglio il primo militare veniva colpito da accessi di febbre malarica e l'8 agosto si ammalava l'ultimo. In complesso, quelli che si ammalavano era 13. METODO DI CURA Regolare Irregolare N. INDIVIDUI 161 15 N. MALATI 11 2 Anche se i militari non si erano comportati del tutto correttamente, soprattutto per l'uso dei mezzi meccanici, l'esperimento veniva ritenuto assai importante; si era verificata solo una morbosità del 4,97% sui 161 individui che avevano fatto regolarmente la cura. I metodi di cura, assai diversi, che in quel periodo si sperimentavano un po' ovunque, non avevano ancora dato risultati così incoraggianti. Dalla relazione conclusiva del Tenente medico Mariotti Bianchi venivano fuori dati e fatti abbastanza interessanti circa la situazione esistente nella zona a riguardo della morbosità malarica. A tal proposito, per non aggiungere o togliere nulla alle riflessioni del relatore, si trascrivono integralmente alcuni passi significativi: "La plaga è eminentemente malarica. Mi detti cura nei giorni di mia permanenza in quei luoghi, di visitare le poche case circostanti, e potei constatare che sono veramente eccezionali quegli abitanti che non siano malarici o che lo siano stati in questi ultimi anni. Quasi erano residui dell'anno precedente, per la più parte terzanari; nella 15 prima quindicina di luglio si ammalarono inoltre alcuni di quei pochi che non avevano contratto le febbri l'anno precedente; citerò del più piccolo bambino dell'operaio d'artiglieria, dell'età di 10 mesi, che, a quanto mi riferiscono i parenti non aveva avuto febbre negli ultimi mesi del 1900. il 2 luglio ebbe il primo accesso febbrile, il 4 il secondo, e l'esame del sangue dimostrò la presenza di innumerevoli parassiti di terzana. Intervenni subito con adatta cura. Un'altro caso fu osservato in persona di un caterattaio che lavorava alla bonifica dell'Osa, arrivato sul luogo da poco tempo. Quando lo visitai era affetto da terzana doppia e prescrissi la cura opportuna. Come ho detto, gli altri erano quasi tutti malarici, e parecchi ebbero accessi febbrili nei giorni in cui rimasi sul luogo. Cito qualche esempio tolto a caso dai miei appunti: = La famiglia dell'operaio di artiglieria è composta di 5 persone. Di esse il solo operaio fa eccezione, non avendo da molto tempo sofferto di febbri, le altre 4 sono malariche ed ebbero febbri anche in quei giorni (uno è un caso nuovo come sopra ho riferito). La loro casa è vicinissima alla caserma e non è protetta. = Nel casello ferroviario vicino alla stazione abitano tre famiglie. Una venuta in febbraio. Le altre due comprendono 11 persone le quali tutte hanno avuto le febbri nella passata stagione, prolungandosi in molti anche nell'inverno. Una ha avuto la febbre anche negli ultimi di giugno. = Nel casello ferroviario prossimo al cavalcavia (n. 162) abitano 4 persone le quali tutte soffrirono di malaria l'anno precedente con recidive nell'inverno e nella primavera. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma quelli che ho riferito bastano a dimostrare che la zona in cui sperimentammo è eminentemente malarigena. Ciò viene dimostrato e dal fatto che l'anno scorso si ebbe negli scarsi abitanti una morbosità che varia dall'80 al 100% e dall'altro, non meno importante, che i pochi individui che non avevano contratto le febbri, cominciarono ad ammalarsi i primi di luglio. E che la zona sia gravemente infestata dalla malaria è dimostrato da un'altro fatto importantissimo, che mi venne riferito da persona degna di fede. alcuni anni fa venne inviata dalla Spezia a Talamone una compagnia di artiglieria da costa nel mese di luglio. La truppa vi rimase per un periodo presso a poco uguale a quello di quest'anno e al suo ritorno in Spezia quasi il 50% cadde ammalato. Fu appunto in seguito a ciò che le autorità militari sospesero la dimora estiva in quella località e, solo dopo le recenti conquiste della scienza, fidando con saggio e illuminato consiglio nei mezzi che essa ci ha fornito, vi inviarono di nuovo le truppe nella certezza che il flagello sarebbe stato domato. Debbo alla cortesia del medico locale il chiarissimo dottor 16 Pistoni, se posso aggiungere alcune altre informazioni sulla regione. Egli mi ha riferito quanto appresso: = Gli abitanti del paese di Telamone e dintorni sono tutti o quasi tutti malarici. = I luoghi più malarici sono: Fonteblanda, Bengodi e le adiacenze della stazione, i quali luoghi sono quelli appunto che circondano da vicino la caserma. Nel periodo di massima intensità delle febbri (luglio e agosto) il numero dei colpiti (primitivi e recidivi) raggiunge il 65% circa, compresovi il paese il quale ha una morbosità minore". La malaria, questo flagello della Maremma, che per secoli aveva condizionato la vita delle genti maremmane, è ormai un ricordo sbiadito. Negli anni immediatamente successivi all'ultima guerra mondiale, con i ritrovati della scienza (il famigerato D.D.T.), e l'ultimazione della bonifica integrale, la malaria fu definitivamente debellata. BIBLIOGRAFIA - - Dr. Pietro Sestini. “Le condizioni sanitarie di Grosseto in relazione all’estatatura.” Tip. G. Barbarulli, Grosseto 1867; Dr. Alfonso Ademollo. “Sulle condizioni igieniche della provincia di Grosseto e sui provvedimenti da adottarsi per migliorarla.” Tip. G. Barbarulli, Grosseto 1872; “Carta della malaria dell’Italia”, illustrata da Luigi Torelli. Stabilimento Tip. Di Giuseppe Pellas, Firenze 1882; Dr. Antonio Mori. “Relazione sulla profilassi della malaria coll’Enchimina”. Soc. Editrice Dante Alighieri, Roma 1901; Dr. Ferruccio Bindi, ex assistente di Clinica Chirurgica, medico chirurgo in Grosseto. “Osservazioni sul sangue di malarici recidivi a lungo periodo”. Estratto da Clinica Moderna, anno VIII, n. 33. Tip. Luigi Niccolai, Firenze 1902; Dr. Mario Meriggi, medico condotto di Capalbio. “Pel miglioramento igienico di Capalbio”. Tipo Cooperativa, Mirandola 1907; Dr. Guglielmo Memmi e Dr. C. Cantieri. “La malaria nell’Ospedale di Grosseto negli anni 1911-1912”. Soc. Studi Malaria, Roma 1914; Dr. Guglielmo Memmi. Difendiamoci dalla malaria. Nozioni, precetti e consigli pratici per il nostro popolo”. Stab. Arti Grafiche S. Bernardino, Siena 1926; L. Verney, “Condizioni igieniche del programma di lavoro della Soc. Elettrochimica Maremmana nel bacino morboso di Burano”. Ind. Tipografica Editrice Romana, Roma 1926; Guido Garofalini. “La malaria e la storia”. Estratto da Rassegna Italiana, Roma, agosto 1928; Dr. Peter Moreland. “Guerra alla malaria”. Minerva – Rivista delle Riviste n. 12, dicembre 1946. Unione Tipografica Editrice, Torino; Relazioni e documenti vari dell’Archivio Comunale di Orbetello; Circolari della Prefettura di Grosseto dal 1918 al 1925; 17 - “Disposizioni e istruzioni tecniche del Ministero dell’Interno sull’impiego delle Ganbusie nella lotta contro la malaria”. Circolare n. 20138-8 del 3 luglio 1926; “Disposizioni del Ministero delle Finanze sulla somministrazione a prezzo di favore agli Enti pubblici e privati del chinino di Stato”. Circolare n. 36-bis del 12 maggio 1916.