LE INTOSSICAZIONI DA FUNGHI
A cura di Claudio Angelini
(aggiornato 01/2011)
Veterinario, Micologo – Responsabile dell’Ispettorato Micologico ASS6 Friuli Occidentale
P.zza L. Remigi, 1 – 33080 Porcia (PN) – Docente ai corsi di formazione e aggiornamento per micologi,
Coordinatore della Federazione dei Gruppi Micologici del Friuli Venezia Giulia, Referente regione Friuli
Venezia Giulia per gli Ispettorati micologici ASL, Vicepresidente del Gruppo Micologico Sacilese.
Claudio Angelini – via tulipifero, 9 – 33080 Porcia (PN)
Tel. 335-258795
e-mail: [email protected]
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Distinguiamo intossicazioni "vere", più propriamente dette micetismi, quelle causate da specie fungine
contenenti sempre, e già allo stato fresco, concentrazioni più o meno elevate di sostanze tossiche per
l’uomo e “false”, quelle che, pur rappresentando in Italia la maggior parte delle intossicazioni legate al
consumo dei funghi (quasi il 65% del totale), in realtà non sono dovute al consumo di funghi velenosi,
ma di specie commestibili, divenute tossiche in determinate situazioni (vedi: “Le false intossicazioni”).
In base al tempo che intercorre tra l'ingestione dei funghi e la comparsa dei sintomi, le intossicazioni da
funghi vengono suddivise in:
- Sindromi a lunga latenza: da 6 a 24 ore od oltre dal pasto, potenzialmente gravi e mortali in alcuni
casi.
- Sindromi a breve latenza: da pochi minuti fino ad un massimo di 4-6 ore dal pasto, a decorso
benigno nella maggior parte dei casi. Esse rappresentano oltre l’80% dei micetismi osservati.
Il termine “latenza" è senz'altro da preferire rispetto a quello diffusamente in uso di "incubazione",
perché quest’ultimo, tipico delle malattie infettive, mal si adatta quando riferito all'introduzione passiva di
sostanze velenose che certo non sono in grado di replicarsi nell'organismo ospite. Il termine
"incubazione" dovrebbe essere invece riservato ai soli casi nei quali i funghi in questione abbiano in
qualche modo trasmesso all'uomo germi patogeni e/o tossine batteriche così come accade tipicamente
nelle tossinfezioni alimentari (vedi "False intossicazioni").
Le intossicazioni “vere” (provocate cioè dall’ingestione in quantità sufficienti di funghi tossici), vengono
classificate in sindromi che, generalmente, prendono il nome dalla tossina responsabile contenuta nel
fungo; negli altri casi, solitamente quando la tossina responsabile non è ancora stata isolata o certa, si
preferisce riferire la sindrome allo specifico quadro clinico provocato o alla specie fungina responsabile.
Le intossicazioni “false” (provocate cioè dall’ingestione di funghi commestibili), invece, non determinando
quadri clinici specifici, rientrano tutte quante in una generica “Sindrome gastroenterica” (vedi) che può
essere quindi espressione sia di “vera” che di “falsa” intossicazione da funghi.
Le sindromi a lunga latenza
Sindrome
Sindrome
Sindrome
Sindrome
Sindrome
Sindrome
falloidea
orellanica
giromitrica*
acromelalgica
norleucinica
rabdomiolitica*
Sindrome di Szechwan*
Sindrome cerebrale
Sindrome encefalopatica
(*) rappresentano i così detti “Avvelenamenti da ingordigia” in quanto, per manifestarsi,
necessitano di accumulo nel tempo delle tossine che si verifica quando specifici funghi
vengono consumati in quantità esagerate e/o in un numero elevato di pasti ravvicinati (in 1-3
giorni).
In generale e per non incorrere in effetti collaterali, viene consigliato di consumare non più di 200 gr. di
funghi freschi alla settimana (Linee guida del Ministero della Sanità tedesco). La quantità massima di
assunzione di funghi edibili freschi per pasto è stata calcolata mediamente in 350 gr. (corrispondente a 5
gr. di fungo fresco per Kg. dipeso corporeo - Tofani L., 2003), Tale quantità, già di per se considerevole,
viene di norma superata nelle intossicazioni c.d. "da accumulo" o da “ingordigia”.
Sindrome falloidea
La sindrome falloidea ha rappresentato nell'arco degli anni l'avvelenamento da funghi con più frequente
esito mortale. Attualmente il tasso di mortalità è sceso significativamente attestandosi, quando i casi
sono trattati appropriatamente ed in tempo utile, al 10% del totale. Le tossine responsabili, ampiamente
note e studiate, sono generalmente divise in tre gruppi: amatossine, fallotossine, virotossine. Come
di seguito meglio specificato, sono solo quelle relative al primo gruppo (amatossine) le vere tossine
responsabili di questa sindrome che, per comodità, si continua ancora a definire "falloidea". In passato si
parlava di "Sindrome falloidea" (provocata solamente da alcune specie fungine appartenenti al genere
Amanita) e di "Sindrome parafalloidea" (provocata da specie appartenenti ad altri generi fungini).
Considerato che le tossine responsabili sono identiche ed i quadri clinici perfettamente sovrapponibili,
oggi si preferisce considerare un'unica sindrome folloidea che le comprende entrambi.
Amatossine: chimicamente e termicamente stabili, facilmente assorbite a livello gastrointestinale, sono
delle piccole proteine ad 8 amminoacidi (octapeptidi) e la tossina più rappresentativa di questo gruppo è
la alfa-amanitina, che ha come bersaglio principale il nucleo delle cellule epatiche. Le amatossine
subiscono un ciclo enteroepatico (ogni 3-5 ore circa) con il 10-20% di evacuazione biliare. La loro
eliminazione è principalmente urinaria ed in forma inalterata (la filtrazione glomerulare è limitata da una
certa quota riassorbita a livello tubulare).
Vengono secrete nel latte, ma il loro passaggio transplacentare è ancora discusso (in una donna di 22
anni, incinta di 11 settimane, e con epatite tossica falloidea, il feto non subì alcuna conseguenza).
La dose letale di amanitine ipotizzata per l'uomo è di 5-7 milligrammi (circa 0,1mg/Kg di peso). Tale
quantità è contenuta in ca. 20-30 grammi di Amanita phalloides fresca, che praticamente corrisponde al
consumo di un cappello di un esemplare adulto di medie dimensioni.
Fallotossine: Piccole proteine di soli 7 amminoacidi (eptapeptidi), agiscono direttamente danneggiando
la membrana degli epatociti solo se inoculate per via endovenosa negli animali da esperimento. Sono di
poca o nulla importanza clinica se ingerite, in quanto largamente inattivate dagli enzimi gastrici.
Virotossine: con struttura e meccanismo d'azione simile alle fallotossine, anche queste non hanno, per
gli stessi motivi, alcuna importanza clinica e comunque presenti solo in Amanita virosa.
I funghi responsabili della sindrome falloidea sono: per il genere Amanita: A. phalloides, A. verna, A.
virosa, A. porrinensis (e altre specie di Amanita americane: es. A. bisporigena, A. ocreata, o africane: es.
A. reidii=A. marmorata); per il genere Galerina: G. marginata(=G. autumnalis=G. venenata=G.
unicolor), G. sulciceps, G. badipes, e probabilmente altre specie; per il genere Conocybe (?): C. filaris e
probabilmente altre specie; per il genere Pholiotina: tutte le specie (oggi rientranti nel genere Conocybe);
per il genere Le piota: sono 24 le specie sospettate di contenere amatossine, ma solo 15 quelle in cui è
stata dimostrata la presenza: L. brunneoincarnata, L. kuehneri, L. langei, L. ochraceofulva, L.
brunneolilacea, L. felina, L. sub incarnata(=L. josserandii), L. clypeolarioides, L. fulvella, L. griseovirens,
L. heimii, L. helveola, L. pseudohelveola, L. xanthophylla, L. castanea.
Segnalata, ma non ancora confermata, la presenza di amatossine anche in L. cristata, L. lilacea, L.
clypeolaria, L. fuscovinacea, L. citrophylla, L. helveloides, L. locanensis, L. pseudolilacea, L. rufescens.
Per le dimensioni, sono i funghi del genere Amanita quelli ad essere più frequentemente responsabili di
questa grave intossicazione, anche perché, con la loro ingestione, più facilmente si raggiungono dosaggi
elevati di amanitine. Anche le Lepiota di piccola taglia, ma non per questo meno pericolose se ingerite
nella giusta quantità (un tempo raramente raccolte e consumate quando scambiate per prataioli o per
piccole "mazze di tamburo"), sono oggi frequentemente responsabili di avvelenamenti, quasi alla pari
delle Amanita del gruppo "Phalloides"(49% e 51% rispettivamente). Anche se i dati nazionali indicano che
la percentuale di casi di intossicazioni falloidee s.l. si mantengono più o meno costanti nel tempo (12%
del totale dei micetismi per anno), si nota negli ultimi anni un aumento di casi dovuti a "Lepiote di piccola
taglia" rispetto a quelli causati da Amanite del gruppo "Phalloides".
Concentrazione di amanitine in alcune specie:
A. phalloides e A. verna
1,4 – 6,8 mg/g di peso secco
A. virosa
1,9 – 2,6 mg/g di peso secco
L. brunneoincarnata
1,3 mg/g di peso secco
L. subincarnata
3,5 mg/g di peso secco
G. marginata/autumnalis
1,5 mg/g di peso secco
Anche in funghi ocrosporei appartenenti ai generi Galerina, Conocybe e Pholiotina, sono state ritrovate
quantità significative di amanitine, anche se può sembrare poco probabile che qualcuno possa cibarsi di
simili funghi data la loro piccola taglia ed un aspetto generale poco invitante (a volte sono stati raccolti e
consumati perché scambiati per funghi allucinogeni da persone in cerca di provare volontariamente una
tale esperienza).
Da non escludere a priori la possibilità che tale evenienza si realizzi con il consumo di specie come
Galerina marginata=G.autumnalis che, poiché di taglia media e non piccola e con crescita a volte
cespitosa, potrebbero essere raccolte perché scambiate per "chiodini" (Armillaria ostoyae, A. tabescens,
ecc.) o per "mutabilis" (Kuehneromyces mutabilis).
La gravità della sindrome falloidea è dovuta alla lunga latenza, che non consente un'immediata terapia
finalizzata alla eliminazione dal tubo gastroenterico delle sostanze tossiche ingerite. Le amatossine
(amanina, amaninamide, amanullina, ma soprattutto l’α-amanitina ed in minor misura la β-γ- ed Eamanitina), una volta assorbite a livello gastrointestinale, esercitano un’azione citotossica per inibizione
dell’enzima RNA-polimerasi II, con il conseguente blocco della sintesi dell’RNAmessaggero e dunque della
sintesi proteica cellulare. Tutte le cellule sono raggiunte, ma di preferenza quelle in cui avviene un’intensa
sintesi proteica, come quelle digestive ma soprattutto epatiche. Per poter esplicare la loro azione
citotossica, le amatossine devono necessariamente passare la membrana cellulare e raggiugere il nucleo
(dove si trova l'enzima RNA-polimerasi II). E' stato dimostrato che tale capacità è dovuta al fatto che
esse penetrano all'interno delle cellule solo se legate all'albumina e questa è la spiegazione della tossicità
selettiva per quelle cellule dove si verifica anche un'elevata penetrazione di proteine per pinocitosi. Tale
caratteristica è ulteriormente sfruttata a fini terapeutici (uso di pennicillina, silimarina, ecc. Vedi terapia
collaterale del micetismo falloideo).
α- e β- amanitina sono principalmente presenti nel Genere Amanita, mentre α- e γ- amanitina sono
principalmente contenute nei Generi Lepiota e Galerina.
Il quadro clinico è classicamente costituito di 4 fasi:
1) periodo di latenza: I disturbi compaiono dopo una latenza di 6 - 24 ore (10-12 ore in media). La lunga
latenza dipende dal fatto che le amatossine non agiscono direttamente sulle cellule enteriche dal lato del
lume intestinale, ma solo dal lato vascolare delle medesime dove giungono per via ematica solo in un
secondo tempo.
2) fase gastrointestinale: dolori addominali, sudorazione, vomito incoercibile e diarrea profusa (fase
coleriforme) che possono persistere a lungo e con andamento a crisi. In conseguenza di ciò si può
verificare una grave disidratazione con ipovolemia che se, non prontamente corretta, può portare a
insufficenza renale acuta (insuff. renale prerenale, non dovuta cioè all'azione diretta sul rene da parte
delle amatossine, ma alla grave disidratazione), a shock e, nelle forme più gravi, anche a morte.
3) fase epatica: si manifesta a partire dalle 24-48 ore (generalmente in 36°ora) dal pasto ed è
caratterizzata da aumento delle transaminasi fino a superare 10.000 UI/l. L’intossicazione è più severa
quando anche le alaninoaminotransferasi (ALAT) superano 1.000 UI/l. All'inizio si ha aumento delle
transaminasi e della bilirubina e successivamente, fin dalla 48° ora, riduzione della glicemia e dell'attività
protrombinica. Nelle forme meno gravi si ha una lenta risoluzione, con un miglioramento dei sintomi
confermato da una diminuzione degli enzimi (transaminasi) ed aumento dell'attività protrombinica.
4) insufficienza epatica grave: in genere in 4a-5a giornata vi può essere un'ulteriore peggioramento
testimoniato dalla persistenza di bassi valori di attività protrombinica e del fattore V di coagulazione,
mentre le transaminasi possono talvolta anche diminuire, ma in questo caso sono indici di necrosi epatica
massiva con prognosi infausta. L’esito mortale può avvenire per coma epatico con convulsioni ed
insufficienza respiratoria; frequentemente vi possono essere emorragie interne (soprattutto intestinali),
ipoglicemia, coagulopatia ed insufficienza renale acuta organica.
La prognosi è legata alla gravità dell’epatite (mediamente circa 5-10% di mortalità. Il Centro Antiveleni
di Milano riferisce invece solo un 1% di mortalità! Le maggiori percentuali di mortalità sono sicuramente
da ascrivere ad una insufficiente o tardiva terapia). Essa non è correlata al valore delle transaminasi, ma
alla presenza di fattori peggiorativi quali la giovane età (mortalità 2-3 volte più elevate nel bambino), i
tassi del fattore V e la protrombina quando inferiore al 10%, l’insufficienza renale e l’encefalopatia.
La diagnosi è clinica. A conferma, è possibile oggi identificare l’amanitina urinaria con metodo Elisa (sono
sufficienti pochi ml. di urina, 1-2ml, prelevati precocemente e preferibilmente prima di iniziare un
trattamento di reidratazione!). Il limite di rilevamento del test è di 2mg di alfaamanitina ed è considerato
certo quando il valore è >6mg. Gli studi cinetici dell’alfa- e beta-amanitina nell’uomo, hanno dimostrato
che le amatossine sono presenti nel plasma a deboli concentrazioni, mentre a forti concentrazioni lo sono
nelle urine e nelle feci (cento volte maggiori rispetto al sangue), ma solamente durante le 24-48 ore
susseguenti l’ingestione. Il kit BÜHLMANN Amanitina ELISA è un nuovo metodo diagnostico reperibile in
commercio e da utilizzarsi per la determinazione diagnostica in vitro diretta e quantitativa dell’α-e γAmanitina presente sia nell’urina che nel siero e nel plasma umano. Essendo un test molto specifico che
utilizza una metodica ELISA (cioè colorimetrica), semplifica di molto l’iter diagnostico non necessitando di
un laboratorio altamente specializzato per l’esecuzione del test. La possibilità di eseguire il test in
monodose, rappresenta altresì un procedura anche economica.
Presenza delle amatossine:
-
In circolo fino a 36 ore dopo il pasto
-
Nelle urine fino a 48 ore dopo il pasto (in tracce fino a 72 ore)
-
Nelle secrezioni biliari e nelle feci fino a 5 giorni dopo il pasto
-
Nel fegato anche dopo 20 giorni (su fegato di cadavere anche 2 anni dopo il decesso)
Per quanto riguarda la terapia, è di fondamentale importanza ai fini prognostici, un precoce intervento in
reparto di emergenza ( entro e non oltre le 30-36 ore dal pasto!) di diuresi forzata (1litro ogni 10Kg
di peso nelle 24 ore, più il reintegro delle perdite gastroenteriche) con sorveglianza dei parametri
emodinamici ed elettrolitici(ogni 12 ore: glucosio, ALT, AST, AP, PTT, piastrine, urea, creatinina,
elettroliti, bicarbonato, ematocrito, CK; ogni 24 ore: bilirubina, calcio, magnesio, emogasanalisi, fattore
V, se acidosi valutare acido lattico; monitoraggio frequente: PA, PVC, OUT-PUT urinario, bilancio
idroelettrolitico). La diuresi forzata deve essere mantenuta fino a 72-96 ore dall’ingestione con
progressiva riduzione dell’apporto di liquidi a partire dalla 4°-5° giornata.
La diarrea, ricca in tossine, deve essere rispettata. L'interruzione del ciclo enteroepatico delle amatossine
con la somministrazione ripetuta di carbone attivato (Carbomix, 1g/Kg/die a dosi frazionate circa ogni 6
ore attraverso sonda nasogastrica fin che perdura il vomito o per os. La somministrazione viene eseguita
per 3-4 giorni) è consigliabile quando non controindicata (bambini < di 10 mesi, paziente in coma,
occlusione intestinale o addome acuto).
Tra i numerosi trattamenti "antitossici" proposti, unicamente la penicillina G, con una posologia
raccomandata variante da 300.000 a 1 milioneUI·kg i.v. (mediamente 40 milioni), tenendo conto che le
dosi massicce possono indurre degli effetti neurologici centrali soprattutto nei bambini (la penicillina G
farebbe diminuire la penetrazione intracellulare delle amanitine e limitando il loro circolo enteroepatico
per competizione a livello della secrezione biliare), e la silimarina iniettabile (epatoprotettore che
impedirebbe la penetrazione intracellulare delle amanitine), in ragione di 5mg/Kg i.v. entro la prima ora
poi 20 - 50 mg·kg i.v./die per i primi 3 giorni di terapia (Legalon® iniettabile), hanno dato alcuni risultati,
sia sperimentali che clinici, interessanti.
Tuttavia, in assenza di uno studio clinico controllato, l'efficacia di questi trattamenti non è stata stabilita
con certezza. Più recentemente, è stata proposta la somministrazione di N-acetil cisteina (Fluimucil,
Mucomyst) la cui efficacia deve essere ancora confermata (precursore del glutatione, impedirebbe
l’accumulo di metabolici epatotossici).
Le tecniche di depurazione extrarenale (dialisi peritoneale, emodialisi, plasmaferesi, emoperfusione), non
sono di nessun interesse terapeutico (Mullins , Horowitz – Vet Hum Toxicol. 2000 Apr;42(2):90-1),
malgrado l'entusiasmo e la convinzione empirica di alcuni Autori. Il trattamento dell'epatite è sintomatico.
L'acme delle anomalie biologiche epatiche è osservata in generale in 4-5 giornata. La rigenerazione
epatica può essere apprezzata dal dosaggio dell'alfafoetoproteina. In caso di insufficienza epatica grave, il
trapianto epatico deve essere preso in considerazione, ma la difficoltà maggiore sta principalmente nel
definire precocemente i fattori prognostici dell’irreversibilità delle lesioni epatiche.
Recentemente (Lionte et all. – Rom J Gastroenterol. 2005 Sep.;14(3):267-71) è stato sperimentato con
successo un nuovo approccio terapeutico attraverso un sistema di ricircolo epatico esterno per
adsorbimento molecolare (MARS). Con tale sistema si è potuta salvare recentemente una donna di 39
anni con epatite fulminante per avvelenamento da Amanita phalloides per la quale non era disponibile il
ricorso ad un trapianto epatico. Questo interessante metodo di depurazione epatica con l’utilizzo di un
dialisato di albumina in grado di rimuovere quella parte di albumine legate alle tossine, se pur
interessante, abbisogna di importanti conferme.
Sindrome orellanica
Descritta per la prima volta nel 1955 da Grzymala in Polonia (una’intossicazione di massa che coinvolse
circa 200 persone con un tasso di mortalità del 10% ed un elevato numero di invalidità permanenti), fu
poi segnalata in Germania, Svizzera, Francia e successivamente in tutta Europa. In Italia, a differenza
del passato, in questi ultimi 20 anni si sono verificati solo due casi ed entrambi per pasti consumati in
ristoranti!
L’orellanina è la tossina responsabile di questa grave e, per fortuna, rara sindrome.
I funghi responsabili sono due:
Cortinarius orellanus e Cortinarius orellanoides (=C. speciosissimus).
Per ragioni di completezza è doveroso rammentare che in letteratura sono descritte altre due specie di
cortinari contenenti orellanina, ma non presenti nel nostro continente. Si tratta di C. fluorescens
(sudamerica) e C. rainierensis(=C.speciosissimus?) (nordamerica).
Appare alquanto inverosimile che queste specie dall'aspetto così poco invitante possano essere state
raccolte e consumate (anche se C. speciosissimus frequentemente può raggiungere taglie importanti con
diametro del cappello che può raggiungere anche i 12-15 cm.!). Lo scambio con specie commestibili
appare poco probabile anche tra i meno esperti. I casi italiani, infatti, si sono verificati soprattutto in
regione Trentino Alto Adige dove questi funghi sono stati raccolti ancora immaturi (cioè a cappello ancora
chiuso) perché scambiati con giovani esemplari di Chroogomphus helveticus (=Gomphidius helveticus),
specie tradizionalmente raccolta e consumata in loco con il nome popolare di "ciodel".
Per molto tempo si era creduto e pubblicato in molti testi di micologia (alcuni purtroppo attualmente in
commercio!) che anche altri cortinari contenessero orellanina. Per esempio C. splendens, C. gentilis, C.
limonius, C. cotoneus e C. venetus. Altri Autori inserivano in questa lista anche tutte le specie costituenti
il sottogenere Dermocybe. Recentemente tali ipotesi sono state completamente destituite di ogni
fondamento. Alcune di queste specie fungine potrebbero essere forse responsabili di una analoga
sindrome, ma di minore gravità, per la presenza di altre sostanze quali benzonina A e B, cortinarina,
Grzymalina ed altre molecole non ancora ben identificate. Per quanto riguarda le specie del sottogenere
Dermocybe, alcuni Autori hanno ipotizzato un loro conivolgimento nella sindrome gastroenterica (vedi).
La presenza di orellanina in una specie fungina è, tra l'altro, facilmente rilevabile con la reazione al
cloruro ferrico (Test di Pöder – Moser, vedi descrizione del test in RdM,XXXVI, 2; p. 111-114; 1993). La
reazione è altamente specifica ed eseguibile in pochi minuti a partire da piccoli frammenti (soprattutto
lamelle) sia di fungo secco che di fungo fresco. L'orellanina può essere rilevata anche nei limiti di
nanogrammi e non sono note reazioni di "falsa" positività al test.
L’orellanina, composto bipiridilico non volatile e altamente termostabile (eventualmente fotosensibile solo
se isolata), risulta tossica per il rene in modo diretto (tossina nefro-citotossica). Essa presenta una
stabilità ambientale eccezzionale e la sua tossicità rimane inalterata in campioni di funghi secchi d'erbario
vecchi anche di 60 anni! Il meccanismo d'azione dell'orellanina è di recente acquisizione e consisterebbe
nel blocco totale dell'attività della fosfatasi alcalina dell'orletto a spazzola delle cellule dei tubuli renali.
Il danno avviene per accumulo della tossina in fase di eliminazione attraverso il rene. Il riassorbimento
tubulare provoca un grave edema interstiziale con ischemia e conseguente necrosi tubulare.
Si dà per scontato che in tutti gli avvelenamenti, micetismi compresi, la gravità dei sintomi è da porre in
relazione con la quantità assunta. In questo caso, invece, è significativo il fatto che, anche negli animali
da esperimento, si manifestino delle grandi variazioni individuali nella sensibilità a questa sostanza
tossica: almeno il 20-30 % dei ratti sono resistenti, anche per dosaggi elevati e ciò corrisponde in modo
stupefacente all'osservazione clinica sull'uomo, dove si sa che in molte intossicazioni collettive avvenute
in passato, diversi soggetti hanno manifestato una spontanea resistenza all'orellanina. Le cause di questo
fenomeno sono con molta probabilità genetiche. Si è stimato che la DL50 (dose letale media) nel topo è
maggiore di quella delle amatossine e corrispondente a 8,3 mg/Kg di p.v., mentre nell’uomo è di 40-50
gr di fungo fresco, ma sono sufficienti quantità anche molto minori per dare problemi renali.
Il quadro clinico comprende 2 fasi ben distinte: dopo una latenza di 8-12 ma anche fino a 24 - 36 ore,
può comparire un lieve stato di malessere con inappetenza, nausea e senso di stanchezza generale.
Possono anche comparire secchezza del cavo orale con sete intensa, occasionali disturbi gastroenterici
quali vomito e diarrea (seguita da stipsi ostinata) e dolorabilità lombare ed epigastrica. Dopo questa fase,
che può anche mancare o sfuggire all'osservazione per la lieve sintomatologia, segue un netto
miglioramento delle condizioni generali ed apparente guarigione. Successivamente e dopo una lunga
latenza (3-18 giorni) che può arrivare fino a 20 giorni!, vi è la comparsa dell'insufficienza renale
acuta caratterizzata da encefalopatia (dovuta alla iperazotemia), sete, brividi, parestesie alle estremità,
dolore lombare bilaterale con riduzione nella produzione di urine (oliguria-anuria), ematuria (sangue nelle
urine) e anemia. Le lesioni renali evolveranno quasi inevitabilmente verso una insufficienza renale cronica
irreversibile (sono rarissimi i casi di guarigione segnalati in questa fase).
Poco o nulla si può fare a livello terapeutico! Il furosemide (diuretico) è da proscrivere in quanto si è
dimostrato che aggrava le lesioni negli animali da esperimento. L’irreversibilità dell’insufficienza renale,
obbliga il paziente che sopravvive alla fase acuta, ad una dialisi a vita o al trapianto renale
quando possibile. In quest’ultimo caso, il trapianto deve essere eventualmente realizzato tardivamente!
(6-30, mediamente 10, mesi dopo il superamento della fase acuta!), a causa del lento ripristino
spontaneo della funzione renale.
Di non poco conto rilevare che un trattamento intensivo (dialisi e/o diuresi forzata) effettuato in pazienti
che avevano sicuramente consumato C. orellanus e che non avevano ancora manifestato sintomi, non ha
impedito l'instaurarsi successivamente dell'insufficienza renale!
Il lungo periodo di latenza che caratterizza questa sindrome, non aiuta di certo il medico nella raccolta di
tutti i dati anamnestici necessari. Difficilmente il paziente ricorderà o dirà di aver consumato funghi non
controllati 15-18 o 20 giorni prima! ed in tal modo, così come avvenuto in passato per altri micetismi
(vedi per esempio "sindrome norleucinica"), molti casi clinici di insufficienza renale acuta rimasti insoluti
da un punto di vista eziologico, potrebbero essere ascritti al consumo di funghi velenosi.
Sindrome giromitrica (o giromitriana)
Molto simile a quella falloidea, si tratta anche in questo caso di una sindrome citotossica caratterizzata da
una lunga latenza per la presenza di un alcaloide, la Giromitrina.
I funghi responsabili sono tutti e quanti rientranti nella Divisione Ascomicota ("Ascomiceti") e
precisamente: Gyromitra esculenta, Gyromitra gigas, Gyromitra infula, Gyromitra fastigiata, Gyromitra
ambigua e probabilmente anche le altre specie del Genere. Contengono Gyromitrina anche Helvella
crispa, Helvella lacunosa (e probabilmente anche altre Helvella), Cudonia circinans (e probabilmente
anche C. confusa), oltre ad altre specie appartenenti ai generi Leotia (L. lubrica) e Spatularia (S. flavida).
Non sono comunque descritti casi di intossicazioni dovute al consumo di ascomiceti diversi da Gyromitra,
nonostante il loro innegabile contenuto in gyromitrina.
Destituita di ogni fondamento in un recente lavoro pubblicato, la possibilità che Sarcosphaera crassa
contenga giromitrina (come da alcuni Autori era stato ipotizzato). La positività per tale sostanza
riscontrata in alcune specie di Helvella, dovrà invece far riconsiderare il giudizio di commestibilità su
questo Genere.
La Giromitrina è in realtà costituita da una miscela di una decina di sostanze quali la N-metil-N-formilidrazina successivamente idrolizzata a livello epatico in monometilidrazina (MMH), acetaldeide, ac.
formico e altri metil-formil-idrazoni altamente tossici. La MMH è uno dei più potenti veleni epato-tossici
conosciuti. Tale sostanza svolge un'azione tossica nei confronti delle cellule epatiche (attivazione
metabolica con produzione di radicali reattivi), dei globuli rossi (determina emolisi dei globuli rossi con
formazione di metaemoglobina i cui pigmenti vengono escreti con le urine), ma soprattutto delle cellule
del sistema nervoso centrale per inibizione della piridossina (analogamente a quanto avviene per
l’isoniazide, farmaco usato nella terapia della tubercolosi dell'uomo) e quindi dei sistemi enzimatici
piridossino-dipendenti (poiché la piridossina è un cofattore dell’acido glutammico), determinando una
diminuzione dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA) intracerebrale che è all’origine delle convulsioni che
si osservano spesso in questa sindrome.
La giromitrina è comunque una tossina idrosolubile, relativamente termolabile e fortemente volatile
anche a temperatura ambiente, tendendo perciò ad essere allontanata con adeguati sistemi di
preparazione o di conservazione come la bollitura senza coperchio e l’essiccamento. Si tenga conto
però che la cottura, anche se prolungata, non garantisce sempre una completa inattivazione o
allontanamento delle tossine presenti. Rimane il fatto, comunque, che questi funghi vengono tuttora
consumati da molte persone senza apparenti disturbi, soprattutto in Europa centrale, dove viene
mantenuta una solida tradizione culinaria. Tale tradizione è identificata dall’epiteto specifico, “esculenta”
appunto, postole all'inizio dell'800 e che sta a testimoniare il suo gusto prelibato, ma non di certo la sua
potenziale pericolosità!
La maggior parte delle intossicazioni descritte sono da ascrivere al consumo di "False spugnole" cioè di
funghi appartenenti al genere Gyromitra. Esse rappresentano un tipico esempio di tossicità per accumulo
cioè a dire per consumi di abbondanti (>500g) e/o ripetute quantità ingerite in un breve lasso di tempo
(1-3 giorni) e non sufficientemente trattate (cottura prolungata previa essiccazione). Sono state anche
descritte, seppur raramente, intossicazioni per inalazione sia in individui che lavoravano nelle industrie
dove venivano essiccate le Giromitre, sia per inalazione di vapori durante la cottura (in questo caso con
un tempo di latenza ridotto a 2 ore!).
Gli esemplari di Giromitra che crescono nell'Europa occidentale e meridionale sembrano essere meno
dannosi di quelli dell'Europa orientale ove sono stati segnalati casi di intossicazione letali soprattutto nei
bambini e soprattutto per accidentali ingestioni anche di piccole quantità di fungo crudo.
L'intossicazione si distingue anche per una grande variabilità della suscettibilità individuale,
mostrando per questa caratteristica alcune analogie con la sindrome orellanica.
Il quadro clinico, quando completo, è tipicamente bifasico. La prima fase è caratterizzata da sintomi di
ordine digestivo (senso di peso epigastrico,vomito anche grave, dolori addominali e raramente diarrea)
che sopraggiungono dopo una latenza da 6 a 24 ore, ciò che potrebbe rievocare, in questa fase, una
sindrome falloidea. Tuttavia, il carattere primaverile dell'intossicazione, la descrizione stessa grossolana
del fungo, così come la presenza di cefalee e soprattutto di febbre!, possono costituire elementi
chiarificatori. Possono ancora comparire in questa fase sonnolenza o agitazione, fascicolazioni e crampi
muscolari. In molti casi il quadro clinico si arresta a questo stadio ed in 2-6 giorni le condizioni
dell'intossicato evolvono verso la guarigione. In altri casi però, trascorso un periodo di 2-3 giorni, si
assiste ad una seconda fase caratterizzata da una sintomatologia d'organo. Gli organi bersaglio sono, in
ordine di comparsa, il fegato, il sangue (globuli rossi) ed il sistema nervoso centrale. Il danno epatico è di
tipo citolitico, generalmente moderato, cui segue il danno ai globuli rossi con emolisi ed ittero, che a sua
volta può complicarsi con un'insufficienza renale. In caso di intossicazione grave, si evidenzia il
sopraggiungere del danno neurologico con sintomi quali agitazione, vertigini, disturbi della vista, delirio,
convulsioni fino al coma. Ad eccezione dei casi in cui il fungo sia stato consumato crudo (bambini?!), i
casi mortali rispetto a questa sindrome sono estremamente rari.
In alcune pubblicazioni, questa sindrome viene considerata come una sindrome a breve latenza. In effetti
in alcuni intossicati, i tempi di latenza si sono manifestati entro le 4-6 ore. E' stato anche menzionato più
sopra il fatto che nei casi di inalazione di vapori del fungo durante la cottura o in fase di essiccazione, il
tempo di latenza si abbassa notevolmente ed in genere entro le 2-3 ore. Rimane comunque il fatto che
nella maggior parte dei casi segnalati il tempo di latenza mediamente si stabilizzava nelle 8-12 ore e
questo giustifica il fatto di considerare la sindrome giromitrica come una sindrome a lunga latenza. E'
innegabile il fatto che, in alcuni casi, soprattutto quando viene a mancare la seconda fase della
sintomatologia, questa sindrome potrebbe essere scambiata con quella gastrointestinale a breve latenza
(per esempio per il consumo di "spugnole vere" non sufficientemente cotte!). Considerato il fatto che,
sempre nella prima fase, lo scambio può avvenire paradossalmente anche con la sindrome falloidea, si
comprende come arduo sia a volte il compito per il clinico ed il micologo di emettere una diagnosi corretta
in mancanza di materiale fungino da poter esaminare (aspirato gastrico, avanzi di cottura/pulitura, ecc.).
Il trattamento è innanzitutto sintomatico: compenso delle perdite idroelettrolitiche, trattamento delle
convulsioni, sorveglianza pluriquotidiana dei parametri biologici (ionogramma, transaminasi,
creatininemia, tasso di protrombina, bilirubina, emogramma). Nei casi con sintomatologia grave, si
ricorre alla diuresi forzata come si trattasse di una sindrome falloidea (vedi).
La somministrazione di vitamina B6 in perfusione i.v. alla dose di 25 mg/kg in 15-30 minuti, può essere
proposta in caso di sintomi neurologici poiché la piridossina (o vit.B6) si è dimostrata essere il
naturale specifico antidoto.
Sindrome acromelalgica (o eritromelalgica)
Questa rara sindrome, descritta già all’inizio del secolo scorso in Giappone (Nakamura, 1987) ed in
Corea, è stata segnalata a Lanslebourg nel sud della Francia a ridosso dell’Alta Savoia nel 1996.
Recentemente è stata segnalata anche in Italia (Abruzzo) per un’intossicazione collettiva con sette
pazienti colpiti e avvenuta nel settembre 2002 ad Avezzano (AQ). Sempre in Abruzzo si è registrato un
nuovo caso nel 2005.
Specie fungina responsabile Clitocybe amoenolens (Clitocybe acromelalga è invece il fungo orientale
responsabile dell’analoga sindrome; recentemente pare che C. acromelalga sia stata ritrovata in Francia
ndr).
Tossine resposabili sarebbero alcuni acidi acromelici (tipo A, B, C, D ed E in C. acromelalga, il solo
acido acromelico di tipo A in C. amoenolens), sostanze idrosolubili e termostabili. Questi composti
aminoacidici mostrano un’omologia strutturale con gli acidi kainico e domoico, potenti neuro-eccitatori
che esercitano un’attività agonista per il recettore del glutammato (non NMDA sottotipo kainato). Il fatto
che i recettori per il glutammato sono classicamente localizzati sia a livello del sistema nervoso centrale
che nelle terminazioni poco o non mielinizzate della pelle e dei vasi sanguigni periferici, giustificherebbe
l’insorgenza del dolore periferico associato all’edema infiammatorio solo alle estremità in quanto gli acidi
acromelici non passano la barriera ematoencefalica ( il quadro clinico è perciò esclusivamente periferico).
Dopo una latenza di 24-72 ore che può anche protrarsi fino a 4-6 giorni (ciò ne favorisce un eventuale e
ripetuto consumo), compaiono sintomi definiti essenzialmente come forti dolori di tipo urente alle
estremità dei piedi e, a volte, anche delle mani, o di tipo “scossa elettrica” o “punture di spillo”, in rari
casi anche a livello dei talloni, della punta del naso e delle orecchie. Tali dolori avvengono per forti crisi
parossistiche soprattutto notturne, ma in alcuni casi anche diurne con frequenza anche di una crisi ogni
30 minuti. In corrispondenza delle zone doloranti si ha sempre la presenza di un edema grave che, nei
momenti parossistici, si associa ad eritema delle aree medesime. Tipica è inoltre la totale assenza sia di
segni di interessamento gastrointestinale che di sofferenza epatica e renale.
Le crisi sono aggravate dalla deambulazione, dalla stazione eretta e dal calore. Provoca sollievo solo
l’applicazione del freddo (acqua ghiacciata). Non hanno infatti molto effetto i più comuni farmaci
analgesici-antidolorifici o antinfiammatori. Miglioramenti molto modesti e temporanei si sono registrati,
nell’sperienza francese, dopo somministrazione di ac. Acetil-salicilico (aspirina) associata a vitamine del
complesso B. In Italia si è rivelato migliore l’effetto terapeutico ottenuto con la somministrazione del
metamizolo (Novalgina).
Risulta assai difficile per il medico in “prima battuta” sospettare un micetismo come responsabile dei
sintomi rilevati; normalmente si sospetta una polineuropatia “sine materia”. La quantità dei funghi e
l’assunzione ripetuta giocano un ruolo altrettanto importante nel determinare l’intensità e la durata del
malessere (la sindrome è chiaramente dose-dipendente). Caratteristicamente lungo è anche il tempo di
recupero; sono infatti necessarie alcune settimane o alcuni mesi e fino ad un anno e più per avere
una “restitutio ad integrum” completa. Anche se sono segnalate raramente sequele di cicatrici nelle arre
colpite, la sindrome decorre normalmente con esito favorevole.
Sindrome norleucinica
o nefrotossica o smithiana
Nel 1994 in Francia, nella regione a sud di Montpellier, venne segnalato e pubblicato un caso di
intossicazione da funghi che metteva in relazione la comparsa di un’insufficienza renale acuta con
l’ingestione di Amanita proxima. Successivamente sono stati segnalati (Pellizzari & Moser, Pagine di
micologia, n. 11, 1999) altri casi soprattutto nella costa pacifica dell'America settentrionale e
riguardavano Amanita del sottogenere Lepidella, principalmente Amanita smithiana e A. solitaria. I quadri
clinici assomigliavano alla sindrome orellanica, a causa di una elevata tossicità renale, ma mai si era
potuto isolare orellanina. Già negli anni fra il '66 e il '73, da questa Amanita era stato isolato un
aminoacido allenico non-proteico termostabile, la norleucina allenica (acido aminoexadienoico), di cui si
era dimostrata sperimentalmente la tossicità in alcuni animali. Recentemente è stata isolata anche la
clorocrotilglicina.
Allo stato attuale si è correlato questo aminoacido a questi casi di intossicazione umana e se ne è anche
dimostrata sperimentalmente la notevole differenza di effetti tossici sulle cellule tubulari renali rispetto
all'orellanina: l’orellanina blocca l’attività della fosfatasi alcalina dell’orletto a spazzola delle cellule dei
tubuli renali, la norleucina no. Questo fatto spiegherebbe la reversibilità del danno renale in questa
sindrome rispetto alla irreversibilità che di norma avviene in quella orellanica.
Anche in Estremo Oriente altri studiosi giapponesi isolarono la norleucina allenica in alcune Amanita dello
stesso gruppo (A. pseudoporphyria e A. neoovoidea), senza però confermarne la tossicità.
Recentemente anche in Italia si sono moltiplicate le segnalazioni di sindromi norleuciniche,
particolarmente nell’Italia centro-meridionale, dove più sono diffuse le amanite di questo gruppo e dove
sovente vengono anche tradizionalmente consumate. Le segnalazioni provengono soprattutto dalla
Toscana, Puglia e Sardegna.
Funghi responsabili di questa sindrome sono le Amanita appartenenti al gruppo ovoidea, come A.
ovoidea stessa e A. proxima.
Dopo circa 8-14 ore dall’ingestione(alcuni Autori riportano tempi di latenza inferiori, 4-10 ore, tanto da
porre questa sindrome in quelle a breve latenza), si ha comparsa di sintomi intensi gastrointestinali,
come nausea, malessere generale ed addominale, vomito, diarrea, sudorazioni, ansietà e nervosismo,
vertigini. Successivamente (tra le 24 e le 72 ore) e nei casi con accumulo dovuto a pasti abbondanti e/o
ripetuti, si assiste ad una progressiva riduzione della funzionalità renale fino alla oliguria ed anuria
completa. In alcuni casi si osserva anche un'insufficienza epatica con innalzamento dei valori di alcuni
enzimi (anche fino a 14 volte), con tendenza però a rientrare rapidamente verso la normalità.
La funzione renale, invece, viene ripristinata molto più lentamente e rimane a lungo disturbata, tendendo
comunque alla normalizzazione in 7-10 giorni.
La terapia è sintomatica e di supporto alla funzione renale ed epatica con prognosi per lo più favorevole
salvo casi con particolari complicazioni.
Anche in questa sindrome (come anche in quella giromitrica ed orellanica), esiste un'importante
variabilità individuale della sensibilità agli effetti della specie fungina responsabile, e perciò viene
consigliato di misurare la creatininemia plasmatica in tutti i commensali anche se asintomatici.
Sindrome rabdomiolitica
Si tratta di una sindrome di recentissima acquisizione studiata in Francia per un episodio occorso
nell’anno 2.000 che vide colpite una trentina di persone con 9 decessi (25% con dimostrazione autoptica
di cardiotossicità) che avevano consumato una specie fungina fino allora ritenuta commestibile, il
Tricholoma equestre (=T.flavovirens) e/o della sua varietà auratum.
Tale specie fungina era presente in Italia addirittura nella lista nazionale dei funghi ammessi alla vendita
e che ora, con apposito decreto, ne è stata vietata sia la vendita che la raccolta! In realtà si è potuto
dimostrare che tale micetismo avviene quando la specie fungina responsabile viene consumata in grandi
quantità ed in assunzioni ripetute in 2-3 giorni con 3-6 pasti consecutivi (per riprodurre la sindrome negli
animali da esperimento sono necessarie dosi molto elevate in rapporto al peso!).
Nel 2002, sono stati riportati 2 casi in Polonia (madre-figlio) conseguenti a 9 pasti consecutivi di
Tricholoma equestre. (In oriente - Taiwan 2001 - sono stati segnalati casi di rabdomiolisi per ingestione
di funghi appartenenti alla specie Russula subnigricans che differiscono però da quelli di T. equestre per
le diverse tossine isolate, per avere una tempo di latenza breve – 1/2 ore – e perché succedono dopo un
consumo anche di modeste quantità di fungo).
In Italia non sono stati segnalati casi di questa intossicazione.
La tossina responsabile non è stata isolata con certezza, ma si ipotizza essere una citocalasina
(citocalasina B, sostanza ad effetto rabdomiolitico e prodotta normalmente da alcuni Mixomyceti che
possono parassitare altri funghi, Tricoloma equestre compreso).
La rabdomiolisi è una grave evenienza clinica dovuta a distruzione o a lesioni a carico delle fibre
muscolari striate (lesioni con rottura del sarcolemma e successiva fuoriuscita di enzimi, mioglobina ed
altre sostanze). Le creatinfosfochinasi (CPK), enzimi indicatori di danno alla muscolatura striata, sono
molto elevate (anche > di 100.000 UI/l). Dopo 1-3 giorni dall’ultimo pasto, compaiono grave astenia,
malessere, affaticamento, mialgie con crampi e rigidità muscolare soprattutto agli arti inferiori (cosce e
polpacci), sudorazione, polipnea, eritema al viso, danno renale con urine scure (mioglobinuria) ed
oliguria-anuria temporanea.
Tipica l’assenza di sintomi gastroenterici. Il decesso avviene in un contesto di insufficienza cardiaca ribelle
al trattamento. L’istologia ha dimostrato una necrosi dei muscoli striati del diaframma e del
miocardio.
Pur trattandosi di un’evenienza piuttosto rara, è bene che il medico tenga presente che nell’eziologia di
una rabdomiolisi (es.: gravi traumi in persone rimaste schiacciate sotto le macerie e per molto tempo
come avviene nei terremoti, o per alcune malattie immunitarie, o nel corso di particolari infezioni
batteriche e virali, o per combinazioni di alcuni farmaci come le “statine”) anche una responsabilità
fungina è da tenere in debito conto nella diagnosi differenziale.
La terapia è di supporto generale cardiovascolare e renale (consigliabile il ricovero in ambienti
rianimativi).
Per cercare di trovare un’eziologia plausibile a spiegare l’insorgere di questa sindrome con il consumo di
funghi, alcuni Autori avevano già dimostrato che T. equestre somministrato secco a dosi di 9g/kg di
peso/die per 5 giorni era in grado di dare un significativo aumento delle CK e quindi potenzialmente in
grado di riprodurre la sindrome rabdomiolitica occorsa in Francia. Gli stessi Autori scoprirono però che gli
stessi risultati si ottenevano anche con il consumo del fungo B. edulis. Nieminen et all. (2006) ha studiato
le variazioni delle CK in topi di laboratorio somministrando loro dosi crescenti di funghi commestibili per 5
giorni consecutivi rispetto ad un gruppo di controllo con dieta priva di funghi ed un altro con una dieta
contenente una sostanza sicuramente capace di provocare rabdomiolisi (p-Phenylenediamine). I funghi
testati erano Russula spp. a sapore dolce, Cantharellus cibarius, Albatrellus ovinus e Leccinum versipelle.
L’attività delle creatinkinasi plasmatiche aumentò con tutte le specie di funghi studiati quando
somministrati alla dose di 9 g di fungo secco/kg di peso corporeo/die, mentre l'esame istologico di
muscolo e di fegato non mostrava alcuna alterazione in nessun soggetto esaminato. I risultati sostengono
l'ipotesi che gli effetti tossici osservati in precedenza non sono specifici di T. equestre, ma probabilmente
rappresentano una non specifica risposta dovuta ad una sensibilità individuale che per manifestarsi
richiede una notevole dose di fungo ingerito.
Questi lavori, seppur allarmanti, non danno ancora una risposta che spieghi quello che è successo in
Francia ed in Polonia. L’ipotesi attualmente più plausibile rimane quella di un consumo a dosi elevate e
per un periodo sufficientemente lungo di funghi commestibili (non necessariamente di T. equestre)
raccolti in determinate e circoscritte zone nelle quali potrebbero essere stati parassitati da un
micromicete produttore di citocalasine.
Pleurotus ostreatus coltivato somministrato a topi di laboratorio alle stesse dosi non ha provocato
alcun significativo aumento delle creatinchinasi plasmatiche, mentre L. edodes si. (Bedry 2001).
Sindrome di Szechwan
Pur essendo stata descritta per la prima volta nel 1980 da un ematologo del Minnesota, tale Dr.
Hammerschmidt, questa sindrome non compare nei testi classici di micotossicologia (eccezion fatta per il
libro di D.Benjamin - 1995) per cui risulta pressoché sconosciuta alla gran parte dei micologi e alla quasi
totalità dei medici. Il nome “Szechwan” deriva da una zona molto povera della Cina (Sse-tch’ouan) dove
il fungo responsabile di questa sindrome, l’Auricularia auricula-judae (e anche Auricularia polytricha),
viene ampiamente coltivato per la cucina tradzionale.
L’ematologo statunitense aveva notato tra i suoi pazienti un numero troppo elevato di casi di misteriose
emorragie e/o di porpore emorragiche nella sua clientela. La ricerca eziologia aveva infatti escluso quelle
rare affezioni dovute a difetti genetici e quelle provocate da quei farmaci che agiscono sull’aggregazione
piastrinica (aspirina, FANS, …). Finì con il constatare che parecchi di questi erano consumatori abituali e
fanatici di una “discutibile” preparazione cinese anche acquistabile nei supermercati, il <<mio-po
tofu>> a base, appunto, del fungo incriminato.
Successivamente studiata dal Benjamin, questa sindrome tossica si è sviluppata tra il 1970 ed il 1980 in
differenti ristoranti cinesi degli Stati Uniti, specializzati di cucina cantonese, che proponevano alcune
ricette dello Szechwan, ma anche di Hunan, Pechino e di altri territori cinesi.
Auricularia auricula-judae, il cosiddetto “Orecchio di Giuda” (per la crescita che ricorda forma e
consistenza di un padiglione auricolare e per la fruttificazione che spesso avviene sulla pianta del
sambuco. Per antica cultura popolare, si è creduto che questo fungo rappresentasse gli orecchi del
traditore di Gesù, impiccatosi a questo albero dopo l’ultima cena), è fungo considerato commestibile e
largamente coltivato in tutto l’Oriente, anche per le proprietà benefiche e terapeutiche che gli sono
attribuite soprattutto dagli “avanguardisti” della medicina naturale (anticancerogeno, antiemorroidario,
antitrombotico, utile nei traumi, nelle contusioni, lombaggini e dolori reumatici, con l’unica
controindicazione in caso di gravidanza).
Se consumato troppo di frequente ed in quantità eccessive, o, peggio ancora, associato a sostanze
(zenzero, altro tipico ingrediente della cucina cinese) o a farmaci anticoagulanti (aspirina, FANS,
dicumarolici), questo fungo può provocare 8-10 ore dall’ultimo pasto porpore emorragiche cutanee ed
emorragie interne ed esterne (epistassi o sanguinamento oltre la norma di piccole lesioni cutanee) più o
meno gravi a seconda del lotto commercializzato per la presenza di differenti concentrazioni dei
metabolici tossici. Le sostanze responsabili di questa sindrome, non sono ancora state identificate (sono
comunque termostabili).
La terapia è sintomatica e la prognosi, di solito, fausta. Per il medico, questa sindrome deve essere
tenuta in considerazione per la diagnosi differenziale con altre porpore emorragiche.
Sindrome cerebrale (o da acido poliporico)
Il fungo incriminato è l’ Hapalopilus rutilans responsabile in Germania di 3 casi di intossicazione
(probabilmente scambiato per Fistulina hepatica!) caratterizzati per la comparsa di disturbi digestivi
tardivi (10-12 ore dal pasto) e di urine di color viola. Un bambino di 7 anni ha presentato dopo 12 ore,
sintomi a carico del fegato, dei reni (aumento delle ALAT e della creatininemia) e del sistema nervoso
centrale (capogiri, atassia, sonnolenza, agitazioni, visioni ed alterazione del tracciato
elettroencefalografico [EEG] compatibile con un edema cerebrale). Questa sintomatologia, attribuita alla
presenza di forti concentrazioni di acido poliporico (chimicamente è un derivato diidrochinonico)
presente nei pigmenti di questo fungo (40% del suo peso!), è stata in parte riprodotta nel ratto anche a
dosi micromolari.
La terapia seguita in questi casi fu quella di una gastrolusi (lavanda gastrica) se entro 6 ore dal pasto
oppure la somministrazione di carbone attivo, l'innevitabile trattamento di reidratazione e un breve
periodo di emoperfusione o dialisi peritoneale o emodialisi, per combattere l'insufficienza renale acuta in
atto. Tutti e tre gli intossicati si ristabilirono completamente.
Sindrome Encefalopatica
Nel 2004 e 2005, sono stati segnalati in Giappone (Kato T. et all./2004 – Kuwabara T. et all./2005 –
Obara K. et all./2005) alcuni casi di encefalopatia dovuti al consumo di un fungo, Pleurocybella
porrigens, con esito mortale in molti casi.
In realtà, tutti i 17 pazienti coinvolti soffrivano già da tempo di insufficienza renale cronica e molti di essi
erano in dialisi. Tutti i pazienti avevano consumato (in grandi quantità!) lo stesso fungo, localmente
chiamato “Sugihiratake” (=”Pleuroto del sugihir” che è un grande albero simile al cedro del libano “angel’s wing mushroom” =”fungo ad ala d’angelo”, è invece il nome del fungo nei paesi anglosassoni) e
dopo una latenza di circa 2-3 settimane (!), avevano tutti quanti manifestato sintomi al sistema nervoso
centrale (lesioni edematose plurifocali).
I sintomi durarono per più giorni (anche per più settimane in molti casi) e comprendevano astenia,
atassia, dolore alle estremità, parestesie, e dopo 4-5 giorni sostituiti da tremori, disturbi della coscienza
ed epilessia (fino allo stato epilettico). Ci fu sempre assenza di disturbi gastrointestinali. 6 di essi
morirono e 5 rimasero con gravi conseguenze neurologiche. La terapia consistette nella somministrazione
di corticosteroidi. Suggestivo fu il fatto del constatare che quelli che si salvarono erano quelli con un
danno renale pregresso più lieve. La prognosi dipese perciò dall’entità della nefropatia pregressa.
Successivamente sono stati segnalati altri casi, sempre contraddistinti da una altissima mortalità e
sempre accaduti solo in persone che soffrivano di insufficienza renale. L’eziologia della sindrome rimane
ancora sconosciuta. Tra le varie ipotesi, si sospetta un’azione indotta da sostanze contenute nel fungo
che alla fine porterebbero ad una ipocalcemia acuta.
Le sindromi a breve latenza
Sindrome
Sindrome
Sindrome
Sindrome
Sindrome
Sindrome
muscarinica
panterinica
psilocibinica
coprinica
paxillica
gastrointestinale
Sindrome muscarinica (o sudoripara o neurotossica
colinergica)
La tossina responsabile è la muscarina. Si tratta di una tossina idrosolubile termostabile con una DL/50
(Dose Letale Media) per l’uomo non ancora stabilita con certezza, ma stimabile in 40-180 mg.; altri
Autori suggeriscono invece una DL50 di 180-330 mg., pari a circa 100-150 grammi di fungo fresco.
Poichè molto simile chimicamente al neurotrasmettitore fisiologico acetilcolina, la muscarina reagisce
specificamente con gli stessi recettori stimolati dall'acetilcolina del parasimpatico presenti negli organi
vegetativi (>>apparato digestivo, respiratorio, cardiovascolare ed oculare) e nel sistema ghiandolare
(>>gh. salivari, lacrimali, intestinali e sudoripare). Non agisce invece assolutamente con i recettori
colinergici dei muscoli striati scheletrici. Non essendo inattivata dalla acetilcolinesterasi, stimola a lungo la
terminazione parasimpatica, e può essere bloccata solo dall'atropina che agisce con un meccanismo di
antagonismo specifico. In altri termini, poiché la muscarina possiede una struttura chimica molto simile a
quella dell'acetilcolina, la sua presenza nell'organismo imita gli effetti di quest'ultima (effetto colinergico),
con la differenza di una maggiore permanenza, in quanto non degradata dal suo specifico inibitore
fisiologico, la acetilcolinesterasi. La muscarina sostanzialmente inganna il recettore dell'acetilcolina,
comportandosi cioè da falso trasmettitore e provocando quindi un eccesso di reazioni colinergiche.
Le specie fungine responsabili di questa sindrome appartengono al genere Inocybe (dimostrata in
almeno una cinquantina di specie - tra cui I. amethystina, striata=acuta, brevispora, flocculosa, geophylla
e sue varietà, auricoma, bongardii, cervicolor, dulcamara, erubescens=patouillardi, fibrosa, geophylla,
hirtella, lacera, langei, lanuginosa, maculata, mixtilis, napipes, praetervisa, pusio, queletii,
rimosa=fastigiata, sindonia, splendens, subcarpta=boltonii, terrigena, asterospora, curtipes, godeyi,
griseolilacina, napipes, umbrina, assimilata, auricoma, heimii, whitei, soluta, ecc. - si sospetta che quasi
tutte le inocibi contengano muscarina), al genere Clitocybe (diverse specie soprattutto tra quelle
bianche di piccola taglia, in particolare le Sezioni "Candicantes" e "Lignatiles": C.rivulosa,
cerussata=pityophyla, fragrans=suaveolens, dealbata e sue varietà, candicans, ericetorum, phyllophila,
obsoleta=deceptiva, graminicola, velenovskyi, augustissima) e al genere Mycena: pura, rosea e
pelianthina
Il quadro clinico è caratterizzato da un periodo di latenza breve, da 15-30 minuti dall'ingestione sino a 2
ore, ed a rapida insorgenza tanto che i soggetti iniziano spesso ad avere i primi disturbi quando sono
ancora a tavola. Viene spesso riferito come uno dei primi disturbi sia la difficoltà di visione determinata
da una paralisi dell'accomodazione e riduzione della pupilla (miosi). Rapidamente compare una
sudorazione abbondante e generalizzata accompagnata da aumento della salivazione, abbondanti
secrezioni nasali, oculari (lacrimazione) e bronchiali (con dispnea che può evolvere in edema polmonare).
Anche i sintomi a carico dell'apparato gastro-enterico sono precoci con nausea e vomito accompagnati
successivamente da diarrea. Vi è una riduzione della pressione arteriosa per vasodilatazione periferica e
riduzione del battito cardiaco (bradicardia con blocchi atrioventricolari). Spesso i soggetti lamentano
ansietà, vertigini, tremori ed è riferita una sensazione come di morte imminente. Normalmente si assiste
ad una risoluzione spontanea dei sintomi in 12-16 ore. Rari, ma possibili, i decessi per collasso
cardiocircolatorio o paralisi respiratoria.
La muscarina è mal assorbita a livello digestivo e non passa la barriera ematoencefalica per cui non ha
alcuna azione neurologica centrale e non vi sono sintomi a carico del sistema nervoso centrale.
In questo caso la terapia è specifica (unico caso conosciuto nella terapia delle intossicazioni da
funghi in cui è possibile usare un antidoto specifico) : Atropina solfato (da 0,5 a 1 mg. i.v., da
ripetere ogni 15 minuti in funzione del quadro clinico). Le intossicazioni con possibile complicanza
cardiovascolare giustificano una sorveglianza in sala di rianimazione. La sintomatologia si risolve
generalmente e anche spontaneamente in poche ore. Il compenso delle perdite idroelettrolitiche può
essere necessario in taluni casi.
Sindrome panterinica
(o micoatropinica o neurotossica
anticolinergica)
Le tossine responsabili identificate sono dei derivati ad azione psicogena a breve latenza costituiti
principalmente da isossazoli quali l’acido ibotenico e diidroibotenico, il muscimolo ed il muscazone
(quest'ultimo poco attivo e praticamente non tossico); sono state isolate anche altre sostanze per lo più
ad azione simil-atropinica.
Tra tutte queste, l’acido ibotenico ed il suo metabolita muscimolo, sono quasi per intero le tossine
responsabili della tossicità di questi funghi, essendo sostanze molto attive a livello del sistema nervoso
centrale.
La DL/50 (Dose Letale Media) è di 90mg. Quantitativi di 30-60mg di l'acido ibotenico e di 5-10mg di
muscimolo sarebbero sufficienti per provocare effetti tossici. Tale dose è contenuta in circa 150-200gr. di
fungo fresco A. pantherina ed in circa 300-400 gr. di fungo fresco A. muscaria.
A.pantherina 460 mg di Ac. ibotenico / 100g di fungo secco
A.muscaria
180 mg di Ac. ibotenico / 100g di fungo secco
Gli esatti meccanismi di azione di tali sostanze non sono ancora noti, ma è stata messa in evidenza una
notevole somiglianza strutturale tra l’ac. ibotenico e l'acido glutammico e tra il muscimolo e l'acido
gamma-amino butirrico (GABA), cioè con alcuni neurotrasmettitori fisiologicamente presenti a livello del
sistema nervoso centrale. E' verosimile quindi che il muscimolo agisca a livello centrale imitando i normali
neurotrasmettitori che agiscono a livello dei recettori GABA.
La sindrome panterinica è caratterizzata soprattutto da disturbi a carico del sistema nervoso centrale con
manifestazioni fisiche e psichiche. I funghi responsabili identificati sono Amanita pantherina e A.
muscaria (comprese tutte le loro forme e varietà) e probabilmente anche A. gemmata (e A.
cothurnata e A. cokeri in Nordamerica).
L'A. muscaria è stata usata per secoli, a scopo voluttuario allucinogeno, da diverse popolazioni asiatiche,
siberiane e indie. L’ac. ibotenico è anche un insetticida che attrae e uccide le mosche: questo è il motivo
del nome “ muscaria” dato a questa Amanita già nel tredicesimo secolo.
Il tempo di latenza è breve e va da 30 minuti a 3 ore. La sintomatologia è variabile, ma soprattutto le
differenze si hanno tra soggetti che ingeriscono volontariamente allo scopo di voler provare un "viaggio"
allucinatorio, rispetto a quelli intossicati accidentalmente.
Nell'esperienza di Wasson con l'A. muscaria, egli descrive un sonno profondo con delle visioni al quale
succede uno stato allucinatorio con macropsie (fenomeno soggettivo che procura la percezione degli
oggetti più grandi che in realtà). E’ chiaro che i consumatori volontari descrivono tali esperienze in
termini molto più positivi rispetto alle persone intossicate accidentalmente.
Manifestazioni fisiche. Di norma nelle intossicazioni accidentali i disturbi digestivi quali nausea,
vomito, diarrea, dolori addominali sono di solito assenti o di modesta entità. Tali disturbi digestivi
sono presenti normalmente nei casi piuttosto benigni o a media gravità, mentre sono assenti nei casi
gravi, a seguito di ingestioni massive ed a evoluzione rapida verso il coma.
I segni tipici di questa sindrome compaiono bruscamente e comprendono un senso generale di malessere,
nausea, vertigini, stato confusionale con agitazione ed euforia come a simulare un’intossicazione da
alcool. Spesso gli intossicati sembrano come ubriachi soprattutto quando il fungo responsabile è l’A.
pantherina! Vi sono spesso anche disturbi motori con incoordinazione dei movimenti (atassia) o
fascicolazioni muscolari (tali che spesso non si riesce ad eseguire una lavanda gastrica), tremori e crampi
muscolari, debolezza muscolare e più raramente iperriflessia, disturbi sensitivi transitori. Nelle
intossicazioni gravi, soprattutto in bambini ed anziani che hanno ingerito quantità discrete dei funghi
incriminati, compaiono crisi convulsive e depressione centrale fino al coma profondo cui può seguire
anche la morte in rari e particolari casi.
Frequentemente vi è agitazione psicomotoria con sintomi simili all'accesso maniacale che si presenta con
logorrea o raramente con mutismo, euforia o raramente depressione, vi è inoltre uno stato confusionale
con disturbi della coscienza frequentemente sotto forma di disturbi dell'attenzione, sonnolenza, stupore,
confusione.
Manifestazioni psichiche. Compaiono soprattutto quando il fungo responsabile è A. muscaria. Le
allucinazioni sono soprattutto visive, auditive o cenestopatiche (allucinazioni della sensibilità). Frequenti
sono le vertigini mentre la cefalea in questa prima fase è rara. Vi può essere anche delirio, talvolta a
tema religioso. L'intossicazione da A. pantherina, come più sopra specificato, decorre solitamente senza
queste manifestazioni psichiche ed è spesso descritta invece come uno stato di ebbrezza alcoolica che
può evolvere a stati di coma più o meno gravi e profondi.
In alcuni soggetti è stata evidenziata una riduzione delle capacità intellettuali nelle 2-3 settimane
seguenti. Vi sono inoltre disturbi anticolinergici (probabilmente dovuti ad azione di altre sostanze ad
azione atropino-simile presenti in queste specie fungine) quali dilatazione pupillare (midriasi), bocca
asciutta, pelle secca e spesso anche disturbi a carico del sistema cardiovascolare quali aumento del
battito cardiaco (tachicardia) ed riduzione della pressione arteriosa (ipotensione).
La differente gravità della sintomatologia o della tossicità sarebbe da ascrivere alla differente
concentrazione delle tossine che cambierebbe a seconda della stagione (>in estate!?) e dalle zone di
raccolta dei funghi responsabili.
La variabilità dei sintomi in questa sindrome non rende sempre agevole una diagnosi certa. Si assiste
infatti ad una sintomatologia quasi da paradosso: una prima fase con sintomi di stimolazione eccitatoria
del sistema nervoso centrale ed una seconda fase con sintomi dovuti a stimolazione inibente sulle stesse
aree. Ciò è in parte spiegato dal fatto che nelle prime ore i sintomi sono dovuti all’azione degli ac.
ibotenici che sono dei “falsi” mediatori neurologici del ac. glutammico (eccitatori), mentre, mano a mano
che tali acidi sono metabolizzati a muscimolo (dieci volta più attivo e con effetto inibitorio in quanto simile
ai GABA-recettori), in un secondo tempo si assiste alla comparsa di sintomi di depressione del sistema
nervoso centrale (sonno o coma).La durata dei sintomi è di solito di 4-8 ore e di solito non lascia sequele.
Dopo circa 10-15 ore dall'esordio della sintomatologia, spesso compare cefalea (che durerà per molti
mesi) in caso di A. pantherina, e sonno profondo con A. muscaria. Al suo risveglio, l'intossicato spesso
non ricorderà nulla (amnesia retrograda).
L'evoluzione è generalmente e spontaneamente favorevole in 12 – 24 ore. La terapia è aspecifica
(lavanda gastrica, carbone attivo per diminuire l’assorbimento delle tossine, soluzioni idrosaline). Se è
presente un’agitazione importante, può essere necessaria una sedazione con benzodiazepine.
In letteratura sono segnalati rari casi mortali conseguenti al consumo di rilevanti quantità della sola A.
pantherina.
NB: E’ segnalata una sindrome detta del “formicolio” (comunicazione personale dal dott. Marchetti
Euro – Tolmezzo) con sintomatologia a breve latenza caratterizzata da parestesie e formicolii alla regione
della testa e del collo, spalle e punta delle dita, eventualmente accompagnata da lievi sintomi
gastroenterici. In 24 ore si ha la remissione spontanea della sintomatologia senza intervento terapeutico.
Fungo responsabile in questo caso è l’Amanita citrina (e forse anche A. porphiria) che si è dimostrata
contenere una tossina neurotropa, la bufotenina (sostanza indolica).
Sindrome psilocibinica (o narcotica o allucinogena o
psicodisleptica)
La sindrome psilocibinica, nota anche come "micetismo cerebrale", è causata prevalentemente da funghi
appartenenti al genere Psilocybe, soprattutto se consumati crudi oppure essiccati in infusione. Gli
effetti allucinogeni di tali funghi erano già noti agli antichi popoli di tutti i continenti.
Le tossine responsabili sono principalmente la psilocibina, defosforilata a livello epatico nella forma
attiva che è la psilocina. Sono state isolate anche altre sostanze come bufotenina, beocistina e
norbeocistina, ma il loro effettivo coinvolgimento in questa sindrome è ancor oggi oggetto di studio.
Trattasi per lo più di derivati dell'indolo (alcaloidi indolcii) dotati di struttura chimica molto simile alla
dietilamide dell’acido lisergico (LSD) che agiscono soprattutto a livello dei recettori serotoninergici.
A differenza di altre sostanze (extasi), non provocano danni permanenti al SNC e non danno dipendenza
(come gli oppiacei). Sono invece responsabili di tolleranza, per cui nei consumatori abituali sono
necessarie dosi sempre maggiori nel tempo per ottenere analogo effetto. Si ritiene che 4-8 mg di
psilocibina contenuta in 20 g di funghi freschi o in 1-3 g di funghi secchi siano in grado di produrre
allucinazioni.
Si dice che nel mondo vi siano più di 120 specie di funghi allucinogeni (accertata per il momento la
presenza di una ventina di specie anche in Italia) appartenenti a diversi gruppi tassonomici:
Genere Psilocybe : semilanceata, cyanescens, callosa, cubensis, rhombispora, montana,
merdaria, coprophila, crobula, muscorum, semistriata e physaloides rappresentano le specie
italiane-europee più comuni contenenti psilocina ed almeno altre 15-20 specie tropicali, fra cui le
più famose sono la mexicana, atzecorum, sempreviva (coltivabile) e la zapatecorum.
-
Genere Panaeolus : 4 le specie italiane contenenti costantemente psilocibina: P. cyanescens,
subbalteatus, cinctulus e foenisecii (=Panaeolina foenisecii). Altre specie sono invece psilocibinolatenti (concentrazioni variabili ed incostanti di Psilocibina): P. ater, fimicola, sphinctrinus,
acuminatus, campanulatus=retirugis=papilionaceus, semiovatus ed almeno altre 10-15 specie
tropicali.
-
Genere Stropharia : rugosoannulata, semiglobata e molte altre specie europee (cubensis e
venerata le specie tropicali più note). Non tutti gli Autori riconoscono come allucinogene le specie
europee rientranti in questo genere, in quanto solo le specie tropicali conterrebbero quantità
elevate di Psilocibina.
-
Genere Gymnopilus :
-
Genere Mycena : cyanorrhiza, amicta ed incostantemente M. pura (e probabilmente anche
spectabilis? (non conterrebbe psilocibina in Europa; però contiene quantità
elevate di triptofano, amminoacido precursore della sintesi dei composti ad azione allucinogena),
sapineus e forse altre specie europee (G. fulgens) ed altre 3-4 specie americane.
M.rosea e M. pellianthina) che contiene quantità elevate di triptofano, amminoacido precursore
della sintesi dei composti ad azione allucinogena.
-
e anche in alcune specie del Genere Conocybe (cyanopus, subovalis e pubescens), del genere
Pluteus (salicinus, cyanopus e cervinus), del genere Pholiota (adiposo-squarrosa), del genere
Rickenella (fibula e swartzii), del genere Inocybe (aeruginascens, tricolor e corydalina), e,
secondo altri Autori, in alcune specie come Hygrophoropsis aurantiaca (?), Laetiporus sulphureus
(?)
, ma i dati disponibili in letteratura sono tutt’altro che univoci e spesso contradditori.
Ci sono altri funghi che possono dare una sindrome allucinogena, ma le sostanze responsabili
in essi contenute sono diverse dalla Psilocibina. Tra esse ricordiamo la forma “convulsiva”
dell’ergotismo dovuta a Claviceps purpurea, fungo ascomicete parassita della segale e di altre
graminacee, ad Amanita muscaria e panterina – vedi relativa sindrome panterinica -, a
Cortinarius infractus ed in alcune specie appartenenti alla Famiglia delle Polyporaceae (alcuni
Trametes e Phellinus).
Questo tipo di intossicazione è generalmente volontario e a scopo ricreativo. Il tempo di latenza è molto
breve e i primi segni clinici compaiono da 30 minuti a 1 ora, per durare 2-4 ore, per poi regredire
spontaneamente in 12-48 ore. I principali effetti sull'organismo sono di due ordini: quelli fisici e
quelli psichici. I primi possono comprendere cefalea, stordimento, vertigini, disturbi dell’equilibrio,
miastenia, bradicardia con ipotensione. Talvolta compaiono nausea e vomito, ma sempre in forma lieve.
I sintomi psichici, invece, possono essere vissuti a seconda dello stato d’animo e dall’aspettativa di chi ha
consumato i funghi, dalla sua personalità o dalle precedenti esperienze fatte, sia positivamente (“good
trip”) che negativamente (“bad trip”). Possono infatti comparire senso di felicità, euforia o diseuforia,
ansia, estroversione alternata a periodi di mutismo, allucinazioni visive, uditive, olfattive, gustative,
sensazioni di depersonalizzazione ed alterazione della percezione del tempo e dello spazio, delirio.
La sfrenatezza può manifestarsi con agitazioni psicomotorie, aggressività o sensazioni erotiche.
La terapia è aspecifica e comprende inizialmente una lavanda gastrica. Successivamente, la
somministrazione di un sedativo può essere necessaria in caso di ansietà importante o al bisogno.
Sono state riportate eccezionalmente alcune complicazioni gravi (convulsioni, coma, infarto,
decesso) e sono sempre legate ad un'ingestione massiccia di funghi. Un consumo prolungato di funghi
allucinogeni, può provocare danni cronici al SNC, ad esempio con attacchi di panico, psicosi e
allucinosi croniche.
Il consumo di funghi allucinogeni è in costante aumento (anche perché di facile reperimento nel mercato
telematico) mentre il numero di segnalazioni di casi di intossicazione è sempre limitato (n.23 casi
segnalati dal CAV di Milano nel 2004 di cui 13 provenienti dal solo raduno rock di Modena). Il motivo è
dovuto perché i consumatori di questo tipo di droga sono abituali e ben informati del dosaggio e del tipo
di funghi che consumano; i casi di intossicazione invece, coinvolgono di solito i meno esperti o quelli che
vogliono provare a tutti i costi, solitamente per moda, un "viaggio" micologico con un bagaglio di
conoscenze del tutto empiriche e spesso errate. Si pensi che solitamente vengono raccolti per
allucinogeni tutti i funghi che rispondono alle seguenti caratteristiche: piccoli, con lamelle scure e
crescenti preferibilmente su escrementi animali o su residui legnosi!. Con questa pericolosa regola
empirica, sono state segnalate intossicazioni falloidee per ingestione di funghi appartenenti ai generi
Galerina e Conocybe!
Sindrome coprinica
Causata dalla presenza in alcuni funghi di coprina (composto aminoacidico derivato del ciclopropanone o
N5-(idrossiciclopropil)-L-glutamina) qualora ingerita assieme a bevande alcooliche. Tale tossina, pur
presentando una struttura chimicamente diversa, determina gli stessi effetti di quei farmaci (Disulfiram)
che venivano usati in passato per il loro effetto “antabuse” cioè per dissuadere gli alcolisti cronici all’uso
dell’alcool. Il meccanismo d’azione è legato al fatto che la coprina ed i suoi derivati (1aminociclopropanolo) bloccano la degradazione dell’alcool a livello di acetaldeide che è sostanza tossica
per l’uomo (il blocco avviene per inibizione diretta della coprina sull’enzima acetaldeide-deidrogenasi che
altrimenti catalizzerebbe la trasformazione dell’acetaldeide in acido acetico, sostanza non tossica per
l’uomo). Così, l'ingestione di alcool durante o dopo, e fino al terzo giorno dal pasto, provoca un effetto
antabuse per inibizione del metabolismo dell'alcool etilico allo stadio dell'acetaldeide.
Funghi responsabili sono sicuramente il Coprinus atramentarius, ma anche diverse altre specie fungine
hanno saltuariamente fatto registrare degli effetti "antabuse", più o meno rilevanti, se consumate
congiuntamente a bevande alcoliche (Coprinus alopecia, Clitocybe clavipes e Boletus torosus, nonché,
secondo altri Autori, Boletus luridus, Tricholoma equestre/auratum, Laetiporus sulphureus, Morchella s.l.
e Ptychoverpa bohemica). Poiché questi effetti sono alquanto sporadici e legati verosimilmente ad una
grandissima variabilità individuale, i funghi qui elencati non possono essere ritenuti in assoluto velenosi,
ma certo da considerare con una certa precauzione.
Dopo una latenza da 30 minuti fino ad un’ora, il quadro clinico è caratterizzato da una sensazione
come di “vampate di calore” e dalla comparsa contemporanea di rossori al volto e alle parti superiori del
torace (possibile scambio in questa fase con la "sindrome da ristorante cinese" in soggetti intolleranti al
glutammato monosodico) .
In alcuni casi è stata riportata la comparsa di sintomi anche dopo qualche giorno dall'ingestione del
fungo, mentre in alcuni soggetti vi può essere una totale assenza di sintomi. Questo fatto può trovare
spiegazione nella diversa tolleranza individuale verso le sostanze alcoliche. E’ stata anche segnalata la
possibilità che anche l’uso di dopobarba a base alcolica possano indurre la comparsa della tipica
sintomatologia in soggetti che avevano consumato C. atramentarius nelle 40-72 ore precedenti.
Successivamente compaiono ipotensione, difficoltà di respirazione con sensazione di oppressione e di
costrizione al torace. Più raramente compaiono sintomi gastroenterici quali nausea, vomito e diarrea,
come pure sudorazione, cefalea e disturbi visivi. L’evoluzione è spontanea e favorevole nella maggioranza
dei casi ed avviene in alcune ore.
Sindrome paxillica
Non si tratta di un vero e proprio micetismo, ma di una grave malattia immunitaria (o allergica) che non
colpisce perciò tutte le persone, ma solo alcuni singoli individui che si erano sensibilizzati in precedenza
verso uno specifico antigene proteico (un difenilciclopentenone chiamato involutina) presente nel fungo
Paxillus involutus (gruppo) e Paxillus filamentosus (sarebbero stati segnalati isolati casi anche con il
consumo ripetuto di altre specie fungine quali il Suillus luteus ed il Boletus luridus).
Poiché le specie responsabili sono considerate commestibili, anche se a commestibilità condizionata ad un
tempo di cottura prolungato per la presenza di tossine tremolabili (vedi “Le false intossicazioni”), molti
raccoglitori ne smentiscono la pericolosità perseverando nella loro raccolta e consumo. Ciò li espone a
gravi rischi non solo per se stessi, ma anche per gli altri eventuali commensali.
Si tratta in ogni caso di un’eventualità molto rara anche se sono stati segnalati numerosi episodi negli
ultimi vent’anni, talora con esito mortale.
Generalmente la sindrome paxillica compare in persone abituate da tempo a mangiare questo
fungo (in Polonia, ad esempio, la raccolta di questo fungo è molto diffusa e popolare) e che avevano
precedentemente già osservato alcuni fenomeni di intolleranza (così come avviene in tutte le
allergie e/o intolleranze alimentari, esse non compaiono improvvisamente, ma iniziano un po’ alla volta
fino ad assumere un elevato grado di gravità. Perciò chi è intollerante o allergico ad un alimento, fungo
compreso, già lo sapeva, ma aveva ugualmente deciso di consumarlo!).
Al suo primo contatto con la persona sensibile, l'antigene contenuto nel fungo provoca la formazione di
speciali anticorpi, così che i globuli rossi di questo paziente risultano "sensibilizzati" verso tale sostanza.
L’eventuale nuova ingestione della stessa specie fungina scatena immediatamente una reazione allergica
(ed in questo caso la reazione antigene-anticorpo avviene sulla membrana dei globuli rossi!) con possibili
gravi conseguenze.
Dopo un periodo di latenza, che oscilla da uno a due ore (secondo altri autori 3-9 ore), e solo nei
soggetti precedentemente sensibilizzati, compaiono malessere, vomito, diarrea, dolori addominali,
ittero emolitico, comparsa di emoglobina nelle urine e successivamente marcata riduzione della diuresi
(oliguria-anuria), collasso cardiocircolatorio, insufficienza renale acuta e stato di shock. Si tratta di una
classica e grave forma di anemia emolitica autoimmune (AEA) la cui prognosi può anche essere infausta
senza adeguato trattamento medico. Esso comprende lavanda gastrica e somministrazione di carbone
vegetale più una terapia di supporto a base di cortisonici, antistaminici e una attenta idratazione del
soggetto intossicato; in caso di anemia emolitica può essere necessaria la somministrazione di sostituti
plasmatici.
Sindrome gastrointestinale o resinoide
Come già evidenziato nelle premesse, questa sindrome rappresenta di gran lunga il quadro clinico più
comune legato al consumo di funghi (circa il 90% del totale degli avvelenamenti), sia perché la
maggior parte dei funghi velenosi provoca specificamente questa sindrome, sia perché tutti i funghi
appartenenti a specie commestibili ma divenuti tossici per tutta una serie di cause (vedi “Le false
intossicazioni”), o quelli a commestibilità condizionata mal preparati, provocano un analogo effetto,
indistinguibile spesso dal precedente sia su base clinica che chimico-clinica.
Il tempo di latenza è normalmente breve, 1-3 ore dopo il pasto, ed i primi sintomi compaiono
precocemente, anche se con una certa frequenza sono stati segnalati tempi di latenza superiori a 5-6
ore (fino eccezionalmente a 8-10-12 ore!) con certe specie fungine quali Armillaria mellea poco
cotta!, Tricholoma pardinum (=T. tigrinum), Entoloma sinuatum (=E. lividum) e Omphalotus
olearius !).
Questa sindrome è caratterizzata da una sintomatologia aspecifica che non consente cioè di
identificare e neppure di sospettare la specie fungina coinvolta in base ai sintomi.
I sintomi sono essenzialmente gastrointestinali quali nausea, dolori e crampi addominali, vomito e
successivamente diarrea. Di norma la sintomatologia dura alcune ore, ma in alcuni casi anche alcuni
giorni. Nei casi più gravi (consumo di grandi quantità) o per ingestione di alcune specie (T. pardinum e E.
sinuatum), i sintomi possono durare anche per una settimana.
Risulta spesso difficile, se non addirittura impossibile, distinguere un episodio di sindrome
gastrointestinale generico dovuto al consumo di cibi più o meno avariati o contaminati, da
un'intossicazione da funghi sia “vera” che "non vera" per l'analogia dei sintomi e del decorso clinico. In
questo campo la ricerca dovrà fare ancora moltissimo lavoro. Allo stato attuale, essendo il quadro clinico
del tutto aspecifico, la diagnosi è quasi solamente di pertinenza micologica (presenza / assenza di
funghi patogeni nell’alimento ingerito).
Le tossine responsabili sono sicuramente termostabili o solo parzialmente tremolabili, ma da un punto di
vista chimico in gran parte sconosciute e di quelle note, comunque, raramente se ne conosce il
meccanismo d'azione (si parla genericamente di tossine "acroresinoidi" per la somiglianza degli effetti
che si ottengono con l’assunzione di certe resine vegetali).
Per alcune specie si sono potute isolare specifiche sostanze tossiche ritenute capaci di
determinare il quadro clinico, da sole o in associazione con altre ancora sconosciute. Questi casi sono
rappresentati, per esempio, dagli Agaricus del gruppo xanthoderma nei quali è stato isolato del Fenolo in
quantità tali da provocare da solo la sintomatologia intestinale; in Albatrellus cristatus è stata invece
dimostrata la presenza di acidi grifolinici, scutigeralici e ristatici; Tricholoma ustale contiene acido
ustalico; Hypholoma fasciculare e sublateritium conterrebbero fasciculolo E ed F, naematolina e
naematolone; in Omphalotus olearius e illudens sono state isolate varie sostanze tra cui illudin S
(sesquiterpene). Due sostanze alcaloidi, lepiotin A e lepiotin B sono state isolate in Macrolepiota
neomastoidea mentre Chlorophyllum molybdites (ex Lepiota morgani, da cui il nome della relativa
sindrome d'oltre oceano, il <<morganismo>>) contiene il solo lepiotin B; per queste due ultime
sostanze alcaloidi, oltre ad essere coinvolto l'apparato gastroenterico, verrebbero anche colpiti l'apparato
cardiocircolatorio ed il sistema nervoso centrale.
Molte le specie fungine che sono in grado di provocare questa sindrome (se ingerite in quantità
sufficienti). Si parla di un centinaio di specie secondo alcuni Autori o di quasi duecento specie secondo
altri. A differenza di quanto riferito nelle le sindromi precedentemente descritte, mancano in questo caso
sicuri riferimenti scientifici e spesso siamo costretti a riferire di esperienze personali, di casi isolati,
descritti a volte in maniera empirica od incompleta. Sarebbe comunque poco corretto tacere su alcune
segnalazioni anche se pubblicate con poco rigore scientifico. Altro fatto che contribuisce a complicare le
cose, è che alcune specie si sono dimostrate tossiche in alcune zone o Nazioni e non in altre.
Verranno perciò forniti due elenchi, uno relativo a quelle specie che si sono rivelate a tossicità per lo
più costante ed un secondo nel quale verranno inserite quelle specie che talvolta hanno provocato
dei quadri più o meno gravi di sindrome gastrointestinale. In ogni caso si farà riferimento alle sole
specie presenti nel continente europeo.
Gruppo 1: a tossicità per lo più costante
Genere Agaricus: xanthoderma e relativo gruppo, bresadolanus (=romagnesii), iodosmus e pilatianus
Genere Amanita: junquillea (vedi anche sindrome panterinica)
Genere Balsamia: vulgaris
Genere Boletus: satanas, pulchrotinctus, splendidus ssp. moseri, legaliae (=splenidus p.p.),
rubrosanguineus, rhodoxanthus, lupinus ssp. Bres., rhodoporpureus
Genere Calocera: viscosa (?FAO: elencata tra le specie vendute come commestibili in alcuni Paesi)
Genere Cortinarius: infractus, traganus, tutto il Sottogenere Dermocybe e probabilmente altre specie
Genere Entoloma: sinuatum (=lividum), nidorosum, rhodopolium, niphoides, vernum, hirtipes
Genere Gyroporus: ammophilus
Genere Hypholoma: fasciculare, sublateritium
Genere Lactarius: blennius, rufus, helvus, torminosus, pubescens, cilicioides, zonarioides, turpis,
uvidus, fuliginosus, scrobiculatus e relativo gruppo
Genere Laetiporus: sulphureus (vedi anche sindr. Coprinica e psilocibinica)
Genere Lepiota: aspera
Genere Lepiotella: irrorata (=Chamaemyces fracidus) (ndr.)
Genere Leucoagaricus: holosericeus (ndr.)
Genere Macrolepiota: rachodes var. bohemica (=venenata), pseudo-olivascens e probabilm. olivascens
Genere Megacollybia : platyphylla
Genere Omphalotus: olearius, olivascens
Genere Sarcosphaera: crassa (=eximia=coronaria)
Genere Tricholoma: pardinum (=tigrinum) compreso le sue forme e varietà, virgatum, sciodes,
josserandii (=groanense), albobrunneum (=striatum), bufonium, inamoenum, sulphureum,
bresadolanum, fulvum (=flavobrunneum), ustale, saponaceum compreso le sue forme e varietà, e
probabilmente anche altre specie
Genere Tylopilus: felleus
Gruppo 2: a tossicità non costante
Genere Agaricus: benesii
Genere Amanita: porphyria, citrina (vedi anche sindr. del formicolio)
Genere Albatrellus: subrubescens (=similis), cristatus
Genere Clitocybe: nebularis
Genere Collybia: fusipes
Genere Hebeloma: sinapizans, crustuliniforme, edurum e probabilmente altre specie
Genere Hygrocybe: conica (=nigrescens)
Genere Hygrophoropsis: aurantiaca e probabilmente le altre specie del Genere
Genere Laccaria: amethystina
Genere Lactarius: bresadolanus, acerrimus, pyrogalus, decipiens, hepaticus, il gruppo “Albati” ed in
genere tutte le restanti specie a carne piccante
Genere Leucoagaricus: leucothites, americanus (=bresadolae)
Genere Ptycoverpa: bohemica (? Solo gli americani dicono questo!)
Genere Ramaria: formosa, pallida, e probabilmente altre specie
Genere Russula: emetica e relativo gruppo, foetens e relativo gruppo, tutte le specie delle Sezioni
Ingrate ed in genere tutte le restanti specie a carne piccante.
Genere Scleroderma: tutte le specie
Genere Suillus: granulatus, luteus
Genere Tricholoma: pessundatum, fracticum, sejunctum e sue forme o varietà, acerbum, aurantium,
ustaloides, fulvum
Capaci di provocare analoga sindrome sono quei funghi commestibili che, contenendo tossine termolabili,
vengono consumati senza essere stati cotti a sufficienza (vedi tabella nel capitolo “le false
intossicazioni”) o quei funghi ancora commestibili ma raccolti non già avariati o trasportati non
correttamente o mal conservati (vedi ancora nel capitolo “le false intossicazioni”).
La terapia in questi casi è sintomatica (gastrolusi, carbone attivo e terapia reidratante) e la prognosi è
generalmente favorevole.
Polmonite allergica (o Lycoperdonosi)
Si tratta di una bronchioalveolite acuta su base allergica non dovuta a produzione di alcuna tossina da
parte dei funghi responsabili (a differenza di quanto accade invece nella stachybotryotossicosi emorragica
polmonare o nella micosi sistematica da blastomycosi polmonare e nell’histoplasmosi).
Anche se non si tratta quindi di un vero avvelenamento da funghi, la lycoperdonosi può seguire alla
fortuita od intenzionale inalazione intenzionale di spore di alcune specie di funghi appartenenti al genere
Lycoperdon ( le comuni “Vescie” o “puffballs”), quali ad esempio L. perlatum e L. piriforme.
Aerosol di spore di puffballs, sono usate spesso come terapie empiriche o popolari contro asma e
bronchiti, per sperimentare eventuali esperienze allucinogene da parte di alcuni adolescenti o come
scherzo da parte ci certi burloni.
La Lycoperdonosi è caratterizzata da un attacco acuto di nausea, vomito, e nasofaringite, seguito dopo
alcuni giorni da febbre, malessere, dispnea e polmonite infiammatoria con infiltrati reticulonodulari
evidenziabili radiograficamente.
Il trattamento prevede solitamente l'impiego di steroidi ed antifungini (quali l’amfotericina B) ed il
recupero avviene, solitamente, senza sequele.
Le “false intossicazioni” da funghi
Paradossalmente, la maggior parte dei casi di intossicazione da funghi sono dovute
all'ingestione di funghi considerati eduli. Molte persone infatti ogni anno ricorrono alle cure del
Pronto Soccorso per aver consumato Porcini, Porcinelli, Pinaroli, Chiodini, Gialletti o Mazze di tamburo!
Come è possibile tutto ciò?
I funghi cosiddetti commestibili, li possiamo dividere in due grandi gruppi: quelli che non contengono
tossine (o meglio, che ne contengono in quantità infinitesimali: non esistono infatti funghi privi
completamente di sostanze potenzialmente tossiche) e quelli che contengono invece tossine termolabili
cioè quelle tossine che vengono distrutte con il calore solo dopo prolungata cottura (meglio se senza
coperchio) per un tempo che non dovrebbe essere inferiore ai 45 minuti (35 minuti per altri Autori).
La definizione di commestibile è infatti quella di un fungo che, solo dopo cottura completa, non determina
alcun disturbo a chi se ne consuma saltuariamente (non più di una volta alla settimana) ed in modiche
quantità (consigliato un quantitativo di non più di 200gr. di funghi freschi alla settimana o al massimo di
350gr. di fungo fresco per pasto settimanale). Se fosse seguita sempre questa indicazione, avremmo già
risolto la gran parte dei casi delle frequentissime intossicazioni dovute (1) al consumo di funghi crudi
(2) o non sufficientemente cotti (3) o in pasti troppo ravvicinati (4) o consumati in quantità
esagerate.
·(1) I funghi contengono acqua per almeno il 92 % della loro composizione e di certo non si tratta di
acqua sempre sterile! Nei funghi crudi si evidenziano spesso elevate cariche batteriche (o
micromicetiche!) o la presenza di germi patogeni o potenzialmente patogeni tali da comprendere
facilmente come la cottura sia indispensabile per poter consumare funghi in tranquillità.
Il consumo dell’insalata di funghi crudi (per quelle poche specie che si potrebbero eventualmente
consumare anche da crude) diventa una evenienza rara, sicuramente da sconsigliare o da riservare a
quelle pochissime specie di funghi che si possono eventualmente consumare crude quando raccolte poche
ore prima nel bosco.
Di solito invece avviene che vengono consumati funghi crudi in insalata dopo anche una settimana o più
giorni che sono stati raccolti; è quello che avviene sistematicamente nei ristoranti o anche presso privati
cittadini che, al pari di ciò che avviene nei ristoranti, consumano funghi crudi acquistati al mercato od in
qualche negozio di ortofrutta. In questi casi si tratta di funghi sempre provenienti dall’estero (nel 95%
importati da paesi dell’est e nel 5% da paesi europei. Non esistono in commercio funghi spontanei freschi
o conservati raccolti in Italia se non per qualche piccolo lotto soprattutto di “chiodini” . Tanto per essere
chiari il più possibile, non esistono “Porcini del Montello” in vendita, ma può esistere invece una Ditta del
Montello che li importa dall’estero (e che, per l’attuale normativa sull’etichettatura, può dichiarare tale
dizione fuorviante nella confezione) dove sono stati raccolti, quando l’importazione è avvenuta senza
contrattempi alle dogane, almeno 5-7 giorni prima.
La qualità e la quantità della carica batterica contenuta in tali funghi dovrebbe da sola spigare il motivo
per cui, da parte delle istituzioni pubbliche sanitarie in materia di funghi (Ispettorati Micologici delle ASL),
viene vivamente sconsigliato il consumo di funghi spontanei crudi. In questi casi non si tratta di
micetismi, ma di vere e proprie tossinfezioni alimentari!
·(2) Il non rispetto dei tempi di cottura di alcune specie fungine, rappresenta un’altra grossa fetta delle
“false” intossicazioni. Se non si è a conoscenza di quali funghi, tra i commestibili, contengono tossine
termolabili e che quindi debbano essere cotti a lungo (vedi tabella seguente), è meglio cuocere tutti i
funghi per almeno per 45 minuti!
Chiaramente anche una preparazione di funghi alla griglia o fritti, dovrà essere riservata solo ai funghi
che non contengono tossine e mai a quelli che contengono tossine termolabili in quanto questo tipo di
preparazione non cuoce mai bene finoal “cuore” del fungo; ogni anno assistiamo a moltissimi ricoveri per
il consumo di funghi cotti alla griglia (chiodini, russule, mazze di tamburo…) che andavano invece
preparati con cotture più lunghe e complete (es.: trifolatura) tali da inattivare le tossine presenti.
FUNGHI COMMESTIBILI CONTENENTI TOSSINE TERMOLABILI
Amanita rubescens e relativo gruppo
Amanita vaginata e relativo gruppo (ex “Amanitopsis”)
Armillaria mellea e relativo gruppo (“Chiodini”) (*)
Boletus luridus e Boletus erytrophus
Commestibili solo dopo cottura
prolungata (almeno 40 minuti)
senza coperchio, previa
sbollentatura per le specie con
asterisco
Leccinum : tutte le specie (“Porcinelli”)
Morchella, Mitrophora e Verpa (“Spugnole”): tutte le specie
·(3)(4) Tutti i funghi eduli contengono sostanze difficilmente attaccabili dai succhi gastrici (chitina), per
cui la digeribilità è condizionata dalla quantità ingerita, oltre che dall'età del soggetto. Infatti, non
dovrebbero essere somministrati ai bambini, i quali potrebbero avere vomito e diarrea solo per la
difficoltà a digerire la chitina.
La chitina è un polisaccaride azotato che non è presente solo nei funghi, ma che costituisce, per esempio,
l’esoscheletro degli insetti od il carapace dei crostacei. Cibarsi di funghi perciò, significa ingerire
soprattutto acqua solitamente non sterile e/o inquinata e “scorza di gamberi” . Questo è il motivo perché
i funghi sono comunque delle pietanze indigeste e che quindi devono essere consumate saltuariamente
ed in modeste quantità (il Ministero della Salute tedesco consiglia di non superare i 200 grammi di funghi
freschi la settimana !).
Inoltre, la facile deperibilità dei funghi per l’elevata ed intrinseca componente enzimatica, fa si che anche
errate pratiche nella raccolta (funghi troppo vecchi o intrisi d’acqua), od inadeguato trasporto soprattutto
in condizioni di parziale anerobiosi (sacchetti di plastica) ad elevata temperatura (bauli delle automobili),
o ancora per cattiva conservazione (funghi congelati da crudi e per lunghi periodi, o tenuti per troppo
tempo in frigo o in cantina!), possano determinare gastroenteriti.
In questi casi, l’attivazione dei processi enzimatici su di un substrato molto azotato come è quello
rappresentato dai funghi, porta alla formazione di ammine biogene (Ptomaine) le vere tossine
termostabili responsabili di queste gastroenteriti (caratteristica la produzione di ptomaine nelle mazze di
tamburo raccolte ancora troppo giovani e messe ad “aprire” immergendo il loro gambo in un bicchier
d’acqua!). Nel caso di funghi raccolti già troppo vecchi od in stato di iniziale degradazione (evento che
avviene molto più comunemente di quello che si possa pensare), sono la cadaverina e la putrescina
le tossine in grado di provocare gastroenterite.
Da tenere in considerazione che anche i funghi sono in grado di provocare idiosincrasie e/o intolleranze
alimentari e che anche esse possono decorrere con una sintomatologia sovrapponibile a quella di una
sindrome gastroenterica. Le più note sono quelle legate all’assenza congenita in alcuni individui
dell’enzima Trealasi capace di scindere il Trealosio (o Micosio), lo zucchero presente in tutti i
funghi. O ancora l’alto contenuto in Mannitolo di alcuni funghi (Boletus aestivalis !) capace di
provocare diarrea osmotica in alcuni individui. O ancora altre intolleranze alimentari a specifiche
specie fungine per cause ancora sconosciute.
Ben diversa dall’intolleranza alimentare ed estremamente rara è, invece, l’allergia alimentare ai
funghi. In questo caso si ha l’attivazione del sistema immunitario verso allergeni o apteni fungini.
Vengono prodotte in definitiva delle IgE (particolari e specifici anticorpi tipici delle reazioni allergiche)
capaci provocare tutto il corredo sintomatologico tipico delle allergie alimentari. Suggestivo il fatto che i
sintomi gastroenterici in caso di allergie alimentari sono quasi immediati (da pochi minuti a meno di
un’ora) sempre preceduti da prurito e ponfi al cavo orale (e spesso da congiuntivite. Pochi o nulli altri
sintomi di allergia a livello respiratorio e cutaneo). E’ bene rammentare che anche per i funghi, come per
tutte le altre allergie alimentari, l’esordio non è improvviso e la sensibilizzazione iniziale è respiratoria!
Per cui chi è allergico ai funghi, lo sapeva già, ma ha deciso di rischiare. A tutt’oggi le uniche specie
fungine che si sono dimostrate capaci di sensibilizzare alcuni individui sono il Boletus edulis
(porcino) e l’Agaricus bisporus (champignon o prataiolo), soprattutto se consumati crudi o
poco cotti.
Sindrome neurologica da consumo di Morchella
s.l.: esiste veramente?
Non si tratta di una "nuova" sindrome. Tale sindrome, infatti, era gia stata segnalata già nel 1925 da
Jaccottet ! Dopo questa segnalazione è stata, nell'ordine, segnalata in America del Nord, e dagli anni
settanta in poi successivamentein Francia, poi in Spagna ed ora in Germania. Nel 2010 il primo caso
segnalato in Italia (Bologna)(comunicazione personale)
SINDROME NEUROLOGICA DA CONSUMO DI MORCHELLE s.l. (comprendendo anche Mitrophora
semilibera e Verpa bohemica)
Tempo di latenza: mediamente dopo(10)12(14) ore dal pasto (si tratta dunque di una sindrome a lunga
latenza). Segnalati rari casi fino a 36 ore dal pasto.
Sintomatologia: dagli studi su questa sindrome fin quì pubblicati, si evince che con le morchelle si può,
come già sappiamo (vedi la parte di micotossicologia), finire al pronto soccorso per una sindrome
gastrenterica a breve latenza quando consumate poco cotte o, in rari casi, con una sindrome coprinica a
breve latenza quando consumate congiuntamente a bevande alcooliche. In questi ultimi anni si sono
raccolti ed elaborati i dati in possesso delle nuove banche dati sanitarie in alcuni paesi e si è visto che
sono occorsi anche dei casi di sindrome gastroenterica associata a sindrome neurologica o una sindrome
neurologica pura senza essere preceduta da sintomi gastrointestinali. Nell'ultimo lavoro pubblicato in
Germania (2010), si relaziona su 197 casi di intossicazione da Morchelle (successi in Germania e Francia
egli ultimi anni), di cui 109 si presentarono solo in forma gastroenterica (poco cotte), 56 in forma
gastroenterica + sindrome neurologica, 24 solo in forma neurologica (anche se con Morchelle ben cotte!)
ed infine 8 con altre sintomatologie.
Sintomi gastroenterici (quando presenti e dopo poche ore dal pasto): nausea, vomito, diarrea
Sintomi neurologici (tardivi, mediamente dopo 12 ore):
- SNC (sist. nervoso centr.): vertigini, ebrezza, cefalee, iperestesie, febbre/ipotermia, raramente
allucinazioni, convulsioni, sindrome piramidale o extrapiramidale.
- CEREBELLARI (cioè al cervelletto): tremori, atassia con disturbi all'equilibrio
- OCULARI: miosi/midriasi, nistagmo, diplopia, difficoltà di messa a fuoco (e altri sintomi oculari
percentualmente meno frequenti)
- ALTRI SINTOMI NEUROLOGI: trisma, contrazioni, turbe della deglutizione
Per fortuna si tratta di una sindrome neurologica reversibile e la sintomatologia solitamente si normalizza
nelle 12 ore successive (max in 72 ore)
In tutti casi che c'è stata la sindrome neurologica senza la forma intestinale, si trattava di morchelle ben
cotte consumate in quantità esagerate ed in pasti ravvicinati! Ancora una volta, come nella
sindrome rabdomiolitica e giromitrica, molte intossicazioni da funghi sono quindi legate ad ingordigia! I
funghi devono essere consumati come pietanza di contorno, saltuariamente (1 volta alla settimana) ed in
quantità limitate (5g di fungo fresco x Kg. di peso corporeo)
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- Gruppo micologico di Crema