Il mondo, le virtù, l'angelo e Dio nel Diario postumo di Eugenio Montale di Paolo De Caro Vengono qui pubblicati, in redazione non definitiva e in ridotto apparato di note, i paragrafi centrali di un saggio sulle prime trentasei poesie (1986-1991) del Diario postumo di Eugenio Montale* che amplia ed approfondisce due conferenze da me svolte a Foggia nel marzo del 1991 e nell'aprile del 1992. La storia di questo strano libricino di versi è nota. Nel 1979, due anni prima di morire, il poeta consegnò al notaio, in lascito testamentario alla sua esecutrice Annalisa Cima, una serie di undici buste in ognuna delle quali erano riunite, senza criterio diacronico o tematico, sei poesie da rendere pubbliche di anno in anno, per undici anni, dopo la morte del testatore. ____________ *I titoli delle opere di Eugenio Montale sono stati abbreviati, quando si è ritenuto opportuno, nella seguente siglatura: OV = L'opera in versi. Edizione critica a cura di Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini, Torino, 1980, la cui lezione fa testo; Ossi = Ossi di seppia; OC = Le occasioni; BU = La bufera; SA = Satura; DI 71 = Diario del '71; DI 72 = Diario del '72 (pubblicati insieme in Diario del '71 e del ‘72); QQ = Quaderno di quattro anni; AV = Altri versi; QT = Quaderno di traduzioni; PD = Poesie disperse edite e inedite; FD = La farfalla di Dinard, Milano, 1969; FdC = Fuori di casa, Milano-Napoli, 1969; AF = Auto da fé. Cronache in due tempi, Milano, 1966; I titoli delle altre opere di Montale sono invece riportati per esteso. Strumenti indispensabili di lavoro sono stati: G. SAVOCA, Concordanza di tutte le poesie di Eugenio Montale: concordanza, liste di frequenza, indici, Firenze, 1987, v. 2; e L. BARILE, Bibliografia montaliana, Milano, 1977. 13 Pubblicate a partire dal 1986, a cura della Fondazione Schlesinger, le sessantasei poesie (per ipotesi seriale, ma sembra che il numero alla fine risulterà maggiore) saranno interamente a disposizione del lettore nell'autunno del 1996. Nel gennaio del 1991 le prime trenta poesie sono state raccolte in libro, sotto il titolo di Diario postumo, nella collana mondadoriana de 'Lo Specchio', con apparato critico curato da Rosanna Bettarini e postfazione di Annalisa Cima. Il presente saggio si intende idealmente congiunto con un contributo interpretatìvo, di prossima pubblicazione, del racconto montaliano "Clizia a Foggia" e deve la sua vita alle sollecitazioni di Annalisa Cima che desidero ringraziare per la sua disponibilità, incuriosita e paziente, mostratami durante tutto il corso del lavoro. Alle sue premure devo anche le fotografie delle "petites divinitès " del Diario postumo. Il mondo e le virtù Chi volesse tentare di dare armonia al testo, fornire di ordine ciò che è volontariamente confuso, frenando il giudizio di valore sull'apparenza delle singole liriche e andando alla ricerca del presupposto, del Vorhaben heideggeriano, per enucleare il senso profondo, il contenuto di verità dell'operetta, potrebbe procedere (ma è solo una traccia, fra gli infiniti possibili per arrivare all'Uno) secondo questo percorso ipotetico. Il Vecchio si confronta con la vecchiaia del Mondo e la fine del Vecchio si riflette nella fine del Mondo. Per riferimenti speculari che a poco a poco si chiariranno, Montale si presenta come esausto genearca, ramo sfrondato dai fortunali, naufrago che getta la sua bottiglia: insomma autore che affida un estremo messaggio profetico, enigmatico e beffardo; ed anche vendicatore della sua impotente vecchiaia. L'intertestualità nascosta fa emergere autori e personaggi senili. Alcuni si possono già svelare. Il marchingegno testamentario riporta all'episodio della morte del vecchio Buoso Donati e alla beffa dantesco-pucciniana di Gianni Schicchi (non casualmente, nel melodramma, voce di baritono). La congettura quasi enigmística che il mondo sia una burla (con quel che segue) è evidente ripresa e controcanto del sardonico e a suo modo disperato coro finale del Falstaff (ancora un baritono) dell'ultimo Verdi: Tutto nel mondo è burla. L'uomo è nato burlone, La fede in cor gli ciurla, 14 Gli ciurla la ragione. Tutti gabbati! Irride L’un l’altro ogni mortal. Ma ride ben chi ride La risata final, e dove la "risata final" viene contestata da Montale: la burla del mondo, infatti, non risolve il "puzzle fondamentale". Prendono così risalto connotativo, con nascosta referenza paraenigmistica, le parole: congettura (La congettura del mondo), incastro (L'insonnia), inganno (Secondo testamento), gioco (Incontro, Tempo di distruzione), jeu (Die Fledermaus), chiave (L'inafferrabile tua amica scrive), margini (Incontro), illusione (La congettura del mondo); quasi a tradurre un mondo di mere rappresentazioni, di contingenze, di camuffamenti: insomma una “follia" (vocabolo che denuncia la sua derivazione librettistica) che può essere accolta come fuga o difesa (rappresentazione euforica) o respinta come segno del caotico e dell'incomprensibile (rappresentazione disforica), ma è comunque luogo psicologico dell'equivoco, motivazione precosciente dell'incertezza come witz, inganno letterario, comunicazione per interposto personaggio o autore o testo o oggetto col lettore. Nello stesso tempo, "incertezza", di tutto questo vocabolario di sinonimi, diventa il lemma dei lemmi che interseca costantemente i temi del mondo, dell'anima e di Dio. Infatti la consistenza tematica, la scelta dello stile e la qualità artistica, se visti alla luce di questo paradigma, riducono le altezza gerarchiche del giudizio di valore sulle singole composizioni, perchè il senso si ritrova nella totalità dell'operetta (come questa riflette la totalità dell'Opera), e perchè queste individualmente si rappresentano soltanto come fenomenologia, parti incompiute pur se significative dell'essere problematizzato dall’"incertezza". In nascosta allegoria le singole composizioni, nel loro apparente disordine, diventano così forme rappresentative degli esseri, delle "virtù" (le anime) e del mondo; parvenze dileguanti del transeunte positivo e negativo, consolatorio e desolatorio. Dalle forme elementari a quelle più complesse si possono distinguere: - poesie (inganni) che non hanno necessità di travestimento enigmistico o di sovradeterminazione connotativo-enigmatica. Si rappresentano come pure percezioni o memoria: schede-ricordi, ingannevoli in quanto tali. E' il caso, per esempio, di L'estate è scossa da forti temporali (molto probabilmente ricordo arlettiano) o di Settembre o di Ricordo; 15 - poesie (inganni) dell’ "illusione": l'illusione di un impossibile amore senile (l'Adelheit di Agile messaggero eccoti) o l'illusione de La felicità o della "follia" (euforica) de L'esegeta; - poesie dell'incontro con le "virtù" della grazia, dell'amicizia, della poesia, in leggero nascondimento enigmistico-onomastico: tregue con il mondo di cui sono ingannevoli difese. Marisa, Paola e Adelheit sono addirittura preannunzi di apparizione, quasi coretidi faustiane che circondano festevolmente il personaggio di Annalisa: mentre Solmi, Segre, Faggi, Rebay, Zanzotto e Marianne, Djuna ed Emily ne illustrano la presenza; - poesie dell’ "incertezza" in cui l'incertezza esistenziale è tradotta nella metafora metalinguistica dell'inganno enigmistico (Incontro, Incertezze); - poesie dell'íntermediazione sublime ai nascosti archetipi femminili e maschili, mondani e ultramondani, dalla con-fusione delle anime ispiratrici alla evocazione dei genitori fino a Dio e alla Poesia (Mattinata, Ma c'è chi, Il clou, Nel giardino, Die Fledermaus, Come madre). A queste poesie si contrappongono, in contrappeso tragico-grottesco nella polifonia nascosta del testo, a volte all'interno stesso dei componimenti o in singole poesie, gli elementi negativi dell'incomprensione e deformazione del "virtuoso", che fanno tutt'uno con la continua, ossessiva descrizione infausta del mondo. E' impressionante il cumulo dei paragoni, delle metafore e degli attributi che si scarica sul mondo: - anfiteatro di brutture (Mattinata, 1969); - burla (La congettura che il mondo, 1970); - follia, desiderio di distruzione, pot-pourri (Tempo di distruzione, 1970); - "che scoppia", rumore, raffica, sventura, trionfo del caduco (A sufficienza.... 1972); - nubifragio (Oggi è di moda, 1972); - pattume (Ma c'è chi, 1973); e poi come "vita" o "tempo": - [cammino] impervio (Agile messaggero, 1973); - fortunale, bufera, [tempo] illume (Ramo che i fortunali..., 1974). In tal modo la raccolta si ridefinisce come líbellus metaphysicus dove il mondo, l'anima (le anime, le virtù) e, Dio (la poesia) sono tematizzati continuamente in forma poetica e gli enigmi (come referenze dell’ "incertezza") sono variati e digradati per sostanze. Il rapporto fra anima (anime) e mondo, contenuto fondamentale del libricino, fa emergere il ruolo salvifico dell'eterno femminile montaliano, 16 motore di una teodicea segreta che giustifichi il "brancolare", l'incertezza del poeta di fronte alla storia con il suo disordine e le sue brutture incomprensibili, e nello stesso tempo il "vago senso di speranza", un'incertezza positiva, di un riscatto per un mondo nuovo e migliore. Quel mondo nuovo e migliore che viene finalmente affidato, come estremo messaggio testamentario, alla Poesia, presenza del divino, di cui le anime sono manifestazioni o sostanze pure, "mezze divinità" montaliane o "petites divinités" leibniziane che dir si voglia (Theod., § 147): le ispiratrici. Questo dramma fra anima e mondo trasferisce in intertesto due riferimenti. Il primo, più immediatamente storico e vissuto, è indicabile in quel prezioso opuscolo, Incontro Montale (Milano, 1973), che raccoglie le conversazioni di Annalisa Cima con Montale sull'arte e sulla poesia, sulla società dei consumi e dei mezzi di comunicazione di massa, sull'alienazione dell'uomo e sulla religione. Mi limito a qualche esempio: I. «A. [ ... ] E' venuto meno il pensare, l'avere delle idee, per lasciar posto all'informazione che diviene fine a se stessa, sproporzionata all'idea, al contenuto da divulgare... Non si fa a tempo a mettere a fuoco un'idea, trasformarla in azione artistica, ed è già invecchiata. M. ...le idee sono diventate un genere d'uso: si indossano e si dimettono al primo variare della moda. La moltiplicazione delle scienze e delle tecniche è direttamente connessa alla scomparsa delle idee. E' chiaro che la poesia e la prosa di romanzo non potranno mettersi al corrente se non realizzando opere totalmente prive di idee e unicamente affondate nell'inconscio. Si dirà che anche la rinuncia alle idee è un'idea, è l'idea che non esistono idee valide. Ma è un sostegno debole per una produzione che dopo ottanta e più anni di nuovissimi ismi non ha nemmeno il pregio della novità.» (Incontro Montale, p. 18-19). OGGI E' DI MODA Ogni giorno c'è una rivoluzione di stagioni, di popoli, di idee. Sine die è rimandata ogni decisione. Nulla è più stabile, se non qualche canzone ripetuta sotto tutte le bandiere. Quanto si salverà, da questo nubifragio, 17 non si sa. Forse dopo tanto spreco anche la parola finirà in un botro. A noi rimane la speranza che qualche anacoreta distilli resine dorate dai tronchi marcescenti del sapere. II. «A. [ ... ] Solo, alienato, posto di fronte ai problemi del nulla, della sopravvivenza, l'uomo cerca un aggancio soprannaturale, un ritorno alle religioni. M. Per l'uomo posto di fronte al nulla o all'eterno, non esiste, non è pensabile che una sola possibilità, tangibile, evidente, infinitamente cara quanto più è prossima a sfuggire: la vita di quaggiù, la vita stessa che abbiamo visto, conosciuto e toccato con le mani fin dai primi anni dell'infanzia.» (Incontro Montale, p. 24-25. Il corsivo è nostro). MORTALI Noi non abbiamo cognizione della futurizione. La nostra previsione è limitata. Quanto al libero arbitrio farei qualche eccezione. Non vi è biforcazione, ma percorso obbligato. III. «A. Resta il problema della comunicazione delle idee, attraverso la parola. M. [ ... ] il linguaggio è una finzione priva di ogni contenuto e ... l'uomo è sorto per caso dal nulla e... il nulla è la sua vera vocazione. Distruggendo l'ipotesi stessa di ogni possibile arte, un artista di oggi può acquistare larga fama e vivere alle spalle del mondo borghese da lui stesso detestato. L'uomo aspira al caos ma non rinuncia al confort, non rinunzia a un margine di sicurezza fisica. Mai sono esistiti tanti mezzi per comunicare, nè così facili nè così irresistibili. L'importante è che tra questi mezzi sia sacrificata la parola che ha il torto di non essere abbastanza polivalente e di pretendere a quaalche durevole verità ... » (Incontro Montale, p. 32-33). 18 A SUFFICIENZA... A sufficienza ne abbiamo di un mondo che già scoppia. Rumori di motori sculture fatte a strati, libri che s'ammucchiano su tutti gli scaffali. La raffica c'investe, induce ad acquistare fin l'ultimo giornale. Poi tutto brucerà dans l'espace d'un matin. Ignoro quali sventure porterà con sé il trionfo del caduco e se si salveranno poche parole imperiture. Il secondo (che transcondifica letterariamente Annalisa in una simbolizzazione spirituale, come più tardi vedremo) distanzia e sublima l'incontro con Annalisa nell'incontro con l'Ispiratrice Con-fusa, attraverso la ripresa del tema anima-mondo, rimpianto dell'anima - disprezzo del mondo, cantato da John Donne in Anatomy of the world in cui viene rappresentata la fragilità e la caducità di quest'intero Mondo ("the frailty and the decay of this whole world") per celebrare l'immatura morte di Elizabeth Drury: [...] Sicke world, yea dead, yea putrified, since shee Thy'ntrinsique Balme and thy preservatíve Can never be renew'd, thou never live... (Anatomy, v. 56-58) ("... mondo infermo, anzi, morto, anzi, putrefatto, dacchè colei/ che era il tuo intrinseco balsamo e il tuo preservatore/ non potrà mai rinnovarsi, nè tu potrai mai più rivivere.. "J. Donne, Liriche sacre e profane. Anatomia del mondo. Duello della morte. Trad. it. di G. Melchiori, Milano, 1992, p. 105). Le alchimie poetiche di cui John Donne era maestro rivelano in Montale un rinnovato alunno, se, dalle antiche letture con Clizia, dapprima qualche segnale trapela [dalla Bufera: "Il mio sogno di te non è finito", Sogno di un prigioniero, 1953: "My Dreame thou brok'st not, but continued'st it", The Dreame; al Diario del '72: "io e te siamo UNO", Diamantina: "If our two loves be one", The Good-morrow; alle titolazioni: The Storme, in comproprietà con la Dickinson, Valedction ... ], poi un nugolo di riferimenti dilaga in Altri versi (ma Le pulci sono, significativamente, del '74 e Interno/Esterno del '76); e se il gioco delle trasmutazioni e delle 19 metamorfosi si paleserà nel libricino come trafila centrale della riflessione dell'essere nella trama dalle apparenze al divino. Questa metafisica, anzi questa mistica del transeunte come trasformazione, di scoperta origine ermetica, che il "monsignore delle pulci" declama nel Duello della morte: "Quello che noi vita appelliamo non è che hebdomata mortium.. Il nostro nascimento muor nell'infanzia, e la nostra infanzia muor nella giovinezza, e la giovinezza e il resto muoiono nella vecchiezza, e pur la vecchiezza more, a tutto ponendo termine..." (Death's duel, trad. it. G. Melchiori cit., p. 143); oppure: " ... O corruzione, tu sei mio padre,... tu [il verme] sei la madre e sorella mia. Miserabile enigma, quando il medesimo verme debba essere mia madre e mia sorella e me stesso. Miserabile incesto, quand'io debba essere sposato a mia madre e a mia sorella ed essere insieme e padre e madre alla mia propria madre e alla mia propria sorella..." (trad. it. cit. , ivi) trova consonanza in quanto Montale pensava del procedimento mentale dello scrittore e che nel cosidetto Diario postumo si ritroverà in forme elusive: " [ ... ] il Croce diceva: la poesia è dentro il cuore del poeta, che poi la scriva o non la scriva non toglie nulla. Invece non è vero, non è vero affatto, se uno si impegna a scrivere, questo fantasma interno cambia, a volte cambia sesso, età, peso, misura, sapore, odore". (Incontro Montale, p. 18). Tuttavia questo perennemente e apparentemente, donniano "disordine del mondo" è troppo disordinato per non avere un senso. Il quale, se mai, ci sfugge e nel quale risiede quell'incertezza costitutiva del poeta (del genere umano). Il bisogno di un ordine superiore, di un disegno divino, di un'annonia segreta, di un gioco (enigmistico) di cui non riusciamo a trovare la soluzione è modalità psicologica coestensiva alla disperazione di fronte al Caso. La tensione al finalismo dell'anima e del mondo e alla giustificazione del male troveranno una risposta nel libricino, sicchè l’”artefice del mirabile gioco", riferimento criptico che Montale disvelerà ne Il clou, si pone ora come terza e finale sostanza di una riflessione metafisica: TEMPO DI DISTRUZIONE Se fu follia a guidare la mano degli eventi o desiderio d'autodistruzione non ho capito mai. In questo pot-pourri l'uomo confuse 20 i contorni delle cose. Smarrì il fine e dubitò del tutto. L'incertezza rimase a guidarne i passi. Un giorno l'artefice del mirabile gioco dirà: basta, il viaggio è terminato. E intanto il tempo si sgrana nella desolata realtà della vita, che è sempre stata amara. Ma vediamo ora come l'esistenza delle anime, delle virtù, variamente si rappresenta nel mondo e nell'incerto nascosto dell'Essere. Si osservi questo enigma leggero, cromaticamente raffinato e alquanto galante e salottiero, di quell’ "inusuale salotto" che si formava sotto l'ombrellone sulla spiaggia di Forte dei Marmi nell'estate del ’72. AL FORTE Un grande ombrello d'ombre che or rotonde ora oblunghe decidono il mezzogiorno o l'imbrunire. Sere e tramonti rosa, in questo inusuale salotto, dove ho visto sfilare le tue amiche. Paola la bruna dagli occhi smeraldo verrà ancora? Paola, svelata nel nome solo alla fine del breve componimento, viene evocata da un'insistente ritorno allitterativo delle iniziali del suo cognome, Brovedani, attraverso la ripetizione dei nessi /BR/, /OB/, /O ... BR/ (OmBRello, OmBRe, OBlunghe, imBRunire, BRuna), e con testimonianze di /VE/ in "doVE" e in " VErrà" , e di /AN/ in " ANcora" , mentre gli " occhi smeraldo" (ma " smERALDO" contiene cinque lettere di " bROvEDAni" e il nesso /ND (/D ... N/) è contenuto in " ROtoNDE" e in " deciDoNo" ) sembrano parenti poveri degli " occhi d'acciaio " di Clizia, come pure l'ombra dell'ombrellone dell’ " ombra della magnolia" di Nel parco (BU). Poesia versiliese, si apparenta alle sue consorelle e, in modo speciale, alla coeva “Sulla spiaggia” del Diario del ‘72. Molto più complessa la poesia su Marisa Bulgheroni: L'inafferabile tua amica scrive 21 e poi dilegua, sta per arrivare ed è di nuovo... assente. Il dubbio è che non sia se non nella tua mente. Eppure ho un nebuloso ricordo di lei. Mi prometti una sua visita da mesi. Ma la critica non mostra il suo sembiante: che sia una estravagante danzatrice di parole. Oppure quel suo nome che muove da incertezza e finisce in risa è la chiave di tutto il suo mistero. Lo chiameremo a gran voce sull'aria del bel noto Milanese, con sottofondo di corno-inglese. E a simile richiamo certo l'inafferrabile apparirà improvvisa. I primi undici versi sono un segnale continuo di presenza-assenza, quasi un infantile gioco a nascondino. Il personaggio "dilegua" continuamente (1), crea dubbio (2), nebbioso ricordo (3), promette (4), non si mostra (5), è una "estravagante danzatrice di parole" (6). Ma in retroversione questi segnali pertengono a Montale stesso e alla sua scrittura, perchè si possa giustificare la seconda parte della poesia (v. 12-17). La "chiave" del mistero, cioè dell'indovinello, è semplice: MA (l'incertezza) e - RISA (l'allegria). Poi vi è uno scatto, un volo a zig-zag, un improvviso triplo salto mortale enigmistico (v. 15-17). Il " ben noto Milanese" , cioè Stendhal, che, com'è noto, idolatrava l'autore del Tancredi, nel primo capitolo della Vie de Rossini narra come fu scritta la celebre cavatina " Tu che accendi questo cuore" , meglio conosciuta come " Di tanti palpiti" (atto I, scena V): « [...] Une idée lui vient; il ecrit quelques lignes, c'est le fameux Tu che accendi, l'air au mond qui peut-étre a jamais été le plus chanté et en plus de lieux différents. On raconte à Venise que la première. idée de cette 22 cantilène délicieuse, qui dit si bien le bonheur de se revoir aprés une longue absence, est prise d'une litanie grecque; Rossini l’avait entendue chanter quelque jours auparavant à vépres, dans l'eglise d'une des petites ìles des lagunes de Venise. Les Grecs ont porté l'air de bonheur de la Mythologie, meme dans la religion terrible des chrétiens. A Venise, cet air s'appelle l'aria dei rizi. J’avoue que c'est un nom vulgaire, et je suis assez embarassé pour raconter la petite anedocte plus gastronomique que poetique que le lui a valu. Aria dei rizi, puisqu’il faut l’avouer, veut dire l’air du riz. En Lombardie, tous le diners, celui du plus grand seigneur, que celui du plus petit maestro, commencent invariablement par un plat de riz; et comme on aime le riz fort peu cuit, quatre minutes avant de servir le cuisinier fait toujour faire cette question: bisogna mettere i rizi? Comme Rossini rentrait chez lui désespéré, le cameriere lui fit la question ordinaire; on mis le riz au feu, et avant qu’il fut pret Rossini avait fini l’air Di tanti palpiti. Le nom d'aria dei rizi rappelle qu'il a été fait en un instant" .(STENDHAL, Vie de Rossini, Paris, 1854 p. 43-44). Ma l'attenzione del poeta deve essersi rivolta anche a quella speciale frase musicale che dice: L'accompagnamento strumentale del brano è affidato all'oboe che in Montale diventa corno inglese1, per riprendere in senso letterario quanto l'aria aveva suggerito (mi rivedrai - ti rivedrò), in omaggio all'anglista Marisa e in autocitazione del Montale giovane degli Ossi. E solo allora il miracolo della riapparizione potrà avvenire (v. 17-19). Il percorso enigmistico è dunque: Ma - risa = MARISA; il ben noto Milanese = Stendhal -> [Vita di] Rossini -> ARIa dei RISi -> Mi RIvedraiti RIvedrò -> oboe -> corno inglese = Marisa + Montale. Questo simpatico teatrino che il poeta mette in scena (nello stesso tempo con uno, due o tre personaggi, a seconda di come noi vogliamo vederlo), si commisura ad un ulteriore reticolo intertestuale, in testimonianza di uno sbrigliatissimo immaginario scenico che richiama: 1) la recensione a Rome, Naples et Florence (trad. it. di Bruno Scha_____________ 1 - L. ROGNONI, Gioacchino Rossini, Torino, 1977, p. 104-106 23 cherl, introd. di Glauco Natoli e Carlo Levi, Firenze, 1961) apparsa sul «Corriere della sera» del 24 febbraio 1961. In quell'articolo Montale faceva notare che in Stendhal "forse... tutto si riduceva ad una personale sensibilità per il nostro tradizionale bel canto... E' comunque chiaro che per lui musica voleva dire soprattutto teatro, e teatro musicale doveva essere gesto, chiarezza, azione, esaltazione di energia... non siamo troppo lontani da quella che sarà poi l'esaltazione di Nietzsche per la Carmen"; 2) una situazione teatrica, tratta dal capientissimo keepsake musicale; e precisamente dal Faust di Gounod (atto IV, scena e serenata): ma non tanto la versione di cui in Satura: "Tanto tempo è passato, nulla è scorso / da quando ti cantavo al telefono «tu / che fai l'addormentata» con triplice cachinno" (L'Arno a Rovezzano, 1969), quanto la stessa citazione in una lettera del 18 maggio 1951 a Maria Luisa Spaziani: «... fra poco passerò fra via Cernaia fischiettando “tu che fai l'addormentata”, tu ti affaccerai in abito da sera, con un cenno della mano. Un abito viola, aereo, destinato ad essere bruciato dal ghibli» («Il Corriere della sera», 1886/1986, Dieci anni e un secolo: Montale e il Corriere, 4, 1986, p. 47). E' una situazione che a sua volta si lega ai fischi di riconoscimento di “Sulla Greve” (1950, BU) e di “Avevamo studiato per l'aldilà” e “Qui e là” (1963 e 1969, SA). Se, da lontano, appare il tableau vivant di Annetta (DI 72), (la poesia tende equivocabilmente all’hommage per Volpe e al ricordo di Mosca. Per un motivo di contiguità tematica, leggiamo ora INCONTRO Esitammo un istante, e dopo poco riconoscemmo di avere la stessa malattia. Non vi è definizione per questa mirabile tortura, c'è chi la chiama spleen e chi malinconia. Ma se accettiamo il gioco ai margini troviamo un segno intellegibile che può dar senso al tutto. Anche questa poesia, della colleganza saturnale, può essere divisa in due parti che enigmisticamente possono diventare l'esposto e la soluzione 24 (v. 1-7 e 8-11). Il titolo, depistante, fa convergere l'attenzione sui primi versi (17), a loro volta suddivisi in un falso esposto (v. 1-3) e in una falsa soluzione (v. 4-7). In effetti è alla seconda parte del testo (v. 8-12) che bisogna porre attenzione, perchè si tratta di una quasi-sciarada. Il sintagma-chiave è in quel "segno intellegibile" [nel testo a stampa l'aggettivo sovrabbonda di una "g"] fortemente straniato dal contesto fin quando non lo si ricongiunga con il verso precedente: "ai margini troviamo / un segno intellegibile" (in Quella del faro, 1977, QQ, Annetta ha lasciato tracce altrove, non nel mondo: “E’ un segno di elezione... il meno intellegibile” da chi vive). Salendo ancora troviamo quel "MA se accettiamo il gioco" (= di parole) che contestualizza i versi 9 e 10 in direzione di un senso enigmistico (cfr.: "Di certo resta il gioco delle sciarade incatenate / o incastrate che fossero di cui eri maestra", Annetta, DI 72). Ma, quali "margini"? La ripetizione delle prime due lettere a margine di MAlattia, di MAlinconia, di MArgini, oltre che di MA, dà il senso al tutto: è l'incertezza come MA già trovata ne “L’inafferrabile tua amica scrive". Questo però è soltanto il primo rinvio interno, perchè un'altra poesia del libricino, dalla linea leggera e descrittiva, si intitola Incertezze, mentre nello gnomico, Tempo di distruzione, due ulteriori riferimenti confermano una tematica legata a una forma espressiva di tipo enigmistico ("In questo pot-pourri l'uomo confuse / i contorni delle cose. Smarrì / il fine e dubitò del tutto / l'incertezza rimase a guidarne i passi. / Un giorno l'artefice del mirabile gioco / dirà: basta, il viaggio è terminato"). Il gioco delle incertezze viene capovolto nella lirica che non casualmente riporta in referenza il titolo. Perciò in questo caso Incertezze diventa esposto di una soluzione che porta al MA: INCERTEZZE Nella scelta del mese più adatto a lunghi viaggi immaginari, indugiavamo tra maggio salvato dall'arrivo dell'estate e settembre che non è disperato, ma neppur lieto. Aprile lo lasciammo ad altri recensori. Fummo dell'opinione di trascurare i mesi uccisi dalla morsa del gelo. Così il tempo inesorabile scorre e improvviso, d'un balzo, s'arresta. 25 La scelta dei mesi da salvare, in questo ricordo improvviso, che Montale molto probabilmente registra nella sua memoria, di un incontro giovanile con Annetta, si giustifica per i margini di incertezza di MAggio e SEttembre (MA e SE). Al verso 7 “i meSI ucciSI” dal gelo sono trascurati per il loro significato nascosto di SIcurezza (SI)2. Se si tien conto che la poesia fa trasparire come sua enigmatica ispiratrice Annetta in con-fusione con Annalisa, quell’ “Aprile” (molto eliotiano [“April is the cruellest month”], e dunque lasciato ad altri recensori) è riferimento all'iniziale del nome (dei nomi): quella A che poi troviamo nell'ultima poesia del Libro montaliano: Ah! In tutti questi casi la trama intertestuale diventa complicata. Il lessema “incertezza/e” entra nel vocabolario montaliano, dopo una breve apparizione in una poesia giovanile, soltanto nell'ultima produzione del poeta (per es. in DI 71, L'imponderabile: “L’ incertezza è più dura del granito”; mentre in Violini, 1922, PD, dedicata ad Annetta, si legge: “Sono qui in attesa del prodigio / e le mani mi chiudo nelle mani. / Forse è questa incertezza, / mattino che trabocchi dal cielo, / la più vera ricchezza / e tu mi innimbi / tutto che tocchi!”). L'aggettivo “incerto”, inoltre, usato in frequenza assoluta 14 volte nell'opera poetica montaliana, appartiene soprattutto all'ultimo Montale: con 12 realizzazioni da Satura ad Altri versi. Si può notare che l'accentuazione sull'incertezza fu avvertita per tempo dal Contini che proclarnò: “Montale non ha certezza del reale” 3. Tuttavia ciò che davvero importa in questa serie di “incertezze” è che alla fine, quasi in filigrana, viene ribadita l'immagine della reale ispiratrice del testo che in inganno sembra essere soltanto Annalisa, mentre è schermo per quella vera, e cioè Annetta. Si pensi al titolo Incontro, che è eminentemente equivoco. Nella storia della poesia montaliana Incontro designa anche il titolo in redazione finale, dopo travagliata gestazione titologica, di quella poesia degli Ossi, che Montale dapprima segnò in manoscritto come La Foce. Questa poesia fu ____________ 2 - Cfr. “margine di sicurezza” nella citazione di “Incontro Montale” a p. 16. 3 - G. CONTINI, Montale e «La bufera», 1956, ora in Una lunga fedeltà, Torino, 1974, p. 82. 26 in seguito pubblicata con il titolo Arletta sulla rivista “Il Convegno”nel 1926 (cfr. OV, p. 890-892)4. E se si tien conto che nella Ballata levantina, sempre dedicata ad Annetta, si legge di quel “nostro presentimento / d'essere entrambi feriti / dall'oscuro male dell'universo” e che il Mah! conclude formalmente l'ultima poesia arlettiana del Libro, bisogna convenire che Montale costruisce giochi verbali sull'incertezza avendo come figura di riferimento Annetta, maestra di sciarade e sodale in malinconia, e che, con tipica tecnica montaliana, il poeta ha inteso illudere ed eludere il lettore e con-fondere Annalisa con l'Antenata, trasfigurando nell'enigmismo una enigmatica vicenda della sua esistenza. Così dal significato del testo emerge, attraverso il gioco verbale, il senso del testo. La sorprendente alchemica “ars combinatoria” della mente di Montale si ripete nella poesia (anch'essa di matrice arlettiana, come abbiamo visto): LA FOCE No non t'allontanare mio guerriero. Lungo il percorso che conduce alla foce il vento furioso scuote i vecchi rami. E a ogni soffio di gelo tremano i fogliami. A volte, pavento nel silenzio che arrivi la mannara e tronchi ogni esitare. Ma s'attenua il timore nell'attesa... che mi è più familiare. In questo caso il titolo, che ha esaurito la sua natura di esposto grazie alla ricostruzione filologica del testo, mantenendo solo il significato me____________ 4 - V. ancora L. REBAY, Sull'Autobiografismo di Montale, in Innovazione tematiche espressive e linguistiche della letteratura italiana del Novecento, a cura di V. Branca, Firenze, 1976, p. 78-80 e E. BONORA, La poesia di Montale, Ossi di seppia, Padova, 1982, p. 190-193. 27 taforico di morte, ci indirizza immediatamente alla soluzione, e una citazione da Incontro (1926, già Arletta, già La Foce) ci rafforza nel convincímento. L’incipít delle due poesie ha un’uguale apertura imperativo-negatíva: (Incontro: “Tu non m'abbandonare”, La Foce: “No non t'allontanare”); mentre quel “vento furioso” che scuote i vecchi rami riecheggia il “vento forano” della poesia giovanile degli Ossi e anticipa l'immagine icastica di Ramo che i fortunali. Oltre a questo segnale, la prima parte della poesia (v. 1-8) divisa in tre brevi frasi e introdotta da un implorante prolessi dell'avverbio negativo, non presenta per ora altri appigli investigativi. E' invece nella seconda parte (v. 9-14) che si intensificano le allusioni: la terribile “mANNAra” (della MORTE, contenuta in TIMORE), che ricorda il “duro colpo” dell'accetta di un mottetto famoso, rivela la presenza-assenza, la morta-viva nella fusione Anna-Annalisa e permette di sciogliere (almeno parzialmente per ora) il senso dei puntini sospensivi: il poeta sta aspettando la sua ispiratrice-interlocutrice che è insieme l'antica, “familiare” omonima ispiratrice nella quale tuttavia risiede il polisenso profondo del testo. Più aleatorio, ma sempre da ricordare, il nesso /AR/ (/ARE/) di “mannARA”, “esitARE”, “familiARE” in funzione di ponte semiotico per ARletta. E si riferisce ad Annetta-Arletta (sempre in fusione con Annalisa) MA C'E' CHI Potius mori quam foedari è l'illibato senso del vivere che trasmetti in messaggi cifrati. Ma c'è chi non capisce e preferisce il mondo così com'è: immerso in un pattume. Ci troviamo di fronte ad una delle costruzioni più raffinate e complesse del libricino, dove la fusione è perfetta pur se non del tutto risolvibile, come per altri casi, in questa sede. La nostra propensione ad individuare un archetipo arlettiano trova giustificazione nel v. 1 e nel v. 4: è un transfert del vecchio Montale all'esperienza giovanile d'amore per quell’ “adoloscente” che poi “scomparve” 5 dalla vita del poeta tanto che egli, ____________ 5 - Sulla figura di Annetta-Arletta nella poesia di Montale E. BONORA, Anelli del ciclo di Arletta nelle «Occasioni», in Le metafore del vero, Roma, 1981, p. 9-38. 28 come è noto, la ritenne per sé come morta (cfr.: “potius mori”). Lo spostamento simbolico della passione enigmistica di lei nei più alti “messaggi cifrati” ricompone la figura e la situa nell'indeterminatezza spaziotemporale. I primi quattro versi non hanno tempo o, almeno, sembrano incollocabili in contesti diversi da quelli che comprendano l'intero svolgersi della vita del poeta. Se si vuole, sono un non luogo, una pura situazione mentale. Come pure non precisamente collocabili, ma questa volta in visione prospettica con una sorgente ottica nel presente, cioè nel punto terminale della vita, sono i versi finali de consummatione mundi, alla fine di un'esperienza storica che giustifica la radicalità di una condanna metafisica messa in rilievo dal procedimento cataforìco della frase finale. Insomma la poesia potrebbe dire: questo mondo non è degno di te, altro il mondo dal quale tu continui a parlarmi (ci): e tu non hai che un sol mezzo per non contagiarti all'infezione del mondo: quello di non far parte di esso (“And [that] thou hast but one way, not t’admit / The worlds infection, to be none of it”, Anatomy, v. 245-246). Connesso e in opposizione ai messaggi cifrati di purezza c'è chì non capisce (v. 4-5), in cui pare di rinvenire anche una fuggevole e dolorosa traccia autobiografica giovanile ma, alla fine, anch'essa tolta dalla chiusa condizione del tempo e dello spazio, universalizzata nel destino del genere umano. Si attua a questo punto un processo dì transcodificazione. La stessa poesia diventa ulteriore “messaggio cifrato”, perchè la citazione latina nasconde la fonte e non permette un immediato raccordo intertestuale. Reperita finalmente la fonte, la scena cambia improvvisamente e ci porta nella chiesa di San Miniato al Monte, a Firenze, nella città cioè dove Montale trascorse anni decisivi per la sua formazione poetica e per l'incontro con Clizia. In quella chiesa, un monumento funebre, scolpito da Antonio da Rossellino, capolavoro della scultura quattrocentesca, è dedicato al cardinale Jacopo di Lusitania (altrimenti: Giacomo di Portogallo), morto giovanissimo nel 1459 «di una malattia bizzarra... dovuta alla ostinata continenza, e che meravigliò assai i fiorentini di quel tempo, poco abituati a tanta virtù. Gli si attribuisce un motto eroico, “potius mori quam foedari”, che potrebbe essere sospettato di leggendario, se non lo confermasse l'epitaffio inciso sul bel sepolcro»6. ____________ 6 - G. FUMAGALLI, Chi l'ha detto?, Tesoro di citazioni italiane e straniere, di origine letteraria e storica, Milano, 1933, 10^ ed., p. 545. 29 Se dal testo scritto della poesia trascorriamo al subentrante testo eìdetico della scultura, saremo investiti da un nugolo di segni iconíci che, nel loro simbolismo, circonfondono, dai bassorilievi dello zoccolo agli altorilievi e alle figure a tutto tondo racchiuse nell'arco, la quiete beata del corpo del defunto disteso sul sarcofago. André Chastel ha fatto notare che questa scultura non può intendersi senza richiamarsi alla tradizione neoplatonica e al commento ficiniano del Filebo, cioè a quella «dottrina dei “misteri ermetici” e dei miti antichi, dell'anima e della sua vocazione attraverso i tormenti delle passioni e dei mutamenti terrestri», nella inflessione nuova di quell'umanesimo fiorentino «dominato dall'affermazione dell'immortalità dell'anima e della trasfigurazione promessa dopo la morte, che spiriti privilegiati possono sperimentare già in questo mondo»7. Ma soprattutto ciò che subito si afferma alla vista è una fenomenologia simmetrica di angeli che dal Vasari in poi si è impressa nella tradizione critica: “angeli in volo che sembrano trapassare l'aria nelle loro vesti sottili” (Woelfflin), “fremiti d'ali”(Venturi) che tendono a verticizzarsi, attorno alla figura della Vergine e del Bambino, convergendo nel loro movimento verso la chiave dell'arco. Vedremo fra poco come questa figurazione potrebbe contestualizzarsi in Montale. Sarà invece da aggiungere che il motto latino, lievemente variato in “Malo mori quam foedari” apparteneva ad Anna di Bretagna, riferimento onomastico possibile per la prima e seconda Anna ispiratrice, e considerata pure la compresenza numinosa di Clizia, che non può non essere entrata nel disegno equivoco della composizione8. E' molto probabile che Montale, durante il periodo fiorentino, abbia visitato la cappella del cardinale a S. Miniato; quello che invece mi pare certo è che il motto latino e le relative informazioni storiche, che io ho ripreso per sommi capi, gli siano stati suggeriti dalla fortunata raccolta di citazioni a cura di Giuseppe Fumagalli, anch'egli bibliotecario in Firenze negli anni '30. Ivi si trova la citazione che ci interessa, sotto il titolo: “Virtù, illibatezza, modestia”. Ora, “illibatezza” viene riecheggiato in aggettivo al v. 2 ____________ 7- A. CHASTEL, Arte e umanesimo a Firenze al tempo di Lorenzo il Magnifico. Studi sul Rinascimento e sull'umanesimo platonico, Torino, 1964, p. 45-47. 8 - G. FUMAGALLI, Chi l'ha detto? cit, ivi. 30 del nostro testo; inoltre durante la consultazione del libro, mi sono imbattuto in quel paronomastico “Non Angli sed Angeli”, p. 309, di cui in Sul lago d'Orta (1975, QQ) e in Fuori di Casa, Milano-Napoli, 1969, p. 29 (e cfr. anche OV, p. 1127). Un angelo nascosto Fra i “tu” montaliani, quello in apparenza tutto storico e presente di Annalisa rappresenta una flagrante novità, non coincidente con nessun altro tipo delle figurazioni femminili del poeta. Si potrà osservare che il processo di riduzione, caratteristico dell'ultimo Montale, anche in questo caso “agisce”, demistifica la sublimità dell'etemo femminile di Annalisa, ma, come vedremo, questo procedimento viene mantenuto non per smentire la sublimità bensì per nasconderla, perchè cioè si compia allusivamente la sua lettura. A un primo sguardo, l'apparente natura testimoniale di questo nuovo personaggio poetico non sopporta il peso assoluto dell'attribuzione di “ispiratrice”, pur presente, come vedremo, in una specifica accezione (“ti sorvola / il favore di una musa che ritrovo / sul volto”); ma pretende ad altro e più vario impegno sociale, morale. Portatricemediatrice attiva di saggezza mondana, in cui la felicità (l'edoné, la laetitia epicureo-lucreziana) sia intesa come godimento della vita semplice e naturale, liberata dal timore della morte e dal turbamento delle passioni, il suo ruolo è piuttosto quello di “interlocutrice” di valori - la purezza e l'amicizia, la memoria e la poesia -. La sua visibilità storica è cosi assorbita in un simbolo di opposizione alle “brutture”, ai disvalori che stravolgono il mondo, affinchè - tramite lei mondo e poeta (che ambedue si spengono) possano ancora esprimersi e fra loro, se pure a barlumi, comunicare. Ma va anche notato che il visibile storico di Annalisa si esaurisce in un sociale disperatamente ristretto e senza esiti ulteriori se non quelli insoddisfacenti, inautentici - e, si badi, avvertiti come tali dell'illusione di una felicità che può albergare solo in un indicibile paradiso (cfr.: Resta nel tuo eliso), rivelando con ciò il progressivo, ineludibile senso d'isolamento e di solitudine senile del poeta: LA FELICITA' Ieri sentii che l'inverno mi aveva riservata una sorpresa lieta. 31 Svelavi ad alta voce i miei pensieri. - E se la vita fosse un mistero vano? - Resta nel tuo eliso, non essere crudele verso quel vago senso di speranza che a noi, solo, rimane. Ben altro è la felicità. Esiste, forse, ma non la conosciamo. Tramite Annalisa, l'effimero, in vario modo evocato, di un incontro con la grazia virtuosa, (Adelheit, e poi anche Paola e Marisa), assume non a caso timbri ironici di classicismo galante, quasi rococò-crepuscolari: messagio d'amore per una irraggiungibile, in parodica metrica barbara. Si potrebbe quasi a tal proposito ricordare il gozzanismo nostalgico-salottiero delle "desiderate e non godute", figure transeunti, illusorie, resurrezioni fantastiche nelle tregue estive di Forte dei Marmi; l'intermeffiazione per l’ "amico ligure" si risolve in una rinuncia e nella mera registrazione di uno slancio amicale; la mediazione con il "Serenissimo", se assicura l'investitura poetica, si risolve in una nuova mediazione di tipo intertestuale (Montale -> La Beltà), innocentemente galeotto per fissare il ricordo di una giornata trascorsa in un dialogo tenero-affettuoso e in una specie di possibile, ironica prenotazione di contatto futuro con l'oltrevita, sicchè vien da chiedersi se, in equivoco, l'investitura non sia da attribuirsi anche alla lettrice. Queste amiche, insomma, e anche questi amici, sono evanescenti, come appaiono si dileguano. E il lettore nutre più di un sospetto che l'intermediario sia il vero destinatario: in Annalisa, cioè, Montale deve vederci qualcosa di più. Se prestiamo fede all'assunto del poeta, secondo cui "non c'è depositaria del suo cuore / che non sia nella bara", l'archetipo di amore-morte non connoterebbe questa Annalisa, coi risultato di escluderla dal novero delle muse. E tuttavia, se riteniamo che Annalisa non sia personaggio effimero, "occasionale" - come del resto ci sembra -, il problema della distanza artistica che si impose nel generarsi di un nuovo mitologema poetico, si dovette anzitutto inverare in un flusso vitale, ormai esiguo ma intensissimo, dell’ "esauto genearca", in un sentimento tutt'affatto nuovo e sorgivo, in uno scambio di esperienze e di affetti a suo modo paritario ma non simmetrico e, almeno per il poeta, non direi solo metastorico, ma certo, si, oltremondano, di continuità del suo essere. L'inaudita, stupefacente espressione del desiderio di una putativa senile 32 "patérnità" del poeta sconvolge quella primitiva storicità sociale della donna e ne ridisegna l'immagine, approfondendola, perché la privatizza e la fa totalmente sua nel mondo. Ora capiamo perché Annalisa viene legata alla Mosca, a quell'essere già presentato storicamente nella Ballata e successivamente presentato nella mitologia ridotta di un insetto alato; a colei che fu, se così si può dire, una moglie putativa e che ora viene presentata, anch'essa, come putativa madre: (1971) Se la mosca ti avesse vista anche una sola volta quanto amore ti avrebbe accordato. Non è facile per me dare se non, per interposta persona, cosa direbbe la Gina se decidessi d'essere padre all'improvviso. (1976) RICORDO Lei sola percepiva i suoni dei miei silenzi. Temevo a volte che fuggisse il tempo ostile mentre parlavamo. Dopodiché ho smarrito la memoria ed ora mi ritrovo a parlare di lei con te, tra spirali di fumo che velano la nostra commozione. Ed è questa la parte di me che ritrovo mutata: il sentimento, per sé informe, in quest'oggi che è solo di rimpianto. Nella prima poesia, che si avvale di un ritmo a predominante dattilica, l'intervento della Gina (come in DI 72) ha una duplice funzione: 1) è procedimento di attenuazione ironica sulla clamorosa decisione, nel riconoscimento del temuto ruolo surrogatorio assunto dalla "servante"; 2) gerarchizza gli attanti e sposta in limine fra vita (la Gina) e morte (Mosca) Annalisa che, come personaggio, subisce una trasformazione generalizzante nell’ "interposta persona" (non a caso posta nel testo graficamente in risalto), voce di confine fra mondo (dell'aldiquà e dell'aldilà) e poeta. 33 Nella seconda poesia, Annalisa, divenuta creatura terrena del congedo, testimone del trapasso e della trasmutazione, è fatta depositaria di una confidenza, di una confessione: la mutazione del proprio sé nell'accettazione di un'ansia della memoria (smarrita, non perduta) e nel cedimento al rimpianto. Mi chiedo se in questo accenno alla memoria e al rimpianto non debba vedersi la sorpresa di un cambiamento riferito a quel famoso, duro pronunciamento espresso, per voce di Clizia, (interlocutrice di confine anch'essa, in controcanto) in Voce giunta con le folaghe: "Memoria / non è peccato finchè giova. Dopo / è letargo di talpe, abiezione / che funghisce su sè...": un piegarsi al rimorso edipico; oppure se il poeta non voglia distanziare i due eventi e le due paternità: la prima (di Voce giunta con le folaghe) nel rifiuto di una memoria che insistita offenderebbe la pur vitale sofferenza nella continuità del figlio; la seconda (di Ricordo), nell'accettazione della memoria come trasmissione di reperti esistenziali, di vite che pretendono alla continuità di una discendenza, pur se solo mentale e tardiva. Quale ulteriore trasformazione subirà questa paternità congiungendosi, secondo il processo mentale satumino e alchernico di Montale, col suo opposto, della maternità del poeta, sarà materia di riflessione successiva. Basti per ora che il lettore lo annoti, perchè ciò che ora urge riconoscere è la metamorfosi originaria e dominante che fornisce di senso l'intero personaggio di Annalisa come “interposta persona". In generale si può dire che la figura di Annalisa fibrilla in un'immagine "leggera" che trascolora dalle sembianze d'un realismo arioso a un più evanescente ma profondo modello sincretico-veicolare, un'angelica entelechia a grado zero. "Ma - per usare le parole del poeta - una trasformazione che non sia / inidentità come si può immaginare?" (Gloria delle vite inutili, 1976, PD). Così questa immagine leggera assicura la veicolarità, l’ "interposta persona", dato onnipresente e permanente del personaggio. Il primo fattore dinamico, storico-realistico, è affidato al rapporto gioventù-vecchiaia, alla comunicazione culturale, alla colleganza poetica, alla intermediazione affettiva, ecc. Lo abbiamo in parte già segnalato e qui non insistiamo su questo. Annalisa veicola il tempo, la storia, il presente e permette così a Montale lo straniamento della visione artistica. La poesia e lo spleen, nella specularità delle esperienze, annullano la distanza delle età (cfr. Ex abrupto), fanno di Annalisa l’ "uguale in tempo diverso" (20 gennaio o 30 anni). Questo transfert autobiografico è anzitutto ascrivibile a una reincarnazione o, meglio, come vedremo, a una metamorfosi, a una 34 mutazione in Annalisa del giovane di Monterosso nonchè poeta degli Ossi e di Annetta. E' un procedimento tipicamente montaliano. Il vecchio che rinasce in (un/una) giovane (a raddoppio), nasconde tuttavia lo scacco di ogni esistenza dopo la caduta del desiderio (si pensi al ciclo di Dopo una fuga, 1968, in Satura, o alla "fuga" da Adelheit nella nostra raccolta) e il rimpianto del tempo (in questo caso, giovanile, della libido, vorremmo dire, della pulsione vitale), che come abbiamo visto a proposito di Mosca, è acquisizione sentimentale nuova in Montale (e come non ricordare l'esplosivo: "Ma ero pazzo, pazzo e non di te, pazzo di gioventù", Annetta, DI 72): nasconde l'inattingibilità dell'altro come oggetto di eros per tramutarlo in "anima viva" (20 gennaio o 30 anni, 1971) - lui "anima malviva", come si confessa in A C[lizia] nel Diario del '71 - di fronte all'incombente thanatos. Per comunicare con Annalisa, Montale deve sospendere l'immagine sessuata di lei, trasformare la di lei giovinezza nel contrario della di lui vecchiaia, sublimarla in progressione in una discendenza putativa per circonfonderla (lei, divenuta personaggio) di allusioni, coincidenti in un significato nascosto, entro cui avviene la migrazione dei simboli e la contestualizzazione finale degli eventi. L'affollarsi dei rinvii al giovane poeta degli Ossi sbalordisce per la sua programmaticità: il sintomo denuncia una intenzione e l'intenzione si organizza in una poetica. L'Esterina di Falsetto consuona stranamente con Annalisa: "La dubbia dimane non t'impaura" -> "La tua età m'impaura, / ti difende e m'accusa" (20 gennaio o 30 anni); "Ciò intendi e non paventi. / Sommersa ti vedremo / nella fumea che il vento / lacera o addensa, violento. / Poi dal flotto di cenere uscirai... -> "Ignori il vento dell'affanno / col suo fardello" (ivi); "l’arciera Diana" -> "mio guerriero" (La foce); "ecco per te rintocca / presagio d'elisie sfere" -> "Resta nel tuo eliso, non essere crudele" (La felicità); "La tua gaiezza impegna già il futuro" -> "Nè alcuna presenza potrà / turbare questa gaiezza / che ci riproponi" (Mattinata). In altri casi, oltre quelli precedentemente ricordati, tracce consistenti ci conducono ancora ad una semiotica arlettiana: "Eccoti col girasole" -> Portami il girasole", che insieme ad altri riferimenti al girasole negli Ossi convive con il girasole (l'eliotropio) di Clizia nelle Occasioni e nella Bufera; i titoli-allusione, di cui abbiamo già fatto cenno, de La foce e di Incontro. Si consideri ancora: "Rammento l'acre filtro che porgeste / allo smarrito adolescente" (Riviere) -> "sei come uno smarrito adolescente" (Die 35 Fledermaus), in simbiosi con l’ "adolescente" [Annetta] dedicataria degli Accordi. In questa stessa poesia possibili richiami al "pipistrello" e all'ultimo verso ("il tempo consentito è già passato") -> "lo sciame dei pipistrelli", mentre l'ultimo verso ("il tempo consentito è già passato") riecheggia "sei passata e pur senti" (Marezzo, ma qui l'ispiratrice può essere anche Paola Nicoli); "discende verso il mare" (Clivo), "sul viale che discende" (I morti), "Scendiamo la via che divalla" (1923, PD), "sul corso tu discendi... Discendi all'orizzonte... discendi in mezzo al buio" (Arsenio) -> "Discendi dal gran viale" (Nel giardino); "mi sento tutto fiorito non so se d'ali o vele" (Scendiamo la via, cit.) -> "L’ala del grande pino marino / come vela spiegata ci trascina" (Nel giardino); "e s'anche il vento tace" (Clivo) -> "Ora anche il vento tace" (Nel giardino); il "parapiglia" di Secondo testamento richiama il "parapiglia" di Oboe; in L'estate è scossa da forti temporali il fumo "livido" della petroliera ricorda il "mare livido" di Corno inglese (anche se, per questa poesia, deve essere richiamata una vera e propria isotopia che si ritrova negli ultimi versi di Fuscello teso dal muro e di Delta), oltre che la "luce d'una petroliera" della Casa dei doganieri (ispiratrice: Annetta) e il "fumo strascicato di una "nave" di Sotto la pioggia (ispiratrice: Paola Nicoli) di Occasioni; in Ramo che i fortunali... oltre al richiamo di un noto passaggio di una lettera a Svevo, si può ricordare il "tronco che addita... ogni rinato aspetto coi germogli fioriti" di S'è rifatta la calma; in Settembre: "Finirà questo piacevole ozio estivo / tornerò anch'io alla solita / poltrona. L'estate sta sfumando / tra nebbie di ricordi. Chissà / se avrò memoria degli ultimi barbagli / nel più velato sole cittadino" -> "Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo / nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra / soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase" (I limoni). Altri richiami intratestuali saranno fatti opportunamente. Qui si vuole aggiungere, come fondamentale, l'osservazione che il versante, alla grossa, storico-realistico del personaggio garantisce un porto sicuro alle sopravvenienti figure e al loro sincretismo mitico - e dunque l'oscillazione poetica del simbolo. Il vecchio Eusebio non ha molto filo da tessere, ma costruisce sempre a legami astuti e si nasconde nell'esausto genearca. E certo la Clizia di Finisterre o l'Annetta degli, ultimi Ossi non sono l'Annetta o la Clizia di Altri versi. Così Annalisa emerge a poco a poco, in questo micro-macrocosmo poetico che lude e illude, elude e allude, per piccoli sapienti tratti realistici (il muflone blu cobalto, il magazzino di una grossa borsa, il volo 36 del cappello di paglia, l'indugio sulla porta, la gaiezza, la malinconia, l'ardore, lo slancio amicale), per piccoli tocchi di colore-luce (il volto ispirato, le aureole [dei capelli e, forse, del cappello a larghe falde], l'aspetto primaverile e adolescenziale, il candore delle vesti e dell'animo), attraverso una iconografia frantumata, musaica (gli epiteti); ma la sua figurazione fluttuante, quando la si indaghi oltre la sua apparenza, si svela, con sorpresa crescente fino a diventare certezza, nella sua luminosa, tardo-cliziesca arcangelica essenza raffael-gabriel-micaelica: un'aerea figura, un "segno che travalica gli umani", visiting angel, àggelos, angelus, messaggero, angelo compagno, nunzio e "guerriero", "interposta persona" fra mondo e Dio; per poi ripercorrere al contrario il viaggio delle mutazioni, dall'angelo bianco della finis terrae, del congedo, al suo ritorno in veste umana, nella "signora" borghese, angelo ormai degradato. Il rapporto con l'altro grande angelo cliziesco si fa immediato: la messaggera del suo Dio, Iride ecc., che ritorna donna attraverso le mutazioni in gallo cedrone e ragno. Se l'angelologia montaliana (in opposizione alla demonologia dei messi infernali, degli dii pestilenziali delle geldre e dei lemuri incarnati) ha precisato il suo modello letterario trascorrendo dalle sacre scritture, al dolce stil novo, agli elisabettiani, ai romantici tedeschi, fino a Rilke e Valéry (ma non vorrei trascurare l'elusivo ermetismo cristiano-teosofico del poeta), l'angelo nascosto di Annalisa si lega al suo archetipo cliziesco e post-cliziesco per due vie di cui la prima (l'altra la vedremo in seguito) segue una trafila prevalentemente donniano-tomistica (più precisamente una trafila Donne - Hoelderlin - Blake Rossetti - Browning) con terminale in quella poesia di Donne intitolata Aire and Angels (con glossa tomistica: "angeli assumunt corpora ex aere") e in un cerchio di poesie che hanno già fortemente segnato la mitizzazione e la demitizzazione di Clizia e delle altre ispiratrici, grandi e piccole, "figure umane, angeli salvifici". Mi riferisco ai Songs and Sonets - ai quali si potrebbe aggiungere in contrasto (un contrasto fra entelechie e mondo) Anatomy of the world -, al "Guardian angel" di Browning e all'angelo "chimney sweeper" di Blake: in tal modo l'angelo "agrodolce" di Annalisa si palesa finalmente come appartenente a quella straordinaria coorte anfibologica, fosca e bianca, cui ci ha abituato il poeta da lungo tempo, ma, in forme disvelate, soprattutto da Satura. Sempre ineffata nel nome e nella sua natura angelica, Annalisa è uno di quegli "angeli inosservati" evocati in Satura (Che mastice.... 1969), un esemplare di quegli "angeli custodi" invocati nella produzione diaristica (Quel che più conta, DI 72; Proteggetemi, 1976, QQ), di quelle "mezze 37 divinità" che affollano il "politeismo" privato del poeta. Il contrasto di questo angelo col mondo si precisa, anche in questo caso, con effetto di trascinamento intertestuale alle funzioni oppositorie delle altre ispiratrici, ma in un più peculiare riferimento tanatologico e teratologico (è "anima viva" che emerge dalla morte) a John Donne. Se ora leggiamo nella sua interezza Mattinata, questo titolo ne nasconde un altro che sarebbe, secondo una lettura già suggerita da Faggi9, più propriamente "Apparizione" o "Visitazione": MATTINATA Sulla porta si profila un'aerea figura. Eccoti col girasole delle tue aureole. Nè alcuna presenza potrà turbare questa gaiezza che ci riproponi. Ad ogni apparizione fai rifiorire vegetazioní nuove. Non hai un cliché: emergi singolare. E' il segno che travalica gli umani. A noi, in questo anfiteatro di brutture, non resta che ricordo e dulia qual duplice ristoro. Attraverso questo nuovo paradigma non solo leggeremo in maniera trasparente la fusione di Annalisa con Clizia-Annetta (il girasole) e, forse, con Esterina (la gaiezza), ma, da quell’ "aerea figura", da quelle "aureole", da quell’ "apparizione", da quell’ "emergere singolare”, "segno che travalica gli umani", anche se non esistessero altri apporti testuali esterni, leggeremmo un angelo. Ma la spia più evidente che di questo si tratta è data dal fatto che il primo verso, "Sulla porta si profila", è citazione ____________ 9 - V. FAGGI, Su qualche inedito di Montale, in "Resine", n. 39, gennaio-marzo 1989, p. 29. 38 dantesca (Purg., XXI, 23) con stravolgimento delle funzioni grammaticali della fonte: "che questi porta e che l'angel profila". Inoltre l'origine dantesca ha un'ulteriore conferma nella figura dell'angelo portinaio (" l’angel di Dio che siede in sulla porta", Purg., IV, 129) e in ripetuti riferimenti del Purgatorio, al canto IX (v. 76, 90, 120, 130). Ma attraverso la trafila dantesca, come poi si vedrà, Montale invera nell'angelo di Annalisa un archetipo comune, sacrale e profetico. Se inoltre ci riportiamo a "figure umane, angeli salvifici" (L'immane farsa umana, 1976, QQ) in "aerea figura" l'aggettivo è motore di uno spostamento semantico di "figura" che vale "angelo". Per cui i primi versi vogliono dire: "sulla soglia apparve un angelo arioso, fatto d'aria", in simiglianza a quello che apparirà nel codice generativo. Questo angelo, poi, negli ultimi quattro versi viene posto in contrasto col mondo, quasi a difesa del poeta piegato nel ricordo e nella venerazione (devozione) iniziatica10 - la dulia - (come nell'evocazione di Rebecca in Satura, ma cfr. varianti, OV, p. 1047). Ma ricordo e venerazione di che cosa, se non di coloro che non sono più, che sono stati o avrebbero potuto diventare salvezza, "figure umane, angeli salvifici", mancate Rebecca, creature illusorie? L'insistenza sul disvalore del mondo è, così, legato alla morte delle muse ispiratrici, ultrafanie che il poeta ha costretto a rivivere, angeli in precariato, "inespugnabili refusi" (cfr. Laggiù, 1969, SA), che rivivono nell'angelo illusorio e totalizzante di Annalisa come nel modello donniano di Aire and angels. Allo stesso modo nell'Anatomia l'esistenza negativa del mondo, nella sua inerzia mortale, si oppone alla morte-che-vive per nutrire altre vite, secondo una comune tradizione esoterica platonico-cristiana che, in richiamo intertestuale, connota la poesia metafisica montaliana attraverso la ripresa tematica e stilistica della poesia metafisica del poeta inglese. Annalisa è dunque l'ultimo e riassuntivo angelo, nascosto nell'enigma poetico, così come il libricino chiude e riassume tutto il libro delle poesie. L'ultimo angelo ha il compito di salvare il poeta dalla storia, dalla burla del mondo incomprensibile e caotico, dal mondo della chiacchiera e del ____________ 10 - P. GIOVETTI, Rudolf Steiner. La vita e l'opera del fondatore dell'antroposofia, Milano, 1992, p. 94-97. L'opera più nota di Steiner, Teosofia, fu pubblicata in traduzione italiana nel 1938. 39 "trionfo del caduco" (della "frailty" e del "decay"), dell'inautentica quotidianità dell'esserci che si riscatta heideggerianamente nell'anticipazione della morte, nell'essere-per-la-morte; solo che in Montale il mondo prefigura un nulla negativo, distruttivo, infernale, e cioè la morte come assenza dolorosa, alla quale il poeta vuole sfuggire e il cui pensiero vuole scacciare per poter accedere ad un altro nulla, ad un mondo intermedio, beatificante, prenirvanico, forse anch'esso illusorio, ma che lo sostenga negli ultimi giorni prima del trapasso ad "altro". Per poter adempiere a quest'ultimo compito, l'angelo nascosto, inosservato - aerea figura che appare ed emerge singolare, travalicando l'umano - deve interporsi, essere ricordo, incorporare alchemicamente altre figure, così come ognuna di queste ha a sua volta incorporato altre figure. E anche qui John Donne soccorre: AIRE AND ANGELS Twice or thrice had I lov'd thee, Before I knew thy face or name; So in a voice, so in a shapelesse flame, Angells affect us oft, and worship'd bee; Still when, to where thou wert, I came, Some lovely glorious nothing I did see. ………………………………………… Then as an Angell, face, and wings, Of aire, noi pure as it, yet pure doth weare, So thy love may be rny Ioves spheare... (v. 1-6 e 23-25) ("Due o tre volte ti amai / prima di conoscere il tuo volto, o il tuo nome. / così, in una voce, in una fiamma informe, / gli angeli ci fan sentire la loro presenza, e sono da noi adorati; / perfino quando venni laddove tu eri non vidi che un amabile splendente nulla…… Come un Angelo dunque volto ed ali / d'aria recinge, non puri quanto lui, ma puri tuttavia, / così l'amor tuo può essere la sfera governata dal mio amore…" trad. G. Melchiori; ma qui quel "worshipped" potrebbe tradursi anche "venerati", in quanto oggetto di "dulia", di devozione). E il Montale del Diario del '72: "C'è chi muore per noi. E' cosa di tutti i giorni / e accade anche a me stesso per qualcuno ...... " Siamo nel cuore della riflessione montaliana, qualla sull'essere e sulla 40 catena degli esseri, della metamorfosi e della mutazione, che stringendo in un'unica trama i molti fili di una meditazione filosofico-religiosa aveva unificato suggestioni pitagorico-neo platoniche alla patrologia, ai mistici medioevali, alla dottrina ermetica rinascimentale dei poeti barocchi e dei metafisici inglesi, alla filosofia del romanticismo visionario, fino a sfociare nello scetticismo esistenziale (da Schopenauer a Kierkegaard a Chestov) e in una dottrina vagamente iniziatica, tra buddista e cristosofica che trova negli anni di Clizia, all'incirca dal 1935 al 1949 il periodo di massima tensione investigativa, dall' Estate di Occasioni (ma ispiratrice è Annetta) fino al racconto su "Clizia a Foggia" (in Farfalla di Dinard) e al "Gallo cedrone" della Bufera, quando questa gnosi viene espunta degli aspetti più apertamente teosofistici, (blavatskiani, direi: si pensi a Donne del Karma, 1952, FD). E deve tenere in equilibrio molti ricordi (e non sempre pacificati), incorporare molte figure questo essere acerbo e letificante, demiurgo ermafrodito/asessuato, vita a sua volta di molte vite: un pò giovane Eusebio e un pò Esterina, qualcosa della Nicoli e qualcosa della Volpe, e Annetta e Clizia; e poi la Mosca e poi la madre e il padre (come vedremo) del poeta; Adelheit e le amiche e gli amici che si trasferiscono mutualmente in questo duetto di vite in colloquio! "Ahimè / la mia testa è confusa, molte figure / vi si addizionano, / ne formano una sola che discerno / a malapena nel mio crepuscolo" (Domande senza risposta, 1975, QQ). Il "roccolo", il "paretaio costituzionale" (Reti per uccelli, QQ), la "rete a strascico" (SA) sono forse gestiti da questo angelo nascosto, innominato e confuso, che a mala pena si discerne, di Annalisa? Una simile interpretazione ci sembra lecita. Questo personaggio aereo e terreno, malinconico e mercuriale, è certo quella persona storica di Annalisa, la confidente, la complice, la consolatrice, e perfino, suprema sublimazione terrena, la ... figlia, cioè quella parola che al poeta ("padre all'improvviso"), non gli riesce forse di pronunziare, se quei puntini sospensivi de La foce ("ma s'attenua il timore / nell'attesa... / che mi è più familiare"), allusivi e censori - e in quest'uso sono hapax o almeno più titolati comprimari di quelli di Pietà di sè... -, indicano anche un cambio di progetto concettuale, una voluta afasia (per un nome in rima nascosta e contenuto nell'antecedente "mANNAra"? O per una rima facile con "timore"?) a sua volta nascondiglio di un ineffabile attributo, quella "figlia", risolto enigmisticamente con una perifrasi: "che mi è più familiare" = di chi amo come una figlia. Ma questa "figlia" che è parte della catena delle metamorfosi e si 41 tramuta in angelo cliziesco è la stessa che ritorna mutata in Clizia-figlia, come la Cordelia del vecchio Lear in Morgana (1977, QQ), in quel "pazzesco riepilogo" (lettera a Marchese, 15 ottobre 1977) che include fra le sue figure anche l'angelo-guerriero, con "spada e scudo", di Annalisa. Questo nuovo angelo è cosi, nella sua figurazione riepilogativa, portatore di un ulteriore significato profondo: è l'angelo intermediario con l'oltrevita, angelo guerriero e psicopompo che scorta il vecchio poeta al passo decisivo, alla "porta stretta", oltre le illusorie biforcazioni ossimoriche di chi vive e non vede: Non vi è biforcazione, ma percorso obbligato. (Mortali) Che l'angelo di Annalisa sia poi il ritorno di un angelo primigenio e archetipico, è suggerito da Montale nella fonte nascosta, rivelazione di rivelazione, dell'Apocalisse di Giovanni, il figlio adottivo ("Mulier, ecce filius tuus", Joan, XIX, 26-27). Adombrato in "Secondo testamento", il libellus dell'Apocalisse, libro "di fuoco", "di vendetta", libro "definitivo", che chiude e riapre, nell'esegesi biblica, tutto il Libro, esso stesso alpha et omega, principium et finis, diventa ermeneuticamente il modello di riferimento del nostro libricino che contiene e riapre tutto il Libro dell'Opera montaliana. L’ "oracolare tono della versificazione" che informa il visionarismo delle Silvae (penso soprattutto a Iride e a Primavera hitleriana) e in forme elusivamente dimesse allude ad un significato nascosto nella nostra raccolta, trova nel "veggente di Pathmos", in "quei che vide tutti i tempi gravi" (Par. XXXII, 127), l'archetipo ideale per il vecchio Montale. La stravolgente esegesi montaliana transcodifica il testo e chiede al lettore di ricostruire il recupero intertestuale. E' possibile che a ciò si riferisse il poeta quando in Ipotesi (1976, QQ) rivolgeva al lettore la domanda: "L'Apocalisse sarebbe / da prendersi con le molle? E' più che certo ma questo / non può insegnarsi nelle scuole". Dunque l'incomprensibile è nella storia degli uomini e delle sue istituzioni, nel mondo che travaglia così drammaticamente le esistenze e che diventa un mitologico campo di battaglia delle divinità: "Nella valle di Armaggeddon / Iddio e il Diavolo conversano / pacificamente dei loro affari... Fosse mai accaduto il miracolo, nulla era più impossibile / dell'esistenza stessa di noi uomini" (ivi). L'indifferenza gnostico-epicurea degli 42 dei non toglie che illusoriamente noi abbiamo bisogno di pensarli come interessati al nostro destino, almeno attraverso i loro intermediari E la riflessione sul mondo e sulla tragedia dell'esistenza umana, come ognun sa, non sopporta diacronie; ma pur sempre illusione e disperazione, affabulate insieme, sorgono da un humus concreto di fatti e di episodi storicamente determinati. A chi giustamente sottolinea la presa di posizione che Montale in maniera più o meno esplicita assunse nel periodo cruciale della seconda guerra mondiale, come non si potrebbe ricordare la tanto più dimessa, strenua e inconsolabile presa di posizione degli anni '70, nel periodo delle "stragi" e dell’ "orrore" (Terminare la vita, 1975, QQ)? Non a caso allora - e partendo da una sofferenza storica che si distanzia dal mondo per una contemplazione degli éschata - due figure umane (Irma e Annalisa) sono trasformate in uno stesso angelo salvifico (Michele e i suoi angeli che combattono col drago "proeliurn magnum in caelo") per poi sdoppiarsi daccapo simbolicamente in una rilettura, sì che tanto più si distanzia dalla storia quanto più in essa si attualizza, del testo profetico, in una profezia a posteriori, nell'angelo del libellus e nell'angelo del Liber. Et vidi aliuni angelum fortem descendentem de caelo, amictum nube et iris in capite eius, et facies eius erat ut sol et pedes eius tamquam colurnnae ignis: et habebat in inanu sua libellum apertum: et posuit pedem suurn dextrum super mare, sinistrum auteni super terram..." (Ap., 10,1). Illustrato da una famosa xilografia dell'Apocalypsis cum figuris del Dürer, questo versetto traspare significativamente in Finisterre. Scrivendo a Gianfranco Contini in occasione della pubblicazione della raccolta, il 21 aprile 1943, il poeta cosi. commentava: ",... ma non tutte le liriche sono di argomento apocalittico e così dovrai dirmi subito se il libruccio può reggere un simile titolo" (Tutte le poesie, a cura di G. Zampa, Milano, 1984, p. LXXII). Così in Iride (1943-44, BU): Perchè l'opera tua (che della sua è una forma) fiorisse in altre luci Iri del Canaan ti dileguasti in quel nimbo di vischi e pungitopi... per continuare come "messaggera del suo dio", nell'infuriare della "tortura e dei lamenti" nell'Orto e per specificarsi ancora una volta nel "cieco sole 43 che in te porti" di Primavera hitleriana (e qui con un ulteriore riferimento ai "sette angeli" dell'Apocalisse, oltre che all'arcangelo Gabriele). Ma a questo stesso versetto, che segnala la visione di Clizia nella Bufera, si richiama cripticamente l'incipit di Nel giardino per eluderci o per confermarci sulla natura angelica di Annalisa - Annetta - Clizia: Discendi dal gran viale e ti sovrasta un cielo azzurro estivo. Una nuvola bianca di lini rinfresca la canicola al tuo arrivo... L'arcobaleno, l'aureola, l'iride (ma poi = Iride, messaggera degli dei), la nube luminosa (il nimbo), il sole di Clizia si riaffacciano, nell'angelo di Annalisa, attraverso la ripresa del verbo "discendere", del "cielo", della "nuvola" bianca del vestito ("amictum nube") e della "canicola" (-> il sole). A questo punto Montale si produce in uno sdoppiamento di angeli; e non si può sottacere il fatto che questo angelo che ha "in manu sua libellum apertum" sia in raffronto, nel testo giovanneo, con un altro angelo (Ap., 5): "et vidi angelum fortem praedicantern vocem magnam: Quis est dignus aperire librum et solvere signacula eius? ". Nell'esegesi biblica il libellus apocalittico chiude e apre (Ap., 3) il Liber: e nel nostro caso? Si è portati a dare questa interpretazione estensiva, che ci pare ermeneuticamente e filologicamente corretta: come il libellus, il libricino, "faciet amaricari ventrem tuum sed in ore tuo erit dulce tamquam mel" (10,9) per la sua natura enigmaticamente leggera in apparenza ma terribilmente seria nella sostanza svelata, così, tramite questo libellus, il Liber dell'Opera potrà essere sciolto dei suoi sigilli. I riferimenti all'Apocalisse non finiscono qui, ma ora è tempo di sottoporre ad indagine tutto il testo di Nel giardino e, con esso, il significato ancora più riposto dell'angelo: "et vidi angelum fortem descendentem de caelo..." NEL GIARDINO Discendi dal gran viale e ti sovrasta un cielo 44 azzurro estivo. Una nuvola bianca di lini rinfresca la canicola al tuo arrivo. Ci sediamo sulla solita panchina. Poi d'un tratto un soffio di vento e la tua paglia comincia a turbinare. L'afferri, ti risiedi. L'ala del grande pino marino come vela spiegata ci trascina. Vorremmo bordeggiare da questo litorale tutta la costiera, giungere in un duetto di nomi, di ricordi fino a Nervi. Ma il sole già declina, diffonde il suo lucore in raggi obliqui, dispare, torna, e la memoria di sere uguali raddoppia gli orizzonti, traduce in altri giomi quel momento fugace che scompare. Ora anche il vento tace. La serie di rinvii agli Ossi (Clivo, I morti, Arsenio, ecc.), già accennata nelle pagine precedenti, mostra come la situazione di questa poesia ricalchi il topos giovanile della "descensus ad inferos", ma con esito capovolto: qui c'è una trasvolata angelica, un'ascensione. Un angelo discende per ascendere. L'angelo si manifesta, nel reticolo dei rinvii intratestuali, come angelo della morte beatifica in opposizione al demone distruttivo e infernale della morte come nulla, come inidentità assoluta, catastrofe, cancellazione del ricordo e ritorno del mondo caotico. L'illusione realistica della donna, affidata stilisticamente ad una elusiva serie paratattica che scandisce gli eventi spazio-temporali, viene messa in forse dalla luminosa ambientazione e poi alleggerita dalle metafore-ipotiposi della nuvola di lini, dell'ala del pino, quasi in contrasto con la progressiva smaterializzazione dei referenti in simboli, mentre il sole descrive la sua parabola dall'ora canicolare al tramonto. Ma in effetti anche qui è una apparizione, una visitazione: discesa di un angelo per un ulteriore viaggio nell'oltrevita. L'immagine di tenera, favolosa freschezza utilizza, capovolgendone gli esiti, un immaginario che troviamo, come angosciata presenza di fantasmi 45 ("larve rimorse dai ricordi umani"), nella poesia arlettiana de I morti (1926, Ossi): il "mare", il "nembo" [di spume], il "viale che discende oltre lo sguardo", l’ "azzurro", il "turbinare", i "ricordi", la costa, i "voli", i "rami cedui". Se il duetto dei nomi e il raddoppio degli orizzonti sono una spia, essi sono anche riferibili testualmente a questo gioco di contrappunto fra più voci di cui ora riscontriamo la prima (Nel giardino) e la seconda (I morti), senza dimenticare le consonanze con Arsenio negli Ossi e Scendiamo la via che divalla in Poesie diverse. Nella poesia I morti, la morte vuole perversamente rivivere nel ricordo; nella poesia Nel giardino, il ricordo placato aspira alla morte. Ma "nomi" sono anche le ispiratrici: la prima è evidentemente Arletta-Annetta; ma Nervi ci riporta anche alla madre del poeta, Giuseppina Ricci, nativa di quel luogo; il duetto di nomi in simmetria di testi, situazioni e, anche, di significazioni capovolte. A queste due prime voci, la sovrapposizione testuale dell'Apocalisse, terza voce, aggiunge spessore simbolico e veicolo all’ "interposta persona", la figura-angelo di Annalisa (Annalisa-AnnettaClizia). Interferiscono dunque: il poeta vecchio e quello giovane degli Ossi, Annetta e i morti, Annetta e la madre, Clizia, Clizia angelo, Annalisa, Annalisa angelo, Annalisa e Clizia angeli dell'Apocalisse. Non è soltanto l'incipit della poesia a riprendere i versetti iniziali del capitolo 10 dell'Apocalisse, già ripreso a sua volta in Iride, L'orto, e in Primavera hitleriana, ma l'angelo del libellus giovanneo, che poggia i suoi piedi di fuoco sul mare e sulla terra, e con la destra indica il cielo (Ap. 10,3), qui "bordeggia" (sta cioè tra mare e terra) e arretra la sua presenza, ricontestualizzandola, fino alla poesia degli Ossi, mentre il fremito delle ali si referenzializza nel turbinio della falda del cappello di paglia, e in un crescendo sublime di metafore ("et statim fui in spiritu", 4,2) la chioma del pino marino ("lignum vitae", Ap. 21,10 e 22,2)) è vela, ala per un volo mistico a due, quasi chagalliano, sul paesaggio della giovinezza e dell'infanzia, dove il poeta ritrova gli archetipi femminili di Annetta e della madre. Questo volo edipico all'indietro è, nello stesso tempo, un volo verso l’ "oltre": "quia tempus non erit amplius" (Ap., 10,6) e "nulla di buono è mai pensabile nel tempo" (Ai tuoi piedi, 1976, QQ). Ora questo "oltre" è, sì, AVERNI (<A NERVI: è l'artiglio di Agosti)11, ma anche E NIRVANA ____________ 11 - S. AGOSTI, Un affabìle Montale che sfiora il paradiso. Un nuovo blocco di liriche lasciate dal poeta, "Corriere della sera", 27 novembre 1988. 46 (< fiNO A NERVI, tenuto conto della sinalefe e della conseguente / a / lunga), anche qui perdizione e salvezza, angelo chiaro e nero (baudelairiano "Tete-à-tete, sombre et limpide / ... Puits de virité clair et noir", L'irrémédiable), baratro ed eliso, dragone e Michele. Ma la presenza dell'angelo decide sulla biforcazione: è l'angelo per l'oltre vita, è l'immagine della morte come nulla beatifico. Il suo colore è il bianco, il colore degli angeli e dei beati (Ap. 3,4; 3,18; 7, 13-14), il colore funebre indiano, il colore di Emily, il colore-indizio di Clizia (Rebay, 1969, p. 45), il colore di Annalisa (Immobilità, 13 e 60-61). Ed è il colore dell'integrità fisica e spirituale; di quell’ "illibato senso del vivere" difeso fino alla morte di fronte al "pattume" del mondo, rievocato nel richiamo al monumento funebre di Antonio da Rossellino, che ora comprendiamo nella sua profondità intertestuale, popolato com'è, nel candore dei marmi, di angeli, presenze numinose del ricordo, coro delle metamorfosi del divino in presenza del trapasso: "E certamente a chi la [sepoltura del Cardinale] considera pare impossibile, non che difficile, che ella sia condotta così; vedendosi in alcuni Angeli che vi sono tanta grazia e bellezza di arie, di panni e d'artifizio, che è non paiono di marmo, ma vivissimi. Di questi, l'uno tiene la corona della verginità di quel cardinale, il quale si dice che morì vergine, l'altro la palma della vittoria che egli acquistò contro il mondo"12. La "nuvola bianca dei lini" (già indizio del numinoso in Montale: cfr. "come un dio in una nuvola bianca", in Il lieve tintinnio del collarino, 1943) che veste Annalisa, angelo della morte beatifica, si oppone alla "canicola", all'immagine del fuoco, in ripresa non solo dell'ossimoro cliziesco (fuoco di gelo, fuoco e sinibbio, ecc.), ma recuperando un archetipo giovanile: "Calore e color rosso = vita Freddo " " bianco = morte" di Quaderno genovese (8 febbraio 1917)13. ____________ 12 - G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori, da Cimabue insino a' tempi nostri, a cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, 1986, p. 412. 13 - E. MONTALE, Quaderno genovese, a cura di L. Barile, con uno scritto di S. Solini, Milano, 1983, p. 14; v. anche la nota della curatrice alle p. 110-111. 47 Per altri aspetti, seguendo Vernant (come è già stato tentato dalla De Angelis per Leopardi, ma in direzione diversa) Annalisa è l'immagine artemisia della morte, cioè Annetta, è la Vergine, la Parthénos (cfr. Potius mori..., Emily), il cui dardo causa omericamente una "tenera morte"14. Ermeneuticamente quest'ultima indicazione potrebbe apparire alquanto forzata sul contesto; se non fosse che la presenza di Artemide (a non tener conto di Diana-Esterina in Falsetto) come divinità questa volta tragica, scura, degli inferi, come Ecate, figura nella Bufera (La frangia dei capelli, 1941: "... l'ala onde tu vai / trasmigratrice Artemide [= Arletta] ed illesa, / tra le guerre dei nati-morti "), in cui sembra organizzarsi una stessa situazione iconica (apparizione, strada, cielo, volo, nubi, mare [in analogia]). A questa Annalisa-Michele-Erines-Artemide è affidato dunque il compito di condurre il poeta alla foce, o, retrocedendo, alla giovinezza e poi all'infanzia fino al grembo materno ("a Genova" variante di "a Nervi"), perchè il cerchio della rappresentazione terrena si chiuda al tramonto, nel silenzio, nella fine dei tempo (con riecheggiamento ungarettiano: cfr. Cori descrittivi di stati d'animo di Didone, III). Tuttavia la fine del tempo è inizio di un'esperienza d'oltrevita, se il volo del vecchio-bambino 15 è anche prefigurazione della metamorfosi ultima, dell'approdo ad una nuova condizione beatifica e se il titolo, fortemente faustiano (Nel giardino -> Faust, prima parte, Il giardino: «Marta -… E la nostra coppietta? Mefistofele, - Ha preso il volo verso quel viale. Liete farfalle!»)16, ma non solo goethiano, ma a ramificazione culturale e tematica complessa, con una speciale, credo, predominanza di richiami operistici, e cioè berlioziano, gounodiano, boitiano, ecc., diventa una trascrizione realistica e mondana di quel punto asintotico che è il mondo intermedio; ____________ 14 - J. P. VERNANT, La morte negli occhi. Figure dell'Altro nell'antica Grecia, Bologna, 1987, p. 19. Per Vernant Artemide è figura dei congedo, "non combatte, guida e salva" (p. 27), "dai margini dove regna, ella prepara il ritorno al centro" (p. 33). 15 - Sulla polarità-identità di questo archetipo v. J. HILLMAN, Senex et puer, Venezia, 1990. La doppia figura deve intendersi più propriamente come figura della transizione (p. 22-23). Per i "voli" dei puer v. p. 61-62. Sul percorso "a parabola" giovane-adulto-vecchio in Montale, G. Lonardi, il Vecchio e il Giovane e altri studi di Montale, Bologna, 1980, p. 105-106. 16 - «Marthe: Und unser Parchen? - Mephistopheles: Ist den Gang dort aufgeflogen Mutwillge Sommervögel!». La traduzione è di G. V. Amoretti (W. Goethe, Faust. Urfaust, vol. I, Milano, 1987, p. 162-165). 48 un sincretico luogo dell'apocatastasi, eliso, eden, nirvana che è appunto l'intermezzo montaliano, nel contempo ricordo e recupero di un paradiso perduto, luogo dell'innocenza e della purezza cui è possibile giungere, nell'iconografia alchemica e nella topica culturale occidentale "attraverso una porta stretta e soltanto a condizione di aver superato grandi fatiche e difficoltà"17: "Ego sum ostium. Per me si quis introierit salvabitur et ingredietur et egredietur et pascua inveniet" (Johan., 10,9). E le parole dell'evanglista sono a capo di una trafila eidetico-letteraria che ci conduce alla porta purgatoriale per giungere all'Eden e, sin dagli Ossi, a quelle "malchiuse porte" che immettono agli "alti Eldoradi". Il "locus arnoenus" del giardino sprofonda ben presto nell'intratesto del Libro, da luogo letterario diventa un vero e proprio luogo della memoria: "E’ curioso pensare che ognuno di noi ha un paese come questo, che sia pure diversissimo, dovrà restare il suo paesaggio, immutabile; è curioso che l'ordine fisico sia così lento a filtrare in noi e poi cosi impossibile a scancellarsi". (Dov'era il tennis, 1943, BU) E ancora: "Quand'ero ragazzo io, villeggiare... voleva dire la casa paterna, l'orto, il giardino, l'acqua del pozzo ...... " (Mutazioni, AF, p. 87) E’ in questo luogo che sono convocati il giovane Eugenio de La fine dell'infanzia (1924), Arletta di Vento e bandiere (1928) che riproducono, in parallelo con I morti, la stessa situazione di Nel giardino (vento, mare, cielo, scompiglio dei capelli, il "sommesso alito del giardino", l'amaca [cfr. ora la panchina]; il [non] raddoppio dei tempi, il vespero) a sua volta già riscontrata nelle variazioni di Tempi di Bellosguardo (1939), (il brusio della sera, gli alberi, il cielo, i giardini pensili: "mondo sorpreso come sorpresa immobilità", Montale, Commento a sé stesso), di Dov'era il tennis, 1943, (i pini selvatici, lo "sciacchetrà" , le "due sorelle, due bianche farfalle", il giardino, i personaggi defunti, il padre nella sera, ecc.) e de L'orto (1946) di Annetta-Clizia. ____________ 17 - [H. BIEDERMANN]. Enciclopedia dei simboli, Milano, 1991, p. 226 ( alla voce: giardino). V. ancora la voce: porta nell'Enciclopedia cit. e in J. CHEVALIER, A. GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, Vol. II Milano, 1987, ad vocem. 49 Ma se questi di Arletta sono i referenti primari, più lenti ma pur presenti sono quelli del giardino con il ciliegio di Volpe (Incantesimo, 1954, BU) e del giardino della pensione Annalena di Clizia (Previsioni, 1977; Clizia nel '34, 1980, AV). A questi elementi intertertestuali interni, devono poi aggiungersene altri, esterni, che rinviano ad un unico campo semantico: Twicknam Garden di John Donne, già notato da Cambon per Clizia-ragno 18 dove il giardino è paragonato al paradiso; i giardini di Guillèn, poeta caro anche ad Annalisa, dove vengono evocate la "trasparenza / di sere unite insieme per l'eterno" e l'infanzia (I giardini, 1931, QT) e soprattutto la panchina dei morti, dei fantasmi di Garden seat, sempre nel Quaderno di traduzioni, di Thornas Hardy (Vecchia panchina, pubbl. 1975) poeta che com'è noto influì profondamente sull'ultimo Montale per le sue scelte stilistiche e tematiche (cfr. SP, 1968, p. 527-529). Infine che l'angelo con-fuso di Annalisa-Annetta-Clizia sia l'angelo della morte, viene evidenziato indirettamente da un altro testo del libricino che riguarda specificamente il significato di "imperatrice" di Quando sarai imperatrice (1973): Quando sarai imperatrice due amici contenderanno il tuo fianco in veste di ministri consiglieri. Ma nulla torna se non il rombo lumeggiante dei motori. Mi sorprende la vita stessa in quest'ora, amica l'ala del destino ignora se tra gli assenti noi saremo insieme. Ora, la funzione predicativa di "sarai imperatrice" risulta priva di senso adeguato ove: 1) la copula al futuro non si colleghi ad uno stato di assenza, cioè di morte (cfr. gli ultimi due versi); 2) il nome "imperatrice" venga adoperato come semplice sinonimo di castellana o quissimile del castello____________ 18 - C. CAMBON, Eugenio Montal's poetry. A dream in Reason's Presence, Princeton, 1982, p. 196. 50 falansterio (L'esegeta, 1972), di questo luogo-non luogo elisio, illusione follia fantasia che Montale dir voglia, pur se tuttavia mutuava in poesia un sogno ad occhi aperti fra il poeta ed Annalisa19. In effetti l'imperatrice si lega a doppio filo con Annalisa lettrice di Emily e lei stessa "Emily della lombarda alta borghesia" (1971-1974), dal momento che Imperator, Old Imperator, per la Dickinson, è apposizione-ipotiposi di Death! Triumph - may be of several kinds – There's Triumph in the Room When that Old Imperator - Death – By Faith - be overcome. ("Molte forme può avere - il trionfo - / C'è trionfo nella camera, / Quando l'antica imperatrice - morte / E' vinta dalla fede" Trad. G. Errante in E. Dickinson, Poesie, Vol. I, Milano, 1956, p. 442-443). In tal modo risulta congruente il "noi" attribuito ad Annalisa e ai due "ministri-consiglieri", dignitari di provenienza giovannea ("et ambulabunt mecum in albis, quia digni sunt, Ap., 3,4), tutti e tre coinvolti nell'assenza. L'ultimo verso è tuttavia equivoco, perchè non scioglie il significato del "noi" (noi "tre" o noi "due"? e se "noi due", "noi due" chi? Di contro nell'Investitura il poeta affronta da solo gli "abissi di silenzio"). Ancora di questa poesia si può dare altro e complementare scioglimento enigmistico-iniziatico che converge sul significato tanatologico del testo. Se "fianco" non è metonimia, quel singolare può riferirsi al lessema "imperatrice", già ricodificato, ma ora inteso nella sua fisicità fonica di significante. In tal caso si aprirebbe con "ImperatrICE (ICE che diventa "fianco" della parola, e confusione cliziesca dal tedesco [Brand]EIS all'inglese ICE) una serie di logogrifi che investirebbero MOToRI (=MORTI) e "tra gli asSEnti noi SAreMO inSieMe" (SE-SA-MO) che alludono a SEgre [SA ... = iniziale di un nome che è nascosto] e MOntale (SESAMO) che formano titolo equivoco di una raccolta poetica di Annalisa Cima: Sesamon del 1977. L'unica obiezione, che soltanto la destinataria può sciogliere, è se nel 1973, data di composizione della poesia, il poeta fosse a conoscenza della seconda misteriosa presenza (il SA), in ogni caso non denunciata nel testo; o, se bisogna mantenere la presenza ermetica di SA, ____________ 19 - Conversazione con Annalisa Cima. 51 questa sia da interpretarsi come verbo: SEgre SA MONtale20. Per cui la lettura (le letture) potrebbe(ro) essere: Quando sarai (arcangelo della morte) (Ecate) (fredda di gelo), due amici faranno a gara nello starti accanto. Qui sulla terra, di quel mondo non arriva se non un cupo indistinto rumore, interrotto dal barbaglio dei morti che ritornano nella confusione del ricordo. Ora, (in questo momento) la vita con sorpresa non mi opprime (oppure: con sorpresa mi sento ancora vivo; benevolo) il destino ignora se noi, Segre ed io, saremo insieme. Scritta nel 1977, Die Fledermaus chiude (almeno finora) il tempo della figurazione angelica di Annalisa che si era aperto, otto anni prima, con Mattinata (1969). L'apparizione del personaggio, in entrambe le poesie, si staglia pittoricamente, come una sinopia ripetura, nel riquadro di una porta, in sull'uscio, denunciando nella ripresa realistica dell'icona l'origine giovannea - con tramite dantesco - del “liber propheticus”: “Sulla porta si profila un'aerea figura” (1969), “Indugi sulla porta nell'entrare” (1977): “Ecce, dedi coram te ostium apertum, quod nemo potest claudere: quia modicam habes virtutem, et servasti verbum meum et non negasti nomen meum” (Ap. 3,8); “Ecce sto ad ostium et pulso: si quis audierit vocem meam et aperuerit mihi ianuam, intrabo ad illum et cenabo cum illo, et ipse mecum” (Ap. 3,20). Ormai, quasi al termine del suo Libro, il poeta può gettare la bottiglia in mare, può distruggere, lui “che apre e nessuno chiude; che chiude e nessuno apre”, la chiave. Ma prima il Vecchio dovrà attraversare il tratto più aspro del ritorno all'infanzia, saldare il cerchio nei due capi che sembrano respingersi, sfuggirgli continuamente alla presa. E' l'abbandono della a lungo sofferta, ricercata, bramata complementarietà col femminile. Tutte le figure sono state percorse e fuse; ora, alla stretta finale, c'è solo il termine del viaggio nella metamorfosi più arcana di quell'incerto, nell'identità, sempre elusa, irrisa, respinta, col maschile, con il padre e con Dio. E già un passo era stato mosso quando il poeta si era sorpreso a desiderarsi padre: ora quella figlia-angelo lo attende alla porta del giardino, ma prima di attraversarla deve infrangere lo specchio che la occlude. ____________ 20 - Conversazione con Annalisa Cima. 52 DIE FLEDERMAUS Indugi sulla porta nell'entrare, sei come uno smarrito adolescente. Con una aureola di cerchietti fumiganti - ti circonfondo. Oggi siamo ambedue convalescenti faremo un nouveau jeu: canterò un brano che dovrai indovinare: Fa re mi mi sol. Il titolo, il titolo, su presto. La vedo un pò confusa balbetta qualche cosa. Poi tutto d'un fiato: il pipistrello. Signora mi dispiace, il tempo consentito è già passato. Considero Die Fledermaus poesia da leggere in simbiosi con Nel giardino. I primi quattro versi, introduttivi, sono ripartiti in due distici che definiscono la situazione mitico-realistica dell'angelo. L’ “aerea figura” di Mattinata si umanizza nello “smarrito adolescente”, attraverso tecniche di mutazioni e raddoppi già indicati: l'angelo nell'ermafrodito e Annalisa nel giovane Eusebio, lo “smarrito adolescente” della “guarigione prematura” di Riviere (“Rammento l'acre filtro che porgeste / allo smarrito adolescente, o rive: / nelle chiare mattine si fondevano / dorsi di colli e cielo; sulla rena / dei lidi era un risucchio ampio, un eguale / fremer di vite / una febbre del mondo; ed ogni cosa / in se stessa pareva consumarsi”, 1920, Ossi). Poi ritorna l'icona giovannea dell'iride (l'aureola) e della nube (cfr. Mattinata e Nel giardino), unificati questa volta nel realismo dei cerchietti luminosi di fumo, nubecole che circondano il viso dell'angelo-adolescente. Nella seconda quartina la scena cambia. Anche qui due distici che introducono, con sapientissima economia espressiva e in paratassi fulminante, il dimesso quadro di un colloquio quotidiano in un interno borghese: il metalinguaggio della chiacchiera del “come stai?”, l'aggiramento di una stanchezza arresa attraverso un tentativo di comunicazione, un passatempo, un gioco, se vuoi salottiero, meglio se, vuoi paterno, nella gerarchia familiare di una volta dei “grandi” e dei “piccini” che continua nel rap53 porto maestro-discepolo, la polarità senex-puer21. Poi un fascinoso, gallicizzante, “nouveau jeu”, che dia modo al genearca di sciogliere l'ascosa resistenza del trascorso: un canto giovanile, poche note, ancor più misteriose. Una terza quartina indi si frange: prima un verso isolato, un distico, un altro verso ancora (a bb a) e la scena cambia di nuovo, si modernizza, si mimetizza nella parodia della retorica e dell'immaginario televisivo, il modo odierno del comunicare per geminazioni asindeto stile nominale. Un colpo di magia e il vecchio Eusebio diventa un Mike Bongiorno, l'angeloadolescente-figlia un concorrente. La risposta è affannosa, imprecisa, tardiva. Nè vale nel distico di clausola, per cancellarne la sanzione, l'attenuazione del verdetto negativo. L'interpretazione letterale del testo, se sottoposta ad un ulteriore sondaggio, si apre ad una diffrazione di significati che, al solito, sono filtrati dal criterio illusorio-elusorio dell'indovinello (in questo caso il classico quiz) e dell'intertestualità. Chiave per la soluzione dell'enigma è, evidentemente, la citazione musicale del “fa re mi mi sol”. Essa è da ritenersi fedelmente riprodotta nella notazione sillabica sia per l'indiscutibile competenza dell'autore, sia perchè non è credibile che un enigma sia proposto con citazione a memoria. Anzi il lettore è ulteriormente scoraggiato dall'assenza, per altro consueta nella lettura di solfeggio, di riferimenti a possibili alterazioni delle note. La cellula melodica, di sofferta agnizione (quasi a segnare una distanza dal popolare “do re la sol sol” delle Occasioni, e in inversione di rapporti culturali col contesto) conferma il sospetto sull'ingannevole esposto straussiano: non si tratta della Fledermaus. L'esclusione dell'operetta chiama tutti i chirotteri, in referenza e in metafora, all'appello. Se nel primo caso il campo può essere estremamente limitato, nel secondo si apre a una serie di riferimenti che, in mancanza di una specifica competenza musicale o di un colpo di fortuna, rendono quanto mai impervio il riconoscimento. Un elemento di cui tener conto è tuttavia quel “nouveau jeu” (cfr. il “gioco” [enigmistico] di Incontri e di Tempo di distruzione che giustificherebbe il “nouveau”), preziosa indicazione enigmistica per suggerire un'area geografica di indagine: dovrebbe cioè trattarsi di un'opera o un'operetta di autore francese o scritta in ___________ 21 - J. HILLMAN, Senex et puer cit., p. 70. 54 francese o che comunque abbia qualche relazione con la Francia. Altro elemento da considerare è l'uso della minuscola nelle iniziali del titolo proposto. Se il “pipistrello” è usato in senso denotativo, oltre Die Fledermaus di Strauss, è da prendere in esame la “chauvesouris” de Venfant e les sortilèges di Ravel, molto apprezzato del resto da Montale22 e oltre tutto facilmente ritematizzabile (la madre, il bambino, il giardino, le metamorfosi degli oggetti, gli animali-simbolo); ma, ahimè, nè puntualmente il brano del pipistrello, nè l'intera partitura dell'opera ci vengono in aiuto. Nè ci aiutano, per quanto ne sappiamo le zoologie più o meno fantastiche, i bestiari in musica da Chausson a Canteloube a Saint-Saens, allo stesso Ravel a Poulenc, allo Stravinskij francese e neoclassico, che dalla fine dell'Ottocentoo al periodo entre-deux-guerres caratterizzarono il simbolismo e postsimbolismo musicale francese e da cui non scarse suggestioni trasse la fauna (l'avifauna) montaliana. Ma se il pipistrello è usato in metafora, o come è probabile, con uno scarto di significato enigmografico (e Die Fledermaus diventerebbe l'esposto), il percorso logico di una soluzione di ritorno per riconoscere la citazione musicale diventa disperante, ma in ogni caso “esiste” ed è di per sé portatore di significato. Allo stato, dunque, possiamo suggerire cinque allegorie di significato, basandoci solo sull'intertesto letterario e interno all'opera dì Montale: 1) il pipistrello (femm. chauversouris, Fledermaus) è autoironicamente riferito al poeta come “topo” (souris, Maus) con le ali: cfr. “Botta e risposta”, I, 1964, Satura: “ora sai che non può nascere / l'aquila dal topo”; 2) il pipistrello è riferito all'angelo-Annalisa che si umanizza, perde il suo alone mitico, al termine di un ciclo poetico: il pipistrello è l'angelo decaduto, degradato, capovolto in anima nera o in demone; oppure in una “signora” borghese; 3) il pipistrello è annunzio ambiguo del crepuscolo della vita e dei tempi: cfr.: “il fischietto del pipistrello ci parrà la trombetta del dies irae” (Le ore della sera, 1976, QQ); “Quando il fischio del pipistrello / sarà la tromba del giudizio” (1977 o 1978, AV); 4) il pipistrello è presenza di Mosca (cfr.:”... non sapevamo di essere visti dal tuo radar di pipistrello”, Non ho mai capito se io fossi, 1965, SA; ____________ 22 - E. MONTALE, Prime alla Scala, Milano, 1982, p. 240-241. 55 e ancora, probabilmente “Il pipistrello” di FD) e più debolmente, credo, dell'ispiratrice (Paola Nicoli o Annetta) di Marezzo, 1925, Ossi; 5) il pipistrello è presenza ambigua del padre (cfr. “Il pipistrello “ di FD, già pubblicato col titolo “Notte difficile” in “Corriere della sera”, 19 ottobre 1948) a sua volta cultore di giochi enigmistici che costituivano “elemento di coesione” col giovane figlio Eugenio (cfr. “Racconto di uno sconosciuto” già in “Corriere di Informazione”, 20 gennaio 1946 e ora in FD). Vedi inoltre Dov'era il tennis in Occasioni (dove lo “scialle di lana” può diventare in metafora un chirottero [in Voce giunta con le folaghe, 1947, BU non a caso forse, “senza scialle”]) e la Variazione 18, 1970 (dove il padre appare nel sogno “in vestaglia”)23. Per quel che può valere, in mancanza di una soluzione dell'enigma, tenderei a mantenere il polisenso macrotestuale, ma con una predilezione congetturale per il punto 5, quello del padre del poeta. In ipotesi questa nuova figurazione entrerebbe come presenza complementare e necessaria accanto a quella della madre, nascosta nel riferimento di “a Nervi” della poesia Nel giardino. Il movimento induttivo, però, a generico senso tanatologico, si carica di troppi richiami demonici, angelici, genitoriali, affettivi, ecc. che tematizzano copiosamente la storia del melodramma e dell'operetta la quale, pur a restringerla all'ambito francese, spazia attraverso troppi autori (da Gluck a Thomas, da Gounod a Berlioz, da Massenet a Verdi (“Traviata”) a Puccini (“Il tabarro”, “La rondine”) a Stravinski (“Historie du soldat”); a Hoffenbach e ai suoi tanti eredi. Il mancato scioglimento dell'indovinello, come il lettore comprenderà, ci impedisce di insistere sull'argomento: sicchè, nonostante il testo di questa poesia ci abbia depistato in lungo e in largo con gran “divertimento” del suo Autore, il mantenimento di un ruolo ermeneutico dei punto 5) rappresenta, pur nella sua oggettiva referenzialità, un'ipotesi rischiosa. L'Enigma Se gli enigmi, entro cui il poeta ha nascosto i fenomeni dell'Essere, sono svelati, nulla rimane al lettore se non quelle mere rappresentazioni; ma se queste a loro volta, come un'allegoria della vita, in una concezione ___________ 23 - E. MONTALE, Trentadue variazioni, Milano, 1987, p. 55-57, spec. p. 55. 56 figurale che a poco a poco trapela, attraverso un intermediario numinoso, ci riportano nella trasmutazione delle esistenze al punto originario, all'essenza prima dell'Essere inconoscibile, il percorso degli enigmi diviene perciò stesso un percorso all'Enigma, al “puzzle fondamentale”. Questo è il significato profondo del libricino. E così l'anello si richiude nel nome del Padre: una fine-inizio, una riconciliazione con i tempi di una esistenza, di una vita e delle molte vite che la compongono: un movimento che ritorna all'immobile indentità del maschile (dal padre al Padre) e che coincide con la fine del Tempo, con quell'azzeramento di ogni dimensione storica che segna il passaggio. E' l'attraversamento della porta dal Tempo-ricordo, dal Tempo-occasione, dal Tempo-passato al dissolvimento del tempo come “nozione esecrabile” (Quartetto, 1979, AV), perchè si ritorni al “varco”, alla “maglia che non tiene”, alle “malchiuse porte” degli Ossi giovanili: verso il “giardino”. Il clou sin dal titolo rappresenta una resa, il termine di una lotta e, forse, il riconoscimento della sua inutilità nel ricorso-soccorso ad un grande archetipo: all'Artefice, al Calafato, al Principe della Festa, a lungo circuito ed eluso: punto della convergenza, Congettura suprema della catena degli enigmi. Nello stesso tempo la poesia sembra ripercorrere (ma è ipotesi che necessita di puntuale verifica) il tormentato itinerario di un assillo esistenziale-escatologico che, iniziando dalle note letture di Schopenhauer, di Nietzsche e di Chestov, e dagli influssi spiritualistico-evoluzionisti del vitalismo di Bergson e del modernismo di Loisy (e di padre Trinchero) degli anni giovanili, si approfondisce, nella Firenze degli anni di Clizia, in una rinnovata riflessione di più nascosto carattere iniziatico, nella quale, se non erro, l'influsso delle “études traditionnelles” di Guénon (e, poi, di Coomaraswamy, autore caro alla Brandeis), le quali si incentravano sulla tesi della “trasmutazione” psico-spirituale, prevale sulla credenza della metempsicosi come reincarnazione, di più marcata derivazione martiniano-teosofica (Papus e Blavatskij). Registrerei tuttavia un punto di frattura dopo il 1938 (l'anno delle leggi razziali, della crisi prebellica e della partenza di Clizia dall'Italia: se gli indizi testuali ci fanno leggere qualcosa nel “rornance” tra Irma ed Eugenio), - o almeno una più evidente oscillazione dottrinale ove, nell'emergere di una visione cristosofico-angelologica (antroposofica: Steiner?) si manifesta altresi una tensione verso la “(re)incarnazione” che investe tutti gli anni quaranta, prima nella produzione poetica (dove però si scioglie più 57 indistintamente nella alchemica “mutazione”) e poi nella prosa di riflessione e nella produzione narrativa, fino alla sua irrisione ed espunzione tematica (1949-1952), come contenuto degradato dal consumo essoterico e dai comportamenti “di moda”24. Ma in generale i due temi (della reincarnazione e della trasmutazione) continueranno ad intrecciarsi per mantenersi nel concetto mediano della metamorfosi, della mutazione. Si pensi a Retrocedendo, a Trascolorando, a Il tuffatore (DI 71) oppure a A Pio Raina, a A ritroso (1974, QQ); o si pensi alla traduzione-addatamento (1973) di quell'alchemica, terribile apocalittica Transfiguration di Djuna Barnes25: la poesia del ritorno dei tempi, quasi un film che si riavvolga all'indietro (e collegata al filone ermetico della poesia anglossassone, dagli elisabettiani ai Four Quartets ___________ 24 - Si considerino, a titolo di esempio e con l'ausilio di G. SAVOCA, Concordanza cit, i seguenti lemmi-spie: INCARNARE (4 occorrenze: 3 in BU, I in DI 72) l'iddia che non s'incarna, i desideri, Gli orecchini, v. 7, 1940 BU di demoni incarnati, in fronti d'angiole, L'orto, v. 48, 1946, BU può incarnarsi se ai piedi della statua, So che un raggio di sole (di Dio?) ancora... v. 2, 1949, BU quando s'incarna è lampo che si abbaglia, Annetta, v. 44, DI 72 MUTARE (24 occorrenze: 4 in Ossi, 7 in OC, 4 in BU, 3 in SA, 3 in DI 71 e 72, 2 in QQ, 1 in AV, fra cui:) invano può mutarsi in alcunchè, Il ramarro, se scocca.... v. 26, 1939, OC che muta ed ignora: altra morte, Derelitte sul poggio…., v. 26, 1939, OC Ma se ritorni non sei tu, è mutata, Iride, v. 40, 1943-1944, BU pure restando bipede mutarsi, Il furore, v. 5, 1975, QQ e mi fece comprendere che il mondo era mutato, I nascondigli, v. 28, 1978, AV REINCARNARE (1 occorrenza) stupisca che il tuo fiore si rincarna, La danzatrice, v, 20, DI 72 RINASCITA (1 occorrenza senza accorgersi ch'era una rinascita, Ho tantafede in te, 1979, AV TRASFORMARE (5 occorenze: 1 in Ossi, 2 in BU, I in SA, 1 in DI 71) vedi che si trasforma questo lembo, In limine, v. 8, 1924, Ossi si trasforma) dev'esser continuata, Iride, v. 45, 1943-44, BU cerchio che tutto trasforma,“Ezekiel saw the Wheel….” v. 18, 1946, BU cancrene universali che trasformano, La morte non ti riguardava.... v. 14, 1967, SA la foce di Bisagno dove ti trasformasti in Dafne, Postilla a “Una visita”, v. 7, 1978, AV TRASFORMAZIONE (1 occorrenza) Ma una trasformazione che non sia, Gloria delle vite inutili, v. 7, 1976, PD Si può notare che, mentre “(re)incamazione” s'incontra con riprese semanticamente “alleggerite” negli anni '40 e negli anni '70 (in “rincarnare” e in “rinascere”), il tema “mutazione-trasformazione” sia costante, con ipotetica connotazione di “metempsicosi” negli anni '30-40. 25 - La poesia figurava già nell'antologia Poesia americana contemporanea, a cura di C. Izzo, Modena, 1949; su cui vedi SP, pag. 120. Annalisa Cima mi ha riferito di aver ricevuto in prestito da Montale, in data imprecisata, il romanzo Nightwood. 58 di Eliot, ai Quatre poèmes di Beckett); e di cui (della trasfigurazione, della metamorfosi cioè) l'angelo rappresenta la veicolarità, l'interposta persona fra le figure, l'incarnazione d'un messaggero celeste, fino a diventare qui, nell'angelo nascosto di Annalisa, la somma delle figurazioni, l'esito delle trasfigurazioni. Nel contempo la poesia trasferisce, stravolgendolo, il contenuto di conversazioni fra Montale e Annalisa: riflessioni reciproche, sulla religione e su Dio, di cui rimane segno in alcune pagine di Incontro Montale, peraltro già citate (“A. Solo, alienato,... M. Per l'uomo posto di fronte ...... v. qui p. 6). La poesia è stata scritta nel 1977, mentre l'opuscolo curato dalla Cima è stato pubblicato nel 1973. E' evidente che quest'ultimo è entrato in un gioco intertestuale in cui non solo le posizioni razionalistiche assunte storicamente dagli interlocutori sono rovesciate nel riconoscimento di un ente superiore, ma in cui l'interlocutrice diventa addirittura intermediatrice del divino. Si noti anche come Montale si trasmuti nel personaggio protagonista, in Annalisa cioè, capovolgendo le sue stesse obiezioni ateistiche in un enunciato di fede: Incontro Montale: «M. - ... non è pensabile che una sola possibilità:... la vita di quaggiù»; Il clou: «Il clou / non è quaggiù - tu dici / ma il prosieguo, l'eterno». Leggiamo la poesia: IL CLOU Certo le Parche han filato lo stame e addugliano i cavi delle nostre vite. Ma dei confini tra finito e infinito, e dello spazio che ci separa dal baratro, non ne sappiamo niente. Siamo dentro un involucro serrati fino al collo e nulla torna, se non forse il ricordo. Il clou 59 non è quaggiù - tu dici – ma è il prosieguo, l'eterno, v'è metamorfosi, non metempsicosi. Ratio ultima rerum... id est Deus. E fu così che il tuo parlare timoroso e ardente, mi rese in breve da ateo credente. L'ottonario dattilico, a forte marca neoclassica, che nell'impegno dell'enjembement del secondo verso si distende in un endecasillabo improprio segna l'incipit sul tema del tempo: il tempo dell'esistenza umana (v. 4-7) e la distruzione del mondo a cui sopravvive il ricordo (v. 8-11). I primi 11 versi riassumono dunque una lunga stagione speculativa sul destino dell'uomo e sul significato della vita e introducono - giocata su sei /u/, tre puntute e tre dolci, un'improvvisa interlocuzione, tanto breve quanto autorevolmente inappellabile, recante in clausola, a sostegno della tesi, una dotta citazione in latino, un epifonema tanto più sacrale quanto più avvolto in una misteriosa anonimità: una teodicca minima nella ripresa, a lampi, della meditazione del destino del mondo, dell'anima e di Dio. Che il “tu” dell'interlocutrice, quasi nelle vesti di una più accessibile Beatrice, appartenga presumibilmente alla figura con-fusa di Annalisa-Clizia, può sembrarci sostenibile. In Clizia, che ovidianamente - dantescamente “il non mutato amor mutata serba” (La primavera hitleriana, 1946, BU), si afferma la metamorfosi più alta e complessa (un vero e proprio ciclo), quella dalla donna all'angelo (dalle Occasioni a Finisterre) e, retrocedendo, quella più terrena, dall'angelo al “bel soriano” al “gallo cedrone” e al “ragno” e da questo di nuovo alla donna in un periodo che potremmo chiamare “pitagorico” e che deve porsi in raccordo con racconti e riflessioni sulla metamorfosi e sulla metempsicosi (Quando s'incarnano i personaggi immaginari, 1946; Solitudine, 1946, ora in AF; Metamorfosi di Katia, 1948, ora in FdC; Mutazioni, 1949, ora in AF, Clizia a Foggia, 1949, ora in FD; Donne del karma, 1952, ora in FD). Ma ad Annalisa si riferisce Montale per averle manifestato più volte interesse per questa poesia di Sesamon26: ___________ 26 - Conversazione con Annalisa Cima. 60 METAMORFOSI DEL CANTO Metamorfosi del canto mentre uno stesso volto si moltiplica e segni si trasformano e ferite a lacerare simboli Qui i fiori usciti da dove fioriti uguali su strade di grigio là i fiori del non ancora detto soli incerti cresciuti nel letto che vieta generarli altrove [dove “fiori” deve intendersi come metafora di “parole” e “letto” di “grembo matemo”] e per altri riferimenti, focalizzati nella parola chiave “mutazione”, che qua e là compaiono nella stessa raccolta di poesie (1974-77): “cerchiamo / ... mediazioni per - mutare distruzioni” (Quadri quadratì); “Alternanze stranianti / dissolventi / congegni postulati / a esplicare mutazioni / in semi-cerchi di desideri” (Alternanze); oppure: “ ... E come temporali d'autunno / tempeste marine / mattine / in improvviso mutamento / uscire dalle soglie del finito / disciolti” (Andare, v. 19-24); oppure “permutazioni sono / ammissioni di verità diverse” (Verità diverse); oppure: “e tu, mattina ritrovata / liaison di sogni e di realtà - mediatrice d'inganni / tu continuo dipani stupore / avvento a nuove forme” (Avvento a nuove forme), ecc. A questa voce con-fusa di Clizia-Annalisa, o, se si vuole, a Clizia mutata in Annalisa, si affida in sintesi prima ed in ellissi dopo la citazione delle proposizioni 72 e 38 della Monadologia di Leibniz27: § 72 - Ita anima non mutat corpus nisi sensim sensimque, et per gradus ita ut nunquam omnibus suis organis uno quasi ictu privetur. Et dantur saepius methamorphoses in animalibus, sed nunquam Metempsychosis, seu transmigratio animarum, locum habet. Neque etiam dantur animae prorsus separatae. ___________ 27 - Nel comunicarle la fonte leibniziana, Annalisa Cima si è ricordata di aver prestato una volta al poeta, su sua richiesta, una copia della Monadologia. 61 § 38 - Propterea quoque ratio ultima rerum in substantia quadarn necessaria contineri debet, in qua series mutationum nonnisi eminter existat, tanquam in fonte suo. Atque istud ens est quod Deum appellamus 28. A quel che si vede, il gioco intertestuale si svolge dunque al fine della costruzione di un nuovo testo, di una riflessione metafisica in scorcio sul tempo e sulla morte, sull'anima, sul mondo e su Dio, per sfociare, utilizzando e alla fine rifiutando materiali della memoria ed esperienze affettive e culturali, nella dichiarazione di un credo. La “fides” di Annalisa (che è fede, ma anche fiducia giovanile) a forzare la porta stretta, a uscire disciolti “dalle soglie del finito” urge sull'attesa (che è paura di un termine esistenziale, ma anche incertezza dell'ignoto) del vecchio poeta che si arresta di fronte al “baratro tra finito e infinito”, rifiuta di disciogliersi, si nega all'assoluto, è tentato come Orfeo a voltarsi indietro nella mortale considerazione del vissuto e del suo residuo, il ricordo. Si potrebbero qui ripetere le osservazioni sul tema del ricordo nell'evoluzione della poesia montaliana, ma oltre a ciò è riscontrabile una nuova dimensione speculativa suggerita dalla stessa Monadologia, in quanto Leibniz considera la memoria (§ 19 e 26-30) qualità propria della sostanza spirituale dell'anima. Ma la memoria, attraverso le percezioni organizzate dall'attività appercettiva, se è qualità distintiva degli esseri viventi, non è ancora tuttavia quella chiarezza teoretica della ragione che sola è in grado di elevarci alla conoscenza di noi e di Dio (“nos ad cognitionem nostri atque Dei elevat”). Il ricordo, che è carico dell'esistere, non può perciò sostituire o annullare il bisogno di Dio, di un cammino verso l'essenza, verso l'Uno, verso la monade suprema. Anzi il ricordo diventa scala a Dio, ad una superiore conoscenza se attraverso di esso si ricostruisce la mutevolezza della realtà che conduce a concepire la ragione ultima delle cose. Il ricorso alla ragion sufficiente di Leibniz non è di scarso momento per comprendere l'atteggiamento della riflessione montaliana nei confronfi del divino, in quanto il poeta tien fermo un principio di indagine razionale (e dunque altrove dissolvente) dell'assoluto, di per sè del resto inperscrutabile e così “assente” dal consorzio umano, come nel buddismo, cercando __________ 28 - Una simile formulazione si può trovare anche in Dio e i possibili, § 3; altri riferimenti alla metempsicosi nella Theodicea. 62 di placare quella tensione mistico-platonica che probabilmente si era fatta strada nel periodo pre-finisterriano (e poi confliggente con la metempsicosi). Questa tensione balena ancora qua e là pur sempre nella prevalente concezione scettico-nichilista della realtà, concezione per così dire costitutiva del pensiero montaliano anche nei confronti di un Dio eckhartiano “sunder bilde und forme”. La lotta della ragione contro la scepsi vede invece questa volta ottimisticamente prevalere la prima sulla seconda e in coincidenza con una posizione già precedentemente espressa nella citata Lettera da Albenga. Perciò l'explicit della poesia risulta talmente nuovo e, per certi versi, inopinato che richiederebbe un'indagine più approfondita di quanto qui si possa fare sull'influenza che il pensiero di Leibniz (in connessione con la dottrina ermetica del Seicento) ha esercitato sulla poesia montaliana, e non solo forse dell'ultimo periodo, ma in ogni caso in maniera conclamata nel Diario del '72 (Gli uomini si sono organizzati, Non c'è morte; Il mio ottimismo: settembre-ottobre 1972; ma v. anche L'armonia, dedicata ad Adelheit, 1974, QQ). Colpisce anzitutto quel rigetto della teoria della reincarnazione. Nella sua opera, Leibniz insiste spesso su questo concetto, per affermare l'immortalità dell'anima (cfr. Theodicea, 7-8) in funzione anti-ateistica e in polemica non tanto con l'averroismo, quanto soprattutto per prendere le distanze dal materialismo scettico-libertino e dal naturalismo spinoziano (newtoniano), senza escludere una critica a quel pensiero ermetico-rosacrociano di cui è pur tuttavia intinta la sua filosofia29, come lo è, forse, la poesia di Montale. Ma in Montale la sottolineatura antireincarnazionista, essendo la metempsicosi in sè un elemento tutto sommato secondario dei pensiero leibniziano, è spia di un superamento di una visione del mondo e di una poetica (gli anni '35 - '50) che finora non hanno ricevuto l'attenzione dovuta. La consonanza di Montale con Leibniz (e con ciò che questo ricorso sottintende: il pensiero seicentesco) sta in questo: che anche la filosofia di Montale tende al monismo (“noi due siamo UNO”, DI 72), è fondamen___________ 29 - G. PRETI, Il cristianesimo universale di G.G. Leibniz, Milano-Roma, 1953, p. 127, 171, 185; F.A.YATES, L'arte della memoria, Torino, 1972, p. 352-362 e L'illuminismo dei Rosa-Croce, Torino, 1976, p. 185; P. ARNOLD, Storia dei Rosa-Croce, Milano, 1991, p. 189-190 (spec. la nota 14, p. 189). 63 talmente sostanzialistica e adialettica; ma questo sostanzialismo è solo in ipotesi materialista, in quanto la metafisica negativa è continuamente attraversata da sussulti mistico-religiosi nei quali si manifesta l`”incertezza”. E' indubbio che il dilemma positivistico-spiritualista del periodo giovanile30 (“Un ragazzo col ciuffo si chiedeva / se l'uomo fosse un caso o un'intenzione, / se un lapsus o un trionfo... ma di chi?”, L'educazione intellettuale, 1973, QQ), che non troverà mai risposta definitiva, in questo luogo eccezionalmente lo trova, sicchè l'accettazione di Dio - un Dio leibniziano, della filosofia, ma in definitiva un Dio cristiano universale molto vicino cioè a prendere barba e baffi - annulla ogni casualismo ed anzi fa perno su quella ragion sufficiente che, con soluzione extra-teoretica, investe di finalismo teologico-religioso (l'armonia prestabilita) il contingentismo della natura, la sua continua mutazione, il suo essere mossa da una forza vivente immateriale, (la “vis viva”) elementi tutti che in vario modo si ritrovano nei filosofi cari al giovane Montale (da Schopennauer a Boutroux a Bergson) e che caratterizzano gran parte di quella cultura francese fra ultimo Ottocento e primo Novecento su cui si formò il poeta. All'interlocutrice “timorosa e ardente” (ma “ardeur” fa parte del vocabolario leibniziano: “il faut joindre la lumière à l'ardeur”, cioè la ragione con la virtù, ed. Dutens, Theol, p. 28)31, il Vecchio risponde con la resa; ma l'esplosivo, eccezionale atto di fede del poeta stordisce il lettore, perchè lo priva di un'ambiguità fondamentale del pensiero montaliano, della sua “incertezza”. Converrà però dire che un'affermazione così perentoria (“E fu così che il tuo parlare / timoroso e ardente, mi rese / in breve da aateo credente”) rappresenta un unicum nella produzione poetica montaliana; è, per così dire, una chiusura di conto con Annalisa nel momento in cui questa finisce di rappresentare l'ultima incarnazione delle altre ispiratrici, diventando l'estremo esito di un mutamento nella catena delle esistenze (e di riflesso anche di un mutamento del poeta nei confronti della realtà), attraverso quella poetica del ricordo come rimpianto, accettata sembra, con stupore (cfr.: “Ed è questa la parte di me che ritrovo / mutata”, Ricordo) che è indice di resistenza finale alla morte. ___________ 30 - I. Svevo - E.MONTALE,Carteggio, con gli scritti di Montale su Svevo, Milano, 1976, p. XIV-XV, dove Giorgio Zampa cita due passi significativi di due lettere, degli anni 1922 e 1923, a Sergio Solmi. 31 - G. Preti, Il cristianesimo cit., p. 151. 64 E' come se ritornasse d'un tratto quanto già aveva confessato a Camon, in polemica con il laicismo, neopositivista e marxista (così come Leibniz aveva polemizzato con lo spinozismo newtoniano e con il determinismo ateista), nella più disarmata confessione-intervista che forse il poeta abbia mai rilasciato, in un momento terribile per la vita del poeta, subito dopo la morte di Mosca, e che si ricollega fortemente a quel cristianesimo universale ed esoterico infuso nella suggestione leibniziana: “Qualche fermento cristiano è senz'altro in me, ma non sono un cristiano praticante: io rispetto tutte le Chiese come istituzioni... Io non credo che l'uomo possa avere un fine in sé stesso. L'uomo, e l'uomo di cultura specialmente, ha in sé un bisogno di perfezionamento morale. Noi desideriamo morire - no, forse non tutti lo desideriamo - io sì, comunque, ma per ragioni private - desideriamo morire dopo un'esperienza perfezionatrice. Posizioni teistiche, lei ha detto. Sono molto dubbioso. Non so, tante cose non so. Non sono nemmeno sicuro che il mondo esista, che la materia esita, che io esista. Non mi stupirei affatto che qualcuno mi dimostrasse che non esiste nulla... Gli scienziati stesso oggi sono in crisi: non hanno più fiducia neppur'essi nella scienza: la ragione umana ha limiti molto ristretti e parecchi grandi fisici sono d'accordo con me in questo. Credo di tutta evidenza che la vita debba avere un senso, ma non quello proposto dal naturalismo, dal pampsichismo, ecc. Quando dico che probabilmente il mondo non esiste, mi guardo bene dal pretendere che questa inesistenza sia priva di significato positivo: ha certo un significato il fatto che il mondo, per noi, esista. Non si può vedere contemporaneamente il recto e il verso della medaglia... L'uomo dell'umanesimo (intendo: da Cristo a oggi) non è che una piccola fase: cosa sono duemila anni nella storia dell'uomo? Si attendono altre fasi. L'uomo può, historia docet, trasformarsi in un animale diversissimo: è un'opinione degli ottimisti, Eco, Argan,... Eco dice che le antiche civiltà erano, per molti lati, dei letamai. E' vero. Ma anche la nostra civiltà è per molti lati un letamaio” (Il mestiere di poeta, a cura di F. Camon, Milano, 1965, p. 81-84). E' quanto poi riprese, nel '72, con Il mio ottimismo: Il mio Artefice no, non è un artificiere che fa scoppiare il tutto, il bene e il male e si chiede perché noi ci siamo cacciati tra i suoi piedi, non chiesti, non voluti, meno che mai amati. Il mio non è nulla di tutto questo e perciò lo amo senza speranza e non gli chiedo nulla. 65 Il “deus” è dunque da intendersi sempre con l'Artefiche che è traduzione del leibniziano (e della teologia filosofica del XVII secolo) “Architectus”, il Dio orologiaio della polemica con Newton, colui che prestabilisce armonia là dove noi vediamo solo caos (Monadologia, § 69), che non concepisce nascita e morte, eventi di trasmutazione continua, di un fluire continuo (“Atque ideo etiam nulla datur generatio, nec mors perfecta, rigorose loquendo”, § 73 e cfr. anche § 76. E Montale nel Diario del 72: “e non c'è morte dove mai fu nascita”, Non c'è morte); “lex continui” entro cui si relativizza a contingenza il concetto di tempo e di spazio (Leibniz: “Si l'Espace et le Tems étoient quelque chose d'absolue, c'està-dire s'ils étoient autre chose que certains ordres des choses, ce que je dis serait contradiction. Mais cela n'étant point, l'hypothèse est contradietoire, c'est-à-dire, c'est une fiction impossible”, ed. Dutens, II, p. 130; Montale: “A meno che ribatterei che tempo e spazio, fine / e principio non siano invenzioni umane”, Lungolago, 1977, QQ). Ed è anche il punto limite a cui può giungere il Dio della religione cristiana, per quanto universalizzata, ma intesa pur sempre in senso positivo (un Deus absconditus con barba e baffi), o il Dio di una concezione deistica, scettico-razionalista, di una pensata presenza-assenza di Dio (del Dio psicologico, come surrogazíone del sé): un credere senza speranza e senza domande. Ma al di là della definizione stessa e della stessa credenza religiosa, l'affermazione, pur se in un improvviso afflato, del Dio positivo, chiude, anche a non tener conto della successiva produzione poetica montaliana, il movimento delle trasmutazioni; pone un sigillo alla raggiunta identità col Padre. Ma “l’uno è la solitudine” (Il 3, 1968, PD): e un percorso alla speranza, “inaudita mainmise del bene sul male”, si deve pur aprire, qui, nel mondo terreno degli eletti, cioè degli esseri viventi. Fra gli innumerevoli possibili, questo mondo leibnizianamente è il migliore dei mondi possibili, il luogo degli eletti, “qui ad theatrum maius progrediuntur”, ma Montale, quasi riprendendo l'accusa donniana dell'Anatomia fa di questo teatro un “letamaio” e un “patturne”; deve pur esserci un atto di creazione che lo salvi a una rinnovata esistenza. 66 Paola Brovedani 67 Da sinistra: Marisa Bulgheroni – Cesare Segre – Annalisa Cima. 68 Eugenio Montale, Annalisa Cima e Gina Tiossi sulla spiaggia di Forte dei Marmi 69 I due angeli, il Liber e il Libellus nell’Apocalypsis cum figuris di A. Dürer. 70 Antonio da Rossellino, Monumento al cardinale Iacopo di Lusitania (particolare). 71