MODULO 11
La programmazione delle attività
Paolo E. Balboni
Università Ca’ Foscari, Venezia
Indice
11.0 Guida al modulo
11.1 I “modelli operativi” in glottodidattica
11.2 Corpus, sillabo, programma, curricolo
11.2.1 Curricolo programmato e curricolo che nasce dalla realtà
11.2.2 Curricolo esplicito ed implicito
11.2.3 Scheda di rilevazione del curricolo individuale (attività seminariale)
11.2.4 Come creare una scheda (attività seminariale)
11.3 Unità d’apprendimento, Unità didattica, modulo (attività seminariale)
11.3.1 La scelta del modello (dibattito)
11.3.2 L’unità di apprendimento
11.3.3 La possibilità modulare (dibattito)
11.4 Valutazione, Rinforzo, Recupero
11.4.1 Osservare la performance: tecniche e procedure
11.4.2 Rinforzo: natura e tecniche
11.4.3 Recupero: natura e tecniche
11.5 Programmare il ruolo delle tecnologie didattiche
11.6 Ruolo di docenti e compagni nelle procedure didattiche
11.7 La creazione e gestione di un Laboratorio Italiano L2 (dibattito)
11.7.1 Scopo e progetto di attuazione
11.7.2 Luogo fisico, arredi ed attrezzature
11.7.3 Raccolta di materiali didattici ed “autentici”
11.7.4 Raccolta di materiale di guida per il docente
11.7.5 Persone che elaborano il progetto e gestiscono il laboratorio
11.7.6 Un luogo per la didattica ludica
11.8 Guida bibliografica
GUIDA
Questo modulo è strettamente correlato al modulo 12 con il quale costituisce una coppia
omogenea: in questo primo modulo si delinea la cornice organizzativa dell’insegnamento
dell’italiano L2, la programmazione, la definizione dei modelli operativi; nel secondo si
entra nel dettaglio delle procedure didattiche, delle tecniche di classe, delle attività, degli
esercizi che si possono utilizzare per sviluppare le abilità ed approfondire la conoscenza
dei meccanismi grammaticali che regolano il funzionamento della lingua italiana.
Questo primo modulo è diviso in 5 grandi blocchi:
- Corpus, sillabo, curricolo (11.2) fa il punto su un concetto delicatissimo, quello di
curricolo, che nell’insegnamento dell’italiano L2 è del tutto diverso a quello cui siamo
abituati sia per l’italiano L1 sia per le lingue straniere
- Unità d’apprendimento, Unità didattica, Modulo (11.3) introduce un modello, l’unità di
apprendimento, che risulta nuovo per la tradizione italiana, ma che è l’unico che
organizzativamente consente di essere efficaci nei in Laboratori di Italiano L2
- Valutazione, Rinforzo, Recupero (11.5) affronta un tema, quello della verifica, in
un’ottica particolare: come guida agli interventi di rinforzo e recupero
- Ruolo di docenti e compagni nelle procedure didattiche (11.6) studia non tanto le
figure coinvolte nel processo, ma i loro ruoli, le loro funzioni viste in prospettiva didattica
- La creazione e gestione di un Laboratorio Italiano L2 (11.7) offre alcune linee
indicative su questo tema
11.1 I “modelli operativi” in glottodidattica
Con l’espressione “modelli operativi” si intendono gli strumenti per tradurre in
organizzazione ed azione quello che la glottodidattica elabora sul piano teorico.
La glottodidattica si rifà a quattro grandi aree: quella linguistica e quella culturale,
nell’accezione più vasta, che riguardano l’oggetto da insegnare (il cosa); quella
psicologica che spiega come funziona la mente che apprende (il chi); quella pedagogicometodologica (il perché educativo ed il come didattico).
Un modello operativo deve saper armonizzare le indicazioni che provengono dalle
aree teoriche e va quindi valutato non in sé (non esistono modelli buoni o cattivi, nuovi o
vecchi) ma per il modo in cui risponde alle premesse suddette. Per questa ragione, ad
esempio, il modello dell’unità didattica - modello che va benissimo in italiano L1 o in lingua
straniera – può essere proficuamente abbandonato a favore dell’unità di apprendimento
(11.3.2) che risulta più adatta al contesto in cui si insegna italiano L2. Lo stesso processo
di adattamento vale per un modello come il curricolo (11.2) che, per essere davvero
“operativo” con studenti stranieri, va concepito in maniera differente da come avviene per
studenti italiani.
11.2 Corpus, sillabo, programma, curricolo
Spesso usiamo queste parole in maniera imprecisa.
Cliccando sulle varie voci può averne una definizione più precisa:
a. Corpus o sillabo
b. Programma
c. Curricolo
E’ naturale che il modello più utile con ragazzi stranieri è il curricolo.
Una dei processi fondamentali che stanno alla base di un curricolo è l’analisi dei bisogni.
Spesso si ritiene che analizzare i bisogni sia una procedura concettualmente semplice, per
quanto lunga da realizzare; al contrario, si tratta di un’azione estremamente “politica”:
“fissare degli obiettivi senza riferirsi alle mete generali (11.2.1) equivale a imporre al
discente i bisogni della società e dei sistemi produttivi; equivale pasolinianamente ad
‘omologarlo’ facendone un moderno Calibano al servizio di un Prospero dell’era
tecnologica”, scriveva Freddi nei primi anni Novanta.
A grandi linee, possiamo dire che i bisogni rientrano in due categorie, indicate da
Cummins con due acronimi diventati di uso comune in tutto il mondo:
-
BICS, Basic Interpersonal Communication Skills: la lingua quotidiana, quella del
cortile, dei giochi, ecc. L’insegnante può sostenere l’allievo straniero non tanto
proponendogli un percorso strutturato, ma aiutandolo a sistematizzare quanto
apprende in cortile, dalla TV, ecc., e fornendogli alcuni elementi che non può
scoprire da solo (cfr 11.2.1).
-
CALP, Cognitive and Academic Language Proficiency: la lingua sia dello sviluppo
cognitivo sia dell’interazione scolastica legata alle diverse discipline. In questo caso
l’insegnante va concepito come “gruppo di insegnanti” più che come persona
singola.
Queste due dimensioni (che si sono incontrate già nel corso di primo livello in 6.2.2)
richiedono l’uso di procedure didattiche di natura diversa, che sono trattate nel Modulo 12.
11.2.1 Curricolo programmato e curricolo che nasce dalla realtà
La procedura cui siamo abituati nella nostra programmazione è quella di un curricolo che
viene definito a priori e che poi va in qualche modo realizzato.
Di solito un curricolo di lingua ha delle
a. mete educative generali che riguardano lo sviluppo complessivo della personalità
(“autopromozione”) e la sua capacità di integrarsi in una cultura (quella nativa,
quella d’accoglienza, quella straniera, a seconda del contesto in cui si lavora); per
approfondire le tre mete, autopromozione, culturizzazione e socializzazione,
b. mete glottodidattiche, che riguardano lo sviluppo della competenza comunicativa,
cioè quelle delle abilità, della competenza linguistica, di quella non verbale ecc.:
(vedi modulo 8)
c. obiettivi glottodidattici specifici, che si concretizzano di volta in volta, unità per
unità, e danno poi corpo alle mete glottodidattiche.
In realtà, con i bambini e i ragazzi immigrati la logica tradizionale di curricolo non
funziona: sono ragazzi di diversa provenienza linguistica e culturale, con diversi vissuti in
Italia, con livelli differenziati di padronanza dell’italiano, con motivazioni che vanno dalla
semplice integrazione temporanea in vista di un rientro al paese d’origine al desiderio di
totale assimilazione che faccia dimenticare la loro diversità, e hanno bisogno che le mete
glottodidattiche siano articolate e graduate in maniera diversa per coloro che mirano allo
sviluppo delle BICS e per quelli con cui si lavora già alla CALP (11.2) …
E’ quindi necessario avere un curricolo di riferimento, nonché un sillabo delle funzioni,
degli atti comunicativi, degli elementi morfosintattici, ecc., ma questo curricolo deve
rimanere implicito, deve essere molto elastico, deve essere un supporto più che una
guida (11.2.2).
11.2.2 Curricolo esplicito ed implicito
Non si può insegnare senza avere un curricolo (11.2.1) di riferimento, ma mentre nella
didattica “normale” il curricolo è esplicito, va presentato e, in parte, anche discusso con gli
studenti, in questa didattica “eccezionale” (è tale perché mai un caso è uguale all’altro,
ogni situazione è una “eccezione”) non è possibile avere un curricolo esplicito, una guida
precisa, non ci si può illudere di realizzare tutto in maniera programmata.
In realtà un curricolo di riferimento serve, ma va tenuto implicito: si tratta di cercare di
individuare, allievo per allievo, quali elementi vengono via via acquisiti: acquisizione che
non avviene (sol)tanto nelle ore di scuola, sulla base di una programmazione, ma
soprattutto nella vita quotidiana, in cortile, davanti alla televisione: sotto la pressione
dell’ambiente il ragazzo straniero percorre, per quanto disordinatamente, le varie
parti del curricolo di italiano L2 – e l’insegnante deve “giocare di rimessa”,
sistematizzando, allargando, correggendo le acquisizioni parziali dello studente mano a
mano che queste emergono.
In altre parole, mentre l’insegnante di italiano L1 lavora su studenti che hanno una
competenza già presente, sebbene da rifinire, e mentre l’insegnante di LS lavora su una
competenza in fieri che lui conosce e gestisce personalmente, in quanto gestisce l’input e
le attività di classe, il “povero” insegnante di italiano L2 non sa che competenza abbia ogni
singolo studente (anche se può essere certo che la competenza di ciascuno è diversa da
quella degli altri) e non gestisce né l’input né le abilità: l’insegnante di italiano L2
diventa un investigatore che cerca di individuare quello che ogni alunno sa e di
sistematizzarlo, di indurre una riflessione che faccia crescere la capacità autonoma di
continuare a imparare italiano.
Questa operazione può essere svolta attraverso una scheda curricolare (11.2.3).
11.2.3 Scheda di rilevazione del curricolo individuale
Al momento in cui un ragazzo immigrato entra nella scuola può essere utile una scheda di
rilevazione di quanto già sa lo studente (ad esempio
http://helios.unive.it/~aliasve/materialididattica/scheda.htm ): si avrà in tal modo una prima,
per quanto imprecisa, fotografia di quanta parte del curricolo di italiano lo studente ha
acquisito – per strada, in TV, da compagni, ecc.
Ma la diagnosi in entrata non basta; per seguire lo studente, sia in classe, sia in un
laboratorio di Italiano (11.7), allora può essere utile avere, per ogni studente straniero,
una scheda curricolare personale.
Come usare una scheda curricolare individuale? Tecnicamente questo strumento
operativo funziona in maniera molto semplice: se ne fa una copia per ogni studente e, da
soli o con colleghi, si spuntano giorno per giorno gli elementi che risultano acquisiti o si
evidenziano quelli su cui c’è da lavorare.
La scheda vuota può essere consegnata anche al ragazzo straniero per poi compilarla
insieme, in modo che possa vedere e valutare lui stesso il suo progresso e i suoi problemi,
venendo a costituire una sorta di language portfolio personale, nonché la storia di una
crescita linguistica.
Non diamo qui un modello completo di scheda, per due ragioni:
- anzitutto, perché crediamo che impegnarsi nella definizione di cosa vuol dire
“sapere l’italiano”, sebbene con la guida che segue, è un importantissimo strumento
di crescita professionale come docente di italiano L2;
- in secondo luogo perché ogni ragazzo ha bisogno di uno strumento ad hoc in vista
della sua origine, del suo vissuto, del suo percorso.
Possiamo comunque dire che una scheda di questo tipo ha due sezioni di base:
a. nella prima si indica che cosa Karim, Hu o Vladi sanno fare con la lingua
italiana, cioè quali atti comunicativi (11.3) (ad esempio: saper salutare, saper
chiedere, ecc.) è in grado di realizzare.
b. nella seconda parte della scheda si registra, giorno dopo giorno, che cosa Karim,
Hu o Vladi sanno della lingua italiana, cioè quali meccanismi, strutture, “regole”
ha acquisito e quindi quali sono quelle su cui bisogna focalizzare l’attenzione nelle
ore di laboratorio di Italiano L2 (11.7) o nelle attività di classe.
Come organizzare una scheda di questo tipo?
Ci rifletta, poi confronti le sue idee con i colleghi che partecipano al forum. Dopo vada al
punto 11.2.4 dove trova la nostra proposta – che comunque non è l’unica, è solo una delle
schede possibili!
11.2.4 Come creare una scheda
Come abbiamo detto in 11.2.3, una scheda dovrebbe avere almeno due sezioni:
c. nella prima si indica che cosa Karim, Hu o Vladi sanno fare con la lingua
italiana, cioè quali atti comunicativi (11.3) (ad esempio: saper salutare, saper
chiedere, ecc.) è in grado di realizzare.
d. nella seconda parte della scheda si registra, giorno dopo giorno, che cosa Karim,
Hu o Vladi sanno della lingua italiana, cioè quali meccanismi, strutture, “regole”
hanno acquisito e quindi quali sono quelle su cui bisogna focalizzare l’attenzione
nelle ore di laboratorio di Italiano L2 (11.7) o nelle attività di classe.
Vediamo la prima sezione.
Si tratta quindi di elencare un repertorio dei principali atti comunicativi per comunicare con
italiani si può partire da una mappa delle funzioni del linguaggio, al cui interno si
individuano facilmente i “saper fare”; per ciascun atto comunicativo si possono dare due
caselle, una per il registro informale ed una per il formale, che verranno segnate mano a
mano che si rileva la padronanza.
Sulla base di un secolo di riflessioni pragmatiche, da Cassirer e Buhler a Jakobson e
Halliday, possiamo sintetizzare sei funzioni della lingua, cioè sei macroscopi per cui
usiamo la lingua (può approfondire in 0.3.6); all’interno di ciascuna funzione è facile
identificare gli atti comunicativi. Cliccando sulle singole funzioni, si può avere un’idea di
quali atti comunicativi, e quindi quali forme linguistiche, prevalgono in ogni funzione. Per
ogni funzione può provare a completare lo schema che forniamo, e poi confrontare la sua
proposta con quella dei suoi colleghi. Alla fine del lavoro seminariale potrebbe avere un
modello di scheda affidabile, da stampare ed utilizzare immediatamente.
Funzione personale
Funzione interpersonale
Funzione regolativa, strumentale
Funzione referenziale
Funzione metalinguistica
Funzione poetico-immaginativa
La seconda parte della scheda si registra le “regole” acquisite e quelle su cui bisogna
ancora focalizzare l’attenzione.
Per questo corpus grammaticale ci si può basare sull’indice di qualunque grammatica o
manuale di italiano per stranieri, dove c’è già una certa selezione e graduazione, oppure si
può partire da una grammatica di italiano per italiani, dove vige una logica descrittiva
quindi priva di graduazione e selezione.
Nel forum può scambiare con i colleghi indicazioni su libri di testo cui ispirarsi, e in un
incontro in presenza potete scambiarvi fotocopie e materiali, per giungere ad una modello
comune (ammesso che avere un modello comune sia necessario…).
11.3 Unità d’apprendimento, Unità didattica, Modulo
I modelli operativi sono di due tipi: da un lato abbiamo la programmazione delle mete,
degli obiettivi, dei contenuti, cioè il curricolo (11.2.1), dall’altro abbiamo bisogno di modelli
per operare quotidianamente, per programmare la nostra attività concretamente, in aula o
in un laboratorio di italiano L2.
La tradizione ci ha dato due modelli didattici, consacrati nei secoli, la conversazione
(spesso detta anche maieutica) e la lezione ex cathedra.
Provi a definire questi due modelli, vedendo quali ruolo vi svolgono docenti, allievi, testi.
Poi confronti la sua definizione con i colleghi.
Può vedere la nostra proposta.
Nella tradizione glottodidattica è dagli anni Sessanta che si parla di “unità didattica”,
aggettivo che mette il fuoco semantico sul processo di insegnamento (è appunto una
“unità di insegnamento”). In realtà un’unità didattica, così come la conosciamo (e che non
approfondiamo, perché fa parte del patrimonio professionale comune degli insegnanti), è
composta da una serie di unità “matetiche”, cioè di unità, di momenti autonomi, di fasi di
apprendimento (11.3.2).
Oggi solo alcuni di questi modelli operativi sono utilizzati: la conversazione, come si è
detto, riguarda l’istruzione avanzata o quella artistica e musicale, dove il rapporto maestroallievo è strettissimo e i numeri sono piccoli; la lezione è usata sistematicamente in molte
discipline, mentre nell’educazione linguistica vi si ricorre raramente; il modello operativo
più diffuso è l’unità didattica, che si estende organicamente su più ore di lezione e si
basa su una programmazione curricolare ben precisa, poco flessibile (11.2.2); l’unità
didattica consta di una serie di unità d’apprendimento (11.3.2).
Le riflessioni sulla scelta di un modello anziché di un altro si possono vedere nel paragrafo
11.3.1.
11.3.1 La scelta del modello
Dalla tradizione antica e recente della didattica abbiamo ereditato vari modelli didattici
(descritti in 11.3): quali sono i modelli più adatti ai bisogni di uno studente immigrato?
La conversazione maieutica, pur bandita dalla nostra realtà scolastica di massa in quanto
richiede l’interazione con pochissimi allievi, diventa interessante in una prospettiva di
Laboratorio di Italiano (11.7), dove il numero degli studenti è limitato e non si deve seguire
un curricolo prescrittivo ma solo una traccia implicita (11.2.2).
Brevi conversazioni di questo tipo, che cercano di estrarre dall’allievo quello che già sa e
su quella base di fargli percorrere un ulteriore passo nelle “zona di sviluppo potenziale”,
possono essere gestite dai docenti di educazione motoria, artistica, tecnica, aree in cui la
classe lavora in maniera abbastanza autonoma ed è possibile per l’insegnante sedersi un
po’ accanto al ragazzo immigrato.
Se poi si decide di utilizzare una scheda individuale per l’osservazione delle competenze
che mano a mano maturano (11.2.3), allora la conversazione apparentemente
destrutturata tra docente e allievo assume una praticità altissima.
La lezione non ha senso, proprio perché annulla il ruolo dello studente straniero, che
invece è impegnato più di ogni altro suo collega italiano nella costruzione individualizzata
di una competenza complessa come quella in una lingua seconda.
L’ unità didattica è per sua natura lunga, dura varie ore, si articola in varie fasi, si fonda
su una programmazione molto precisa e sostanzialmente anche molto rigida: ma proprio
per questa sua dimensione e rigidità non è adatta al lavoro “di rimessa” dell’insegnante di
italiano L2, che lavora su un curricolo implicito (11.2.2) e deve sempre “rincorrere” i
percorsi acquisitivi del singolo studente.
Rimane a disposizione quindi, oltre alla conversazione maieutica vista sopra, il modello
dell’Unità d’apprendimento (11.3.2).
Dibattito:
è d’accordo con questa nostra proposta? Si confronti con i suoi colleghi nel forum, ed
eventualmente anche nelle sezioni in presenza.
11.3.2 L’unità di apprendimento
Questa nozione, nuova nel panorama glottodidattico, è in realtà il nucleo centrale della
classica “unità didattica” e nasce sulle basi della psicologia della Gestalt che descrive
la percezione in termini di globalità, analisi e sintesi.
La fase della “globalità” (che non vuol dire “intuizione”, “approssimazione”) consiste nel
primo approccio ad una conversazione autentica tra compagni, ad una favola, dal racconto
di un’esperienza vissuta fuori della scuola, ad uno spezzone televisivo, ad una canzone,
ad una conversazione con il docente, ad una pagina di un libro di testo e così via: si tratta
di quel testo orale, scritto o audiovisivo su cui poi si interviene in maniera analitica.
Il passaggio dalla percezione globale a quella analitica avviene durante i vari passaggi
dalla comprensione superficiale a quella profonda e deve essere guidata da opportune
attività (che vengono descritte nel modulo 12); partendo dal testo si muove all’analisi vera
e propria, alla focalizzazione su aspetti specifici, e poi alla fase di sintesi/riflessione per
- gli atti comunicativi che si vogliono far acquisire: li si fa individuare nel testo, poi li si
drammatizza, li si fissa e li si riutilizza, guidando gli allievi nella riflessione sull'aspetto
funzionale che hanno acquisito.
- gli aspetti grammaticali, cioè fonologici, morfosintattici, lessicali, testuali
- i temi culturali impliciti o espliciti nel testo, soprattutto laddove divergono da quelli della
cultura di provenienza e quindi vanno fatti osservare e comprendere
- i linguaggi non verbali, soprattutto se il testo di partenza è un video.
Questa “molecola dell’apprendimento” costituita dalla serie globalità-analisi-sintesi è il
nucleo dell’attività di acquisizione della lingua: ogni testo – ogni dialogo, canzone,
video, favola, vignetta, poesia, lettera, barzelletta, scena di film, ecc. – che viene
presentato (d)allo studente va esplorato attraverso le tre fasi della percezione
gestaltica: prima in maniera globale, poi in maniera analitica, infine realizzando il più
autonomamente possibile una sintesi e una riflessione che permetta all’apprendimento
temporaneo di evolvere in acquisizione permanente, portando le nuove informazioni ad
“accomodarsi”, come dice Piaget, nella mente insieme al patrimonio pre-esistente.
11.3.3 La possibilità modulare
Nell’ultimo decennio si è venuto diffondendo il concetto di “modulo”.
Definire un “modulo” nella formazione scientifico-professionale o in un corso di storia è
facile; più arduo è definirlo in discipline non segmentabili, basate sulla progressione per
cui nuovi elementi si “accomodano” (per dirla con Piaget) accanto ai precedenti
modificando continuamente la competenza, tornando a spirale più volte su quanto già
acquisito, in un percorso di continuo approfondimento, come nel caso della matematica e
delle lingue.
Un modulo è una sezione, una porzione, un sottoinsieme del corpus dei contenuti di
un curricolo (11.2) e deve essere
a. autosufficiente, concluso in se stesso - per quanto possibile in un sistema come
quello linguistico où tout se tient: alla fine del modulo lo studente deve essere in grado di
operare autonomamente nel contesto affrontato dal modulo stesso;
b. basato su ambiti comunicativi complessi, non su semplici “situazioni”: i moduli
presentano ambiti comunicativi che richiedono scambi linguistici di varia natura, come ad
esempio “la prima sopravvivenza”, “il tempo libero”, “vivere la città”, e così via;
c. deve essere valutabile nel suo complesso in modo da poter essere accreditato nel
libretto scolastico dello studente;
d. pur nella sua autonomia, un “modulo” deve essere raccordabile con altri moduli.
Ora, risulta evidente che, malgrado i tentativi di modularizzazione della scuola,
nell’insegnamento dell’italiano L2 essa ha ragion d’essere solo se c’è un portfolio
personale, che accompagna lo studente di classe in classe mano a mano che acquisisce
la piena padronanza dell’italiano.
DIBATTITO
Si confronti con i colleghi su
- la definizione di modulo che abbiamo proposto
- le quattro caratteristiche indicate con delle lettere, sopra.
11.4 Valutazione, Rinforzo, Recupero
In altri moduli si è discussa la natura dell’errore (Modulo 6) e il modo di correggerlo; si
rimanda dunque a quella nozione di errore, visto come spia di un’interlingua in
costruzione e non come colpa da punire o cancro da estirpare.
Mentre nelle unità didattiche delle altre discipline è prevista una fase conclusiva di testing,
che assume periodicamente carattere di verifica più estesa nel “compito in classe”,
nell’insegnamento dell’Italiano L2 ciò non è possibile se l’insegnamento procede per
conversazioni (11.3.1) e unità d’apprendimento (11.3.2), che hanno una strutturazione
minima e che sono assai brevi.
Piuttosto che di testing formale, nell’insegnamento dell’italiano L2 si procede
procede secondo una logica di osservazione attenta (11.4.1) e longitudinale, di
registrazione frequente dei risultati positivi e dei problemi; in questa prospettiva diventa
fondamentale la collaborazione tra docenti:
a. se da un lato tutti possono correggere immediatamente le forme errate ripetendole
correttamente (ruolo che può essere svolto anche dai compagni (11.6.4)),
b. dall’altro tutti i docenti delle varie aree disciplinari dovrebbero segnalare al
responsabile dell’Italiano L2 i problemi cronici che identificano un dato studente,
problemi che non sono risolvibili con una rapida correzione estemporanea e che
quindi hanno bisogno di un intervento ad hoc.
Nel paragrafo che segue (11.4.1), cercheremo di riflettere su come si possa osservare la
performance degli studenti per cercare in qualche modo di risalire alla competenza; in
seguito cercheremo di vedere come procedere al
a. rinforzo, cioè la focalizzazione su un punto debole, in modo da sanare un problema
specifico, ben individuato (11.4.2),
b. recupero, che si attua quando non si hanno solo lacune ben identificate, ma un
rallentamento o una diffocoltà complessivi (11.4.3).
11.4.1 Osservare le performance: tecniche e procedure
(Premessa: speso si usano in maniera superficiale termini come “test”, “verifica,
“valutazione”, e adesso anche su “certificazione” le idee non sono sempre chiare. Purché
le operazioni di classe siano condotte in maniera corretta il problema della terminologia
non è rilevante – chi vuole può verificare la propria precisione nell’uso di questi termini,
quindi nella definizione di questi concetti docimologici).
In più occasioni si è ripetuto che una delle caratteristiche primarie dell’insegnamento
dell’italiano L2 riguarda l’atteggiamento del docente, che ascolta più che parlare, che
osserva più che guidare, che “gioca di rimessa” anziché guidare lui il gioco seguendo una
rigida programmazione (11.2.2 e 11.2.3).
Anche la valutazione del percorso che lo studente sta facendo va condotta in maniera
indiretta, senza necessariamente investire una parte del pochissimo tempo
individualizzato a disposizione per raccogliere dati, cioè per la “verifica”.
Quindi la “verifica” scompare come pratica dall’Italiano L2, per lasciare il posto ad
un’osservazione attenta: non servono compiti in classe ad hoc, prove strutturate, ecc.:
basta osservare quello che lo studente straniero ha scritto durante la sua normale attività
scolastica; per verificare la padronanza dell’orale con un minimo di oggettività si possono
registrare spezzoni di parlato (racconti della giornata precedente, relazioni, “interrogazioni”
sulle varie materie) e poi analizzarli insieme all’allievo.
Scomparendo la verifica scompare anche la correzione condotta in solitudine dal
docente, per essere sostituita da un’analisi critica compiuta insieme da studente e
insegnante, che può proficuamente applicare la logica maieutica (11.3.1) per elicitare, per
estrarre dall’interlingua dello studente stesso le conoscenze che gli permettano di capire i
suoi errori.
Una “valutazione” in senso tradizionale della situazione in Italiano L2 è
praticamente impossibile: ogni studente sa molte cose che esulano da quanto
l’insegnante può verificare o anche solo immaginare, perché il suo vissuto e la sua
esperienza extrascolastica di italiano si evolvono di giorno in giorno (e non è
un’espressione fatta: davvero “di giorno in giorno”), non seguono una programmazione.
L’insegnante può osservare, ed eventualmente registrare le sue osservazioni in una
scheda personale dell’allievo o in una scheda curricolare (11.2.3), può cercare di
individuare il trend, la costanza nell’allargamento e nel miglioramento dell’interlingua, la
scomparsa o la permanenza di lacune specifiche, il superamento delle interferenze dovute
alla precisione della lingua d’origine.
Comunque, qualunque sia il metodo usato per “valutare” il livello di competenza di un
ragazzo straniero, si tratta di un atto da compiere insieme ai colleghi, che integrano,
confermano, smentiscono, correggono la “fotografia” proposta dall’insegnante cui è
affidata la valutazione.
A nostro avviso, più che investire tempo nel tentativo di giungere ad una valutazione
maniacalmente precisa del livello di italiano parlato da Ahmed oggi 20 aprile, livello che
sarà smentito stasera stessa dopo che Ahmed avrà fatto una partita a calcio con ragazzini
italiani, è importante sapere cosa fare dopo che è stata rilevata una lacuna specifica
(11.4.2) oppure si è constata un rallentamento, una difficoltà diffusa (11.4.3).
11.4.2 Rinforzo: natura e tecniche
Ci sono degli errori sistematici, chiaramente identificabili, sia dovuti all’origine (la
pronuncia di /r/ ed /l/ da parte di orientali, vuoi /p/ e /b/ da parte di cinesi ed arabi ecc.), sia
specifici di un singolo studente (c’è chi propone coniugazioni del tipo “io vai, tu vai, lui vai”,
c’è chi sbaglia l’ordine delle parole, l’aspetto dei verbi e così via).
Con questo tipo di devianza è chiara e ben identificata, si procede ad un rinforzo
specifico, che è mirato sul “prodotto”, su quella data forma dell’italiano (mentre se si deve
lavorare sul “processo” acquisitivo nel suo complesso si applicheranno tecniche di
recupero (11.4.3)). Si tratta di attività spesso demotivanti, di carattere anche
comportamentistico, che quindi vanno usate con parsimonia: se si rinforza la conoscenza
di una o due “regole” al giorno, alla fine del mese avremo percorso un itinerario
impressionante.
Una volta individuato il problema su cui vale la pena intervenire, la procedura può essere:
a. reperire un testo in cui l’errore compare, se possibile, più volte: uno scritto, una
registrazione, ecc.; si può anche indurre alla produzione di un testo in cui si sa che
comparirà l’errore: ponendo domande, facendo raccontare un’esperienza al
passato, facendo leggere una filastrocca con molte /r/ e /l/, e così via
b. richiamare l’attenzione su quell’errore, eventualmente guidando l’allievo a
percepirlo
c. offrire un modello corretto, che può essere lo stesso enunciato modificato,
oppure enunciati simili, stimolando al confronto e alla scoperta della “regola”
corretta
d. dopo aver osservato, ipotizzato e verificato un dato meccanismo linguistico, ad
esempio l’opposizione “sono/sonno” o quella “vivevo/vissi”, si muove alla
fissazione del meccanismo individuato. Conviene dilungarci su questa procedura.
La “fissazione” è un’attività di natura comportamentistica: si offre uno stimolo e lo studente
risponde applicando la “regola” oggetto di fissazione: in tal modo si crea un processo
automatizzato (un mental habit) per cui quella “regola” verrà usata senza più pensarci.
Tipiche dell’approccio grammaticalistico (“volgere al plurale”, “inserire la voce corretta del
verbo tra parentesi”) e soprattutto di quello strutturalistico, queste tecniche sono spesso
state eliminate tout court, anche come reazione a periodi glottodidattici in cui esse
costituivano la prassi quotidiana per ore ed ore, dal latino alla lingua straniera.
In realtà, visto che lo studente immigrato vive immerso nell’italiano per tutta la giornata,
non è certo l’input autentico che gli viene a mancare, per cui non ci pare sbagliato
proporgli qualche minuto di fissazione meccanica, ripetitiva, demotivante (ma solo se
troppo lunga), direttamente focalizzata su una “regola”. L’importante è coinvolgere lo
studente nel processo di fissazione, compiendo con lui il percorso delle lettere “a”-“d”
indicato sopra, in modo che l’esercizio strutturale sia psicologicamente giustificato, come
lo è ripetere lungamente gli accordi se si vuole imparare a suonare la chitarra o provare e
riprovare il tiro ad effetto se si vuole giocare a calcio.
Elenchiamo qui alcune tecniche, che possono essere approfondite cliccando direttamente
sulle parole evidenziate
Per la dimensione fonetica e fonologica si possono usare le coppie minime, la ripetizione
regressiva, la drammatizzaione.
In ambito morfo-sintattico e per i meccanismi di coesione testuale si possono fare esercizi
strutturali veri e propri (pattern drills) o esercizi di completamento e trasformazione.
Per il lessico si può fare il gioco dei campi lessicali.
11.4.3 Recupero: natura e tecniche
Il recupero è un processo lungo, che non interviene su problemi specifici per i quali si
ricorre al “rinforzo” (11.4.2), e serve soprattutto per migliorare la padronanza delle abilità
complesse (la lettura, il riassunto, ecc. ) o sistemi grammaticali di vasta portata, come il
sistema dei verbi al passato.
Il recupero si bassa soprattutto su input supplementare mirato. Vediamone le ragioni.
Krashen ipotizza che l'acquisizione si basi sull'input (a) reso comprensibile e (b) collocato
al punto giusto dell'ordine naturale di acquisizione. Tale punto viene chiamato “i+1”: è
l’elemento immediatamente successivo (“+1”) rispetto a quanto interiorizzato fino a quel
momento (cioè: “i” ). Tuttavia, in un allievo con problemi generali “i” è pieno di lacune che
non consentono l’innesco del “+1”, né d’altra parte è possibile agire in maniera mirata dato
che le sue lacune sono diffuse. Rimane solo la possibilità di offrire input supplementare,
reso comprensibile, nella speranza che l’elemento linguistico collocato nel grado “+1” sia
presente e che, incontrandolo e comprendendolo, il meccanismo d’acquisizione linguistica
se ne appropri.
Il lavoro di recupero si basa dunque essenzialmente su input supplementare in cui si
focalizza l’attenzione sul meccanismo della comprensione, del riassunto, ecc., in modo
che lo studenti impari ad imparare: la formula potrebbe essere “input + riflessione” sulle
abilità e sui campi grammaticali trattati.
11.5 Programmare il ruolo delle tecnologie didattiche
In questo modulo, dedicato alla “programmazione”, non si può omettere un cenno ad un
tema che viene comunque affrontato in maniera più vasta nel modulo 13 .
Quanto ci preme richiamare all’attenzione in questa videata è solo la necessità che le
tecnologie didattiche non vengano ignorate nella programmazione dell’insegnamento
dell’italiano L2, come invece avviene spesso.
Mentre tutti comprendono facilmente la necessità di riprodurre in un’aula italiana il mondo
in cui si parla la LS, la lingua straniera, attraverso registratori, video, film, computer, ecc.,
nell’insegnamento dell’italiano L2 è diffusa la convinzione che le tecnologie non servano il
quanto lo studente “vive” l’italiano quotidianamente.
Al contrario, la tecnologia ci permette di portare all’attenzione dello studente immigrato
alcuni aspetti che ha incontrato o può incontrare nella vita extra-scolastica (canzoni,
spezzoni di film o programmi televisivi, ecc.) ma che là sono rapidi e in tempo reale, qui
possono essere sfruttati secondo la logica gestaltica, cioè nella sequenza globalità /
analisi / sintesi e riflessione (11.3.2).
Inoltre, la tecnologia consente non solo di presentare materiale ma anche di
registrare le performance degli studenti e poi utilizzare tale registrazione come testo di
partenza per l’analisi e la riflessione linguistica, culturale, comunicativa.
11.6 Ruolo di docenti e compagni nelle procedure didattiche
I modelli operativi che sono stati descritti in questo modulo nonché le tecniche
glottodidattiche che si vedranno nel Modulo 12 non vengono realizzate nel vuoto, bensì in
una comunità che comprende varie figure.
Riflettere sull’interazione tra queste figure e sul ruolo che esse giocano nel realizzarsi
quotidiano delle procedure didattiche è altrettanto importante per la programmazione
quanto riflettere sui contenuti e i modi dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2.
Per avere qualche spunto ed avviare questa riflessione, da completare insieme ai colleghi
visto che ogni realtà locale fa storia a sé, basta cliccare sulle parole chiave nella lista che
segue:
Il docente di Italiano L2
I docenti delle varie discipline
I mediatori ed i facilitatori
I compagni italiani e le loro famiglie
I compagni non italiani
Le famiglie e la comunità d’appartenenza
11.7 La creazione e gestione di un Laboratorio Italiano L2
Che cos’è, secondo lei, un “Laboratorio di italiano L2”? E’ solo un luogo op qualcosa di
più?
Ci rifletta prima di proseguire nella lettura di questa videata.
Quando diciamo “Laboratorio di Italiano L2” intendiamo qualcosa di ben più complesso
della semplice struttura fisica che lo ospita: anzi, questa, insieme ai materiali, alle
attrezzature, ecc., è una variabile dipendente dal progetto, dall’idea di laboratorio. Un
laboratorio di italiano L2 è fatto di idee e di persone, prima che di luoghi e materiali.
E’ una struttura complessa caratterizzata dai seguenti elementi:
a.
b.
c.
d.
e.
uno scopo ed un progetto di attuazione dello stesso (11.7.1)
un luogo fisico, dotato di arredi ed attrezzature (11.7.2)
una raccolta di materiali didattici ed “autentici” (11.7.3)
una raccolta di materiale di guida per il docente (11.7.4)
una o più persone che elaborano il progetto e gestiscono le attività del laboratorio
(11.7.5)
f. un luogo dove è possibile – più che altrove – la didattica ludica (11.7.6)
Nei paragrafi in cui approfondiamo le sei voci elencate sopra offriremo alcune linee
generali, ma non una guida precisa nei dettagli: le caratteristiche di un Laboratorio di
Italiano L2 variano da scuola a scuola a seconda non solo del grado (materna,
elementare, media, superiore) e del tipo (un Istituto professionale ha natura e problemi
diversi da un liceo), ma anche dalla zona, dalla percentuale di immigrati, dal raccordo
possibile o no tra scuola e territorio, dalla capacità di attrarre sovvenzioni e fondi da
banche, fondazioni, enti locali, dalla possibilità di ricevere computer dimessi da aziende e
banche, e così via.
Quindi abbiamo deciso di fornire le linee concettuali senza addentrarci in dettagli
organizzativi che ogni gruppo di insegnanti può elaborare autonomamente.
Un’osservazione è comunque doverosa prima di rinviare ai vari paragrafi che costituiscono
questa sezione: un laboratorio di italiano L2 non è una sezione avulsa dall’attività
complessiva della scuola, né un alibi che evita a tutti gli altri docenti di doversi far
carico dell’apprendimento dell’italiano da parte di alunni immigrati: è solo un luogo di
raccordo, di intervento mirato, non una struttura che, da sola e per il solo fatto di esistere,
può risolvere i problemi.
(Molte delle indicazioni di questo paragrafo derivano dal saggio sul “Laboratorio di Italiano
L2”, di Fabio Caon e Barbara D'Annunzio, nel volume curato da M. C. Luise e riportato
nella guida bibliografica in 11.8).
DIBATTITO
E’ d’accordo con questa nostra impostazione?
Ne discuta con i suoi colleghi di forum e poi provi ad organizzare un possibile laboratorio
per la sua scuola. Dopo di che lo descriva ai colleghi chiedendo il loro giudizio.
11.7.1 Scopo ed un progetto di attuazione del Laboratorio di Italiano L2
Nel saggio di Caon-D’Annunzio nell’opera curata da M.C. Luise (11.8) il laboratorio di
Italiano L2 viene definito come
uno spazio all’interno della scuola in cui gruppi di allievi non italofoni (e, in particolari
momenti, anche italofoni) appartenenti a classi diverse possono:
•
•
•
•
•
•
•
apprendere lessico e approfondire strutture linguistiche che siano legate a
situazioni comunicative rispondenti ai loro bisogni e interessi (anche svincolate dal
curricolo della classe d’appartenenza)
socializzare con il gruppo dei pari in una situazione in cui la differenza linguistica e
culturale non è significativa come nel gruppo-classe
interagire e socializzare con compagni di età diverse parlanti la stessa lingua
materna
svolgere attività in cui la competenza linguistica non condizioni il successo delle
stesse (ad es. attività manipolative, grafico-pittoriche, ludico-didattiche, musicali,
sperimentali, creative, logico-matematiche). Gli alunni hanno così l’opportunità di far
emergere senza “forzature” le loro potenzialità espressive e le abilità di cui sono
depositari
avere la possibilità di ritrovare e far emergere elementi della loro cultura d’origine o
del loro vissuto personale
acquisire competenze extralinguistiche e socio-pragmatiche afferenti al nuovo
contesto linguistico e culturale
stabilire con una o più figure adulte una relazione educativa, grazie alla quale sia
facilitato l’apprendimento e l’integrazione scolastica
Come si vede è un progetto ben più complesso e sofisticato del semplice “imparare
l’italiano”: è un progetto formativo che coinvolge l’intero spettro dell’azione
pedagogica.
Per questa ragione ogni Laboratorio di italiano L2 è necessariamente diverso da quello
della scuola accanto – anche se non è impensabile che scuole vicine possano
consorziarsi per organizzare un Laboratorio comune.
Sul piano più strettamente operativo, quindi specifico di questo modulo, noteremo che un
laboratorio può essere organizzato secondo vari modalità (che non si escludono a
vicenda: sono solo diversi modi di affrontare un problema, ma nella stessa giornata il
Laboratorio può funzionare in ciascuna delle modalità che elenchiamo):
a. laboratorio intensivo/permanente: nel primo caso si dà supporto immediato a chi è
appena arrivato, quindi si lavora per le BICS (11.2), nel secondo si effettua
un’azione sistematica, si lavora sulla sistemazione delle BICS e soprattutto si
imposta la CALP; nel primo caso i destinatari sono essenzialmente allievi stranieri,
nel secondo caso possono essere integrati anche dei ragazzi italiani che abbiano
difficoltà linguistiche (non motivazionali o cognitive) che impediscono loro di
accedere ai contenuti disciplinari
b. laboratorio decrescente/crescente: il primo è tipico del primo intervento e viene
collocato di solito all’inizio dell’anno scolastico, in modo da fornire un contributo di
sostegno iniziale; un laboratorio crescente è invece tipico della fine dell’anno
scolastico e serve a preparare per gli ultimi “compiti in classe” (sappiamo bene che
la valutazione conclusiva non dovrebbe essere condotta sugli ultimi compiti in
classe e sulle ultime interrogazioni – ma conosciamo altrettanto bene la prassi
scolastico dominante: e il nostro scopo non è quello di immaginare una scuola che
non c’è, ma quello di inserire i ragazzi stranieri nella nostra scuola così com’è)
oppure agli esami di quinta elementare o di licenza media
c. laboratorio linguistico/interculturale: nel primo caso i destinatari sono gli studenti
immigrati, nel secondo devono essere coinvolti studenti (e famiglie) italiane; i
contenuti del primo tipo di laboratorio sono l’oggetto di gran parte dei moduli di
questo corso, mentre il secondo tipo (che non può essere episodico ma deve avere
una sua estensione temporale per risultare efficace) può consistere di visione di film
ambientati in paesi stranieri , di feste di compleanno con cucina etnica, di ascolto o
esecuzione di musica dei vari paesi. I destinatari non sono tanto gli immigrati, che
vengono gratificati in quanto per una volta è la loro cultura ad essere al centro
dell’attenzione e dello studio, quanto gli italiani.
11.7.2. Luogo fisico, arredi ed attrezzature
Lo spazio fisico è importante perché costituisce uno spazio psicologico e
relazionale riservato agli studenti non italiani, che possono ospitarvi i loro compagni
italiani per alcune esperienze interculturali o linguistiche (11.7.1), ma che rimane “loro”.
Quindi lo spazio dovrà essere, per quanto possibile, esclusivamente dedicato al
laboratorio di italiano L2 – e se possibile dovrà essere uno spazio dignitoso: accogliere i
ragazzini stranieri in un sottoscala o in una sala buia e squallida costituisce un messaggio
chiarissimo di disinteresse se non di disprezzo.
La sala del Laboratorio di Italiano L2 è contemporaneamente
a. un luogo di lavoro, per cui deve avere strutture che consentano una didattica
cooperativa e “destrutturata” come quella propria dell’italiano L2: tavoli per lavoro di
gruppo, facilmente spostabili per diventare tavoli per due persone o per lavoro
individuale
b. un luogo di gioco, visto che la glottodidattica ludica gioca un ruolo fondamentale
con ragazzi che vivono quotidianamente l’apprendimento come stress, come una
sfida in cui hanno meno strumenti dei loro compagni italiani; per saperne di più,
visitare http://helios.unive.it/~aliasve/moduli/caonrutka/caonrutka.html
c. un luogo attrezzato con le strumentazioni necessarie, dal registratore audio che
consente di registrare e poi riascoltare le performance linguistiche degli alunni, a un
video, un computer, una lavagna; il problema della riproduzione sonora è
fondamentale per un laboratorio di questo tipo in cui l’oralità gioca un ruolo primario
e quindi è possibile avere riproduzione fedele dei suoni
d. un luogo di esposizione, in cui si espongono sia i lavori dei ragazzini immigrati,
sia le foto dei luoghi di provenienza, sia poster grammaticali, ecc.: ottima una
striscia di legno che core lungo i muri a circa 1m.70cm di altezza, cui attaccare con
puntine i fogli e i poster
e. un luogo di archivio, dove si conservano le schede individuali (11.2.3) , le schede
di lavoro, tutti i materiali (11.7.3) che servono per una didattica spesso scarsamente
programmabile (11.2.2): scaffalature capienti e comode con una buona logica di
archiviazione, per reperire facilmente i materiali necessari per quell’attività specifica
in quel preciso momento
11.7.3 Raccolta di materiali didattici ed “autentici”
Malgrado esistano ormai buoni materiali didattici, molto del materiale è rappresentato da
fogli, da “materiale grigio”, che costituisce una ricchezza facilmente dispersa se non si
procede continuamente ad una archiviazione ed una catalogazione precisa.
Lo stesso dicasi per i materiali “autentici” (mettiamo la parola tra virgolette per ricordare
che un testo autentico, dal biglietto della metropolitana alla scatola di biscotti, è autentico
solo quando viene usato in stazione o in cucina: usato come materiale didattico è
comunque in autentico, perché la sua fruizione non ha più lo scopo per cui è stato creato):
solo una catalogazione continua e coerente consente di trovare il materiale giusto per
un’attività “qui e ora”.
Perdere 10 minuti per cercare un dato materiale o una scheda di lavoro significa perdere
gran parte della motivazione: per questo insistiamo sulla necessità di archiviare il
materiale in maniera precisa.
Veniamo ora la materiale didattico: ormai se ne trova di vario tipo reperibile
a. in siti dedicati all’apprendimento dell’italiano quali
• Progetto ALIAS, sito creato con un finanziamento ministeriale e che offre
gratuitamente una grande quantità di materiali per la formazione e link:
www.unive.it/progettoalias
• Sito dedicato alla formazione degli insegnanti di italiano: www.itals.it
• Progetto “Me Too – La multimedialità per il plurilinguismo e l’interculturalità nelle
scuole”: http://www.socrates-me-too.org/index.htm
• Italiano lingua seconda e educazione interculturale : www.edscuola.it/stranieri.html
• Riebi – Rete educazione bilingue in Italia: www.unive.it/labclil
• Centro Come, della Provincia di Milano: www.centrocome.it
b. nei siti dei principali editori di materiali di questo tipo:
• Bonacci, editore specializzato per l’italiano: http://www.bonacci.it/
• Eli, che prepara materiali didattici per molte lingue: http://www.elipubli.com/
• Guerra, editore specializzato per l’italiano: http://www.guerra-edizioni.com/
• Petrini, sotto il marchio Teorema: http://www.petrini.it/ita/index.asp
c. siti che offrono materiale didattico specifico, quali ad esempio:
• Scuola d'Italiano, Roma: alla sezione "materiali didattici", si possono trovare
numerosi materiali di italiano per stranieri:: http://web.tiscali.it/scudit/mdindice.htm
• Dizionario illustrato per bambini disponibile in moltissime lingue: http://www.logos.it
• LinguaItalia, rete di collaboratori che costruiscono e vendono in Internet prodotti
multimediali per la didattica delle lingue: http://www.linguaitalia.com/
• Giochi per l’italiano: http://www.pdictionary.com/italian
Inoltre va ricordato che oltre ai materiali a schede (i numerali, i possessivi, ecc.), che ci
paiono i più adatti al modello didattico flessibile e “destrutturato” che abbiamo proposto in
questo modulo (11.2.2) in una didattica basata sull’unità di apprendimento (11.3.2),
esistono anche materiali mirati ad alcuni problemi specifici, reperibili presso gli editori visti
sopra: dalle favole di Rollo e Laura per bambini cinesi che faticano a discernere /r/ ed /l/, a
quelli di Beppo e Pippo per l’opposizione /p/ e /b/, ai quaderni sui giochi o sulle feste o
sulle favole dei bambini italiani, per un discorso non solo linguistico ma anche culturale.
In alcuni casi è la scuola a farsi carico dell’acquisto di questi quaderni, da dare poi agli
allievi stranieri, in altri casi si procede ad acquisti individuali, ma spesso si ricorre anche a
fotocopie: si tratta di una prassi (abbastanza) economica che tuttavia, oltre a porre
problemi di carattere legale, dà allo studente materiale “rovinato” dal passaggio dal colore
al bianco e nero, quindi di minor valore psicologico di un quaderno che può essere
sfogliato anche a casa, mostrato ai fratellini e ai genitori, conservato come “libro” anziché
trascurato e perso come una delle mille fotocopie che si ricevono a scuola.
11.7.4 Raccolta di materiale di guida per il docente
Il laboratorio di italiano L2 non è solo il luogo di lavoro con i ragazzi immigrati (e talvolta i
loro compagni italiani), ma è anche il luogo di lavoro degli insegnanti che si occupano del
laboratorio stesso: di esso dunque fa parte anche la raccolta dei materiali di guida
linguistica, culturale e glottodidattica dei docenti – indipendentemente dal fatto che
fisicamente questi materiali siano conservati nella biblioteca della scuola, in sala docenti,
in un armadio in corridoio o nel laboratorio stesso.
Inoltre: serve anche un computer non solo per il lavoro di ricerca e di lavoro degli studenti,
ma anche perché gli insegnanti possano collegarsi a siti specificamente pensati per chi
si occupa di italiano L2, come ad esempio
•
•
•
•
•
•
•
Progetto ALIAS, sito creato con un finanziamento ministeriale e che offre
gratuitamente una grande quantità di materiali per la formazione e link:
www.unive.it/progettoalias
Sito dedicato alla formazione degli insegnanti di italiano: www.itals.it
Progetto “Me Too – La multimedialità per il plurilinguismo e l’interculturalità nelle
scuole”: http://www.socrates-me-too.org/index.htm
Italiano lingua seconda e educazione interculturale : www.edscuola.it/stranieri.html
Riebi – Rete educazione bilingue in Italia: www.unive.it/labclil
Centro Come, della Provincia di Milano: www.centrocome.it
Una Onlus molto attiva è Cospe- Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti:
http://www.cospe.it/
Tra gli editori che hanno collane glottodidatiche ricordiamo:
• Alma edizioni: http://www.almaedizioni.it/
• Bonacci Editore: www.bonacci.it
• Edizioni ELI: http://www.elionline.com
• Guerini: www.guerini.it
• Guerra Edizioni: http://www.guerra-edizioni.com
• La Nuova Italia: http://www.lanuovaitalia.it/
• Patatrac, che ha materiali interculturali: http://www.patatrac.com/
• Utet Libreria, con due collane (“Glottodidattica” e “I libri
http://www.utetlibreria.it/home.html
• Vannini Editrice: http://www.vanninieditrice.it/libri/hibiscus.htm
di
Babele”):
C’è poi una libreria specializzata, che ha una ottima newsletter: http://www.il-libro.it/
In altre parole, il Laboratorio di italiano L2 è anche il luogo di crescita scientifica e
professionale dei docenti che vi operano.
Limitandoci all’area glottodidattica (e rimandando agli altri moduli per i materiali linguistici o
interculturali), riportiamo in 11.8 alcuni titoli fondamentali per l’autoformazione del docente
di italiano L2.
11.7.5. Persone che elaborano il progetto e gestiscono le attività del laboratorio
Il Laboratorio di italiano L2 non è proprietà e responsabilità personale né dell’insegnante
incaricato di questo settore, né dei mediatori o dei facilitatori linguistici.
Un laboratorio di italiano L2 è un investimento economico ma anche culturale e
professionale di tutto un collegio docenti e della dirigenza di un istituto.
Tuttavia, spesso in un collegio docenti non si trova o la consapevolezza della necessità, e
quindi la volontà politica, di dotare la scuola di un Laboratorio di italiano L2, né si trovano
sempre le competenze necessarie per costituire un Laboratorio.
Ne consegue che la collaborazione con le altre scuole, con persone esterne, con
università e centri di ricerca, può costituire il nucleo umano necessario per progettare il
laboratorio e/o per gestirlo. La collaborazione può avere almeno tre forme:
a. collaborazione scientifica con centri di ricerca: tutti i moduli di questo corso
nascono da università che si impegnano nello studio dell’insegnamento dell’italiano
L2, ma ci sono anche centri supportati da enti locali e così via. Ogni realtà locale
conosce a quelli centri vicini può appoggiarsi sia per una formazione iniziale sia per
organizzare corsi di formazione, di perfezionamento, fino a veri e propri master
universitari i didattica dell’italiano L2. (Una guida è in 11.7.4)
b. consorzi di scuole vicine: spesso una singola scuola comprensiva, un circolo, un
istituto superiore, presi singolarmente, non hanno le risorse economiche e
professionali per costituire e soprattutto per gestire un Laboratorio di italiano L2: ma
scuole fisicamente vicine possono consorziarsi per fornire un servizio
indispensabile
c. reti di scuole che sono particolarmente interessate al problema: a differenza dei
consorzi visti sopra, si tratta di scuole distanti, sebbene di solito nell’ambito di una
provincia o una regione, che mettono insieme la loro esperienza e conducono
forme di lavoro in qualche modo riconducibili alla ricerca-azione.
In questo paragrafo ci pare utile richiamare un concetto che è stato sotteso o espresso en
passant in tutti i paragrafi del punto 11.7, dedicato ai Laboratori di italiano L2: spesso nelle
scuole l’istituzione di un Laboratorio di italiano L2 ha due effetti relazionali:
a. da un lato gli insegnanti non impegnati nel laboratorio di italiano L2
demandano il lavoro in questo settore ai colleghi che, in orario di lavoro, come
completamento orario, come parte dell’orario o in altro modo si occupano del
laboratorio
b. dall’altro chi opera in laboratorio può tendere a considerare gli stranieri come
suo territorio personale di azione anziché a porsi come primus inter pares, a
coordinare un’azione comune.
Si tratta di due posizioni inaccettabili, e di fronte alla deresponsabilizzazione dei Consigli di
Classe, ci si chiede se sia opportuno istituire un Laboratorio di italiano L2.
11.7.6 Un luogo ottimale per la glottodidattica ludica
Non approfondiamo qui la nozione di glottodidattica ludica, che è trattata in molti dei
materiali teorici visti in 11.8 ma ci limitiamo a linkarci a un sito dove questo tema viene
trattato: basterà selezionarlo tra i vari moduli offerti nell’indice di quel sito:
http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/caonrutka/caonrutka.html
11.8 Guida bibliografica
Le indicazioni che seguono non sono un bibliografia ma uno strumento agile e
sintetico per
a. approfondire le nozioni fornite in questo modulo, quindi gli aspetti metodologici (non
quelli linguistico-acquisizionali, sociologici, pedagogici, ecc.)
b. creare una biblioteca glottodidattica di riferimento in un Laboratorio di Italiano L2,
secondo quanto abbiamo proposto in 11.7.4.
Cliccando sulle parole evidenziate nei titoli dei libri che proponiamo è possibile accedere
anche a una scheda con l’indice, in modo da consentire una prima valutazione di interesse
per chi debba graduare l’acquisizione dei volumi.
In alcune delle riviste, di cui dove possiamo diamo anche il sito, esiste anche una versione
on line.
AA.VV., Approccio alla lingua italiana per allievi stranieri, Torino, Teorema, 2000
BALBONI P.E., Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino, UTET Libreria,
1998
BALBONI P.E., Le sfide di Babele: insegnare le lingue nelle società complesse, Torino,
UTET Libreria, 2002
CAON F. e S. RUTKA, Insegnare l’italiano giocando: principi e materiali per una didattica
ludica, Perugia, Guerra, 2003
CAON F. e B. D’ANNUNZIO, Il Laboratorio di italiano L2: progettazione, attività, gestione,
Perugia, Guerra, 2003
DOLCI R. e P. CELENTIN, (a cura di) La formazione di base del docente di italiano,
Roma, Bonacci, 2003
FAVARO G., Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, Firenze, La Nuova Italia, 2002
LUISE M. CECILIA (a cura di), Italiano lingua seconda: fondamenti e metodi, Perugia,
Guerra, 2003
Articoli metodologici sull’insegnamento dell’Italiano L2 si trovano spesso in queste riviste:
•
•
•
•
In.it. Quadrimestrale al servizio degli insegnanti di italiano a stranieri, Guerra,
www.initonline.it
Italiano & oltre, La Nuova Italia, www.lanuovaitalia.it
Lingua e Nuova Didattica, Petrini, www.lend.it
Scuola e Lingue Moderne, Garzanti / ANILS, www.anils.abramo.it
Gli insegnanti possono perseguire la loro crescita culturale anche iscrivendosi alle
associazioni di lingua:
• Anils: http://anils.abramo.it/
• Lend: http://www.lend.it/
• Ilsa: http://associazioni.comune.firenze.it/ilsa/
Definire il corpus di un corso significa stilare l'elenco del materiale da insegnare in quel
corso. Sono ad esempio dei corpora i volumi del Consiglio d'Europa che descrivono i livelli
soglia delle principali lingue europee e in buona parte lo è anche il Common European
Framework.
Un termine usato talvolta al luogo di corpus è sillabo.
Il curricolo, nell’accezione che utilizziamo qui, è anche un corpus (lessicale,
morfosintattico, pragmatico, ecc.), ma include altre dimensioni.
Corpus è una nozione quantitativa e statica (quindi difficilmente applicabile all’Italiano L2)
mentre curricolo ha anche una dimensione qualitativa, dinamica.
Torna al paragrafo 11.2
E’ il termine tipico della tradizione scolastica italiana e rimanda ai documenti ufficiali in cui
si descrivono le mete e gli obiettivi, indicandoli per grandi linee senza tuttavia procedere
ad una elencazione dettagliata.
Spesso si tratta, in realtà, di manifesti glottodidattici, in cui si dà largo spazio alla
descrizione del "come dovrebbe essere" trascurando il "come potrà essere".
Si tratta di uno strumento operativo ormai abbandonato ma che, comunque, per la sua
staticità e prescrittività non è applicabile alla variegatissima realtà degli studenti migranti.
Torna al paragrafo 11.2
La nozione di curricolo in glottodidattica si allontana da quella usata degli esperti di
scienze della formazione, soprattutto italiani; l’approccio di riferimento per la glottodidattica
è stato elaborato infatti in sede europea, sebbene con il contributo italiano, e si trova nel
Common European Framework.
Nella definizione di Johnson (in un volume del 1989) il termine curricolo includes all the
relevant decision making processes of all participants.
Non è quindi una lista, come il corpus, né un’indicazione programmatica, ma una serie di
processi cui partecipano docenti, studenti, che perseguono mete ed obiettivi, analizzano i
bisogni, definiscono i contenuti, e così via per tutti gli aspetti significativi del processo di
insegnamento/apprendimento.
Torna al paragrafo 11.2
Sulla base dei tre assi di relazione della vita umana (io; io e i “tu” che mi sono vicini; io e
gli altri, il mondo, la storia) si identificano tre mete educative, che per quanto riguarda gli
immigrati vanno ripensate rispetto al modo in cui le applichiamo allo sviluppo dei ragazzi
italiani:
culturizzazione
cioè la conoscenza ed il rispetto (in alcuni casi può esserci anche l’assunzione) di modelli
culturali e di valori di civiltà del paese d’accoglienza, l’Italia; da un lato questa
acculturazione permette di guardare alla propria cultura d’origine da un punto di vista
diverso, permettendo l’insorgere di senso critico, dall’altro è la condizione necessaria per
la seconda meta educativa, la socializzazione
socializzazione
cioè la possibilità di avere relazioni sociali con italiani o con altri immigrati di diverso ceppo
linguistico usando la lingua italiana; solo l’immigrato culturizzato e socializzato può
cercare, in Italia, la propria promozione umana e sociale
autopromozione
cioè la possibilità di procedere nella realizzazione del proprio progetto di vita anche in
Italia, oltre che nel paese d’origine se un giorno dovesse esserci un rientro.
Torna al paragrafo 11.2.1
Per una panoramica del problema delle tipologie linguistiche di provenienza vedere il
modulo 4 per alcune lingue specifiche si può ricorrere a materiali di
a.
guida:
arabi: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/dellapuppa/lallievodellafricadelnord.htm
cinesi: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/dannunzio/lallievocinese.html
rom: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/mori/mori.html
albanesi: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/triolo/triolo.html
slavi: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/celentin/celentin.html
b.
informazione bibliografica
cinesi: http://venus.unive.it/~aliasve/materialididattica/bibragbarbara.htm
http://venus.unive.it/~aliasve/materiali/chineseweb.htm
interculturalità: http://venus.unive.it/~aliasve/materialididattica/biblgenerale.htm
glottodidattica ludica: http://venus.unive.it/~aliasve/materialididattica/bilbioludica.html
albanesi: http://venus.unive.it/~aliasve/materialididattica/bilbioalbanese.html
arabi: http://venus.unive.it/~aliasve/materiali/bibliografiaragionata.html
c.
normativa scolastica
Marocco: http://venus.unive.it/~aliasve/materiali/marocco.htm
Paesi vari: http://venus.unive.it/~aliasve/link/index.php?kid=6&catname=Normativa
Torna al paragrafo 11.2.1
Si realizza quando lo studente rivela la propria soggettività, la propria personalità, quando
manifesta sentimenti, emozioni, pensieri, impressioni, sensazioni.
Questa funzione si realizza, oltre che nei dialoghi, anche in generi quali la lettera
personale, il diario, l'intervista, ecc.
Principali atti comunicativi:
- chiedere/dire il nome, l’età, la provenienza, presentarsi
- parlare dello stato fisico (benessere, malessere, stanchezza, ecc.)
- parlare dello stato psichico (tristezza, allegria, delusione, ecc.
- esprimere i propri gusti
- ecc.
Molti materiali didattici, improntati ad una mera comunicazione pragmatica, attribuiscono
un peso piuttosto limitato a questa funzione, fondamentale sul piano dell’affettività e della
motivazione.
Torna al paragrafo 11.2.4
Si realizza quando l’italiano serve a stabilire, mantenere o chiudere un rapporto di
interazione sia orale (dialoghi, telefonate, conferenze, ecc.) sia scritta (lettere, e.mail,
ecc.).
Per poter realizzare questa funzione lo studente deve apprendere ad eseguire atti
comunicativi quali:
- salutare e congedarsi
- offrire, accettare e rifiutare qualcosa
- ringraziare e rispondere al ringraziamento
- scusarsi
- ecc.
I rapporti interpersonali rimandano a regole sociolinguistiche da tenere in considerazione
al fine di un uso appropriato della lingua: scegliere tra “tu” e “lei”, usare o evitare
“parolacce”, ecc., sono operazioni di estrema delicatezza sull’esito pragmatico della
comunicazione.
Torna al paragrafo 11.2.4
Consiste nell'usare l’italiano per agire sugli altri, per regolare il loro comportamento, per
ottenere qualcosa, per soddisfare le proprie necessità. I generi propri di questa funzione
sono le istruzioni orali e scritte, i regolamenti, le leggi.
I principali atti comunicativi sono:
- dare e ricevere istruzioni
- dare e ricevere consigli, ordini, disposizioni
- chiedere, obbligare o impedire di fare qualcosa
- ecc.
Questa funzione rimanda a regole socio-culturali da tenere in considerazione al fine di una
scelta appropriata delle espressioni da usare. La scelta errata può bloccare lo scambio
comunicativo perché uno dei due parlanti si sente offeso per il modo in cui è stato chiesto
qualcosa, si sono date istruzioni, ecc.
Torna al paragrafo 11.2.4
Si manifesta quando la lingua italiana viene usata per descrivere o per spiegare la realtà in
generi comunicativi quali la relazione su un evento, la descrizione di una situazione, il
testo scientifico, e così via.
Questa funzione richiede, in termini di atti comunicativi, che lo studente sia in grado di
- descrivere cose, azioni, persone, eventi
- chiedere e dare informazioni
- chiedere e dare spiegazioni
- ecc.
I messaggi che realizzano questa funzione sono prevalentemente caratterizzati da
oggettività, lessico denotativo molto preciso, ed è qui che gli studenti incontrano le
maggiori difficoltà.
Torna al paragrafo 11.2.4
Si realizza quando ci si serve dell’italiano per riflettere sulla lingua italiana o per risolvere
problemi comunicativi tipici dell'interazione in una lingua non nativa.
Gli atti comunicativi possono essere:
- chiedere come si chiama un oggetto
- creare perifrasi per descrivere il significato di parole ignote (una persona che non
conosce la parola “ladro” può dire: “ho visto uno di quelli che rubano”)
- comprendere o fornire spiegazioni sulla lingua e sulla comunicazione.
E’ evidente che si tratta di una funzione di primaria importanza a scuola, ma che ha una
forte utilità anche nel mondo della comunicazione reale.
Torna al paragrafo 11.2.4
Si realizza quando si usa la lingua italiana per produrre particolari effetti ritmici,
suggestioni musicali, associazioni metaforiche, ecc., oppure per creare situazioni e mondi
immaginari. Sono propri di questa funzione tutti i generi “letterari”, dalla fiaba al poema
epico.
Non ci sono atti comunicativi specifici, tranne
- l’apertura di una fiaba: “c’era una volta…”
- la chiusura di una fiaba: “e vissero sempre felici e contenti”
C’è tuttavia un lessico particolare (dal “marchese” del Gatto con gli stivali al “principe
azzurro”, dalle “fate” più o meno “turchine” alle “streghe malvagie” …), ci sono delle curve
intonative particolari, ad esempio quando si deve creare suspence in “era una notte buia e
tempestosa, faceva freddo e il vento era tremendo, quando d’improvviso…”; ci sono
elementi culturali spesso importanti: il lupo, anima cattivo per antonomasia nelle favole
italiane, è un orso nella versione di Cappucetto Rosso in Russia, laddove i lupi sono ben
più comuni.
Torna al paragrafo 11.2.4
La conversazione maieutica aveva cittadinanza sotto i portici di Atene o di Roma,
quando un saggio (il filosofo, il Maestro: “magister”, colui che è “magis”, di più) si sforzava
di far maturare l’autonomia cognitiva e critica del suo allievo, estraendo le sue conoscenze
implicite, costringendolo a renderle esplicite ragionandoci sopra. Oggi questo modello è
usato solo a livello di dottorato di ricerca, dove il rapporto maestro/allievo è strettissimo –
ma paradossalmente questo modello può essere usato proficuamente anche per lo
studente immigrato, soprattutto quando si lavora con piccoli gruppi come in un
laboratorio di italiano L2 (11.7)
Ogni tanto la conversazione del filosofo si alternava a quella del rètore o del grammatico,
che impartivano “lezioni”: leggevano (da cui lectio) i testi sacri – dall’Iliade alle orazioni di
Cicerone – e poi ne traevano delle “regole” a cui adeguarsi per scrivere bene. La lectio è
tipica dell'istruzione religiosa (cattolica, ebraica, islamica): pone l'obiettivo (il testo sacro) al
centro dell'attenzione; tramite il sacerdote-maestro, che ha il diritto all'interpretazione
autentica ed incontestabile, il testo sacro viene comunicato in maniera frontale e diretta
agli allievi, che compiono un atto di fede nella capacità ermeneutica del maestro.
Si tratta di una posizione indubbiamente molto gratificante per l'insegnante ma non
produttiva sul piano psico-pedagogico: l’allievo è una tabula rasa, passivo recettore di idee
altrui, acritico. E poi il testo sacro della lingua, la grammatica fissa ed immutabile, non c’è
neppure più…
Torna al paragrafo 11.3
Secondo la teoria di Stephen Krashen, la prima delle condizioni perché ci sia acquisizione
linguistica è che l’input sia collocato al gradino che nell'ordine naturale di acquisizione
(che definiremo sotto) si trova immediatamente dopo l'input acquisito fino a quel momento.
Si tratta dell’applicazione krasheniana (quindi, come molte delle indicazioni di questo
glottodidatta americano, è costruita un po’ ad effetto, con una logica di semplificazione
quasi giornalistica) di una nozione psicologica che Vygotsky chiama area di sviluppo
potenziale e che in Bruner troviamo come zone of proximal development: è la distanza
tra la parte di un compito che una persona è già in grado di eseguire e il livello potenziale
cui può giungere nel tentativo di compiere la parte restante del compito, distanza che può
percorrere da solo, sotto la guida di una persona più esperta (un magister, qualcuno che è
magis, “di più”), dialogando con i pari, assistito dalle risorse
Krashen descrive questo principio secondo la formula “i+1”:
- i = la parte del compito linguistico o comunicativo che si è già in grado
di eseguire sulla base della competenza “acquisita”
- + 1 = l’area di sviluppo potenziale.
Krashen inserisce i vari scalini “i+1” lungo l’ordine naturale d'acquisizione, cioè la
successione degli elementi linguistici nella sequenza di acquisizione; le conseguenze
possibili sono due:
- se noi prendiamo un elemento a caso della sequenza, tutti gli elementi
che vengono prima di quel punto sono condizione necessaria per
poterlo acquisire
- se il punto i+1 compare nell'input reso comprensibile, il fatto di aver già
acquisito gli elementi precedenti è condizione sufficiente perché
l'acquisizione del nuovo avvenga, purché il filtro affettivo sia aperto
(vedi sotto).
Anche se Krashen non ne parla, questa ipotesi rimanda alla nozione di interlingua,
secondo cui la lingua viene appresa secondo un procedimento a spirale che procede per
approssimazioni successive alla lingua-obiettivo. All’inizio si attua un processo di
pidginizazione, di ipersemplificazione che permette una comunicazione rudimentale, poi
piano piano si procede a risistemare quanto si sa e a incremetarlo in quantità e qualità:
non si può dire che uno studente straniero sa o non sa l’italiano, si può solo dire che
l’interlingua di quello studente oggi è configurata in un certo modo, che è unico ed
originale nei suoi pregi e problemi.
Torna al paragrafo 11.3.1
Nel modello di percezione della realtà secondo la psicologia della Gestalt, ma anche
secondo la neurologia percettiva, si ipotizza che ci sia anzitutto una percezione globale
dell'evento comunicativo o del testo.
Essa coinvolge principalmente l'emisfero destro del cervello e si basa su strategie quali
- lo sfruttamento massimo della ridondanza, del supplemento di informazioni contestuali
(il luogo, il momento, i partecipanti, ecc.) e co-testuale (ad esempio, l’articolo “le” mi indica
che nomi e aggettivi che seguono sono femminili e plurali, e non è necessario un lavoro
analitico per recepire le ulteriori informazioni che confermano il femminile plurale)
- la formazione di ipotesi socio-pragmatiche su quanto potrà avvenire in quel contesto,
sulla base delle nostre conoscenze del mondo (che per un immigrato sono spesso dubbie
e scarse)
- la formazione di ipotesi linguistiche sulla base delle nostre conoscenze grammaticali
(anche queste incerte nell’immigrato
- l’elaborazione delle metafore: il nostro parlare quotidiano, non solo quello letterario, è
denso di metafore fossili (“è [furbo come] una volpe”), di metafore volontarie o involontarie
che comunque ci consentono di visualizzare alcuni significati… ma lo studente proviene
da culture con set di metafore totalmente diversi
- la verifica globale ed approssimativa delle ipotesi (skimming) oppure la verifica di
singoli elementi (scanning)
-
la ricerca di analogie con eventi noti.
Torna al paragrafo 11.3.2
Provi a scrivere le definizioni di alcuni termini docimologici, poi confronti con quelle che
trova più sotto:
Testing
Verifica
Valutazione
Certificazione
• Testing
Si tratta di un aspetto della valutazione, precisamente quello della raccolta di dati il più
possibile affidabili e pertinenti. In italiano corrisponde a "verifica", anche se la parola
"testing" è connotata nel senso di una maggiore meccanicità, oggettività.
• Verifica
Spesso questo termine viene usato come sinonimo di “valutazione”, ma in realtà ne è solo
una parte, cioè quella della raccolta di dati (cfr. testing) e della definizione di un punteggio.
• Valutazione
E’ il complesso di operazioni che consiste nel:
- reperire informazioni sulla quantità e la qualità dell’acquisizione di un allievo (cfr. verifica
e testing);
- definire dei parametri (operazione detta anche scaling) da applicare ai dati del test per
ottenere un punteggio (operazione detta anche scoring);
- elaborazione (a) di un giudizio statistico sul rapporto tra un allievo e il suo gruppo, (b) di
un giudizio di merito sull’acquisizione avvenuta e (c) di un giudizio rapportato alla
personalità del singolo: i suoi punti di partenza, i suoi progressi, le sue capacità.
Quest’ultima fase è quella che spesso porta a definire la valutazione come un atto
“politico”, in quanto mette in gioco tutta una serie di valori ideologici da parte
dell’insegnante;
- esprimere del giudizio, che può essere un voto in numeri o in lettere oppure può avere la
forma di un giudizio, in cui si fa una diagnosi e, se necessario, si suggerisce una
terapia di recupero.
• Certificazione
Attestazione ufficiale, di solito rilasciata da un organismo statale o di alto prestigio
glottodidattico, che attesta la conoscenza di una lingua o della sua didattica.
La ricerca sulla certificazione è uno dei settori più vivaci della glottodidattica degli anni
Novanta, in quanto le implicazioni sociali, professionali, internazionali si aggiungono a
quelle strettamente scientifiche: che cosa significa “sapere una lingua”?, come si può
determinare la competenza attraverso l’esecuzione?, come si può suddividere un
continuum (da conoscenza zero a conoscenza pari a quella di un madrelingua) in settori?
su quali parametri? Un punto di riferimento sono costituiti dai livelli A1-2, B1-2 e C1-2
definiti dal Consiglio d’Europa nel quadro del progetto per un Quadro europeo comune di
riferimento per l’insegnamento delle lingue. Comunque in una situazione di L2, in cui
l’italiano viene acquisito per scopi diversissimi e viene usato in situazioni disparate, il
problema della certificazione è ancora un problema aperto.
da P:E.Balboni, Dizionario di glottodidattica, Perugia, Guerra, 1999.
Torna al paragrafo 11.4.1
• Coppie minime
Le coppie minime sono costituite da parole che si differenziano per un solo fonema: ad
esempio, per l'opposizione tra /n/ e la corrispondente geminata /n:/ possiamo avere
pena-penna,
sano-sanno,
sono-sonno
ecc.
Si fanno ripetere prima pena, sano, sono, ecc.; poi penna, sanno, sonno, ecc.; poi le
opposizioni pena/penna, ecc.
• Drammatizzazione
Forma di simulazione che non concede agli attori alcuna libertà, trattandosi di recitare
(leggendo oppure a memoria) un testo predisposto dal manuale, dall'insegnante o dalla
classe stessa. In quest'ultima variante, un gruppo può essere invitata a predisporre il
testo drammatico partendo da testi di altro tipo, ad esempio da testi narrativi quali
favole o racconti della cultura d’origine: così facendo gli allievi apprendono a
suddividere un testo nelle varie situazioni e a caratterizzare dal punto di vista
sociolinguistico i vari personaggi in base ai loro ruoli sociali, culturali e psicologici.
Se viene registrata e poi analizzata insieme agli allievi, la drammatizzazione consente
di lavorare in profondità sulle competenze fonologica, paralinguistica e sull’intonazione.
• Ripetizione regressiva
L'allievo ascolta e ripete una frase che è stata spezzata nei suoi sintagmi, i quali
vengono proposti a partire dall'ultimo ricostruendo, stimolo dopo stimolo, l'intera frase
(esempio: "con me?", "al cinema con me?", "vieni al cinema con me?").
La ripetizione regressiva serve a fissare le curve intonative. Se si chiedesse la
ripetizione di una frase completa l'intonazione verrebbe difficilmente colta dall'allievo; se
invece si segmentasse la frase e si proponessero i sintagmi dal primo in poi, ad ogni
nuova aggiunta l'intonazione cambierebbe; ripetendo invece a ritroso, la curva
intonativa rimane costante.
Torna al paragrafo 11.4.2
• Esercizi strutturali
Rientrano in questa categoria anzitutto i pattern drills dell'approccio strutturalista, ma
anche altre forme di esercizi elaborate in ambito comunciativo.
I pattern drills constano di una batteria di stimoli seguiti da uno spazio vuoto in cui
l'allievo deve fornire la risposta, che viene poi confermata o corretta; bstano una decina
di item per fissare, di solito, una struttura minima, su cui si può tornare più girni di
seguito finchè non sia pienamente fissata.
Le versioni più comunicative degli esercizi strutturali evitano di concentrare l’attenzione
su elementi morfosintattici o su paradigmi lessicali e includono invece atti comunicativi,
spesso inseriti in microsituazioni: ad esempio, se si chiede agli studenti di mettersi in
fila dal più giovane al più vecchio, ciascuno dovrà dire più volte la propria data di
nascita e comprendere quella di tutti gli altri, fissando in tal modo i numeri, i mesi, le
date.
Gli esercizi strutturali, ripetitivi, spesso monotoni, privi di valenza comunicativa,
risultano fortemente demotivanti e vanno usati con parsimonia.
• Tecniche di manipolazione
Sono tutte quelle attività che si aprono con la consegna "Volgere al..." oppure
"Sostituire la forma ... con ...", e così via. Sono attività caratterizzate dal fatto di operare
al livello delle strutture di superficie e al di fuori di uno scopo comunicativo: la lingua
viene vista solo in quanto forma, indipendentemente dalla sua valenza pragmatica e
dalla componente socio-culturale.
Queste tecniche operano di solito sull'aspetto morfosintattico e sono molto precise
nell'individuare un aspetto grammaticale e nel focalizzare l'attenzione dell'allievo su
quello specifico punto.
Si tratta di attività ripetitive, spesso monotone, prive di valenza comunicativa, e risultano
fortemente demotivanti e vanno usati con parsimonia.
Torna al paragrafo 11.4.2
Il meccanismo di base è quello che mira a creare dei campi semantici completi, perché
l’immagazzinamento mnemonico del lessico avviene per sistemi e non per elementi isolati.
Sono esempi di campi semantici i colori, gli aggettivi di dimensione, le nozioni di tempo, e
così via. Il gioco a coppie è una vera e propria gara, in cui l’insegnante lancia la parola
iniziale e poi, uno per volta, gli studenti rilanciano aggiungendo una parola dello stesso
campo.
Ripetuto a distanza di qualche giorno, lo stesso gioco può far notare se c’è stata
sistematizzazione del campo lessicale trattato.
Torna al paragrafo 11.4.2
Secondo la teoria di Stephen Krashen, la prima delle condizioni perché ci sia acquisizione
linguistica è che l’input sia collocato al gradino che nell'ordine naturale di acquisizione
(che definiremo sotto) si trova immediatamente dopo l'input acquisito fino a quel momento.
Si tratta dell’applicazione krasheniana (quindi, come molte delle indicazioni di questo
glottodidatta americano, è costruita un po’ ad effetto, con una logica di semplificazione
quasi giornalistica) di una nozione psicologica che Vygotsky chiama area di sviluppo
potenziale e che in Bruner troviamo come zone of proximal development: è la distanza
tra la parte di un compito che una persona è già in grado di eseguire e il livello potenziale
cui può giungere nel tentativo di compiere la parte restante del compito, distanza che può
percorrere da solo, sotto la guida di una persona più esperta (un magister, qualcuno che è
magis, “di più”), dialogando con i pari, assistito dalle risorse
Krashen descrive questo principio secondo la formula “i+1”:
- i = la parte del compito linguistico o comunicativo che si è già in grado
di eseguire sulla base della competenza “acquisita”
- + 1 = l’area di sviluppo potenziale.
Krashen inserisce i vari scalini “i+1” lungo l’ordine naturale d'acquisizione, cioè la
successione degli elementi linguistici nella sequenza di acquisizione; le conseguenze
possibili sono due:
- se noi prendiamo un elemento a caso della sequenza, tutti gli elementi
che vengono prima di quel punto sono condizione necessaria per
poterlo acquisire
- se il punto i+1 compare nell'input reso comprensibile, il fatto di aver già
acquisito gli elementi precedenti è condizione sufficiente perché
l'acquisizione del nuovo avvenga, purché il filtro affettivo sia aperto
(vedi sotto).
Anche se Krashen non ne parla, questa ipotesi rimanda alla nozione di interlingua,
secondo cui la lingua viene appresa secondo un procedimento a spirale che procede per
approssimazioni successive alla lingua-obiettivo. All’inizio si attua un processo di
pidginizazione, di ipersemplificazione che permette una comunicazione rudimentale, poi
piano piano si procede a risistemare quanto si sa e a incremetarlo in quantità e qualità:
non si può dire che uno studente straniero sa o non sa l’italiano, si può solo dire che
l’interlingua di quello studente oggi è configurata in un certo modo, che è unico ed
originale nei suoi pregi e problemi.
Torna al paragrafo 11.4.3
Intendiamo due possibili figure: l’insegnante di classe che si occupa degli immigrati, ma
soprattutto l’insegnante incaricato del laboratorio di italiano L2.
La loro funzione non è tanto quella di “insegnare”, di proporre contenuti, schemi,
riflessioni, descrizioni, quanto piuttosto quella di guidare l’immigrato nel suo processo di
scoperta dell’italiano, della sua logica interna, delle sue regole, delle sue “follie”
morfologiche (quale studente potrà da solo scoprire che “da” indica moto da luogo, moto a
luogo, moto per luogo?).
Von Humbolt diceva che “non si possono insegnare le lingue, si possono creare le
condizioni perché qualcuno le apprenda”: l’insegnante di italiano L2 crea queste
condizioni, dà l’aiuto che serve nel momento che serve, osserva quello che gli studenti
sanno e lo sistematizza, assegna ulteriori compiti di osservazione da svolgere nelle ore
extra-scolastiche, registra nella scheda individuale i progressi del singolo studente e li
commenta con lui, funge da punto di riferimento per i colleghi di altre discipline.
Torna al paragrafo 11.6
Tutti i docenti dell’intero consiglio di classe sono docenti di italiano L2. Il fatto che ci sia un
insegnante di italiano L2 non esime tutti dall’insegnare le loro discipline facendo attenzione
a rendere comprensibile l’input che viene dato, nelle spiegazioni come nelle pagine dei
manuali; né permette ai docenti di altre discipline di sorvolare su errori frequenti, da
correggere in tempo reale ripetendo l’enunciato corretto ed eventualmente chiedendo alla
classe di spiegare il perché dell’errore del compagno straniero.
È fondamentale evitare un atteggiamento di delega al collega di italiano, da un lato, ed
evitare di procedere in maniera scoordinata dagli altri: se, ad esempio, il collega di italiano
L2 ha abituato gli studenti stranieri a riassumere evidenziando anzitutto le parole chiave e
poi gerarchizzando le varie informazioni, anche i colleghi di scienze o storia o geografia
dovrebbero far riassumere usando la stessa procedura, in modo da non creare un’ulteriore
confusione nella mente già confusa di un ragazzino che si trova a dover imparare
affrettatamente una lingua seconda.
Torna al paragrafo 11.6
Il mediatore linguistico e culturale (un madrelingua straniero che ha vissuto l’esperienza
dell’immigrazione) è una figura fondamentale nei primi momenti dell’integrazione di uno
studente immigrato, ma non deve divenire
- né un alibi per esimere gli insegnanti italiani dagli interventi sia estemporanei sia
sistematici
- né un iperprotettivo “possessore” del ragazzo straniero, restio ad affidarlo alla
cura del Consiglio di Classe quando la sua funzione di prima accoglienza e di primo
inserimento è esaurita.
Il mediatore in realtà ha una funzione culturale più che linguistica, quindi interagisce poco
con i docenti; ma può diventare interessante, se ha una funzione presso la comunità
d’origine (ad esempio aiuta a fare compiti, a studiare, ecc., i gruppi di ragazzini immigrati,
anche se appartenenti a più scuole e classi), se agisce in raccordo con gli insegnanti di
italiano L2, dei quali può diventare un collaboratore che raddoppia fuori della scuola le
scarse ore di italiano L2 che si possono fare in una scuola.
Inoltre il mediatore può coinvolgere le famiglie sia spiegando la logica dei “compiti a casa”,
qualunque cosa si intenda con questa espressione, sia nello spingere le madri (spesso
casalinghe) a frequentare il laboratorio linguistico della scuola dei figli se si decide di
lavorare anche sulle famiglie.
Il “facilitatore” è una figura diversa: è un italiano, talvolta laureato nella lingua di
provenienza degli studenti stranieri (ma la cosa, ancorché ottimale, non è indispensabile),
che gestisce un laboratorio di italiano L2 nella scuola (in tal caso i ragazzini possono
essere sottratti alla classe durante la mattina, oppure frequentare il laboratorio nel
pomeriggio) o che addirittura partecipa al lavoro in classe, affiancando il ragazzino
straniero.
Il facilitatore deve agire in modo raccordato con il docente responsabile dell’italiano
L2, rappresentandone un prolungamento operativo, restituendogli feedback sulle
performance, le lacune, i successi del ragazzo straniero. E’ necessaria dunque
un’interazione continua tra docente, che dà le linee guida, e facilitatore che le rispetta,
perché va rispettata la mente di un ragazzo in difficoltà. Per questa ragione, piuttosto che
un’ora completamente dedicata ad un ragazzo può essere preferibile lavorare 55 minuti
con lo studente e confrontarsi 5 minuti con il docente, epr avere indicazioni e ritornargli
informazioni.
Torna al paragrafo 11.6
Perché lasciare che un ragazzino straniero interrompa continuamente le lezioni per
chiedere ripetizioni e spiegazioni quando queste gli possono essere date, senza disturbare
nessuno, da suoi compagni appositamente “nominati” tutori per un giorno o per una
settimana?
In questo modo, la quantità di interruzioni diminuisce (e quindi anche la protesta delle
famiglie italiane che vedono nell’immigrato un rallentamento al lavoro della classe), ma
soprattutto i problemi vengono filtrati e giungono all’insegnante solo quelli che il compagno
italiano non è stato in grado di risolvere.
Un esempio può chiarire questo meccanismo:
a. un bambino straniero dice “lui vedi” e l’italiano gli corregge “lui vede”, magari
opponendo “tu vedi, lui vede”: il problema non disturba la classe e viene risolto
b. un bambino straniero dice “la gente vanno via”, l’italiano corregge il verbo; ma
all’osservazione dello straniero “una persona va, la gente sono tanti, e allora la
gente vanno”… o l’italiano ha elaborato il concetto di collettivo, o deve rivolgersi al
docente: ma allora questi risponde al problema degli italiani, non solo del bambino
straniero.
Responsabilizzare i compagni come tutor temporanei ha quindi una funzione di
selezione delle interruzioni, che vengono effettuate solo quando significative per italiani e
stranieri insieme; se si propone anche una sorta di tutorato extrascolastico, ad esempio
chiedendo a un tutor-compagno di invitare il ragazzino straniero a fare i compiti insieme un
pomeriggio, si ottiene di far conoscere all’immigrato una casa italiana, un modo di vivere
italiano – e di far filtrare nella case degli italiani un bambino straniero vero, con tanto di
nome cognome occhioni e sorriso, non più l’idea astratta e paurosa degli “immigrati”.
Torna al paragrafo 11.6
I compagni della stessa lingua d’origine rappresentano un problema, se la lingua d’origine
diventa un rifugio continuo di fronte ad ogni difficoltà; ma i compagni della stessa etnia
possono diventare una risorsa se li si coinvolge nel fare i compiti insieme, nel ragionare
insieme sull’italiano, in una logica di didattica collaborativa.
Molto più interessante è la presenza di compagni di altre lingue d’origine: l’italiano diventa
una lingua obbligata per l’interazione, la correzione reciproca diventa interessantissima:
ciascuno con un suo errore può evidenziare competenze parziale degli altri o, per
converso, può far emergere il fatto che uno di loro ha già elaborato una data “regola” di cui
l’insegnante altrimenti non si sarebbe accorto.
Abbiamo evidenziato, sopra, “didattica collaborativa”: è una dimensione obbligata visto
che si lavora con ragazzi che condividono lo stesso problema, l’acquisizione dell’italiano, e
che quindi possono condividere strategie e risultati.
Non ha senso l’osservazione “mettere insieme ragazzi di più origini e che sanno poco
l’italiano significa produrre uno scambio di modelli scorretti, di errori”: se è vero che si
possono scambiare anche errori (ma l’insegnante o il facilitatore linguistico sono lì per
correggere…), è anche vero che per la maggior parte della sua giornata il ragazzo
straniero può accedere a italiano parlato da madrelingua – compagni, docenti, televisione,
amici – e quindi non saranno gli errori nelle ore di laboratorio di italiano L2 a rovinare la
sua acquisizione. Quello che conta è il fatto che, oltre che errori e modelli scadenti, gli
studenti immigrati messi insieme si scambiano anche strategie d’acquisizione. E
questo risultato è tale da bloccare ogni obiezione…
Torna al paragrafo 11.6
Non è compito di questo modulo affrontare l’argomento sul piano socio-pedagogico, ma
solo in ordine alle procedure per facilitare e migliorare l’acquisizione dell’italiano L2.
In questo senso l’osservazione è duplice:
a. da un lato, parte dell’attività dello studente si svolge a casa: occorre chiarire
(direttamente o attraverso i mediatori culturali) alle famiglie cosa sono i “compiti”,
che ruolo di stimolo e controllo possono svolgere i genitori, i fratelli maggiori –
quanto meno, garantire che facciano i “compiti”, qualunque cosa si intenda sotto
l’ombrello di questo termine abusato
b. dall’altro, si possono affiancare le famiglie nel processo di acquisizione guidata.
Perché mai il laboratorio di italiano L2 non potrebbe funzionare per un’ora per le
madri che accompagnano i ragazzini, all’inizio dell’orario della scuola? Perché
l’ultima mezz’ora prima del ritiro dei bambini non può essere dedicata ad altre
madri? In questo modo il processo di acquisizione viene condiviso tra madri e figli,
con un evidente incremento della motivazione e della possibilità di riflessione
comparativa tra lingua d’origine e italiano.
Torna al paragrafo 11.6
AA.VV., Approccio alla lingua italiana per allievi stranieri, Torino, Teorema, 2000
1. G. FAVERO, In viaggio dentro al nuova lingua
2. E. BETTINELLO, L’organizzazione della scuola
3. G. BARZANO’, Accogliere gli alunni stranieri in una scuola “internazionale”
4. A. VILLARINI, L’apprendimento spontaneo dell’italiano
5. P.E. BALBONI, Approccio alla lingua italiana per allievi stranieri
6. M.C.LUISE, Metodologia glottodidattica per bambini
7. P.E.BALBONI, Problemi interculturali
8. F. DELLA PUPPA, L’allievo di origine araba
9. B. D’ANNUNZIO, L’allievo di origine cinese
10. E. DIZDARI e R. TRIOLO, L’allievo di origine albanese
11. S. TUCCIARONE, Gli adulti nelle scuole carcerarie
12. G.PALLOTTI, Favorire la comprensione dei testi scritti
13. AA.VV., Tipologia dei materiali didattici
14. P.E.BALBONI, La formazione dei docenti
15. M. SERRA, Il cinema e la formazione interculturale
Torna al paragrafo 11.8
BALBONI P.E., Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino, UTET Libreria,
1998
1. Le tecniche glottodidattiche
TECNICHE PER LO SVILUPPO DELLE ABILITA’ LINGUISTICHE
2. Una mappa delle abilità linguistiche
3. Le abilità ricettive
4. Le abilità produttive
5. Tecniche per le abilità di dialogo
6. Le abilità di lavoro sui testi
TECNICHE PER L’ACQUISIZIONE DELLE “REGOLE”
7. Le regole: dall’ipotesi all’impiego
8. La fissazione e il reimpiego delle regole
9. Tecniche per la riflessione sulla lingua
LE TECNICHE IN CLASSE
10. Le tecniche nel contesto dell’unità didattica
11. Repertorio ragionato delle tecniche glottodidattiche
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BALBONI P.E., Le sfide di Babele:insegnare le lingue nelle società complesse, Torino,
UTET Libreria, 2002
Lasciamo per esteso l’indice del capitolo di approfondimento per quanto esposto in questo
modulo.
1. Insegnare le lingue in una società complessa
2. Un approccio interdisciplinare
3. Gli “attori” del processo glottodidattico
4. I “contenuti” del processo glottodidattico
5. L’interazione tra i componenti del processo glottodidattico
6. I modelli operativi comuni a tutte le situazioni glottodidattiche
6.1 Il curricolo
6.1.1 L’analisi dei bisogni
6.1.2 I fini dell’insegnamento delle lingue
6.1.3 Indicazioni per la programmazione
6.1.4 Indicazioni per la realizzazione in classe
6.1.5 Indicazioni per la valutazione dei risultati e del curricolo stesso
6.2 Dai curricoli bidimensionali ai curricoli tridimensionali
6.3 I modelli della tradizione: dalla conversazione con il filosofo alla lezione con il
rètore
6.4 I modelli ereditati dal 20° secolo
6.4.1 L’unità di apprendimento
6.4.2 L’unità didattica
6.5 Il modulo
7. Gli strumenti comuni a tutte le situazioni
8 Due tipi di testo comuni a molti corsi di lingue: i testi letterari e quelli microlinguistici
9. Le lingue per il bambino: dai 3 ai 10 anni
10. Le lingue per gli adolescenti: dagli 11 ai 18 anni
11. Le lingue per l’adulto nelle università, nelle aziende e in altre istituzioni
12. L’uso veicolare della lingua straniera per insegnare altre discipline
13. L’italiano come lingua seconda per gli immigrati
14. Le lingue “seconde” nelle regioni bilingui
APPENDICI
A. Principali approcci e metodi del 20° secolo
B. Un repertorio delle principali tecniche didattiche
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CAON F. e S. RUTKA, Insegnare l’italiano giocando: principi e materiali per una didattica
ludica, Perugia, Guerra, 2003
CORNICE TEORICA
1 La glottodidattica ludica: presupposti teorici
1.1
L’ approccio umanistico- affettivo
1.2
Le teorie costruttiviste
1.3
Alcune indicazioni ministeriali
1.4
Motivazione e glottodidattica ludica
2 La glottodidattica ludica: natura, fondamenti e finalità
2.1
Cos’è la glottodidattica ludica
2.2
I giochi per apprendere la lingua
2.3
Il gioco tra cooperazione e competizione
2.4
Classificazione e tipologie di giochi
2.5
Glottodidattica ludica per bambini
2.6
Glottodidattica per preadolescenti ed adolescenti
3 la glottodidattica ludica a scuola: l’organizzazione del contesto ludico
3.1 L2 e Ls: differenze e affinità tra i due contesti di insegnamento
3.2 La Glottodidattica ludica per la LS e per la L2
3.3 Lo studente non italofono come risorsa per la classe
3.4 L’organizzazione e gestione della classe
3.5
Ruolo dell’insegnante
3.6
Centralità del rapporto docente discente
3.7
dalla parte degli insegnanti
3.8
la glottodidattica ludica nella scuola elementare: un’esemplificazione
3.9
la glottodidattica ludica nella scuola media inferiore: un’esemplificazione
3.10 la glottodidattica ludica nella scuola superiore: un’esemplificazione
3.11 glottodidattica ludica e valutazione
ATTIVITA’ PER LA CLASSE
Tecniche per l’applicazione di una glottodidattica ludica
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CAON F. e B. D’ANNUNZIO, Il Laboratorio di italiano L2: progettazione, attività, gestione,
Perugia, Guerra, 2003
COORDINATE TEORICHE
1. Natura del Lab oratorio di Italiano L2
1.1
Che cos’è il laboratorio di italiano L2
1.2
L’organizzazione esterna del laboratorio
1.2.1
Rapporto con gli enti finanziatori
1.2.2
Rapporto con la scuola
1.2.3
Il laboratorio nel protocollo d’accoglienza
1.2.4
Rapporto con la commissione intecultura
1.2.5
La comunicazione con la famiglia
1.2.6
Il laboratorio scolastico
1.2.7
Il laboratorio extrascolastico
1.3 l’organizzazione interna del laboratorio
1.3.1 Come si lavora in laboratorio: l’unità d’apprendimento
1.3.2 L’organizzazione spaziale del laboratorio
1.3.3 L’apprendente al centro del laboratorio
1.3.4 Le tipologie del laboratorio
1.3.5 Punti critici della classe plurilingue e plurilivello
1.3.6 Le risorse del laboratorio (umane, materiali)
1.3.7 Integrare il laboratorio nella programmazione della scuola
1.3.8 La valutazione
2 Strumenti specifici
2.1 Scheda per la rilevazione dei dati
2.2 Biblio-sitografia ragionata
MATERIALI PER IL LABORATORIO
esempi di unità di apprendimento per elementari, medie e superiori
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Celentin P. e R. Dolci (a cura di) La formazione di base del docente di italiano, Roma,
Bonacci, 2003
Parte I – Coordinate teoriche
Cap. 1
BALBONI P. E. Per una didattica umanistico-affettiva dell’italiano
Cap. 2
DOLCI R. La figura e la formazione dell’insegnante di italiano LS
Parte II – Approccio all’insegnamento dell’italiano a stranieri
Cap. 3
SANTIPOLO M. Sociolinguistica applicata e didattica dell’italiano come LS
Cap. 4
BRUGE’ L. La grammatica e il suo insegnamento
Cap. 5
CANEPARI L. e PANDOLFI M. E. La fonetica dell’italiano e il suo
insegnamento
Cap. 6
PAVAN E. La cultura e la civiltà italiane e il loro insegnamento in una
prospettiva interculturale
Cap. 7
CARDONA M. Il Lexical Approach e i processi della memoria: alcune
convergenze
Parte III – Metodi e tecniche
Cap. 8
Cap. 9
Cap. 10
Cap. 11
Cap. 12
Cap. 13
Cap. 14
Cap. 15
Cap. 16
Cap. 17
LUISE M. C. Insegnare italiano all’estero: cenni per una glottodidattica a
misura di bambino
ZAMBORLIN C. Italiano come LS per adulti: coordinate didattiche di
riferimento
SPINELLI B. L’utilizzo dei materiali autentici nell’insegnamento dell’italiano
come LS
ANGELINO M. Lo sviluppo delle abilità produttive
BALLARIN E. Lo sviluppo delle abilità ricettive
MINELLO R. La valutazione degli apprendimenti linguistici
DE LUCHI M. La Ricerca – Azione
PELIZZA G. La letteratura nella classe di lingua
BEGOTTI P La didattica delle microlingue
SERRAGIOTTO G. L’italiano come lingua veicolare: insegnare una
disciplina attraverso l’italiano
Parte IV – Strumenti e supporti per l’insegnamento
Cap. 18
BIRAL M. Indicazioni per l'analisi di manuali per l'insegnamento dell'italiano
LS
Cap. 19
TORRESAN P. L’utilizzo del video nella didattica dell’italiano LS
Cap. 20
CELENTIN P. Software nella didattica dell’italiano LS
Cap. 21
MEZZADRI M. Internet per la didattica dell’italiano LS
Parte V – La formazione continua
Cap. 22
DOLCI R. e CELENTIN P. L’importanza della formazione permanente
Cap. 23
RAPACCIUOLO M.A. L’offerta formativa per i docenti di italiano LS
Cap. 24
SALVALAGGIO M. L’offerta editoriale per i docenti di italiano LS
PARTE VI - Le istituzioni e i casi
Cap. 25
VASSILLI S. Le istituzioni e le leggi. La figura dell’insegnante di italiano
all’estero
Cap. 26
CIULLI C. e CIURLI S. Italiano LS all’Università: la Koç University di
Istanbul
Cap. 27
MARZORATI A.M. Corsi di lingua e cultura. ABC ovvero istruzioni per l’uso
(livello medio, Svizzera)
Cap. 28
SANTAGATI S. La scuola statale italiana di Barcellona
Cap. 29
WINKLER N. L’insegnamento dell’italiano LS nelle scuole tedesche
Cap. 30
PANDOLFI M.E. Italiano LS all’instituto superior del Profesorado “Joaquín
V. González” di Buenos Aires
31
DA ROLD M. L’insegnamento dell’italiano LS all’Istituto Italiano di Cultura
di Madrid: insieme per migliorare
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FAVARO G., Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, Firenze, La Nuova Italia, 2002
1. I bambini dell’immigrazione a scuola
2. Il contesto di apprendimento. Le modalità organizzative della sucola
3. Modelli di apprendimento e riferimenti teorici
4. Come si impara l’italiano L2
5. L’italiano “su misura”
6. Le parole per dire.
7. Le parole per studiare
8. La valutazione formativa
9. Gli alunni cinesi, arabofoni, albanesi e ispanofoni
10. Abitare la lingua
11. Glossario
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La programmazione delle attività