www.invisible-dog.com [email protected] PERCHE’ L’ISIS CONTINUA A VINCERE Le vittorie militari che continuano a mietere sul terreno le milizie dell’ISIS sono ascrivibili a diverse circostanze, sia di ordine politico che militare. Sul piano politico della valutazione del grado di pericolosità del gruppo terrorista pesa la priorità che alcuni Paesi della regione, come Turchia, Arabia Saudita e Qatar, danno alla minaccia rappresentata da un potenziale futuro ruolo egemonico dell’Iran, sia nel suo salvataggio del regime alawita siriano che a sostegno del governo iracheno. Il timore ha preso forma quando Teheran è riuscita a raggiungere con gli Stati Uniti un accordo di massima sul suo programma nucleare. Ed è per questa valutazione di merito che adesso Ankara, Riyadh e Doha hanno deciso di incrementare il loro sostegno militare a quelle fazioni, anche radicali, che combattono il regime di Bashar al Assad. Così facendo è chiaro che a risultarne rafforzate sono anche l’ISIS e Jabhat al Nusra. La guerra strisciante tra sunnismo e sciismo ha preso il sopravvento sul pericolo jihadista, forse non casualmente di matrice sunnita. Le paure di Ankara La Turchia vive anche la paura che i curdi siriani possano riuscire a controllare una porzione di territorio siriano lungo il confine comune dove magari un domani instaurare un proprio Stato. E' oramai di dominio pubblico come le ambiguità turche avessero come finalità l'avverarsi di un tale evento. E’ stato permesso ai volontari islamici di entrare ed uscire dal proprio territorio in assoluta libertà, sui traffici di armi è stato posto un colpevole silenzio, sui traffici e il contrabbando di petrolio proveniente dai giacimenti sotto il controllo dello Stato islamico è stato fatto altrettanto. Ultimamente questo approccio ha subito un'evoluzione ancora più negativa: la Turchia è diventata parte attiva nel rifornire armi ai jihadisti e questo si traduce in un rafforzamento esponenziale delle capacità militari delle milizie islamiche. Un lavoro sporco portato a compimento dall’Organizzazione di Informazione Nazionale, il MIT (Milli Istihbarat Teskilati), l'organismo di intelligence turco fondato nel 1965, che, nonostante le precauzioni di sicurezza con cui è stato condotto, è diventato palese a seguito della confisca di alcuni carichi di armi nascoste in mezzo alle medicine e bloccate dai doganieri ai confini con la Siria. Questa è la stessa Turchia che impedisce agli americani di utilizzare la base aerea di Incirlik per bombardare l’ISIS pretendendo, invece, che tali interventi vengano mirati esclusivamente contro l’esercito di Assad. E non è forse casuale che in una recente intervista alla televisione al Jazeera – dettaglio non irrilevante: è sotto il controllo dell’emiro del Qatar – il capo di al Nusra, Abu Mohamed al Golani, abbia più volte sottolineato che la missione principale delle sue milizie è quella di cacciare il regime di Assad e non di combattere gli americani. Un messaggio rassicurante che mira a “tranquillizzare” Washington che, invece, vede oggi con maggiore preoccupazione l’avanzata delle milizie islamiche in tutta la regione piuttosto che la permanenza al potere di Bashar al Assad a Damasco. Ci si può oggettivamente domandare se l'attuale politica dei maggiori Paesi sunniti della regione sia valida dal momento che il pericolo attuale – quello dell’avanzata dell’ISIS – è sottovalutato a favore di una minaccia potenziale futura: l'egemonia dello sciismo iraniano in Medio Oriente. Un gioco pericoloso E’ un discorso che si applica soprattutto all’Arabia Saudita, dove dei recenti attentati hanno preso di mira la minoranza sciita. E' proprio sul tema del confronto tra sciiti e sunniti che trova giustificazione la condiscendenza dei Paesi del Golfo verso l’ISIS. Questo è ben chiaro anche nella strategia di Abu Bakr al Baghdadi. Più la guerra diventa settaria, più acquista connotazioni contro l’eresia o l'apostasia rappresentate dallo sciismo (e dall'alawismo), maggiore è la simpatia e l’adesione della popolazione sunnita alla causa dell’ISIS. Ed è forse ancora una volta non casuale che la televisione dell’emiro del Qatar abbia diffuso un sondaggio dove risulta che il Califfato di al Baghdadi gode di una vasta popolarità, misurata sull’ordine dell’80% tra la comunità sunnita. Rimane poi da verificare, una volta caduto il regime di Assad in Siria, se l’ondata di instabilità che questo evento determinerebbe potrebbe giovare agli interessi di quei paesi che hanno assecondato la caduta del regime. Una Siria distrutta dalla guerra civile ed in mano alle fazioni radicali islamiche porterebbe maggiore instabilità in una regione dove i focolai di tensione certo non mancano. Rimane difficile capire che guadagno ne avrebbe la Turchia, confinante con un Paese destabilizzato e guidato dall’ISIS. Lo stesso discorso varrebbe per le monarchie del Golfo perché il Califfato, nella sua essenza teologica, si vede, in prospettiva, legittimato a prendere il comando delle masse islamiche, la “umma”. Ed in quell’effetto domino che si creerebbe con la disintegrazione della Siria varrebbe la pena anche soffermarsi sulle conseguenze che questa circostanza avrebbe sulla stabilità della Giordania, del Libano e sulla sicurezza di Israele. Un'eredità pesante Ma a parte le opzioni politiche dei paesi del Golfo che sottovalutano il pericolo jihadista e sopravvalutano quello sciita, le vittorie dell’ISIS sul terreno hanno anche diverse motivazioni, soprattutto di ordine militare. La ragione principale risiede nella scarsa affidabilità dell’esercito iracheno che a Mosul e a Ramadi ha preferito scappare piuttosto che combattere contro l’ISIS ed ha abbandonato durante la fuga un arsenale di armi e mezzi. Nella sostanza oggi non è tanto la bravura militare dell’ISIS a fare premio, quanto la scarsa belligeranza delle truppe che lo combattono. Qui il discorso parte da lontano: la caduta di Saddam nel 2003, il conseguente scioglimento dell’esercito iracheno su decreto del reggente americano del tempo, Paul Bremer, e la sua successiva ricostituzione ad appannaggio quasi totalitario degli sciiti, fino ad allora emarginati ed estromessi dalle vicende militari. In pratica, nel 2003/2004 l’esercito iracheno rinasce dal nulla senza quadri qualificati o con esperienze belliche pregresse. A questa invalidità di partenza se ne aggiunge subito un’altra: la Coalizione, soprattutto quella di estrazione anglo-americana, non si fida di questa nuova Forza Armata. Ne consegue che non sono forniti armamenti e/o addestramenti adeguati. Dalla caduta di Saddam Hussein ad oggi, l’unica componente capace di fare la guerra in Iraq sono i Peshmerga del Kurdistan. I curdi sono gli stessi a cui sinora, per motivi politici legati alla suscettibilità turca ed al pericolo di una spartizione etnica dell’Iraq, gli americani si rifiutano di fornire armamenti pesanti. Quel poco che viene passato transita prima per Bagdad e non arriva direttamente. I sunniti che invece prima combattevano per Saddam Hussein sono adesso, nella stragrande maggioranza, confluiti nelle milizie dell’ISIS. L’esercito iracheno è oggi la diretta conseguenza di queste circostanze pregresse. Lo stallo americano Questo spiega le sconfitte e spiega anche i recenti commenti del Segretario americano alla Difesa, Ashton Carter, che ha accusato l’esercito iracheno di non aver voglia di combattere. Ovvie le rimostranze del premier iracheno Haider al Abadi ed i tentativi del Vice Presidente USA Joe Biden di attenuare la diatriba, ma questo non cambia la sostanza delle cose. Sullo stesso argomento e con analoghe conclusioni si è espresso anche il Capo di Stato Maggiore Congiunto americano, Martin Dempsey. Gli Stati Uniti, prima del loro ritiro dall'Iraq nel 2011, avevano speso oltre 25 miliardi di dollari per addestrare ed equipaggiare l’esercito iracheno . Uno sforzo economico che non aveva prodotto i risultati sperati. E vale qui ricordare anche una recente dichiarazione pubblica del Presidente americano Barack Obama: “Se gli iracheni non hanno la volontà di combattere per la propria sicurezza, non lo possiamo fare noi per loro”. In altre parole, gli americani possono appoggiare la guerra del governo iracheno contro i jihadisti, ma niente intervento diretto delle truppe statunitensi sul terreno. Specie adesso che anche i volontari sciiti, al Hashd al Shaabi ovvero milizie popolari, ed anche iraniani affiancano le truppe regolari di Abadi. Si parla complessivamente di quasi 100.000 uomini che militarmente tendono ad operare autonomamente. Oggi sono rimasti in Iraq circa 3.000 soldati americani, di cui 800 a protezione delle proprie strutture e personale e circa 2200 per dare supporto addestrativo e logistico alle forze di sicurezza locali. Anche il sostegno fornito ai ribelli siriani incontra molte difficoltà perché c’è molta diffidenza di fondo e c’è anche una divergenza di principio: i ribelli vogliono combattere Assad e non l’ISIS. Un esercito fantasma E' oggi difficile stabilire il numero degli effettivi a disposizione dell’esercito iracheno. Nel 2009 erano circa 210.000 uomini, stesso dato riconfermato nel 2011 all’atto del ritiro americano. Oggi si parla di circa 140.000 uomini, di cui solo 48.000 in grado di combattere. Sulla carta esisterebbero 14 Divisioni composte complessivamente di 263 battaglioni, ma sono dati empirici. Due Divisioni, circa 30.000 uomini, erano quelle scappate nel giugno scorso da Mosul di fronte a circa 1.200 miliziani dell’ISIS. E non meraviglia che a Ramadi sia avvenuto qualcosa di simile il 17 maggio scorso. L’inefficienza dell’esercito iracheno ha però varie cause a prescindere dagli errori di Bremer nel 2003. Intanto vi è il problema della composizione etnica: il 90% degli effettivi sono sciiti e quei pochi sunniti che vi rimangono sono restii ad essere impiegati in aree sunnite sotto il comando di ufficiali sciiti. Lo stesso discorso vale per gli sciiti quando combattono in aree a maggioranza sciita. Oramai la frattura religiosa è così profonda che nessuno intende combattere contro i propri confratelli. Pertanto il tasso di diserzione nell’esercito iracheno è molto alto, sull’ordine di 2/300 soldati al giorno, ed il correlato problema del reclutamento risente delle divisione religiose. Poi vi è la corruzione: molte volte gli ufficiali trattengono gli stipendi dei soldati, lucrano sul vettovagliamento e sulle forniture logistiche e creano disaffezione nella truppa. Un caso eclatante è stato quello dei cosiddetti “soldati fantasma”, truppe inesistenti che gonfiavano gli organici e di cui si pagavano stipendi poi incamerati dagli ufficiali. Un fenomeno che è stato combattuto dall’attuale Premier Abadi che ha cacciato una quarantina di ufficiali. Sembra che i “soldati fantasma” siano circa 50.000, circa un terzo dei presunti effettivi in armi. Ma vi sono anche questioni organizzative irrisolte: la logistica che non funziona, la manutenzione che non esiste, problemi di comunicazione nella catena di comando, approssimata pianificazione strategica, addestramenti limitati ed armamenti carenti. Ad un esercito inefficiente si affiancano anche Servizi Informativi inefficienti. Anche lì tutto inizia nel 2003/2004 con lo scioglimento delle strutture pre-esistenti e la creazione di nuove organizzazioni con personale dequalificato. I motivi: mancanza di capacità e attitudine operativa e quindi sostanziale inefficienza, scarsa vigilanza del territorio, nomina di vertici su base etnico-religiosa e spartizione politica, mancanza di coordinamento tra strutture sia nella parte operativa che di analisi, duplicazioni sul piano tecnico ed amministrativo, carenze organizzative e tecniche, burocrazia, addestramento approssimato e scarsa tendenza all’utilizzo di nuove tecnologie. L’unica linea di continuità tra i vecchi Servizi di Saddam e quelli nuovi è stato il perdurante abuso di potere, il ricorso alle torture, la violazione dei diritti umani. Senza via d'uscita Nel 2013, sotto la gestione dell’ex Premier Nouri al Maliki, si era creata la figura del Commissario Politico nelle Forze Armate e le promozioni non seguivano più criteri di meritocrazia, ma solo di lealtà politica. Tutte situazioni ereditate da al Abadi e che tuttora incidono negativamente sul morale dell’esercito iracheno. Ed è soprattutto molto difficile che i sunniti siano invogliati a combattere per il loro Paese quando la loro popolazione vive in maggioranza in aree sotto controllo dell’ISIS. Questo dato dà anche la misura del disfacimento sociale dello Stato iracheno dalla caduta di Saddam Hussein: sunniti e sciiti si odiano ed i curdi vivono in piena autonomia statuale. Ed adesso la presenza nei combattimenti contro l’ISIS di unità paramilitari sciite a fianco dell’esercito regolare sta aumentando queste differenze religiose e settarie. Tutto questo spiega oggi perché l’ISIS controlli un terzo dell’Iraq e più di 2/3 della Siria. E più le milizie islamiche mietono successi, più arrivano volontari a combattere nelle sue fila. Oggi, secondo il Premier iracheno Haidar al Abadi, il 60% dei combattenti dell’ISIS è straniero. Questo spiega anche la riluttanza americana a fornire equipaggiamenti ed armamenti sofisticati quando il rischio che finiscano in mano all’ISIS è molto alto. IL MANUALE DELL’ASPIRANTE JIHADISTA - PARTE I Un merito universalmente riconosciuto all’ISIS è quello di aver messo in piedi un efficientissimo sistema mediatico che, nel corso del tempo, ha svolto diverse funzioni: di propaganda per enfatizzare le vittorie e minacciare il nemico, ma soprattutto di reclutamento per attirare nuovi volontari che ingrossino le sue milizie. Soprattutto quest'ultima è estremamente importante. Alcuni analisti ritengono che il 60% delle truppe dell’ISIS siano oggi costituite da stranieri provenienti da molte parti del mondo. In quest'opera di proselitismo si utilizzano tutti i maggiori strumenti di comunicazione: internet, Facebook, Twitter. E' nostra intenzione analizzare nel dettaglio il messaggio e le istruzioni che l’ISIS invia ai suoi potenziali volontari. Un libercolo in inglese è diffuso online dal titolo “Hijrah to the Islamic State” o, come recita il nome del file, Hijrah to Al Dawla, il califfato della tradizione Abbaside. L'opuscolo per aspiranti reclute si apre con delle frasi di famosi teologi islamici che enfatizzano due concetti religiosi: l’Hijra, ovvero l'emigrazione nella terra di Ibrahim, aka Abramo, e che richiama la fuga di Maometto dalla Mecca a Medina, e la profezia che alla fine dei tempi l’Islam si manifesterà in Siria, luogo dove il credente dovrà raggiungere Ibrahim. Ne consegue quindi la legittimazione teologica dell’auto-proclamato Califfo Abu Bakr al Baghdadi perché colui che decide di venire in Siria effettua una “Hijra” proprio come il profeta. Il viaggio Dopo la premessa si passa subito alle disposizioni pratiche per raggiungere lo Stato Islamico. L'itinerario tipo indicato dai terroristi passa per l’aeroporto turco di Sanliurfa, il varco di confine con la Siria a Akcakale e giù fino ad arrivare a Raqqa, auto-proclamata “capitale” dello Stato Islamico. Un totale di 127 km che danno per scontato come l’unico sistema praticabile di ingresso in Siria sia attraverso la Turchia. Tutto facile? Sì, se si osservano alcune raccomandazioni pratiche: non dite a nessuno che si vuole venire a combattere, comprate un biglietto di andata e ritorno che transiti prima per un Paese turistico (Grecia, Spagna) e da lì comprate un altro biglietto, sempre di A/R, per la Turchia. Inoltre, si può arrivare in Turchia anche via macchina o via nave, questo crea minori sospetti e si subiscono minori controlli. Una volta raggiunta la Turchia l‘aspirante jihadista prenderà alloggio in un hotel e dovrà entrare in contatto con la persona che dovrà guidarlo ed istruirlo. Un contatto reso operante via Twitter. L’avvicinamento ai valichi di confine controllati dalle milizie islamiche, località di Öncüpınar/Bab al Salam o, più a nord, Bab al Hawwa, deve avvenire vestendosi in modo “casuale” e non “religioso” anche per non insospettire le guardie confinarie turche. Il libercolo indica che se vengono attuate queste precauzioni il volontario potrà addirittura ottenere un visto per la Siria. In alternativa può corrompendo il poliziotto turco. In quella zona avverrà il contatto, probabilmente all’interno di uno dei campo profughi, con chi dovrà guidare il nostro aspirante jihadista in Siria. Può anche capitare che il visto siriano venga rifiutato e che il volontario venga respinto: ecco allora una soluzione alternativa. Questa volta, sempre tramite contatto Twitter, un emissario arriverà dalla Siria dove raggiungerà il volontario in hotel. Insieme si raggiungerà il confine a Akcakale, o Tel Abyad sul lato siriano, dove non esiste un valico confinario. Lì basterà eludere la vigilanza delle guardie turche, correre attraverso il confine e raggiungere una macchina che aspetta dalla parte siriana. Raqqa è ancora più vicina. Questa soluzione alternativa non tiene però conto del fatto che Tel Abyad sia stata recentemente conquistata dai curdi e quindi non è più in mano all’ISIS. Ma le istruzioni per entrare in Siria sono corredate anche da altre informazioni: se attraversare il confine diventa sempre più difficile, ci sono case sicure dove alloggiare, ma solo pochi membri dello Stato Islamico le conoscono. Questi personaggi sono riconoscibili perché hanno con sé un “tazkiyah”, un documento firmato che ne attesta l’affidabilità. Inoltre, i servizi di sicurezza turchi sono ostili. Se il volontario è individuato è possibile che venga arrestato, tuttavia i turchi lasciano anche abbastanza in pace le reclute perché hanno paura di attacchi. Infine, ci sono anche i contrabbandieri e i facilitatori che possono aiutare a passare il confine e a procurare documenti contraffatti. Cosa fare se vieni bloccato in Turchia Il documento ipotizza che all’arrivo in Turchia nel tragitto dell’hijrah si possa essere fermati, deportati o arrestati. L’spirante volontario non si deve scoraggiare, ma deve avere fiducia in Allah. All’aeroporto di arrivo se si ha un visto, non si hanno precedenti penali, non si è ricercati dalla polizia, non si è sulla lista dei terroristi e non si hanno materiali compromettenti in valigia, si può essere fermati ma non arrestati. In tal caso il libercolo ti aiuta anche a rispondere alle domande della polizia turca: - Qual è lo scopo della tua visita in Turchia? - Turismo. E' consigliabile informarsi prima sulle attrazioni turistiche del Paese. - Hai intenzione di andare in Siria? - Negare assolutamente o, in alternativa, dire di aver visto le sofferenze dei siriani e di volerli aiutare, ma mai ammettere di voler attraversare il confine. - Sei un terrorista? Sei collegato ad Al Qaeda? Vuoi andare in Siria per congiungerti con Al Qaeda? - Negare decisamente. Portare avanti sempre il discorso del turismo. I turchi, a detta dell'opuscolo, non distinguono tra l'ISIS ed Al Qaeda. La circostanza è rimarcata come se si trattasse di un grosso “errore”. Comunque, sottolinea il documento, è importante non avere nel bagaglio elementi “incriminanti” che possano contraddire la tua versione dei fatti come coltelli o armi, scarponi da guerra, tute mimetiche ecc. Di seguito una sfilza di raccomandazioni: avere un visto turistico e tenerlo bene al sicuro, così come il passaporto, avere una buona conoscenza delle attrazioni turistiche del Paese, assicurarsi che non vi siano possibili elementi incriminanti ( meglio evitare di avere un coltello al seguito perché è “rischioso” anche se questo, insieme ad altri equipaggiamenti, contraddice quanto illustrato sulle cose da portarsi al seguito), conoscere bene l’itinerario da fare in Turchia, viaggiare verso sud solo di notte e non muoversi di giorno. Cosa portarsi al seguito Anche sotto questo aspetto il libercolo è prodigo di suggerimenti. Il primo riguarda il tipo e la quantità di bagaglio da avere al seguito: una valigia, una borsa tipo sacca/astuccio, uno zainetto. L'opuscolo entra poi nel merito della descrizione, bagaglio per bagaglio. La sacca/astuccio può non essere tale. Serve qualcosa dove tenere gli effetti personali “vitali”. La cosa migliore sono i cosiddetti marsupi, le borse da cintura che evitano di fare contorsioni e danno meno nell’occhio. Dentro al marsupio devono andare alcuni effetti personali fondamentali (passaporto, biglietti aerei, portafoglio, soldi in contanti, telefonino e relativo carica-batteria) ed altri eventualmente aggiuntivi (fazzoletti di carta o di stoffa, occhiali da vista e da sole, medicine, cerotti, carta e penna, torcia, qualunque cosa che permetta la sopravvivenza per 24 ore nel caso si smarrisse il bagaglio). Poi un’avvertenza: attenersi alle regole del viaggio aereo. Quindi niente forbicine, coltelli, liquidi, esplosivi ecc. nel timore di farsi notare. Lo zainetto è l'altro tassello del bagaglio a mano e può contenere fino a 7/8 kg. Il manuale suggerisce di controllare le disposizioni della compagnia aerea al riguardo. Deve essere resistente, compatto, che ti permetta di correre e di non rovinarsi in situazioni difficili. La raccomandazione è che sia uno zainetto e basta. No a trolley, borse o altro. E’ importante che abbia molti comparti e tasche per agevolare la sistemazione e la ricerca delle cose. Tutte queste accortezze/precauzioni – sottolinea il libercolo –saranno utili durante l’hijrah in Siria. Anche nel caso dello zainetto ci si dilunga sulle raccomandazioni riguardo il suo contenuto: un vestito di ricambio (sempre nel caso si perda la valigia), un adattatore per la presa elettrica (specificando il tipo), un rasoio per baffi e barba (raccomandato uno grosso, cordless e con caricatore), un modem wifi (reperibile anche sul posto), delle torce, una lampada (acquisto raccomandato perché molto utile), una lanterna da campeggio, un block-notes dalla copertina rigida e penna (perché è importante prendere appunti), una giacchetta per coprirsi dal freddo e dal vento (con dissertazioni sul tipo migliore), delle scarpe (tipo militari, da ginnastica o da trekking, sandali, meglio quelli che proteggono le caviglie, a cui aggiungere almeno 4 paia di calzini robusti), guanti per proteggersi dal freddo e per sparare, fasce proteggi ginocchi e gomiti (dal momento che occorrerà spesso strisciare per terra), cappelli o cappucci copri-testa, occhiali di riserva, una borraccia a zainetto (o una bottiglia da sportivo), binocolo, bussola, un metro (basta una lunghezza di 3 metri), moschettoni. Niente apparecchiature elettroniche perché verranno fornite in loco, specificando al riguardo che essendoci problemi di alimentazione elettrica è meglio avere sistemi di ricarica ad energia solare. La circostanza delle interruzioni elettriche che potrebbe colpire “negativamente” l’aspirante volontario viene poi edulcorata con delle citazioni religiose: la terra appartiene ad Allah, nessun inquinamento o danno ambientale con le batterie. Per quanto concerne la valigia la prima raccomandazione è che sia una sola, a prescindere dalle disposizioni delle varie compagnie aeree. Il motivo: devi essere il più mobile possibile. Una buona alternativa è uno zaino più grande da mettere sulla schiena. Anche per un trolley non esistono controindicazioni, se non sul peso. Ma vige sempre il principio della mobilità. Per quanto riguarda cosa mettere nella valigia l’indicazione è di portarsi dietro il minimo indispensabile. Al riguardo l’estensore dell'opuscolo si permette una divagazione spiritosa su come alcune donne sarebbero svenute alla notizia... Ed ecco la lista: due cambi completi, pantaloni robusti con più tasche, indumenti che si asciughino presto, T-shirt, indumenti per coprirsi dal freddo, sacco a pelo, spazzolino da denti, forbicine per le unghie, creme per la pelle, utensili da campeggio tra cui lo “spork” (cucchiaio/forchetta), kit per cucire, pronto soccorso, medicinali per uso personale. La psicologia Finita la parte riferita alle cose da portarsi, simile ad un manuale per un buon boy-scout, il libercolo si addentra sugli aspetti psicologici della missione: devi conoscere bene te stesso, devi conoscere le tue capacità e i talenti che metterai a disposizione dell’ISIS, le tue debolezze e i tuoi punti di forza, quello che è buono o giusto e quello che non lo è. Tutte affermazioni condite da frasi e riferimenti teologici. Viene precisato che l’organizzazione ha bisogno di combattenti, ma che sono utili anche altri profili. Il nodo sul quale si insiste sono i punti di forza o di debolezza. I primi devono essere coltivati con l’addestramento. Per i secondi viene fatta una distinzione: possono essere debolezze innate (viene usato il termine “qadr” o “predestinazione” di Allah), ma ci sono anche quelle acquisite che possono essere modificate e migliorate. Si termina questa parte del manuale con una citazione del cinese Sun Tzu: chi conosce sé stesso ha vinto metà della battaglia. IL MANUALE DELL’ASPIRANTE JIHADISTA - PARTE II Disposizioni per le donne durante il transito in Turchia Al viaggio, o l'hijrah, delle donne, qui chiamate “sorelle”, verso la Siria è dedicato un intero capitolo. La premessa è d'obbligo: non si entrerà in dissertazioni teologiche per il fatto che le donne giungono in Turchia senza “mahran”, alias senza accompagnatore familiare. Per le sorelle il problema non si pone. Le istruzioni partono sempre dall’aeroporto di arrivo in Turchia, che dovrebbe essere quello Ataturk di Istanbul, con la prima precisazione che in quella città di aeroporti ce ne sono due, ma che l'Ataturk è quello più ricorrente. Ad una donna che viaggia da sola e con bagaglio a mano è sconsigliato attraversare il Paese in autobus per motivi di sicurezza. In alternativa viene suggerito di muoversi per la Turchia in aereo così da evitare di uscire dall’aeroporto, di prendere un taxi, una metropolitana o di muoversi alla ricerca di biglietti. Se la volontaria ha avuto già dei contatti con l’ufficio di confine dell'Al Dawla, aka il califfato, o, come citato nel testo, con la Madrasat al Huda, ovvero la scuola coranica per la giusta guida, potrebbe già avere un numero di telefono da contattare. Sono molte le raccomandazioni su come tenere nascosto il numero fornito in modo tale che non sia individuato. Se si annota nella rubrica telefonica, ironizza il libercolo, non mettetelo sotto il nome di Osama bin Laden. Alla sorella viene poi consigliato di imparare alcune frasi in turco, dal come chiedere un taxi, allo specificare che viaggia in gruppo o al come comprare una SIM telefonica. Il telefonino è del resto un elemento essenziale. L’incipit del manuale è: se i tuoi genitori ti hanno confiscato il telefonino, non tentare di fare l’Hijrah. Lo Stato Islamico preferisce gli smartphone Android, consiglia di comprare una SIM in aeroporto - non una qualsiasi, ma una SIM “Turkcell” - e credito sufficiente per telefonare e accedere ad internet. Basterà un Giga. Se è un viaggio di gruppo ogni sorella dovrà avere la sua SIM. La volontaria dovrà chiamare il numero che le è stato fornito, specificare che è arrivata ad Istanbul e che deve raggiungere la Siria, sempre indicata con il termine religioso di Al Dawla. Le verranno fornite le istruzioni del caso. Se più donne arrivano per la stessa destinazione è raccomandabile evitare di stare in gruppo per non dare nell’occhio e di comunicare via internet con la SIM appena acquistata. Il consiglio è quello di non muoversi a gruppi di più di due o tre persone anche quando si comperano i biglietti per il volo successivo. Bisogna acquistarli in momenti separati. Mai viaggiare con un biglietto cumulativo. Arrivate a destinazione nel nuovo aeroporto, mostratevi fredde con la Polizia perché non siete altro che turiste. Contattate il numero che vi è stato dato, confermate il vostro arrivo e attendete ulteriori istruzioni che, generalmente, sono quelle di recarsi in un hotel. Prendete quindi un taxi: fate attenzione che sia un vero taxi con l'insegna e non un abusivo. Se l’arrivo avviene di notte e non ci sono tassì bisogna ricontattare il numero siriano fornito e richiedere che qualcuno di fiducia, di cui vi verrà detto il nome, venga a prelevarvi. In aeroporto vi potrebbero anche essere delle persone che vi importunano. Non hanno prove che voi stiate facendo l’hijrah. Hanno già visto centinaia di persone effettuare lo stesso percorso. Se qualcuno vi offre un passaggio verso il confine, rifiutate, ignoratelo senza richiamare l’attenzione. Andate in hotel e aspettate ulteriori istruzioni. Se vi dicono di aspettare per una telefonata, aspettate. Il commento a margine è abbastanza eloquente: “Ascolta e obbedisci”. Se c’è da aspettare anche uno o due giorni, non farsi prendere dall’impazienza e tenere sempre il telefonino, ben carico, a portata di mano. Se ci si accorge di non essere stata prelevata o se si trova sul telefonino una chiamata persa, non c’è da preoccuparsi, richiameranno. Se colui che viene a prelevarti col taxi è sbarbato o fuma, non ci si deve preoccupare. E’ meglio non muoversi dall’albergo, ma se ciò è necessario è bene darne subito comunicazione in Siria. Un avvertimento ripetuto più volte: attenersi alle istruzioni, non farsi prendere dalla paranoia se ci sono dei ritardi. Il costo del taxi sarà di circa 50 dollari e porterà sorella su strade non asfaltate e magari buie fino ad una casa di un simpatizzante dell’ISIS dove potrà incontrare altre donne o essere da sola. Una volta arrivata avrà a disposizione alloggi per sole donne e le verranno forniti cibo e bevande fino al momento dell’attraversamento del confine. Nella casa potrà anche chiudersi da sola nella stanza per avere maggiore privacy. A quel punto le verranno fornite le istruzioni per l’attraversamento del confine, generalmente di notte o all’alba. Ci sarà un preavviso di pochi minuti e poi potrebbe capitare di dover aspettare un po’ per la presenza delle pattuglie della polizia confinaria turca. Il bagaglio verrà lasciato nella casa e per questo la volontaria dovrà portarsi dietro le cose di maggior valore. Questo perché, specifica il manuale, coloro che forniscono l'alloggio sono dei simpatizzanti e non dei combattenti islamici e potrebbero rovistare o rubare dal bagaglio lasciato incustodito. Tanto per sottolineare che quelli dell’ISIS non rubano. Al momento giusto avverrà quindi il tanto agognato attraversamento del confine: sarà solitamente di corsa (quindi abiti e scarpe comode) e se ci sono bambini ci sarà qualcuno che li aiuterà. Viene suggerito di portarsi dietro un altro vestito (quelli lunghi arabi detti “abaya”) perché nell’attraversamento del confine è possibile dover strisciare sotto il filo spinato e quindi essere costretta a cambiarsi per non scoprire la “awrah”. Il termine significa “parti intime”, ovviamente nell'accezione più o meno estesa che l’Islam dà del termine a seconda delle diverse interpretazioni. Una volta raggiunta la al Dawla il manuale si concede una visione romantica dell’arrivo: consiglia di respirare profondamente l’aria fresca, quella della “Shariah”. Dall’altra parte del confine ci sarà chi trasporterà le donne ad una “Madhafah”, una casa per gli ospiti dedicata al gentil sesso. Se la volontaria è sposata ed il marito è in addestramento con l’ISIS resterà nella casa fino a quando il marito non verrà a prelevarla. Se la sorella, invece, non è sposata, verrà trasferita in una casa per single a Raqqa insieme ad altre aspiranti jihadiste. Se la donna intende sposarsi dovrà fare domanda, mentre se invece vuole rimanere single ha il diritto di farlo. Infine ci sono varie istruzioni di carattere amministrativo: il bagaglio può essere portato alla madhafah degli uomini e, se non viene richiesto, da lì può essere trasferito all’ufficio di confine di Raqqa. Altre disposizioni generali Il manuale mostra come è fatto un visto rilasciato all’aeroporto in Turchia. Ribadisce che bisogna mettere come scopo del viaggio “turismo” e non, nonostante figuri tra le opzioni, “Fare la jihad in Siria”. Il documento ricorda che se il volontario marcasse questo come scopo del suo viaggio finirebbe in galera. Alcune delle istruzioni appaiono così elementari da far ritenere che l’aspirante volontario medio sia un personaggio sprovveduto o non acculturato. E’ probabile che il livello degli aspiranti jihadisti sia talmente basso da consigliare questo genere di avvertenze o di reiterarle spesso. Sempre in aeroporto ecco ulteriori raccomandazioni: evitate di farvi vedere nervoso. Stringere i pugni, respirare in maniera affannata, sudare freddo e mancanza di contatto con lo sguardo possono essere interpretati come elementi di nervosismo da funzionari di sicurezza addestrati. Le storie emblematiche Il manuale riporta diverse storie di “successo” per chi decide di effettuare l’hijrah. C'è il caso di un volontario convertito inglese che, nonostante sia stato arrestato e rilasciato su cauzione nel Regno Unito, ancora prima di dover consegnare il proprio passaporto è scappato con la moglie e quattro figli dall’Inghilterra, via Francia e Turchia per poi comparire a Raqqa. Vi sono poi i viaggi alquanto avventurosi di alcuni sauditi, scappati in Yemen, dallo Yemen in barca fino in Sudan, dal Sudan in Egitto, dall’Egitto in Libia, dalla Libia in nave fino alla Turchia e finalmente in Siria. Un'epopea raccontata con molti dettagli, dai prezzi pagati, alla corruzione di guardie e milizie ecc., e disponibile su Twitter. Ma le storie riportate sono tante e tutte molto positive. Viene di volta in volta evidenziato il richiamo religioso, la determinazione a trovare i soldi per finanziare il viaggio, l’aiuto di amici, le motivazioni, le difficoltà superate nei contatti o nell’attraversamento del confine (talvolta con la corruzione o l’indifferenza dei soldati turchi), la diffidenza nel contattare persone mai viste, la presenza di spie e polizia, le richieste esose di soldi da facilitatori o contrabbandieri. Da una storia raccontata da una donna emerge un arresto da parte della polizia turca, il decreto di espulsione, l’intervento di un avvocato pagato dall’ISIS, il rilascio e l’attraversamento del confine in un punto controllato dal Free Syrian Army. Ecco allora la necessità di ritornare nuovamente in Turchia e di riattraversare il confine in un punto controllato dall’ISIS. Il manuale termina con un'ultima storia, quella di un “shaheed”, di un martire, un americano. Il ragazzo si è fatto saltare per aria ed ha ucciso 30 soldati “apostati” siriani. L’ultimo messaggio che il manuale vuole lanciare è che lui è stato sincero con Allah e Allah lo è stato con lui. Commento Le disposizioni date e le raccomandazioni su come comportarsi rendono alquanto chiaro quale sia il percorso che gli aspiranti volontari islamici devono effettuare per raggiungere la Siria. Il fatto che molti necessitino di continui suggerimenti è un segnale della loro personale inadeguatezza. Fra le righe emergono anche altre verità: i problemi di elettricità nel territorio del califfato, la corruzione e, soprattutto, la silenziosa connivenza della polizia turca, la rete di contatti e case sicure in cui i volontari vengono immessi sul territorio turco. E sotto questo aspetto è gente che visivamente non può essere accostata ad un religioso. Emergono dall'opuscolo anche i cattivi rapporti tra il Free Syrian Army e l’ISIS, nonché la diffidenza/concorrenza con il Jabhat al Nusra. L’ISIS tende a distinguersi da Al Qaeda, come se questo tipo di associazione avesse una connotazione negativa. Dai reiterati suggerimenti e raccomandazioni viene fuori soprattutto l’esigenza, per i volontari, di non dare nell’occhio, di non dare segni di nervosismo, di eludere domande imbarazzanti, di non farsi prendere dal panico. Tuttavia, l’idea di farsi passare per turisti avendo nello zaino un binocolo, equipaggiamenti per combattere il freddo o scarpe pesanti contraddice nei fatti la copertura di un turista che, guarda caso, si reca proprio nei pressi del confine siriano. E quindi, volendo, non riuscirebbe difficile per i Servizi di Sicurezza turchi individuare, fermare o respingere i volontari jihadisti. Evidentemente è nella politica delle autorità turche far finta di niente. Una risposta a questo atteggiamento appare marginalmente anche nel manuale quando si fa cenno al fatto che i turchi hanno paura di subire attentati sul proprio territorio. La deduzione più importante è che se la Turchia decidesse di bloccare ogni traffico umano, finanziario o logistico con il confine siriano, l’ISIS avrebbe serie difficoltà a sopravvivere. C’è inoltre la questione relativa all’utilizzo di internet ed alla modalità con cui viaggiano le comunicazioni, le indicazioni, i consigli, il modus operandi ed altro tra i jihadisti. E non è forse un caso che l’agenzia europea di polizia, l'Europol, abbia deciso dal primo luglio di istituire una squadra dedicata all’individuazione delle reti e dei contatti che operano online a favore dell’ISIS. Ci sarebbero in funzione oggi circa 50.000 account (a cui aggiungere circa 90.000 profili Twitter), sui quali transitano giornalmente 100.000 messaggi. Uno dei punti di forza dell’ISIS è l'aver saputo abbinare ad una visione arcaica e storicamente primordiale della società islamica , lo sfruttamento delle migliori tecnologie di comunicazione a disposizione.