COPERTINA
Elohim crea Adamo, particolare,
William Blake (1757-1827),
acquarello e inchiostro, Tate Gallery, Londra
Il patto con il Serpente
Il Serpente, il tentatore, appare nelle vesti del liberatore,
di colui che solleva l’uomo al di là del bene e del male, al di là
della “legge”, al di là del Dio antico, nemico della libertà.
Gli ultimi duecento anni riscoprono il principio liberatore
del mondo affermato dalla setta degli Ofiti, principio intravisto
dalla concezione sabbatiana con il suo Messia consegnato
ai serpenti
di Massimo Borghesi
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Archivio di 30Gior ni - Febbraio 2003
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Hegel, con la sua dialettica del negativo, darà una sontuosa veste
teorica a quest’idea. L’uomo deve peccare, deve uscire dall’innocenza
naturale per divenire Dio. Egli deve realizzare la promessa
del Serpente: deve conoscere, come Dio, il bene e il male.
Questa conoscenza «è l’origine della malattia, ma anche la sorgente
della salute, è la coppa avvelenata nella quale l’uomo beve la morte
e la putrefazione, e nello stesso tempo il punto sorgivo
della riconciliazione, poiché porsi come cattivo è in sé
il superamento del male»
Gli Ofiti: il serpente come liberatore
Sono più di due secoli che la cultura occidentale accarezza il male, lo blandisce, lo giustifica. Il negativo comunica vertigine, delirio di onnipotenza, emozioni inconfessabili; illumina di bagliori rossastri i sentieri proibiti, gli abissi della notte, le vette ghiacciate. Colora di
sé il peculiare titanismo moderno, la provocatoria sfida che esso lancia all’Eterno. Se il Faust antico, quello
di Marlowe, si pente in punto di morte, quello posteriore vive dell’oltraggio, brama la dissoluzione. Il patto
col serpente, come titola Mario Praz uno dei suoi ultimi volumi1, diviene ora stabile. Il Serpente, il tentatore,
appare nelle vesti del liberatore, di colui che solleva
l’uomo al di là del bene e del male, al di là della “legge”,
al di là del Dio antico, nemico della libertà. Gli ultimi
duecento anni riscoprono «il principio liberatore del
mondo [affermato] dalla setta degli Ofiti»2, principio intravisto, secondo Gershom Scholem, dalla concezione
sabbatiana con il suo Messia consegnato ai “serpenti”3.
Principio riaffermato da Ernst Bloch nel suo Ateismo
nel cristianesimo dove il Cristo-Serpente libera il
mondo dalla tirannia di Jahvè4. Anche Goethe, secondo Vittorio Mathieu, «aveva sentito parlare della setta
degli Ofiti»5. Nel suo Goethe e il suo diavolo custode,
Mathieu osserva come nel Faust Mefistofele è la «forza
che fa emergere dalla tenebra il positivo dell’uomo»6.
Come afferma Dio, rivolto a Mefistofele nel Prologo in
Cielo, «non hai che da mostrarti, liberamente, quello
che sei; non ho mai odiato i tuoi pari; di tutti gli spiriti
che negano, il beffardo è quello che mi dà noia minore.
L’attività dell’uomo si affloscia troppo facilmente ed
egli si adagerebbe con piacere in un assoluto riposo.
Perciò gli metto volentieri accanto un compagno che lo
sproni, ed agisca, e deve, come Diavolo, creare»7. Il
Diavolo è posto volentieri («gern») da Dio come collaboratore dell’uomo. Come notava Mircea Eliade, «si
potrebbe parlare di una simpatia organica tra il Creatore e Mefistofele»8. Goethe fa di Mefistofele, del male,
la molla che muove verso l’azione («Tat»), verso ciò che
è positivo. Si tratta dell’idea, destinata a percorrere
molta strada, per cui la via verso il Cielo passa attraverso l’inferno. L’uomo diventa uomo, vivo, intelligente,
libero, solo assaporando fino in fondo l’amaro della vita. L’innocenza dell’“anima bella” è, al contrario, inerzia, stasi, morte. Hegel, con la sua dialettica del negativo, darà una sontuosa veste teorica a quest’idea. L’uomo deve peccare, deve uscire dall’innocenza naturale
per divenire Dio. Egli deve realizzare la promessa del
Serpente: deve conoscere, come Dio, il bene e il male.
Questa conoscenza «è l’origine della malattia, ma anche la sorgente della salute, è la coppa avvelenata nella
quale l’uomo beve la morte e la putrefazione, e nello
stesso tempo il punto sorgivo della riconciliazione, poiché porsi come cattivo è in sé il superamento del male»9. Attraverso questa prospettiva la figura dell’Angelo
ribelle, di colui che, provocando l’uomo, lo innalzerebbe alla sua libertà, rifulge di uno splendore nuovo. Mefistofele diviene, passo dopo passo, l’eroe, il Prometeo
moderno, il liberatore. «Senza cercarne per il momento le cause profonde», scriveva Roger Caillois nel
1937, «bisogna constatare come uno dei fenomeni psicologici più carico di conseguenze dell’inizio del XIX
secolo sia la nascita e la diffusione del satanismo poetico, il fatto che lo scrittore assuma volentieri la parte dell’Angelo del male e con lui senta precise affinità. Sotto
questa luce il romanticismo appare in parte come una
trasmutazione di valore»10. Da Byron a Vigny la «mitologia satanica» elabora la figura di un «Angelo del male», ribelle e vendicatore, le cui premesse risalgono indietro nel tempo.
Satana contro Dio
Giustamente Mario Praz, nel suo La carne, la morte e
il diavolo nella letteratura romantica, l’opera a
tutt’oggi più interessante sul fascino del demoniaco nella letteratura dell’Ottocento, indica l’inizio di questo
processo nella peculiare caratterizzazione di Satana offerta da Milton nel suo Paradiso perduto. «Fu Milton a
conferire alla figura di Satana tutto il fascino del ribel- ¬
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le indomito che già apparteneva alle figure del Prometeo eschileo e del Capaneo dantesco»11. L’Avversario
«diventa stranamente bello»12. Come scriveva Baudelaire: «Le plus parfait type de Beauté virile est Satan – à la
manière de Milton»13. Al suo confronto, osserva Harold
Bloom, «il Dio di Milton è una catastrofe», così come il
Cristo, il quale «è un disastro poetico nel Paradiso perduto»14. Per Blake: «Milton era impacciato scrivendo di
Dio e degli Angeli, e a suo agio scrivendo dei Demòni e
dell’inferno, poiché egli era un vero Poeta, e dalla parte
del Demonio senza saperlo»15. Giudizio, questo, perfettamente condiviso da Shelley per il quale: «Nulla può
superare l’energia e lo splendore del carattere di Satana quale si trova espresso nel Paradiso perduto […]. Il
demonio di Milton come essere morale è di tanto superiore al suo Dio»16.
Impavido, indomito, il principe delle tenebre appare
come lo strenuo lottatore contro la tirannia divina. Satana è Prometeo, prende il posto del mitico titano incatenato da Zeus alla rupe, immortalato dalla fantasia di
Eschilo. Il Prometeo moderno si oppone al dio ostile,
malvagio. Il luciferino Satana appare migliore del Creatore: «Milton conferisce apertamente un atteggiamento
gnostico a Satana, secondo il quale Dio e Cristo sono
soltanto versione del Demiurgo»17. Il vero affermativo è
il demonio. È lui, e non l’angelo obbediente, che appare, eticamente ed esteticamente, dotato di un fascino
più grande. Come asserisce Hegel: «Quando si presenta il Diavolo bisogna dimostrare che vi è in lui un affermativo; la sua forza di carattere, la sua energia, il suo
spirito consequenziale appare di gran lunga migliore,
più affermativo di quello di qualche angelo […]. Come
in Milton», aggiunge Hegel, «dove egli, nella sua energia piena di carattere, è migliore di alcuni angeli»18.
Grazie a Milton, alla sua rielaborazione mitica, Satana fa così il suo ingresso nell’immaginario moderno. Si
ha con ciò quella che Praz chiama, in un capitolo del
suo volume, la «metamorfosi di Satana», il suo trapassare da figura negativa a eroe positivo: il ribelle triste, pri-
vato, come l’uomo, della sua felicità paradisiaca da un
dio tiranno. Nel suo studio Praz documenta, con grande perizia, autori e correnti che fanno propria la mitologia satanica. Se nel Settecento «il Satana miltonico trasfuse il suo fascino sinistro nel tipo tradizionale del bandito generoso, del sublime delinquente»19, è nell’Ottocento, nella temperie romantica, che egli diviene il ribelle, l’espressione della rivolta metafisica, del “no” alla
creazione. Fu Byron «a portare a perfezione il tipo del
ribelle, lontano discendente del Satana di Milton»20.
Con lui il ribelle diviene lo “straniero”, l’uomo impenetrabile che trascende l’ordinario modo di sentire, che
trascende i suoi stessi delitti. È l’oltre-uomo che sta più
in alto e al contempo più in basso degli altri uomini. È
l’infelice che si nutre di risentimento verso un dio crudele del quale imita la crudeltà. La teologia di Byron è, secondo Praz, la stessa di de Sade la cui opera, secondo
l’autore, ha una influenza fondamentale nella letteratura romantica. Al centro v’è l’odio verso la creazione e il
suo autore, l’esaltazione del piacere e del crimine come
dileggio, profanazione, oltraggio. Siamo qui di fronte,
per Praz, ad un «satanismo cosmico»21. La sua influenza
è enorme. Se la natura crea solo per distruggere, assecondare la natura è ripeterne il ritmo, il piacere della distruzione, il gusto (sadico) che fa sorgere il piacere dal
dolore, il delirio dall’annientamento, il divino dal diabolico. È la pittura di Delacroix. «Quel pittore “cannibale”,
“molochista”, “dolorista” che fu Delacroix, instancabilmente curioso di stragi, d’incendi, di rapine, di putrideros, illustratore delle scene più cupe del Faust e dei
poemi più satanici del suo idolatrato Byron; quell’innamorato di felinità […] e dei Paesi violenti e calorosi»22. È
la poesia di Baudelaire, nutrita di Poe e di de Sade, il cui
pessimismo cosmico è più simile all’eresia manichea
che alla religione cristiana: «Absolu! Résultante des
contraires! Ormuz et Arimane, vous êtes le même!»23. È
la narrativa di Flaubert, per il quale «Néron vivra aussi
longtemps que Vespasien, Satan que Jésus-Christ»24.
Dei Canti di Maldoror di Lautréamont, il quale confes-
Böhme, secondo Hegel, «ha lottato per intendere in Dio e da Dio
il negativo, il male, il Diavolo». Dio è l’unità dei contrari, dell’ira e
dell’amore, del male e del bene, del Diavolo e del suo contrario,
il Figlio. In questa posizione Cristo e Satana divengono in qualche
modo fratelli, figli di un unico Padre, parti di Lui, momenti della sua
natura polare. È quanto affermerà Carl Gustav Jung nel suo esoterico
Septem Sermones ad Mortuos scritto nel 1916, fatto circolare
come opuscolo per gli amici e mai distribuito in libreria.
Il testo, che si richiama idealmente allo gnostico Basilide,
afferma la natura di “pleroma” di Dio composta da coppie di opposti
di cui «Dio e demonio sono le prime manifestazioni»
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La vita, affermava Jung nel Saggio d’interpretazione psicologica
del dogma della Trinità, «come processo energetico ha bisogno
dei contrasti, senza i quali l’energia è notoriamente impossibile.
Bene e male non sono altro che gli aspetti etici di queste antitesi
naturali». Per questo a Dio è necessario Lucifero. «Senza quest’ultimo
non ci sarebbe creazione, e tanto meno ci sarebbe stata alcuna storia
di redenzione. L’ombra e il contrasto sono le necessarie condizioni
di ogni realizzazione»
sa di aver «cantato il male come hanno fatto
Mickiewicz, Byron, Milton, Southey, A. de Musset,
Baudelaire»25. Di Swinburne che, avvinto dalla teologia
gnostica di de Sade, declama il suo uomo in rivolta:
«…potessimo ostacolare la natura, allora sì il delitto diventerebbe perfetto e il peccato una realtà. Se l’uomo
potesse far questo, se egli potesse intralciare il corso
delle stelle e alterare il tempo delle maree; se potesse
cambiare i moti del mondo e trovar la sede della vita e
distruggerla; se potesse entrare in cielo e contaminarlo,
nell’inferno e liberarlo dalla soggezione; potesse trar
giù il sole e consumare la terra, e ordinare alla luna di
spargere veleno o fuoco nell’aria; potesse uccidere il
frutto nel seme e corrodere la bocca del pargolo col latte di sua madre; allora si potrebbe dire d’aver peccato e
d’aver fatto del male contro natura»26.
Distruzione e profanazione: questo è il piacere più
grande! Un filone consistente della letteratura, a partire
dal romanzo libertino del Settecento, gode della profa-
nazione. La violazione appassiona in quanto trasgressione, oltraggio. Il corpo, quello della donna, è tanto
più oggetto del desiderio quanto più esso è inerme
(bambina, vergine, suora). Profanarlo è togliere la trascendenza, ricondurre alla terra, svelare il volto oscuro
di Eva, l’eterno femminino da sempre legato al potere
di Satana. Il demoniaco mescola il puro e l’impuro, ha
bisogno dell’innocenza per eccitare le passioni, per destare la forza dirompente del negativo. Con de Sade l’eros diviene parte di una teologia gnostica. Dopo di lui il
connubio tra Eros e Thanatos, amore e morte, diviene
l’elemento dominante di un nichilismo luciferino che
trova nel Decadentismo prima e nel Surrealismo poi il
suo compimento.
Satana in Dio
Satana non è solo in Prometeo, controfigura dell’Angelo caduto di Milton. Satana è anche in Dio. La teologia gnostica che sta al centro dell’ateismo ribelle degli
ultimi due secoli distingue tra Lucifero (il liberatore) e
Satana (l’oppressore). Essa trova la sua forma esemplare nel pensiero di Ernst Bloch. Per Bloch v’è «da un
lato il Dio del mondo che si identifica sempre più chiaramente con Satana, il Nemico, il ristagno; dall’altro il
Dio della futura ascesa in cielo, il Dio che ci spinge in
avanti con Gesù e con Lucifero»27. Il dio del mondo,
creatore, è il cattivo demiurgo contro cui, nell’Eden, si
è levato il Serpente vero amico dell’uomo. È Lucifero,
con il suo desiderio di essere come Dio, che svela all’uomo la sua destinazione. «Solo in Lucifero, tenuto
segreto in Gesù per essere manifestato più tardi, alla fine, nei tempi in cui questo volto potrà svelarsi; solo in
Lucifero, divenuto inquieto da quando fu abbandonato
per la seconda volta, da quando dalla croce si alzò il grido che rimase senza risposta, da quando per la seconda volta fu schiacciato il capo del Serpente del paradiso appeso alla croce: solo in Lui dunque, nel Nascosto
in Cristo, in quanto anti-demiurgico assoluto, è compreso anche l’autentico elemento teurgico di chi si ribella perché figlio dell’uomo»28.
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La casa della morte, William Blake,
incisione a colori, collezione privata
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Immortali che precipitano nell’abisso, da Il libro di Urizen,
William Blake, 1794
Il Serpente, come per la setta degli Ofiti ricordata
da Bloch in Ateismo nel cristianesimo, è quindi il liberatore. Due volte soggiogato, nell’Eden e nel Cristo innalzato in croce come il Serpente di bronzo di Mosè,
esso attende la sua rivincita, la sua vittoria sul Demiurgo che apre l’«età dello Spirito». Unendo assieme Marcione e Gioacchino da Fiore, Bloch è il crocevia di tutta la gnosi moderna. Gesù, anticipazione del dio a venire, del dio “umano”, è il redentore dal dio “satanico”, dal dio del cosmo, dell’ordine e della legge. La rivoluzione, come dissoluzione del vecchio ordine, diviene qui l’opera luciferina per eccellenza.
Come illustre precedente delle sue riflsessioni, Bloch richiama, in Ateismo nel cristianesimo, la figura di
William Blake. Il poeta inglese, affascinato dalla rivoluzione americana e da quella francese, ebbe, oltre alla
Bibbia, quattro maestri: Milton, Shakespeare, Paracelso, Böhme. Al primo dedicò un breve poema epico,
Milton, composto probabilmente tra il 1800 e il
1803. In esso Urizen, il Principe della Luce, appare
identico a Satana. Ciò che è peculiare in Blake è il suo
The Marriage of Heaven and Hell (Il matrimonio del
Cielo e dell’Inferno) scritto nel 1790. Qui la santificazione degli impulsi e dei desideri, in primis quello sessuale, «for everything that lives is Holy» (poiché ogni
cosa vivente è Sacra!), ottiene la sua consacrazione
teorica. Per essa non v’è più il male che nega il bene:
male e bene sono entrambi necessari. «Senza Contrari
non c’è progresso. Attrazione e Ripulsa, Ragione e
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Energia, Amore e Odio sono necessari all’Umana esistenza. Da questi contrari scaturisce ciò che l’uomo religioso chiama Bene e Male. Bene è la passività che ubbidisce a Ragione. Male è l’attività che scaturisce da
Energia. Bene è il Cielo, Male è l’Inferno»29.
Il male, come nel Faust di Goethe, è ciò che dà energia, che desta il bene assopito. Il Diavolo è la forza di
Dio. In questa sua concezione Blake era debitore a colui
che, per primo, nell’arco del pensiero moderno, aveva
osato affermare il male in Dio: Jacob Böhme. Il philosophus teutonicus, il quale, secondo Hegel, «fu il primo
a far sorgere in Germania una filosofia con caratteristiche proprie»30, stimato da Leibniz, Hegel, Schelling, von
Baader e tutto il filone teosofico del pensiero moderno,
è colui per il quale «secondo il primo principio Dio non
si chiama Dio, ma Collera, Furore, sorgente amara, e
vengono di qui il male, il dolore, il tremore e il fuoco divorante»31. L’ira di Dio è superata nell’amore; cionondimeno essa rimane l’Urgrund, il principio originario da
cui origina il tutto. Böhme, secondo Hegel, «ha lottato
per intendere in Dio e da Dio il negativo, il male, il Diavolo»32. Dio è l’unità dei contrari, dell’ira e dell’amore,
del male e del bene, del Diavolo e del suo contrario, il Figlio. In questa posizione Cristo e Satana divengono in
qualche modo fratelli, figli di un unico Padre, parti di Lui,
momenti della sua natura polare. È quanto affermerà
Carl Gustav Jung nel suo esoterico Septem Sermones
ad Mortuos scritto nel 1916, fatto circolare come opuscolo per gli amici e mai distribuito in libreria. Il testo,
che si richiama idealmente allo gnostico Basilide, afferma la natura di “pleroma” di Dio composta da coppie di
opposti di cui «Dio e demonio sono le prime manifestazioni»33. Essi si distinguono come generazione e corruzione, vita e morte. E tuttavia «l’effettività è comune a
entrambi. L’effettività li unisce. Quindi l’effettività è al di
sopra di loro ed è un Dio sopra Dio, poiché nel suo effetto unisce pienezza e vuotezza»34. Questo Dio che unisce
Dio e il Diavolo è chiamato, da Jung, Abraxas. Esso è la
forza originaria, che sta prima di ogni distinzione.
«Abraxas genera verità e menzogna, bene e male, luce e
tenebra, nella stessa parola e nello stesso atto. Perciò
Abraxas è terribile»35. Esso è «l’amore e il suo assassino»,
«il santo e il suo traditore», è «il mondo, il suo divenire e il
suo passare. Su ogni dono del Dio sole il demonio getta
la sua maledizione»36. Il messaggio esoterico dei Sette
Sermoni portava, come in Blake, alla santificazione della natura, all’innocenza del divenire. Esso implicava, per
ciò stesso, la giustificazione del male, del Diavolo, il suo
inserimento, come in Böhme, in un sistema polare. Non
a caso Martin Buber, venuto a conoscenza dell’opuscolo, parlerà qui di gnosi. «Essa – e non l’ateismo, che annulla Dio perché deve rifiutare le immagini che finora di
lui sono state fatte – è il vero antagonista della realtà della fede»37. Per Buber la psicologia di Jung non costituiva
altro che «la ripresa del motivo carpocraziano, insegnato ora come psicoterapia, il quale divinizza misticamente gli istinti invece di santificarli nella fede»38.
Il rilievo di Buber non era puramente congetturale.
Era stato lo stesso Jung che, in Psicologia e religione,
aveva richiamato l’attualità dello gnostico Carpocrate il
quale sosteneva che «bene e male sono soltanto opinio-
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ni umane e che al contrario le anime, prima della loro
dipartita, avrebbero dovuto vivere fino all’ultimo ogni
umana esperienza, se volevano evitare di ritornare nella
prigione del corpo. Soltanto il completo adempimento
di ogni esigenza della vita può riscattare l’anima prigioniera nel mondo somatico del Demiurgo»39. La vita, affermava nel Saggio d’interpretazione psicologica del
dogma della Trinità, «come processo energetico ha bisogno dei contrasti, senza i quali l’energia è notoriamente impossibile. Bene e male non sono altro che gli
aspetti etici di queste antitesi naturali»40. Per questo a
Dio è necessario Lucifero. «Senza quest’ultimo non ci
sarebbe creazione, e tanto meno ci sarebbe stata alcuna
storia di redenzione. L’ombra e il contrasto sono le necessarie condizioni di ogni realizzazione»41. Quest’ombra è innanzitutto in Dio, nel Dio primigenio, nell’Inconscio che, per Jung, è la vera potenza che dirige la vita la quale deve essere “umanizzata” dall’io cosciente. È
solo nel Dio umano, Cristo, che il giudizio separa quanto nel pleroma (l’inconscio) è unito: la luce e la sua ombra. Ora i «due figli di Dio, Satana il maggiore e Cristo il
minore»42, la mano sinistra e la mano destra di Dio, si separano. «Quest’antitesi rappresenta un conflitto portato all’estremo, e con ciò anche un compito secolare per
l’umanità fino a quel punto o a quella svolta del tempo in
cui bene e male cominciano a relativizzarsi, a porsi in
dubbio, e si alza il grido verso un al di là del bene e del
male. Ma nell’età cristiana, cioè nel regno del pensiero
trinitario, una simile riflessione è semplicemente esclusa; poiché il conflitto è troppo violento, perché si potesse concedere al male qualche altra relazione logica con
la Trinità, che non fosse il contrasto assoluto»43. Occorre che la Trinità divina, spirituale, si concili con un
“quarto” principio: la materia, il corpo, il femminile, l’eros, il male, perché l’idealismo cristiano, conciliato con
il mondo, pervenga a una superiore unità. «Perciò anche nel tempo dell’assoluta fede nella Trinità ci fu sempre una ricerca del quarto perduto, dai neopitagorici
greci fino al Faust di Goethe. Benché questi cercatori si
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ritenessero cristiani, essi erano tuttavia una specie di
cristiani a latere, poiché consacravano la loro vita a un
opus, che aveva come meta la redenzione del serpens
quadricornutus, dell’anima mundi irretita nella materia, del Lucifero caduto… La nostra formula della quaternità dà ragione alla loro pretesa, poiché lo Spirito
Santo, come sintesi di colui che fu originariamente Uno
e poi scisso, fluisce da una sorgente luminosa e da una
oscura»44. L’“età dello Spirito”, nella peculiare interpretazione che Jung dà di Gioacchino da Fiore, è l’era che
segue all’eone cristiano, il tempo di Abraxas in cui passioni e ragione, inconscio e conscio, male e bene, Lucifero e Cristo, diverrano uno.
Nel 1919 Hermann Hesse, che nel 1920 si sottopose ad analisi con Jung, pubblicò un romanzo, Demian,
sotto lo pseudonimo di Emil Sinclair. In esso il protagonista, un giovane inesperto, viene istruito sul senso della
vita da uno spirito “libero” che porta in sé il segno di Caino: Demian. Per Demian «il Dio dell’Antico e del Nuovo
Testamento è una figura eccellente, ma non è quella che
dovrebbe essere. È il bene, la nobiltà, il padre, l’alto, il
bello, il sentimentale: tutte belle cose, ma il mondo è fatto anche di altro. E ciò viene attribuito semplicemente al
Diavolo, e tutta questa parte del mondo, questa metà
viene soppressa e uccisa col silenzio»45. Ad essa appartiene, secondo Demian, la sfera sessuale. Per questo
non si può solo venerare Dio, «dobbiamo venerare tutto
e considerare sacro il mondo intero, non soltanto questa
metà ufficiale, separata ad arte. Accanto al servizio per
Dio dovremmo avere anche un servizio per il Diavolo. A
me parrebbe giusto. Oppure ci si dovrebbe procurare
un Dio che racchiuda anche il demonio»46. Come in
Jung, questo «Dio si chiama Abraxas ed è Dio e Satana e
abbraccia in sé il mondo luminoso e il mondo scuro»47. È
l’amor sacro e l’amor profano, «l’immagine angelica e
Satana, uomo e donna insieme, uomo e bestia, supremo bene e male estremo»48.
La visione del divino come coincidentia oppositorum, versione che sigla in forma indissolubile il «patto ¬
«È ovunque operante», scriveva Romano Guardini nel 1964, «l’idea
fondamentale gnostica che le contraddizioni sono polarità: Goethe,
Gide, C. G. Jung, Th. Mann, H. Hesse… Tutti vedono il male,
il negativo […] come elementi dialettici nella totalità della vita,
della natura». Questo atteggiamento, per Guardini, «si manifesta
già in tutto quello che si chiama gnosi, nell’alchimia, nella teosofia.
Si presenta in forma programmatica con Goethe, per il quale il satanico
entra persino in Dio, il male è forza originaria dell’universo necessaria
quanto il bene, la morte solo un altro elemento di quel tutto, il cui polo
opposto si chiama vita. Questa opinione è stata proclamata in tutte
le forme e concretata in campo terapeutico da C. G. Jung»
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con il Serpente», attraversa, in tal modo, una parte cospicua del mondo culturale del Novecento. Ricordiamo,
tra gli altri, la riflessione di Mircea Eliade che in due scritti, Il mito della reintegrazione (1942) e Mefistofele e
l’Androgine (1962), espone, sotto le suggestioni di
Jung, la sua visione della «polarità divina». Per essa ogni
divinità appare polare, benefica e malefica ad un tempo.
Il Serpente è fratello del Sole, così come, secondo un
mito gnostico, lo sarebbero Cristo e Satana. Questa biunità divina prepara, nell’uomo, la reintegrazione di sacro e profano, di bene e di male in una unità superiore
che trova, per Eliade, la sua meta simbolica nella figura
dell’androgino.
Conclusione
La moderna teosofia degli opposti, fondata sulla dottrina ermetica della coincidentia oppositorum, porta a
un connubio, inquietante, tra divino e diabolico, porta
all’idea del Diavolo in Dio. «È ovunque operante», scriveva Romano Guardini nel 1964, «l’idea fondamentale
gnostica che le contraddizioni sono polarità: Goethe,
Gide, C. G. Jung, Th. Mann, H. Hesse… Tutti vedono il
male, il negativo […] come elementi dialettici nella totalità della vita, della natura»49. Questo atteggiamento, per
Guardini, «si manifesta già in tutto quello che si chiama
gnosi, nell’alchimia, nella teosofia. Si presenta in forma
Note
1
M. Praz, Il patto col serpente, Milano
1972 (ediz. 1995).
2
Op. cit., p. 12.
3
G. Scholem, Le grandi correnti della
mistica ebraica, tr. it., Torino 1993, p. 307.
4
E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, tr.
it., Milano 1971, pp. 220-226.
5
V. Mathieu, Goethe e il suo diavolo custode, Milano 2002, p. 192.
6
Op. cit. , p. 65.
7
W. Goethe, Faust e Urfaust, tr. it., 2
voll., Milano 1976, vol. I, vv. 340-343, p. 19.
8
M. Eliade, Il mito della reintegrazione,
tr. it. , Milano 2002, p. 4.
9
G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia
della religione, tr. it., 2 voll., Milano 1974,
vol. II , p. 317.
10
R. Caillois, Nascita di Lucifero, tr. it.,
Milano 2002, p. 31.
11
M. Praz, La carne, la morte e il diavolo
nella letteratura romantica, Firenze (ediz.
1999), p. 58.
12
Ivi.
13
C. Baudelaire, Journaux intimes, cit.,
in: M. Praz, La carne, la morte e il diavolo
nella letteratura romantica, op. cit., p. 55.
14
H. Bloom, Rovinare le sacre verità.
Poesia e fede dalla Bibbia a oggi, tr. it., Milano 1992, p. 106.
15
W. Blake, Il matrimonio del Cielo e
dellʼInferno, tr. it., in: Selected Poems of
William Blake, Torino 1999, pp. 24-25.
16
P. B. Shelley, Difesa della Poesia, cit.
in: M. Praz, La carne, la morte e il diavolo
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programmatica con Goethe, per il quale il satanico entra persino in Dio, il male è forza originaria dell’universo
necessaria quanto il bene, la morte solo un altro elemento di quel tutto, il cui polo opposto si chiama vita. Questa
opinione è stata proclamata in tutte le forme e concretata in campo terapeutico da C. G. Jung»50.
L’idea di fondo è che la redenzione passa attraverso
la degradazione, la grazia tramite il peccato, la vita attraverso la morte, il piacere mediante il dolore, l’estasi
per opera della perversione, il divino mediante il diabolico. Il fascino che il negativo – metafora del demoniaco – esercita sulla cultura contemporanea dipende
da questa singolare idea: che le vie del paradiso passino attraverso l’inferno, che «Discesa all’Ade e resurrezione» siano uno 51.
Consegnarsi al demonio, in una singolare trasposizione gnostica dell’idea per cui perdersi è ritrovarsi, è
aprirsi a Dio. In questo “sacro” connubio Satana e Dio
si uniscono nell’uomo. È l’«identità di de Sade e dei mistici»52 auspicata da Georges Bataille. Per essa la via all’ingiù coincide con la via all’insù. Faust, ora, non può
più pentirsi, nemmeno in punto di morte. L’Avversario
è diventato complice, “parte” di Dio. È la via per divenire dio. Il brivido del nulla, della discesa agli Inferi, accompagna la scoperta dell’Essere, di Abraxas, il pleroma senza volto che permane, immobile, nel divenire
del mondo.
q
nella letteratura romantica, op. cit., p. 59.
17
H. Bloom, Rovinare le sacre verità.
Poesia e fede dalla Bibbia a oggi, op. cit., p.
105.
18
G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia
della religione, op. cit., vol. II, pp. 315-316 e
324, nota.
19
M. Praz, La carne, la morte e il diavolo
nella letteratura romantica, op. cit., pp. 5960.
20
Op. cit., p. 64.
21
Op. cit., p. 96.
22
Op. cit., p. 135.
23
Citato in op. cit., p. 147.
24
Citato in op. cit., p. 161.
25
Lautréamont, Lettere, tr. it. in: Lautréamont, I canti di Maldoror, Torino 1989,
p. 531.
26
Citato in: M. Praz, La carne, la morte e
il diavolo nella letteratura romantica, op.
cit., p. 199.
27
E. Bloch, Spirito dellʼutopia, tr. it., Firenze 1980, p. 314.
28
Op. cit., p. 252.
29
W. Blake, Il matrimonio del Cielo e
dellʼInferno, op. cit., pp. 19-20.
30
G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia
della filosofia, tr. it., 4 voll., Firenze 1973,
vol. III(2), p. 35.
31
Citato in: F. Cuniberto, Jacob Böhme,
Brescia 2000, p. 119.
32
G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia
della filosofia, op. cit., vol. III(2), p. 42.
33
C. G. Jung, Septem Sermones ad
Mortuos, tr. it., in: Ricordi, sogni, riflessioni
di C. G. Jung, Milano 1990, p. 454.
Op. cit., pp. 454-455.
Op. cit., p. 456.
36
Ivi.
37
M. Buber, Lʼeclissi di Dio, tr. it., Milano
1983, p. 139.
38
Ivi.
39
C. G. Jung, Psicologia e religione, tr.
it., in: C. G. Jung, Opere, vol. XI, Milano
1984, p. 83.
40
C. G. Jung, Saggio dʼinterpretazione
psicologica del dogma della Trinità, tr. it., in:
C. G. Jung, Opere, vol. XI, op. cit., p. 191.
41
Op. cit., p. 190.
42
C. G. Jung, Prefazione a Z. Weblowsky, “Lucifero e Prometeo”, tr. it., in: C. G.
Jung, Opere, vol. 11, op. cit., p. 299.
43
C. G. Jung, Saggio dʼinterpretazione
psicologica del dogma della Trinità, op. cit. ,
p. 171.
44
Op. cit., p. 174.
45
H. Hesse, Demian. Storia della giovinezza di Emil Sinclair, tr. it., in: H. Hesse,
Peter Camenzind – Demian. Due romanzi
della giovinezza, Roma 1993, p. 185.
46
Op. cit., p. 185. Corsivi nostri.
47
Op. cit., p. 216.
48
Op. cit., p. 207.
49
R. Guardini, Diario. Appunti e testi dal
1942 al 1964, tr. it., Brescia 1983, p. 245.
50
R. Guardini, Lettere teologiche a un
amico, tr. it., Milano 1979, p. 63.
51
E. Zolla, Discesa allʼAde e resurrezione, Milano 2002.
52
G. Bataille, Frammenti su William
Blake, tr. it., in: Selected Poems of William
Blake, op. cit., p. 163.
34
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