Il Divulgatore n° 7/2004 “Coltivare risparmiando acqua” Pagg. 20-31 QUANDO E QUANTO IRRIGARE Il bilancio idrico della coltura - ossia il calcolo, continuamente aggiornato, della quantità d’acqua presente nello strato di terreno occupato dalle radici costituisce un’ottima base su cui stabilire l’entità degli apporti irrigui. Un passo ulteriore sulla strada del risparmio idrico è rappresentato dalla tecnica dello “stress idrico controllato”, che mira a somministrare acqua alle piante solo nelle fasi fisiologiche in cui esse ne hanno più bisogno. IRRIGATION:WHEN AND HOW MUCH? The first choice, which affects the following ones, concerns the optimum irrigation period so that maximum production yields can be achieved. The second choice concerns the optimum water supply at each irrigation operation. In this case, too, the choice is affected by many factors but, above all, by soil capacity to retain water, root depth and irrigation system adopted. If irrigation water needs are not properly determined, water wastes are inevitable: in case of underestimation water evaporates too fast from soil and leaf surface whereas in case of overestimation water percolates down and can not be furtherly absorbed by plant roots. Water balance of crop plants, that is the updated calculation of the amount of water present in soil layers reached by roots – represents a good starting point to establish the proper supplies of irrigation water. One further step into the water saving philosophy is represented by the “controlled water stress”: this technique aims at supplying water to plants only when they most need it. Strategie di gestione irrigua Tecnica Verifica delle previsioni meteorologiche a breve termine. Misurazione di piogge, irrigazioni, falda, umidità del suolo mediante pluviometro, contalitri, freatimetro, tensiometro. Impiego del bilancio idrico ottimizzato. Individuazione del volume irriguo doneo alla coltura, al terreno, al sistema irriguo. Irrigazioni fisiologiche ossia in fasi di sviluppo della pianta particolarmente sensibili. Applicazione dello stress idrico controllato su colture poliennali. Effetto Aumento dell’efficienza irrigua evitando irrigazioni seguite da piogge. Stima degli elementi necessari per ottimizzare il bilancio idrico e irrigare con esatto volume d’acqua. Aumento dell’efficienza irrigua per l’esatta scelta del momento e del volume d’adacquata. Riduzione dei volumi irrigui, aumentandone l’efficienza ed eliminando le perdite in profondità. Aumento dell’efficienza delle irrigazioni. Controllo dello sviluppo della pianta con miglior efficienza irrigua e riduzione dei costi di gestione della coltura. L’applicazione di una buona pratica irrigua richiede un’esperienza consolidata e approfondite conoscenze agronomiche, tecnologiche e di economia dell’irrigazione. Infatti gli interventi irrigui non devono mirare solamente a massimizzare la resa e la qualità delle produzioni, ma anche a utilizzare acqua in modo efficiente e senza sprechi. Occorre, infatti, avere buone conoscenze sull’ambiente in cui si opera, sulla risposta all’irrigazione delle diverse colture, varietà e portinnesti, sul loro probabile consumo idrico e sulla loro sensibilità allo stress idrico nelle varie fasi biologiche del ciclo colturale. La scelta di appropriate irrigazioni è inoltre complicata dalla tipologia del terreno su cui si opera e quindi dalle caratteristiche idrologiche che lo caratterizzano: permeabilità, capacità di campo, punto di appassimento, volume idrico trattenuto nello strato utile alle piante, ecc. L’effettuazione di irrigazioni economiche e tese a ottimizzare l’uso dell’acqua prevede quindi tre scelte principali: quando irrigare, quanto irrigare e come irrigare. La prima scelta, spesso influenzata dalle altre due, attiene all’individuazione, durante la stagione di coltivazione, del momento nel quale l’irrigazione potrà sortire il massimo incremento di produzione. La seconda scelta riguarda la decisione dell’ottimale quantitativo d’acqua da applicare a ogni 1 Il Divulgatore n° 7/2004 “Coltivare risparmiando acqua” Pagg. 20-31 irrigazione. Anche in questo caso la scelta è vincolata da parecchi fattori ma, principalmente, dalla capacità del terreno di trattenere l’acqua, dalla profondità dello strato esplorato dalle radici e dal metodo e sistema irriguo adottato. L’applicazione di volumi non corretti porta sempre a uno spreco d’acqua irrigua: volumi troppo modesti risulteranno irrilevanti ed evaporeranno velocemente dalla superficie del suolo e delle foglie bagnate, viceversa volumi troppo abbondanti determineranno una percolazione d’acqua in profondità, non utilizzabile dalle radici delle colture. Per potersi orientare in una materia così complessa è necessario affidarsi a precisi criteri di calcolo: il bilancio idrico è sicuramente tra i più affidabili e semplici. IL BILANCIO IDRICO DELLE COLTURE Il pilotaggio delle irrigazioni tramite il bilancio idrico della coltura è basato sul calcolo e il continuo aggiornamento del quantitativo d’acqua presente nello strato di terreno interessato dalla coltura. Il calcolo è effettuato procedendo alla valutazione o alla misura di tutti gli ingressi e di tutte le perdite d’acqua dal sistema colturale; gli ingressi d’acqua sono addizionati al totale dell’acqua disponibile già presente nel suolo, le perdite d’acqua sono invece sottratte. Il flusso delle informazioni permette, quindi, di rendersi conto di quando il bilancio dell’acqua presente diventa tanto negativo da consigliare un’irrigazione. Il bilancio idrico della coltura si basa quindi sulla stima e la misura di tutti gli ingressi e le perdite idriche dal sistema colturale, per individuare un certo contenuto di umidità nel terreno, raggiunto il quale procedere all’irrigazione. Attualmente è attivo un servizio di assistenza tecnica irrigua basato sul bilancio idrico delle principali colture, accessibile sul web all’indirizzo: www.consorziocer.it/irrinet3. L’unità di misura impiegata per tutti i calcoli è il millimetro d’acqua: 1 mm = 1 litro/m2 = 10.000 litri/ettaro = 10 m3/ettaro Giornalmente viene quindi stimato il contenuto di umidità medio nello strato di terreno colonizzato dalle radici, impiegando l’equazione di bilancio : Il quantitativo d’acqua a disposizione delle piante è notevolmente influenzato dal tipo di terreno e dalla sua profondità, cioè dalla capacità del suolo di immagazzinare l’acqua e dalla forza con cui essa è trattenuta dalle particelle costituenti il suolo. La profondità, densità ed efficienza delle radici della pianta interagiscono poi col terreno determinando la frazione d’acqua effettivamente utilizzabile dalle piante, caratteristica di ogni specie e in genere progressivamente maggiore nel tempo con lo sviluppo e l’approfondimento dell’apparato radicale. Il volume d’adacquata ottimale Le caratteristiche idrologiche di ogni terreno sono descritte dalla Capacità Idrica di Campo (CIC) e dal Punto di Appassimento (PA): la prima esprime la percentuale di umidità presente in un suolo saturo dopo che tutta l’acqua maggiormente soggetta alla gravità è percolata in profondità, il secondo esprime la percentuale di umidità alla quale la pianta non riesce più ad assorbire dal suolo e inizia l’appassimento permanente. La frazione d’acqua contenuta tra la CIC e il PA è l’Acqua Disponibile (AD) e rappresenta la capacità del terreno di accumulare riserve idriche e, quindi, di permettere alle colture di resistere a periodi di siccità più o meno prolungati; passando dai terreni sabbiosi a quelli di medio impasto e da questi a quelli argillosi si accresce sia il valore del PA e della CIC sia il volume di Acqua Disponibile con maggiore accumulo e successiva utilizzazione dell’acqua di pioggia o irrigazione (tab. 1). 2 Il Divulgatore n° 7/2004 “Coltivare risparmiando acqua” Pagg. 20-31 Tab. 1 - Caratteristiche idrologiche di terreni a diversa tessitura Tessitura del terreno Capacità idrica di campo (% volume) Punto di appassimento (% volume) Acqua disponibile (% volume) Sabbioso Franco-sabbioso Franco* Franco-argilloso Franco-limoso Argilloso 15 21 31 36 40 44 7 9 14 17 19 21 8 12 17 19 21 23 Acqua disponibile in 100 cm di profondità (mm) 80 120 170 190 210 230 Acqua disponibile in 50 cm di profondità (mm) 40 60 85 96 105 115 Riserva facilmente utilizzabile** (mm) 20 30 43 48 53 58 * medio impasto. ** 50% dell’acqua disponibile in 50 cm di profondità. Aspettare che le piante consumino tutta l’Acqua Disponibile per poi riportare il terreno alla CIC è un errore perché espone le piante a momenti di stress idrico, soprattutto in prossimità del PA, e dà luogo a volumi esagerati per qualsiasi tipo di impianto irriguo. Analogamente limitarsi alla quota di Riserva Facilmente Utilizzabile, lascia alla pianta troppa acqua a disposizione, generando “consumi di lusso” che non si traducono in incrementi produttivi. La soluzione al problema è utilizzare un approccio che miri a riportare l’umidità del terreno fino ad un valore prestabilito dell’acqua disponibile, individuato attraverso l’equazione indicata alle pagine 26 e 27. In tabella 2 sono riportate le formule per il calcolo del volume di adacquata in alcuni tipi di terreno, secondo l’equazione citata, per una profondità radicale di 50 cm e per una percentuale di restituzione del 50% dell’acqua disponibile. Tab. 2 - Formule per il calcolo del volume di adacquata (m3/ha) Terreno sabbioso Terreno franco sabbioso Terreno franco Terreno franco argilloso Terreno limoso Terreno argilloso V = 0.5 x 1.55 x (((9 - 4)/100) x 0.5) x 10.000 V = 0.5 x 1.4 x (((14 - 6)/100) x 0.5) x 10.000 V = 0.5 x 1.35 x (((22 - 10)/100) x 0.5) x 10.000 V = 0.5 x 1.3 x (((27 - 13)/100) x 0.5) x 10.000 V = 0.5 x 1.25 x (((31 - 15)/100) x 0.5) x 10.000 V = 0.5 x 1.2 x (((35 - 17)/100) x 0.5) x 10.000 Le tabelle dei volumi massimi consentiti per le varie colture contenute nei Disciplinari di produzione integrata sono calcolate secondo i criteri descritti e costituiscono un’ottima traccia per comportamenti irrigui “virtuosi”. Ogni quanto irrigare A sua volta il volume di adacquamento influisce sul turno irriguo, inteso come l’arco di tempo che passa tra una irrigazione e l’altra dello stesso appezzamento. Il turno e il volume di adacquata sono così strettamente collegati che è ovvio pensare che una coltura con apparato radicale superficiale (che esplora, cioè, un volume limitato di terreno), con fabbisogni irrigui elevati e coltivata su di un terreno sciolto, venga irrigata spesso e con volumi relativamente bassi. La spiegazione è semplice: un terreno sciolto (con scarsa riserva idrica), esplorato dalle radici per un volume limitato, non può essere irrigato con volumi troppo elevati, perché non sarebbero trattenuti nel ridotto strato occupato dalle radici. L’elevato fabbisogno idrico della coltura fa sì che la poca acqua distribuita venga poi consumata in fretta, costringendo a ripetere frequentemente l’intervento irriguo. Ecco spiegato il motivo delle irrigazioni esigue (basso volume irriguo) e del turno stretto (ripetizione frequente dell’intervento). Per contro colture resistenti alla siccità oppure fasi di sviluppo in cui la coltura è sufficientemente resistente allo stress idrico, in terreni argillosi e con apparati radicali profondi possono essere irrigate con volumi più elevati, sopportando turni irrigui più ampi. Il turno irriguo ampio può, quando il clima e il ciclo colturale lo permettono, dare luogo all’eliminazione, come minimo, dell’ultimo intervento irriguo, che può arrivare tanto a ridosso della raccolta da renderlo poco utile se non dannoso, con rilevante risparmio idrico. L’impianto irriguo e la sua capacità di lavoro impongono severi limiti al volume di adacquata e di conseguenza al turno. 3 Il Divulgatore n° 7/2004 “Coltivare risparmiando acqua” Pagg. 20-31 Impianti irrigui con un’alta capacità di lavoro – quali rotoloni e loro applicazioni come la slitta sottochioma e la barra nebulizzatrice - possono erogare grandi quantità di acqua e ben si prestano in quei casi in cui i volumi di adacquata sono elevati. In questo caso i turni irrigui si allungano. Impianti irrigui con bassa capacità di lavoro, quali ad esempio gli impianti microirrigui, sono particolarmente adatti nei casi in cui sono richiesti bassi o bassissimi volumi di adacquata e turni irrigui molto brevi. IRRIGAZIONE A DEFICIT IDRICO Si può andare oltre alla razionalizzazione delle irrigazioni permessa dall’applicazione del bilancio idrico, individuando forme di riduzione delle irrigazioni basate sul miglioramento delle conoscenze della fisiologia della pianta. In pratica si tratta di restituire totalmente i consumi in quelle fasi di sviluppo in cui la pianta ne ha assolutamente bisogno e, viceversa, di ridurre le somministrazioni di acqua in quelle fasi in cui la risposta all’irrigazione è scarsa. Nelle colture arboree, poliennali, l’operazione si definisce “stress idrico controllato” in quanto la fisiologia della pianta è resa complessa dalla coesistenza di sviluppo di germogli, fiori, frutti e preparazione allo sviluppo degli anni a venire e dunque una gestione irrigua controllata mira non solo al risparmio idrico, ma anche a influenzare le varie attività fisiologiche, guidandole verso durevoli obiettivi produttivi e di contenimento della vegetazione. Per le annuali, acqua solo nelle fasi più critiche Irrigazioni effettuate durante le fasi di massima sensibilità della coltura allo stress idrico (periodo critico per l’acqua) risultano in grado di innalzare le rese maggiormente rispetto a quelle somministrate in periodi di relativa resistenza alla siccità. La limitazione delle irrigazioni a determinate fasi ha quindi l’obiettivo di incrementare l’efficienza di utilizzazione dell’acqua eliminando le irrigazioni che hanno un basso impatto sulla resa. L’eventuale riduzione di resa può essere modesta se confrontata con i benefici dati dal risparmio idrico o per la possibilità di destinare una risorsa idrica limitata ad altre colture. In generale, la fase di trapianto, semina e primo sviluppo delle colture è normalmente un periodo critico per tutte le specie. Successivamente le piante possono attraversare uno o più momenti critici: per tutte le colture particolarmente rilevanti sono i danni causati dalla siccità durante la fecondazione, quando la carenza idrica porta sempre a fenomeni di aborto fiorale con una conseguente riduzione del numero di semi o frutti portati a produzione. Su alcune specie, come la patata, il periodo critico principale viene attraversato dalla coltura nella precoce fase di stolonizzazione e tuberizzazione. Nelle colture dove il prodotto è la biomassa accumulata (lattuga, colture da biomassa, ecc.), questa tecnica non è proponibile poiché la taglia della pianta o la sua superficie fogliare devono essere adeguate a una buona capacità fotosintetica per portare la coltura alla migliore produzione e dunque tutte le fasi di crescita della pianta sono importanti e vanno in ogni modo garantite Per l’approfondimento sulle singole colture e le loro specifiche fasi di sensibilità idrica, si rimanda alle schede specifiche . Stress idrico controllato sulle frutticole L’efficienza produttiva dei frutteti dipende fortemente da un’equilibrata ripartizione degli assimilati prodotti dalle foglie per fotosintesi tra i tre principali processi dell’albero: crescita vegetativa (chioma e radici), crescita dei frutti, differenziazione a fiore delle gemme. 4 Il Divulgatore n° 7/2004 “Coltivare risparmiando acqua” Pagg. 20-31 I tre processi sono soggetti a fenomeni di competizione ed interazione tra loro, che vengono esaltati nei momenti nei quali il fabbisogno d’energia, d’acqua ed elementi nutritivi è particolarmente elevato. In pratica sfruttando lo stress idrico e l’irrigazione nelle diverse fasi biologiche attraversate dal frutteto (fig. 2) si tenta di indirizzare gli assimilati dalle foglie verso gli organi maggiormente interessanti per l’uomo (frutti) e non per la pianta (foglie, rami, fusto, ecc.). Per le ragioni indicate, la tecnica dello stress idrico controllato può essere applicata solo su piante adulte; su quelle in fase di allevamento (primi tre anni dall’impianto) non è mai opportuno limitare la crescita delle piante per non subire ritardi di entrata in produzione e una perdita di efficienza produttiva in tutta la vita del frutteto. Sul pesco, ad esempio, numerosi studi hanno individuato quattro fasi in cui suddividere il suo ciclo fisiologico, che sono state perfezionate per i nostri ambienti dalle ricerche del CER secondo lo schema riportato in fondo. In termini di regolazione delle irrigazioni si tratta di impiegare il bilancio idrico per il “controllo” della quantità d’acqua presente nel terreno. Le irrigazioni saranno allora effettuate per mantenere un’umidità pari al 7080% dell’Acqua Disponibile nel terreno nelle fasi F1 e F3 e di solo il 20-25% nelle fasi F2 e F4. I positivi risultati visti nel pesco sono stati confermati da prove del CER condotte su susino cv. Fortune coltivato a Castelbolognese (RA), in cui le fasi applicate erano identiche a quelle illustrate per il pesco (fig. 3). Analogamente sono state condotte prove sul pero, cv. Conference innestato su BA29, suddividendone il ciclo biologico annuale in 4 fasi. Sono state confrontate con un testimonio asciutto sia irrigazioni pienamente soddisfacenti la pianta in tutto il ciclo colturale (ETc100) sia altre secondo il bilancio idrico, restituendo solo la metà dei consumi (ETc50). Come stress idrico controllato è stata confrontata sia una gestione irrigua come quella indicata per il pesco (SIC100) sia una gestione irrigua ancora più limitata restituendo nelle fasi F2 e F4 solo il 50% dell’evapotraspirato stimato (SIC50). Lo stress idrico controllato è risultato in grado di incrementare la resa rispetto all’asciutto del 57%, il peso medio dei frutti del 16% e la produzione commerciale vendibile del 101% (fig. 3). 5 Il Divulgatore n° 7/2004 “Coltivare risparmiando acqua” Pagg. 20-31 Inoltre la gestione irrigua a stress idrico controllato ha indotto gli alberi a un positivo minor rigoglio vegetativo, oltre che a una maggiore fioritura, e ciò ha determinato un maggior numero di frutti portati. In Emilia Romagna, peraltro, nelle annate climaticamente normali l’andamento delle piogge non permette una piena applicazione della metodologia, infatti le piogge non consentono sempre di indurre lo stress idrico desiderato per un ottimale controllo dell’attività vegeto-produttiva della pianta; tuttavia i dati esposti rappresentato un’eloquente conferma di questa tecnica. I risultati in termini di risparmio idrico verranno esposti nelle singole schede per specie. ACQUA CHE RISALE DALLA FALDA La risalita d’acqua dalle falde superficiali è un altro ingresso d’acqua da valutare attentamente nel bilancio idrico delle colture. La sottovalutazione del fenomeno e della sua importanza per l’alimentazione idrica delle piante porta all’effettuazione di un numero di irrigazioni superiore a quello necessario, con spreco di risorse idriche preziose. Per falda superficiale o ipodermica si intende la presenza di acqua libera all’interno dei pori del terreno a una profondità massima di 2-3 m e quindi potenzialmente utilizzabile dalle radici delle colture. Lo strato sottosuperficiale saturo d’acqua poggia solitamente su un orizzonte impermeabile, mentre il terreno posto al di sopra del livello di falda si comporta in un certo senso come una carta assorbente che prende l’acqua dal basso portandola verso l’alto per il richiamo determinato dalla minore umidità negli strati soprastanti per effetto dell’evapotraspirazione delle colture. Questa risalita di acqua per capillarità può assumere diverse altezze (centimetri) e diverse portate (litri/giorno) secondo il tipo di terreno. Più le particelle costituenti il suolo sono fini (terreni argillosi) più la risalita sarà alta e la portata bassa, viceversa se il terreno è a grana grossa (terreni sabbiosi) l’altezza di risalita sarà bassa e la portata elevata; nei terreni di medio impasto si realizza spesso il miglior compromesso tra altezza e portata idrica da falda. L’altezza di risalita capillare utile alle piante può variare dai 20-25 cm nei terreni fortemente sabbiosi sino agli 80-100 cm di quelli argillosi. Le piante possono attingere a questa risorsa solo se hanno un apparato radicale efficiente e profondo, come è già stato precedentemente illustrato. La falda si misura con dei piezometri, che possono essere facilmente installati in azienda; attualmente in Emilia Romagna esiste una rete di rilevamento regionale che alimenta una cartografia visibile nei suoi dati stazione presso numerosi siti web. 6 Il Divulgatore n° 7/2004 “Coltivare risparmiando acqua” Pagg. 20-31 MISURARE GLI APPORTI DI PIOGGIA Negli ambienti climaticamente subumidi, come quelli emiliano-romagnoli, la pioggia costituisce nelle annate normali la principale fonte di alimentazione idrica delle colture. Gli anni 2002 e 2003, caratterizzati da piogge troppo abbondanti e intense il primo e da un lunghissimo periodo di siccità il secondo, hanno prodotto rilevanti problemi di eccesso idrico in un anno, seguiti da un periodo di aridità molto ampia in quello successivo. Anche la stessa quantità di pioggia annualmente caduta determina una diversa utilità o dannosità a seconda che essa cada in un breve periodo o regolarmente con moderata intensità durante il ciclo colturale: piogge di forte intensità non sono in grado di infiltrarsi nel terreno e ruscellano in superficie con bassa utilità per le piante; un periodo prolungatamente piovoso porta il terreno a saturazione idrica per poi provocare percolazioni profonde, utili alla ricarica delle falde ma perse dal sistema colturale. Un clima ideale per l’agricoltura richiederebbe perciò una buona distribuzione delle piogge e intensità variabili da 2 a 7 mm/ora a seconda dei terreni. La pioggia si misura tramite un pluviometro; per una buona misurazione dell’acqua caduta lo strumento dovrebbe essere collocato verticalmente a circa 1,5 m dal terreno e in una posizione lontana da ostacoli capaci di influenzare la misura. La quantità giornalmente caduta viene misurata in genere con un apposito misurino tarato per la bocca del raccoglitore, in grado di determinarla direttamente. La pioggia oraria e quindi l’intensità di precipitazione possono essere misurate con pluviografi meccanici o elettronici, che permettono una migliore determinazione dell’utilità della pioggia ai fini del bilancio idrico. Questa informazione è attualmente fornita anche dalla rete meteorologica dell’Arpa Smr. La pioggia viene definita utile quando può essere utilizzata dalle piante dopo esser stata trattenuta dal terreno; l’acqua esuberante la capacità d’accumulo nello strato utile di terreno viene considerata tra le perdite (perdite di ruscellamento e percolazione profonda) ai fini della compilazione del bilancio idrico della coltura. 7 Il Divulgatore n° 7/2004 “Coltivare risparmiando acqua” Pagg. 20-31 STRESS IDRICO CONTROLLATO SU PESCO • Fase 1 - Dall’inizio della fioritura alla formazione di frutticini di 3-4 cm di diametro (post diradamento). Cominciano i processi di moltiplicazione cellulare dei tessuti costituenti il futuro frutticino: un buon tenore di umidità nel terreno favorisce tali processi ed evita la cascola. L’attività vegetativa del germoglio è quasi ferma o molto lenta e quindi l’elevata umidità nel terreno non stimola un’eccessiva vegetazione. • Fase 2 - Sino all’indurimento del nocciolo: il frutto non si taglia più facilmente di netto con un coltello. Nel frutticino il numero di cellule è ormai definito e inizia l’espansione cellulare che porta all’accrescimento dei frutti. Il germoglio inizia il suo rapido sviluppo richiamando assimilati verso di sé in forte competizione con i frutticini. La competizione esercitata dai germogli prevarica quella dei frutticini e quindi è opportuno penalizzare l’eccessivo rigoglio vegetativo, riducendo le disponibilità idriche nel terreno. Lo stress idrico indotto ridurrà anche l’accrescimento iniziale del frutto, che però recupererà completamente nelle fasi successive. • Fase 3 - Sino alla raccolta. Gli ormoni vegetali prodotti dal seme in formazione determinano un forte richiamo di assimilati verso il frutto, che è in distensione cellulare e nel periodo di massimo accumulo di sostanza secca. La competizione esercitata da frutto è così forte che determina un accrescimento rallentato dal germoglio. Occorre mettere la pianta nelle migliori condizioni di disponibilità idrica, perché la maggioranza degli assimilati sarà diretta verso il frutto, che potrà recuperare l’eventuale riduzione di accrescimento provocata dallo stress idrico imposto nella fase precedente. • Fase 4 - Post raccolta. La pianta senza frutti dirigerà gli assimilati nuovamente verso il germoglio e se lo stato idrico nel terreno è ottimale la crescita dei germogli sarà notevole, con un eccesso di rigoglio vegetativo. Un troppo forte sviluppo dei germogli risulta negativo perché riduce l’induzione a fiore delle gemme (meno fiori nell’anno successivo), determina l’esigenza di maggiori potature e rallenta la lignificazione dei rami a frutto, rendendoli più sensibili al freddo invernale. L’irrigazione andrà fortemente ridotta o annullata, determinando uno stress idrico capace di contenere il rigoglio vegetativo e l’uso dell’acqua non produttivo. 8