REGATT 08-2010.qxd 22/04/2010 10.47 Pagina 283 p p arole delle religioni Teodicea e ironia Un elogio della tolleranza V i è una parola coniata da un grande intelletto che ormai da tre secoli circoscrive un territorio in cui anche gli ingegni più acuti sembrano scivolare verso posizioni indifendibili: si tratta del termine «teodicea». Coniata dal grande Leibniz, alla lettera essa significa «giustificazione di Dio».1 La sfida, di non poco conto, è di scagionare la bontà divina da ogni responsabilità per i mali del mondo. Per questo motivo il filosofo tedesco dichiara apertis verbis di sperare di riuscire nell’impresa di portare a termine i suoi ragionamenti in quanto «difendo la causa di Dio». Si tratta di un’operazione destinata a un inevitabile naufragio a motivo del fatto di essere, per definizione, «teo-logica», vale a dire costretta a presentarsi come un discorso su Dio. Il tarlo di ogni teodicea sta nell’impossibilità di presentarsi come una parola rivolta a Dio, come avviene nel caso della lode, della domanda o persino della protesta di Giobbe. Anche nel caso in cui la difesa fosse persuasiva, essa, perciò, avverrebbe pur sempre al cospetto degli uomini e non coram Deo. Il più noto tra gli ironici confutatori di Leibniz è stato, inutile dirlo, Voltaire. Sostenere che questo è il «migliore dei mondi possibili» è in effetti proposizione pensabile solo all’interno di mirabolanti costruzioni leibniziane in cui tutto funziona alla perfezione anche senza influssi diretti tra le sostanze semplici (le monadi non hanno finestre, per citare sbiaditi ricordi liceali). Fuori da quel contesto la valutazione trova corrispondenza unicamente nell’ambito della chiacchiera. Ne fa fede Pangloss, il precettore del Candido di Voltaire (1759). Questo breve scritto sull’ottimismo costituisce, in assoluto, la denuncia più ironica e piena di avventure sia del fatto che tutto vada per il meglio sia delle catastrofi legate al fanatismo, cavallo di battaglia di Voltaire. Sono ormai note le ambivalenze dell’Illuminismo in generale e di Voltaire in particolare; tuttavia non si può negare la pertinenza di detti come quello secondo il quale le streghe hanno cessato di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle. La sentenza resta inconfutabile, specie se, liberata da possibili usi strumentali, la si prende come simbolo di dinamiche mentali al giorno d’oggi lungi dall’essere esorcizzate. Per esempio non si potrebbe forse sostenere che gli stranieri hanno cessato di essere tali quando abbiamo concesso loro la cittadinanza? La commedia di Candido Se guardiamo a due recenti opere di Stefano Massini portate in scena dalla compagnia «La contemporanea» scopriamo sottili legami con quanto si è venuti fin qui dicendo in relazione sia alla «teodicea» sia a Voltaire e dintorni. Infatti, dopo aver portato in giro per l’Italia Processo a Dio (cf. Regno-att. 6,2008,196), la compagnia, in questa stagione e in quella precedente, ha rappresentato un altro testo del giovane e talentuoso autore fiorentino: La commedia di Candido. Ovvero avventure teatrali di una gran donna, tre grandi e un gran libro (con tutto lo scompiglio che seguì). Il ruolo «gran donna» è ricoperto da una grande attrice: Ottavia Piccolo. I tre grandi, Diderot, Rousseau e Voltaire, sono impersonati, in modo straordinario, da uno stesso attore: il versatile Vittorio Viviani. Il grande-piccolo libro è, come ben si immagina, Il Candido. Abbiamo scambiato qualche parola in proposito con Ottavia Piccolo. Ecco quanto ci ha detto. – Lo spettacolo fa ridere e fa pensare: una bella sintesi. Il suo messaggio mi pare consista nella volontà di rappresentare, in modo aggiornato, quanto gli illuministi denunciavano attraverso il termine «fanatismo» e propugnavano con la parola «tolleranza»: è così? «Sì, è una grande soddisfazione, specie in questi tempi, vedere gli spettatori ridere e poi farli pensare. Una sintesi, come dice lei, bella, innanzitutto perché rifugge dalla volgarità, dimensione a cui, purtroppo, al giorno d’oggi è sempre più associato il comico. È sempre stato così: l’umorismo vero fa riflettere perché aiuta a conoscere la vita». – La tolleranza degli illuministi era caratterizzata da forti chiaroscuri. Per riferirsi al nostro Voltaire è noto che in lui albergavano, per esempio, atteggiamenti antisemiti. Più in generale i modi in cui allora si affermava la tolleranza più volte hanno corso il rischio di collocare gli ebrei (e non solo) dalla parte dell’oscurantismo e del fanatismo. «Certo i tempi sono cambiati. Oggi la parola “tolleranza” non basta più; non per nulla la si usa anche per indicaIL REGNO - AT T UA L I T À 8/2010 283 REGATT 08-2010.qxd 22/04/2010 10.47 Pagina 284 Parole delle religioni re chi ben sopporta il dolore. Occorre impiegare altri linguaggi ed espressioni del tipo “accoglienza reciproca delle diversità”. Ben sapendo che non son tutte rose e fiori e i problemi ci sono. In ogni caso la denuncia del fanatismo, detto con questo o altri termini, rimane, ahimè, di strettissima attualità». – Gli illuministi, con la loro volontà di creare un’opinione pubblica e di squarciare il velo di molte omertà, sono stati una specie di prototipi del grande giornalismo. So che è un tema che le è caro. «È proprio così. Da un paio d’anni porto in giro anche un altro spettacolo teatrale di Stefano Massini, Donna non rieducabile dedicato ad Anna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata nell’ottobre del 2006. Fu uccisa per il delitto di aver detto pubblicamente la verità. Adesso è uscito anche il libro con il video (S. MASSINI, Anna Politkovskaja con DVD, Il sangue e la neve, Promo music, Bologna 2009). Il titolo costituisce anche in questo caso un messaggio: bisogna educare tutti, specie i giovani, a resistere a chi vuole rieducarci togliendoci la libertà di critica e occultando la verità. Ciò, in maniera più o meno forte, vale a ogni longitudine e latitudine, Italia compresa. Possono suonare parole retoriche, ma resta, comunque, vero che la libertà di stampa è un valore davvero universale, da difendere a tutti i costi». Robert Faricy - Luciana Pecoraio Preghiera contemplativa e direzione spirituale Manuale per un uso pratico l direttore spirituale non deve tanto dare consigli quanto facilitare il rapporto della persona con Dio: la direzione spirituale necessariamente si basa sulla preghiera. Frutto dell’esperienza degli autori, incentrata sulla preghiera contemplativa, il volume è concepito per un utilizzo pratico, quale strumento facilmente comprensibile e di indubbia validità per chi svolge questo delicato compito. I «Itinerari» pp. 184 - € 16,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it – Qualche tempo addietro abbiamo parlato su questa rivista di un suo precedente spettacolo, questa volta davvero drammatico, Processo a Dio. Recitandolo lei ha portato in scena per più di duecento volte la figura immaginaria di Elga Firsch, l’attrice di Francoforte che, nei capannoni di Maidanek, all’indomani della liberazione, processa Dio per quello che è successo al suo popolo. Qui siamo agli antipodi del tentativo di voler «giustificare Dio»; anzi al contrario lo si accusa in piena regola. Cosa ci dice di quella esperienza? «Non la si dimentica facilmente». – Non so se posso porle di nuovo una domanda dal carattere molto personale: questo suo dar voce, gesti e volto ad accusare Dio sulla scena ha avuto qualche ricaduta sul suo modo personale di pensare a lui? Nella teologia cristiana, sa, circola un folgorante detto latino che suona così: «Nihil contra Deum, nisi Deus ipse». «Ripeto quanto le dissi allora: non sono, né mi sono mai considerata, una pensatrice e sono perciò incapace di proporle, a questo riguardo, rielaborazioni concettuali. Non sono credente. Colte sotto questo punto di vista, le tante recite di Processo a Dio non hanno mutato nulla in me. Il fatto di non aderire di persona alla fede, non significa però che non percepisca la ricchezza umana e spirituale di alcuni credenti i quali ci aiutano a trovare nella vita spazi di riflessione e di senso. Tornando al detto latino da lei proposto, ritengo che qualche spazio debba essere concesso anche alla componente umana». – Nihil contra Deum nisi homo ipse? «Forse, e penso soprattutto al dolore degli innocenti. Ma per chiudere con un tono più ebraicamente ironico, che, come al solito, fa pensare, vorrei proporle alcune battute lette nell’ultimo libro di Arrigo Levi: “Quello di essere puniti era, si fa per dire, un privilegio dovuto al fatto che il Signore Iddio si occupava in modo del tutto speciale degli uomini che aveva creato a sua immagine e somiglianza; e fra tutti gli uomini, in particolar modo, di quel discendente diretto di Noè che era Abramo, che si permetteva di poter discutere con lui di quello che era giusto o ingiusto. Noi, discendenti di Abramo, continuiamo a godere di questa attenzione del tutto particolare, anche se il perché di tante punizioni inflitte nel corso della storia non ci è affatto chiaro. Forse talvolta il Signore Iddio si sbaglia, punisce gli innocenti invece dei malvagi: è un dubbio che avevano già avuto i profeti, e Giobbe” (A. LEVI, Un paese non basta, il Mulino, Bologna 2009, 205206; cf. Regno-att., 6,2009, 387)». Diderot nel suo opuscolo Paradosso sull’attore volle, attraverso la sua tesi relativa all’«insensibilità dell’attore», esaltare il teatro come finzione e supremo artificio attraverso il quale la realtà ci viene comunicata in modo potenziato. Secondo l’etimo, il termine «ironia» significa «finzione»; si tratta di un linguaggio che va adottato dentro e fuori il teatro per cercare di affermare che agli esseri umani è ancora possibile comunicare tra loro senza ingannarsi reciprocamente. Piero Stefani 284 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2010