CIRCOLO CULTURALE ORBETELLANO
“GASTONE MARIOTTI”
ORBETELLO AL TEMPO DELLA
MALARIA
Acquerello di Ennio
Graziani
Ricerca storica e autore: Giovanni Damiani
La malaria è una malattia infettiva prodotta da specifici
parassiti (parassita malarico, o plasmodio, o ematozoario). Come le
altre malattie infettive anche la malaria fu riconosciuta essere
prodotta da un germe specifico scoperto da un medico militare
francese, il Dr. Laveran, in Algeria il 6 ottobre 1880.
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In seguito, alcuni scienziati stranieri fra i quali Ronald Ross e
Patrick Manson e gli italiani, Celli, Bastianelli. Bignami, Ricchi e, in
particolare, il Prof. Giovan Battista Grassi, portarono un grande
contributo allo studio del germe malarico e alla messa a punto dei
mezzi per combatterlo.
Soprattutto Giovan Battista Grassi, che girò in lungo e largo
tutte le zone malariche dell’Italia, riuscì a stabilire che non tutte le 23
specie di zanzare che si contano in Italia sono portatrici della
malaria, ma solo la specie Anopheles claviger. I successivi
esperimenti fatti nell’Ospedale di S. Spirito in Roma, insieme ai
medici Bignami e Bastianelli, dimostrarono che era stata trovata la
via per risolvere il grosso problema della malaria.
A proposito del Prof. Grassi, che era Senatore del Regno,
dobbiamo registrare che operava prevalentemente intorno Roma,
nell’agro Pontino, e nella Campania, in provincia di Salerno, ma nel
suo peregrinare per le zone malariche italiane, fu più volte in
Maremma, dove conobbe il nostro Raffaello Del Rosso, che lo aiutò
nelle sue ricerche. Fra i due nacque una grande amicizia e si
svilupparono momenti di collaborazione anche nelle ricerche che il
Grassi effettuava sulle anguille. Quando nel 1905, Del Rosso pubblico
il libro “Pesche e peschiere antiche e moderne nell’Etruria
Marittima”, il Grassi gli inviò una bella lettera che, fra le altre cose,
diceva: “La lettura del lavoro del Sig. Del Rosso mi ha fatto immenso
piacere. Lo presenterò con mio discorso alla R. Accademia dei Lincei,
perché con esso egli si è reso grandemente benemerito della
importantissima industria della pesca”.
Fino a quel momento si credeva che la malaria fosse causata
dagli effluvi di aliti maligni, dai miasmi che stagnavano nell'aria, per
cui fu ritenuta la malattia miasmatica per eccellenza, donde il nome
che le derivò di mala aria, equivalente a cattiva aria, provocata dai
miasmi che si sviluppavano dalle paludi.
Volendo trattare il tema dell'influenza malarica in Maremma,
sorge naturalmente una domanda:
La malaria ha sempre
interessato la Maremma, oppure, è arrivata in queste plaghe
proveniente da altri continenti?
Anche se mancano prove certe tutto lascia credere che la
malaria, di origine tropicale, si sia sviluppata in India e da qui,
attraverso l'Asia Minore, l'Africa Settentrionale e la Sardegna, abbia
raggiunto la Maremma, luogo dove prima di questo evento si erano
sviluppate civiltà autoctone, inglobate poi dalla civiltà superiore degli
Etruschi, senza che trovassero ostacolo nella malaria.
Fonti storiche consentono di rilevare che già agli albori del
Medioevo la malaria aveva fatto la sua apparizione in Maremma.
L'uomo ha avuto grandi colpe in merito all'impaludamento di
vaste zone del territorio maremmano, primario elemento
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dell'insorgere della malaria. La palude è infatti l’ambiente ideale e
più importante in cui l’Anopheles si sviluppa. Infatti per la loro
particolare conformazione hanno bisogno, per depositare le loro uova
di acque poco mobili o stagnanti.
Dall'epoca romana in poi, oltre ad essere stato teatro di
numerose guerre, invasioni e distruzioni, lotte intestine, contagi ed
epidemie, ad un certo momento, si formarono i grandi latifondi
terrieri ai quali si devono imputare le maggiori responsabilità circa
l'abbandono del diffuso uso delle lavorazioni agricole e di
conseguenza dello spopolamento delle campagne le quali, senza
quel lavoro continuo dei piccoli e medi agricoltori, divennero prima
selvagge e poi, pian piano, grandi estensioni di terreni paludosi.
Dopo l’unità d’Italia si cominciò finalmente a parlare di
strumenti generali, che oltre a consentire di conoscere l’entità della
cosiddetta “gran malattia fisica dell’Italia” in grandi zone del
territorio nazionale, consentissero di cominciare a lavorare
seriamente per trovare i rimedi atti a debellarla.
Un interessante lavoro fu quello che portò alla formazione della
“Carta della malaria dell’Italia”.
Ormai da anni si discuteva di questo flagello che imperversava
in molte zone della nostra penisola, ma volendo trovare il momento
esatto, circa la spinta che fu alla base dell’origine del lavoro per la
formazione della carta della malaria, dobbiamo riferirci all’opera
della Commissione parlamentare ferroviaria, che negli anni 1879 –
80, percorse tutta l’Italia per esaminare le condizioni delle nostre
ferrovie, portando a termine un’inchiesta colossale, che aprì anche
un enorme squarcio di luce sulla precaria situazione sanitaria del
territorio nazionale.
Da ciò, la constatazione che quella situazione era causa di
danni diretti e indiretti all’economia nazionale, anche se non si aveva
un concetto esatto della cosa, perché scarsi erano gli studi e le
pubblicazioni in proposito.
Ogni amministrazione agiva per proprio conto, non
occupandosi affatto di quello che facevano le altre in rapporto a
materie non connesse strettamente col servizio ferroviario.
Per la prima volta un gruppo di persone “neutrali” pensava di
esaminare l’insieme e cercava di fare la somma “del bene e del
male”. Una parte della commissione parlamentare, in questa
occasione, si era interessata in modo particolare del male, che era
risultato estremamente grave.
Le condizioni delle migliaia di persone impiegate nelle ferrovie,
soprattutto nelle zone malariche, furono trovate “infelicissime” e si
comprese che la malaria era molto più estesa di quanto si credeva.
Le deposizioni degli impiegati, i dati statistici presentati, i
registri degli ospedali, l’ammontare delle spese per medicinali, per
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surrogazione di impiegati caduti ammalati di malaria, tutto concorse
a dimostrare uno stato di cose che reclamava imperiosamente i
necessari provvedimenti.
La Commissione si era resa conto che finché quelle condizioni
venivano ignorate nel loro insieme, finché era possibile illudersi e
credere che col tempo sarebbero migliorate, il pazientare, il
dilazionare poteva scusarsi; ma adesso non era più possibile: ogni
speranza di miglioramento sarebbe stata provocata solo da apposite
opere, per cui, non era più lecito rimanere inerti.
In relazione a queste tragiche considerazioni nel giugno del
1880 il Senato decideva di costituire un Ufficio Centrale il quale,
esaminata con serietà la grave situazione, convenne che era il caso
di occuparsene celermente e senza dilazioni ed in base alla grande
estensione delle zone malariche, si pose il quesito: se non era meglio
estendere le ricerche alla malaria in genere anziché limitarsi a
provvedere determinate località delle strade ferrate”.
E questa fu la direzione presa dall’Ufficio Centrale che era
composta dei seguenti membri: Senatori conte Pietro Bembo, Comm.
Carlo Verga e conte Luigi Torelli (Presidente) e dei dottori Jacopo
Maleschotti e Diomede Pantaloni.
Nel dicembre 1880 il Ministero dell’Interno diramava ai 259
Consigli di Sanità del Regno dislocati in ogni Provincia e nei
Circondari, le disposizioni fissate dall’Ufficio Centrale; ebbe così
inizio il lavoro per la formazione della “Carta della malaria
dell’Italia”.
Dopo aver fatto conoscere ai detti Consigli gli scopi assunti
dall’Ufficio Centrale, gli vennero formulati alcuni quesiti ai quali
dovevano rispondere, proponendo di ammettere nelle rilevazioni da
fare tre gradazioni della malaria: leggera, grave, gravissima e
indicando i criteri da seguire per fare le classificazioni che dovevano
essere riportate su carte messe a disposizione dall’Istituto
Topografico Militare.
Il Consiglio Centrale e ed i Consigli di Sanità, cominciarono
immediatamente a lavorare, con la certezza che la carta della
malaria sarebbe stato il vero primo passo per generare in Italia la
convinzione dell’estensione del male e la necessità di un sollecito
rimedio.
Si pensava che era necessario venire al concreto e
scendere ai particolari se si voleva agire e la carta sarebbe stato uno
strumento di grande valore.
E per corroborare il concetto della differenza che corre fra
l’aggirarsi nel vago e precisare un argomento, si prendeva ad
esempio il passo che aveva fatto la questione in tre anni, dacché
l’inchiesta parlamentare ferroviaria aveva cominciato ad entrare nei
particolari.
La relazione che fu predisposta alla fine dell’indagine e del
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lavoro, che portò alla formazione della carta della malaria, diceva,
finalmente, come era distribuito questo male nelle diverse regioni e
ove imperversava maggiormente; cosa costava alle amministrazioni
pubbliche e private, quale contingente offriva agli ospedali l’esercito
per soldati colpiti da quel flagello e cosa si doveva pensare per
l’avvenire; ed infine, se poteva ritenersi che sarebbe diminuita o
aumentata e quali ne sarebbero state le cause.
Nel 1882 la “Carta della Malaria dell’Italia” era stata definita ed
allegata ad una importante relazione, che prevedeva i provvedimenti
da adottare, illustrata da Luigi Torelli, Senatore del Regno e
approvata dal Senato. Così, alle nozioni generiche a poco a poco
cominciarono a subentrare quelle particolareggiate, indispensabili
per l’applicazione dei rimedi ad un così grande flagello.
Premesse queste considerazioni, è interessante evidenziare
qualche elemento trattato dalla relazione. Le province erano in quel
momento 69, di cui, 6 completamente esenti dalla malaria: Delle
altre 63 province, 13 avevano territori con malaria leggera, 29 con
malaria grave e 21 con malaria gravissima e comunque di tutte le
categorie.
Le Province immuni dalla malaria erano: Genova, Porto
Maurizio, Firenze, Massa Carrara, Pesaro e Piacenza;.
Le Province con territori di malaria leggera ossia di prima
categoria erano: Ancona, Aquila, Ascoli Piceno, Cremona, Cuneo,
Forlì, Lucca, Macerata, Milano Mantova, Reggio Emilia, Treviso,
Vicenza.
Le province con territori di malaria grave ossia di seconda
categoria erano: Alessandria, Arezzo, Avellino, Belluno, Benevento,
Bergamo, Bologna, Cagliari, Caltanissetta, Catania, Como, Chieti,
Ferrara, Livorno, Messina, Modena, Napoli, Novara, Padova, Pavia,
Parma, Ravenna, Rovigo, Siena, Sondrio, Teramo Torino, Udine,
Verona.
Le Province con territori di malaria gravissima ossia di terza
categoria erano: Bari, Brescia, Campobasso, Catanzaro, Caserta,
Cosenza, Foggia, Girgenti, Grosseto, Lecce, Palermo, Perugia, Pisa,
Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Sassari, Siracusa, Trapani,
Venezia.
L’Ufficio Centrale del Senato non si limitò a trattare la
questione della malaria, ma cercò di trattare e approfondire un altro
argomento doloroso e che si connetteva con la malaria,
l’emigrazione, che da alcuni anni aveva assunto proporzioni gravi,
che senza dubbio produceva cospicui danni.
Ridurre al giusto valore questo fenomeno, vedere quale nesso
aveva con la questione della malaria era per l’Ufficio Centrale
argomento degno di essere preso in considerazione.
Mentre fino al 1860, pur essendo considerata una sventura, fu,
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tutto sommato una emigrazione intelligente, perché sapevano dove
andare, a chi si affidavano, dopo quella data si verificò un’altra
emigrazione, soprattutto nel mezzogiorno dell’Italia continentale,
spinta anch’essa dal desiderio di migliorare la propria sorte, ma in
parte frutto di una delle più riprovevoli speculazioni, in un epoca
dove ormai dominavano affaristi senza scrupoli.
Agenti pagati da speculatori cominciarono a percorrere l’Italia
insinuando, come singoli o famiglie intere che si risolvevano ad
emigrare in paesi transatlantici (più che altrove nell’America del
sud), sarebbero stati ricevuti a braccia aperte, avrebbero avuto
terreni da coltivare gratuitamente e perfino anticipazioni in denaro,
insomma, una vita felice.
Questi agenti furono strumenti pagati da speculatori che erano
in diretta comunicazione con gli armatori che dovevano fare il
trasporto degli emigranti, e talvolta anche con quelli ai quali
dovevano essere consegnati al loro arrivo sul luogo, spesso questo
secondo passaggio mancava e quindi si trasportavano a casaccio
ove sapevano che c’era ricerca di braccia.
La causa principale dell’emigrazione fu il bisogno che spingeva
intere famiglie a lasciare i propri paesi, senza sapere a cosa
andavano incontro, ma non era esente da questa decisione la
disastrosa situazione del suolo in estese parti d’Italia, soprattutto le
zone malariche.
Finito questo lungo preambolo sulla situazione generale e su
ciò che si stava facendo per migliorare i territori malarici, torniamo al
territorio della nostra Provincia.
Le comunità di Gavorrano, Castiglione della Pescaia, Grosseto,
Magliano in Toscana, Orbetello con Talamone e Capalbio, e altre zone
confinanti fino ad oltre i 500 metri sul livello del mare, fra cui
Buriano, Montepescali, Paganico, Saturnia e Sovana, furono sempre i
più insalubri della Maremma.
L'organizzazione sanitaria non fu purtroppo in grado di incidere
sensibilmente su questa tremenda malattia. Uno dei più efficaci
interventi, ritenuto di una certa utilità fu l'allontanamento dei
cittadini, volontario o imposto, dalle zone malariche alle zone salubri
della Provincia, nei periodi più caldi dell'anno, la famosa
"estatatura".
Il Comune di Scansano fu il territorio di eccellenza per
l’estatatura.
Queste erano le indicazioni
fornite per "vivere nelle
Maremme" prima della scoperta del chinino: "Alimentarsi bene; la
miseria alimentare produce denutriti che difficilmente si liberano
dalle febbri; gli strapazzi per eccessivo lavoro muscolare
predispongono alla recidività; le sbornie domenicali e delle feste
comandate predispongono ad ammalarsi di malaria, i malati a
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riammalarsi; non si distruggono le libellule, i pesci, imperocchè
mangiano larve e ninfe di zanzare e le libellule, gli uccelli e i
pipistrelli, mangiano le zanzare."
E ancora: "Data la temperatura dolce della Maremma, le
zanzare pungono, ogni tanto, anche d'inverno; vivono come ospiti
nelle case, e la Maremma, per la ragione detta sopra, rappresenta
l'optimum per la loro cultura; le zanzare, di giorno, vivono nascoste
e riparate; escono a pungere l'uomo di sera e la notte; occorre
rincasare presto, non uscire nelle prime ore del mattino. Non si
confondano le zanzare malarigene (anofele) con quelle zanzare
(culex) che quando pungono fanno un grande ronzio: le prime
possono pungere anche attraverso vestiti spessi senza che, molte
volte, l'uomo se ne accorga.
Occorre fare assegnamento sull'educazione di chi abita un
luogo malarico, perchè sappia preservarsi, con tutte le sue forze
dalla Malaria. E' necessario distruggere le larve nell'acqua (polveri
vegetali, alcuni colori di anilina, petroli, ecc.); fare grandi coltivazioni
di crisantemi; distruggere per quanto è possibile le zanzare.
Non dormire all'aperto, non tenere lumi accesi nelle stanze a
finestre aperte; usare profumi zanzarifughi (olio essenziale di
trementina, iodoformio, mentolo alla trementina):
Mezzi meccanici: un buon vestiario; un cappello col velo per coprire
la faccia e i guanti, farebbero ridere i nostri bravi ma ignoranti
lavoratori........eppure quanto preservano anche questi mezzi dalle
febbri! Si usino le reticelle alle finestre adottate nelle cantoniere,
Stazioni ferroviarie di zone malariche. Con pochi assi e le reticelle, si
possono costruire, davanti casa, delle verande per godere il fresco
nelle serate d'estate, senza pericolo di essere punti, non solo dalle
zanzare malarigene, ma da moltissimi altri insetti, se non malefici
come quelle, noiosissimi."
Anche se successivamente il chinino divenne il rimedio sovrano
contro le febbri, le indicazioni riportate furono tenute sempre in
grande considerazione.
I malati di malaria cronica furono numerosi. In questi casi il
diagramma della temperatura corporea era quasi sempre ad
andamento irregolare: si riscontrava aumento di volume della milza
e del fegato, spiccate anemie, astenia, frequenti nevralgie e nefriti;
nei casi più gravi la malattia esitava in cachessia malarica con
edemi, asciti, colorito terreo della cute, ittero, diatesi emorragica.
La morte, per molti di questi casi, fu il punto di arrivo.
Dopo il 1880 con la scoperta del chinino, che fu per molto
tempo il farmaco di elezione nella terapia e nella prevenzione della
malaria, le cose cominciarono ad andare un po' meglio e
l'organizzazione sanitaria iniziò ad avere qualche risultato positivo.
L'Amministrazione Comunale di Orbetello divise il territorio in
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varie zone malariche e su di esse sviluppò tutta una serie di attività
tese a combattere la malattia.
Furono messi in funzione tre depositi di chinino, uno generale e
principale in Orbetello e gli altri due secondari in Capalbio e
Talamone. Ogni deposito fu affidato ad un apposito incaricato che
teneva il bilancio statistico sull'entrata e sull'uscita dei vari preparati
chinacei; fu anche addetto alla consegna del medicinale (tabloidi,
fiale e cioccolatini) ai vari richiedenti (proprietari, agenti di
campagna, capi di imprese di lavoro, singoli operai, ecc.). Le
richieste destinate alla collettività venivano fatte su proposta dei
medici di Sezione a mezzo di speciali moduli, mentre per le persone
singole, venivano fatte su ricette a stampa fornite ai medici
dall'Ufficio Sanitario del Comune.
La distribuzione del chinino, fatta su proposta dei medici di
Sezione ai tre depositi, veniva integrata e completata con quella
direttamente fatta dai singoli medici nelle gite periodiche
antimalariche che facevano nelle varie località delle Condotte
mediche; i medicinali venivano prelevati dagli stessi depositi, nelle
rispettive Sezioni.
Queste gite antimalariche venivano effettuate dai medici con
vetture a carico del Comune, o private, di proprietà delle diverse
tenute agricole, oppure in bicicletta di proprietà dei medici stessi.
In questo modo venivano raggiunti tutti i centri e nuclei abitati
e in molti casi anche le case sparse.
I medici pubblici erano insufficienti per il territorio orbetellano,
allora esteso per 414,55 Kmq.; di solito erano tre, uno ad Orbetello e
gli altri due a Capalbio e Talamone. Non era davvero facile trovare
medici che volevano venire a lavorare in Maremma.
I medici liberi professionisti erano molto rari e per questo, il
lavoro dei Medici Condotti e degli Ufficiali Sanitari era davvero molto
pesante. Tuttavia, le denunce dei casi di malaria venivano fatte con
sufficiente regolarità e diligenza.
Dal 1885 al 1910, per una deficienza degli archivi, le notizie sul
numero dei casi di malaria (recidivi e primitivi), sono molto scarse,
comunque i pochi documenti consultati hanno consentito di stabilire
che i casi di malaria non scendevano mai al di sotto dei 250 annui,
con punte massime di 450 nelle annate più calde.
Dal 1911 i dati di archivio sono più copiosi e puntuali: 1911
casi 362, 1912 casi 255, 1913 casi 276, 1914 casi 220, 1915 casi
336. Fino al 1923 i casi si sono mantenuti entro questi limiti, mentre
nel 1924 e 1925 si verificava un considerevole aumento:
rispettivamente 500 e 400.
Il Servizio Antimalarico non credeva però a questi dati, li
riteneva molto inferiori alla realtà. Infatti, era noto che molti casi non
venivano denunciati dai malati che ritenevano la malattia una
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fatalità inevitabile, oppure, perchè sfuggivano all'osservazione dei
medici. A volte anche qualche medico ometteva la denuncia.
La difficoltà nella lotta alla malaria derivava molto dalle cattive
condizioni igieniche, dalle vaste estensioni di terreni paludosi ancora
esistenti nel Comune di Orbetello, il cui territorio è stato l'ultimo
della Toscana ad essere interessato dalla bonifica integrale.
Il chinino dava buoni risultati se associato a tutta una serie di
provvedimenti igienici e meccanici. Tuttavia, nei primi decenni del
secolo scorso, si verificò una vasta produzione di farmaci, sciroppi,
ecc. che, si diceva, avrebbero debellato definitivamente la malaria.
Circa l'uso di questi ritrovati, si verificarono forti polemiche fra i
medici che operavano nelle zone malariche e, giornali, farmacisti,
signorotti, agenti di campagna, comari con i loro consigli, stregoni
con le loro pozioni e i loro esorcismi.
Questi surrogati della chinina, come la Sincomina, il Pamala,
l'Ectina, l’Esanofele, l’Antimalarico De Giovanni, ecc., invasero il
mercato, ma per la malattia l'esito fu negativo; più tardi anche il
famoso e reclamizzato 606 e altri preparati ebbero la stessa sorte.s
I bravi e coscienziosi medici che, come abbiamo visto,
operavano in condizioni difficilissime , lottavano senza stancarsi
contro queste stupide credenze e mettevano in guardia gli ammalati
sulla inattendibilità dei risultati di questi ritrovati e sulla propaganda
subdola che veniva fatta da persone senza scrupoli. Solo il chinino si
stava dimostrando realmente efficace, sostenevano questi medici.
Nel 1919 il Prof. Cremona metteva a punto un farmaco che
chiamò Smalarina (terapia a base di mercurio antimoniale), ma
benchè i giornali ne dicessero mirabilie e gli opuscoli illustrativi ne
osannassero l'efficacia, non entrava in commercio perchè la
Direzione Generale di Sanità non si pronunciava circa la
somministrazione di questo nuovo medicinale. Passarono così alcuni
anni da quel 1919 e i medici impegnati nella lotta alla malaria, non
sapevano come comportarsi, si trovavano in difficoltà perchè pressati
da un opinione pubblica in cerca di migliori rimedi per debellare la
malaria. A gran voce chiedevano alle Autorità Sanitarie Superiori
una parola chiara e definitiva che tardava a venire. La smalarina non
entrò mai in commercio.
Nel 1942, gli scienziati britannici avevano trovato un sostituto
sintetico del chinino, la “mepacrina”, che arrestava il male e che si
dimostrò persino più potente del prodotto naturale, C’era chi
sosteneva, in quel momento, che se non fossero riusciti a trovare
questo sostituto sintetico del chinino, il corso della guerra nel
lontano Oriente avrebbe potuto prendere una piega ben diversa. Si
dice che il comandante dell’esercito inglese “lo espresse molto bene
dicendo che i giapponesi sarebbero stati capaci di lasciare alle
zanzare, portatrici dell’infezione, tutto il peso del combattimento”.
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Tuttavia il chinino e la mepacrina, per quanto ottimi medicinali,
potevano agire solo al margine del terribile pericolo che la zanzara
-“la regina della morte”, come la chiamavano alcuni popoli –
rappresentava per l’uomo.
In quegli anni, la morte per malaria falciava ancora migliaia di
persone in tutto il mondo e gli esperti valutavano che vi erano più di
800 milioni di persone sofferenti di malaria: Più di un terzo dell’intera
popolazione del mondo.
Nel 1946 entrava finalmente in commercio la Paludrina, nome
commerciale del farmaco antimalarico Cloroguanide. C’erano voluti
tre anni prima che il mondo fosse messo al corrente di questa nuova
scoperta scientifica. Essa rispondeva a tre requisiti vitali: “impediva
l’infezione, malgrado le punture mortali della zanzara; controllava
completamente i sintomi della malaria nei casi d’infezione e curava
effettivamente il male; impediva le regolari ricadute, che erano le
più terribili caratteristiche della febbre”.
Presa coscienza del modo in cui si diffondeva la malaria, oltre
alla ricerca scientifica per la produzione di farmaci efficaci a
combatterla, si dava inizio a tutta una serie di provvedimenti che
prendevano di mira l'anofele su due fronti: muovendole guerra per la
sua distruzione e opponendole un piano di difesa per impedirle di
pungere.
Fra i tanti provvedimenti indicati, sembra interessante
trascriverne integralmente alcuni che avevano, senza dubbio, una
discreta efficacia:
1 - Avendo necessità l'anofele di acque stagnanti per riprodursi
depositandovi le uova, provvedere alla piccola bonifica del suolo, che
consisteva nella eliminazione di tutte le piccole raccolte d'acqua
stagnante, soprattutto nei pressi delle case, colmandole con la terra,
unitamente alla eliminazione di tutte le inutili e dannose raccolte
d'acqua che potevano formarsi in botti, tinozze, trogoli, abbeveratoi,
ecc.
2 - Nelle vaste estensioni acquitrinose (paludi), in attesa della
conclusione della grande bonifica, il miglior mezzo per distruggere le
larve e ninfe dell'anofele consisteva nello spandere del petrolio
sull'acqua, che aveva la funzione di asfissiarle. La petrolizzazione
doveva essere fatta tutti gli anni da aprile a ottobre, ogni 18 giorni
se il caldo era moderato, ogni 12 giorni se molto forte.
Oltre al petrolio venivano usate altre sostanze e fra queste, con
buon successo, una polvere chiamata Verde di Parigi. Questa
sostanza velenosa è costituita da sale doppio di arsenico ed acetato
di rame e si adoperava mescolata a polvere raccolta per le strade o a
cenere, passate al setaccio per eliminare le parti più grossolane,
nella proporzione di 10 parti di Verde di Parigi e 1000 parti di polvere
o cenere; per spanderla sull'acqua si usava, di solito, un comune
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soffietto di quelli che i contadini adoperavano per dare lo zolfo alla
vigna. Lo spandimento andava ripetuto ogni 8 giorni.
Il Verde di Parigi era più vantaggioso del petrolio, perchè meno
costoso ed efficace anche nelle acque in movimento e ricche di
vegetazione, ma aveva lo svantaggio di uccidere solo le larve perchè
se ne nutrivano, ma non le ninfe. Nelle proporzioni usate non era
nocivo per i pesci, anguille, ranocchie, e tutti gli altri animali
acquatici, compresi gli uccelli.
Tutti i recipienti, pozzi, ecc. che contenevano acqua per uso
domestico o per abbeverare il bestiame dovevano essere coperti con
coperchi di lamiera.
3 - Altro mezzo per impedire la riproduzione delle zanzare consisteva
nell'introdurre nelle acque stagnanti, o poco correnti, alcuni
pesciolini grandi divoratori di larve. Fra questi pesci, detti larvifaghi
meritano menzione l'anguilla, lo spinarello, ma specialmente la
gambusia affinis, pesciolino introdotto appositamente dall'America,
che si riproduce 5 o 6 volte l'anno.
Gli altri provvedimenti consistevano, come abbiamo già visto,
nella difesa meccanica delle finestre e porte con reti metalliche, nelle
fumigazioni di anidride solforosa e cianidriche, oppure, bruciando
nei locali chiusi foglie secche, paglia, fieno, ecc., o zampironi che si
trovavano in commercio. Inoltre, era tenuto in gran conto, l'igiene
della casa, gli abiti di stoffa spessa per resistere al pungiglione delle
zanzare, ed altri provvedimenti minori.
Il Prof. Guglielmo Memmi, primario dell'Ospedale di Grosseto,
dava alle stampe nel 1925 il "Decalogo per difendersi dalla malaria"
e nel 1928 il "Decalogo per la cura e le profilassi chininiche della
malaria nell'adulto", riprodotto integralmente fra i documenti a
corredo perchè dimostra quanto era ancora difficoltosa e
preoccupante la lotta alla malaria nella prima metà del secolo
appena finito.
Ritornando al territorio orbetellano, annotiamo ancora una
serie di interessanti dati.
Il consumo di chinino nel 1915 fu il seguente:
Tabloidi Kg. 27,450, Cioccolatini Kg. 4,590, Fiale da 0,50 g. n. 110,
Fiale da 1,00 g. n. 80. Alla fine dell'anno residuavano nei depositi
comunali Kg. 7,595 di tabloidi, g. 410 di cioccolatini, n. 140 Fiale da
0,50 g. e n. 70 da 1,00 g.
Oltre alle riferite quantità, l'Amministrazione Ferroviaria
somministrava al proprio personale dislocato sul territorio comunale
Kg. 20 di chinino in tabloidi e g. 120 in fiale, mentre l'Impresa
Imbarchi e Sbarchi e la Società Colla e Concimi, somministravano al
proprio personale Kg. 2 di chinino.
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Inoltre, il chinino che veniva somministrato alla popolazione
attraverso ricette staccate dai medici di famiglia e prelevato in
Farmacia e quello somministrato ai ricoverati in Ospedale, può
complessivamente calcolarsi in Kg. 45.
Pertanto, il consumo di chinino di quell’anno fu di circa Kg. 100.
In quell'anno, escluso il centro storico, il numero degli abitanti
compresi nelle zone malariche (case sparse, Frazioni di Capalbio e
Talamone, nuclei abitati e quelli della Città (circa 300) che si
recavano di buon mattino in campagna per lavoro, per far ritorno la
sera, erano oltre 3.800, i quali formavano il numero delle persone
che in diversi modi ricevevano somministrazioni di chinino a scopo
preventivo. Le persone a cui veniva invece somministrato chinino a
scopo curativo furono 336, di cui 125 in Ospedale. Morì di malaria
una sola persona.
Nel 1924 veniva consumato complessivamente circa 120 kg. di
chinino.
4.000 persone su una popolazione di circa 8.000 persone
avevano avuto somministrazioni di chinino a scopo preventivo,
mentre il numero delle persone che avevano avuto somministrazioni
di chinino a scopo curativo erano state 500. Morirono di malaria 3
persone.
Nel 1925 i morti di malaria furono 7.
Una interessante esperienza sulla profilassi antimalarica
avveniva in territorio di Orbetello nel 1901. Nel Presidio di Talamone,
nell'ambito della "Campagna Antimalarica del 1901 nella Maremma
Grossetana - Direttore Prof. B. Gosio", venivano fatti esperimenti sui
militari di due compagnie di artiglieria da costa, esperimenti portati a
conoscenza con l'opuscolo "Saggio di Profilassi Antimalarica nel
Presidio di Talamone", del Dr. G.B. Mariotti Bianchi, Tenente medico
dell'Ospedale Militare di Roma.
Nella seconda metà del 1800 sul Colle di Talamonaccio
venivano costruite una Caserma militare e un Forte-deposito
munizioni. Ogni anno, per periodi di 15, 20 giorni, la Caserma
ospitava compagnie di artiglieria da costa per le esercitazioni di tiro.
Il 1 luglio 1901 arrivarono a Talamone due compagnie di
militari, una proveniente da La Spezia e l'altra da Ancona, per
effettuare le solite esercitazioni di tiro.
Le Autorità Militari, su richiesta del Prof. B. Gosio, Direttore
della Campagna Antimalarica della Maremma Grossetana, inviavano
al seguito di queste truppe il Tenente Medico G. B. Mariotti Bianchi
con il compito di organizzare un servizio per la sperimentazione degli
ultimi ritrovati per combattere la malaria, "al fine di poter trarre
risultati scientifici attendibili da quel materiale abbondante dato dal
13
buon numero di militari".
I militari arrivati alla Caserma di Talamonaccio consistevano in
6 ufficiali e 176 uomini di truppa; un complesso di 182 persone, che
rimanevano in quel luogo per 15 giorni.
Prima dell'arrivo dei militari avevano munito di rete metallica
tutte le aperture esterne della caserma (porte e finestre) e ucciso le
zanzare rimaste prigioniere con abbondanti fumigazioni di anidride
solforosa.
Per la protezione dei militari era stato provveduto con l'uso di
guanti allungati che coprivano la parte inferiore delle braccia e veli
che si applicavano direttamente al chepì con rapidissima operazione,
facendo uso di un cerchio di filo di ottone; si trattava degli stessi
strumenti usati dai membri della Commissione governativa del
Presidio di Grosseto nei suoi spostamenti per verifiche e sopralluoghi
nelle zone malariche della Maremma.
Finalmente aveva inizio la fase più delicata, la profilassi con
l'uso del chinino e tutta una serie di raccomandazioni circa l'uso dei
mezzi meccanici e i comportamenti da tenere.
La somministrazione del chinino veniva fatta al mattino, a
digiuno, alla dose di un grammo per individuo nei giorni 7, 8, 14 e 15
luglio e, tornate le due Compagnie alle rispettive guarnigioni, La
Spezia e Ancona, veniva somministrata un'ulteriore dose di un
grammo di chinino nei giorni 21 e 23 luglio. Tutti i militari interessati
all'esperimento venivano tenuti per un mese, dopo la loro partenza
da Talamone, in osservazione rigorosa dai rispettivi ufficiali medici.
Durante la sperimentazione nella Caserma di Talamonaccio il
Tenente medico metteva in atto una serie di verifiche e controlli sul
comportamento dei militari che lo convincevano che non tutti si
attenevano alle disposizioni ricevute; per modificare questo
comportamento si arrivava persino alle minacce di restrizione di tutti
coloro che disobbedivano. Così, per controllare in modo continuo
quanto avveniva fra i militari , il Comando della Caserma creava
delle Ronde con il compito di sorvegliare che gli ordini circa l'uso dei
guanti e del velo, del corretto uso di porte e finestre e delle
somministrazioni del chinino nei giorni prescritti avveniva
regolarmente. Ogni mattina, subito dopo l'uscita dei militari dalle
camerate, il Tenente medico faceva un'ispezione minuziosa alla
ricerca delle zanzare entrate durante la giornata precedente; i
risultati delle ricerche sono esposti nella tabella seguente:
ANOFELI CATTURUTE NEI LUOGHI PROTETTI
14
Data
2 luglio
3
"
4
"
5
"
6
"
9
"
10
"
11
"
12
"
13
"
14
"
Anofeli catturate
5
1
5
7
9
28
6
36
12
80
92
L'Ufficiale medico avvertiva, nelle sue note, che essendo il
soffitto delle camerate altissimo e non possedendo scale, la ricerca
veniva limitata ai luoghi più bassi.
Alla fine dell'esperimento 161 militari avevano compiuto
regolarmente la cura e adempiuto a tutte le prescrizioni, mentre gli
altri 15 avevano "qualche volta disobbedito". Il 24 luglio il primo
militare veniva colpito da accessi di febbre malarica e l'8 agosto si
ammalava l'ultimo. In complesso, quelli che si ammalavano era 13.
METODO DI CURA
Regolare
Irregolare
N. INDIVIDUI
161
15
N. MALATI
11
2
Anche se i militari non si erano comportati del tutto
correttamente, soprattutto per l'uso dei mezzi meccanici,
l'esperimento veniva ritenuto assai importante; si era verificata solo
una morbosità del 4,97% sui 161 individui che avevano fatto
regolarmente la cura.
I metodi di cura, assai diversi, che in quel periodo si
sperimentavano un po' ovunque, non avevano ancora dato risultati
così incoraggianti.
Dalla relazione conclusiva del Tenente medico Mariotti Bianchi
venivano fuori dati e fatti abbastanza interessanti circa la situazione
esistente nella zona a riguardo della morbosità malarica. A tal
proposito, per non aggiungere o togliere nulla alle riflessioni del
relatore, si trascrivono integralmente alcuni passi significativi:
"La plaga è eminentemente malarica. Mi detti cura nei giorni di
mia permanenza in quei luoghi, di visitare le poche case circostanti,
e potei constatare che sono veramente eccezionali quegli abitanti
che non siano malarici o che lo siano stati in questi ultimi anni. Quasi
erano residui dell'anno precedente, per la più parte terzanari; nella
15
prima quindicina di luglio si ammalarono inoltre alcuni di quei pochi
che non avevano contratto le febbri l'anno precedente; citerò del più
piccolo bambino dell'operaio d'artiglieria, dell'età di 10 mesi, che, a
quanto mi riferiscono i parenti non aveva avuto febbre negli ultimi
mesi del 1900. il 2 luglio ebbe il primo accesso febbrile, il 4 il
secondo, e l'esame del sangue dimostrò la presenza di innumerevoli
parassiti di terzana. Intervenni subito con adatta cura. Un'altro caso
fu osservato in persona di un caterattaio che lavorava alla bonifica
dell'Osa, arrivato sul luogo da poco tempo. Quando lo visitai era
affetto da terzana doppia e prescrissi la cura opportuna. Come ho
detto, gli altri erano quasi tutti malarici, e parecchi ebbero accessi
febbrili nei giorni in cui rimasi sul luogo.
Cito qualche esempio tolto a caso dai miei appunti:
= La famiglia dell'operaio di artiglieria è composta di 5 persone. Di
esse il solo operaio fa eccezione, non avendo da molto tempo
sofferto di febbri, le altre 4 sono malariche ed ebbero febbri anche in
quei giorni (uno è un caso nuovo come sopra ho riferito). La loro
casa è vicinissima alla caserma e non è protetta.
= Nel casello ferroviario vicino alla stazione abitano tre famiglie. Una
venuta in febbraio. Le altre due comprendono 11 persone le quali
tutte hanno avuto le febbri nella passata stagione, prolungandosi in
molti anche nell'inverno. Una ha avuto la febbre anche negli ultimi di
giugno.
= Nel casello ferroviario prossimo al cavalcavia (n. 162) abitano 4
persone le quali tutte soffrirono di malaria l'anno precedente con
recidive nell'inverno e nella primavera.
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma quelli che ho riferito
bastano a dimostrare che la zona in cui sperimentammo è
eminentemente malarigena. Ciò viene dimostrato e dal fatto che
l'anno scorso si ebbe negli scarsi abitanti una morbosità che varia
dall'80 al 100% e dall'altro, non meno importante, che i pochi
individui che non avevano contratto le febbri, cominciarono ad
ammalarsi i primi di luglio.
E che la zona sia gravemente infestata dalla malaria è
dimostrato da un'altro fatto importantissimo, che mi venne riferito
da persona degna di fede. alcuni anni fa venne inviata dalla Spezia a
Talamone una compagnia di artiglieria da costa nel mese di luglio. La
truppa vi rimase per un periodo presso a poco uguale a quello di
quest'anno e al suo ritorno in Spezia quasi il 50% cadde ammalato.
Fu appunto in seguito a ciò che le autorità militari sospesero la
dimora estiva in quella località e, solo dopo le recenti conquiste della
scienza, fidando con saggio e illuminato consiglio nei mezzi che essa
ci ha fornito, vi inviarono di nuovo le truppe nella certezza che il
flagello sarebbe stato domato.
Debbo alla cortesia del medico locale il chiarissimo dottor
16
Pistoni, se posso aggiungere alcune altre informazioni sulla regione.
Egli mi ha riferito quanto appresso:
= Gli abitanti del paese di Telamone e dintorni sono tutti o quasi tutti
malarici.
= I luoghi più malarici sono: Fonteblanda, Bengodi e le adiacenze
della stazione, i quali luoghi sono quelli appunto che circondano da
vicino la caserma.
Nel periodo di massima intensità delle febbri (luglio e agosto) il
numero dei colpiti (primitivi e recidivi) raggiunge il 65% circa,
compresovi il paese il quale ha una morbosità minore".
La malaria, questo flagello della Maremma, che per secoli
aveva condizionato la vita delle genti maremmane, è ormai un
ricordo sbiadito.
Negli anni immediatamente successivi all'ultima guerra mondiale,
con i ritrovati della scienza (il famigerato D.D.T.), e l'ultimazione della
bonifica integrale, la malaria fu definitivamente debellata.
BIBLIOGRAFIA
-
-
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all’estatatura.” Tip. G. Barbarulli, Grosseto 1867;
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17
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favore agli Enti pubblici e privati del chinino di Stato”. Circolare n. 36-bis del
12 maggio 1916.
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