NOSIOLA La Valle dei Laghi Nella culla del Vino santo trentino doc Così il passito dei passiti sfida i secoli FLAVIA PEDRINI L'uva raccolta e selezionata viene lasciata appassire sulle Arele Il lavoro della muffa nobile e il suggestivo rito della spremitura L A ora del Garda, che acca/ rezza i filari e increspa la superficie dei laghi di origine glaciale, è lo scrigno perfetto per il passito dei passiti. E qui, nella valle dei Laghi, che i grappoli di Nosiola, un vitigno autoctono che rappresenta l'I,5% della produzione trentina (ma solo il 10% dei vigneti è ritenuto idoneo dai produttori per l'appassimento) diventa Vino santo trentino doc, ora anche presidio Slow Food. Nettare degli Dei che non conosce eguali al mondo. Non esiste infatti vino passito per il quale sia previsto un periodo di vinificazione tanto lungo. I grappoli d'uva, raccolti e selezionati in autunno -ma solo quelli spargoli, ossia con acini grossi e ben distanziati - vengono essiccati sulle arele (il bambù che un tempo faceva da fondo a questi graticci è stato sostituito da una rete metallica) e conservati in locali arieggiati, al fine di permettere la formazione della «Botrytis cinerea», una muffa nobile, che, grazie al clima della valle dei Laghi, conferisce al vino le suo inconfondibili caratteristiche organolettiche. Durante la Settimana Santa^-di qui il nome di Vino Santo) si procede alla spremitura dell'uva con il torchio a mano. Si tratta di una cerimonia dal sapore antico, che ogni anno si rinnova, facendo tappa di volta presso uno dei produttori. Il mosto ottenuto è pochissimo: basti pensare che da 100 chili di nosiola se ne ottengono appena 15-18 litri. Poi inizia la lunga fase della fermentazione naturale in piccole botti di rovere. Un processo molto lento, per via della elevata concentrazione di zuccheri presente. Il disciplinare prevede che l'imbottigliamento avvenga dopo almeno quattro anni dalla vendemmia. Ma prima di poter gustare un sorso del dolce nettare la maggior parte dei produttori attende almeno setto o otto anni, che spesso diventano dieci. E il tempo non fa che esaltarne la qualità: tanto che, assicurano gli Q£j>erti, anche dopo mezzo secolo una bottiglia di vino santo può essere stappata con la certezza che le sue preziose caratteristiche sono state conservate. La produzione dipende dalla stagioni e dal clima, ma generalmente l'associazione porta sul mercato circa 20 mila bottiglie. Non c'è una data certa che fissi la comparsa del Vino Santo. Le prime etichette risalgono probabilmente al 1.700, ma già le cronache del Cinquecento esaltano la particolarità di questo vino dolce, «...dal famosissimo banchetto del 25 luglio 1546 offerto dal cardinale di Trento (...) - scrive Michelangelo Mariani, nelle Cronache del concilio di Trento - vini squisitissimi, bianchi e rosati dei colli di Trento e vini dolci di Santa Massenza». Mentre Pincio Giano Pirro, negli Annali, descrivendo il banchetto predisposto il 12 settembre 1536 per l'ar- II mosto ottenuto è pochissimo: da 1.200 chili di nosiola se ne ricavano appena 15-18 litri Prima di potere gustare un sorso di questo vino dolce si attendono anche dieci anni jJZf rivo a Trento di re Ferdinando, parla dell'«insuperabile vino santo prodotto sui colli di Santa Massenza». Già nel 1508, si fa menzione a un «vino bianco dolce», dato dal capitano vescovile di Castel Toblino, Giovanni Battista Crioli al principe vescovo Giorgio Neideck per l'affitto di un dazio che si trovava a Sarche. L'unicità di questo vino Io porta, tra l'Ottocento e il Novecento, ad arricchire le tavole dei principali centri d'Europa, ma la fama del passito dei passiti, arriva perfino in Australia. La produzione conosce una crisi profonda durante le due guerre e il vino santo pare destinato a finire nell'archivio dei ricordi. Ma negli anni Sessanta, grazie alla tenacia e alla passione degli agricoltori della valle, la produzione di bottiglie torna a crescere e il vino santo ritrova l'antico prestigio, oggi certificato anche dal marchio «Doc». Una tradizione che si è dunque rinnovata nei secoli, spesso tramandata di padre in figlio. Ma la concorrenza del mercato è forte, con decine di vini dolci prodotti industrialmente e of- ferti a minore prezzo. Nel 2002, i vignaioli della Valle dei Laghi, proprio per difendere questo prodotto di eccellenza- segnando un confine netto rispetto ai vini dolci a basso costo e di rapida produzione - hanno dato vita all'Associazione Vignaioli del Vino Santo Trentino doc (erede del precedente Consorzio fondato negli anni Settanta). Oggi ne fanno parte sei aziende agricole della valle: Giovanni Poli, Fratelli Pisoni, Francesco Poli, Gino Pedrotti, Pravis e, new entry, Enzo Poli, classe 1978, che quest'anno ha potuto aprire la sua prima bottiglia di vino santo. Tra i produttori anche la Cantina Sociale di Toblino e c'è poi il vino santo della «rinata» Azienda agricola Rauten di Sarche. «È emblematico che un giovane si metta a produrre vino santo - sottolinea con soddisfazione il presidente dell'Associazione, Graziano Poli - perché questo richiede passione e molta pazienza. Oggi, nell'epoca del tutto e subito, è bello potere accogliere un nuovo associato». Enzo Poli di Santa Massenza, in tasca un diploma dell'Istituto agrario di San Michele e nel dna la passione per la vinificazione respirata nella distilleria di famiglia, parla di questo vino dolce con trasporto: «È una poesia pensare che questo vino resiste così a lungo negli anni», racconta. Da qui la scelta di piantare un vigneto - «ma bisogna trovare il posto giusto» - attendere i primi grappoli di Nosiola, raccogliere i più spargpli e poi la sfida della produzione: «E un processo laborioso, perché la raccolta va fatta in un certo modo, poi si deve attendere l'appassimento dell'uva e controllarla ogni dieci giorni, fino a Pasqua. Il risultato era un punto di domanda, non sapevo come sarebbe andata». Finché non ha stappato la sua prima bottiglia e ha tirato un sospiro di sollievo: ne era valsa la pena. E proprio la passione dei vignaioli è forse il vero segreto di questo passito, in grado di sfidare i secoli. La valle scommette sul bio: ecco il distretto La valle dei Laghi scommette sul biologico. Da tempo alcuni vignaioli e produttori hanno deciso di puntare su pratiche di coltivazione sostenibili e di investire su metodi di coltivazione biologica. Ma adesso non si tratta più di una sfida lasciata ai singoli, bensì di un progetto che ha un respiro più ampio, grazie alla nascita del Biodistretto della Valle dei Laghi, che la scorsa primavera ha avuto il suo battesimo ufficiale. Primo passo verso la concretizzazione del progetto, dopo che nell'estate 2014 era stato firmato il protocollo d'intesa tra Comunità di Valle della Valle dei Laghi, Cantina di Toblino, l'Associazione Vignaioli del Vino Santo, Cooperativa ortofrutticola Valli del Sarca, l'Azienda di promozione turistica, Cantine Lunelli e Centro trentino di Solidarietà. La vera novità di questo documento, come avevano spiegato i promotori, è l'idea di un territorio che declina la propria vocazione al biologico non solo nella produzione di prodotti agricoli ma si percepisce come bio, nel senso più ampio del termine «vita», coinvolgendo tutti i livelli di vita della Comunità, quello sociale, abitativo economico e sostenibile. Un biglietto da visita da spendere anche in campo turistico e commerciale, per riuscire a rispondere ad un mercato sempre più esigente, dove qualità e sostenibilità devono andare di pari passo.