1 Scuola secondaria di I grado di Settala e Rodano L’ITALIA DELLE FIABE IN VIAGGIO CON LE FIABE ITALIANE DI ITALO CALVINO L’immagine è tratta dalle illustrazioni scelte da Giulio Bollati per l’edizione delle Fiabe italiane di Italo Calvino pubblicata dall’Editore Einaudi nel 1956. 2 L’Italia delle fiabe In viaggio con le Fiabe italiane di Italo Calvino Questo lavoro, sviluppatosi nel corso dell’anno scolastico con un gruppo di ragazzi di prima e seconda media, ha affrontato il tema dell’unità d’Italia e la fiaba. Mentre i ragazzi conoscevano le fiabe, su cui avevano già lavorato nel loro percorso scolastico, non avevano mai trattato come materia di studio l’unificazione dell’Italia, perché lontana dai programmi ministeriali (si studia in terza media). Si trattava dunque di arrivare all’Unità partendo dalla lettura delle fiabe. Grazie alla felice intuizione della dottoressa Paola Buonacasa, intervenuta come esperta a scuola in una serie di lezioni, gli alunni hanno seguito un percorso fatto di lettura, analisi e rielaborazione delle fiabe raccolte da Calvino, condite con una lingua spesso dialettale ed espressioni gergali. La forte attenzione posta sull’aspetto della lingua ci ha consentito di “agganciare” il discorso unitario. Attraverso gli spunti offerti dalle Fiabe italiane abbiamo “giocato” attingendo alla varietà dei dialetti, ma anche reinventando la lingua sulla base di modalità via via individuate nelle fiabe. In tal modo siamo riusciti a cogliere la vastità del tessuto culturale sottostante alle fiabe e nello stesso tempo a comprendere somiglianze e analogie che ci hanno condotto a verificare l’esistenza del timbro italiano cercato da Calvino. Sono dunque numerosi i meriti di questo lavoro: l’aver condotto gli alunni in un viaggio immaginario attraverso un’Italia fatta di fiabe, l’averli spinti a riscriverle in modo creativo e aver fatto emergere il loro bagaglio linguistico, fatto anche di dialetti locali, di solito mai messi in risalto dalla scrittura tradizionale. Alcuni dei prodotti nati da questa esperienza (la serie di fiabe sulla “mia” Italia) sono confluiti in uno spettacolo che la Scuola secondaria di Rodano, in collaborazione con l’Associazione culturale “il fontanile” e con il Comune di Rodano, ha dedicato al tema dei 150 dell’Unità d’Italia. Grazie Paola: è stata un’attività divertente e costruttiva nella quale ci hai guidato, consigliato e, perché no, a volte anche strigliato, e crediamo di aver compiuto, con te, un’esperienza che ci ha arricchiti nei contenuti e nelle abilità, e che anche ci ha aiutati un po’ a crescere. Settala, 11 maggio 2011 Le docenti Proff. Virginia Cova e Costanza Viareggi 3 L’Unità d’Italia è un favola? In viaggio per l’Italia tra fiabe, giochi linguistici, scontri e incontri possibili... È stato davvero un viaggio fantastico quello che abbiamo intrapreso con alcuni ragazzi della prima e seconda media dell’Istituto comprensivo “Leonardo da Vinci” di Settala e Rodano, un percorso che ci ha aperto nuovi orizzonti e prospettive. Un viaggio che ci ha portato a pensare, immaginare e raccontare l’Italia a modo nostro. Filo conduttore degli incontri sono state le Fiabe italiane di Italo Calvino, raccolta che ci ha permesso di “toccare con mano” come sia vero che chi varca la soglia della fiaba accetti una sfida entusiasmante: diventare lettore e autore contemporaneamente. Ed è proprio in nome di questa sfida che abbiamo intrapreso il nostro fantastico viaggio in giro per l’Italia sia cercando elementi comuni e diversità che caratterizzano la tradizione delle fiabe della nostra nazione, sia diventando protagonisti di questo immaginario collettivo. Come abbiamo fatto? Leggendo in classe alcune fiabe raccontate da Calvino abbiamo provato a pensare a spunti “linguistico-creativi” che ci consentissero di rivisitarle in modo autonomo: abbiamo inserito proverbi che sono diventati strumenti magici, filastrocche che sottolineano ritmi già presenti nella fiaba, giochi linguistici, tautogrammi, catene di parole, parole inventate... In questo modo abbiamo esplorato attraverso i contenuti e il linguaggio due strade parallele che ci hanno portato alla stesso traguardo: la nostra fiaba sull’Italia. Sì, alla fine abbiamo creato noi una fiaba sull’Italia, uno spazio in cui ognuno ha messo in gioco una quantità considerevole di emozioni, spunti e opportunità di arricchimento. Un viaggio in cui spazio e tempo erano segnati da creatività e immaginazione, una sperimentazione giocosa delle incredibili potenzialità di ognuno. Grazie ragazzi per il fantastico percorso che mi ha fatto riscoprire una meravigliosa Italia di ieri e una altrettanto sorprendente Italia di oggi, la vostra! Grazie alle professoresse Virginia Cova e Costanza Viareggi che, secondo i più rigorosi canoni della figura fiabesca “dell’aiutante magico”, sono state insostituibili compagne di viaggio per procedere sicuri nel cammino in cui immaginazione, parola e scrittura diventano strumenti straordinari per crescere insieme, giocando. Paola Buonacasa 4 Giovannin senza paura Giovannin senza paura apre la raccolta delle Fiabe italiane e per questa fiaba, a differenza di tutte le altre, Calvino non cita la versione che ha seguito perché è molto simile in tutte le regioni. Calvino ci dice anche che è una fiaba semplice e lineare come il suo protagonista che con fermezza e serenità affronta l’ignoto e dimostra verso il sovrannaturale una “tranquilla fermezza”. Ed è proprio con questo spirito di apertura verso l’ignoto che abbiamo intrapreso il nostro viaggio attraverso le “Fiabe Italiane”, un viaggio che ci ha portato a conoscere una nuova Italia sospesa tra immaginazione e realtà, tra patrimonio comune e differenze regionali, tra classe e individuo. Dopo aver letto Giovannin senza paura abbiamo provato a far rivivere questo personaggio in funzione di ciò che aveva ricordato o insegnato a ognuno. Abbiamo anche pensato di far “dire” a questo “nuovo Giovannino” un proverbio che i ragazzi avevano sentito in casa, un modo di dire che fosse familiare, una frase che potesse diventare un talismano per il protagonista. Grazie a questo spunto abbiamo fatto un viaggio che ci ha portato in diverse regioni italiane e ha divertito parecchio i ragazzi. Leggendo queste prime storie potrete incontrare un mostro che diventa un chupachupa gigante, una squadra da disegno che si comporta come un pugnale sotto incantesimo, un diario e un armadio magico, tre fratelli coraggiosi alle prese con un sindaco molto strano, una ragazza che entra in un albergo lussuosissimo della Sardegna e spera di trovare l’avventura della sua vita e anche un ragazzo molto indeciso che troverà uno strano tesoro... Così, grazie a Giovannin senza paura, i ragazzi sono scesi in campo dimostrando sia potenzialità creative che - come spesso accade - riescono a stupire per la loro efficacia, sia un desiderio concreto di raccontare e condividere paure e modi per affrontarle. 5 Classe Prima Alessandra era una ragazza che diceva di non avere paura. Un giorno decise di partire per un giro in tute le città d’Italia. Arrivata a Cagliari cercò un albergo superextralusso. Dopo aver chiesto a tantissimi alberghi ne trovò uno a cui fece la stessa domanda che aveva fatto tantissime volte: “Avete una camera libera?” Anziché rispondere come tutti “No”, l’albergatore rispose: “Certo! Sono tutte libere… e lo saranno ancora! Infatti c’è uno strano mostro che spaventa tutti!” Alessandra rispose che per lei non c’era problema, allora l’albergatore, dopo tante suppliche, cedette: “Va bene… ma ricorda: non usare le scale!” Alessandra, però, soffriva di claustrofobia e non gli diede retta. Salì le scale e non accadde nulla; entrò in camera e non accadde niente. Ad un certo punto sentì un rumore venire da fuori. Uscì e vide una creatura mostruosamente orrenda che rotolava giù dalle scale e che, arrivata ai piedi di Alessandra, si fermò. Per nulla impaurita, gli chiese: “Perché sei sceso rotolando?” La creatura rispose: “Da sa scala mia ci calu commint’ollu (Dalla mia scala ci scendo come mi pare)”. Il mostro si presentò: “Sono il vecchio proprietario di questo edificio, ci sono morto e non lo lascerò!” Alessandra chiese, tutta eccitata: “E io dovrei aiutarti a vendicarti, come nei libri? O dovrei combatterti con tutto il mio coraggio?” Il mostro, stupito, rispose: “No! Io rimango qui perché voglio! Chi ti ha messo in testa queste scemenze?!” Così se ne andò via rotolando e Alessandra che si aspettava una grande avventura, continuò il suo viaggio molto delusa. Un giorno una bambina andò al parco e vide spuntare dalla siepe un bastone a forma 6 di mano; si avvicinò, ma non vide nulla. Allora si mise a giocare tranquillamente, dopo circa dieci minuti il braccio non c’era più. Lei aveva un po’ di paura ma si avvicinò lo stesso. Questa volta vide un mostro ricoperto di foglie che diceva: “Per la gola se ciappa el pess (Per la gola si prende il pesce)”. Lei scappò dalla mamma, le raccontò l’accaduto e la mamma le disse che i mostri non esistevano, di stare tranquilla. Ad un certo punto al posto del bastone vide un chupa-chupa gigante; siccome era la sua caramella preferita corse per prenderlo, ma lo stesso mostro di prima glielo impedì. La mamma vide la scena e andò a parlare con il mostro e, sentendo una voce molto familiare, decise di strappare la maschera al mostro così scoprì che era suo figlio. La bambina un po’ offesa si arrampicò sul bastone e si mangiò tutto il chupa-chupa per consolazione. Un giorno una bambina di nome Sarah, dimenticò in classe il diario segreto, che le serviva per fare i compiti. Una compagna di nome Tania disse: “Non aprire quell’armadio, è abbandonato da oltre cento anni… porta una maledizione, chiunque entri nell’armadio maledetto si chiuderà ermeticamente e morirà soffocato. Sarah con voce alta e sicura di quello che stava per fare disse: “Sì certo, e io ti dico che mia nonna è la regina Elisabetta d’Inghilterra”. Tania allora senza ascoltare quello che voleva fare Sarah le rispose: “Ora vado a danza, io ti ho avvertito, poi fai di testa tua, ciao”. Sarah per niente preoccupata prese il libro di italiano e disse: “Questo è il mio diario e si apre solo con una parola segreta: “Dopo Nadal un pas de gal (Dopo Natale un passo di gallo)”. Subito dopo Sarah si sentì portare dentro l’armadio che si chiuse in un attimo. Il mattino seguente i compagni di Sarah iniziarono a preoccuparsi per la sua scomparsa; la trovarono dentro l’armadio mezza morta soffocata, ma per fortuna una ragazzina stava ascoltando quando Sarah pronunciava la frase magica per aprire il diario e così provò a ripeterla e Sarah si svegliò. 7 C’era una volta Andrea che non aveva paura di nulla. Un giorno a scuola vide una squadra e ne ebbe paura perché per lui poteva diventare un pugnale che poteva essergli puntato contro, allora dopo la scuola andò in biblioteca a cercare un libro che aveva un incantesimo perché quella squadra non fosse più puntata verso di lui. Andrea dopo essere andato in biblioteca ritornò a casa e iniziò a cercare sul libro l’incantesimo, dopo tre giorni lo trovò. Allora andò a scuola e continuò a ripetere l’incantesimo “Giuramacajum”. I suoi compagni, però, lo prendevano in giro, allora Andrea decise di andare a Londra invece di continuare a ripetere l’incantesimo…. Appena arrivò a Londra si ritrovò in un albergo chiamato “Giuramacajum”, andò nella sua camera e proprio lì trovò la squadra che lo ammazzò. C’era un ragazzo di nome Giovanni che, insieme ai suoi due fratelli, decise di andare in una vecchia fabbrica abbandonata appena fuori città. Il più grande tra loro li sfidò ad entrare nella fabbrica. Con un calcio aprì la porta. I due fratelli più piccoli sentirono un ululato. Il grande (Andrea) era scomparso. Ad un tratto sentirono un gran rumore e dopo qualche secondo spuntò qualcosa o qualcuno tutto ricoperto di bende. I due ragazzi spaventati cacciarono un urlo mentre quel “mostro”si mise a ridere: era il fratello maggiore che aveva fatto uno scherzo. Poi proseguirono. Passate delle lunghe scale a chiocciola che portavano in una specie di cantina sentirono un rumore. Questa volta non era il fratello maggiore. Proseguirono correndo al massimo, ma ad un tratto il fratello minore sbatté contro qualcosa si alzò e vide il sindaco della città con una gigantesca chiave. Si stava dirigendo verso una gigantesca porta con una altrettanto grande serratura. Il sindaco, 8 che sembrava ipnotizzato, spinse dentro i tre ragazzi che impauriti gridarono: “Aiuto! Aiutateci!”. Poi cercarono di sfondare la porta, ma niente. Ad un tratto si sentì una voce che veniva dall’alto: era un grande gufo che disse “Potete scegliere tra due tunnel, ma solo uno porterà all’uscita”. I ragazzi scelsero il tunnel a sinistra e dopo ore e ore di cammino videro una luce… l’uscita! C’era una sala tutta piena di diamanti e pezzi d’oro. Appena uno di loro toccò un diamante, le porte si chiusero e da alcuni fori sulle pareti cominciò a uscire sabbia e poi ancora sabbia finché tutta la sala fu sommersa e da quel giorno non si sentì più parlare dei tre coraggiosi fratelli. C’ era una volta un ragazzo piccolo, minuto, di statura bassa con i capelli arruffati e un paio di occhialini di montatura tonda abbastanza buffi. Un ragazzo indeciso in ogni suo movimento chiamato Briciola. Un giorno il ragazzo con la famiglia doveva andare per una notte e un giorno a casa della pro-prozia che, per sua sfortuna, era morta. La sera, arrivati alla casa situata sulla collina più alta del paese, i genitori dovevano uscire per andare dal notaio a ritirare l’eredità, allora chiesero al ragazzo: “Vuoi restare a casa da solo? Non hai paura?” Il giovane rispose: “Sì, sì mamma resto a casa... anzi no... aspetta mamma ci devo pensare e, come sempre quando doveva prendere una decisione, restò cinque minuti a chiedersi, fra sé e sé, se restare o andare con loro. Infine il padre decise per lui e lo fece restare a casa. I genitori uscirono e il piccolo Briciola, si sedette su una vecchia polverosa poltrona davanti a un caminetto con un fuocherello fioco fioco. Intanto si guardava intorno e osservava la casa immensa arredata in modo antico, quasi quasi sembrava la scena di un film... 9 I suoi pensieri s’ interruppero sentendo un lieve rumore, come uno scricchiolio, ovviamente Briciola indeciso restò lì dov’era. E poi, tutt’a un tratto si vide davanti la prozia!!! Sì, proprio la prozia morta! Quella con la pelle rugosa, le mani ossute, gli occhi gelidi e i vestiti che sembrano usciti da un film di cent’anni prima, sì sì proprio quella!!! E la zia con molta naturalezza ma sempre con il suo portamento rigido e severo incomincio a gracchiare: “Taci! È un segreto!” Poi, con molta più tranquillità, quasi sussurrando disse che si era ritirata nella casa e finta morta perché non ce la faceva più della sua vecchia vita. Il ragazzo rimasto a bocca aperta riuscì a stento a dire: “Ma... ma... come?! Non è possibile... tutto ciò non ha senso! Avevi una così bella vita, una casa enorme e… tanti tanti soldi!!!” La prozia con sguardo ora tutt’altro che gelido disse: “Caro giovinotto mio, ricorda, che i soldi non fanno la felicità”. Briciola chiuse gli occhi... li riaprì ed era lì sulla vecchia poltrona, coricato. Si rese conto che era stato un sogno, però di quella frase fece grande tesoro... Classe Seconda Giovannino senza paura si era perso. Dopo un po’ che girovagava da un cespuglio sbucò un esserino: era un ometto strano con una piccola barba, un cappellino buffo e una salopette verde. Giovannino gli chiese se sapeva dove poteva trovare un alloggio nei paraggi per la notte. Lo gnometto gli rispose che dopo tre isolati si vedeva un cancello gigante dentro c’era un castello enorme dove viveva un uomo grandissimo, ma tutti quelli che avevano tentato di entrare erano tutti morti. Giovannino ringraziò lo gnomo e partì. Arrivò dopo una lunga camminata, scavalcò il cancello ed entrò. Il castello era bellissimo e grandissimo. Giovannino si sedette in soggiorno iniziò a mangiare, ma proprio mentre gustava una salsiccia sentì una voce che chiese: “Butto?” 10 Giovannino rispose: “Putost che nient le mei putost” e questa era una frase magica che gli aveva insegnato la sua prozia milanese. Proprio perché era una frase magica dal camino uscì una gamba, poi l’altra, poi un braccio, poi l’altro, poi il busto e infine la testa. Si formò così un uomo bruttissimo. I due girovagarono per il castello cercando un tesoro. L’ uomo gli chiedeva di aprire delle porte e di sollevare delle lastre pesantissime. Giovannino disse un’altra frase magica per riuscire a superare anche questa prova: “Zuche e melun la so stagiun” e l’uomo sentendo la frase sollevava lui le lastre e apriva le porte. Una volta ritornati in soggiorno l’uomo si spezzò e gli regalò il castello e due sacchi pieni d’oro. Giovannino visse felice con le sue frasi magiche, ma un giorno morì perché aveva visto la sua ombra. Diana con Tanta Paura era una ragazza napoletana a cui piaceva molto viaggiare. Un giorno alloggiò in un castello a Benevento, in cima a una collina, dove si diceva che tutti erano morti. La ragazza si fece coraggio e lì rimase. Mentre era seduta sul divano che guardava la televisione sentì una voce proveniente dal camino che diceva: “Butto?” e Diana: “Ogni scarrafone è bello a mamma soia” e dal camino scese una gamba. Poi si sentì un’altra volta: “Butto?” e Diana: “Ogni scarrafone è bello a mamma soia” e cadde l’altra gamba. Fu così per più volte, fino a quando si compose un brutto omone che portò la ragazza in un sotterraneo dove presero tre bauli pieni d’oro. L’uomo disse a Diana che i bauli erano suoi, per premiare il suo coraggio. Prima di sparire le disse anche che il castello era diventato suo, perché ormai ne era stata persa la discendenza. La ragazza rimase a vivere nel castello. Poi di Diana si seppe solo che morì vedendo la sua ombra. 11 C’era una volta un uomo che si chiamava Looney Tunes e nel suo viaggio incontrò un castello e in quel castello trovò un uomo strano che gli disse che da quel castello non era mai uscito nessuno sano e salvo. Looney Tunes entrò nel castello con un lume, una bottiglia e una salsiccia. Si sente una voce dall’alto che disse “butto” e Looney tunes disse “Bine faci bine gasesti “ (bene fai bene e bene troverai) e cadde una gamba piano piano caddero tutti i pezzi dell’uomo e si riunirono. L’uomo portò Looney Tunes in una cantina dove c’erano tre trofei d’oro e ripensando alla frase magica “Bine faci bine gasesti “ (bene fai bene e bene troverai) l’uomo decise di regalare tutto a Looney Tunes. L’uomo andò su e scomparve in mille pezzi. E Looney Tunes senza paura morì un giorno spaventato dalla sua ombra perché non si ricordava più la frase magica. C’era una volta Giovannino senza paura che aveva bisogno di alloggio e l’unico che riuscì a trovare era un palazzo di paura. Giovannino andò e portò con sé una bottiglia di vino, pane e salsiccia. Bevuto e mangiato andò in bagno e aperta la porta, dal water sentì una voce: “Butto?” Giovannino rispose: “E butta, scun and corasc roh niscen (Chi ha coraggio va in vantaggio)” e dal water uscì una gamba e così via fino ad arrivare alla testa. Giovannino tranquillo si mangiò il pane in un boccone e lo finì. Allora l’uomo che si era formato disse: “Vai avanti lungo le scale” e Giovannino rispose: “Ma vai avanti tu”. Scesero lungo la scala a chiocciola fino ad arrivare ai sotterranei: “Tira su quelle lastre” disse l’uomo e Giovannino rispose: “Ma tirale su tu” e senza fiatare l’uomo tirò su quelle lastre e sotto quelle lastre c’era oro! Poi l’uomo che non era riuscito a far morire di paura Giovannino si arrese andò in bagno si mise nel buco del water e si scaricò. Giovannino lo salutò con un lieve sorriso e andò a dormire. La mattina successiva i signori del paese si presentarono con una bara. Ma quando arrivarono lo videro fumare la pipa, i signori dalla gioia 12 applaudirono Giovannino che si voltò per scendere e vedendo la sua ombra morì dallo spavento. Chiara era una ragazzina di dodici anni che vagava per il mondo. Un giorno chiese ospitalità a un vecchio signore che non aveva posto per accoglierla e la mandò in una casa da cui nessuno usciva vivo, ma a lei non accadde. La mattina seguente il vecchio signore la vide e le disse: “Sei l’unica persona che è sopravvissuta in quest’orrenda casa” e Chiara: “Meglio soli che male accompagnati!” e se ne andò. Fuori di là incontrò tante persone tra cui un ragazzino della sua età e fecero amicizia. Iniziarono un viaggio insieme e si conobbero. Dopo un po’ di tempo si fidanzarono. Un giorno videro un castello ed entrarono: era abbandonato e si fermarono a riposare. Decisero di rimanere ad abitare in questo castello per sempre, la gente del paese domandava: “Come mai questi due ragazzini sono soli in un castello così grande?” e loro rispondevano: “Meglio soli che male accompagnati” e tutti rimasero a bocca aperta. Alla fine i due si sposarono e vissero felici in questo castello come “re” e “regina”. Alessio per l’estate andò in vacanza con i suoi amici in Calabria. Un giorno chiese a un barbone che stava seduto sulla strada se da quelle parti c’era un castello. “Sì, in cima alla montagna c’è un castello stregato” rispose quello. Il giorno seguente Alessio e i suoi amici andarono a visitare il castello, dopo una lunga camminata fino alla cima della collina. Quando arrivarono all’entrata del castello Alessio sentì una voce strana che chiamava ognuno di loro per nome e che diceva “Butto?” e tutti loro risposero “Un cuore forte rompe cattiva sorte”. All’improvviso caddero due braccia e due gambe dal tetto e la scena si ripeté fino a formare un intero corpo. Alessio, che non aveva paura dell’uomo caduto a pezzi dal 13 tetto, provò ad andarsene ma non poteva perché la porta si era incastrata. Il giorno seguente l’uomo per fare amicizia fece uno scherzo e si nascose dietro a una tenda. Al risveglio di Alessio l’uomo uscì da dietro la tenda e lo fece spaventare talmente tanto che Alessio svenne e morì. Una notte Marco incontrò un vecchio mendicante che gli disse: “Se andrai nel vecchio castello, dovrai dire La gattina frettolosa ha fatto i gattini ciechi…’’ e se ne andò. Allora Marco si incamminò il lungo viale che portava al vecchio castello. Arrivato a destinazione entrò e salì la lunga scala a chiocciola-infinita. Si coricò sulla branda tutta rotta ad un tratto sentì un tonfo pazzesco e poi una vocina disse: “Butto?!’’ e Marco rispose: “La gattina frettolosa ha fatto i gattini ciechi…”. Dopo quasi sette minuti scese un ometto minuscolo di nome Giorgia. Marco e Giorgia trovarono molte cose in comune e così s’innamorarono. Dopo parecchi anni si sposarono. Così Giorgia divenne una ragazza… La storia però si ripeté cinque volte. Marco allora ritornò dove aveva incontrato il vecchio mendicante e ripeté la frase che il mendicante gli aveva consigliato e così continuarono la loro vita finalmente felici. 14 Il lupo e le tre ragazze Calvino ci dice che questa fiaba deve essere arrivata a Pacengo sul Lago di Garda dalla Germania, il finale infatti è molto simile alla versione di Cappuccetto Rosso dei Grimm anziché a quella di Perrault. In effetti appena terminata la lettura in classe i ragazzi hanno esclamato “Ma questo è Cappuccetto Rosso moltiplicato per tre!” e alcuni hanno notato come il tre sia un numero, considerato magico, spesso presente nelle fiabe. Le rime a filastrocca nel dialogo con il lupo - inserite da Calvino per seguire una battuta dall’originale - sono state per i ragazzi l’elemento di maggior attrazione che hanno individuato nel ritmo impresso dalle parole in rima lo spunto per scrivere una nuova storia. Così la fiaba si è trasformata in una filastrocca o in un’altra storia in cui i ragazzi hanno inserito una strofa in rima. 15 Classe Prima Tre sorelle lavoravano leggiadre in un paese lontano dalla madre, ma la madre si ammalò e da lei la prima andò. Nel bosco buio, però, un brutto lupo incontrò che voleva divorare ciò che la madre doveva mangiare. Tornò a casa dalle sorelle sotto un cielo punteggiato di stelle. Anche la seconda decise di provare ma a casa dovette tornare. Ecco la terza, ma cosa fa? Mette nella torta chiodi a volontà e così li fa mangiare al lupo che la voleva fermare. Ma il lupo, furbo, andò a Borgoforte e si mangiò la madre come le torte. Quando la ragazza arrivò anche lei si pappò. Gli abitanti del paese presero, della ragazza, le difese e così lei si salvò e con la mamma a casa tornò. 16 Strega brutta e pasticciona non fare la frignona, non piangere sui biscottini e non mangiare i piccolini. Tu domani morirai e felice resterai. Il mio amico Dino si sentiva un po’ piccolino. Un bel giorno incontrò un bel lupone che gli mangiò il pallone. Il giorno dopo rincontrò il lupone ma questa volta senza il pallone, allora il lupone senza mangiare il pallone si sbranò il suo bel testone. Una stellina, molto carina, una gonnellina voleva indossare, perché dal suo amico voleva andare, per poi volare nel suo posto nel cielo e coprirsi con un velo. 17 C’erano una volta tre sorelle la cui mamma stava molto male. La prima sorella andò a Borgoforte da sua mamma, ma purtroppo venne fermata da un lupo che le chiese che cosa aveva dentro la sacca e dove stava andando. La bambina rispose che andava da sua mamma a Borgoforte e dentro la sacca aveva due fiaschi e due torte. Il lupo le disse che doveva dargli immediatamente le due torte se no l’avrebbe mangiata. La bambina gliele diede e scappò. La seconda sorella fece lo stesso. La terza prima di andare dalla mamma preparò una torta con i chiodi perché sapeva di incontrare il lupo. Quando lo incontrò gli diede la torta con i chiodi e il lupo si punse tutto il palato. Il lupo arrabbiato corse a casa della mamma malata. La bambina arrivata a casa della mamma capì subito che era il lupo quindi disse queste parole magiche cento volte: Ti saluto facendo uno starnuto rivedere ora voglio la mia mamma e quindi ora vai a nanna. Il lupo sentendo questa frase si addormentò e la bambina gli tagliò la pancia e tirò fuori la mamma. Classe Seconda C’erano una volta tre sorelle, assomigliavano a tre ciambelle: brutte, grasse e poco belle. La loro povera mammetta (sembrava una marionetta) era ammalata, poveretta! 18 Gli ha fatto male la ceretta! E allora gli portarono una cassetta con all’interno una saponetta. In ordine partirono le tre sorelline dalla più grandina alla più piccina (solo la più piccina fu più furbina, mettendo chiodi nella cassettina!). Sulla stradona incontrarono una lupona cicciona e con la panciona, che promise alla sorellina di fargliela pagare! Allora la lupina Arrivò per prima dalla mammina e così si mangiò, non appena arrivò, la sorellina. Capì poi che non era la mammina, ma fu tardi, poverina. Infatti si mangiò anche la piccina. Passò di lì un cacciatore con il suo cagnolone che sentì con il suo fiutone l’odorone del lupone! E così gli tagliò il pancione. Così la mamma e la piccolina tornarono a casa a mangiar la tortina 19 C’erano una volta tre sorelle molto belle che volevano andare dalla loro mammina a Borgoforte perché aveva il mal di morte. Le tre sorelle riempirono la sportina con quattro torte e partirono anche se sapevano che lungo la strada c’era il cupo lupo cattivello. La sorella maggiore incontrò il cupo lupo che le chiese: “Dove vai così di fretta, forse ti serve la bicicletta!” E il lupetto un po’ furbetto continuò: “Io ti do la mia biciclettina, tu mi dai la tua sportina!” La sorella cedette alla tentazione e gli donò la sua sportina in cambio della bicicletta. Appena salì sopra la bici questa si ruppe in mille pezzi, ma il lupo era già scappato. La sorella tornò a casa e spiegò tutto. Nel pomeriggio partì la seconda sorella, lungo la strada incontrò il cupo lupo che le chiese: “Se tu mi dai quelle sporte, io ti do un pianoforte!” La ragazza amava la musica così diede al lupo le sporte e si prese il pianoforte. Quando lo suonò si ruppe in mille pezzi! La ragazza più triste che mai tornò a casa e spiegò tutto. La sorella più piccola partì e durante il viaggio incontrò il cupo lupo che non fece in tempo a parlare perché la ragazza gli disse: “Ti regalo questa torta, mi raccomando mangiala tutta!” Il lupo golosone la mangiò, ma la torta era piena di chiodi! Il lupo gridò: “Che male!!! Questa non me l’aspettavo!” e scappò a casa disperato. La ragazza andò dalla mamma e insieme mangiarono. 20 C’erano una volta tre ragazze molto carine ma un po’ pazze. Un giorno decisero di andare a Borgoforte a trovare la loro mamma che aveva il mal di morte. La prima sorella si mise in cammino e portò con sé un cestino. Entrò in un bosco cupo e venne mangiata da un grosso lupo. La terza essendo più furbina mise dei chiodi nella tortina che il lupo si mangiò e dopo pochi secondi scoppiò. In una casettina c’era una bambina che giocava ogni mattina nella sua stanzina con la sua dolce e cara bambolina che era molto bellina. Alla mattina la portava sempre sulla collina, lei era molto felicina, alla fine la bambina diventò grandina e buttò la cara bambolina, nella sua triste cantina. Un bel giorno arrivò un orco 21 che si portò la bambolina nell’orto ma per non far a nessuno torto la portò in un grande porto. Qui decise di farla partire perché non sapeva ancora capire come il lupo voleva finire questa storia un poco mostruosa che non ha né capo né coda. C’erano una volta tre ragazze che passeggiavano per il bosco tranquillo quando, a un certo punto, sentirono una voce che diceva: “State attente che la strada è ancora lunga”. Allora le tre ragazze capirono al volo che si trattava di un lupo e quindi decisero di mettersi a correre. Quando si sentirono al sicuro all’improvviso da un albero sbucò il lupo. Le tre ragazze ormai senza alcuna speranza vennero mangiate dal lupo. E COSÌ MORTE E SEPOLTE SI RITROVARONO SENZA RISPOSTE IN CERCA DI UNA NUOVA SORTE PER RECUPERARE TUTTE LE SPORTE. C’erano una volta tre sorelle che cucinavano delle frittelle. La più piccolina partì alle sette di mattina per andare a trovare la sua mammina. 22 Portò con sé una sportina con dentro una bella tortina. Lungo la stradina incontrò una lupina che morente era, poverina. Allora la piccola bambina la mise nella sua sportina per fare una sorpresina. Così quando arrivò dalla sua mammina aprì la sportina e dentro non trovò più la sua tortina ma quella bella lupina che chiamò Fragolina. 23 Il bambino nel sacco Dalle note sappiamo che la fiaba Il bambino nel sacco è di diffusione europea e che con nome simile a quello della versione seguita da Calvino (Udine) se ne ritrovano anche nelle Venezie Giulia e Tridentina, con il nome di Rosseto a Venezia e altre versioni in Toscana ed Emilia. In questa storia, che è una tipica fiaba infantile in cui i personaggi “parlano” in chiave di filastrocca, Calvino ha scelto i nomi dei protagonisti: Pierino Pierone e Strega Bistrega. Proprio partendo da questi nomi i ragazzi hanno immaginato nuove storie giocando con i prefissi arbitrari di cui Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia ci ha illustrato le infinite potenzialità. Infatti scrive: “Un modo di rendere produttive le parole in senso fantastico è quello di deformarle”. In effetti sono nate storie davvero strane, stralunate, in cui un’immaginazione deformata da personaggi doppi, tripli, contrari e “iperalterati” la fa da padrone consentendo ai ragazzi di esplorare strade incantate e surreali. 24 Classe Prima C’era una volta un bambino che aveva un dispecchio che non faceva vedere l’immagine riflessa ma faceva vedere la verità. Questo bambino si chiamava Trifrancesco perché aveva tre vite. Una strega aveva molta fame e mangiò un bambino intero. Ma la sua fame era una bifame e catturò anche Trifrancesco, senza sapere della sua strana qualità. La strega arrivò a casa col suo sacco e buttò Trifrancesco nel pentolone. Lui, però, non moriva e scappò. La strega inseguì Trifrancesco, che era diventato Bifrancesco. Lo riacchiappò, ma lui non moriva e riuscì a scappare di nuovo. La strega corse e corse ma Bifrancesco, diventato solo Francesco, non voleva morire. Gli venne in mente il dispecchio e, sapendo che la strega era vanitosa, la fece guardare nel dispecchio e lei vide come era cattiva ma, essendo una strega e non una distrega, continuò a rincorrerlo e riuscì a mangiarlo. Un giorno spersi uno spaio di scarpe e chiesi a mia smamma dov’erano perché le strovavo. Disandai a scuola ed entrai in una casa tregata, ero convolto. La casa era disfatta di oro ma di caramelle e non smangiai nulla e divenni così sgrasso che scoppiai e mi ridussi in pezzi di scaramelle. C’era una volta un’antimatita che, quando la vicefiglia doveva disegnare, scappava da tutte le parti. Un giorno a scuola la vicefiglia aveva lezione di arte, ma l’antimatita si mise a correre in tutta l’aula. La vicefiglia fu punita: come castigo doveva fare tre disegni. Allora, tutta preoccupata e dispiaciuta per la punizione che aveva preso, si 25 mise a disegnare con un’altra matita. L’antimatita si offese e, da quel momento, decise di non essere più un’antimatita e di diventare una matita normale, solamente molto speciale perché sapeva prendere decisioni. Uno sbambino uscì da scuola triste. Arrivarono le 7:00 di sera e i genitori non lo trovavano. Alle 7:30 si avvicinò allo sbambino un’anziana signora che in realtà che era una strega malefica. Lo mise in macchina e lo portò a casa sua. Lo sbambino guardò com’era strana la casa, mentre la strega cucinava uno stufato, ovviamente con il veleno. Lo sbambino vide i suoi antigenitori in una gelatina di frutta gigante. Tornò la strega e sbatté lo sbambino contro uno smuro di acqua. Lui scivolò per terra e la strega godeva. Lui mentiva sul fatto che era svenuto, infatti, scese giù aprì la porta e si mise a correre. Tornò a casa e non sapeva come liberare i suoi antigenitori così si mise al lavoro e riuscì ad uccidere la strega e a liberare i suoi antigenitori. C’era una volta una strega chiamata tristrega (perché aveva tre teste) e catturò per quattro volte un bambino chiamato Spierino che riuscì a scappare per ben tre volte. Alla quarta, però, riuscì a tagliare la testa alla figlia della tristrega, chiamata quadrifiglia, e dopo cucinò anche lei, in una tripadella. 26 Classe Seconda Pierino Pierone stava sempre sul vicepero, perché il capopero era occupato dal caposquadra. Un giorno arrivò la vicestrega che voleva mettere nel sacco Pierino Pierone e ci riuscì, perché il caposquadra non lo aiutava. La vicestrega si dovette fermare e nel frattempo Pierino rosicchiò il sacco e scappò. La vicestrega quando arrivò a casa dalla sua vicefiglia si accorse che il ragazzo era scappato. Ritornò di nuovo al vicepero e per la seconda volta riuscì a prendere Pierino Pierone nel sacco, ma questa volta lo legò bene. La vicestrega si dovette ancora fermare e nel frattempo un supercacciatore aprì il sacco e Pierino Pierone scappò. Arrivata a casa dalla vicefiglia aprì il sacco e si accorse che al posto di Pierino c’era il cane del supercacciatore. La terza volta che Pierino Pierone finì nel sacco la vicestrega non si fermò e arrivata a casa lo mise nel megasgabuzzino. Durante la notte Pierino Pierone riuscì ad uscire dal megasgabuzzino perché aveva trovato una maxisega che lo aiutò a buttare giù la porta, ma la vicefiglia lo vide e gli disse: “Metti la testa sotto la mezzaluna” e Pierino rispose: “Mettila tu”. La vicefiglia la mise e Pierino con un vicetaglio le tagliò la testa. Quando la vicestrega tornò a casa Pierino con un iperstratagemma la fece precipitare giù dal camino. C’era una volta Super Pierone, un bambino birichino che invece di andare a scuola andava su un megaalbero di pero. Un giorno la Stra Strega vide Super Pierone sul megaalbero e con mille smancerie gli chiese di darle una pera. Super Pierone le lanciò una pera che cadde nel “ricordino” 27 di un cavallo. Allora la Stra Strega si arrabbiò e lo mise nel sacco, andò a casa dalla figlia Arci Margherita e le disse di preparare un mega fuoco per cuocerci Super Pierino. Ma Super Pierino era scappato quando la Stra Strega si era fermata a fare la pipì. Morale: quando devi fare qualcosa di importante aspetta a fare la pipì. Pierino Pierone stava sempre sul multipero. Un giorno arrivò la multistrega che voleva mettere nel sacco Pierino Pierone e ci riuscì. La multistrega si dovette fermare e nel frattempo Pierino Pierone rosicchiò il sacco e scappò. La multistrega quando arrivò dalla sua triplafiglia si accorse che il ragazzo era scappato. Ritornò di nuovo al multipero e per la seconda volta riuscì a prendere Pierino Pierone nel sacco, ma questa volta lo legò bene. La multistrega si dovette ancora fermare e nel frattempo un multicacciatore aprì il sacco e Pierino Pierone scappò. Arrivata a casa dalla triplafiglia aprì il sacco e si accorse che al posto di Pierino c’era il cane del multicacciatore. La terza volta che Pierino Pierone finì nel sacco la vicestrega non si fermò e arrivata a casa lo mise nello sgabuzzino. Durante la notte Pierino Pierone riuscì ad uscire dallo sgabuzzino e salì fino alla cappa della cucina. La mattina dopo la vicefiglia disse a Pierino: “Metti la testa sotto la mezzaluna” e Pierino Pierone rispose: “Mettila tu”. E poi Pierino Pierone tagliò la testa alla multifiglia. C’ era una volta un ragazzino di nome Pierino Pierone. Un giorno andò nel bosco per raccogliere delle mele, quando si stava arrampicando su un megalbero che era un albero molto grande vide una tristrega che era una strega con tre teste che gli chiedeva aiuto. Pierino scese dal megalbero per soccorrere la tristrega. Quando Pierino Pierone le se avvicinò, la tristrega aprì un minisacco piccolissimo e ci mise dentro Pierino Pierone che era molto grasso. La tristrega portò Pierino Pierone nel 28 suo anticastello, bussò alla miniporticina che era una porta alta quattro metri. Aprì una cameriera. La tristrega le disse di andare a scaldare l’acqua e dopo pochi minuti cercarono di buttarci dentro Pierino, ma uno stregatto, un incrocio di strega e gatto, fece perdere l’ equilibrio alla strega e la fece cadere nel pentolone con l’ acqua bollente. La strega morì bruciata e così Pierino riuscì a scappare e a tornare nel suo paese. Minipierino era su un minipero a mangiare minipere. Ad un certo punto arrivò la Maxistrega che gli chiese di lanciarle giù una minipera che finì in un superbisogno di un cane. La Maxistrega stregona chiese di lanciarle un’altra minipera, che finì nella micropipì del cavallo. Poi Minipierino, stanco, scese e diede la minipera alla Maxistrega. Lei prese la sua miniborsetta e ci rinchiuse dentro Minipierino. Dopo un po’ di strada la Maxistrega stregona si fermò perché aveva perso la sua superlente e andò dietro a un maxicespuglio a cercarla. Intanto Minipierino uscì dalla miniborsetta e ci mise dentro una bispietra. La Maxistrega stregona ritornò, se ne andò a casa e mise la miniborsetta dentro una tripentola che si spaccò in due e tutto quello che c’era dentro andò a finire sui piedi della Maxistrega stregona. La Maxistrega stregona si mise i capelli biondi e andò ancora da Minipierino e lo catturò ancora, ma questa volta lo rinchiuse dentro una microscatola e non si fermò a cercare la lente. La Maxistrega stregona andò a casa con Minipierino e lo liberò. Il furbetto fece una piccola scala e la Maxistrega stregona cercò di salire, ma le scale erano troppo piccole per lei e quindi inciampò, cadde dentro la tripentola e morì. Nella foresta passeggiava la vice strega: Questa strega non era riuscita a superare l’esame per diventare una strega a tutti gli effetti, l’ultima prova che doveva superare 29 era quella di cucinare un bambino. Pierino Pierone era seduto sopra il superpero che era magico perché ogni volta che staccavi una pera subito dopo ne cresceva un’altra. La vicestrega chiese: “Pierino Pierone con la tua bianca manina dammi una pera!” Pierino ignaro del pericolo scese e le diede una pera ma non fece in tempo a risalire che la vicestrega lo rinchiuse dentro all’extrasacco, un sacco speciale perché nessuno poteva uscire. Intanto la vicestrega si fermò a comprare dei pomodori. Nel sacco si era formato un buchetto, Pierino Pierone allargò il buchetto e riuscì a scappare. Al suo posto aveva messo una pietra. Arrivata a casa la vicestrega aprì il sacco e lo svuotò nella pentola senza guardare, la pietra cadde e la strega e sua figlia si bruciarono. Il giorno dopo la vicestrega si travestì da una ragazza bionda e ripartì verso il superpero: Trovò ancora Pierino Pierone sull’albero e gli chiese di prenderle una pera, il bambino le credette e scese, la vicestrega lo catturò ancora. La vicestrega si fermò ancora a comprare dei pomodori, intanto un cacciatore si accorse del sacco e al posto di Pierino Pierone ci mise il suo cane. La vicestrega arrivata a casa svuotò il sacco nel pentolone, spuntò il cane che la morse, la strega arrabbiata ripartì subito ma prese un sacco senza fori. Questa volta si travestì da vecchietta e chiese di nuovo a Pierino Pierone di prenderle una pera. Pierino ci cascò di nuovo e la vicestrega lo rinchiuse di nuovo, ma questa volta non si fermò. Arrivati a casa la figlia e la vicestrega lo rinchiusero nello sgabuzzino e all’ora di cena lo presero, la figlia gli disse di mettere la sua testa sul tagliere, ma lui furbo le disse di fargli vedere come, la figlia lo fece e Pierino Pierone le tagliò la testa e riuscì a scappare per sempre. 30 I due gobbi È una fiaba molto antica, sia a livello nazionale che europeo, ci sono versioni orali in Friuli, in Toscana (ed è proprio dalla Toscana che Calvino ha preso l’idea della sega di burro) e anche in Sicilia. Il coro delle vecchine che cantano “Sabato e Domenica” e l’idea del gobbo di aggiungere “Lunedì” ha divertito i ragazzi che poi si sono chiesti come mai invece “Martedì” abbia fatto arrabbiare a tal punto le vecchine da decidere di mettere un’altra gobba al fratello. Abbiamo allora ipotizzato che dietro a tale scelta ci fosse un codice segreto e così nel riscriverla abbiamo provato a inventarne uno nostro mutuandolo dal gioco che si chiama “Catena di parole” in cui ogni parola deve iniziare con la sillaba delle parola che la precede. Il risultato è stato divertente e la possibilità di rivisitare la fiaba in questa “chiave” ha permesso ai ragazzi di valutare come giocare con le parole apra a nuove ipotesi narrative e a percorsi imprevisti. 31 Classe Prima C’erano una volta due sorelle che al posto dei capelli avevano due corna. Da anni desideravano non averle più, perché tutti, e dico tutti, le prendevano in giro. Avrebbero avuto piacere di avere almeno un capello in testa, anche se in realtà volevano praticamente una foresta in testa, ma sapevano che i desideri purtroppo non sempre si avverano. Un giorno la più grande andò in biblioteca e trovò una mappa piuttosto strana: non si capiva niente! Per fortuna lei era intelligente e andò nel posto indicato dalla mappa; sembrava che non ci fosse niente… in fondo era solo una foresta! Ad un certo punto vide una grande croce che poteva essere il punto dove c’era nascosto il tesoro! Iniziò a scavare e, come per magia, dalla terra spuntarono tre maghi, con la barba bianca e lunga e con il vestito viola a stelline. Dissero con voce bassa: “Se vuoi il tesoro devi rispondere a questo indovinello: trova altre parole che seguano queste tesororovinato…”. “Ehm, fammi pensare…” disse la ragazza intelligente “Ecco ho trovato! Voi avete detto tesoro-rovinato e io dico torbido-donato, giusto?” “Sì, ora tu cosa vorresti per desiderio?” chiesero i tre maghi. “Che mi sparissero le corna e mi crescessero i capelli!” E, d’improvviso, la ragazza diventò bella come una regina e tornò a casa molto contenta. Incontrò sua sorella, meno intelligente ma presuntuosa, le raccontò tutto e le consigliò di andare anche lei in quel posto. Subito la seconda sorella ci andò e incontrò i tre maghi che le sottoposero la stessa prova con queste nuove parole: “Domani-niente…” E lei rispose: “Voglio il tesoro!” convinta di averne diritto. Purtroppo non indovinò e così, oltre alle corna, le spuntarono i brufoli sulla testa. Tornò a casa scontenta, senza aver capito la regola del gioco e sicura di aver subito un’ingiustizia. 32 Delle streghe un lunedì incontrarono nella foresta gobbo che non voleva più avere la gobba. Le streghe dissero: “Se quella gobba vuoi eliminare questa frase devi continuare: cane-neve-veloce”. Lui allora proseguì: “Frutta-tavola-lavoro”. Le streghe presero una sega di burro e gli tagliarono la gobba e lui tornò a casa felice. Anche il fratello allora andò dalle streghe, ma non riuscì a continuare la frase e le streghe si arrabbiarono e lo tagliarono a pezzi piccoli, ma così piccoli che non si sentì più parlare dell’oramai unico gobbo. Due fratelli decisero di fare fortuna. Uno, il più piccolo, aveva la gobba, il più grande, invece, era bello e ricco. Avevano sentito dire che nelle antiche rovine della città vicina c’era un tesoro. Iniziarono il viaggio e arrivarono nelle rovine dopo due giorni. Alla fine di lunghe e faticose ricerche trovarono il tesoro, ma appena lo toccarono dieci vecchine apparvero da dietro le colonne. La vecchina che sembrava il capo parlò: “Chi siete e che cosa volete?” Il più piccolo dei fratelli rispose: “Buona signora, siamo due fratelli in cerca di fortuna”. La vecchina disse che se volevano il tesoro dovevano completare la frase ponte-tetroromano. Il giovane gobbo ci pensò un po’ su e rispose “Nostro-rovinato-tornerà” La vecchina lo guardò soddisfatta: “Bravissimo, oltre al tesoro ti meriti qualcos’altro, ti toglierò la gobba e diventerai bello!” Il giovane in pochi secondi, diventò bellissimo. Il fratello, però, per avere la sua parte di fortuna, doveva continuare la frase del fratello e senza un attimo di esitazione 33 disse: “…noi bello lo faremo e felici torneremo!” In questo modo pensava di avere più soldi, avendo detto più parole, ma non fu così. In poco tempo diventò bruttissimo, con una gobba enorme e pieno di rughe e per di più con meno soldi di prima! Il fratello più giovane lo aiutò a camminare fino a casa, gli insegnò muoversi e gli diede soldi per tutta la vita fino alla sua morte, lasciando una parte di eredità al fratello che per la poca furbizia si era “rovinato” la vita. C’era una volta un ragazzo che aveva la gobba ed era molto triste e timido, riusciva a stare solo con suo fratello perché anche lui aveva una gobba. Allora decise, per superare il suo problema, di andare nel bosco delle due vecchine a chiedere il loro aiuto. Le vecchie gli dissero che lo avrebbero fatto solo se riusciva a risolvere l’indovinello: “Gobba-bagno-notte…” Sicuro il ragazzo rispose: “Temo-morali-limoni…” e così come per incanto la gobba sparì. Ora lo stesso indovinello fu fatto al fratello che invece rispose: “Buoni-amicivecchiette…” Dato che il fratello sbagliò le vecchiette gli misero la gobba anche davanti. Due gobbi erano in cerca di fortuna. Uno dei due fratelli si incamminò in un bosco dove sentì delle vocine. Si spaventò molto e per la paura si arrampicò su un albero da dove vide delle vecchiette che cantavano: “Scoreggia-giace-cercando”. Il gobbo disse la prima cosa che gli venne in mente: “Domande” Le streghette rimasero prima stupite, poi contente della nuova parola e come ricompensa presero una sega di burro e gli tagliarono la gobba e il gobbo tornò a casa 34 contento. Il fratello, essendo geloso, entrò pure lui nel bosco e le vecchiette incominciarono a circondare l’albero cantando: “Cioccolato, tostato, torronato”. Il gobbo disse la prima cosa che gli venne in mente: “Buonissimo”. Le streghe ci pensarono su e dissero che suonava malissimo quindi gli attaccarono sulla pancia la gobba del fratello e il gobbo per tutta la sua vita due gobbe. Un tempo c’erano due fratelli che erano gli unici nel paese ad avere una lunga e folta coda. Ovviamente tutti i ragazzi li prendevano in giro. Un giorno uno dei due partì e andò in città, girò per tutti i negozi e in uno di questi trovò un paio di pantaloni che gli piacevano moltissimo. Andò nei camerini e lo provò, naturalmente non poteva infilarseli per via della coda... ma quando si guardò allo specchio vide tre fanciulle che gli dissero: “Bellissimi-miracoli-lista” e poi “Continua tu la sequenza e ti toglieremo la coda”. Il ragazzo ci pensò un po’ su e poi disse: “Tacco-cocciuto-tolto”. “Bravo” dissero le tre fenciulle “ora come promesso ti toglieremo la coda”. Presero fiato e continuarono “Chiudi gli occhi e immaginati felice”. Il ragazzo fece come detto. Riaprì gli occhi ed era lì nel suo paese senza il codone e neppure il fratello ce l’aveva più e tutti erano sorridenti e felici! Classe Seconda A Firenze c’erano due fratelli gobbi. Il minore andava in giro per il mondo in cerca di fortuna. Una notte si perse in un bosco. Ad un certo punto sentì un rumore e, per paura che fosse un assassino, pensò che era meglio salire su un albero. Quando fu 35 salito, da terra sbucò una vecchia poi un’altra e diventarono tante fino a quando iniziarono a girare intorno all’albero cantando: “Diana-navigava-vanitosamentetemendo-domande-dementi, Diana-navigava-vanitosamente-temendo-domande- dementi, Diana-navigava-vanitosamente-temendo-domande-dementi.” Il ragazzo aggiunse: “Timorose” e le vecchie cantarono: “Diana-navigavavanitosamente-temendo-domande-dementi-timorose.” Le vecchie erano entusiaste e dissero: “Scendi dall’albero.” Il ragazzo scese e per premio con una sega di burro gli tagliarono la gobba. Quando felice tornò a casa raccontò al fratello maggiore tutta la sua storia. Allora anche il fratello andò nel bosco. Salì sull’albero e le vecchie si misero di nuovo a cantare: “Diana-navigava-vanitosamente-temendo-domande-dementi-timorose”. Il fratello aggiunse: “Sognando”. E le vecchie si misero a cantare: “Diana-navigava-vanitosamente-temendo-domandedementi-timorose-sognando” ma questa volta alle vecchie non piaceva la canzone e allora, arrabbiatissime, perché l’uomo non aveva capito la regola della filastrocca, gli ordinarono di scendere e gli aggiunsero la seconda gobba. C’era una volta Spanna e Spanno. Erano due fratelli del paese Ranocchia con tre gambe ciascuno. Un giorno Spanna partì in cerca di fortuna e salutò il fratello. Camminò tutta la giornata quando di notte, avendo paura degli assassini, salì sopra un albero e si addormentò. Quando fu buio un gruppo di nanette spuntarono dal terreno e cominciarono a girare intorno all’albero cantando ripetutamente: “Gomma-masticata-tagliava- valorosamente”. Spanna disse sorpreso: “Teste”. Allora le nanette dissero: “Chi è quest’anima intelligente, noi non avremmo mai pensato a una parola così bella”. Quindi cominciarono: “Gomma-masticata-tagliava- 36 valorosamente-teste”. Dopo poco tempo le nanette videro Spanna ed esclamarono: “Scendi che faremo tutto quello che vuoi!” Spanna scese dall’albero e disse: “Vorrei che mi toglieste una gamba”. Le nanette presero delle forbici di spugna gigante, tagliarono la gamba e l’appesero su una parete rocciosa. Contento Spanna tornò a casa e tutti i cittadini del paese erano sorpresi di vedere Spanna con due gambe. Arrivato a casa il fratello chiese sorpreso: “Come mai hai due gambe?” Spanna rispose: “Nella foresta delle nanette mi hanno tolto una gamba.” Sponno salutò il fratello e partì. Camminò tutta la giornata e tutta la notte e avendo paura dei lupi salì sopra un albero e dormì. Di notte le nanette spuntarono dal terreno e girando intorno all’albero dissero ripetutamente: “Gomma-masticata-tagliavavalorosamente-teste”. Sponno disse: “Mostruose” . Le nanette si arrabbiarono molto perché aveva rovinato la loro filastrocca e così decisero di attacargli la gamba di Spanna. Fu così che Spanno ebbe quattro gambe e imparò a correre veloce come un ghepardo. In un villaggio vivevano due fratelli gobbi. Un giorno il fratello minore partì, ma si perse nella foresta e per paura di essere ucciso si arrampicò sopra un albero. Sotto l’albero spuntò una fila di vecchiette che iniziarono a cantare: “Il ragazzo-zoppicavavanitosamente-tenendo-dolcemente-tende, il ragazzo-zoppicava-vanitosamente- tenendo-dolcemente-tende, il ragazzo-zoppicava-vanitosamente-tenendo-dolcementetende”. Il gobbo spaventato rispose: “Decorate”. Le vecchine felici iniziarono a cantare: “Il ragazzo-zoppicava-vanitosamentetenendo-dolcemente-tende-decorate”. Dopo averla cantata per tre volte le vecchiette entusiaste gli dissero: “Caro ragazzo 37 scendi giù e noi esaudiremo ogni tuo desiderio!” Il gobbo scese e disse che l’unico suo desiderio era quello di non avere più quella bruttissima gobba! Le vecchiette presero un’ascia di burro, gli tagliarono la gobba e l’appesero all’albero. Quando il ragazzo tornò al villaggio nessuno lo riconosceva. Spiegò allora la storia al fratello maggiore che invidioso, perché anche lui voleva togliere la gobba, partì per il bosco magico e salì sull’albero. Le vecchine iniziarono a cantare la stessa canzone: “Il ragazzo-zoppicava-vanitosamente-tenendo-dolcemente-tende.” Il fratello che non aveva capito il trucco rispose: “Colorate.” Le vecchiette arrabbiate presero il gobbo e gli attaccarono davanti anche la gobba del fratello. Il gobbo scappò via disperato! In un piccolo paesino in provincia di Firenze, vivevano due gobbi che avevano la particolarità di avere una grossa gobba. Un giorno il gobbo più piccolo partì, ma durante il viaggio si perse nel bosco. Salì su un albero tutto spaventato e dopo un po’ di tempo trascorso lassù vide un grande buco dal quale uscirono molte vecchiette che si misero a cantare: “Sabatotorno-nonostante-temo-molto-topi” e il gobbo aggiunse: “Piccolini” e le vecchiette si complimentarono con lui e gli proposero di esaudire un suo desiderio. Il gobbo chiese di non avere più quella brutta gobba e le vecchiette, dopo avergliela levata, l’appesero a un albero. Il fratello invidioso il giorno dopo alla stessa ora salì sull’albero e aspettò l’arrivo delle vecchiette che si misero a cantare : “Sabato-torno-nonostante-temomolto-topi-piccolini” e il gobbo aggiunse: “Salterini”. A questo punto le vecchiette tutte arrabbiate lo fecero scendere e, invece di fargli esprimere un desiderio, gli attaccarono la gobba del fratello davanti. 38 A Firenze c’erano due fratelli gobbi. Un giorno il fratello minore camminando si perse in un bosco; dopo pochi minuti sentì dei rumori e si nascose su un albero: Dalla terra uscirono tante vecchiette che cantavano: “Marta-tagliavavanitosamente-tende-decorate-teneramente-tenendo-dolcemente-tessuti”. Allora il gobbo dall’albero disse: “Tigrati” le vecchiette cantarono la canzone e si accorsero che suonava bene e gli fecero molti applausi. Le vecchiette dissero al gobbo che cosa voleva come premio e il gobbo rispose: “Vorrei che mi si fosse tolta la gobba”. Le vecchiette con una sega di burro gli tolsero la gobba e l’appesero sull’albero. Il gobbo tornò a casa senza gobba ma nessuno lo riconobbe. Andò dal fratello e gli spiegò come aveva fatto a farsi togliere la gobba. Allora l’altro fratello andò anche lui nello stesso luogo e alla stessa ora. Lì vide delle vecchiette che uscivano dalla terra e cantavano “Marta-tagliava-vanitosamentetende-decorate-teneramente-tenendo-dolcemente-tessuti-tigrati” e il gobbo dall’albero disse: “Grattando”. Le vecchiette pensarono che aveva rovinato la loro canzone, dall’albero presero la gobba del fratello minore e gliela misero sul petto come punizione. 39 La penna di hu Una fiaba malinconica, ma estremamente suggestiva e coinvolgente, che in un certo senso rende giustizia... Anche questa fiaba è presente in tutta Italia; ci sono versioni che hanno il cosiddetto lieto fine con la resurrezione del ragazzo, ma Calvino ha scelto questo finale perché lo considera più vicino allo spirito della storia. I ragazzi alla fine della lettura erano un poco disorientati, probabilmente avrebbero preferito il lieto fine, in alcuni testi infatti hanno spontaneamente pensato di far rivivere il giovane protagonista. Sono stati tutti attratti dal suono onomatopeico di hu, che probabilmente ricorda il verso del pavone. Partendo da questo spunto abbiamo pensato di inventarci parole che, suonate dal flauto magico, avrebbero fatto intuire al padre, unico al mondo a saperle interpretare, come erano andati i fatti. Alla fine i ragazzi hanno “visto” in queste parole inventate uno strumento magico in grado di svelare il mistero e anche di far guarire e far rinascere. 40 Classe Prima Un giovane re aveva perso tutti i capelli e nessun dottore era riuscito a trovare un rimedio per farli ricrescere. Un mago disse che doveva indossare il cappello di Barabò, che aveva solo una vecchina che viveva isolata e nessuno sapeva dove. Il giovane re mandò i suoi tre figli, che erano solo dei ragazzini, a cercare la vecchina e a convincerla a vendere il cappello magico. I tre fratelli partirono, compreso il più piccolo che attirava l’antipatia dei maggiori. Si accamparono nel bosco e il più piccolo si svegliò all’alba, senza svegliare i fratelli, per cercare la legna per il fuoco. Mentre si caricava in spalla un legno particolarmente pesante sentì una voce gridare: “Aiuto! Qualcuno mi aiuti!” Il ragazzino accorse in aiuto della voce che, scoprì, apparteneva a una vecchina. L’anziana signora si era incastrata fra due tronchi mentre raccoglieva delle fragoline. Come ricompensa per averla aiutata la vecchina gli diede il magico cappello e il ragazzino corse dai fratelli a informarli. Questi, però, accecati dall’invidia lo affogarono e si presero tutto il merito per aver trovato il capello. Dal lago dove era stato affogato il più piccolo si alzò un ariello (vento) che girò per la reggia dicendo: “Caru rò (Povero me), caru rò, bio zuchello (mio fratello) ri zucò (mi ammazzò) ba bababù il babà di Barabò (per avere il cappello di Barabò)” Il padre sentendo questa cantilena s’infuriò e condannò a morte i figli. Un bel giorno di primavera due alunni della I B andarono in un bosco perché, 41 essendo molto curiosi, volevano esplorare quel bel posto che era incantato... Con loro c’era il fratellino più piccolo di soli quattro anni. Nel bosco stettero una notte e un giorno. Il mattino dopo i ragazzi di I B si svegliarono prima del piccolino e lo lasciarono solo. I ragazzi a un certo punto si trovarono davanti agli occhi un grossissimo animale chiamato cornutoro: era un animale incantato molto brutto che disse che non potevano restare lì perché era proibito agli esseri viventi. I ragazzi presuntuosi non si mossero e gli dissero che per poter stare nel bosco in cambio gli avrebbero dato il fratellino piccolo. Dopo mezz’ora che il cornutoro aspettava arrivarono i ragazzi con il piccolino, glielo diedero in pasto e il mostro se lo mangiò... Il terzo giorno crebbe dal terreno una burna proprio dove avevano seppellito il bimbo. Questa burna fece rinascere il bimbo con delle frasi magiche: “Tu rivivrai, cirocrete, burnosamente, maristi” e i ragazzi si pentirono di ciò che avevano fatto. C’era una volta un re che era diventato cieco e per guarire gli avevano detto che doveva mangiare un cicaglio. I tre figli andarono in cerca del cicaglio. Attraversarono molti boschi quando il figlio più piccolo riuscì a vedere un cicaglio, a catturarlo e a portarlo al padre. I due fratelli maggiori si arrabbiarono con il più piccolo e lo ammazzarono. Proprio dove lo avevano ammazzato nacque un mocirà, che era un grillo parlante, che andò in giro per la città a raccontare ciò che era accaduto al figlio più piccolo e così i due figli più grandi andarono in galera fino alla morte. Il grillo invece andava in giro dicendo: “Crindi-pirindi-morimbi-samihihi-hamaahlabin-casin” e tutti capirono quello che diceva anche se diceva delle parole strane e inventate. Classe Seconda 42 C’era una volta un re cieco. Il medico gli disse che poteva guarire solo se si fosse passato su gli occhi la penna di hu. Il re chiamò i suoi tre figli e diede loro l’incarico di andare a cercare nel mondo la penna di hu. Come ricompensa avrebbero ricevuto tutto il regno del padre. I tre fratelli partirono, durante la notte il fratello minore trovò la penna di hu. I due fratelli invidiosi lo uccisero e lo seppellirono sotto un mucchietto di terra. Dopo un po’ di tempo sopra il mucchietto di terra crebbe una canna. Un pecoraio che passava di lì la vide e ci costruì uno zufolo e con questo strano strumento suonò per tutto il mondo. I due fratelli arrivarono dal padre che iniziò a vedere e si accorse che non c’era il fratello più piccolo. Intanto il pecoraio andò dal re e iniziò a suonare quel flauto che era magico e così mentre suonava diceva: “I michi fili mi triano ugnati e mi triano freguto la penna di hu! (I miei fratelli mi hanno ucciso e mi hanno rubato la penna di hu!)”. Il re, incantato da questo suono di cui era l’unico a capire il senso, chiese a suo figlio di suonarlo, che impaurito lo suonò. Il re capì che questa era una canzone magica per fargli sapere la verità. Allora fece bruciare i due fratelli assassini e fece diventare capo delle guardie il pecoraio. Il pecoraio suonò ancora il flauto “Il filo migno diti rontare anda vivita! (Il figlio piccolino può ritornare in vita!)” e con questa frase lo zufolo si trasformò in bambino e governò insieme al padre il popolo insegnando a tutti la nuova lingua! 43 C’era un re che aveva una malattia agli occhi, curabile solamente con una penna di hu, così chiese ai suoi tre figli di portargli una penna di hu per guarirlo. Partirono, ma essendo molto tardi si accamparono quasi subito; la mattina seguente per primo si alzò il fratello più piccolo che trovò la penna di hu e per invidia gli altri due lo uccisero e lo seppellirono. Tornarono dal padre, che grazie alla penna guarì e come scusa si inventarono che il più piccolo era stato ucciso da un animale feroce. Dove era stato seppellito il fratellino fiorì una canna che un pecoraio raccolse. Provò a suonarla e uscì una frase magica: “Amulento olso nomiro lo raffresco stretopiso pur robento lo molena di hu (Mi ha ucciso il mio caro fratello per rubarmi la penna di hu)”. Il pecoraio capì che era una canna magica e scese in paese a suonarla. Caso vuole che in paese incontrò il re che volle provare a suonare la canna, da cui uscì la solita frase magica: Il re, però, non credette a quelle parole e fece provare al fratello a suonarla. Allora uscì una frase ancora più strana: “A tos camo moreto me avento offlento le mor comor, porcoui mu avvento ovverto? (O mio caro fratello che mi hai infranto il cuore, perché mi hai ucciso?)” Il re capì ogni cosa e per penitenza i due fratelli vennero bruciati vivi in piazza. Per ricompensare il pecoraio gli regalò il suo regno. C’era una volta un re cieco. Un giorno il re andò dal medico che gli disse che si poteva salvare solo se si passava una penna di hu sugli occhi. Il re chiamò i suoi figli perché cercassero la penna di hu in giro per il mondo e chi avesse trovata avrebbe ricevuto in cambio il regno. 44 I tre fratelli allora partirono. Mentre i due fratelli più grandi dormivano il più piccolo trovò la penna di hu. Al risveglio i due fratelli maggiori invidiosi lo uccisero e lo seppellirono. Dopo un po’ di tempo proprio dove era stato seppellito il ragazzo crebbe una canna che un giorno fu raccolta da un pecoraio che si mise a suonarla girando il mondo. Quando i due fratelli arrivarono dal padre, gli passarono la penna di hu sugli occhi e il re riacquistò la vista. Allora si accorse che mancava il figlio più piccolo. I due fratelli dissero che era morto uccidendo un terribile mostro. Il re un giorno uscì per fare una passeggiata. Vide un pecoraio che suonava e dal flauto uscivano queste parole che solo il re capiva: “Me romito mi guro por cerarme mota uuuu” (Mi ha ucciso mio fratello per rubarmi la penna di HU)” Il re riconobbe la voce del figlio e capì il messaggio e allora fece bruciare i fratelli e fece diventare capo del regno il pecoraio che continuò a suonare quelle strane parole. Un re era cieco e l’unico rimedio per guarire era passarsi una penna di hu sugli occhi. Allora i tre figli del re partirono alla sua ricerca e il minore trovò la penna di hu. I fratelli maggiori, invidiosi, uccisero il più piccolo e lo seppellirono. Qualche giorno dopo, dove era stato seppellito il fratello minore, spuntò una canna. Un pecoraio passò li davanti, prese la canna e con essa costruì uno zufolo. Egli si mise a suonare e sentì che lo zufolo parlava e diceva: “Par refrento lu panto da hu ma urvito mo foleto (Mi hanno ucciso i miei fratelli per rubarmi la penna di hu)” Intanto gli altri fratelli portarono la penna di hu al padre che la passò davanti agli occhi e ricominciò a vedere. Poi si accorse che mancava il fratello minore e chiese agli altri dove fosse. Essi risposero: “È passato un animale che l’ha preso”. Poi il pecoraio andò dal re e gli disse di provare a suonare il flauto. Il re sentì questa frase: “Redro par refrento lu panto da hu ma urvito me foleto (Padre mi hanno ucciso i miei fratelli per rubarmi la penna di hu)”. Poi suonò il fratello maggiore che 45 sentì: “O ma foleto par refrento lu panto da hu (O mio fratello, mi hai ammazzato per la penna di hu)” Anche la madre suonò e sentì: “Medre par refrento lu panto da hu ma urvito me foleto (Madre mi ha ucciso mio fratello per rubarmi la penna di hu)” Così il padre capì che i fratelli maggiori avevano ucciso il più piccolo e li fece bruciare e si tenne per sempre vicino il flauto. C’era una volta un re cieco che chiese al medico come poteva recuperare la vista. Il medico disse che bisognava trovare la penna di hu, passarla sugli occhi e la vista sarebbe tornata. Allora il re mandò i suoi tre figli alla ricerca della penna di hu. Ore e ore di cammino senza sosta. Quando venne buio i ragazzi si addormentarono su un albero. Il più piccolo si svegliò per primo e trovò la penna di hu. I due fratelli invidiosi gli rubarono la penna di hu, lo uccisero e lo seppellirono. Tornarono dal padre che si passò sugli occhi la penna di hu e tornò a vedere. Il re non vedendo il terzo figlio chiese ai due fratelli dove fosse l’altro fratello. Questi gli risposero che l’aveva preso un lupo. Dove fu seppellito il fratello più piccolo crebbe una canna, passo di lì un pecoraio che si mise a suonarla. Uscirono delle parole: “Cormano rasino portansi lagna pansinando rosante ginsante”. Trovandola bella, il pecoraio si mise a girare per la città suonandola. Arrivò nel paese del re, si mise a suonare e il re lo invitò nel palazzo. Suonò e il re si accorse che era la voce del figlio, la fece suonare al fratello: “Cormano rasino portansi lagna pansinando rosante ginsante”. Allora il re capì che erano stati i figli a uccidere il fratello e li bruciò. Poi dalla pazzia uccise il pecoraio e si impiccò. 46 C’era una volta un re cieco che andò da un dottore e gli chiese una cura per poter riavere la vista. Il medico gli disse di mettere sotto gli occhi la penna di hu e così sarebbe tornata. Allora il re chiese ai suoi figli di andare a cercare nel mondo la penna di hu e promise a chi l’avrebbe trovata tutto il regno. I tre figli partirono e la notte si ritrovarono in un bosco e, mentre i fratelli più grandi dormivano, il più piccolo si svegliò e vide passare l’uccello con la penna di hu e la prese. Al risveglio i fratelli grandi, invidiosi, uccisero il fratellino e lo seppellirono. Dopo tanto tempo dove era stato seppellito il fratello ucciso crebbe una canna e un giorno un pecoraio la prese, ci costruì uno zufolo e con esso suonò per tutto il mondo. I due fratelli arrivarono dal re che riprese la vista e subito notò che mancava il fratello minore. Il re quando uscì per una passeggiata vide il pecoraio che suonava: “Bucacapra sibni shar cap se lof cut bad (I miei fratelli mi hanno ucciso e rubato la penna di hu)”. Il re riconobbe la voce del figlio minore e capì il messaggio. Così fece bruciare gli altri due fratelli e lasciò governare il regno al pecoraio che suonò ancora il flauto “Hapi brun suca cuf ritop (Il fratello piccolino può ritornare)” e con queste parole lo zufolo si trasformò nel bambino. 47 Occhio in fronte In questa fiaba abruzzese in cui il riferimento a Ulisse e Polifemo è palese, gli Ulissidi sono i frati e il finale dell’anello è comune in tutte le varie versioni abruzzesi. Calvino ci dice che la storia si è conservata nei suoi elementi mitici nelle zone di pastori, così come in quelle di montagna, per esempio c’è una versione nel bergamasco ed è presente anche in Sicilia in cui protagonisti sono i Munaceddi. Naturalmente ai ragazzi è tornata alla mente l’Odissea! Ci siamo chiesti come potevamo fare a inserire qualcosa di nuovo in un “Mito così grande” come quello di Polifemo. Ci è venuta un’idea che ha permesso di mantenere la storia esattamente come quella proposta da Calvino: abbiamo provato a riscrivere la fiaba come fosse un tautogramma (un tautogramma è una frase o un testo più lungo in cui tutte le parole iniziano con la medesima lettera e in cui gli articoli e le preposizioni si possono usare liberamente). Il risultato è stato esaltante. 48 Classe Prima Dei monaci manuensi marciavano per mari e monti per mangiare molti manicaretti ma mancarono la meta. Un mostro monocolo li manovrò in una montagna di morte. Il monocolo maledì con malizia la montagna e i monaci montarono marciando sul marciapiede. Il monocolo mangiò un monaco manuense muovendolo mentre masticava. Il monaco manovrò un moncone e moncò il monocchio del mostro. Il monaco si mascherò da montone e marciò per molte miglia. Il monocolo manipolò con un magico monile una magia per mangiarlo ma il meraviglioso monaco mandò una manciata di manicaretti in mano al mostro che, meravigliato, si mosse mandando molti malefici malauguranti al mostro che morì. Dei frati francescani fecero una festa. Finirono in un fitto fogliame fatto di foglie di faggio. Frattanto finì nel fogliame il fantomatico Fintouomo che frugava nel fondo del fango. Faceva freddo e il Fintouomo finì col fare felicemente la festa a un frate. Furbescamente il frate fratino finse di far fumare il fogliame per frantumare il fatidico Fintouomo. Fuggì fingendosi un feroce felino ma il furioso Fintouomo gli fece una fattura per non farlo fuggire. Fratino fece una formula formidabile e falsificò la fattura facendogli fare una figura da fanfarone. Il frate fuggì, finalmente, felice. Dei salesiani salirono sulla sommità del sacro scoglio per studiare sardine. Si scontrarono con un superomone con un solo sguardo. Per saziarsi il superomone sviluppò un segreto e li segò con una super-sega. Un salesiano si salvò e il 49 superomone slanciò uno sguardo spaventoso spietato e senza sussurri strofinò un salice surriscaldato e stroncò il superomone. Scappò sotto il soprabito di un serpente spettacolare e sibilò. Il superomone gli scaraventò un superanello stregato. Il salesiano si staccò un sottile solco di stomaco per soddisfare il superomone, che si sbaffò lo stomaco e così si salvò il salesiano che scappò sano e salvo. 50 La mia fiaba sull’Italia L’ultima fiaba che abbiamo provato a inventare è partita da questo gioco: Se l’Italia fosse un fiore che fiore sarebbe? Se fosse un animale che animale sarebbe? E via di seguito: se fosse un colore, un automobile... Poi abbiamo provato a porci altre domande tipo: “Tu fai parte di un gruppo? Cosa pensi quando ci sono dei nuovi arrivi nel tuo gruppo? La tua classe è unita? Che cosa ti unisce ai tuoi compagni? Una grande città può sentirsi unita?” Immaginando come cambia sentirsi o non sentirsi parte di una comunità abbiamo poi provato a pensare a quale sia il principio più importante su cui si dovrebbe fondare il proprio gruppo, la propria classe, la propria nazione. Il principio fondante è diventato l’obiettivo della fiaba che ci ha consentito di confrontare il gruppo classe e l’Italia, evidenziando come la nascita di un gruppo e di una nazione debba essere sostenuta dalla capacità di vivere le differenze come patrimonio al quale attingere per migliorare e rinnovarsi. Grazie alla costruzione di questa storia abbiamo trovato un canale che ha permesso ai ragazzi di sentirsi protagonisti consapevoli e gioiosi della vita della propria classe e anche dello Stato in cui vivono. 51 Classe Prima Se l’Italia fosse un fiore sarebbe un nontiscordardimé, perché non bisogna mai dimenticarla. Se l’Italia fosse un animale sarebbe un fringuello, perché è libera. Se l’Italia fosse un colore sarebbe l’azzurro, perché mi ispira l’immensità del mare. Se l’Italia fosse un’automobile sarebbe un’auto vecchia, magari rotta, ma che nessuno abbandona perché nessuno deve lasciare l’Italia. Se l’Italia fosse un gioco sarebbe il pupazzo a cui ogni bambino è affezionato e che da adulto non ha il coraggio di buttare perché nessuno butterà mai l’Italia. L’Italia quindi dovrebbe essere basata sulla libertà e sulla fedeltà ad essa. Io sarei felice se l’Italia fosse così e mi auguro che lo diventi. Se l’Italia fosse un fiore secondo me sarebbe una margherita, perché ogni regione è un petalo con cui si può fare “m’ama o non m’ama”; se l’Italia fosse una macchina sarebbe la Citroen, perché è lunga e bassa come l’Italia. Nella nostra classe la cosa principale è l’amicizia, mentre per la nostra nazione è l’Italia unita: questo è importante anche per noi!!! Se l’Italia fosse un fiore che fiore sarebbe? Un soffione. Se l’Italia fosse un animale che animale sarebbe? Una coccinella. 52 Se l’Italia fosse un colore che colore sarebbe? Azzurro. Se l’Italia fosse un’automobile che automobile sarebbe? Un’automobile piccola e tutta colorata. Se l’Italia fosse un gioco che gioco sarebbe? Monopoli. Io ho scelto il soffione perché mi fa pensare alla libertà e all’aria, ho scelto la coccinella perché è una cosa piccola ma bella come l’Italia, almeno a me piace molto. Ho scelto l’azzurro perché mi fa pensare a una cosa molto allegra e accesa come l’Italia, ho scelto una macchina piccola e colorata perché l’Italia è piccola ma piena di colori proprio come un mondo felice, allegro. Ho scelto Monopoli perché è un gioco di società dove si sta tutti insieme come una famiglia gioiosa e vivace senza litigi e senza la guerra. Il principio su cui si basa la mia classe? L’amicizia, l’aiuto, la generosità, l’insegnamento e il gruppo. Se l’Italia fosse un fiore sarebbe una camomilla, perché secondo me l’Italia è molto calma. Se l’Italia fosse un animale sarebbe una volpe, perché per me l’Italia è molto astuta. Se l’Italia fosse un colore sarebbe l’azzurro, perché mi ricorda l’acqua e noi abbiamo un bel mare. Se l’Italia fosse una macchina sarebbe una Lamborghini, perché è veloce come l’Italia che va in fretta. Se l’Italia fosse un gioco sarebbe briscola, 53 perché come nel gioco della briscola in Italia si deve fare attenzione e prendere le occasioni una per volta. Se queste cose si realizzeranno tante belle cose accadranno. Se l’Italia fosse un fiore vorrei che fosse una margherita, bianca, senza peccato... Se fosse un animale vorrei che fosse uno scarabeo e che portasse tanta fortuna... Se fosse un’automobile vorrei che fosse una Lamborghini, bella come lei... Se fosse un colore vorrei che fosse turchese come il mare... Se fosse un gioco vorrei che fosse il gioco Cluedo dove ci sono sopravvissuti e morti, oppure nascondino, perché è come l’Italia che si nasconde da tutte le altre nazioni... e vorrei che nell’Italia ci fosse tanta generosità e pochi giudizi. Se l’Italia fosse un fiore sarebbe una rosa perché sono tanti i posti da cui è formata come i petali di questo fiore. Se l’Italia fosse un animale sarebbe un uccello, che vola dappertutto ma torna sempre al nido. Se l’Italia fosse un colore sarebbe azzurro come il cielo immenso. Se l’Italia fosse un’automobile sarebbe una macchina a sette posti dove c’è posto per tutti. Se l’Italia fosse un gioco sarebbe un videogioco, dove esistono tanti mondi da visitare. Se l’Italia fosse un alimento sarebbe il riso perché che ogni chicco ha un sapore diverso come tutti i piatti tipici dell’Italia. 54 Se l’ Italia fosse un fiore sarebbe un gelsomino perché sono piccoli, e da soli, forse, non sono niente ma insieme sono bellissimi, come noi, tutti rarissimi. Se l’ Italia fosse una animale sarebbe una mucca perché pacifica e di tutti amica. Se l’ Italia fosse un veicolo sarebbe uno scuolabus perché contiene tanta gente di cultura e nazione differente perché tutti ci dobbiamo amare senza differenziare. Se l’Italia fosse un colore sarebbe il blu, il colore del cielo intenso e infinito come l’Italia che sarà sempre unita. Se fosse una melodia sarebbe una ninna nanna che ci culla tranquilla. Se fosse una fragranza sarebbe la vaniglia, intensa ma a volte delicata come la gente di cui l’ Italia è circondata! 55 Classe Seconda Se l’Italia fosse un animale che animale sarebbe? Se fosse un animale sarebbe una coccinella perché porta fortuna. Se l’Italia fosse un colore che colore sarebbe? Se fosse un colore sarebbe il verde perché l’Italia è famosa per i suoi alberi Se l’Italia fosse un fiore che fiore sarebbe ? Se fosse un fiore sarebbe una margherita perché l’Italia rappresenta la felicità Se l’Italia fosse un’automobile che automobile sarebbe? Se fosse un’automobile sarebbe la Ferrari perché l’Italia è bella. Se l’Italia fosse una canzone che canzone sarebbe? Se fosse una canzone sarebbe l’Inno d’Italia perché è la canzone che la rappresenta. Se l’Italia fosse una città che città sarebbe? Per me se l’Italia fosse una città sarebbe Roma perché è la sua capitale. Quale è il principio fondante della tua nazione? Siamo noi italiani e penso che l’elemento che unisce tutti noi sia l’allegria e la gentilezza. L’Italia se fosse un animale sarebbe un leone perché l’Italia è forte e il suo colore sarebbe l’azzurro perché rappresenta libertà. Come fiore sarebbe una rosa perché sboccia giorno dopo giorno per tutto l’anno e riesce ad accontentare tutti. E se fosse un’automobile sarebbe una Lamborghini perché sa svilupparsi molto velocemente ogni giorno con nuove leggi. La sua canzone sarebbe Adesso tu di Eros Ramazzotti perché se non ci fosse stata 56 l’Italia tutto sarebbe diventato insignificante. Come gioco metterei il ballo perché dà soddisfazione e mette allegria. Per me il principio fondante della mia nazione è la felicità perché non ci sono guerre e tutte le città vanno d’accordo. Se l’Italia fosse un animale per me sarebbe un ghepardo perché l’Italia corre veloce. Se fosse un colore sarebbe il blu perché ci sono molti fiumi. Se fosse un fiore sarebbe una stella alpina perché ci sono le Alpi. Se fosse un’automobile sarebbe un pullman perché porta tante persone. Se fosse una canzone sarebbe “Milano Milano” perché parla di Milano. Se fosse un gioco sarebbe Monopoli perché c’è una città che si chiama Monopoli. Se fosse un cartone animato sarebbe Futurama perché l’Italia crede al futuro Per me l’Italia è come un leone agile e forte e potrebbe essere verde, verde speranza, perché da un’occasione agli stranieri di trovare lavoro. Se fosse una macchina sarebbe una Smart, piccola piccola ma bella. Quando ascolto la canzone “We are the champions” mi viene in mente l’Italia perché la musica è forte come lei. A me piacerebbe andare a Roma perché rappresenta tutta l’Italia e perché è ricca di monumenti. Quando guardo un girasole mi viene in mente l’Italia perché il suo interno può essere un po’ bruttino, ma poi quando lo guardi bene è bello come i petali gialli. Se l’Italia fosse un gioco sarebbe la caccia al tesoro perché per amarla bisogna scoprire i suoi tesori. L’Italia è come topolino: simpatico e vivace! 57 Se l’Italia fosse un animale per me sarebbe un leone perché l’Italia è feroce. Se fosse un colore sarebbe il giallo perché ci sono molti campi di grano. Se fosse un fiore per me sarebbe una rosa perché l’Italia è molto pungente. Se fosse un’automobile sarebbe un pullman perché porta tante persone. Se fosse un gioco sarebbe “Fifa 11” perché alla tele si parla sempre di calcio. Se fosse un film sarebbe Stanlio e Olio e perché è stato uno dei primi. L’ Italia secondo me è come un delfino che nuota libero nel mare. Sarebbe un delfino verde che ha un carattere molto forte. Se l’ Italia fosse un fiore sarebbe una margherita perché è un paese sincero e semplice proprio come una margherita bianca e pulita. Se fosse un’automobile sarebbe una macchina grandissima: la limousine, perché è un paese molto grande sempre pronto ad accogliere chiunque. Se dovessi rappresentare l’Italia con una canzone sarebbe “Ancora “ di Alessandra Amoroso, perché non ti stanchi mai di viverci. Se l’Italia fosse un cartone animato sarebbe “Cyber Girl” perché è unita alle altre nazioni in modo amichevole. Se fosse un gioco sarebbe salto alla corda perché salta qualsiasi ostacolo senza problema. Il principio fondante dell’Italia è l’essere sempre unita e anche se è formata da tante regioni sembra un’unica regione. 58 Se l’Italia fosse un animale per me sarebbe un leone a fasce rosse, bianche e verdi, perché oltre ad essere un animale coraggioso, non si abbatte davanti alle difficoltà. Se fosse un fiore sarebbe un garofano rosso, il colore del cuore di ciascuno di noi che batte ininterrottamente a mille. La immagino anche come una Lamborghini, un’auto veloce e affascinante perché così è il mio paese. Se invece fosse un gioco sarebbe un puzzle perché è suddivisa in tanti pezzi che si uniscono a incastro. Se l’Italia fosse un cartone la paragonerei ai Puffi perché sono una popolazione numerosa così come quella dell’Italia. Se fosse una canzone sarebbe “Tutto l’amore che ho” di Jovanotti perché ciò che provo per l’Italia è un immenso amore. In poche parole per riassumere tutti questi paragoni in un unico principio direi che l’ospitalità è la caratteristica principale dell’Italia. L’Italia è una nazione fedele, come un cane, solare e aperta agli altri e lo rappresenta il giallo. L’Italia è splendente, come una rosa. Se l’Italia fosse una macchina sarebbe una Ferrari, perché corre veloce senza mai fermarsi ed è affascinante come il mio paese. Una canzone che la può rappresentare è “Stella incantevole” di Alessandra Amoroso, perché l’Italia è splendente come la stella e incantevole come dice la canzone. Se fosse un gioco sarebbe Monopoli, perché mi ricorda la ricchezza. L’Italia mi ricorda il cartone del “Re Leone”, in cui il personaggio non si abbatte 59 davanti alle difficoltà. 60 Acrostici e mesostici Alla fine abbiamo anche scritto degli acrostici e mesostici su alcune regioni e città italiane. Ci siamo divertiti e i risultati ci hanno regalato altre nuove e inaspettate storie su questa nostra fantastica nazione! 61 Classe Prima Vieni Entra Non Essere Timido, Omar Federica Raccoglie In Un Lungo Istante Sognando spiagge Antiche Ricordo Delle Estati Grandiose Nate per Amare Rotolandomi Orgoglioso Mangio Arachidi Ho Vinto trEnta araNce pErché mia Zia mI ha regalato uno spremiAgrumi Verdure E Noci Estraendo Zucche, Insalata Amara Giocando In Un Luogo Incantato, Affascinante Ho Trasformato una Rana in un prIncipe mEraviglioso e Strafigo divenTando una principEssa felice AsColto conAnsia oGni rumore proveniente daL mare perché mI ricorda l’Armonia che Risuona dentro dI me ALlora cAnto con forZa l’inno d’Italia sicurO di me 62 Leccando Il Gelato Urlo Rompendo I timpani A tutti Alta Osserva Silenziosa Tante Alture Tornando alle Origini Ricordi Ispirano ai Nonni Ogni racconto AGgredisco mia sorElla aNche perché non Osa aVvertire del ritArdo seguiVamo strAde aLlontanandoci daLla mEta e, anDando soprA mOnti, avviStammo tanTi animAli AlPi insIeme a collinE fanno aMmirare il PiemOnte da taNte aTtente pErsone 63 Mediolanum I romani La chiamavano Allora capitale era al Nord Occidentale Trenta Rematori Erranti Nuotavano Trepidi Ignari Nell’ Oceano Alto Litigando Tanto da Ondeggiare Anche rischiando Di affogare. I loro corpi Giacciono, Essi dormono Ancora Qui lei sta Una bella ed Incantevole città L’Italia della storia perderà Allorquando lei sparirà ALcune mOntagne sorMontano la LomBardia la bassA PianuRa paDana i fiumI invece Accoglie Tante Regioni E città Nascondono Trento che Ora si sveglia NonostAnte un Brutto terRemoto è avvenUto l’AbruzZo zizZania non ha avutO 64 Bella ti vide Odoacre, La sua civiltà è Ormai morta Gli uomini, oggi, Non conoscono l’ Allora tuo splendore. QuEll’ aMica dell’ Italia aLlora sI arrAbbiò AlloRquando qualcunoO l’EMilia RomAgna deniGrò e disse: “Mi auguro che Nessuno più lo fArà”