Letteratura Finlandese
Dott. Lorenzo Amato
0 – Presentazione.....................................................................................................................................2
1 – La Finlandia svedese e la situazione in Russia prima della conquista........................................3
2 – La Finlandia di Alessandro I: dall’annessione alla Russia all’incendio di Turku (1809-1827) 9
3 – La Finlandia di Nicola I (1825-1855) ...........................................................................................12
4 – Lönnrot e il Kalevala: composizione e problemi critici ..............................................................17
5 – Il Kalevala: trama e tematiche .........................................................................................................19
6 – Il metro kalevaliano ........................................................................................................................25
7 – La Kanteletar ...................................................................................................................................28
8 – La Finlandia di Alessandro II ........................................................................................................33
9 – Aleksis Kivi e i Sette fratelli...........................................................................................................36
10 – Il periodo finale: dall’idillio alla rivolta. Alessandro III e Nicola II.......................................41
1
0 – Presentazione
Questo corso tratta della Letteratura finlandese dell’Ottocento, in particolare dal 1809, anno della
creazione dello stato noto come Granducato di Finlandia, fino alla fine del secolo, con particolare
attenzione ai movimenti culturali che portarono alla creazione di una solida tradizione scritta in
lingua finlandese. Particolare attenzione sarà prestata all’analisi delle tre opere maggiori del
periodo in lingua finlandese, ovvero il Kalevala e la Kanteletar di Elias Lönnrot, e il romanzo I sette
fratelli di Aleksis Kivi.
Il corso si articola in dieci parti, cinque delle quali di natura prettamente storica, cinque di
analisi testuale. Le sezioni storiche danno particolare risalto alla situazione politica in Russia e ai
rapporti fra Russia e Finlandia. Anche le periodizzazioni della storia politica e culturale finlandese
sono basate sulle periodizzazioni della storia russa. Lo scopo è di rimarcare l’influenza,
normalmente taciuta, che la politica russa ebbe sugli sviluppi della cultura finlandese nel corso del
periodo in esame.
Alcune sezioni potrebbero in futuro essere rielaborate e integrate, qualora io riesca ad avere a
disposizione nuovi materiali e documenti.
Mi sono avvalso di molti libri che, a meno che non vi sia una citazione diretta del testo, non
sono menzionati. Dei seguenti volumi ho fatto però largo uso, e per questo sono citati in
compendio:
Bosley: Skating on the Sea. Poetry from Finland, ed. K. Bosley, Bloodaxe Books, Newcastle 1997
Gummerus: E.R. Gummerus, Le letterature della Finlandia, in G. Devoto (a cura di), Le letterature dei
paesi baltici (della Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), Sansoni – Accademia, Firenze –
Milano 1969, pp. 9-203
Jussila-Hentilä-Nevakivi: O. Jussila – S. Hentilä – J. Nevakivi, Storia politica della Finlandia
(1809-2003), Guerini, Milano 2004
Kanteletar: E. Lönnrot, Kanteletar. Raccolta di liriche popolari finniche, trad. R. Porceddu, Casagrande,
Turku 1992
Kivi: A. Kivi, I sette fratelli, a c. P.E. Pavolini, Utet, Torino 1941
Laitinen: K. Laitinen, La letteratura finlandese. Un breve profilo, Otava, Helsinki 1995
SdR: Nicholas V. Riasanovsky, Storia della Russia, trad, F. Saba Sardi, Corriere, Milano 2005
2
1 – La Finlandia svedese e la situazione in Russia prima della conquista
1.1. La Finlandia svedese
Successivamente al cosiddetto periodo delle crociate (che iniziarono nel 1155) il territorio
finlandese, occupato da popolazioni di origine baltofinnica ancora pagane, fu assoggettato e
convertito al cristianesimo cattolico dalla Svezia, e sotto l’influenza svedese divenne
successivamente protestante (1523).
L’importanza della cultura svedese non diminuì nel corso dei secoli successivi: né nel
Settecento, secolo in cui già esisteva una tradizione poetica erudita in lingua finlandese, né nel
corso dell’Ottocento, secolo in cui il finlandese acquisì uno status paritario a quello dello svedese.
Lo svedese infatti non era una lingua propria soltanto delle élites di origine svedese o dei
burocrati inviati dalla Svezia, ma anche di una parte della popolazione finlandese che, stanziatasi
sulle coste occidentali della Finlandia in secoli precedenti alla conquista svedese, si era in parte
mescolata agli abitanti finnici della penisola, pur mantenendo la propria lingua e, quindi, maggior
contatti anche culturali con la Svezia. Fra la popolazione finnosvedese (a tutti gli effetti
finlandese, se non per la lingua) e l’élite di origine svedese i rapporti non furono sempre lineari,
anche se nel corso dei secoli non dovettero mancare matrimoni misti e quindi una qualche
riassimilazione anche etnica dei finnosvedesi agli svedesi propri.
Il centro della cultura finlandese fu, fino al dominio russo, e in effetti fino al 1828,
l’Università di Turku-Aabo, fondata nel 1640, la cui lingua era principalmente lo svedese, anche
se le tesi di dottorato dovevano essere preparate e scritte in latino (fu possibile l’uso dello svedese
e del finlandese solo a partire dal XIX secolo).
È essenziale sottolineare che la Finlandia, definita come Granducato già durante questo
periodo svedese, non aveva in effetti alcuna autonomia giuridica e amministrativa, e tutto
l’apparato burocratico dipendeva da Stoccolma. Fino al 1809, quindi, la Finlandia non era né stato
né nazione, ma soltanto la provincia di un impero che nel corso del XVIII secolo si andava
sgretolando. La situazione cambiò con il passaggio della Finlandia alla Russia.
1.2. Russia e Finlandia prima del 1809
Interessi dei principi russi nell’area baltica, inclusa la Finlandia, esistevano almeno fin dal trattato
di pace di Pähkinäsaari, quando la Svezia e il principato di Novgorod si spartirono il territorio
finlandese (1323). Con l’unificazione delle Russie e la crescita di potere dello Zar, le pressioni
sull’area baltica si intensificarono fino a che, sotto Pietro il Grande, la Finlandia fu
completamente occupata dai russi per la prima volta.
Pietro I, poi detto il Grande (1682-1725)1, proclamato zar a dieci anni, ottenne il controllo
dello stato della Moscovia in seguito alla morte di sua madre (1694). Fu lui ad avvicinare la Russia
all’Europa avviando una vasta campagna di riforme e occidentalizzando la struttura burocratica,
amministrativa e militare dello stato, e pretendendo un’europeizzazione dei costumi e del
calendario. Conclusa una guerra contro la Turchia si rivolse contro la Svezia, guidata da Carlo XII
(Grande guerra nordica). Dopo una prima fase disastrosa Pietro I approfittò della pausa
concessagli da Carlo XII, che preferì attaccare la Polonia, scagliando una controffensiva in
Livonia ed Estonia, lasciate sguarnite (1701-1702). A questo punto i russi iniziarono a stabilirsi
nel golfo di Finlandia, tanto che nel 1703 lo zar promosse la fondazione di una nuova città,
Pietroburgo, alla foce della Neva, e la fortezza di Kronštadt, sull’isola di Kotlin, a protezione della
città. La fondazione di Pietroburgo, presto divenuta capitale dello stato (1713), spostò il
baricentro politico e militare del futuro impero verso nord, nell’area baltica. Il possesso di territori
finlandesi divenne così essenziale anche da un punto di vista militare.
1
SdR 237-270.
3
Nel 1708 Carlo XII attaccò direttamente la Russia con 50.000 uomini. Per Pietro il Grande
sarebbe stata una disfatta, se, anziché attaccare direttamente Mosca, l’esercito svedese non avesse
deviato verso l’Ucraina in cerca di viveri e rinforzi locali. Sconfitto l’esercito svedese a Poltava (8
luglio 1709) Pietro I si vide attaccato dalla la Turchia, dove si era rifugiato Carlo XII (1710).
Sconfitto, lo Zar firmò una resa con la quale si impegnò a non attaccare più la Turchia e a non
interessarsi alla Polonia. Crebbero così gli interessi russi per il Baltico, che spinsero Pietro a
impadronirsi di Vyborg-Viipuri, Riga e Reval-Tallin (1710).
Una nuova coalizione antisvedese (Sassonia, Polonia, Danimarca, Prussia e Hannover) diede
modo a Pietro I di occupare gran parte della Finlandia (1713-1714). Iniziò così per la Finlandia il
periodo chiamato “Grande Odio” (a causa della pessima condizione della popolazione locale
durante l’occupazione militare), che terminò solo nel 1721, quando Federico I, nuovo re di Svezia,
firmò il trattato di pace di Uusikaupunki (Nystad), vera e propria resa che diede alla Russia
Livonia, Estonia, Ingria, parte della Carelia e alcune isole, ma permise la riappropriazione di gran
parte della Finlandia. In seguito a questi eventi Pietro venne nominato dal Senato “il Grande”, e
la Russia divenne un impero. Protetta da Vyborg, Pietroburgo divenne la nuova capitale della
Russia (1713), e si trasformò in una delle più maestose città europee, attirando architetti italiani
(fra i quali Francesco Rastrelli) e francesi che vi crearono dapprima un’originale combinazione fra
barocco ed estetica russa, poi un neoclassicismo (del quale furono protagonisti anche grandi
architetti russi) che sarebbe stato esportato verso molti degli stati sottomessi, fra i quali la
Finlandia.
Dopo la morte di Pietro (1725) numerosi ma deboli zar e zarine si succedettero alla guida del
nuovo impero europeo. Di qualche interesse il regno di Elisabetta (1741-1762) durante il quale la
Russia combatté nuovamente contro la Svezia, che cercava di riconquistare i territori perduti. La
vittoria russa portò dapprima a una nuova occupazione della Finlandia (1741-1743 “Piccolo
Odio”), poi, in seguito al trattato di pace di Turku, a nuove concessioni di territorio finlandese da
parte della Svezia.
Il territorio finlandese sotto il dominio russo e quello sotto il dominio finlandese furono
attraversati da un confine che rimase importante anche quando, nel 1809, tale confine fu
formalmente abolito. Dopo la definitiva occupazione russa il vecchio dominio russo fu
denominato Vecchia Finlandia, mentre quello svedese, l’ultimo a essere acquisito, Nuova
Finlandia.
Di minor interesse le pur importanti vicende avvenute durante il regno della principessa
tedesca di Anhalt-Zerbst, poi nota come la zarina Caterina II la Grande (1762-1796). Caterina
sposò nel 1744 il russo Pietro Ulrico di Holstein-Gottorp, che fu zar col nome di Pietro III dal
1761 al 1762. Lettrice dei testi dell’Illuminismo europeo, dopo aver guidato un colpo di stato e
fatto arrestare e uccidere il marito (1762), divenne zarina perseguendo una politica di riforme
sociali in Russia, talvolta applicando alla lettera testi come quello sul diritto penale di Cesare
Beccaria, Dei delitti e delle pene. Fu questo un periodo di fortissima europeizzazione, che ebbe
effetti di lunga durata anche nella storia della Finlandia, dato che il prestigio della Russia nel
mondo si accrebbe e sempre meno la cultura russa fu considerata primitiva e barbarica. A partire
dal 1772 Caterina II partecipò assieme a Austria e Prussia alla spartizione della Polonia (prima
spartizione 1772, seconda spartizione 1793). In questo periodo il dominio russo si estese alla
Polonia orientale, Lituania, Ucraina e Curlandia.
1.3. Letteratura del periodo svedese. Latino
La produzione letteraria dei secoli XVI-XVIII fu prevalentemente in latino e svedese. Fra le
opere latine la più nota è la raccolta di inni sacri latini denominati Piae Cantiones di Jacobus Finno
(1540-1588), parte dei quali di origine europea, parte (in totale 53) di probabile origine finlandese.
Il volume fu pubblicato a Greifswald due volte, nel 1582 e nel 1625. Sicuramente finlandese è
4
l’inno Ramus virens olivarum, presente in numerose antologie di poesia finlandese, che con i termini
Ergo plebs Fennonica si riferisce chiaramente al “gregge” finlandese dal quale doveva essere cantato
durante le celebrazioni.
In latino scrissero, nella seconda metà del Settecento, studiosi finlandesi (o meglio
finnosvedesi) che, riallacciandosi all’Illuminismo, e in particolare alla cosiddetta ‘erudizione’
europea che dell’Illuminismo era figlia (e che gettò le basi per l’arte neoclassica), iniziarono a
studiare in modo sistematico la ricca tradizione orale finlandese. Il più importante di questi
studiosi fu senza dubbio Henrik Gabriel Porthan (1739-1804), che con il suo De poësi
Fennica (1766-1768) aprì la strada che seguirono altri studiosi come Christfrid Ganander
(1741-1790), che compose uno studio sulla mitologia finnica e lappone intitolato Mythologia
fennica (1789), raccogliendo numerosi frammenti ed excerpta poetici. Porthan, riallacciandosi alle
teorie dello Herder, affermò che anche la Finlandia era ricca di una cultura ‘nativa’, che, una volta
riscoperta, le avrebbe permesso di costituirsi come un’unità culturale autonoma rispetto a
qualsiasi altra cultura europea. Nell’opera di Porthan, come in quella dei suoi seguaci riuniti nella
cosiddetta Accademia Aurora, vi sono già i semi della ‘rinascita finlandese’, e delle ricerche dei
romantici di Turku, in particolare Gottlund, e dei romantici di Helsinki, fra i quali Lönnrot.
1.4. Svedese
La cultura in lingua svedese, d’altro canto, può essere più difficilmente distinta da quella
propriamente svedese. Un esempio eccellente è Frans Mikael Franzén (1772-1847), il più
grande poeta in lingua svedese prima di Runeberg, che nel 1811, a seguito della conquista russa
della Finlandia, preferì trasferirsi a Härnösand, in Svezia, e lì divenire pastore e poi vescovo. Si
leggano in traduzione inglese le due poesie “The Human Face” e “The Ages of Life”2,
già permeate di sensibilità romantica.
1.5. Finlandese
A partire dal Cinquecento, ovvero dalla pubblicazione dell’Abckirja (forse fra 1537 e 1544), del
Rukouskiria Bibliasta (1544) e soprattutto dell’Uusi Testamenti (traduzione del Nuovo
Testamento, 1548) di Mikael Agricola (c. 1510-1557) era nata anche una letteratura in lingua
finlandese, che fino all’Ottocento fu prevalentemente religiosa ed erudita. I due più noti
esponentidi di questo tipo di poesia scrissero alla fine del XVII secolo: Matias Salamnius (c.
1645-1691), con il suo Ilo laulu Jesuksesta e Juhana Cajanus (1655-1681), del quale riporto,
completa, Etkös ole, ihmisparka, esempio di memento barocco3.
2
3
Bosley, pp. 62-64.
Se ne veda la traduzione in inglese in Bosley, pp. 27-30.
5
YXI HENGELLINEN WEISU, JOSA
TÄMÄN MAILMAN CATOWAINEN
MENO EDESPANNAN
1. Etkös ole, ihmis parca,
aiwan arca,
Coscas itket ylen öitä,
Coscas suret suuttumata,
puuttumata
Coucon mustan Murha-töitä.
Wretched man, are you not made
Sore afraid
Since you weep thoughout the night
Since you sorrow patiently,
Helplessly
When black Death reveals his might?
2. Tap’on wanha tappawalla
Wierahalla
Luojan laitoxen perähän:
He well knows, the killer foe,
Where to go
When God’s creatures must be found
Good and evil with their strong ones,
With their young ones To be stuffed into the ground.
Hywät, huonot Langoinensa,
lapsinensa,
Syöstä, sullo’ maan powehen.
3. Syöstä, haasta, särke, sorta,
Mullax murta
Hirmu Courilla Cowilla;
Eij ole toiwo toiwotuxis,
Woiwotuxis,
Parcu-suilla pelcurilla.
He casts, wastes, he crumbles,
smashes,
Wrings to ashes
In his stern, his dreadful grasp:
Hope has fled from the beliefs
And the griefs
Of the mouths that scream and gasp.
4. Parcu pojes paneminen,
catzominen
Caiken mailman menoja.
Catzo caicki catzeltawat,
cuunneltawat,
Eikö löydy loppuwia?
Let us put away their cries,
Let our eyes
Turn to where the world’s ways tend.
Look at all things worth our stares
And our ears:
Is there nothing that will end?
5. Eikö cuulu cuolewia
Catowia
Paitzi Ihmis parcaisia?
Tuules, Tähdis, Taiwahalla,
Meres, Maalla,
Cuolewil on cumpania.
Do we know of non that die
Pass away,
Other than humanity?
In the wind, the stars beyond,
Sea and land,
Mortals have their company.
6. Mitä maasa Matelepi,
Käwelepi,
Maaxi muuttua pitäpi;
Mitä Puussa pijscuttapi,
cuiscuttapi,
Puusta pudota pitäpi.
What upon the earth goes creeping
Or goes stepping
Must to earth change after all;
What upon a tree to whistles
Or but rustles
From the tree at last must fall.
7. Lennä lindu mingäs lennät,
et sä lennä
Cowan Cuoleman Käsistä;
Se se Linnun lendäwängi,
riendäwängi,
Temma tuulettelemasta.
Fly, bird, but how far soever
You will never
Pass Death’s hands; for he will bring,
Merciless, his flying quarry
In a hurry,
He will catch it on the wing.
8. Kell’ on Ruumis raittihimbi,
Where’s a body sturdier,
6
rautaisembi,
Cuin on Calalla Meresä?
Surma toki surmelepi,
Turmelepi
Wetten Carjangin Wedesä.
Hardier
Than a fish’s in a lake?
And yet Doom will slay, will
slaughter
In the water
Water’s brood – make no mistake!
9. Haut’on walmis Wähäisillä
Calaisillä,
Hauwin hirmuisen Cuwusa;
Hauwin Haut’on cuohuwasa
Cattilasa,
Toinen puhuwan Powesa.
Little fishes quickly come
To their tomb
In the grim pike’s gaping jaw,
While the pike’s tomb is the hot
Cooking-pot
And, again, the speaker’s maw.
10. Ruohot raucat raukenevat,
ehkä owat
Coreana cukasansa;
Puut eij pääse paxu Juuret,
Pienet, Suuret,
Caatahan casotesansa.
Slender grasses lose their power
Though they are
Handsome in their blossom-time;
Trees have, whether slight or stout,
No way out
But are cut down in their prime.
11. Kiwet cowat Callioilla,
Cangahilla
Ricki mullax muretahan:
Rauta caicki rewäisewä,
raatelewa,
Ruostehelda raadellahan.
Solid rocks in mountain chains
Or on plains
Crumble finally to soil,
Iron that destruction brings
To all things
Rust at last will wreck and spoil.
12. Eij niin wähä woimatoinda,
Wäetöindä,
Jota Surma säästänepi;
Eij nijn wahwa wäellistä,
woimallista,
Joca käsis kestänepi.
There is no small thing so faint,
Impotent,
As great Doom may let it slip,
There is no strong thing so forceful,
So resourceful,
As may long endure his grip.
13. Jossa cannell’caiken Ilman
heität Silmän,
Hänen tiedustat tapansa:
Käändy, culke, wäändy, wyöry,
poicke, pyöry,
Taiwas kircas Tähtinensä.
If to heaven you cast your gaze
For his ways,
God will show you in reply
Turning and returning, whirling,
Twisting, twirling
Stars in the resplendent sky.
14. Kerran käändy käändymästä,
wäändymästä,
Käändy käändymättömäxi,
Käändy käskyllä cowalla,
Caickiwallan,
Tyhjäxi, tawattomaxi.
One day they will turn from turning
And returning,
Turn until their turnings cease,
Turn at the imperious word
Of the Lord
Into void and waywardness.
15. Täm’ on Tuoni tulisella
taiwahalla,
Tämä tähtein pesällä,
Täm’ on ikä ihanalla
Auringolla:
Tämä wahwuus wahvudella!
Thus the heavens will expire
All on fire
In the stronghold of the stars,
Thus at death the beautiful
Sun will cool
And the warrior with his wars.
7
16. Sijs ei ole olewata,
pysywätä
Tämän mailman Menoissa:
Caicki caatu, caicki muuttu,
caicki puuttu,
Luojan Luotuin seasa.
So there’s nothing that will last
Or stand fast
On this world’s fast-moving road:
All things fall and all things alter,
All things falter
Where all things were made by God
17. Hengelliset, hengettömät,
huolettomat,
Menojansa muuttelewat;
Hetki hetkeld, Päiwä päiwäld,
Wuosi wuodeld,
Loppuwansa lähenewät.
Animate, inanimate
Do not fret
But to nature’s law they bend,
For as hour and day and year
Disappear
They draw closer to their end.
18 Tätä aina ajatella,
muistutella,
Sinun sundisen pitäisi;
Tästä otta ojennusta,
huojenusta,
Surman sua säikyttäisä.
Let this be your recollection,
Your reflection,
Sinful man, by day and night,
And from this too take your bearing,
Not despairing
When Doom comes and fills with
fright.
19. Luodut caicki catoawat,
lopun saawat,
Laatuinensa luondoinensa.
Ongo ihmet jos sä caadut,
jossa maadut,
Syndi säcki syndinensi?
To its death goes every creature
With its nature
Irrespective: is it then
Such a wonder that you must
Come to dust
With your sins, you sack of sin?
20. Mik’ on ilo ricastua,
racastua,
Caupungisa catowasa?
Mik’ on ilo oleskella,
asuskella,
Täsä turhasa Tilasa?
What’s the joy to have a carriage
And a marriage
In a city doomed to die?
What joy to be permanent
Resident
In this state of vanity?
21. Etzi muuta elandota,
olendota,
Pyydä taiwahan Talohon!
Etzi meno muuttumatoin,
puuttumatoin,
Pyri taiwahan ilohon!
Seek another way of living
And surviving,
And on heaven set your sights!
Seek a way that will not alter
Neither falter,
And aspire to heaven’s deligths!
22. Siell’ on riemu rickahambi,
runsahambi,
Siell’on Ilo loppumata:
Siellä laulat Lapsinensi,
Langoinensi,
Woiton Wirtä wäsymätä.
There is joy more plentiful,
Prodigal,
There delight that will not die,
You will sing there with your young
ones,
With your strong ones
Tireless songs of victory.
23. Cosk’ei coskan cuolemata,
catomata,
Sinne tääldä tulla taita;
Sydän on sull’ syndis-parca,
aiwan arca,
But because mankind must die,
Pass away,
Or he cannot there alight,
Your poor sinful heart is made
Sore afraid,
8
Ettäs suret surman Töitä.
Sorrowing at Doom’s great might.
2 – La Finlandia di Alessandro I:
dall’annessione alla Russia all’incendio di Turku (1809-1827)
A Caterina successe il figlio Paolo I (1796-1801) e a questi il figlio, «giovane e di grandissimo
fascino», Alessandro I (1801-1825), che « sembrava incarnare il meglio dell’Illuminismo»4. Fu
autore di importanti tentativi di riforma sociale e amministrativa (1801-1805 e 1807-1812). Si
differenziò dal padre per l’abbandono della politica di neutralità nei confronti degli eventi
europei, e nella fattispecie della crescente potenza della Francia napoleonica. Alleatasi con
Austria e Svezia, la Russia fu sconfitta ad Austerlitz il 2 dicembre 1905. La Prussia, entrata in
guerra a fianco della Russia, fu quasi annientata da Napoleone nel 1807. La vittoria di Napoleone
e i successivi accordi di Tilsit (1807) e Erfurt (1808) non impedirono alla Russia di emergere
«quale egemone di gran parte dell’Europa orientale e quale unica grande potenza del continente
accanto alla Francia. Fu il temporaneo accomodamento con la Francia che permise ai russi di
scendere in campo contro parecchi altri oppositori e di dilatare […] i confini dell’impero»5. In
questi anni la Russia occupò vari territori: Georgia occidentale, Daghestan e Azerbaigian,
sottratti alla Persia, Bessarabia, sottratta alla Turchia, e la Finlandia, sottratta finalmente alla
Svezia nel 1808-1809 (pace di Fredrikshamn).
La Finlandia divenne così un granducato autonomo con lo zar come granduca. Le conquiste
russe furono ufficializzate in seguito alla definitiva sconfitta di Napoleone, le cui fortune
iniziarono a tramontare proprio sul suolo russo, dal quale l’imperatore francese dovette ritirarsi
in disfatta nell’inverno del 1812. Con il Congresso di Vienna (settembre 1814 – 8 giugno 1815) le
conquiste russe, inclusa quella della Finlandia, furono ratificate. Il 26 settembre 1815 Russia,
Prussia e Austria firmarono il documento noto come Santa Alleanza.
La nuova situazione politica della Finlandia fu definita a partire dal marzo 1809 con la Dieta
di Porvoo. In Finlandia vigeva ancora la costituzione svedese, e in base a quasta fu convocata la
dieta e mutato lo status del Granducato. In effetti la Dieta di Porvoo assunse l’importanza di
un’assemblea costituente (che confermò in vigore la legislazione svedese), e per questo al suo
termine lo zar Alessandro I, primo granduca di Finlandia, poté affermare nel suo discorso finale
alla Dieta che la Finlandia era «elevata al rango di nazione». Il passaggio dalla dominazione
svedese a quella russa costituì in effetti la prima tappa della costruzione di uno stato finlandese
autonomo. A partire dal 1809 fu infatti creata una burocrazia propriamente finlandese, che, a
differenza di quanto accadeva nel periodo svedese, non rispondeva al senato centrale (ovvero
quello di San Pietroburgo), né alla burocrazia russa, bensì direttamente allo Zar, per il tramite del
Governatore Generale. In quanto imperatore, e a differenza di quanto non accadesse in un
regno come quello svedese, lo zar era a capo di un’entità politica multinazionale nella quale
rientravano etnie e nazioni assai diversi e diversamente governate. Estonia e Livonia, ad
esempio, godevano (almeno al momento) di status non dissimili da quello della Finlandia, mentre
la Polonia fu sempre più controllata dai ministri russi fino a essere completamente inglobata
nella Russia propriamente detta.
Dal punto di vista dello zar Alessandro I non era quindi una contraddizione proclamare la
nascita di un nuovo stato e assumerne il comando in quando imperatore della Russia. Il titolo
con il quale Alessandro I e i successivi zar dominarono la Finlandia fu quello granducale, e, in
quanto Granduca, Alessandro I e i suoi successori dovettero giurare fedeltà alla costituzione
finlandese. Solo l’infrazione di alcuni elementi costituzionali da parte di Nicola II portò alle
rivolte antirusse finlandesi e, in nome del giuramento tradito, alla rivendicazione
dell’indipendenza.
4
5
SdR, pp. 336-359.
SdR, p. 346.
9
Fu con spirito di collaborazione che i rappresentanti degli stati (intesi nel senso sociale
dell’antico regime) finlandesi accettarono il nuovo dominio, visto che l’indipendenza della
Finlandia ne usciva fortemente rafforzata. Come scrivono Jussila-Hentilä-Nevakivi: «l’annessione
della Finlandia alla Russia fu più che altro un’adesione»6.
La formazione di una coscienza ‘nazionale’ finlandese fu così fortemente stimolata da San
Pietroburgo allo scopo di consolidare «i legami del territorio sottomesso con la madrepatria». La
separazione politica dalla Svezia doveva essere accompagnata da un parallelo allontanamento
culturale. I finlandesi si trovarono nella situazione paradossale (per quell’epoca) di aver ottenuto
uno stato, almeno in senso amministrativo, prima che di tale stato fosse stata creata una reale
teoria culturale e politica. Non a caso nei territori della Vecchia Finlandia, ovvero la Finlandia
russa, una coscienza finlandese si era in parte già sviluppata prima dell’unificazione7.
Le conseguenze culturali della dominazione russa furono immediatamente evidenti. Nel 1812
la capitale fu spostata dalla ‘svedese’ Turku alla ‘finlandese’ Helsinki, città più vicina a San
Pietroburgo e meno abitata dalla minoranza svedofona. La città fu di conseguenza trasformata
secondo i canoni imperiali importati da San Pietroburgo, dove il gusto barocco aveva lasciato
posto a un neoclassicismo che si impresse in modo più duraturo a Helsinki (si vedano ad
esempio la Piazza del Senato con la cattedrale luterana e la cattedrale ortodossa) che nella
capitale dell’Impero.
In questo clima, oggi chiamato ‘nazional-romantico’, si incendiarono gli animi dei cosiddetti
‘romantici di Turku’, accademici che, lavorando all’Università della vecchia capitale, raccolsero il
testimone di Porthan e iniziarono a elaborare la nuova cultura finlandese, in primis tramite
almanacchi in svedese e finlandese8. Fra essi devono essere ricordati almeno Adolf Ivar
Arwidsson (1791-1858) e Karl Axel Gottlund (1796-1875).
Il primo, sull’onda della nuova situazione politica, seppe sintetizzare la necessità della
creazione di una nuova identità culturale con la storica sentenza «Non siamo più svedesi, russi
non vogliamo essere, e dunque cerchiamo di essere finlandesi». La tesi, d’altronde, era già stata
espressa chiaramente da politici quali Gustaf Mauritz Armfelt: lo Zar aveva creato per i
finlandesi un proprio stato, e ora era loro dovera dargli un contenuto (e lo stesso Zar aveva
affermato che la Finlandia aveva ora dignità di nazione). Non era quindi, in principio, una tesi
anti-russa. Lo divenne, nel caso di Arwidsson, quando questi la volle portare alle estreme
conseguenze sostenendo che «verrà forse un giorno che si potrà additare una letteratura finnica e
forse, dopo secoli, una nazione finnica indipendente»9. La conseguenza fu il suo esonero dalla
docenza e il suo trasferimento a Stoccolma (1823).
Gottlund dal canto suo iniziò a fare ricerche sistematiche sulla tradizione orale finlandese,
sostenendo la necessità di una sistemazione dei vari runi dispersi in un sistema narrativo
organico e complesso, ovvero in un vero e proprio poema epico, che avrebbe dovuto
rappresentare il perno ‘herderiano’ della nuova cultura emergente (in un articolo del 1817).
Questi e altri scrittori ‘accademici’ erano di madrelingua svedese, e in svedese erano i loro
scritti. Proprio a partire da questi studiosi svedofoni tuttavia l’élite culturale della Finlandia avverì
la necessità da una parte di apprendere a comunicare con la lingua del popolo (il volk), dall’altra
di riplasmare tale lingua in lingua di cultura, e di elevarla alla dignità culturale dello svedese.
La poesia in lingua finlandese di questo periodo non è, tuttavia, di grande spessore. I nomi
più significativi sono Abraham Poppius (1793-1866), e Samuel Gustav Bergh, detto Kallio
(1813-1852). Il poeta più noto è tuttavia Jaakko Juteini (1781-1855), del quale si leggano le
seguenti poesie (e la traduzione inglese di Bosley)10.
Jussila-Hentilä-Nevakiki, p. 23.
Ibid., p. 21.
8 Cfr. Laitinen, pp. 48-51; e Gummerus, pp. 47 sgg.
9 Ibidem
10 Bosley, pp. 69-70.
6
7
10
A Song in Finland
Arvon mekin ansaitsemme
Suomen moassa suuressa,
Ehk’ ei riennä riemuksemme
Leipä miesten moatessa;
Leipä kasvaa kyntäjälle,
Arvo työnsä täyttäjälle.
We too are worthy folk
on Finland’s mighty soil
whose crops do not delight
the man who does not toil:
bread for the ploughman grows
and labour earns repose.
Suomen poika puolestansa
Tunnetaan jo jaloksi,
Korvet kylmät voimallansa
Perkaileepi pelloksi;
Hän on rakas, rauhallinen,
Mies sotassa miehuullinen.
The son of Finland tills
and all his strenght he wields
subduing wilderness
to turn it into fields:
in peace he takes delight
in war knows how to fight.
Opin teillä oppineita
Suomessa on suuria,
Wäinämöisen kanteleita
Täällä tehään uusia;
Valistus on liritetty,
Järki hyvä herätetty.
On paths of learning too
our Finnish scholars throng
and many sing and play
anew the ancient song:
enlightenment and reason
here flourish in their season.
Suomen Tytön poski-päihin
Veri voatii kuraiset:
Hall’ ei pysty harmaa näihin,
Näit’ ei pane pakkaiset;
Luonnossa on lempeyttä,
Syvämmessä siveyttä.
On Finland’s daughter’s cheeks
the blood bursts into flower:
grey frost cannot remain
nor the cold overpower
the lass whose ways are mild
whose heart is never wild.
A Child’s Song to a Widow
Älä itke äitini,
Älä äiti kulta,
Vaikka vaan nyt isäni
On jo musta multa.
Do not weep, dear mother
do not weep, my dear
even though my father
is no longer here.
Älä muista murhetta,
Tuoll’ on kirkas taivas,
Poikas torjuu puutetta,
Vähentääpi vaivas.
Do not dwell on sorrow:
there the sky is bright.
I will ward off hunger,
grief will lose its might.
Kyllä luonto lapsella
Viimein vahvistuupi,
Miehen voima varrella
Kerran kukoistuupi.
Soon this childish body
will have all its power
and one day a man’s strenght
in its arm will flower.
Anna ajan ehtiä,
Huoles minä maksan;
Leipä paisuu leveä,
Koska kyntää jaksan.
Let a little time pass,
I will smooth your brow:
bread will grow in plenty
when I come to plough.
L’esperienza dei ‘romantici di Turku’ terminò con l’incendio dell’ex capitale, che distrusse quasi
tutto il centro storico, inclusa l’ormai gloriosa Università e gran parte del suo archivio. La sede
dell’università fu così spostata a Helsinki, e fino al 1918 non furono fondate in Finlandia altre
11
sedi universitarie. Così Helsinki divenne anche culturalmente il centro gravitazionale del nuovo
stato: altro colpo all’egemonia svedese.
3 – La Finlandia di Nicola I (1825-1855)
3.1. La situazione in Russia
All’improvvisa morte di Alessandro I (1825) seguì la rivolta cosiddetta dei Decabristi, che
tuttavia non impedì al fratello del vecchio imperatore di divenire zar col nome di Nicola I
(1825-1855). Questi sposò una principessa prussiana, imparentandosi con Federico Guglielmo
III e poi Federico Guglielmo IV di Prussia. Egli fu forte assertore dell’autocrazia, ovvero del
potere imperiale contro l’indipendenza degli stati governati, e patrocitò una forte
burocratizzazione e militarizzazione dello stato russo. Sotto di lui fu elaborato il principio della
“nazionalià ufficiale”, ovvero la necessità del predominio della religione ortodossa e della
nazionalità russa sulle altre nazionalità presenti nell’impero. Nicola I tentò anche (senza grande
successo) di riformare le leggi riguardanti la situazione oramai disastrosa della servitù della gleba,
e per la promozione della codificazione delle leggi dell’impero (1833, in vigore dal 1835).
L’ ‘autocrate’ Nicola I era un antinazionalista. Guardiano dell’Europa imperiale uscita dal
Congresso di Vienna, non esitò ad applicare i principi della nazionalità ufficiale in tutto l’impero.
Ne fece le spese, fra gli altri, la Polonia, dove la costituzione del 1832 fu sostituita con lo statuto
organico del 1832, che imponeva la lingua russa a tutti i livelli di comunicazione e metteva al
bando i principali autori polacchi come sovversivi.
3.2. La situazione in Finlandia
È pertanto assai significativo che in Finlandia lo Zar non applicasse la ‘nazionalità ufficiale’, o
almeno desse mandato per una sua interpretazione più blanda e flessibile. Fra gli anni ’30 e gli
anni ’50 dell’Ottocento, malgrado il giro di vite che Nicola I fece seguire ai moti europei del
1848, furono anzi gettate le basi per l’autonomia economica della Finlandia, e per la definizione
culturale e giuridica dello stato o meglio della nazione finlandese. Israel Hwasser presentò in
questo lasso di tempo la sua dottrina sulla nascita di una nazionalità finlandese a seguito della
Dieta di Porvoo (1809), e Adolph Ivar Arwidsson, assieme al professore di diritto J. J.
Nordström, conferì a tale dottrina la sua forma giuridica.
L’interesse, o meglio la pressione della Russia per lo sviluppo di una cultura in lingua
finlandese appare ancor più evidente se consideriamo la formazione di quelle associazioni e
accademie, alcune delle quali ancora esistenti, che risultarono fondamentali nella storia della
cultura finlandese: in primis la Società Letteraria Finlandese (SKS, fondata nel 1831, e quindi negli
stessi anni della ‘russificazione’ della Polonia) e l’Associazione degli Artisti Finlandesi (1846,
fondata sotto gli auspici del futuro zar Alessandro II). Si legga quanto scrivono Jussila-HentiläNevakivi: «Dopo l’annessione alla Russia i funzionari cercarono di mantenere sotto controllo il
dibattito pubblico con l’aiuto di organizzazioni semi-ufficiali (come la Società Biblica o la Società
Economica Finlandese). A partire dagli anni Trenta vennero istituite associazioni nazionalpatriottiche la cui finalità era sostanzialmente di irrobustire il legame con la Russia (come la
Società della Letteratura Finlandese e l’Associazione degli Artisti Finlandesi)»11.
In questo spirito qualsiasi elemento culturale che potesse essere interpretato quale
autenticamente finlandese, e quindi non svedese, era incoraggiato e incentivato dalle autorità di
San Pietroburgo. Come scrivono Jussila-Hentilä-Nevakivi, «La ricerca sulla lingua finlandese e
sulle popolazioni ugrofinniche stanziate in Russia ricevette […] forti stimoli (A. Sjögren
11
Jussila-Hentilä-Nevakivi, p. 60.
12
all’Accademia di Scienza di San Pietroburgo, M.A. Castrén). […] lo studio dei popoli ugrofinnici
divenne una branca dello studio dell’Impero multinazionale russo»12.
Con il trasferimento dell’Università da Turku a Helsinki la capitale politica acquisiva anche lo
status di capitale culturale del Granducato. Se i ‘romantici di Turku’, sulla scia di Porthan avevano
gettato le basi teoriche per la nascita di una tradizione letteraria finlandese, i cosiddetti ‘romantici
di Helsinki’ furono iniziatori di tale tradizione. Tre di essi, immatricolatisi assieme nell’anno 1822
presso l’Università di Turku, acquisirono un’importanza capitale nello sviluppo della cultura e
della storia finlandese: essi furono Elias Lönnrot, Johan Ludvig Runeberg, Johan Vilhelm
Snellman. Assieme ad altri importanti personaggi, come Zachris Topelius, essi costituirono la
Lauantaiseura (Società del Sabato13), che in scritti politici e letterari, poetici e in prosa, svedesi e
finlandesi, offrirono esempi assai diversi di cosa potesse significare o implicare la creazione di
una cultura autenticamente finlandese.
3.3. La poesia: Pietari Makkonen
È in questo contesto che può essere collocata una poesia, invero peculiare, che Bosley traduce
come “A Glad Song about the Growth of the Finnish Tongue”, scritta da Pietari Makkonen nei
primi anni Trenta, che mostra come la ‘disprezzata fanciulla’ che era la lingua finlandese sia ora
bene accetta anche dai ‘signori’ di Helsinki (la traduzione a fronte è di Bosley)14:
Ivi, p. 41.
Laitinen, p. 52
14 Se ne veda la traduzione inglese in Bosley, pp. 71-73.
12
13
13
A Glad Song about the Growth of
the Finnish Tongue
Missä syntyi Suomen neiti,
Kussa kasvoi kaino lapsi?
Mistä oppinsa otellut,
Saanunna sanat mokomat,
Kun ei kielensä keralla
Sallittu salissa olla,
Eikä oppihin otettu,
Neuvon alle annettuna?
Siitä ei sinä ikänä
Tullut suurillen tutuksi,
Eikä päässyt päivinänsä
Ylimmäisten ystäväksi;
Kulki köyhissä kylissä,
Matalaisissa majoissa,
Talonpoikien tuvissa,
Kyntömiesten kartanoissa;
Jos kerran kävi hovissa,
Ei siihen sisällen päässyt,
Saipa käyä kartanolla,
Seinävierissä väristä;
Eikä päässyt pännän päähän,
Eikä sulkahan sopinna,
Eikä laskettu lakeihin,
Eikä tullut tuomioihin.
Where was Finland’s maiden born
where did the shy child grow up
where did she learn her lessons
pick up special words
when with her tongue she was not
allowed in a drawing-room
nor taught lessons, nor
given instruction?
That’s why never in this world
did she hobnob with the great
nor in her day make
friends with the higthest:
she walked in poor villages
in humble abodes
in the cabins of peasants
the yards of ploughmen.
If she ever got to court
she was not let in
but could only tread the yard
and beside the wall shiver;
nor did she manage a pen
get used to a quill
nor have access to the law
nor come to judgement.
Niin on aivan arvotonna
Seissunna selän takana,
Niinkuin köyhä kerjäläinen,
Ovensuussa orpolapsi;
Ei suvainnut suuret kielet,
Vallankielet verraksensa,
Eikä antaneet apua
Orpolapsellen opiksi.
Muoto murheesta häneltä
Tuli aivan turmiolle,
Nuttu päällä nukkavieru
Varsin vanhasta sarasta,
Tuntui tuhmallen sanoilta,
Yksinkertainen opilta.
So she was of no account
standing behind people’s backs
like a poor beggar
an orphan child at the door;
the great tongues could not take her
the tongues of power as their peer
nor did they give help
for teaching the orphan child.
From grief her figure
became quite wasted;
with a threadbare coat on her
of thoroughly old homespun
she felt foolish as to words
and simple as to learning.
Niinpä kulki kuun ikänsä
Oman oppinsa nojassa;
Tuosta herrat Helsingissä
Katsoivat kalun tulevan,
Alkoi tuota armahella.
Siitä syntyi suuri seura,
Kirjaseura kiitettävä,
Joka alkaapi aluksi
Opetella orpolasta:
Silmät siistiipi liasta,
Kaulan karstasta puhisti,
Korvat kanssa kaunihiksi,
Vartalon valeli veellä,
That’s how she walked all the time
living by her wits
then the lords in Helsinki
saw a use for her
started being nice to her.
From that sprang a great Society
a praiseworthy Book Society
that starts – for a start –
by teaching the orphan child:
they wipe the dirt from her eyes
from her neck they cleaned the muck
and make her ears fair
adorned them with golden chains
14
Saippualla valkiaksi,
Hapset harjasi hyväksi,
Kähäräksi kaikki tyynni,
Kaapu käyty Karjalasta,
Röijy saatuna Savosta,
Kengät on Kemistä tuotu,
Sukat kanssa Kainuhusta.
Panit kouluhun kotona,
Alle oppinsa asetit,
Yksi saatteli sanoja,
Toinen neuvoi nuottiloita.
washed her all over
whitened her with soap
brushed her hair handsome
till it was all curls;
her breasts they made fair with
flowers
the best ones from a palm tree,
put on her a linen shirt
a white one of choicest flax;
the cape was Karelian
the tunic got from Savo
from Kemi the shoes were brought
and the stockings from Kainuu.
They put her to school at home,
to their lessons they set her:
one guided her in words, one
instructed her in music.
Tuosta kasvoi kaunis neito,
Suomen ympynen yleni,
Suu on kuin sulalla tehty,
Huulilta hunaja hiiluu,
Kasvot kaunihit, koreat,
Ruskeat kuin ruusunkukka,
Silmät on sininäköiset,
Lemmenlehtiset, leviät,
Luonnossa ilo ihana,
Rakkautta rinta täynnä.
Then the fair maid grew
Finland’s lassie rose, her mouth
is as with a feather formed;
on her lips honey glistens
her face fair, graceful
blooming like a rose
her eyes shining blue
as forget-me-nots and wide;
by nature she is sheerful
her breast full of love.
Jo nyt saattaapi salissa,
Kamarissa kaunihissa,
Oike’in omin varoinsa
Seistä suurien seassa,
Kirjat kaunihit käessä;
Lauleleepi lemmenvirttä,
Niinkuin lintunen lehossa,
Toukomettinen metsässä,
Jopa vertoja vetääpi
Ruotsin kuulun ryökkinöille.
Tuota herrat Helsingissä
Kaikki katsovat ilolla,
Herrat nuoret naimattomat
Kilvan kihlata kokevat.
And now in a drawing-room
in a fair chamber
properly herself
she can stand among the great
with some fine books in her hand
and she sings a song of love
like a bird in a grove, like
a ringdove in the forest:
now she measures up to the
damsels of renowned Sweden.
And the lords in Helsinki
all look upon her with joy
and the young unmarried lords
compete to win her.
Rinnat kaunisti kukilla,
Panit paian palttinaisen,
Valkoisen valitun liinan.
3.4. Johan Vilhelm Snellman (1806-1881)
Johan Vilhelm Snellman, che scriveva prevalentemente in svedese, fu il promotore di un
atteggiamento linguistico che sarebbe stato definito ‘Fennomania’. In più scritti sostenne
l’importanza e l’urgenza che la lingua finlandese divenisse a tutti gli effetti lingua di cultura
(laddove per ‘cultura’ si intenda ogni espressione di alta comunicazione).
15
Per quanto riguarda una trattazione generale di Snellman non posso che rimandare a
Laitinen15 e Gummerus16, dal momento che mancano traduzioni dei suoi scritti, pur
fondamentali per comprendere lo sviluppo della storia della Finlandia.
3.5. Johan Ludvig Runeberg (1804-1877)
Fu il più grande poeta finlandese dell’Ottocento, ed è ancora considerato il ‘poeta nazionale’
finlandese, pur essendo la sua opera per intero in lingua svedese. La sua ispirazione è
chiaramente classica, pur immersa in una sensibilità pienamente romantica. Le descrizioni umane
e naturali di Runeberg seppero cogliere alcuni aspetti profondi della sua patria, tanto da divenire
veri e propri simboli riutilizzati addirittura nel corso della Guerra d’Inverno da battaglioni
finlandesi che operavano in funzione antirussa alla frontiera con l’Unione Sovietica.
Egli delineò nelle sue opere il ritratto di uomini e donne che sarebbero poi divenuti veri e
propri eroi della letteratura finlandese. Talmente toccanti furono le descrizioni del paesaggio
finlandese contenute nelle sue poesie che una di esse, “Vart Land” (La nostra patria), tradotta in
finlandese da Cajander con il nome di Maamme, fu musicata e divenne (e ancora è) l’inno
nazionale finlandese. Maamme fu cantata per la prima volta nel 1848. Si legga di Runeberg la
selezione presente in Bosley17.
3.6. Zachris Topelius il Giovane (1818-1898)
Fu importante poeta, ma divenne famoso come scrittore di romanzi storici e di letteratura per
l’infanzia. Anch’egli finnosvedese, compose le sue opere nella propria lingua madre. Si leggano
le tre poesie tradotte in Bosley18.
Topelius si distingue proprio per le splendide descrizioni di paesaggio, che facevano da
pendant alle prime espressioni pittoriche finlandesi. La rappresentazione di boschi, dei laghi e
delle immense distese naturali della Finlandia divenne così espressione di una amore patrio che si
esprimeva in modo indipendente dalle esperienza linguistiche e antropologiche di Lönnrot.
D’altronde Runeberg e Topelius, a loro modo nazionalisti e orgogliosi della propria origine
finlandese (in quanto distinta dalla svedese e dalla russa), erano appoggiati dal governo, che
concedeva loro sovvenzioni, titoli e onorificenze. Nessuno dei grandi scrittori appartenenti alla
Lauantaiseura (Runeberg, Topelius, Snellman, e tantomeno Lönnrot) concepivano la possibilità di
una totale indipendenza politica della Finlandia, e quindi, pur fornendo agli intellettuali successivi
gli strumenti per le proprie rivendicazioni indipendentiste, erano del tutto funzionali alla politica
degli zar di San Pietroburgo.
Lo erano quindi, anche le richerche e, successivamente, le opere di Lönnrot, come
sottolineano ancora Jussila-Hentilä-Nevakivi: «In quest’ottica [politica] il Kalevala era dunque
testimonianza della ricchezza culturale e della lunga storia tanto dell’Impero russo, quanto del
Granducato di Finlandia che ne era parte integrante»19.
Laitinen, pp. 55-58.
Gummerus, pp. 83-88.
17 Bosley, pp. 112-115 e 119-123.
18 Ivi, pp. 128-129.
19 Jussila-Hentilä-Nevakiki, p. 41.
15
16
16
4 – Lönnrot e il Kalevala: composizione e problemi critici
Elias Lönnrot (1802-1884)
Elias Lönnrot20 si interessò alla mitologia finlandese fin dalla sua dissertazione del 1827, De
Vänämöine, priscorum fennorum numine, nella quale analizzava alcuni runi dedicati al ‘nume’ della
Finlandia preistorica. Proprio nel 1827 scoppiava il grande incendio di Turku, e tutte le attività
accademiche furono sospese. Lönnrot prese questi eventi come un’occasione per partire per il
primo dei suoi lunghi viaggi fino in Carelia, che egli, grande camminatore, fece sempre
rigorosamente a piesi. Durante il viaggio approfondì le tematiche oggetto dei suoi studi, ovvero
la poesia popolare in lingua finlandese, e avviò la raccolta di runi copiati dalla viva voce dei
narranti, che lo avrebbe portato a comporre le opere più note della letteratura finlandese, ovvero
il Kalevala e la Kanteletar. Amico di Runeberg, che aveva composto il poema epico I cacciatori
d’alce, ma soprattutto estimatore della cultura romantica tedesca e, di conseguenza, dell’antichità
greca, e in particolare di Omero, iniziò già durante i suoi primi viaggi a concepire l’idea di
raccogliere tutti i runi in un’opera unitaria, un poema epico finlandese che fosse il perno,
veramente e propriamente nazional-romantico, della ‘rinascita’ del popolo finlandese. Quando
Elias Lönnrot si laureò in medicina (con una tesi sulla medicina magica degli antichi finlandesi),
la sua strada verso il poema epico era già decisa. Fra l’altro, la sua stessa specializzazione
universitaria lo aiutò a entrare in contatto facilmente con gli abitanti di sperduti villaggi rurali che
volentieri accoglievano un medico laureato (salvo poi ricorrere più volentieri agli antichi
incantamenti per guarire certe malattie; e d’altronde la qualità della medicina ufficiale ai tempi di
Lönnrot era ancora di livello inadeguato per fronteggiare troppi problemi).
Come abbiamo visto prima di Lönnrot numerosi studiosi si erano interessati alla poesia
popolare e alla mitologia finnica, ma nessuno si era mai spinto alla ricombinazione e
rielaborazione di fonti che creò il Vecchio (Vanha) Kalevala (1835). L’opera unitaria venne alla
mente di Lönnrot dal riconoscimento di temi simili o identici in runi raccolti in luoghi fra loro
lontani, e che parevano formare nuclei coerenti di storie organizzati attorno a personaggi centrali
quali Vänämöinen. Gran parte del materiale fu raccolto in Carelia, anche se tutta l’area finlandese
e in parte balto-finnica contribuì alla messe di storie e versi che Lönnrot continuò a raccogliere
dopo la pubblicazione del Vecchio Kalevala. I successivi viaggi, e nuovi interventi dell’autore,
portarono così alla creazione del Nuovo (Uusi) Kalevala, (1849), composto da 50 runi, o canti.
Se già nel 1835 il Vecchio Kalevala pareva la risposta, anzi la concretizzazione, degli sforzi e
degli stimoli profusi per decenni da una parte dagli eruditi di tradizione illuministica e romantica,
dall’altra dai politici filo-russi, il Nuovo Kalevala fu la conferma che era nata un’epica finlandese
che poteva rivaleggiare con i grandi modelli stranieri e con lo stesso Omero. Nell’arco di pochi
anni, grazie al Vecchio Kalevala, alla Kanteletar e al Nuovo Kalevala, la lingua finlandese vedeva
dimostrato e confermato il nuovo status di lingua di cultura e di poesia.
La generazione di autori immediatamente successiva, non dovendo più ‘giustificare’ le
ragioni di un’arte in lingua finlandese, né dimostrare a tutti i costi l’artisticità intrinseca alla lingua
finlandese, poterono sperimentare molte forme letterarie europee nella ‘nuova’ lingua, in primis il
teatro e il romanzo (cfr. Aleksis Kivi).
Una conseguenza indiretta che potremmo definire di ‘medio termine’ di questo fenomeno fu
l’inizio di una diatriba fra intellettuali ‘filosvedesi’ e il gruppo dei fennomani guidato da Snellman.
Se una contrapposizione fra intellettuali e politici finnosvedesi che riconoscevano la propria
origine culturale nella Svezia, e intellettuali e politici che invece sostenevano la causa della lingua
finlandese (ed erano quindi politicamente più vicini alla Russia), era esistita fin dall’inizio del
secolo, la pubblicazione del Kalevala e delle altre opere di Lönnrot, e l’enorme successo anche
internazionale ottenuto, resero evidente il dissidio fra quelli che si configurarono sempre più
come partiti linguistico-politici. Nei decenni successivi infatti, come scrive Yriö Varpio in The
20
Su di lui cfr. Gummerus, pp. 50-55 e Laitinen, pp. 59-65
17
History of Finnish Literary Criticism 1828-1918: «The symbolic value of the Kalevala among the
Fennomanic intelligentsia was enhanced by the fact that its folkloric material had been gathered
in Eastern Finland and Russian karelia, which had the effect of moving Finland’s cultural center
of gravity in the direction preferred by the Fennomania group: away from Sweden, away from
the Southwestern coast of Finland dominated by the Swedish-speaking intelligentsia, toward the
unwashed peasant heartlands. Suddenly, folklore-collection was all the rage among Fennomanic
students»21.
Ma il Kalevala contribuì anche alla formazione di un vero e proprio immaginario nazionale.
Fin dagli anni ’40 artisti finlandesi iniziarono a trarre spunto dalle vicende del poema di Lönnrot
per i soggetti mitologici dei propri lavori. Il più grande artista ‘kalevaliano’ fu, senza dubbio,
Akseli Gallen-Kallela, divenuto celebre anche come padre del design finlandese. Oltre ai sempre
più numerosi raccoglitori e studiosi di runi, inoltre, anche in ambito letterario e musicale temi e
personaggi del Kalevala acquistarono nuova vita nei capolavori di Aleksis Kivi (il dramma
Kullervo), Sibelius (I cigni di Tuonela, fra gli altri), e Eino Leino (gli Helkävirsiä). Ma tali artisti
operarono molti decenni dopo, in una diversa temperie culturale, quando oramai la lingua e la
mitologia finlandese avevano già vinto la loro battaglia su una tradizione svedese sempre più
‘minoritaria’.
Nessuna opera della letteratura finlandese fu al centro di tanti dibattiti come il Kalevala. Gli
aspetti più dibattutti furono in primis quanti e quali fossero stati gli interventi personali di
Lönnrot sul materiale raccolto, e di conseguenza su come definire il Kalevala, se raccolta di canti e
miti popolari o piuttosto poema epico moderno su questi basato. Inoltre, il fatto che la lingua dei
runi sia stata generalmente adattata a quella ‘standard’ della Finlandia sudoccidentale, ne implicò
un adattamento che rasentò la riscrittura. La questione non è oziosa, dal momento che i runi
raccolti in Carelia erano in dialetto (o lingua) careliana. Inoltre runi diversi che narravano lo
stesso argomento furono ‘fusi’, adattati, corretti, integrati, tanto che, successivamente, gli stessi
cantori non riconobbero più i runi del Kalevala come ‘originali’. Inoltre, come ebbe a scrivere lo
stesso Lönnrot, nei casi in cui episodi identici fossero riferiti a personaggi diversi fu Lönnrot ad
attribuirli al personaggio caratterialmente più consono, con un’operazione di normalizzazione
degli eventi che si configura come del tutto autoriale.
Il fatto stesso, poi, che gran parte del materiale fosse stata raccolta in Carelia sollevò molti
dubbi sulla ‘finlandesità’ della mitologia esplicata nel poema. L’ipotesi oggi dominante (e
all’epoca accettata per motivi politici e di prestigio culturale) è che anche la Finlandia occidentale
avrebbe ospitato tali runi, se non fosse intervenuta l’alfabetizzazione, nemica di ogni tradizione
orale e mnemonica, a ridurli. Il fatto che, seppur in misura minore, Ilmärinen, Lemminkäinen e
Vänämöinen fossero comunque cantati in tutte le regioni della Finlandia servì da puntello a
questa ipotesi.
Altri dibattiti riguardarono l’origine dei runi, ovvero se fossero antichi e realmente mitologici,
oppure piuttosto riflettano, mitizzati, eventi storici realmente avvenuti in epoche diverse. E di
conseguenza se i ‘cattivi’ del poema, ovvero gli abitanti di Pohjola, siano simbolo astratto e
mitologico del male e dei nemici da superare per ottenere il diritto alla luce e alla vita, oppure se
non vi siano raffigurati i lapponi, storici nemici temuti in tutto il nord Europa come terribili
sciamani; oppure (e questa è la tesi dello stesso Lönnrot), se gli abitanti di Kalevala e quelli di
Pohjola non siano memoria di due diverse tribù o popolazioni finlandesi, e di come una delle
due (i ‘kalevaliani’), inizialmente meno potente e rispettata, abbia progressivamente acquisito
potere anche sull’altra (i ‘pohjolani’).
Non meno dibattuti sono singoli ma importanti elementi del poema, primo fra tutti il
misterioso Sampo: un calice, o piuttosto un mulino, produttore di prosperità e di ricchezza, al
centro di numerosi canti; e della contesa per esso fra abitanti di Pohjola e di Kalevala. Non c’è
dubbio, com’è stato osservato, che la spedizione dei tre principali eroi di Kalevala (Vänämöinen,
Ilmarinen, Lemminkäinen) alla riconquista del Sampo ricordi estremamente da vicino la mitica
21
Cfr. Yriö Varpio in The History of Finnish Literary Criticism 1828-1918, Societas Scientiarum Fennica, Helsinki 1990, p. 95.
18
impresa degli Argonauti e la cerca del Vello d’Oro. Il dibattito sulla natura del Sampo scemò
anche perché gli stessi cantori non ne conoscevano la natura, e forse per questo ne veneravano il
ricordo mitico.
Altro genere di polemiche sorsero in margine al testo, in particolare per l’affermazione di
Lönnrot, invero piuttosto infelice, che nessuno prima di lui aveva avuto l’idea di costruire un
poema a partire dai runi conservati nelle menti dei runojat ancora in vita. Insorse allora Gottlund,
che ricordò il lavoro di altri studiosi e la proposta di un ‘poema nazionale’ da lui formulata nel
1817 in un articolo che certamente Lönnrot conosceva (dato che ne risente in parte anche la sua
dissertazione De Vänämöine). Gottlund non ebbe dubbi a classificare il Kalevala come opera di
Lönnrot, che poco aveva a che fare con i runi originali, e che solo surrettiziamente poteva essere
‘spacciata’ per popolare, e quindi nazionale.
Ma Gottlund rimase inascoltato. La critica contemporanea salutò il Kalevala come la prova
oggettiva dell’esistenza di un genio spontaneo presente ab antico fra le foreste e i solitari laghi
della Finlandia.
La naturale conseguenza fu che gli studi di antropologia, linguistica, mitologia, storia, che
sorsero immediatamente attorno ai versi di Lönnrot, e gli studi filologici condotti sulle
testimonianze che a partire da quegli anni sempre più studiosi si misero a setacciare in tutto il
territorio finlandese, fin’anche nella Carelia russa, tesero paradossalmente a sottovalutare la
portata del Kalevala come opera letteraria. Dovettero infatti passare svariati decenni prima che
Julius Krohn (a partire dagli anni ‘70) introducesse una critica più prettamente stilistica all’opera
di Lönnrot, che proprio a partire dal Krohn fu appunto, e giustamente, classificata come poema
epico. D’altronde la prospettiva dell’origine popolare del Kalevala fu implicitamente sostenuta
dallo stesso Lönnrot, che tese sempre a minimizzare i propri apporti a un testo che oggi è invece
riconosciuto come suo.
Ad ogni modo con il Kalevala la Finlandia aveva, infine, la propria Iliade. Lönnrot, novello
Omero, o meglio ‘Omero del nord’, aveva trionfato nell’impresa di gettare le fondamenta per
una ricostituzione ab origine della lingua letteraria finlandese, che da quel momento cessò di essere
mero mezzo di espressione quotidiana o di poesia esclusivamente popolare o erudita.
5 – Il Kalevala: trama e tematiche
5.1. Il Kalevala
Il Kalevala, nella sua versione dell’Uusi Kalevala del 1849, è un poema epico in 50 canti, o runi, che
conta un totale di 22.795 versi. Il poema non ha una ‘trama’ specifica, né si organizza attorno a
un evento principale (come l’Iliade) o alle vicissitudini di un particolare personaggio (come
l’Odissea). La narrazione ruota piuttosto attorno a una serie di personaggi, figli o discendenti del
mitico Kaleva, che abitano le lande nordiche di Kalevala: Vänämöinen, vecchio, saggio e
‘intrepido’ cantore, o laulaja, poi inventore del Kantele, che con la bellezza del proprio canto
costringe all’obbedienza gli elementi naturali; Ilmarinen, il fabbro, dalla cui forgia escono
meravigliosi e terribili oggetti incantati, fra i quali il misterioso Sampo; e Lemminkäinen, giovane,
bello e rissoso, amante delle donne e delle battaglie. Le storie dei tre discendenti di Kaleva si
intrecciano fra loro in numerose sottotrame, che costituiscono nuclei tematici che suddividono il
Kalevala in veri e propri sotto-poemi.
5.2. Trama del Kalevala
Il poema inizia con la creazione del mondo da parte di Ilmatar, (lett. ‘Figlia dell’aria’), che al
termine del runo, dopo interminabile travaglio, partorisce Vänämöinen, il ‘runoja eterno’. Il runo
secondo narra come Vänämöinen, assieme a Sampsa Pellervoinen, semini gli alberi e le foreste e,
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dopo aver fatto abbattere da un piccolo uomo sorto dal mare la grande quercia che con le sue
fronde aveva oscurato il cielo, e dopo aver trovato alcuni semi di orzo, cerchi di seminarli,
aiutato da un’aquila che dà fuoco ai tronchi degli alberi abbattuti, che così fecondano il suolo.
Il runo terzo introduce la figura di Joukahäinen, che, forse ‘giovane di Lapponia’, forse
invece altro discendente di Kaleva, geloso della fama che Vänämöinen ha saputo conquistarsi
grazie alla perizia del canto (e negli incantamenti), lo sfida a duello con la spada. Vänämöinen,
con la propria sapienza magica, domina il rivale, e lo fa sprofondare in una palude, fino a che
Joukahainen, per liberarsi promette a Vänämöinen la propria sorella in sposa. La disperazione
della vergine Aino, sorella di Joukahainen, che non vuol sposarsi a un uomo già vecchio, e la sua
fuga nella foresta e infine nell’acqua del lago, dove affoga, è uno degli episodi più noti e più
rappresentati del Kalevala. Nel canto quinto Vänämöinen, mentre cerca con una rete di ripescare
la bella Aino dal lago dove è affogata, cattura uno splendido pesce, di un genere mai visto prima.
Anziché meglio considerare la stranezza del pesce il vecchio si appresta a farlo a pezzi per
poterlo poi mangiare. Ma ecco che con un guizzo il pesce gli sfugge di mano, rivelandogli che
volontariamente si era lasciato catturare, perché le sembianze di pesce nascondevano l’anima
dell’amata Aino, tornata infine da Vänämöinen. Ma poiché il vecchio non aveva saputo
riconoscerla, tutto è perduto, e il pesce sparisce nelle profondità scure del lago. Vänämöinen
torna così alla propria dimora, dove lo spirito della madre, ridestatosi dalla tomba, gli suggerisce
di recarsi a Pohjola e lì scegliere la più bella delle figlie della Signora di Pohjola. Migliori sono,
infatti, le donne di Pohjola piuttosto che le arcigne ragazze di Joukola.
Con il canto sesto Vänämöinen inizia la ricerca della sua nuova sposa. Avanzando a cavallo
nelle grandi foreste, mentre attraversa un fiume, Vänämöinen è nuovamente attaccato da
Joukahainen, che lo odia sempre più, che gli scaglia una freccia. Vänämöinen, caduto in acqua, è
trascinato in mare da una tempesta. Qui continua a nuotare per molti giorni, fino a che non è
soccorso dall’aquila che lo aveva aiutato a fecondare i campi. Giunto a Pohjola, Vänämöinen è
aiutato da Louhi, Signora di Pohjola, che gli promette la propria figlia in sposa a condizione che
egli fabbrichi il Sampo. Tornando verso Kalevala Vänämöinen promette che farà fabbricare il
Sampo da Ilmarinen. Ma Vänämöinen, mentre torna verso la propria dimora, si imbatte nella
bella vergine di Pohjola, figlia di Louhi (canto VIII). Lei accetta di essere sua sposa a condizione
che lui riesca in un’impresa impossibile, ovvero fabbricarle una barca con i piccoli pezzi del
proprio fuso. Vänämöinen accetta e si mette all’opera, ma si ferisce durante il lavoro. È così
costretto a mettersi in cerca di aiuto, perché la ferita è profonda e non accenna a chiudersi.
Giunto a un villaggio, tre volte chiede aiuto in tre case diverse, e solo nell’ultima un vecchio dice
di conoscere la magia che potrà aiutarlo. Dopo numerosi tentativi il vecchio riesce a guarire
Vänämöinen (canto IX), che torna infine nelle proprie terre e chiede a Ilmarinen di forgiare il
Sampo, per poter così ottenere la mano della vergine di Pohjola. Contro la sua volontà Ilmarinen
si reca a Pohjola, dove fabbrica il Sampo e chiede in sposa la figlia di Louhi, che però lo rifiuta.
Ilmarinen torna così alle proprie terre senza una sposa, ma avendo fabbricato il mitico Sampo,
che la padrona di Pohjola ha messo al sicuro sotto una montagna (canto X).
A partire dal canto XI iniziano le avventure di Ahti, ovvero lo ‘spensierato’ Lemminkäinen,
sempre a caccia di avventure e di donne. Egli si reca a Saari a cercare una nobile sposa, malgrado
sua madre cerchi di dissuaderlo dall’impresa. Lemminkäinen inizia così a corteggiare Kyllikki,
bellissima e ambitissima fanciulla di Saari, e, di fronte al rifiuto di lei, la rapisce e con la forza la
mette sulla propria slitta, portandola lontano da casa e dalla famiglia. Kyllikki, disperata, accetta
di stare a fianco di Lemminkäinen se egli cesserà di lanciarsi in battaglia e di andare in cerca di
avventure. Lemminkäinen accetta, a patto che la fanciulla prometta di non andare mai a danzare
al villaggio. Con l’approvazione della madre di Lemminkäinen la fanciulla entra nella famiglia di
Ahti, fino a che un giorno, mentre il marito è lontano, Kyllikki si reca al villaggio per partecipare
a una festa, e prende parte alle danze. Lemminkäinen senza indugio ripudia Kyllikki, e decide di
cercare una nuova compagna. Si prepara così a partire, anch’egli, per Pohjola, per chiedere la
mano della bella vergine figlia di Louhi. Ma la madre cerca di dissuaderlo dall’impresa, sicura che
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se egli cercherà di andare a Pohjola vi troverà la morte. Senza prestarle ascolto, Lemminkäinen si
mette in viaggio, e, giunto a Pohjola, incanta tutti i presenti tranne un vecchio pastore, Cappello
Bagnato (canto XII). Quindi chiede a Louhi la mano di sua figlia. Ma la padrona di Pohjola
impone all’eroe prove difficilissime da superare: la cattura dell’alce di Hiisi (ovvero dell’alce
demoniaco: Hiisi è un nome finnico per indicare il diavolo) (canto XIII); imbrigliare il cavallo di
fuoco di Hiisi; e infine abbattere il cigno del lago di Tuonela (il regno dei morti). Qui, tuttavia, lo
aspetta il vecchio Cappello Bagnato, ancora irato per come Lemminkäinen lo ha trattato: il
pastore uccide l’eroe e lo getta nel vortice, negli abissi di Tuonela, dove è fatto a pezzi dal figlio
del Signore dei morti, Tuoni (canto XIV). Allora il pettine di Lemminkäinen, che ancora si trova
a casa della madre, inizia a sanguinare. Ella capisce quindi che il figlio è morto, e si mette a
cercarne il corpo. Giunta sulle rive di Tuonela riesce a ricomporre il corpo del figlio, e con un
potente incantesimo gli ridà vita. A Lemminkäinen non resta che tornare a casa con la madre
(canto XV).
Nel frattempo Vänämöinen cerca nuovo legname per riprendere la costruzione della barca
che gli aveva richiesto la vergine di Pohjola come prova per ottenere la propria mano. Ma a
Vänämöinen mancano tre importanti parole magiche per completare la propria opera. Decide
così di entrare nel solo luogo dove possa esistere maggior conoscenza magica della propria,
ovvero Tuonela, il regno dei morti. Ma qui non riesce a trovare ciò che cerca, e anzi la figlia di
Tuoni fa di tutto per impedirgli di andarsene. Riuscito infine a fuggire, Vänämöinen si reca a
cercare le parole mancanti da Antero Vipunen (canto XVII), morto e sepolto da lunghi anni.
Risvegliato dalla morte Antero Vipunen inghiotte Vänämöinen, che però dall’interno del suo
stomaco lo strazia. Antero Vipunen è quindi costretto a rivelare al ‘runoja eterno’ le proprie
conoscenze magiche. Vänämöinen torna quindi alle proprie terre e completa la barca per la
vergine di Pohjola (canto XVII).
Messossi in viaggio per Pohjola (runo XVIII), Vänämöinen è scorto dal Annikki, sorella di
Ilmarinen, che subito avvisa il fratello che il vecchio laulaja chiederà in sposa la vergine di
Pohjola. Ilmarinen si mette in viaggio a sua volta, e i due pretendenti arrivano al cospetto di
Louhi e della figlia, che fra i due sceglie il più giovane, ovvero Ilmarinen. Ma per avere in sposa
la bella vergine, Ilmarinen deve superare nuove prove, che porta a termine grazie all’aiuto della
fanciulla. Louhi acconsente quindi che la figlia sposi Ilmarinen, con gran dispetto di
Vänämöinen, che comprende che la saggezza non può competere con la gioventù nelle battaglie
d’amore (canto XIX).
A partire dal canto XX prende avvio una lunga sezione ‘nuziale’, in onore del matrimonio di
Ilmarinen con la vergine di Pohjola. Vengono allestiti i preparativi per i festeggiamenti, macellato
un bue gigantesco, e fatta la birra (XX); arriva il corteo dello sposo (XXI); viene preparata la
sposa (XXII), e le viene detto come comportarsi nella casa del marito (XXIII); viene preparato
lo sposo, e gli viene detto come comportarsi con la moglie (XXIV); infine la sposa, triste per la
partenza, viene messa sulla slitta, e infine gli sposi arrivano alla casa di Ilmarinen, dove sono
ricevuti dai festeggiamenti della famiglia dello sposo e dai canti di Vänämöinen (XXV).
Alla festa di nozze che si era tenuta a Pohjola non era stato invitato Lemminkäinen, perché
notoriamente rissoso. Avuto notizia del matrimonio, l’eroe si adira e si appresta a partire armato
per Pohjola (canto XXVI), malgrado la madre premurosa lo avverta dei pericoli tremendi che
correrà nelle lande lontane della terra del nord. Ma il giovane parte e, dopo aver superato
numerosi ostacoli, giunge a Pohjola, dove provoca i padroni di casa e, dopo un duello con la
spada, decapita il marito di Louhi (canto XXVII). La signora di Pohjola, irata, muove guerra a
Lemminkäinen, che non trova di meglio da fare che fuggire a casa, dove la madre, dopo averlo
rimproverato, gli svela dove potrà rifuggiarsi: in un’isola lontana, che fu anticamente rifugio di
suo padre (canto XXVIII). Ma una volta sull’isola il carattere di Lemminkäinen prevale
nuovamente sul suo giudizio, e inizia a sedurre tutte le donne del luogo (canto XXIX). È così
costretto a fuggire, quando i mariti gli tendono un agguato per eliminarlo. Tornato a casa, la
trova distrutta, e la madre scomparsa. Il figlio, disperato, pensa che la premurosa genitrice sia
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morta, ma infine la ritrova nel bosco. Ma giura vendetta alle genti di Pohjola, che hanno osato
distruggere la sua casa. Con il suo migliore amico, Tiera, il giovane eroe parte alla volta di
Pohjola. Ma la signora della terra del nord, potente stregona, fa gelare il mare, e la barca rimane
imprigionata fra i ghiacci. Lemminkäinen riesce a cantare un rimedio contro il ghiaccio, ma i due
eroi non riescono più ad arrivare a Pohjola, e tornano verso casa.
I runi dal XXXI al XXXVI costituiscono un nucleo narrativo quasi del tutto indipendente
dagli altri: sono in effetti un vero e proprio poema nel poema, che narra la terribile vicenda di
Kullervo, allevato dallo zio Untamo, che aveva trucidato tutta la famiglia del nipote. Kullervo si
dimostra inadatto a qualsiasi tipo di lavoro, e medita una vendetta atroce contro lo zio. Allora
Untamo lo vende a Ilmarinen come servo. Nella casa del fabbro tuttavia il ragazzo diventa
bersaglio della malignità della moglie di Ilmarinen, che lo spedisce a far da guardia alle greggi, ma
nascondendo un sasso dentro il suo pane (canto XXXII). Kullervo, che cercando di tagliare il
pane rompe contro il sasso il prezioso coltello, ricordo del padre, giura vendetta, e, dopo aver
disperso le greggi, incanta gli animali feroci della foresta in modo che sembrino gli animali della
moglie di Ilmarinen. Quando questa vede gli animali tornare dal pascolo, non sospettando nulla,
si avvicina per mungerli, ma viene sbranata dalle belve (canto XXXIII). Allora Kullervo fugge
dalla casa del fabbro, e vagando nel bosco scopre che la sua famiglia non è morta a causa di
Untamo, ma è riuscita a sopravvivere (canto XXXIV). Ricongiuntosi col padre e la madre,
Kullervo cerca di lavorare nella loro casa, ma non è capace di svolgere mansioni utili. È quindi
spedito a saldare i debiti del padre, ma tornando a casa incontra una bella fanciulla, che egli
rapisce sul suo carro e violenta. Troppo tardi scopre che la ragazza è in realtà la sorella smarrita
della quale gli avevano parlato i genitori affranti. Una volta scoperto che il suo amante è in realtà
suo fratello, la ragazza si affoga in un fiume. Allora Kullervo, distrutto, torna a casa, dove la
madre, unica a porre ancora orecchio alle parole del figlio, lo prega di non suicidarsi, com’egli
avrebbe intenzione di fare (canto XXXV). Ma il ragazzo decide, prima di tutto, di vendicarsi di
Untamo. Così gli muove guerra, incurante del fatto che molti funesti presagi lo consiglino di
tornare a casa, perché, uno dopo l’altro, i suoi genitori e parenti stanno morendo. Ma Kullervo,
sordo a tutti i consigli, raggiunge le abitazioni di Untamo, e distrugge tutto ciò che vede. Tornato
a casa scopre che i presagi si sono realizzati: la sua famiglia è estinta. Vagando con la compagnia
del cane, ultimo ricordo della famiglia, si ritrova nel luogo dove aveva sedotto la sorella. A
questo punto, distrutto dal dolore, Kullervo si uccide (canto XXXVI).
Il grande fabbro Ilmarinen, nel frattempo, non sa darsi pace per la morte della moglie. Non
riuscendo a sopportare la solitudine, decide di forgiare con la propria arte una nuova sposa, e
mette assieme i metalli più preziosi, l’oro e l’argento, per l’opera. Ma la statua non sa dargli gioia,
ed egli decide di donarla a Vänämöinen, che però saggiamente gli consiglia di donarla ad altri, più
desiderosi di oro o di argento, o di rifonderla per farne oggetti più utili (canto XXXVII). Così
Ilmarinen torna a Pohjola per cercare una nuova moglie, ma qui Louhi, adirata per la morte della
figlia, lo deride e afferma che mai avrebbe dovuto affidargli la figlia più bella. Ilmarinen tuttavia
rapisce la sorella della moglie, che però ostenta per lui talmente tanto disprezzo che ilmarinen, in
preda alla collera, la trasforma in gabbiano (canto XXXVIII).
Tornato da Pohjola, Ilmarinen si reca da Vänämöinen per dirgli quanto il Sampo abbia
arricchito Pohjola. Così i due figli di Kaleva decidono di mettersi in viaggio per Pohjola alla
riconquista del prezioso oggetto. Il bel Lemminkäinen, saputo che i due sono in viaggio, si
unisce a loro per regolare i propri conti con gli abitanti di Pohjola (canto XXXIX). Durante il
viaggio i tre eroi hanno a che fare con un luccio gigantesco, che fa incagliare la barca. Dopo
numerosi tentativi riescono infine a catturare il pesce, farlo a pezzi e mangiarlo. Ed ecco che,
dalle mascelle del maestoso animale, Vänämöinen fabbrica il kantele, lo strumento meraviglioso
(canto XL). Il canto di Vänämöinen, accompagnato dal kantele, risuona così in tutta Kalevala, e
l’armonia commuove tutti gli esseri viventi. Nessuno degli eroi può fare a meno di piangere. Lo
stesso runoja piange lacrime che, toccata l’acqua del mare, si tramutano in perle (canto XLI).
Finalmente gli eroi giungono a Pohjola e, dopo aver chiesto il Sampo, decidono di prenderlo con
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la forza, dopo che Vänämöinen ha addormentato tutti gli abitanti di Pohjola con la forza del
proprio canto e del kantele. Fuggiti, i tre sono raggiunti da una tempesta scatenata da Louhi,
durante la quale il kantele cade in acqua e scompare (canto XLII). Louhi dichiara guerra agli eroi
di Kalevala: in mare gli abitanti di Pohjola e i figli di Kaleva si affrontano in modo terribile.
Durante lo scontro il Sampo va in pezzi: Louhi ne ottiene il coperchio, mentre Vänämöinen ne
riporta alcuni pezzi a Kalevala (canto XLIII). Quindi Vänämöinen decide di costruire un nuovo
kantele, fatto non di ossa, ma di legno di betulla (canto XLIV). Ma è il momento della vendetta
della signora di Pohjola, che dapprima crea terribili morbi e li scaglia contro gli abitanti di
Kalevala (canto XLV), poi evoca un orso terribile perché distrugga le greggi di Kalevala (canto
XLVI). Sconfitti i morbi, abbattuto l’orso, mentre Vänämöinen canta la gioia di Kalevala e gli
astri si abbassano a udire le sue melodie, Louhi cattura il sole e la luna dal cielo, e il fuoco dalle
case di Kalevala. La tenebra della notte eterna cala quindi sulle lande degli eroi. Allora Ukko
(ovvero Dio), crea una nuova scintilla, capace di generare un nuovo sole e una nuova luna. Ma la
scintilla cade sulla terra, nel lago di Alue, ed è inghiottita da un pesce (canto XLVII). Dopo molti
tentativi Ilmarinen e Vänämöinen riescono a pescare il pesce dentro il quale sta la scintilla. Ma
una volta che il pesce viene sventrato la scintilla brucia le mani di Ilmarinen e schizza via,
bruciando molti boschi (canto XLVIII). Finalmente, dopo aver messo in sicurezza la scintilla,
Vänämöinen si reca alla volta di Pohjola, perché ha saputo che proprio Louhi li ha nascosti in
una montagna. Non riuscendo a liberarli, chiede a Ilmarinen di forgiare strumenti adatti. Ma
Louhi, temendo il ritorno di Vänämöinen, libera infine i due astri, e su Kalevala torna a
rispendere la luce del sole e quella della luna (canto XLIX).
Nell’ultimo canto, assistiamo al parto di una fanciulla vergine, Marjatta, che viene ripudiata
dai genitori. Vänämöinen decreta che il bambino deve essere ucciso, ma un vecchio decide
invece di battezzarlo e consacrarlo re di Karelia. Così Vänämöinen, sdegnato, se ne va da
Kalevala, navigando su un’imbarcazione di rame fino al punto in cui terra e cielo si incontrano.
Ma prima di andarsene predice che verrà un giorno in cui ci sarà nuovamente bisogno della sua
opera: per costruire un nuovo Sampo, un nuovo strumento, oppure portare una nuova luna o un
nuovo sole. Di nuovo la gioia scomparirà dal mondo, e allora, quando le genti lo invocheranno,
egli ritornerà per aiutarle (canto L).
5.3. Spunti di critica del Kalevala
Come già accennato, gli apporti di Lönnrot al Kalevala vanno ben al di là di cuciture di brani fra
loro non relati o adattamenti di elementi linguistici. Già le differenze fra Vecchio e Nuovo
Kalevala dimostrano una diversa concezione dell’opera finale. L’architettura del Nuovo Kalevala,
ben diversa dalla versione precedente, mostra notevoli interventi sui runi originari, e innesti di
nuovi miti sul corpo mitologico propriamente finnico. Agisce in particolare la religiosità cristiana
di Lönnrot, e al contempo la sua erudizione di mitologia comparata.
Uno degli elementi di maggiore differenza, ad esempio, riguarda le figure degli eroi, e in
particolare quella di Vänämöinen, che ancora nel Vecchio Kalevala, e ancor più nei runi
originari, aveva ruolo demiurgico nei confronti del mondo, mentre nel Nuovo Kalevala egli è
partorito da Ilmatar, la Vergine dell’Aria, e assume un ruolo del tutto secondario nei confronti
della Creazione. Secondo gli studi di Juha Pentikäinen la dea Ilmatar, quasi sconosciuta alla
tradizione orale, sarebbe stata acquisita al mito per influenza della poesia indiana, e in particolare
della narrazione del Satapathabramana: Ilmatar diverrebbe così un’equivalente finnica di Brahma.
Difficile quindi considerare il primo canto del Kalevala come ‘tradizionale’, dal momento che il
gusto ottocentesco dell’autore contribuì non solo al suo montaggio, ma anche alla sostanziale
riscrittura del materiale originale.
Uno dei principali motivi conduttori dell’opera, ovvero il misterioso artefatto magico
chiamato Sampo, e i canti relativi alla sua costruzione, alla sua riconquista e alla sua distruzione,
sono altri elementi fortemente rielaborati da Lönnrot al fine di costruire un’epica unitaria. In
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effetti Lönnrot ha letteralmente sparpagliato lungo tutto il poema episodi che, nella viva voce dei
runojat, costituivano invece un’unica storia, che iniziava con la creazione del mondo da parte di
Vänämöinen, proseguiva con il suo viaggio a Pohjola (canto VII), la creazione del Sampo (canto
X), e la spedizione contro Pohjola per la sua riconquista (canti XXXIX, XLII e XLIII). Gli
episodi del Sampo sono staccati gli uni dagli altri allo scopo di creare una vera e propria cornice
per tutti gli altri episodi e avventure che sono collocati a incastro nel mezzo. Come
precedentemente accennato, quale fosse l’effettiva natura del Sampo, oggetto o simbolo, e se vi
fosse in effetti un singolo Sampo nella mitologia finnica, o ne fosse forgiato più d’uno (poi
unificati nella versione del Kalevala) è uno degli argomenti più dibattutti dalla critica moderna.
Un altro elemento decisamente lönnrotiano è la figura del terzo grande eroe del Kalevala,
ovvero Lemminkäinen. L’eroe bello e spensierato che, dopo varie avventure amorose, si unisce a
Vänämöinen e Ilmarinen nella ricerca del Sampo risulta essere l’accorpamento di svariati altri
personaggi che nei runi originari avevano altro nome. Se infatti Ilmarinen, e soprattutto
Vänämöinen sono gli eroi sui quali si incentra l’epica orale, Lemminkäinen vi compare poco, e
spesso occupando ruoli diversi e non univoci. Il personaggio che compare nel Kalevala è quindi
in buona parte una creazione del poeta ottocentesco, che costruisce su Lemminkäinen numerosi
canti, spesso creando ex novo alcuni episodi o fondendo runi diversi con altri personaggi come
protagonisti (fra i quali anche Ilmarinen).
I sei canti dedicati a Kullervo (XXXI-XXXVI) dimostrano tuttavia la difficoltà del lavoro di
Lönnrot, che, se nel Vecchio Kalevala aveva dedicato a Kullervo solo un canto (XIX), nel
Nuovo Kalevala si vide quasi costretto ad ampliare il ruolo del figlio di Kalervo. Nelle sue
ricerche in Carelia infatti Lönnrot scoprì sempre più episodi riguardanti il rapporto del giovane
con la famiglia, e la sua guerra con Untamo, ma molti degli episodi erano contraddittori, poiché
in molti runi la famiglia appariva come massacrata prima che egli nascesse (inclusa la madre), in
altri era invece descritta la relazione di Kullervo con il padre e la madre (evidentemente ancora in
vita), e via dicendo. Lönnrot unificò quindi le tradizioni, costruendo un sottopoema coerente
che, riallacciandosi al mito della servitù di Kullervo nella casa di Ilmarinen, e alle maledizioni
mandate alla moglie di questi, interagisce con la trama principale, ovvero la cattura del Sampo,
gettando le basi dell’insoddisfazione di Ilmarinen nei confronti di Louhi e della conseguente
guerra fra Pohjola e Kalevala.
Anche il ruolo di Aino, sorella di Joukahainen che si getta nel lago e affoga piuttosto che
sposare Vänämöinen, risulta assai amplificata nel Nuovo Kalevala rispetto al Vecchio Kalevala. Il
nome stesso pare essere invenzione di Lönnrot. Il critico Juha Pentikäinen propone, per
l’episodio di Aino, una chiave di lettura psicoanalitica, secondo la quale l’acqua, elemento di
estrema importanza nel Kalevala, e prevalentemente femminino (soprattutto nell’interpretazione
lönnrotiana, si ricordi di Ilmatar e del parto acquativo di Vänämöinen), rappresenterebbe la
femminilità di Aino, che vi si immerge e diventa con essa tutt’uno mediante la trasformazione in
pesce. La femminilità di Aino, e la sua sensualità, non sono riconosciute da Vänämöinen, che,
vecchio, non cerca una moglie per il suo esser donna, ma piuttosto per avere una serva devota:
vita alla quale sarebbe costretta Aino se sposasse il runoja eterno. Per questo il fallimento di
Vänämöinen nel riconoscere nel pesce la fanciulla, e quindi nella fanciulla la sua sensualità,
dimostra che i timori di Aino su un matrimonio che non avrebbe potuto portarle piacere erano
fondati. L’inadeguatezza del vecchio Vänämöinen sarà riconosciuta, d’altronde, anche dalla
vergine di Pohjola, che piuttosto sceglierà Ilmarinen come sposo.
Nel complesso il Kalevala resta ricchissimo di spunti di analisi. Se qui ho affrontato
prevalentemente i problemi di composizione dell’opera, altri non meno profondi quesiti
riguardano l’origine dei runi originari, o l’interpretazione storica o allegorica di altri episodi del
Kalevala e dei suoi archetipi. Ma futuri corsi monografici porteranno maggiori approfondimenti
in materia.
Ciò che di questa opera non deve sfuggire, comunque, è la sua peculiarità: composta con
gusto romantico su modelli classici o neoclassici, lascia comunque affiorare le sue matrici
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tipicamente finniche, ovvero sciamaniche. Non c’è dubbio infatti che i personaggi principali, per
come sono presentati nel Kalevala, sono in contatto con il mondo dei morti come era consueto
nei riti di contatto e nelle trance sciamaniche. Molti dei protagonisti parlano con i morti
(Vänämöinen, Kullervo, Lemminkäinen), gli stessi varcano la soglia del regno dei morti in più
occasioni. Vänämöinen e Lemminkäinen si recano a Tuonela, ancora Vänämöinen incontra Aino
su un lago che, in effetti, può anche esser visto come quello specchio del mondo superiore, che
in tanta tradizione europea è la soglia per l’aldilà. Anche il rapporto con la natura è un rapporto
sciamanico: l’uomo parla agli animali e alle piante, ed è in grado di cambiare il corso della natura
perché ne fa parte in tutti i sensi. Tracce del sentimento panico dei protagonisti del Kalevala si
trovano ancora nell’inconscio collettivo di molti finlandesi moderni, in forma di sofferta utopia o
nostalgico ricordo.
6 – Il metro kalevaliano
6.1. Il tetrametro trocaico: ritmo e accentazione
Il Kalevala è composto nel metro standard della tradizione orale finlandese, oggi definito metro
‘kalevaliano’. Il metro kalevaliano, astrofico, è un tetrametro trocaico, ovvero un verso composto
da quattro piedi a loro volta divisi in due sillabe, delle quali è sempre accentata la prima.
Questi i primi versi del poema (trad. Pavolini 1910):
Mieleni minun tekevi,
aivoni ajattelevi
lähteäni laulamahan,
saa’ani sanelemahan
sukuvirttä suoltamahan,
lajivirttä laulamahan.
Sanat suussani sulavat,
puhe’et putoelevat
kielelleni kerkiävät,
hampahilleni hajoovat.
Nella mente il desiderio
mi si sveglia, e nel cervello
l'intenzione di cantare,
di parole pronunziare,
co' miei versi celebrare
la mia patria, la mia gente:
mi si struggon nella bocca,
mi si fondon le parole:
mi si affollan sulla lingua,
si sminuzzano fra i denti.
Questi versi, composti da Lönnrot per un poema che, in quanto unitario, doveva essere
introdotto da un incipit che potesse essere messo a fianco di quelli omerici, mostrano alcune delle
caratteristiche della metrica del Kalevala. Il tetrametro trocaico pone l’accento metrico su sillabe
che normalmente non sarebbero accentate:
Miéle / ní mi / nún te / kévi,
áivo / ní a / játte / lévi
lähte / äni / láula / máhan,
sáá’a / ní sa / néle / máhan
súku / vírttä / suólta / máhan,
láji / vírttä / láula / máhan.
Sánat / súússa / ní su / lávat,
púhe’ / ét pu / tóe / lévat
kíélel / léni / kérki / ävät,
hámpa / hílle / ní ha / jóóvat.
Normalmente infatti l’accento tonico delle parole porrebbe l’accento sulla prima sillaba della
parola, per cui l’accento naturale contrasta con l’accento metrico, creando diverse sfumature
ritmiche. Il primo verso è un esempio di questo contrasto:
25
Miéleni mínun tékevi (accento tonico)
Miélení minún tekévi (accento ‘metrico’)
Altrove, come ad esempio nel verso 9, l’accento metrico corrisponde alla normale pronuncia,
poiché il verso è formato da due parole quadrisillabe nelle quali l’accento primario sulla prima
sillaba è supportato da un accento secondario sulla terza, che quindi corrisponde alla prima
battuta del secondo e del quarto piede del verso:
kíélelléni kérkiävät (accento tonico e ‘metrico’)
6.2. Le figure di suono
Si noti come tutti questi primi versi siano costruiti con varie figure di suono, ovvero
allitterazioni, assonanze e omeoteleuti. Allitterazioni:
Mieleni minun tekevi,
aivoni ajattelevi
lähteäni laulamahan,
saa’ani sanelemahan
sukuvirttä suoltamahan,
lajivirttä laulamahan.
Sanat suussani sulavat,
puhe’et putoelevat
kielelleni kerkiävät,
hampahilleni hajoovat.
Di fatto ogni verso contiene parole che iniziano con una vocale o consonante fissa (ovvero
rispettivamente ‘m’, ‘a’, ‘l’, ‘s’, ‘s’, ‘l’, ‘s’, ‘p’, ‘k’, ‘h’), anche quando le parole che compongono il
verso sono più di due (come nel v. 7). All’allitterazione si sommano assonanze interne, come le
nasali del v. 1 («Mieleni minun tekevi»), la liquida del v. 3 («lähteäni laulamahan»), ecc.
Le assonanze sono sia interne al verso che fra più versi, cfr. ad esempio i versi 3 e 4:
läh - te / ä - ni / láu - la / má - han,
saa’ - a / ní - sa / né - le / má - han
Non solo i due versi rimano, ma all’omeoteleuto si aggiunge l’assonanza della sillaba precedente
(rispettivamente ‘la’ e ‘le’), che rende la seconda metà dei due versi assai simile. Inoltre, comune a
quasi tutti gli altri versi riportati, la rima interna del possessivo enclitico ‘-ni’, che da una parte,
per quanto riguarda i vv. 3 e 4, è rima facile, dal momento che i due versi sono costruiti in modo
grammaticalmente identico, dall’altra però gioca sul fatto che, se nel linguaggio corrente
entrambe le vocali dovrebbero essere atone, secondo l’accentazione metrica la ‘ni’ del v. 4 risulta
accentata, mentre quella del v. 3 no. Solo i vv. 5-6, 8, come già accennato, sono privi di questo
possessivo, per cui tutti i versi risultano legati grammaticalmente e fonicamente, oltre che da un
punto di vista prettamente logico, visto che l’autore rivendica la paternità del poema
evidenziando le proprie intenzioni e il proprio intervento con l’uso abbondante del possessivo di
prima persona singolare. Tornando ai vv. 3-4, si noterà che il v. 4 è legato al 5, oltre che dalla
rima, dalle stesse allitterazioni in ‘s’, mentre il v. 3 è legato al 6 per le allitterazioni in ‘l’ e per
l’identica parola-rima laulamahan, che a sua volta rima con il v. 5 (e quindi i vv. 3-6 hanno tutti la
stessa rima). Tutti i versi risultano così incatenati da figure di suono che creano rimandi interni
continui.
In questi primi dieci versi le rime vere e proprie sono fra i primi due (‘evi’) e i secondi e terzi
due versi (‘mahan’). I versi 7-8-9-10 invece assonanzano (‘avat’ – ‘evat’ – ‘ävat’ – ‘ovat’). In
26
effetti la rima è normalmente poco usata nel Kalevala, così come è poco usata, in genere, in tutta
la poesia orale finlandese. L’allitterazione è invece la regola, e ciò si spiega soprattutto per la
caratteristica della poesia orale finnica di essere largamente mnemonica: l’allitterazione aiuta
infatti a ricordare le parole successive ‘incatenandole’ fonicamente alle precedenti. Le assonanze
in fine di verso, che in certi casi possono anche essere rime, servono da richiami fra versi
differenti.
Brani tratti da altre parti del poema (e quindi meno ‘lönnrottiani’) aiutano a meglio definire
questo elemento (runo VII, primi otto versi):
Vaka vanha Vänämöinen
uipi aavoja syviä;
kulki kuusisna hakona,
petäjäisna pehkiönä
kuusi päiveä kesäistä,
kuusi yötä järkiähän,
eessänsä vesi vetelä,
takanansa taivas selvä.
Il verace Vänämöinen
nuotò pei profondi abissi
sballottato come quercia,
pari ad un ciocco di pino,
per sei giorni dell'estate,
per sei notti tutte intere:
ed avea dinanzi l'acqua
e di dietro il cielo chiaro
Questi versi non sono legati da rima, anche se i 3 e 4 hanno assonanza di ‘ona’ e ‘önä’. In
compenso restano abbondanti le allitterazioni (in quasi tutti i versi), al solito sommate ad
assonanze interne (es. le ‘k’ del v. 3). Quando in un verso non si trova allitterazione, la ragione è
spesso una variatio che nasconde allitterazioni con altri versi: le parole del v. 6 non allitterano fra
loro, ma la prima parola, kuusi, era già presente (per anafora) al v. 5, mentre al verso 2, se già la
‘u’ del dittongo può esser considerata semiconsonante, e quindi formante una sorta di
allitterazione con le ‘v’ del v. 1, altre ‘v’ interne alle parole fanno assonanza fra loro e con il verso
1, facendo sì che, nel complesso, il v. 2 risulti la prosecuzione ‘sonora’ del v. 1, che d’altronde è il
verso più formulare per eccellenza del poema e, quindi, non latore di novità semantiche o
narrative se non in congiunzione con il verso successivo.
6.3. Il parallelismo
A questo punto è necessario aggiungere che le sporadiche rime e le assonanze di fine verso,
sempre baciate, hanno in realtà una ragione compositiva: esse riflettono costruzioni grammaticali
identiche, e quindi suffissi identici, che a loro volta denunciano la struttura, tipica della poesia
orale finlandese, del parallelismo.
In poesia finlandese il parallelismo consiste nella ripetizione di un concetto con parole
diverse ma equivalenti, per struttura ed estensione, nel verso o nel brano successivo. Accade
quindi spesso nel Kalevala che un concetto sia ripetuto in modo simile, oppure che che a un
concetto ne segua uno complementare o speculare. I versi del runo VII già citati possono fornire
un valido esempio: mentre i primi due versi non formano parallelismo perché «Vaka vanha
Vänämöinen» è un verso formulare (Vaka vanha, ovvero ‘vecchio intrepido’, che Pavolini traduce
con ‘verace’, è un epiteto costante in tutto il poema; data l’estensione del doppio epiteto e del
nome dell’eroe il verso si ripete così identico in numerosi e diversi casi), e quindi deve essere
accoppiato a versi che contengano il predicato e specifichino l’azione, i versi 3 e 4 specificano
con parole diverse che il vecchio runoja restò in acqua come un pezzo di legno (di quercia o di
pino, a seconda del verso); i versi 5 e 6 specificano la durata della permanenza (sei giorni e sei
notti), mentre i versi 7 e 8 descrivono la visuale di Vänämöinen che nuota (davanti il mare, dietro
il cielo). Normalmente, eliminando il secondo verso o la seconda parte del parallelismo
l’informazione perduta non è mai di importanza tale da compromettere la comprensione del
testo. Si tratta spesso di un’integrazione al significato del verso precedente, o di una variatio
27
dell’informazione (che può talvolta contrastare con l’originale, ma la mancanza di coerenza in
alcune di queste informazioni ripetute è di per sé parte del meccanismo del parallelismo).
D’altronde l’uso del parallelismo, funzionale alla mnemotecnica e, si ipotizza, al rito di
recitazione dei runi, spingeva i runojat (e quindi Lönnrot) ad aggiungere alle proprie descrizioni
elementi che, se non strettamente necessari, colorano gli eventi e i paesaggi descritti di
osservazioni naturalistiche e ‘sensistiche’ che altrimenti sarebbero tralasciate (per quanto, specie
in traduzioni non eccelse, certe descrizioni ripetute per parallelismo suonano inevitabilmente
ridondanti).
Si noti infine che il parallelismo ha anche riscontri macrostrutturali: ad esempio al termine
del runo VIII, quando Vänämöinen cerca un rimedio alla sua ferita, trovando un villaggio con tre
strade, tre volte imbocca una strada, tre volte entra in una casa e, con identiche parole, chiede
soccorso. La ricerca di Vänämöinen assomiglia in questo caso a certe filastrocche presenti nella
Kanteletar, dove un concetto viene ripetuto tante volte in modo ossessivo, fino a una soluzione
finale dove qualcuno o qualcosa rompe la circolarità degli eventi (cfr. ad esempio la nota poesia
tradotta come La morte viene sciando22).
7 – La Kanteletar
7.1. Genesi della Kanteletar
A partire dagli studi per la sua dissertazione De Vänämöine, Lönnrot ebbe modo di recarsi sempre
più spesso nella vastità del territorio finlandese, a caccia dei miti e dei componimenti epici da
utilizzare per quello che sarebbe poi divenuto il Vecchio Kalevala (1835). Durante i suoi viaggi,
spesso organizzati per lunghi periodi, e rigorosamente a piedi (Lönnrot era in grado di coprire
ampissime distanze in un solo giorno di camminate), alla raccolta di messe epica si aggiungeva la
collezione di sempre maggiori testimonianze liriche, che in parte furono incluse nel Kalevala,
specialmente nel Nuovo Kalevala (1849), ma che nella stragrande maggioranza non potevano
essere assimilate a quella che inizialmente Lönnrot aveva concepito come la propria opera
maggiore. Già nel 1829 Lönnrot aveva pubblicato quattro fascicoli concernenti la poesia lirica,
intitolati collettivamente Kantele taikka Suomen kansan sekä Vanhoja että Nykyisempiä Runoja ja
Lauluja, ma solo nel 1841 prese forma la raccolta conosciuta come Kanteletar, taikka Suomen
kansan vanhoja lauluja ja virsiä (“Kanteletar, ossia i vecchi canti e le canzoni del popolo finnico”).
Il titolo principale dell’opera, Kanteletar, che nella sue terza edizione definitiva (1887) conterrà
652 poesie per un totale di 22.201 versi, è stato variamente tradotto in italiano come ‘figlia del
canto’, o ‘silfide del kantele’: in effetti il suffisso –tar indica uno spirito femminile ‘figlia di -’.
Lönnrot infatti intendeva sottolineare, con questo neologismo, la prevalenza femminile nella
raccolta lirica, e al contempo nobilitarla secondo un gusto sicuramente romantico con il rimando
alla figura classica della musa ispiratrice.
Come già a proposito del Kalevala, anche per quanto riguarda la Kanteletar il progedimento di
ricomposizione dell’autore ottocentesco allontana le poesie della raccolta dai loro originali
archetipi popolari, che Lönnrot raccolse, adattò al finlandese ‘moderno’ (e quindi talvolta
tradusse dal careliano), confrontò fra loro e talvolta fuse, formando così unità poetiche in certi
casi non rintracciabili in nessun canto realmente popolare. Anche nel caso della Kanteletar si
dovrà quindi parlare di una raccolta lönnrotiana non ‘di’ poesia popolare ma ‘basata su’ poesia
popolare, quando non addirittura ‘ispirata a’ poesia popolare.
In realtà il procedimento di ‘perfezionamento’ applicato da Lönnrot appare nel caso della
Kanteletar assai meno pervasivo che nel Kalevala, dove lo stesso poema, nella sua mole e struttura
epica appariva per se come un prodotto della cultura accademica ottocentesca. Le liriche della
Kanteletar appaiono talvolta come rielaborazioni legittime, e ad essi può applicarsi assai meglio
22
In Kanteletar, pp. 230-233
28
che al Kalevala la rivendicazione dell’autore, che sottolineava come nessun runoja o laulaja
popolare canta un episodio o una lirica allo stesso modo: in occasioni diverse, a seconda del
pubblico, i grandi cantori popolari finlandesi adattavano e rielaboravano i versi appresi a
memoria, saldando assieme i grandi nuclei topici in modo sempre originale. Non accadeva infatti
che lo stesso brano fosse narrato in modo identico o con versi identici da laulaja diversi. La
libertà creativa dei poeti popolari era alla base del fascino delle loro esibizioni. Lönnrot, che già
per il Kalevala si era ritagliato il ruolo di novello, e probabilmente ultimo dei laulajat, veste
consapevolmente gli stessi panni anche nella Kanteletar: non trascrittore, quindi, ma a tutti gli
effetti interprete della tradizione orale, che egli mette per iscritto per primo (almeno in modo
così esteso), ma dall’interno della cultura popolare, in forza della quantità di versi che egli aveva
udito, certo superiore a quella di qualsiasi altro singolo cantore popolare, e in parte memorizzato.
Inoltre, a differenza che nel Kalevala, un certo numero di poesie della raccolta lirica appaiono più
limate da un punto di vista linguistico che veramente riscritte.
Tuttavia, come già si disse a proposito del’opera epica di Lönnrot, non c’è dubbio che lo
spirito del poeta sia fondamentalmente ottocentesco, e i suoi orizzonti culturali rimandino alle
raccolte e alle teorie dello Herder, e alla raccolta dei canti popolari serbi curata da Vuk Karadzic
nel 1814-1815, che Lönnrot molto apprezzava. Questa la ragione che spinge molti trattatisti
moderni della letteratura popolare finlandese (es. Laitinen) ad aprire i loro manuali e le loro
antologie con canti, sia epici che lirici, raccolti dalla viva voce dei cantori, anche successivamente
alla pubblicazione delle opere di Lönnrot, e poi, nell’ambito della trattazione della letteratura
ottocentesca, a riproporre gli stessi canti, in realtà fra loro formalmente differenti, che si trovano
nella Kanteletar (e nel Kalevala) di Lönnrot.
Un esempio eccellente di questa tendenza è la nota poesia popolare “Jos mun tuttuni tulisi”,
che Frans Mikael Franzén fece conoscere alla fine del Settecento a Giuseppe Acerbi, che la
pubblicò in traduzione nel suo Travels through Sweden, Finland and Lapland to the North Cape
(1802)23. La stessa poesia fu conosciuta da Goete, che la tradusse in tedesco con il nome di
Finnisches Lied. La versione offerta dalla Kanteletar, II 43, può esser letta a p. 129 dell’edizione
italiana curata da Renzo Porceddu24, che d’ora in avanti sarà la nostra versione di riferimento.
Già il primo verso, Kun mun kultani tulisi, rivela la differente fonte del Lönnrot, se la forma non
fu piuttosto sua rielaborazione.
7.3. Struttura e tematiche
La Kanteletar è divisa in tre libri: nel primo sono raccolti i canti comuni a uomini e donne (divisi
in Canti comuni; Canti nuziali; Canti pastorali; Canti dell’infanzia), nel secondo i canti sono divisi per
età (Canti di ragazze; Canti di donna; Canti di ragazzi; Canti di uomini), nel terzo libro sono raccolti
invece canti e ballate di più ampio respiro, che in certi casi ricordano l’epica (Canti delle credenze
antiche; Canti storici; Canti leggendari).
La ‘autorialità’ della Kanteletar si palesa fin dalla poesia incipitaria, Eriskummainen kantele
(‘Strano strumento il kantele’, p. 29):
È propriamente bugiardo,
parla invero a vanvera,
chi sostiene che il suono,
chi crede che il kantele
fu fabbricato da Vänämöinen,
disegnato da Dio stesso,
con lische di grosso luccio,
23
24
Giuseppe Acerbi, Travels through Sweden, Finland and Lapland to the North Cape, J. Mawman, London 1802.
Kanteletar, cit.
29
con ossi di cane di mare.
Il suono è fatto di sofferenze,
è modellato dal dolore
…
Il rimando al canto XL del Kalevala è evidente (secondo la computazione dell’edizione del 1849).
La rivendicazione di una ‘umanità’ della poesia, creata dal dolore, corrisponde alla concezione
lönnrotiana della poesia popolare finlandese come rappresentativa di un’anima, quella finnica,
fondamentalmente triste. La poesia marca anche uno stacco della lirica dal runo di matrice
sciamanica, e la avvicina a una vita quotidiana più attuale nei villaggi di una Finlandia ancora
largamente legata alle proprie tradizioni agricole e sociali. Il fatto che la poesia I 1 possa esser
propriamente considerata come opera di Lönnrot (visto che non ne esistono archetipi specifici)
mostra, o meglio dimostra senza dubbio che la costruzione della Kanteletar risentì fortemente
dell’interpretazione che l’autore aveva dato alla tradizione orale del proprio popolo e al ruolo
culturale della propria opera.
Tutte le poesie successive approfondiscono il solco fra questa lirica spontanea, e quindi
‘vera’, nata dall’esperienze del dolore (ma anche della gioia), e la poesia dei runojat mitici e
irraggiungibili le cui note appaiono tanto meno attuali. Cfr. I 2:
Mi han considerata strana,
mi hanno spinta brutalmente
per i miei canti; perché bimba,
piccina, oso canticchiare,
…
E cfr. I 3:
…
ne riderebbero le donne,
si maraviglierebbe la gente
dei miei canti, io bimbetta,
del mio cinguettio, io piccina,
se io, bimba, canto troppo,
canterello, pazzerella.
…
Un tema non dissimile apre il libro II. La poesia incipitaria, Kuluu ikä laulamattaki (‘Il tempo
passa tuttavia’, p. 113), tratta ancora dei rimproveri mossi a chi osa cantare, ma introduce
l’elemento dello scorrere inesorabile del tempo della vita:
…
Non dispiacerti madre mia,
non accorarti genitrice,
per il passar dell’età dell’oro,
l’allontanarsi del tempo bello,
fra i canti di me bambina,
i ritornelli di me piccina!
Il tempo passa tuttavia,
s’allontana l’età felice,
pur se al canto non mi dedico,
non mi metto a dire versi;
…
30
Interessante anche la traduzione di Porceddu (che in genere modernizza in modo assolutamente
eccellente i componimenti della sua selezione), che fin dal titolo richiama la Canzona di Bacco e
Arianna di Lorenzo il Magnifico, e il celeberrimo ritornello («Quant’è bella giovinezza / che si
fugge tuttavia, / chi vuol esser lieto sia, / del doman non v’è certezza») generando un
accostamento suggestivo e originale.
Alcune poesie presenti nella Kantelatar appaiono derivate da matrice simile a quella di alcuni
runi ‘incastrati’ nel Kalevala. Ne sono un esempio eccellente le liriche ispirate al matrimonio, che
nel Kalevala occupano i canti XXII-XXIV, e nella Kanteletar la sezione dei Canti nuziali. Notevoli
appaiono le varie “Raccomandazioni della donna di fiducia della sposa” al futuro marito. Un
esempio è la poesia I 134 (pp. 79-80):
Garzoncello, giovincello,
sentimi ragazzo bello,
non trattare con durezza,
la fanciulla non maltrattare,
non agitare la sferza,
non schioccare la frusta.
…
Non castigarla sul prato,
non picchiarla in posto aperto;
giungerebbe il rumore al villaggio,
la gente sentirebbe il litigio
…
E poi non colpirla agli occhi,
e non batterla sulle orecchie;
…
Queste indicazioni topiche e rituali (cfr. anche il runo XXIV del Kalevala) valgono più di un
trattato di antropologia per spiegare il rapporto uomo-donna e le condizioni che le spose
vivevano nelle nuove case.
Il tema del ‘rapimento’, reale o rituale, è d’altronde ben presente anche nel Kalevala, dove
spesso lo sposo (Lemminkäinen con Kyllikki, Ilmarinen con la vergine di Pohjola) si trova a
portare la novella sposa in luoghi assai lontani da quelli nativi della sposa. La situazione era
comune nella Finlandia rurale premoderna e protomoderna, nella quale i centri abitati
raggruppavano solo una piccola percentuale della popolazione, che per il resto abitava territori
selvaggi nei quali piccoli villaggi erano separati da spazi amplissimi di foreste. Il rituale cambio di
dimora della sposa presente in numerose tradizioni europee, ad esempio in quella fiorentina
antica, nella quale la sposa era accompagnata mediante una processione delle famiglie e delle
familiae dei congiunti dalla casa del padre a quella dello sposo, a simboleggiare la ‘solidarietà
sociale’ nel momento dell’inizio di una nuova vita in una nuova famiglia, si complica, nel caso
finlandese, dall’effettiva insesistenza di un tessuto urbano o di un sistema di mezzi di
comunicazione che consentissero alla sposa di rimanere legata alla vecchia famiglia. L’ingresso
della sposa nella casa dello sposo doveva quindi essere assai traumatico, come testimoniano
molti canti della Kanteletar, ad esempio il II 157, p. 158:
Ero a casa qual un fiore,
nel cortile paterno ero la gioia.
…
Venni a vivere in casa altrui,
nel vicinato, al di là del campo.
Il suocero mi chiama traino,
la suocera, ramo marcio,
il cognato mi chiama soglia,
31
la cognata, donna cattiva.
…
Oppure il II 158, p. 159:
Avevan detto che c’erano,
quando la fanciulla si maritò,
sei casette di legno d’abete,
un numero doppio di camere,
…
Giunse la fanciulla nella casa,
ebbe solo una stretta di mano.
Sconnessa è la casetta di legno,
le camere sono nel ginepreto,
la radura è piena di disgrazie,
il bosco è pieno di disamore,
…
In questi canti è interessante il parallelo (che si somma al consueto parallelismo) fra le promesse
meravigliose, e la realtà squallida, contrapposta punto per punto a quella prima sognata.
L’addio alla casa dei genitori si accompagnava alla perdita di tutte le precedenti relazioni
sociali, e l’ingresso nella nuova famiglia segnava spesso l’inizio di un conflitto permanente fra la
nuora e la suocera, figura che nell’immaginario lirico finlandese è spesso assai ostile alla nuova
venuta. Cfr. ad es. II 140, p. 154:
La fanciulla in casa del padre
è come un re nella reggia,
…
La nuora in casa maritale
è come un carcerato in Russia,
…
Pertanto io non ho voglia
d’esser presa come nuora,
d’esser condotta come serva;
non intendo diventare
serva eterna del capofamiglia,
serva a tempo della suocera,
…
Cfr. anche la poesia II 166, p. 162:
Io ho una suocera severa,
ancor più severo il suocero,
meglio di tutti è lo sposo:
dopo mangiato, giace supino,
sto al suo fianco: mi scalcia via,
mi scaccia da sotto le coperte,
con minacce mi getta dal letto;
…
Come si svolgesse la vita della nuora nella nuova casa è meravigliosamente descritto da altri
canti, ad esempio quelli riportati nei canti XXII e XXIII del Kalevala che descrivono in dettaglio
una vita di servitù in modo esasperato allo scopo rituale di preparare la sposa alla nuova vita.
32
La sposa era la figura alla quale erano delegati i lavori domestici, anche quelli pesanti, e che al
contempo subiva il disprezzo di una famiglia che spesso le rimaneva sostanzialmente estranea.
Una della più celebri poesie della Kanteletar, Hiihtäjä surma, appartenente al libro III, ben descrive
il disprezzo sociale che circondava la ‘nuova venuta’ nella casa di una famiglia contadina. La
poesia, III 60, pp. 230 sgg., descrive la ponderata scelta della Morte, che arriva sugli sci alla casa
dei contadini. Dopo aver scartato tutti gli altri abitanti della casa, a ognuno dei quali è attribuita
una qualche utilità sociale, la Morte è portata a selezionare proprio la vita della nuora, che pur
lavorando da mattina a sera per tutta la famiglia appare come la ‘cosa’ più facilmente sostituibile
di tutta la casa. La nuova nuora, che nel finale sostituisce sostitusce quella morta, non si prenderà
più cura dei bambini della prima moglie del marito.
Sciava la morte sulla palude,
il malanno sul sentiero.
Così disse la triste morte,
…
‘Chi della casa porto via?
Forse il vecchio della casa.
…
No, il vecchio della casa no!’
…
Così disse la triste morte,
…
‘Chi della casa porto via?
Forse porto via la nuora.
Se mi porto via la nuora
certo la casa non perisce.
Una moglie va al marito
come giumenta da comprare;
si prenderà un’altra sposa
…
che terrà il bimbo in grembo
…’
Si prese con sé la nuora,
portò via la moglie del figlio.
Sposò l’uomo un’altra donna,
…
Ma non fu madre né balia
per i poveri bambini,
…
Furon lasciati a piangere,
i bimbi, a versar lacrime.
8 – La Finlandia di Alessandro II
8.1. La situazione in Russia
Nel 1853 la Russia attaccò l’Impero Ottomano, in difesa del quale si schierarono Francia e Gran
Bretagna. Scoppiò così la guerra di Crimea, che terminò nel 1856 con la sconfitta della Russia.
A quel punto Nicola I era già morto. Gli era succeduto il figlio Alessandro II (1855-1881), che
divenne famoso come lo Zar riformatore, dal momento che, educato dalla nonna Caterina II,
avviò e decretò una serie di radicali riforme che modificarono notevolmente lo stato politico e
sociale dell’Impero russo. La riforma più nota fu certamente l’abolizione della servitù della gleba
(1861), che risolse il problema secolare e oramai insostenibile di milioni di servi, di fatto schiavi,
33
ridotti in uno stato di assoluta povertà. In onore della legge di liberazione dei servi e del sovrano
fu eretta nella piazza del Senato di Helsinki una statua commemorativa, ancora presente.
La ‘liberalità’ dell’Imperatore si rivolse anche verso gli stati sottomessi, e nel 1862 la Polonia
riottenne molti dei privilegi aboliti da Nicola I. Purtroppo, la rivolta polacca dell’anno
successivo, se da una parte portò a un ritorno alla situazione precedente (e quindi una nuova
‘russificazione’), dall’altra gettò ombre di sospetto su tutti gli altri stati che andavano negoziando
la propria autonomia amministrativa e legislativa, in primis la Finlandia, nella quale andava
risvegliandosi una rinnovata coscienza istituzionale, che d’altronde traeva alimento dalle parole
che Alessandro I aveva pronunciato al termine della Dieta di Porvoo.
8.2. La situazione in Finlandia
A seguito della guerra di Crimea erano infatti state introdotte in Finlandia numerose riforme
della legislazione sugli scambi economici e commerciali per rafforzare i legami con la Russia, che
produssero «un rapido sviluppo sia dell’industria che del commercio estero finlandese; […] il
volume globale dello scambio nel commercio estero crebbe del 660 per cento tra il quinquennio
1861-65 e il quinquennio 1906-10»25. La progressiva indipendenza economica si concretizzò nella
creazione di un sistema monetario separato da quello russo, e quindi nella nascita del Marco
finlandese (1865).
Fondamentale fu anche il sostegno della causa della lingua finlandese contro il partito
filosvedese o dei ‘senza sangue’, precursore del partito liberale finlandese, che chiedeva la
neutralità militare e la conseguente smilitarizzazione della Finlandia e ri riferiva alla Russia come
a un territorio straniero. Il movimento dei lealisti, rappresentato, assai significativamente, da
Snellman e Topelius, vedevano la migliore scelta politica nella permanenza della Finlandia
nell’orbita russa (una Russia, si noti bene, non liberale, ma autocratica). Di qui gli ulteriori
incentivi all’uso della lingua finlandese, che culminarono nel decreto di Parola (1863) che
stabiliva che nell’arco di un ventennio il finlandese avrebbe dovuto avere importanza pari allo
svedese a tutti i livelli amministrativi e burocratici. Lo Zar in persona si recò in visita a Parola al
momento del decreto, a sancire l’importanza dell’evento. La fennofilia che aveva animato i
precedenti incentivi russi si trasformò in un vero e proprio movimento politico definito
‘fennomania’, a capo del quale si era posto Snellman, che fu nominato senatore e responsabile
della finanze.
Non v’è dubbio che questi importanti mutamenti dell’assetto economico e sociale finlandese,
se realizzati con l’intenzione di incrementare la coesione fra Russia e Finlandia rafforzando la
lealtà del Granducato, nondimeno finirono per allontanare i sudditi finlandesi da quelli russi, e
quindi dall’Impero. A lungo termine infatti non fu più possibile riassorbire l’autonomia
finlandese all’interno di un Impero che si volle poi riformare in senso amministrativamente
moderno. La nuova nazione, che anche da parte russa fu creata con entusiasmo, non tollerò il
ritorno a uno status di provincia, anche se privilegiata, come avrebbero voluto Alessandro III e
Nicola II.
Fu fondamentale, per la definizione del nuovo sentimento finlandese, la nuova Dieta degli
Stati (1863), a margine della quale furono create tutta una serie di teorie politiche e culturali, a
giustificazione della posizione da tenere verso gli stati europei nonché la Russia, e che vide
intensificarsi il contrasto fra fennomani e filo-svedesi.
Lo status relativamente privilegiato concesso alla Finlandia riguardava anche il servizio
militare, che non si applicava in Finlandia come nel resto dell’Impero, malgrado la
riorganizzazione del 1874. Anche dopo la svolta reazionaria della politica di Alessandro II,
seguita a un fallito attentato alla sua vita (1866), fra gli ultimi atti significativi del suo impero vi fu
una nuova legislazione in campo economico, e la relativa liberalizzazione del commercio
25
Jussila-Hentilä-Nevakivi, pp. 48-49.
34
finlandese (1879). Ma nel 1881 il sovrano riformatore fu assassinato a opera di un gruppo
terroristico. Con Alessandro II terminò non solo il periodo delle riforme, ma anche la lunga
‘luna di miele’ che aveva tenuto il Granducato di Finlandia legato alla Russia a partire dal 1809.
8.3. Letteratura
Mentre in Russia gli anni di Alessandro II videro la pubblicazione di alcuni dei maggiori
capolavori della letteratura di tutti i tempi, in particolare Delitto e Castigo di Dostoevskij (1866),
Guerra e Pace di Tolstoj (1869), e de I fratelli Karamazov di Dostoevskij (1879-1880), in Finlandia
l’interesse suscitato dal Kalevala diede vita una nuova nuova generazione di poeti, cosiddetti postromantici, che potevano contare su una lingua poetica oramai già affermata, anche se
letterariamente giovanissima.
Interessantissima l’esperienza del critico August Ahlquist, meglio noto in poesia con il
nome di A. Oksanen (1826-1889). Grande esperto di poesia europea, sostenitore di un purismo
linguistico e stilistico che lo portò ad attaccare frontalmente l’opera di Aleksis Kivi, Oksanen è
un accademico che già confronta la musa finlandese con i più classici dei poeti lirici europei. Nel
sonetto tradotto da Bosley a p. 135 con il titolo di “Finnish Sonnet”, Oksanen scrive:
Old Vänämöinen could not have believed
that one among our singers now responds
to the great Sonnet, and within its bonds
sings what by heroes would be well received.
Our cuckoos sit upon no almond tree,
no Lauras meet us on the way to mass;
no wonder then if in the North’s morass
the sonnet cannot echo Tuscany.
Yet how melodiously would it ring;
the to his burning hopes the Finn would bring
new fuel, a new source of energy
if by just putting on these singing-fetters
his language, reckones cheap by would-be betters,
broke out of other bonds and then were free!
Il ‘Sonetto finlandese’ segna il confronto fra la nuova generazione di poeti e i poeti di una delle
più importanti tradizioni liriche europee, simboleggiata dalle muse e dal paesaggio mentale,
naturale e linguistico di Petrarca e Dante (la ‘Laura’ del verso 6 pare richiamare anche la Beatrice
della Vita Nuova; se poi il paesaggio petrarchesco fosse effettivamente quello toscano, o non
piuttosto provenzale, è un altro discorso). Lo stesso metro del componimento, non kalevaliano,
ma classico, implica l’esperimento di un genere di poesia nuovo, per la nuova lingua.
8.4. Julius Krohn (1835-1888)
Lo studioso Julius Krohn scrisse poesie con lo pseudonimo di Suonio. L’antologia di Bosley
riporta la poesia “In Praise of Idleness”26, curiosa pariodia semiseria del comportamento serioso
e ‘diligente’ tipico del popolo finlandese, in favore di un’interpretazione dell’otium oraziano, qui
invero assai vicino al vero e proprio far niente (diciamo pure ‘all’italiana’). Anche per Krohn
26
Bosley, p. 150.
35
l’orizzonte culturale di riferimento è quello classico ed europeo, riserva di materiale da
rielaborare e riutilizzare in lingua finlandese anche in modo umoristico, come in questo caso.
Anche Krohn fu un critico importante di letteratura finlandese, e contribuì alla ‘causa’ della
lingua in molti modi (malgrado la famiglia e la sua lingua madre tedesca). A partire dal 1885
pubblicò la prima grande storia della letteratura finlandese, “Suomalaisen kirjallissuden vaiheet”
(“Le fasi della letteratura finlandese”), progettata in tre volumi, dei quali in vita poté pubblicare
solo il primo, dato che morì annegato nel 1888. I successivi due volumi furono pubblicati
successivamente a cura del figlio, Kaarle Krohn. Il volume uscito ebbe subito grandissima
rilevanza, e, interamente dedicato al Kalevala, inaugurò la critica estetica del poema di Lönnrot,
fino ad allora non valutato come opera di artista ma come mera poesia popolare e, in quanto
tale, non sottoponibile alle consuete categorie di arte raffinata, quanto piuttosto alle analisi
dell’antropologia e della comparatistica.
Quel che è particolarmente interessante nel progetto di Krohn, e che risulterà tanto più
evidente negli altri volumi pubblicati, è che la letteratura in lingua svedese vi è quasi
completamente ignorata. Il fennofilo di origine tedesca finiva così per affermare che solo la
tradizione in lingua finlandese poteva esser chiamata propriamente finlandese: persino Runeberg
vi è appena menzionato, e a Snellman si dava spazio di politico della cultura, e non di letterato.
8.5. Paavo Cajander (1846-1913)
In ultimo si veda la poesia tradotta come “The Queen Delivered” di Paavo Cajander, lettore
universitario di finlandese, che fu grande traduttore in finlandese di Runeberg, Topelius e
Shakespeare. La poesia “The Queen Delivered” racconta in modo metaforico le vicende della
cultura finlandese, che dopo molte vicissitudini torna a trionfare sul trono della gloria fra i
popoli. Cajander fu infatti sostenitore dello spirito nazionalistico alla base di molta poesia
contemporanea in lingua finlandese. D’altronde l’importanza, anche in chiave nazionalistica, di
traduzioni poetiche di classici è tanto più significativa quando la lingua nella quale si traduce
debba ancora essere forgiata come strumento poetico adeguato. Non c’è dubbio che da questo
punto di vista Cajander contribuì al raffinamento della lingua finlandese in modo notevole, e
certe sue traduzioni restano dei classici.
L’opera più celebre del periodo nacque tuttavia al di fuori degli ambienti accademici, e fu anzi
attaccata e osteggiata da molti esponenti della cultura ‘alta’: si tratta del romanzo I Sette fratelli di
Aleksis Kivi.
9 – Aleksis Kivi e i Sette fratelli
9.1. Aleksis Kivi (Alexis Stenvall, 1834-1872)
Aleksis Kivi, figlio di un sarto, fu condotto a una morte precose da una malattia di nervi che
fu sicuramente aiutata da condizioni di vita pessime, dai debiti e dai terribili attacchi che tanti
critici, fra i quali si distinse per veemenza e costanza August Ahlquist, portarono alle sue opere.
Tuttavia, come fa notare Pavolini nella sua edizione italiana (p. 10), non traspare nelle sue opere
alcuna traccia delle sue sofferenze interiori. La sua prima opera fu la tragedia Kullervo, scritta
nel 1864. Nel 1870 terminava la scrittura di Seitsemän veljestä (‘I sette fratelli’), che però fu
pubblicato nella sua interezza solo dopo la morte dell’autore, motivo di grande sconforto per un
uomo oramai profondamente malato. Il romanzo, pubblicato solo grazie all’energico intervento
del critico Fredrik Cygnaeus, divenne subito un classico della letteratura finlandese, e un modello
per tanta futura prosa non solo in Finlandia. A favore dell’arte di Kivi si erano espressi,
36
d’altronde, anche Topelius e Snellman, che contribuirono alla diffusione del nuovo classico della
letteratura nazionale.
9.2. I Sette Fratelli: trama
I Sette Fratelli (Seitsemän veljestä) è ambientato all’inizio dell’Ottocento, in un villaggio situato in
una natura finlandese in parte idealizzata, in parte descritta con efficace realismo. I sette fratelli
protagonisti della storia, Juhani, Tuomas, Aapo, Simeoni, Timo, Lauri, Eero, (che nella versione
italiana sono italianizzati rispettivamente in Gianni, Maso, Abramo, Simeone, Timoteo, Renzo e
Rico), vivono e lavorano senza grandi risultati nella fattoria del padre, a Jukola. Il sagrestano del
villaggio cerca di insegnar loro con le buone, e soprattutto con le cattive, a leggere e scrivere.
Così i sette fratelli, umiliati da un trattamento che essi reputano ingiusto, quasi terrorizzati
all’idea di dover nuovamente provare a leggere, e sbeffeggiati dai ragazzi dei poderi vicini, con i
quali arrivano a scontrarsi in più modi, decidono di seguire l’idea romantica di Lauri, e fuggire
dalla civiltà per ritirarsi nel bosco, e ricostruire il rifugio che si trova a Impivaara, un tempo
occupato dal padre, per vivere liberi, in pace e lontano dalla civiltà.
L’impresa si rivelerà più ardua del previsto, anche perché fra i fratelli nascono frequenti
dissidi su ogni sorta di questione, che spesso portano a conseguenze impreviste, quali il rogo e la
distruzione del podere appena ricostruito, con conseguente fuga a piedi verso il villaggio lontano,
senza adeguati indumenti, nel rigidissimo inverno finlandese, con branchi di lupi affamati alle
calcagna.
Dopo il ritorno a Impivaara altre avventure aspettano i fratelli. Dopo aver udito storie di
cacce fortunate, decidono di mettersi sulle tracce di un orso che fa strage di mucche e tori in una
vallata non lontana da Impivaara. I fratelli riescono a rintracciare l’orso e ad abbattarlo,
sennonché il loro cane, abbaiando a una mandria di tori, ne provoca l’ira. Il cane si rifugia così
dai fratelli, che a loro volta si trovano a fuggire di fronte a quaranta tori infuriati in corsa verso di
loro. Rifugiatisi su un masso, senza niente da mangiare né da bere salvo l’acquavite, che ridurrà
Lauri all’ubriachezza rendendolo aggressivo, i fratelli chiamano aiuto per giorni, finché non
riescono a metter le mani sulle munizioni dei fucili facendo strage dei tori. I sette possono quindi
tornare a Impivaara carichi di carne da macellare, nonché di un cospicuo debito nei confronti
dell’ex proprietario delle bestie.
Da questo momento i fratelli sono costretti a elaborare piani di bonifica dei territori
circostanti la fattoria, dal momento che i fratelli si fanno un punto di onore di ripagare tutto il
debito entro i limiti pattuiti. La tremenda natura finlandese, con le sue improvvise gelate
primaverili, si mette contro i propositi dei sette, distruggendo i raccolti per numerosi anni
consecutivi. Tuttavia, grazie anche alla caparbia ostinazione dei sette, il podere di Impivaara
inizia a dare i suoi frutti, e i fratelli ad avere di che vivere, ripagare il debito e acquistare beni da
Jukola.
Non senza ricadute, però, dato che Simeoni, preso dal vizio dell’alcool, sperpera molti dei
soldi guadagnati e provoca nuovi conflitti nella famiglia. Ma poco alla volta la disciplina che i
fratelli sono riusciti a imporsi, seppur fra tanti contrattempi, permette loro di superare tutte le
difficoltà, e, ampliata ulteriormente la fattoria di Impivaara e i propri possedimenti, si
reimpossessano del loro vecchio podere al villaggio, che era stato affidato in usufrutto, e
addirittura imparano a leggere e scrivere. Dieci anni dopo la partenza tornano infine al villaggio
come proprietari di numerose fattorie, circondati di grande considerazione anche da parte di
coloro che un tempo li ritenevano dei buoni a nulla. Una grande festa nel podere del villaggio
riconcilia infine i fratelli con i loro virulenti vicini, e inaugura la loro nuova vita di membri
operosi del consorzio civile.
Il libro termina con la breve descrizione degli anni successivi al ritorno dei fratelli alla civiltà,
e delle rispettive famiglie (tutti i fratelli si sposano tranne Simeoni, che preferisce vivere assieme
37
alla famiglia di Juhani), e di una vita che, dopo tanto lavoro, appare avviata alla tranquillità. E
tuttavia, nelle pagine finali, nelle visioni di Anna, moglie di Eero, pare incombere un cupo
presagio di morte.
9.3. Analisi dei Sette Fratelli
Il capovaloro di Aleksis Kivi, che non poté esser pubblicato per intero che dopo la morte
dell’autore, rivela nella sua struttura, nella narrazione delle vicende e nello stile delle descrizioni e
dei dialoghi influenze chiaramente europee, e in particolare teatrali, e al contempo aspetti
tipicamente finlandesi.
Il susseguirsi di avventure e disavventure (più o meno cercate e volute) ricordano le peripezie
degli eroi dei romanzi picareschi di tradizione spagnola, e in particolare di Cervantes. Anche il
processo di ‘catarsi’ sociale pare rimandare a tale tradizione, anche se, paradossalmente, la
riuscita sociale dei fratelli è propiziata dall’originario rifiuto delle regole e costrizioni della società
stessa, e la fuga nella natura. Rispetto al romanzo picaresco, inoltre, l’avventura non è legata a un
viaggio più o meno senza meta, dato che tutte le lotte contro gli elementi della natura si
svolgono a partire dalla fattoria e successivamente dai poderi di Impivaara. Il motore degli eventi
picareschi non è la scoperta di nuove terre o nuove imprese o avventure, quanto piuttosto i
frequenti dissidi fra i fratelli che si caricano di aspetti a volte caricaturali, altre realistici. Gli
‘avversari’ dei fratelli non sono cavalieri o nemici stranieri, ma gli eventi naturali, oppure i vizi
naturali dell’uomo, quali una certa mancanza di disciplina e di coerenza, e una certa iniziale
pigrizia, e, successivamente (tratto molto finlandese) l’abuso di alcool, e tutti i comportamenti
che ne derivano.
I toni epici di alcune descrizioni (la fuga dai lupi dopo il rogo della fattoria di Impivaara, la
fuga dai tori, ecc.) rimandano a certo romanzo di tradizione ottocentesca, anche se il romanzo
‘moderno’, ovvero romantico, non sembra essere mai il vero punto di riferimento di Kivi.
Piuttosto, per certi elementi di realismo nelle descrizioni dei comportamenti umani e degli eventi
naturali, i Sette Fratelli è considerato un precursore del romanzo realista finlandese, che a partire
dalla fine dell’Ottocento, influenzato anche dalle letterature francese, norvegese e russa, diverrà il
genere dominante della letteratura della Finlandia, soprattutto in lingua finlandese. Per questi
romanzieri Kivi sarà sempre un modello linguistico e stilistico.
Ma a questo primo romanzo in lingua finlandese l’influenza più significativa ed evidente
viene dal teatro classico, e in particolare da Shakespeare. Se il grande drammaturgo inglese si
distingueva per la capacità di descrivere comportamenti e aspetti dell’animo dei suoi protagonisti
in modo poliedrico, grazie alla loro interazione con le altre personae del dramma, Kivi adatta tale
meccanismo alla descrizione dei fratelli, tacendo quanto più possibile ogni considerazione
propria, ‘di autore’, e lasciando che nei frequenti dialoghi il linguaggio, i ragionamenti, le azioni e
le reazioni dei singoli personaggi arrivino da soli a creare dei ritratti solidi e coerenti. Le liti fra
fratelli sono spesso il fulcro di trovate linguistiche e ‘teatrali’ efficacissime, e contengono
momenti di comicità assoluta: i battibecchi fra Juhani che tenta (stentando) di comandare il
gruppo, e il piccolo ‘monello’ Eero che gli fa da contrappunto sarcastico, regalano al lettore
momenti esilaranti. Allo stesso modo le azioni fisiche dei personaggi sono spesso descritte
tramite il commento di altri fratelli, acquisendo immediatezza e vitalità, nonché un forte impatto
‘visivo’. Juhani, il fratello maggiore, grande, forte, e spesso goffo nel suo paternalismo verso i
fratelli minori, Tuomas, il fratello più forte, che accetta l’autorità del fratello maggiore solo
quando non senta leso il proprio senso di giustizia, Aapo, saggio, con forte senso del dovere e
con grandi doti di narratore, Simeoni, il cui senso religioso non gli evita grossi problemi con
l’alcool, Timo, non particolarmente sveglio ma buon lavoratore, incapace di interpretare il
mondo senza l’aiuto dei fratelli, Lauri, il più selvaggio, che ama indagare i boschi e scolpire il
legno, e infine Eero, il fratello più piccolo, anche fisicamente, e sveglio, l’unico che riesca a
38
imparare a leggere e scrivere senza problemi (salvo punzecchiare continuamente i fratelli
maggiori, e in particolare Juhani, per dimostrare loro la propria ‘competitività’), sono personaggi
che sanno staccarsi dalla pagina e, nella loro simpatia, rimanere ben impressi nella mente del
lettore. Malgrado i loro tanti diffetti, infatti, è difficile non amare i sette ‘scapestrati’ che,
terrorizzati dal loro insegnante di lettura, il sagrestano, iniziano le loro avventure fuggendo dalla
finestra della chiesa dentro la quale erano stati chiusi a chiave.
Se i dialoghi sono spesso l’origine di molte decisioni, più o meno provvide, dei fratelli, la
narrazione successiva, di carattere decisamente più letterario e romanzesco, spesso ne descrive le
conseguenze, positive, negative e talvolta catastrofiche. La grande fuga dall’inverno gelato verso
Jukola, con tutta la sua carica drammatica, segue a un lungo dialogo-tafferuglio fra i sette che
aveva portato alla distruzione della loro fattoria-rifugio. Considerando anche le brevi narrazioni
fantastiche di Aapo (vere e proprie novelle nella novella), e canzoni e poesie recitate da vari
personaggi in varie situazioni (e quindi spesso canzonatorie), appare evidente l’estrema varietà
stilistica e linguistica del libro. D’altronde è proprio il sapiente uso di diversi registri letterari e la
combinazione di vari generi in un’opera unica a rendere il romanzo godibilissimo.
Elemento di estremo interesse riveste l’analisi, in certo qual modo antropologica, dei vizi e
delle virtù dei protagonisti. che rappresentano aspetti, pregi e difetti tipicamente finlandesi: i
sette fratelli appaiono veramente come i primi eroi finlandesi moderni a essere descritti in lingua
finlandese. I Sette Fratelli è una descrizione epica, realistica e al contempo romantica e nostalgica
di quel mondo rurale finlandese, e del suo stretto contatto con la natura selvaggia, che
l’industrializzazione, l’urbanizzazione e l’alfabetizzazione minacciavano sempre più, e che presto
sarebbe stato sostituito da una società moderna, anzi modernista, nella quale per la prima volta
nella storia millenaria del popolo finlandese si sarebbe potuto parlare di periferia culturale,
indicando con questo termine proprio le popolazioni rurali tanto care a Kivi, oramai private di
ogni attenzione politica a favore dei nuovi ceti cittadini. I sette fratelli, nella loro capacità di
vivere non contro, ma con la natura, e di diventare non malgrado, ma grazie a essa uomini
migliori, possono esser ritenuti degni eredi di quella tradizione sottilmente animista della cultura
finlandese ben rappresentata dallo sciamanesimo del Kalevala. Questo spirito non di
compresenza, ma di coesistenza fra cultura umana e anima naturale, è assai lontano dalla
Finlandia odierna. La Finlandia del Novecento, infatti, industrializzata, urbanizzata e in ultimo
informatizzata, non smette di riflettere e di sognare il mondo perduto nel quale l’uomo poteva
parlare con la natura, e in essa trovava i ritmi e lo scopo della propria vita. Non a caso un
famoso romanzo contemporaneo, l’Anno della lepre di Arto Paasilinna, cita e utilizza
ampiamente il capolavoro di Kivi nella descrizione della fuga dalla civiltà di un affermato
giornalista finlandese in crisi esistenziale. Non è possibile non notare, en passant, la differenza fra
l’etica della scoperta dei più profondi ritmi vitali interiori tramite l’immersione nella natura
selvaggia, propria di Kivi, e la pulsione autodistruttiva che innesca la deriva anarcoide e
sostanzialmente egoistica (in quanto autoderesponsabilizzante nei confronti di qualsiasi altro
essere umano fuorché se stesso) di Vatanen, protagonista dell’Anno della lepre. Anche in questo
si misura l’abisso fra una cultura, quella tradizionale, che vedeva nella natura un elemento di
crescita, e una cultura, quella odierna, che vi vede una fuga (peraltro spesso non attuata, e quindi
solipsistica) dalla pressanti responsabilità di una vita troppo tecnologica, frenetica e frustrante.
Mi piacerebbe a questo punto sottolineare un altro elemento di ‘finlandesità’ che connota i
fratelli, ovvero il senso dell’onore. Quando il proprietario dei tori ammazzati dai fratelli pretende
un risarcimento, essi in principio, e per principio, rifiutano. Consapevoli tuttavia che, se non da
un punto di vista morale, sul piano legale essi hanno torto (e infatti non solo hanno ucciso le
bestie, ma se le sono anche mangiate, dato che il padrone non voleva saperne di trasportare le
carcasse nella propria fattoria), finiscono per scendere a un compromesso, secondo il quale essi
dovranno ripagare il debito tramite i frutti dei campi che, all’uopo, avevano iniziato a dissodare a
valle di Impivaara. L’aspetto interessante è che l’avvio di un’attività in certo qual modo redditizia,
quale la coltivazione di una quantità di terreno assai più che sufficiente al bisogno personale dei
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fratelli, è legato a un obbligo che, una volta rispettato (estinto quindi il debito), lascia i fratelli con
una vera e propria impresa agricola, sfruttando la quale essi riescono a prosperare oltre ogni
previsione iniziale. È a dir poco sorprendente il parallelo con gli eventi successivi alla Seconda
Guerra Mondiale, che videro la Finlandia costretta a pagare all’Unione Sovietica ingenti (e
ingiuste) riparazioni di guerra: riparazioni che i finlandesi, orgogliosamente, ripagarono fino
all’ultimo centesimo. Per raggiungere lo scopo il piccolo stato fu letteralmente costretto a
costruire le attività e le infrastrutture industriali che a partire dagli anni ’60 del Novecento
sarebbero servite da trampolino di lancio del ‘boom’ economico. Dato che l’evento storico è
avvenuto successivamente a quello romanzesco, le somiglianze andranno piuttosto attribuite alla
cultura di profonda responsabilità che anima la tradizione finlandese, ma anche la Finlandia
moderna, e che è forte anche nei sette fratelli descritti da Aleksis Kivi.
Infine, un’ombra sicuramente inquietante, e anch’essa tipicamente finlandese, la getta il finale
di questa epopea che altro non è se non un inno alla vita. Siamo alle ultime pagine, e narrando
della vita coniugale di Eero l’autore descrive quanto accaduto una volta, quando la fragile Anna,
sua moglie, badando al bambino, inizia a parlare di morte: «E perché sei la mia tristezza? […]
Dimmi, bambino mio, […] non vorresti forse veleggiare via di qui, verso il porto dell’eterna
pace, finché puro ancora sventola il bianco vessillo della tua fanciullezza?». Anna poi intona una
ninna-nanna. La memoria del lettore corre alla Kanteletar, nella quale le ninnenanne e le
filastrocche di morte sono quasi un sottogenere poetico27; per una qualche analogia con la
tradizione italiana si pensi alle filastrocche sull’uomo nero, che normalmente cominziano con
«Ninnananna ninnaò», oppure a «giro giro tondo / casca il mondo»):
Boschetto di Tuoni, notturno boschetto,
Laggiù nella sabbia c’è un placido letto
Pe’l mio fanciulletto
[…]
Boschetto di Tuoni, boschetto di pace!
L’insidia è lontana, la lotta qui tace
Del mondo fallace.
Tuoni è, ovviamente, il signore del regno dei morti, Tuonela. Il racconto continua:
Ma quando ebbe finito di cantare, guardò a lungo, silenziosa, dalla finestra verso l’alto; […] e
trasparente e puro era il cielo, né appariva il più piccolo fiocco di nube sotto la volta ricurva […];
gli occhi azzurri guardavano in alto agli spazi azzurri, e la sua fronte risplendeva di pace. Tornò
dalla foresta il marito e udì nella corte il canto di sua moglie, che non mai gli era risuonato così
bello. Entrò, le si avvicinò, le sedé accanto: atto gentile, che fino allora di rado le aveva concesso.
Rapida si volse la donna incontro a lui, gli posò il bambino sulle ginocchia, appoggiò la fronte sul
petto del marito e ruppe in un pianto violento. Ma egli le mise un braccio intorno al collo,
accarezzandole, dietro l’orecchio, un riccio dei capelli biondi.
Kivi aveva precedentemente specificato che Anna «aveva avuto strane visioni e, mentre era in
istato di estasi, predetto molti miracoli». È una sorta di veggente, quindi, e questo strano
comportamento al termine del libro parrebbe derivare dal presentimento (o dalla visione) della
morte imminente di qualche caro, forse il marito, che un tempo era il piccolo Eero.
Ma la critica ha voluto vedervi anche l’unico accenno dello scrittore alla propria triste
condizione, e quasi un presagio della propria morte, avvenuta poco tempo dopo la conclusione
del libro, anche a causa dei violenti attacchi che parte della cultura accademica finlandese aveva
portato alle sue opere, e ai Sette Fratelli in particolare. Quell’élite intellettuale che con il popolo
27
Si legga la n. 178 nella traduzione di Porceddu, Ninna al regno della morte, p. 168
40
descritto da Kivi voleva comunicare non seppe infatti riconoscere chi di quel popolo era stato il
miglior cantore.
Dopo che il romanzo fu pubblicato per intero ne fu riconosciuta la grandezza, anche da
personaggi tipicamente accademici quali Snellman. Ma Aleksis Kivi era già morto.
10 – Il periodo finale: dall’idillio alla rivolta. Alessandro III e Nicola II
10.1. L’inizio della crisi
La cosiddetta ‘idea di Finlandia’ nacque e si sviluppò, almeno in principio sotto il patrocinio
morale ed economico degli zar. Quando questi, a partire da Alessandro III, nel tentativo di
riformare l’Impero in un più moderno stato unitario e burocratico, tentarono di comprimere i
fermenti di autonomia culturale e amministrativa oramai pienamente vitali, dovettero
fronteggiare la rivolta di un’intera nazione e dei suoi ‘cittadini’, che sentivano tradito il
giuramento che lo Zar aveva loro prestato in quanto Granduca di Finlandia. In pochissimi anni i
leali finlandesi diedero così luogo a rivolte sempre più eclatanti, che con l’aiuto della Rivoluzione
liberale, e poi di quella d’Ottobre, trasformarono le precedenti aspirazioni all’autonomia in una
piena e oramai irrevocabile indipendenza.
10.2 – Alessandro III (1881-1894)
Lo zar Alessandro III fu un sovrano reazionario e dispotico, che attuò, a seguito della morte di
Alessandro II, una dura repressione contro tutti gli avversari politici. Istituì i ‘regolamenti
temporanei’, vera e propria legge marziale dei quali si valse anche il successore Nicola II fino al
1917. Se alcuni predecessori, e in particolare Nicola I, avevano già avviato programmi di
russificazione nelle provincie dell’Impero, Alessandro III intensificò i vari processi in corso con
nuove e capillari provvedimenti, anche reprimendo tutte le osservanze non ortodosse. Si fece
così sempre più forte il desiderio di rivalsa di varie etnie, in particolare quelle polacca e ucraina,
che intensificarono il loro desiderio di indipendenza e il nazionalismo. In questa concezione di
un Impero non più multinazionale e multiculturale, ma prevalentemente russo (o russificato) e
ortodosso non potevano rientrare culture particolari come quella ebraica, e con Alessandro III
iniziarono i pogrom anti-ebraici (1881-1882). Il nazionalismo dello Zar non risparmiò neanche la
leale Finlandia, nei confronti della quale furono adottate misure di russificazione soprattutto in
ambito amministrativo, e nell’ambito del commercio con la Russia, per il quale la Finlandia
godeva precedentemente di ampi privilegi. Se, a differenza che in Polonia, l’uso della lingua
finlandese non fu scoraggiato, ciò avveniva preché la causa della lingua finlandese faceva tutt’uno
con quella della lingua russa, a scapito dello svedese. Il lessico tecnico della lingua finlandese non
era infatti ancora adeguato ad un uso ufficiale nell’amministrazione, e perciò una prevalenza della
cultura di lingua finlandese su quella svedese implicava necessariamente un avanzamento dell’uso
del russo in ambito amministrativo.
10.3. Nicola II (1894-1917)
Se molti in Finlandia vedevano con preoccupazione l’annullamento da parte di Alessandro III di
alcuni diritti precedentemente goduti, non fu che con suo figlio Nicola II che le misure di
russificazione spinsero la Finlandia ad assumere un atteggiamento ostile al governo zarista, in
particolare a seguito del Manifesto di Febbrario (1899), che intensificava la politica di
russificazione e, in parte violando alcuni dei privilegi del Granducato, imponeva la coscrizione
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dei giovani finlandesi nell’esercito russo, annunciando una nuova interpretazione della
legislazione finlandese e dei rapporti fra Finlandia e la madrepatria Russia. Nell’arco di
pochissimi anni la Finlandia divenne fortemente ostile alla Russia, e si formò una resistenza
passiva a tutte le misure imposte da San Pietroburgo che per la prima volta dopo decenni mise
d’accordo filo-svedesi e fennomani, che vedevano le loro divergenze appianate da un immediato
pericolo di perdita totale della libertà. Non si può non concordare con l’affermazione di Johan
Jakob Ahrenberg, che «L’unità della Finlandia la fecero le ferrovie e Bobrikov [il famigerato
Governatore Generale di Finlandia, vedi sotto, n.d.a.]». Infatti ciò che precedentemente poteva
esser considerato amore di una patria culturalmente in formazione, si trasformò in pochissimi
anni, e per la prima volta nella storia della Finalndia, in vero e proprio nazionalismo
indipendentista, che si espresse a ogni livello politico e artistico.
Va detto che Nicola II, che a differenza del padre non era un uomo duro e dispotico, ma,
piuttosto, un debole incapace di opporsi alle pressioni delle camarille interne alla sua corte,
nonché a sua madre e a santoni quali il famigerato Rasputin, non seppe cogliere la delicatezza del
momento storico, né i segnali di pericolo che provenivano da tutti i livelli sociali e politici del suo
impero. Nel 1903 promosse il terribile pogrom di Kišinëv, tracciando un solco fra il governo e
tutti i sudditi di origine ebraica, ma anche più in generale mettendo in allarme tutti i non
ortodossi.
Per contrastare la resistenza finlandese lo Zar nominò Nikolaj Bobrikov Governatore
Generale della Finlandia. Il potere dittatoriale nelle mani del Governatore fu usato per reprimere
ogni sorta di opposizione alle leggi emanate dalle autorità russe, ma anche ogni tipo di
manifestazione attiva o passiva.
Ma anche in Russia la situazione andava degenerando. All’attacco giapponese a Port Arthur
fece seguito la guerra russo-giapponese (1904-1905). Il 22 gennaio 1905, mentre era ancora in
corso la guerra, una manifestazione pacifica a San Pietroburgo venne sciolta con la forza dalla
guardia imperiale, che lasciò morte a terra circa 130 persone. La ‘domenica di sangue’, come fu
chiamata, marcò l’inizio della fine del regime zarista: ancora nel 1905 un lungo sciopero si
propagò in tutto l’Impero, investendo (quando ormai in Russia andava terminando) una
Finlandia ormai fuori controllo, nella quale nel 1904 era stato assassinato il ‘dittatore’ Bobrikov.
Data la disastrosa situazione interna ed estera Nicola II non si oppose alla concessione di
nuovi diritti alla Finlandia: è del 1906 una profonda riforma parlamentare, che per la prima volta
previde per l’elezione del parlamento il suffragio universale, esteso anche alle donne. Il suffragio
universale diede al sistema politico finlandese una legittimazione dal basso, che si tradusse nel
definitivo colpo di grazia alla dipendenza politica e morale della Finlandia dalla Russia. La via
all’indipendenza era così spianata, anche se i rimanenti undici anni di dominio russo risultarono
assai problematici per i vari governi finlandesi che si succedettero fino al 1917.
Nel 1914 la Russia entrò in guerra contro Austria e Germania. La situazione interna alla
Russia precipitò. Nel 1916 fu assassinio di Rasputin. L’8-11 marzo 1917 scoppiò la rivoluzione
popolare, a seguito della quale Nicola II abdicò. Il governo liberale, al quale il governo finlandese
chiedeva l’indipendenza, fu rovesciato il 24-25 ottobre dai Bolscevichi. Era l’inizio dell’Unione
Sovietica. La richiesta di indipendenza finlandese fu infine accolta il 6 dicembre 1917: nacque
così la Repubblica di Finlandia.
10.4. Nazionalismo e indipendentismo nella cultura post-kalevaliana
La cultura letteraria e artistica di questo periodo è segnata da un forte nazionalismo, al quale
corrispose una notevolissima crescita quantitativa e qualitativa di scritti e opere d’arte. Si legga
quando scrive Tarmo Kunnas: «In the 1890s an unprecedented cultural boom was achieved in
Finland. Also art needs obstacles and problems in order to develop. The battle for the life or
death of the nation was waged in the aesthetic quality of literature, art, and folk poetry. Finland
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had to demonstrate with its cultural feats that it belonged to dignified family of European
peoples. From 1890s onwards politically threatening events gave impulses to the arts»28.
L’alta cultura, che ha del tutto assorbito la cultura popolare sulla quale si basava il Kalevala, e
che anzi sta oramai scomparendo del tutto, partecipa più che mai al farsi concreto della storia del
piccolo stato. Si legga anche quanto scrive in merito J. Gallen-Kallela-Sirén: «The art of this
period [anni ’80 e ‘90 dell’Ottocento] – pioneered by Albert Edelfelt, Akseli Gallen-Kallela, and their
fellow Young Finns – is nationalistically flavored and takes its cue from the synergy of
international stylistic impulses and domestic political circumstances. Intensified Russian
involvement in Finnish domestic affairs, part of a broader Russification program that impacted
all of the empire’s borderlands in the late nineteenth century, transformed Finnish art into a
proactive medium of passive resistance. The image of untouched, unsurpassable wilderness (The
Great Black Woodpecker, cat. 71) became for Finns a national symbol of territorial integrity, a type
of natural fortification between ‘self’ and ‘other’. In fin-de-siècle Finnish landscapes several
nineteenth-century aesthetic trends – neoclassicism, romanticism, realism, impressionism,
naturalism, symbolism, primitivism – converge into a urgently contrstructed image of an unborn
nation. This eclectic image became the visual cultural foundation for the Finnish declaration od
independence that was issued in 1917»29.
Arte di paesaggio, ricerca storica e filologica, sperimentazione poetica e linguistica, nuove
forme di architettura (definite, in ritardo sulle altre arti, ‘nazional-romantiche’, e ispirate in effetti
allo Jugendstill) divengono tutti elementi di una riscossa culturale che segna la fine dell’ideologia
della coesistenza anche linguistica fra finlandese e russo, e in definitiva la fine della dominazione
russa in Finlandia.
La storia letteraria e culturale di questo periodo, dominata in prosa dal fenomeno del
realismo, e in poesia da poeti che sono entrati nel pantheon del classicismo finlandese, fra i quali
spicca il poeta classico ‘per eccellenza’, ovvero Eino Leino, dovrà essere materia di un corso a sé,
data la varietà e la ricchezza dei movimenti di questi decenni di fine Ottocento – inizio
Novecento, e soprattutto data la fatale assenza di valide traduzioni italiane, alla quale si dovrà
prima o poi porre rimedio.
Cfr. T. Kunnas, Aatteellinen jäidenlähtö, in Suomalaisten tarina 1. Heräämisen aika, ed. J. Itälä et al., Helsinki 1993, p. 102
Cfr. Territorialising Nature. Landscape Painting and the Rise of Nordic Nationalism, in A Mirror of Nature. Nordic Landscape Painting
1840-1910, ed. T. Gunnarsson, Helsinki – Oslo – Stockholm 2006, pp. 215-221, in part. p. 220.
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