Supporto tra pari in Polizia Municipale Luca Pietrantoni, Gabriele Prati, Graziano Lori e Francesca Battagli Materiale di aiuto scaricato dal sito di psicologia dell’emergenza dell’Università di Bologna http://emergenze.psice.unibo.it/ Indice: 1. Premessa. 2. Prefazione. 3. Gli eventi critici di servizio. a. Testimonianze offerte dai pari (1). i. La traumatizzazione secondaria. 4. Le reazioni ad un evento critico. a. Testimonianze offerte dai pari (2). 5. La gestione dell’evento critico di servizio. a. Testimonianze offerte dai pari (3) i. I fattori di protezione da un trauma. 6. Come funziona il gruppo dei pari “il Cerchio Blu”. 7. Chi siamo. 2 Premessa Per indagare i livelli di stress post traumatico a seguito di eventi critici di servizio, data la scarsità di studi sullo stress in polizia locale, nel 2004 è stata effettuata una ricerca nella Polizia Municipale di Firenze in collaborazione con l’Università di Bologna, svolta attraverso la somministrazione di un questionario anonimo agli operatori di polizia municipale di ogni grado presso le rispettive sedi di lavoro. I questionari raccolti sono stati 503 su un totale di 850 appartenenti al Corpo di Polizia Municipale di Firenze e dai risultati della ricerca (consultabili al sito www.cerchioblu.eu), si è appurato una correlazione tra livelli di stress post traumatico e fattori quali la cumulazione di altri eventi critici vissuti precedentemente, i livelli di autostima, i livelli di minaccia percepita, l’anzianità lavorativa, il genere femminile, la scarsa facilità a rivolgersi agli altri e la scarsa presenza di sostegno sociale. Dai risultati della ricerca è emerso inoltre la predisposizione a ricevere sostegno psicologico ed a fornirlo ai colleghi stessi. Data l’importanza di una prospettiva di intervento preventivo e di supporto, che può rivelarsi utile a ridurre il rischio che l’operatore di polizia municipale sviluppi patologie post traumatiche, in accordo con il Comando di Polizia Municipale si è dato avvio al primo progetto italiano di un sistema di sostegno psicologico tra pari nella Polizia Municipale denominato “Il Cerchio Blu”. Il progetto, che è stato finanziato in buona parte con FSE, ha previsto la formazione nel sostegno psicologico, di trenta operatori di polizia municipale che hanno dato la loro adesione volontaria, attraverso un percorso formativo di 160 ore di lezione tenuto da un team di docenti. Il gruppo di pari è stato ufficializzato all’interno del corpo di Polizia Municipale, ed attraverso delle precise procedure e sotto la costante supervisione dei docenti esperti nella salute mentale, avrà il compito di fornire il proprio supporto ai colleghi in difficoltà derivante da eventi critici i servizio, dopo un patto reciproco di confidenzialità. 3 Prefazione Ci siamo chiesti perché abbiamo due orecchie e una bocca? Perché dobbiamo ascoltare il doppio di quanto parliamo! Zenone Il lavoro svolto dagli operatori della Polizia Municipale è di grande importanza per la comunità e proprio per questo può essere stimolante e fonte di orgoglio a livello personale. Tuttavia nell’espletamento del proprio dovere gli operatori possono affrontare situazioni critiche (ad esempio incidenti mortali, Trattamenti Sanitari Obbligatori, aggressioni subite dagli operatori durante il servizio, conflitti a fuoco, ecc…) le quali possono provocare nel soggetto un senso di disagio. Questo libretto, suddiviso in tre parti, è il frutto di un lavoro svolto dal gruppo di 30 pari chiamato “Cerchio Blu” e operante all’interno della Polizia di Municipale di Firenze. La prima parte descrive gli eventi critici di servizio (ECS) riportando testimonianze vissute dagli appartenenti al corpo di Polizia Municipale. La seconda parte si occupa della reazioni e delle possibili conseguenze a livello fisico e psicologico, che si possono presentare in seguito all’impatto con l’evento critico, riportando le esperienze personali di alcuni colleghi, con i loro pensieri, le loro emozioni e sensazioni. Nella terza parte, infine, si discute delle strategie di gestione di situazioni lavorative critiche, anche attraverso i racconti dei colleghi relativi alle modalità da loro utilizzate per fronteggiare i segnali di stress. Chi sono i pari e che cosa fanno? I pari sono colleghi che hanno scelto di offrire, come parte del loro servizio, un ascolto e, più in generale, un aiuto agli altri colleghi che hanno affrontato situazioni lavorative di particolare criticità. Il pari è una figura particolarmente importante perché lavora all’interno del corpo e, in alcuni casi, può aver vissuto esperienze critiche durante la propria attività professionale. I colleghi appartenenti al gruppo “Cerchio Blu” non sono solo spinti da spirito volontaristico e solidale, ma sono stati selezionati ed adeguatamente formati all’interno di uno specifico progetto. Inoltre sono seguiti nei loro interventi da professionisti della salute e sono in contatto 4 con i servizi esistenti sul territorio. Ogni operatore della Polizia di Municipale di Firenze può contattare direttamente il pari, grazie all’elenco dei nomi e recapiti telefonici presenti nel libretto. Terminiamo questa prefazione con le parole di alcuni pari del gruppo “Il Cerchio Blu”: “Lo stress emotivo dovuto ad un evento critico di servizio (ECS) può provocare delle reazioni particolari che coinvolgono la sfera emotiva, fisica, mentale, esistenziale e non devono essere considerate delle reazioni anormali. Alcune di queste reazioni, che possono manifestarsi subito o dopo qualche tempo e possono durare anche a lungo, sono: la paura, con lo stomaco che si chiude, il cuore che accelera, il sudore freddo, provare senso di impotenza, di inadeguatezza e di rabbia, quando senti che l’evento che hai di fronte è più grande di te e non hai mezzi per affrontarlo, la disperazione e il dolore che si presentano sul momento e che persistono nel tempo, il rivivere le sensazioni legate all’evento attraverso parole, suoni e odori. Lo stress da evento critico può causare anche difficoltà di concentrazione, difficoltà ad addormentarsi o il risvegliarsi improvvisamente ricordando l’evento”. “L’evento critico può accadere e lasciare una traccia più o meno profonda in te che, similmente a tutti gli altri, reagisci in qualche modo. Qualunque sia il tuo modo di reagire, non tenertelo dentro perché pesa. Piuttosto parlane per poter essere consapevole di quello che ti sta succedendo e perché l’esperienza vissuta porti un’evoluzione in te. Non preoccuparti se non ti va di parlarne con chiunque, è una cosa normale perché il valore dell’evento che hai vissuto merita di essere condiviso con chi sa ascoltarti”. “Col tempo e con l’aiuto di qualcuno le conseguenze negative di un evento critico di servizio spesso tendono a passare e magari a lasciare un senso di crescita personale in termini di maggiore sicurezza in se stessi, in termini di tranquillità, di esperienza acquisita e per il valore che dopo darai a quello che ti circonda”. “L’eccezionalità sta nell’evento, non nella reazione: ognuno subisce l’impatto di un evento critico con reazioni e comportamenti diversi. Un evento è critico se per te è critico e non esistono pensieri o reazioni sbagliate. Il disagio che si può provare a seguito di un evento critico è naturale, far finta di niente non vuol dire risolvere il problema ma far finta che non esista. Infatti non sempre le persone sono consapevoli di provare tale disagio e non sempre sono disposte a rivolgersi a qualcuno cercando aiuto, ma il confronto con gli altri è un sostegno quasi sempre necessario per una buona risoluzione delle difficoltà e manifestarle non è un sintomo di debolezza, ma il primo passo verso la volontà di acquisire consapevolezza, attraverso il dialogo 5 con chi ti è vicino, ma anche con chi condivide la tua stessa realtà. Frequentare amici e vivere situazioni che fanno stare bene può aiutarci, ma trovare la forza di farsi ascoltare, di esprimere le proprie emozioni e parlare per chiarire a sé stessi cosa si prova, è il primo passo per superare il proprio disagio”. “L’impatto con eventi traumatici vissuti all’interno della Polizia Municipale può provocare reazioni e conseguenze che possono essere meglio superate grazie al confronto con persone che condividono quella stessa realtà. Lavorare in determinate professioni crea un senso di appartenenza e coesione tra i colleghi, rispetto ad “estranei” che possono essere considerati incapaci di comprendere queste esperienze. Può capitare che alcuni colleghi sentano la necessità di raccontare al pari quei vissuti che possono aver lasciato un “segno”, in modo da poterli condividere e affrontare. Ognuno di noi può crescere, arricchirsi e fortificarsi anche grazie alla condivisione di esperienze traumatiche, fino a riacquistare l’autostima e la serenità superando le situazioni critiche con le proprie modalità personali”. 6 GLI EVENTI CRITICI DI SERVIZIO La vita quotidiana è diventata caotica, stressante al punto che non riusciamo più a dedicare del tempo per ascoltarci; diamo così per scontato che quel “malessere”, quel “nervosismo”, quel “disagio” che proviamo facciano parte del “gioco” della vita. Noi operatori della Polizia Municipale siamo particolarmente esposti a eventi che sollecitano e amplificano sentimenti di disagio e spesso lo attribuiamo alla nostra personalità, ma può essere la conseguenza di un evento critico vissuto durante il servizio. Che cos’è un evento critico di servizio? E’ un evento che viviamo durante il servizio lavorativo che genera forti emozioni e stress, che ci destabilizza perché mette a rischio reale o potenziale la nostra vita e/o quella degli altri. Ci colpisce nella sfera dei sentimenti portandoci ad avere paura, impotenza ed orrore. E’ un evento che sconvolge le capacità di adattamento dell’individuo producendo vulnerabilità e perdita di controllo. A volte un evento critico (ECS) può durare solo alcuni secondi (es. sparatoria) mentre in altri casi può durare ore o giorni (es. operazioni di soccorso in seguito ad attentato). Fra gli eventi critici vissuti durante il proprio servizio in polizia possiamo ricordare: · · · · · · · · rilevazione di un incidente stradale con morti e/o feriti gravi subire un’aggressione in prima persona effettuare un trattamento sanitario obbligatorio critico essere coinvolti in una sparatoria intervenire in caso di suicidio o tentato suicidio prestare soccorso in seguito ad un disastro od attentato assistere a casi di abuso fisico e/o sessuale su adulti o su bambini comunicare il decesso di una persona ai familiari Questa lista non è certo completa poiché le situazioni critiche che si possono incontrare nel lavoro in polizia sono molteplici. 7 EVENTI CRITICI DI SERVIZIO Sono da considerasi “eventi critici professionali o di servizio” tutti quegli eventi traumatici che, per ragioni di servizio, un operatore di polizia incontra nel corso della vita professionale. 9 9 9 Sono interventi che escono dalla normale routine. Travolgono la nostra sensazione di controllo della realtà; Comportano la percezione di una potenziale minaccia per se o per altri. 8 Testimonianze offerte dai pari del Cerchio Blu. “Sono stata inviata dalla Centrale su un incidente grave, arrivata sul posto il coinvolto era deceduto. Tutt’intorno confusione, gente che si avvicina a curiosare. Siamo diversi colleghi, ognuno con i propri compiti. Cerchiamo di gestire la situazione al meglio. C’è tensione nell’aria fra noi e i curiosi. La resa del personale medico, che come atto finale stende un candido lenzuolo, ci mette di fronte a tutta la nostra vulnerabilità. Le informazioni si susseguono: è un ragazzo giovane, padre da poco tempo che si sarebbe sposato il mese successivo. L’angoscia mi assale, sono partecipe al dolore e già cerco il modo migliore per comunicare la disgrazia ai familiari. Di fronte a questo evento tutte le mie sicurezze si “sbriciolano” ed io provo un sentimento d’impotenza e profonda sofferenza”. “In occasione della semifinale di calcio dei mondiali del 2006 Italia-Germania, veniamo comandati in servizio di viabilità nella Piazza Ferrucci. Al termine della trasmissione della partita sui maxi-schermi allestiti nella Piazza Poggi, io e la collega siamo stati circondati da una folla di persone in preda all’eccitazione per festeggiare l’importante vittoria della nazionale italiana ed improvvisamente, non riuscendo più a sostenere la chiusura della strada, ci siamo allontanati dopo aver avvisato la Centrale Operativa. L’iniziale euforia dei manifestanti, si è trasformata rapidamente in episodi di violenza di massa nei confronti di privati e del personale in divisa. Veniamo avvicinati da persone che chiedono aiuto per un cittadino costretto all’interno di un veicolo con targa tedesca che i manifestanti avevano preso di mira danneggiandolo con bastoni, bottiglie e calci. L’imprevedibilità della situazione, dovuta alla velocità di sviluppo degli eventi e l’esplosione di una violenza non arginabile, ha scatenato in noi una sensazione di impotenza ed una percezione reale del pericolo e per istinto di sopravvivenza ci siamo diretti a bordo del mezzo di servizio, per cercare di raggiungere le altre forze di polizia per mettersi in sicurezza, ma la folla ha circondato il veicolo di servizio iniziando a scuoterlo. Preso dalla paura per la nostra incolumità personale e ormai cosciente dell’impossibilità di avere un aiuto esterno, ho reagito effettuando delle manovre improvvise ed accelerate del veicolo per crearmi un varco tra la folla, la quale tuttavia continuava a scatenare la sua violenza nei confronti degli altri veicoli in transito e di quelli in sosta. Non dimenticherò mai la paura e la sensazione di pericolo provate, anzi andranno a fare parte del bagaglio personale dell’esperienze vissute “con la divisa”. Certo è che dopo 19 anni servizio mi sono reso conto che l’esperienza e la professionalità non sono sufficienti ad affrontare situazioni di pericolo “improvvise ed imprevedibili”. Ho capito che la routine ci porta a sottovalutare il pericolo, quasi a pensare “…tanto a me non succederà mai…”, che la paura è utile se usata per agire con cautela, aumentare lo stato di allerta e mobilitare la propria forza di sopravvivenza. 9 “E’ una sera d’estate, i turisti e i fiorentini affollano le vie del centro. Sono di pattuglia anti-abusivismo quando vedo dei venditori e mi fermo per allontanarli, ma improvvisamente sono buttata a terra da uno di loro. Nessuno corre in mio aiuto, rimanendo fermi a godersi “lo spettacolo” e le vetrine illuminate. Ho paura, guardo la collega e leggo nei suoi occhi lo stesso mio sentimento. La rabbia mi parte da dentro ed esplode in tutta la sua totalità quando riesco a chiedere aiuto alla Centrale. Le sirene e i lampeggianti mi anticipano l’arrivo dei colleghi. Li vedo…e solo allora noncurante della divisa che indosso inizio a piangere”. “E’ domenica, tutti allo stadio, e mischiati ai tantissimi tifosi ci sono anche i soliti violenti. Uno di loro lancia una bottiglia all’interno dell’auto della polizia che sta transitando per i controlli di routine. L’auto si incendia e i due agenti per mettersi in sicurezza istintivamente si accostano al margine destro e scendono dall’auto. Nel frattempo l’evento richiama l’attenzione dei passanti, anche perché alcuni veicoli che si trovavano a fianco dell’auto della polizia incendiata stanno a loro volta prendendo fuoco. Nell’attesa dei Vigili del Fuoco i presenti inveiscono contro i poliziotti quasi a colpevolizzarli per aver provocato l’incendio delle auto in sosta. Mi sono immedesimato in quei poliziotti perché poco prima ero passato di lì con l’auto di servizio; ho provato paura, perché poteva accadere a me, ed ho provato sentimenti di rabbia per come i cittadini hanno giudicato il gesto istintivo dei poliziotti di mettersi in sicurezza”. “Durante un servizio notturno mancano pochi minuti a mezzanotte quando transitando in piazza della Stazione io e la mia collega vediamo un taxi che sta facendo retromarcia sulla rampa di accesso. Capiamo subito che c’è qualcosa che non va e ci avviciniamo per capire cosa sta accadendo. Ci vogliono pochi istanti per arrivare e una volta lì troviamo quattro persone che si stanno affrontando con colli di bottiglia. Istintivamente scendiamo dal veicolo di servizio ed intimiamo alle persone di fermarsi, ma nonostante la mia risolutezza e la divisa una persona inizia ad avvicinarsi a me con fare minaccioso con la bottiglia rotta in mano. In quei secondi interminabili avevo già impugnato l’arma di ordinanza e indeciso se fare fuoco o meno vedo sempre più vicina la persona che per niente intimorita continua a puntarmi con il solo scopo di impedirmi di fare il mio dovere. Quando mi rendo conto che la persona è ormai molto vicina faccio un passo in avanti e lo colpisco con un calcio per renderlo inoffensivo e riesco a colpirlo alla bocca dello stomaco, tanto da farlo accasciare al suolo e immobilizzarlo ammanettandolo. La collega nel frattempo ha richiesto aiuto ma il tempo non scorre e i minuti sembrano diventati ore. Ci siamo sentiti soli ad affrontare l’evento e abbiamo provato un senso di sollievo nel momento in cui abbiamo sentito le sirene dei colleghi che stavano arrivando in nostro aiuto. Solo il giorno dopo a casa ripensando a quanto mi era accaduto mi sono reso conto del rischio corso da me e dalla collega provando un senso di paura e rabbia”. 10 Noi abbiamo riconosciuto come critici gli eventi che abbiamo vissuto e sopra elencato, tu quali aggiungeresti? 11 Che cos’è la traumatizzazione secondaria Sofferenza altrui Operatore di polizia L’operatore si espone personalmente agli stessi dolori del soggetto traumatizzato, come se fosse “contagiato dal trauma”. possono svilupparsi così reazioni tipiche dello stress traumatico, come orrore, rabbia, vulnerabilità, dolore. 12 LE REAZIONI AD UN EVENTO CRITICO DI SERVIZIO Lo stress emotivo dovuto ad un evento critico di servizio può provocare delle reazioni particolari che coinvolgono la sfera emotiva, fisica, comportamentale, cognitiva e non devono essere considerate delle reazioni anormali. Tali reazioni, che possono manifestarsi subito o dopo qualche tempo dall’impatto con l’evento e possono durare anche a lungo, vengono considerate a tutti gli effetti reazioni normali a situazioni anormali. Per fare degli esempi elenchiamo alcune delle reazioni che i 30 pari hanno aver provato e che hanno riferito durante le lezioni in aula. Reazioni Comportamentali. - Evitamento di luoghi, situazioni o stimoli che ricordano in qualche modo l’evento critico Aumento o diminuzione nel consumo di cibo e/o di alcol Cambiamento nella frequenza delle attività svolte quotidianamente Sentirsi iperattivi o al contrario poco attivi Rinuncia ad attività prima considerate piacevoli Reazioni Cognitive. - La sensazione di rivivere le sensazioni legate all’evento attraverso parole, suoni e odori Difficoltà nella concentrazione Problemi di memoria Difficoltà nel prendere decisioni Senso di impotenza o inadeguatezza Reazioni Emotive. - Diminuzione della qualità della propria vita emotiva, in altre parole non si provano più allo stesso modo le emozioni positive che si provavano un tempo Irritabilità e facilità a scoppi di rabbia Sentimenti di ansia generale o di paura Sentimenti di tristezza Cambiamenti di umore: si passa velocemente dalla gioia alla tristezza Reazioni Fisiche. - Problemi legati al sonno, come ad esempio la difficoltà ad addormentarsi o il risvegliarsi improvvisamente ricordando l’evento Nausea Problemi all’apparato gastrointestinale Senso di stanchezza o di poca energia Diminuzione del desiderio sessuale Questo elenco di reazioni comprende le reazioni più comuni anche se quelle possibili sono molte di più. Ognuno, infatti, ha il proprio modo personale di reagire ad un evento critico e non deve essere considerato un segno né di debolezza né di vigliaccheria. 13 L’evento critico può accadere e lasciare una traccia più o meno profonda in te che, similmente a tutti gli altri, reagisci in qualche modo. Qualunque sia il tuo modo di reagire, non tenertelo dentro perché pesa. Piuttosto parlane per poter essere consapevole di quello che ti sta succedendo e perché l’esperienza vissuta porti un’evoluzione in te. Sentirai il bisogno di parlarne solo con chi riesce veramente a capirti. Non preoccuparti se non ti va di parlarne con chiunque, perché il valore dell’evento che hai vissuto merita di essere condiviso con chi sa ascoltarti. Col tempo e con l’aiuto di qualcuno le conseguenze negative di un evento critico di servizio spesso tendono a passare e magari a lasciare un senso di crescita personale in termini di maggiore sicurezza in se stessi, in termini di tranquillità, di esperienza acquisita e per il valore che dopo darai a quello che ti circonda. 14 Qui di seguito si riportano altre testimonianze relative a reazioni ad eventi critici di servizio vissute in prima persona dai pari. “Arriviamo sul luogo del sinistro dove un uomo di circa 60 anni su uno scooter aveva probabilmente avuto un malore ed era caduto violentemente a terra. Dopo l’arrivo dell’ambulanza il medico cercò di rianimarlo, purtroppo senza successo. L’uomo abitava nella zona dove era successo l’incidente, emergeva la necessità di informare i parenti in modo da evitare che gli stessi giungessero sul luogo senza preavviso. Da una parte c’era la drammaticità della comunicazione ai familiari e la preparazione degli stessi al riconoscimento della salma presso l’obitorio, dall’altra c’era da espletare tutte le procedure tecniche inerenti il sinistro, come ad esempio attendere il Nulla Osta del Magistrato per il trasporto della salma a Medicina Legale. La mia fatica è stata quella di rivestire questo doppio ruolo che dovevo svolgere contemporaneamente. Dopo i primi accertamenti, con la collega ci siamo guardati negli occhi e siamo andati prima ad avvisare il figlio e poi, insieme a lui, la moglie dell’uomo, che in quel momento era al lavoro. Mi sono immedesimato nella persona che riceveva la comunicazione, avevo difficoltà a trovare le parole e l’atteggiamento giusto. Alla fine del servizio mi sono sentito sfinito, ma non me la sentivo di tornare a casa e con uno sguardo d’intesa con la collega abbiamo sentito la necessità di andare a prendere una pizza per poter scaricare la tensione vissuta insieme. Per diversi giorni ho rivissuto il momento della comunicazione ai parenti e le loro reazioni”. “Domenica mattina, il sole splende, sono di servizio, ma per fortuna non ci sono molte richieste di intervento. Dalla Centrale passano un incidente ad un’altra pattuglia e noi, che siamo nei paraggi, ci offriamo di intervenire in ausilio, senza avere la minima informazione sul tipo di incidente. Dopo pochi secondi siamo sul posto e la scena che ci si presenta è di un ragazzo ancora col casco in testa immobile sull’asfalto, la sua moto in mille pezzi sparpagliati su tutta la carreggiata. L’ambulanza ancora non è arrivata e ci rendiamo conto che il motociclista è molto grave e noi non sappiamo cosa fare, ci sentiamo completamente inadeguati. Non riuscivo a controllare le mie emozioni di fronte al ragazzo moribondo per terra, riuscivo solo a dire: -“Respira…per favore respira”. Avevo bisogno di parlare al cellulare con la mia mamma per un conforto immediato. La mattina dopo quando mi sono svegliata ho pensato: -“Oddio l’incidente”, probabilmente ho rivissuto la morte del mio ragazzo avvenuta in maniera analoga. Mentre ero sul sinistro mi sembrava di vedere un film, non mi sembrava reale quello che stava succedendo. A distanza di un anno cerco ancora di evitare la strada dove è avvenuto l’incidente e mi accade ancora di rivedere l’immagine del giovane morto e di risentire il suo respiro. 15 Ho cercato di condividere con i colleghi la mia esperienza e ho trovato un collega che mi ha ascoltato e mi ha aiutato a liberarmi e a capire che quello che provavo era una reazione “normale”. “Ero entrata da solo un mese nel Corpo di P.M., già sentivo il mio ruolo ma mi mancava l’esperienza. Fuori servizio, passando sul marciapiede vidi marito e moglie uscire con le buste dal supermercato che avevano l’auto in doppia fila. Mentre la moglie entrava in macchina, il marito metteva le buste nel bagagliaio e appena aprì la portiera per entrare in macchina, un’altra auto lo travolse trascinandolo per molti metri. Pensai di intervenire ma non sapevo come. Poco dopo arrivò una pattuglia per i rilievi. L’esito dell’incidente era molto grave. Per molte notti ho continuato a sentire le grida della moglie che urlava angosciata: “Francesco, Francesco”. Dopo una settimana appresi che la persona era deceduta. Mi capita ancora di sentire la voce della moglie che chiama il marito”. “Effettuammo un controllo da effettuare in un seminterrato nel centro storico, a seguito di una segnalazione della presenza di numerosi extracomunitari. Era mattina, io e il collega andammo all’indirizzo insieme altri colleghi pronti ad intervenire in caso di emergenza. Avevo paura, sentivo un vuoto nello stomaco, le mani sudate e le gambe mi tremavano mentre mi avvicinavo a quella porta. Avevo paura perché ero sicura che mi sarei trovata in una situazione di pericolo, extracomunitari clandestini magari armati di coltelli e pronti a tutto. Pensavo solo al pericolo e a mia figlia.. Cosa mi sarebbe successo? La porta era aperta, entrammo e lo spettacolo che mi trovai di fronte fu sconcertante, non avevo mai visto niente di così triste. In un attimo la paura diventò disperazione, senso di inadeguatezza e di impotenza. Nessun extracomunitario pericoloso, solo una povera giovane donna incinta di sette mesi sdraiata per terra su una coperta, in una stanza senza luce, senza finestre, umida e sporca, l’aria impregnata di cattivo odore. Non dimenticherò mai quello spettacolo, le lacrime di quella ragazza e la parola “Scusa” che continuava a ripetere guardandomi. Per giorni non riuscivo a pensare ad altro, non riuscivo ad addormentarmi perché mi vedevo davanti quella scena straziante. Avevo bisogno di parlare, di sfogare la rabbia che sentivo. Ho parlato in famiglia, con gli amici, mi sono sfogata ed ho pianto. Mi sono accorta di quanto è importante tirare fuori le proprie emozioni senza vergognarsi delle reazioni che si hanno”. “Lungo i binari vi erano un gruppo di persone nordafricane. Nel momento in cui arrivai queste persone si voltarono e mi vennero tutte incontro, uno col coltello scappò ed una persona insanguinata mi venne incontro, chiedendomi aiuto. La cosa per me era inaspettata, ho provato paura e non sapevo cosa fare, mi tremavano i muscoli e temevo contaminazioni col sangue. Dopo, con l’arrivo di ausilio, quando tutto si è acquietato, ho iniziato a riflettere su quello che è successo e che invece poteva succedere e mi sono detta che “era andata bene, per fortuna”. 16 “Sono inviata per un TSO e sul posto mi informano che il paziente è un bambino di 13 anni. Negli occhi dei genitori vedo un disperato bisogno di aiuto, misto ad una sorta di vergogna. Cerco di tranquillizzarli ma dentro di me sento un senso di impotenza perché potrei essere io al loro posto. Il mio modo di affrontare la situazione fa sì che il bambino, all’inizio non disposto ad ascoltare nessuno e chiusosi in camera, in un secondo momento apra spontaneamente la porta facendosi avvicinare ed aiutare”. “Mi avevano assegnato un intervento tranquillo, arrivai sul posto e tutto si trasformò in un evento straordinario e pericoloso…quella mattina non avrei mai immaginato di dover usare l’arma. Una volta finito il lavoro torno a casa, era tardi, avvisai i miei cari, poi spensi il telefono e mi isolai dal resto del mondo, nell’intimità di casa mia e dei miei affetti. Ho avuto modo così di ricordare e riflettere, di riconsiderare il comportamento tenuto e i rischi corsi (ancor’oggi rifarei tutto alla stessa maniera). Ho sentito tanto il bisogno di parlare con qualcuno, qualcuno che mi capisse e che mi ascoltasse, ho provato a farlo nel mio ambiente di lavoro … poi ho trovato ascolto in colleghi di altre forze di polizia e in un amico”. “Siamo in auto, un normale giro di controllo in un pomeriggio noioso, quando improvvisamente dico al mio collega: “Guarda c’è una rapina all’armeria. Scappano…!!”. Partiamo all’inseguimento, l’adrenalina sale alle stelle, non guido ma devo tenere d’occhio dove scappano i rapinatori. La macchina corre veloce e con essa i rischi ma in quel momento non mi preoccupa perché stiamo facendo un gesto importante, penso. Impugniamo anche le armi e tutto finisce bene, la loro era una scacciacani. Con la fine della vicenda mi calmo un po’ ma il rilassamento avviene solo a casa a notte inoltrata. Tante volte mi è tornato in mente tutto l’episodio, ancora oggi me lo ricordo nei dettagli, ripenso ai rischi corsi di venire feriti o uccisi o di farlo a nostra volta, e mi chiedo anche se avevamo fatto bene il nostro lavoro. I primi tempi provavo un senso di rabbia nei confronti di chi aveva innescato tutto quell’episodio denso di pericoli…“almeno li potessimo strozzare…”, poi mi è sbollita”. “Guardi vigile! Là sul ponte c’è un uomo che si vuole buttare! Ci avviciniamo e con un senso di angoscia ci mettiamo a parlare con quest’uomo sulla spalletta del ponte riuscendo a portarlo sul marciapiede. Tutto sembra finire qui, ma dopo pochi minuti, sentita la sirena dei soccorsi, l’uomo risale sulla spalletta e senza lasciarci il tempo di agire si lancia nel fiume. Aveva 23 anni. Quando si buttò provai un senso di rabbia verso me stesso per non aver fatto in tempo a bloccarlo, poi l’impotenza per non poterlo subito estrarre dall’acqua. Il tempo pareva non passare mai ed i soccorsi non arrivare mai. Dopo la vicenda io e il mio collega eravamo sconcertati e furono gli stessi genitori del ragazzo a cercare di consolarci spiegandoci i disagi psicologici di cui il figlio soffriva da diverso tempo”. 17 18 LA GESTIONE DELL’EVENTO CRITICO DI SERVIZIO “… poter avere la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso cambiare e la saggezza di distinguere fra le due…” Serenity Prayer Ognuno subisce l’impatto di un evento critico con reazioni e comportamenti diversi. L’eccezionalità sta nell’evento, non nella reazione. Non esistono pensieri o reazioni sbagliate. Il disagio che si può provare (a seguito di un evento critico) è naturale, far finta di niente non vuol dire risolvere il problema ma far finta che non esista. Non sempre le persone sono consapevoli di essere in affanno rispetto ad un problema e non sempre sono disposte a rivolgersi ad altri cercando aiuto, ma il confronto con gli altri è un sostegno spesso necessario per una buona risoluzione delle difficoltà. Manifestare il proprio disagio non è sintomo della debolezza di una persona, ma è il primo passo verso la volontà di acquisire la consapevolezza, attraverso il dialogo e il confronto con chi ti è vicino, anche con chi condivide la tua stessa realtà. Frequentare amici e vivere situazioni che fanno stare bene può aiutarci ma parlare per chiarire a sé stessi cosa si prova, trovare la forza di esprimere le proprie emozioni, trovare la forza di farsi ascoltare, è il primo passo per superare il proprio disagio. Anche in quest’ultima parte riportiamo alcune esperienze vissute in prima persona dai pari relative alla gestione di eventi critici. “Dopo il “peggiore” incidente che ho rilevato, alla fine di una lunghissima giornata, sono tornata a casa, ho cenato con il mio compagno e le mie figlie, ma parlare con loro non era abbastanza. Dopo cena quindi chiamo il collega che aveva condiviso con me quella esperienza e con lui siamo andati in birreria e, seduti ad un tavolino davanti ad un boccale di birra, abbiamo parlato per ore dell’accaduto, trovando supporto l’uno nell’altro. Tornando a casa era come se il macigno che mi opprimeva il cuore fosse più leggero. Mentre aspetto che le macchine che tenevano in vita il collega fossero staccate, accompagno, non da sola, sua madre a sbrigare le ultime pratiche prima del funerale; dentro di me non c’erano voci ma solo il silenzio totale che mi opprimeva. In quel momento lei mi ha aiutato dando voce a quel silenzio, parlandomi di lui, della bella persona che era, ed in un momento di condivisione emotiva che andava 19 oltre la tragedia che stavamo vivendo, mi sono “sbloccata” e solo da quel momento ho capito cosa era successo ed ho cominciato a “metabolizzare” l’accaduto. E’ stato lì che le emozioni e i sentimenti, fino ad allora resi muti dallo sconcerto, hanno ripreso voce”. “Non è molto che ho preso servizio al reparto territoriale, è sabato pomeriggio e la centrale operativa mi avvisa che dovevo fare un TSO ed io, che non so neanche cosa fosse, comincio a chiedermi: “cosa dovrò fare, questa persona starà già male a sufficienza senza che io ci metta del mio, ci saranno i medici presenti. Cosa posso fare io che loro non hanno ancora fatto?”. Una serie di dubbi mi passano per la mente e la collega non è in condizioni migliori delle mie. Quando giungiamo all’abitazione, il medico è presente e ci informa che si tratta di una donna; il fratello è lì che ci guarda, come per chiederci aiuto. Ero molto impaurita, la donna si era chiusa in una stanza e non intendeva venire con noi… abbiamo parlato io lei e la collega, e poi parlato ancora, fino a raggiungere un accordo: lei sarebbe venuta con noi, ma nella nostra auto. Arrivati davanti alla porta del reparto psichiatrico, lei non voleva lasciarci ma ad un certo punto, dispiaciuta si volta e disse… “ora vado da sola”. La tristezza nel vedere quella vita, distrutta da una storia che poteva capitare a tutti, ci ha seguite e, rientrando al reparto io e la collega abbiamo parlato e parlato a lungo, rincuorandoci del fatto che eravamo riuscite a convincere la nostra donna a fidarsi di noi, in quel poco tempo che avevamo a disposizione. Il giorno successivo, nel compilare il rapporto di servizio, io e la collega abbiamo rivissuto insieme quell’evento, ce lo siamo nuovamente raccontato, entrambe avevamo avuto delle forti emozioni che avevano turbato la serata precedente. Avevo pensato di non essere preparata o adatta a quel ruolo, ma mentre la collega parlava sentivo che anche lei aveva vissuto lo stesso disagio. Condividere le mie emozioni mi faceva sentire che non ero sola e parlarne mi aveva fatto capire che in fondo a quella esperienza negativa c’era una cosa positiva: eravamo riuscite a non usare la forza e se avevamo potuto farlo quella volta, c’erano buone possibilità che ci riuscissimo di nuovo”. “Mi viene richiesto, dopo aver visionato il filmato relativo ad una persona in vita, il riconoscimento della salma presso l’obitorio. Il corpo della vittima ha un’ampia ferita all’altezza del torace. Sono accompagnato da un Ispettore che mi delega totalmente il riconoscimento della salma. Alla fine del turno chiamo un amico per parlare dell’accaduto in quanto mi sono sentito solo e caricato di una responsabilità enorme. Così facendo riduco l’intensità delle emozioni provate e ne ho maggiore consapevolezza. Ritengo comunque normale provare queste sensazioni di abbandono, di orrore di fronte allo strazio del corpo e mi propongo di reagire all’evento, accettando che fatti simili possono capitare nello svolgimento della normale attività operativa”. 20 “Durante un posto di controllo viene intimato l’alt ad un motociclista, ma questo si allontana a forte velocità. Inizia un inseguimento che più volte mette a repentaglio l’incolumità dei protagonisti e dei cittadini-spettatori. L’azione termina per una rovinosa caduta del motociclista che, successivamente, risulta essere un minorenne su un motoveicolo rubato. Accompagnato al Comando viene raggiunto dai genitori che, informati sulla gravità dell’accaduto, comunicano al figlio che tale comportamento avrà come punizione l’annullamento della festa di compleanno. Provo immediatamente una rabbia nei confronti di questi genitori, che, a mio avviso, minimizzano eccessivamente l’accaduto. Vista la situazione non ritengo opportuno intervenire anche perché non ne ho titolo e decido di allontanarmi, dedicandomi ad altre mansioni lavorative piacevoli, per non esternare eccessivamente i miei sentimenti e superare questo momento critico. La sera, tornato a casa, racconto l’accaduto a mia figlia minorenne e successivamente mi dedico ad attività manuali, che abitualmente mi provocano soddisfazione e piacere, perché mi danno la possibilità di creare qualcosa con le mie abilità. Successivamente riduco la rabbia accumulata e provata dall’evento sopra descritto cercando il lato ironico dei fatti, sdrammatizzandoli”. “Durante un intervento vengo inviato in un immobile a causa della presenza di un cane che crea disagi ai condomini. Giunto sul posto un inquilino mi informa che l’animale sporca l’androne condominiale e, a questo punto, contatto il proprietario del cane che, a causa di problemi deambulatori, apre la porta di casa e lascia uscire il cane. L’animale, cane di grossa taglia e apparentemente aggressivo, esce dall’immobile ed aggredisce una turista che non si è accorta di nulla. Riesco ad afferrare e trattenere il cane con l’aiuto di una terza persona. Il cane successivamente viene soppresso. Provo paura per me, per la turista e per il momento di particolare pericolosità generale in quanto non c’è certezza di riuscire a trattenere l’animale. Al termine dell’operazione, ancora scosso, rientro in sede e sento la necessità di sfogarmi, ma trovo un ambiente ostile dove i colleghi, invece di comprendere il mio stato di agitazione, suggeriscono proprie soluzioni di intervento che aggravano ancora di più il mio stato d’animo, creando sensi di colpa ed inadeguatezza. Ad un primo momento di isolamento e riflessione, utile a stemperare ansia e stress, arrivo ad un secondo momento, necessario per poter esternare i miei sentimenti e lo stato di disagio e di agitazione. Cerco un collega/amico con il quale riesco a condividere i sentimenti provati e, successivamente, fare un’analisi dell’accaduto. Inizialmente il collega/amico ha ascoltato il mio disagio, aiutandomi ad esplorare ed essere consapevole del mio stato emotivo. Poi, analizzando la situazione, riesco a raggiungere la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile, anche se ho sottovalutato alcuni piccoli aspetti”. 21 Quali possono essere considerati fattori di protezione al trauma nelle professione di aiuto e soccorso ¾ Le motivazioni che stanno alla base della scelta di una professione di aiuto. ¾ Le proprie conoscenze rispetto al trauma. ¾ Il sostegno reciproco e il supporto tra colleghi ¾ La giusta distribuzione dei compiti con gli altri operatori. ¾ L’identità dell’operatore (la personalità, i valori..). ¾ Le attuali circostanze di vita (private, familiari, ecc..). ¾ Le risorse (il gruppo, le relazioni sociali). ¾ Il proprio stile di coping. 22 COME FUNZIONA IL GRUPPO DEI PARI “IL CERCHIO BLU”. Gli appartenenti al Gruppo dovranno dare supporto ai colleghi che hanno vissuto un “evento critico di servizio”, e non interverranno nei casi di disagi di natura personale o privata. Questo perché il gruppo è formalizzato all’interno del Corpo, ed è indirizzato alle problematiche che possono derivare dall’attività professionale. Nel caso in cui un appartenente venga contattato da un collega che vive una difficoltà non derivante dall’attività professionale, può prospettare al collega la possibilità di rivolgersi ad un professionista. Se l’appartenente al gruppo, per libera scelta, decidesse di supportare il collega, questo potrà essere fatto fuori dall’orario di lavoro e senza alcun collegamento a quanto svolto nel gruppo. Se l’ appartenete al gruppo sarà chiamato per intervenire a supportare un collega durante l’orario di servizio, questi potrà dedicarsi all’incontro, purché ne sia stato preventivamente informato il proprio superiore e non sia incompatibile con inderogabili attività di servizio; diverso sarà per il collega che ha richiesto il supporto, il quale potrà incontrarsi con l’appartenente al gruppo sia durante il suo turno di servizio, nel rispetto delle disposizioni suddette, sia libero dal servizio. Prima dell’inizio dell’azione di supporto al collega che ne ha fatto richiesta, l’appartenente al gruppo informerà della garanzia del rispetto della riservatezza di quanto verrà riferito. L’intervento di supporto non verrà mai svolto sul posto dell’evento critico di servizio, poiché i disagi che ne derivano emergono più frequentemente a distanza di tempo (24/48 ore successive all’evento) e non vi sono i criteri dell’emergenza; inoltre nel corso delle operazioni vi sono tutte le attività da espletare nell’immediatezza ( si pensi ai rilievi di incidente stradale). Il luogo ove effettuare l’incontro potrà essere liberamente scelto, usufruendo anche di spazi disponibili presso le sedi lavorative. Per quanto attinente alla presenza in servizio, ed a possibili protrazioni orarie per dare supporto, gli appartenenti al gruppo osserveranno le disposizioni contenute nella procedura sulle timbrature (OdS-PG-CO-PER-003-02). L’intervento degli appartenenti al gruppo dovrà avvenire esclusivamente dopo il verificarsi di un evento critico di servizio (24/48 ore dopo il verificarsi dello stesso o in seguito alla richiesta di supporto di un collega); non si dovrà avere, quindi, alcun tipo di azione preventiva o di preallarme. L’intervento del pari, dopo che si è verificato un evento critico di servizio, compreso il sistema di contatto con il collega prevede due modalità: ogni qual volta un collega ha vissuto un evento critico di servizio, o percepisce situazione di disagio derivante da un intervento di servizio, può direttamente rivolgersi ad un appartenente al gruppo sulla base dell’elenco dei nominativi e dei relativi recapiti, mediante libera scelta. 23 successivamente al verificarsi di eventi critici di servizio generici, sulla base delle note giornaliere redatte dalla Centrale Operativa, l’Ufficio Servizio Prevenzione e Protezione, avuta comunicazione dell’evento avvenuto e dei nominativi del personale coinvolto, contatterà l’appartenente/i al gruppo secondo il criterio della vicinanza fisica al/i collega/i coinvolto/i ( es. stessa sede lavorativa), oppure attivando gli appartenenti in servizio. Il contatto avverrà con modalità non invasiva, proponendosi al/i collega/i coinvolto/i dall’evento con disponibilità; in caso di rifiuto di supporto, gli appartenenti al gruppo non dovranno assolutamente insistere, ma rispettare la scelta. 24 Chi Siamo: Alinari Silvia Bartolotti Francesca Cai Gianni Caponi Silvia Cavina Lucia Cartaginese Monica Corte Silvia Cresci Cristina Datteri Lucia Di Maggio Cinzia Donati Massimo Failli Simona Fantoni Roberta Focardi Sebastiano Gonnelli Nicoletta Magheri Laura Mancin Massimiliano Manetti Gessica Mariani Francesco Mauro Piazzini Meini Chiara Michelozzi Massimo Niccoli Sonia Paviglianiti Francesco Pesucci Giovanni Saponaro Emanuele Susisi Alessandra Traversi Moira Ventura Antonio Verrusio Patrizia 25