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Commentary, 19 giugno 2015
SUD-EST ASIATICO, OLTRE I ROHINGYA
MARTINA DOMINICI
S
ino all’episodio del maggio 2015 che ha visto
come protagonista un’imbarcazione con a bordo
dei migranti di etnia rohingya rimbalzata da più
stati al di fuori delle proprie acque territoriali, l’assenza
di una emergenza umanitaria di vasta portata ha creato
l’errata percezione che i flussi migratori nel sud-est
asiatico non siano un fenomeno significativo. In realtà,
la regione, con oltre 13 milioni di migranti, è una delle
principali aree del mondo che alimenta le correnti migratorie globali 1 . Circa un terzo di questi si sposta
all’interno dell’area Asean (Association of South-East
Asian Nations), anche se l’esistenza di un elevato numero di migranti irregolari non registrati fa pensare che
il dato sia nettamente sottostimato. La criticità della
gestione di un flusso migratorio di tale portata è ulteriormente aggravata dall’assenza, in buona parte di
questi paesi, di un quadro legale nazionale e di accordi
internazionali che permettano di fare una distinzione tra
lavoratori migranti e richiedenti asilo, in una regione
che, se si allarga lo sguardo all’intera Asia-Pacifico,
ospita quasi il 30% del numero totale di rifugiati al
mondo 2.
Recentemente si è imposta all’attenzione l’emergenza
umanitaria di migranti provenienti dalle coste birmane e
bengalesi lasciati alla deriva nel Golfo del Bengala. Secondo le stime rilasciate dall’Unhcr nel primo trimestre
del 2015, sono 25.000 i migranti che si sono affidati ai
trafficanti per affrontare questa traversata, più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente 3
(63.000 totali nell’anno 2014 4). La maggior parte di essi
appartiene al gruppo etnico rohingya, una minoranza di
religione islamica concentrata nello stato di Rakhine,
nel Myanmar, in conflitto da decenni col governo centrale birmano per ottenere maggiore autonomia. Così
come è accaduto per altre etnie minoritarie presenti nel
©ISPI2015
2
1
The World Bank, Global links 2015, 6.13 - World Development
Indicators:
Movement
of
people
across
borders,
http://wdi.worldbank.org/table/6.13
Unhcr,
Global trend
2014 World
at
war,
http://www.unhcr.org/556725e69.html
3
Unhcr, South-East Asia. Irregular Maritime Movements, January/March 2015, http://www.unhcr.org/554c6a746.html
4
Unhcr, Bay of Bengal and Andaman Sea. Proposals for Action,
May 2015, http://www.unhcr.org/55682d3b6.html
Martina Dominici, ISPI Research Trainee.
1
Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
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©ISPI2015
paese, gli scontri di lunga data e le rappresaglie
dell’etnia dominante bamar o birmana attualmente al
potere ha spinto alla fuga centinaia di migliaia di
rohingya, che si sono concentrati in campi profughi nei
confinanti Bangladesh e Thailandia. Aggravatasi ulteriormente dopo gli scontri del 2012, la condizione dei
rohingya è resa ancor più complicata da una legge in
vigore in Myanmar dal 1982 che nega loro la cittadinanza, in quanto non riconosciuti tra le 135 minoranze
etniche ufficiali presenti nel paese. Apolidi a tutti gli
effetti, ai rohingya che vivono in Myanmar è negato
qualsiasi diritto fondamentale: oltre a non avere accesso
all’istruzione e alle cure, sono loro state imposte forti
limitazioni riguardanti lavoro, matrimonio, numero di
figli e libertà di movimento all’interno dello stato stesso.
Filippine. Malesia, Thailandia e Indonesia rappresentano, inoltre, i principali paesi della regione per numero di
rifugiati accolti (nel 2014 rispettivamente 99.086,
75.137e 4.270) 5, nonché noti paesi di transito dei richiedenti asilo diretti in Australia.
Nel sud-est asiatico la difficoltà di gestione di un flusso
migratorio di regime misto è acuita dalla scarsità della
regolamentazione adottata in materia. A livello più generale, nella regione Asia-Pacifico il più grande paradosso in materia di protezione dei rifugiati è che proprio
la parte del mondo in cui è presente il maggior numero
di rifugiati (3.977.707) 6 sia la meno rappresentata tra i
paesi aderenti alla Convenzione di Ginevra sullo status
dei rifugiati (1951). Nel sud-est asiatico, solo tre paesi
(Filippine, Cambogia e Timor Leste) hanno firmato sia
la Convenzione sia il Protocollo, mentre le Filippine
sono l’unico paese della regione ad aver ratificato la
Convenzione sullo status degli apolidi (1954). Oltre alla
scarsa aderenza al regime internazionale in materia,
nella maggior parte dei paesi del sud-est asiatico non è
presente un sistema nazionale per i richiedenti asilo e
ciò determina che sia i rifugiati politici sia i lavoratori
migranti entrati illegalmente vengano gestiti senza distinzioni come immigrati irregolari, applicando politiche più o meno restrittive in base alle esigenze del
momento. Un caso esemplare è rappresentato dalla
Thailandia, un paese in cui nel 2013 è stata stimata la
presenza di circa 3 milioni di lavoratori migranti, di cui
solo la metà dotata di un regolare permesso di lavoro 7.
La prolungata fase di crescita economica di cui il paese
si è reso protagonista, nella prima metà degli anni Novanta, ha spinto il governo, che necessitava di forza
lavoro a basso costo, a mostrare nel 1996 una forte
Dalla metà degli anni Ottanta, l’inasprimento della repressione da parte del regime birmano verso le
principali minoranze etniche del paese, tra cui anche
cinesi, karen e shan, ha contribuito alla creazione di
flussi di profughi che dal Myanmar, attraversando il
mare o cercando di varcare illegalmente la frontiera
terrestre, si sono rifugiati nei paesi limitrofi. I migranti
che negli ultimi mesi hanno attraversato il Golfo del
Bengala, identificati per la maggior parte dall’Unhcr tra
rifugiati, richiedenti asilo, sfollati e apolidi rappresentano solo una fetta dei flussi migratori del sud-est asiatico, il cui fattore predominante di movimento è ancora
di natura economica. La realtà migratoria della regione,
storicamente influenzata dallo sviluppo della diaspora
cinese, dalla diffusione dell’islam e dall colonialismo
europeo, è attualmente guidata dal forte disequilibrio
economico e demografico globale, dal processo di globalizzazione e dagli effetti del cambiamento climatico.
Nell’ultimo decennio i flussi migratori all’interno del
sud-est asiatico si sono concentrati attorno a due principali destinazioni. La prima, la Thailandia, è una delle
economie più avanzate dell'area Asean che ha attratto
lavoratori migranti da Cambogia, Laos, Vietnam e
Myanmar impiegati principalmente nell’edilizia, nel
settore manifatturiero e nei servizi; mentre la seconda,
Malesia e Brunei, ha attirato forza lavoro da Indonesia e
5
Unhcr,
Global trend
2014 World
at
war,
http://www.unhcr.org/556725e69.html
6
Ibidem.
7
International Labour Organization (Ilo), Asia Pacific/Decent
Work/Decade 2006-2015, Regulating recruitment of migrant
workers: An assessment of complaint mechanisms in Thailand,
http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/@asia/@ro-bangkok/doc
uments/publication/wcms_226498.pdf
2
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apertura concedendo ai migranti presenti illegalmente
sul territorio la possibilità di registrarsi e lavorare per
altri due anni prima di essere espulsi. A un anno di distanza, la crisi finanziaria che ha investito il paese
nell’estate del 1997 e il calo dell’occupazione che ne è
conseguito ha avuto gravi effetti anche sul fronte delle
politiche migratorie. Prima una graduale chiusura, tramite l’adozione di leggi che limitano l’accesso e la
permanenza degli immigrati, fino a spingersi alla pratica, attuata anche da paesi della regione, di respingere le
imbarcazioni dalle proprie acque territoriali per limitare
il numero degli sbarchi.
di tutto il mondo la questione dei rohingya, ha messo in
luce l’incapacità dell’Asean di porsi come un attore
regionale che vada oltre l’organizzazione d’integrazione
economica. Nel vertice speciale sulle migrazioni irregolari indetto dall’Asean il 29 maggio 2015, durante il
quale il termine rohingya non è nemmeno stato pronunciato, l’Asean ha deliberatamente rinunciato a essere investita della responsabilità di tutelare tutti i cittadini
degli stati che ne fanno parte. Il principio di non interferenza negli affari interni degli altri stati membri, cemento fondante dell’Asean, rappresenta ora il principale
ostacolo per un’organizzazione che mira a realizzare
una cooperazione strategica anche in ambito politico e
di sicurezza, così come postulato dagli ambiziosi obiettivi dell’ “ASEAN Vision 2020”. Da questo vacuum
normativo, che si traduce in una soluzione senza vincitori né vinti per tutti gli attori statali della regione, a
raccoglierne i frutti sono invece le reti criminali e i trafficanti, i cui affari non sono mai stati così floridi. Accettare che le migrazioni siano una condizione cronica
del nostro tempo, rappresenta il primo passo per comprendere da un lato l’inefficacia degli sforzi per fermare
i flussi migratori, mentre dall’altro la convenienza che
la regolamentazione del fenomeno rappresenterebbe per
tutti i paesi della regione.
©ISPI2015
Partendo dal presupposto che tutti i paesi del sud-est
asiatico aderiscono ad almeno una delle convenzioni
marittime (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto
del mare - 1982; Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare - 1974; Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare - 1979) che
sanciscono l’obbligo di prestare assistenza a coloro che
si trovano in pericolo in mare. Il «ping pong marittimo
con le vite umane», così come definito
dall’International Organization for Migration (Iom), che
si è verificato con le imbarcazioni cariche di migranti
nel Golfo del Bengala è da attribuire alla mancanza di
consenso a livello regionale sulla responsabilità degli
sbarchi. Il rimbalzo umanitario, oltre a portare agli occhi
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