MODULO 11 La programmazione delle attività Paolo E. Balboni Università Ca’ Foscari, Venezia Indice 11.0 Guida al modulo 11.1 I “modelli operativi” in glottodidattica 11.2 Corpus, sillabo, programma, curricolo 11.2.1 Curricolo programmato e curricolo che nasce dalla realtà 11.2.2 Curricolo esplicito ed implicito 11.2.3 Scheda di rilevazione del curricolo individuale (attività seminariale) 11.2.4 Come creare una scheda (attività seminariale) 11.3 Unità d’apprendimento, Unità didattica, modulo (attività seminariale) 11.3.1 La scelta del modello (dibattito) 11.3.2 L’unità di apprendimento 11.3.3 La possibilità modulare (dibattito) 11.4 Valutazione, Rinforzo, Recupero 11.4.1 Osservare la performance: tecniche e procedure 11.4.2 Rinforzo: natura e tecniche 11.4.3 Recupero: natura e tecniche 11.5 Programmare il ruolo delle tecnologie didattiche 11.6 Ruolo di docenti e compagni nelle procedure didattiche 11.7 La creazione e gestione di un Laboratorio Italiano L2 (dibattito) 11.7.1 Scopo e progetto di attuazione 11.7.2 Luogo fisico, arredi ed attrezzature 11.7.3 Raccolta di materiali didattici ed “autentici” 11.7.4 Raccolta di materiale di guida per il docente 11.7.5 Persone che elaborano il progetto e gestiscono il laboratorio 11.7.6 Un luogo per la didattica ludica 11.8 Guida bibliografica GUIDA Questo modulo è strettamente correlato al modulo 12 con il quale costituisce una coppia omogenea: in questo primo modulo si delinea la cornice organizzativa dell’insegnamento dell’italiano L2, la programmazione, la definizione dei modelli operativi; nel secondo si entra nel dettaglio delle procedure didattiche, delle tecniche di classe, delle attività, degli esercizi che si possono utilizzare per sviluppare le abilità ed approfondire la conoscenza dei meccanismi grammaticali che regolano il funzionamento della lingua italiana. Questo primo modulo è diviso in 5 grandi blocchi: - Corpus, sillabo, curricolo (11.2) fa il punto su un concetto delicatissimo, quello di curricolo, che nell’insegnamento dell’italiano L2 è del tutto diverso a quello cui siamo abituati sia per l’italiano L1 sia per le lingue straniere - Unità d’apprendimento, Unità didattica, Modulo (11.3) introduce un modello, l’unità di apprendimento, che risulta nuovo per la tradizione italiana, ma che è l’unico che organizzativamente consente di essere efficaci nei in Laboratori di Italiano L2 - Valutazione, Rinforzo, Recupero (11.5) affronta un tema, quello della verifica, in un’ottica particolare: come guida agli interventi di rinforzo e recupero - Ruolo di docenti e compagni nelle procedure didattiche (11.6) studia non tanto le figure coinvolte nel processo, ma i loro ruoli, le loro funzioni viste in prospettiva didattica - La creazione e gestione di un Laboratorio Italiano L2 (11.7) offre alcune linee indicative su questo tema 11.1 I “modelli operativi” in glottodidattica Con l’espressione “modelli operativi” si intendono gli strumenti per tradurre in organizzazione ed azione quello che la glottodidattica elabora sul piano teorico. La glottodidattica si rifà a quattro grandi aree: quella linguistica e quella culturale, nell’accezione più vasta, che riguardano l’oggetto da insegnare (il cosa); quella psicologica che spiega come funziona la mente che apprende (il chi); quella pedagogicometodologica (il perché educativo ed il come didattico). Un modello operativo deve saper armonizzare le indicazioni che provengono dalle aree teoriche e va quindi valutato non in sé (non esistono modelli buoni o cattivi, nuovi o vecchi) ma per il modo in cui risponde alle premesse suddette. Per questa ragione, ad esempio, il modello dell’unità didattica - modello che va benissimo in italiano L1 o in lingua straniera – può essere proficuamente abbandonato a favore dell’unità di apprendimento (11.3.2) che risulta più adatta al contesto in cui si insegna italiano L2. Lo stesso processo di adattamento vale per un modello come il curricolo (11.2) che, per essere davvero “operativo” con studenti stranieri, va concepito in maniera differente da come avviene per studenti italiani. 11.2 Corpus, sillabo, programma, curricolo Spesso usiamo queste parole in maniera imprecisa. Cliccando sulle varie voci può averne una definizione più precisa: a. Corpus o sillabo b. Programma c. Curricolo E’ naturale che il modello più utile con ragazzi stranieri è il curricolo. Una dei processi fondamentali che stanno alla base di un curricolo è l’analisi dei bisogni. Spesso si ritiene che analizzare i bisogni sia una procedura concettualmente semplice, per quanto lunga da realizzare; al contrario, si tratta di un’azione estremamente “politica”: “fissare degli obiettivi senza riferirsi alle mete generali (11.2.1) equivale a imporre al discente i bisogni della società e dei sistemi produttivi; equivale pasolinianamente ad ‘omologarlo’ facendone un moderno Calibano al servizio di un Prospero dell’era tecnologica”, scriveva Freddi nei primi anni Novanta. A grandi linee, possiamo dire che i bisogni rientrano in due categorie, indicate da Cummins con due acronimi diventati di uso comune in tutto il mondo: - BICS, Basic Interpersonal Communication Skills: la lingua quotidiana, quella del cortile, dei giochi, ecc. L’insegnante può sostenere l’allievo straniero non tanto proponendogli un percorso strutturato, ma aiutandolo a sistematizzare quanto apprende in cortile, dalla TV, ecc., e fornendogli alcuni elementi che non può scoprire da solo (cfr 11.2.1). - CALP, Cognitive and Academic Language Proficiency: la lingua sia dello sviluppo cognitivo sia dell’interazione scolastica legata alle diverse discipline. In questo caso l’insegnante va concepito come “gruppo di insegnanti” più che come persona singola. Queste due dimensioni (che si sono incontrate già nel corso di primo livello in 6.2.2) richiedono l’uso di procedure didattiche di natura diversa, che sono trattate nel Modulo 12. 11.2.1 Curricolo programmato e curricolo che nasce dalla realtà La procedura cui siamo abituati nella nostra programmazione è quella di un curricolo che viene definito a priori e che poi va in qualche modo realizzato. Di solito un curricolo di lingua ha delle a. mete educative generali che riguardano lo sviluppo complessivo della personalità (“autopromozione”) e la sua capacità di integrarsi in una cultura (quella nativa, quella d’accoglienza, quella straniera, a seconda del contesto in cui si lavora); per approfondire le tre mete, autopromozione, culturizzazione e socializzazione, b. mete glottodidattiche, che riguardano lo sviluppo della competenza comunicativa, cioè quelle delle abilità, della competenza linguistica, di quella non verbale ecc.: (vedi modulo 8) c. obiettivi glottodidattici specifici, che si concretizzano di volta in volta, unità per unità, e danno poi corpo alle mete glottodidattiche. In realtà, con i bambini e i ragazzi immigrati la logica tradizionale di curricolo non funziona: sono ragazzi di diversa provenienza linguistica e culturale, con diversi vissuti in Italia, con livelli differenziati di padronanza dell’italiano, con motivazioni che vanno dalla semplice integrazione temporanea in vista di un rientro al paese d’origine al desiderio di totale assimilazione che faccia dimenticare la loro diversità, e hanno bisogno che le mete glottodidattiche siano articolate e graduate in maniera diversa per coloro che mirano allo sviluppo delle BICS e per quelli con cui si lavora già alla CALP (11.2) … E’ quindi necessario avere un curricolo di riferimento, nonché un sillabo delle funzioni, degli atti comunicativi, degli elementi morfosintattici, ecc., ma questo curricolo deve rimanere implicito, deve essere molto elastico, deve essere un supporto più che una guida (11.2.2). 11.2.2 Curricolo esplicito ed implicito Non si può insegnare senza avere un curricolo (11.2.1) di riferimento, ma mentre nella didattica “normale” il curricolo è esplicito, va presentato e, in parte, anche discusso con gli studenti, in questa didattica “eccezionale” (è tale perché mai un caso è uguale all’altro, ogni situazione è una “eccezione”) non è possibile avere un curricolo esplicito, una guida precisa, non ci si può illudere di realizzare tutto in maniera programmata. In realtà un curricolo di riferimento serve, ma va tenuto implicito: si tratta di cercare di individuare, allievo per allievo, quali elementi vengono via via acquisiti: acquisizione che non avviene (sol)tanto nelle ore di scuola, sulla base di una programmazione, ma soprattutto nella vita quotidiana, in cortile, davanti alla televisione: sotto la pressione dell’ambiente il ragazzo straniero percorre, per quanto disordinatamente, le varie parti del curricolo di italiano L2 – e l’insegnante deve “giocare di rimessa”, sistematizzando, allargando, correggendo le acquisizioni parziali dello studente mano a mano che queste emergono. In altre parole, mentre l’insegnante di italiano L1 lavora su studenti che hanno una competenza già presente, sebbene da rifinire, e mentre l’insegnante di LS lavora su una competenza in fieri che lui conosce e gestisce personalmente, in quanto gestisce l’input e le attività di classe, il “povero” insegnante di italiano L2 non sa che competenza abbia ogni singolo studente (anche se può essere certo che la competenza di ciascuno è diversa da quella degli altri) e non gestisce né l’input né le abilità: l’insegnante di italiano L2 diventa un investigatore che cerca di individuare quello che ogni alunno sa e di sistematizzarlo, di indurre una riflessione che faccia crescere la capacità autonoma di continuare a imparare italiano. Questa operazione può essere svolta attraverso una scheda curricolare (11.2.3). 11.2.3 Scheda di rilevazione del curricolo individuale Al momento in cui un ragazzo immigrato entra nella scuola può essere utile una scheda di rilevazione di quanto già sa lo studente (ad esempio http://helios.unive.it/~aliasve/materialididattica/scheda.htm ): si avrà in tal modo una prima, per quanto imprecisa, fotografia di quanta parte del curricolo di italiano lo studente ha acquisito – per strada, in TV, da compagni, ecc. Ma la diagnosi in entrata non basta; per seguire lo studente, sia in classe, sia in un laboratorio di Italiano (11.7), allora può essere utile avere, per ogni studente straniero, una scheda curricolare personale. Come usare una scheda curricolare individuale? Tecnicamente questo strumento operativo funziona in maniera molto semplice: se ne fa una copia per ogni studente e, da soli o con colleghi, si spuntano giorno per giorno gli elementi che risultano acquisiti o si evidenziano quelli su cui c’è da lavorare. La scheda vuota può essere consegnata anche al ragazzo straniero per poi compilarla insieme, in modo che possa vedere e valutare lui stesso il suo progresso e i suoi problemi, venendo a costituire una sorta di language portfolio personale, nonché la storia di una crescita linguistica. Non diamo qui un modello completo di scheda, per due ragioni: - anzitutto, perché crediamo che impegnarsi nella definizione di cosa vuol dire “sapere l’italiano”, sebbene con la guida che segue, è un importantissimo strumento di crescita professionale come docente di italiano L2; - in secondo luogo perché ogni ragazzo ha bisogno di uno strumento ad hoc in vista della sua origine, del suo vissuto, del suo percorso. Possiamo comunque dire che una scheda di questo tipo ha due sezioni di base: a. nella prima si indica che cosa Karim, Hu o Vladi sanno fare con la lingua italiana, cioè quali atti comunicativi (11.3) (ad esempio: saper salutare, saper chiedere, ecc.) è in grado di realizzare. b. nella seconda parte della scheda si registra, giorno dopo giorno, che cosa Karim, Hu o Vladi sanno della lingua italiana, cioè quali meccanismi, strutture, “regole” ha acquisito e quindi quali sono quelle su cui bisogna focalizzare l’attenzione nelle ore di laboratorio di Italiano L2 (11.7) o nelle attività di classe. Come organizzare una scheda di questo tipo? Ci rifletta, poi confronti le sue idee con i colleghi che partecipano al forum. Dopo vada al punto 11.2.4 dove trova la nostra proposta – che comunque non è l’unica, è solo una delle schede possibili! 11.2.4 Come creare una scheda Come abbiamo detto in 11.2.3, una scheda dovrebbe avere almeno due sezioni: c. nella prima si indica che cosa Karim, Hu o Vladi sanno fare con la lingua italiana, cioè quali atti comunicativi (11.3) (ad esempio: saper salutare, saper chiedere, ecc.) è in grado di realizzare. d. nella seconda parte della scheda si registra, giorno dopo giorno, che cosa Karim, Hu o Vladi sanno della lingua italiana, cioè quali meccanismi, strutture, “regole” hanno acquisito e quindi quali sono quelle su cui bisogna focalizzare l’attenzione nelle ore di laboratorio di Italiano L2 (11.7) o nelle attività di classe. Vediamo la prima sezione. Si tratta quindi di elencare un repertorio dei principali atti comunicativi per comunicare con italiani si può partire da una mappa delle funzioni del linguaggio, al cui interno si individuano facilmente i “saper fare”; per ciascun atto comunicativo si possono dare due caselle, una per il registro informale ed una per il formale, che verranno segnate mano a mano che si rileva la padronanza. Sulla base di un secolo di riflessioni pragmatiche, da Cassirer e Buhler a Jakobson e Halliday, possiamo sintetizzare sei funzioni della lingua, cioè sei macroscopi per cui usiamo la lingua (può approfondire in 0.3.6); all’interno di ciascuna funzione è facile identificare gli atti comunicativi. Cliccando sulle singole funzioni, si può avere un’idea di quali atti comunicativi, e quindi quali forme linguistiche, prevalgono in ogni funzione. Per ogni funzione può provare a completare lo schema che forniamo, e poi confrontare la sua proposta con quella dei suoi colleghi. Alla fine del lavoro seminariale potrebbe avere un modello di scheda affidabile, da stampare ed utilizzare immediatamente. Funzione personale Funzione interpersonale Funzione regolativa, strumentale Funzione referenziale Funzione metalinguistica Funzione poetico-immaginativa La seconda parte della scheda si registra le “regole” acquisite e quelle su cui bisogna ancora focalizzare l’attenzione. Per questo corpus grammaticale ci si può basare sull’indice di qualunque grammatica o manuale di italiano per stranieri, dove c’è già una certa selezione e graduazione, oppure si può partire da una grammatica di italiano per italiani, dove vige una logica descrittiva quindi priva di graduazione e selezione. Nel forum può scambiare con i colleghi indicazioni su libri di testo cui ispirarsi, e in un incontro in presenza potete scambiarvi fotocopie e materiali, per giungere ad una modello comune (ammesso che avere un modello comune sia necessario…). 11.3 Unità d’apprendimento, Unità didattica, Modulo I modelli operativi sono di due tipi: da un lato abbiamo la programmazione delle mete, degli obiettivi, dei contenuti, cioè il curricolo (11.2.1), dall’altro abbiamo bisogno di modelli per operare quotidianamente, per programmare la nostra attività concretamente, in aula o in un laboratorio di italiano L2. La tradizione ci ha dato due modelli didattici, consacrati nei secoli, la conversazione (spesso detta anche maieutica) e la lezione ex cathedra. Provi a definire questi due modelli, vedendo quali ruolo vi svolgono docenti, allievi, testi. Poi confronti la sua definizione con i colleghi. Può vedere la nostra proposta. Nella tradizione glottodidattica è dagli anni Sessanta che si parla di “unità didattica”, aggettivo che mette il fuoco semantico sul processo di insegnamento (è appunto una “unità di insegnamento”). In realtà un’unità didattica, così come la conosciamo (e che non approfondiamo, perché fa parte del patrimonio professionale comune degli insegnanti), è composta da una serie di unità “matetiche”, cioè di unità, di momenti autonomi, di fasi di apprendimento (11.3.2). Oggi solo alcuni di questi modelli operativi sono utilizzati: la conversazione, come si è detto, riguarda l’istruzione avanzata o quella artistica e musicale, dove il rapporto maestroallievo è strettissimo e i numeri sono piccoli; la lezione è usata sistematicamente in molte discipline, mentre nell’educazione linguistica vi si ricorre raramente; il modello operativo più diffuso è l’unità didattica, che si estende organicamente su più ore di lezione e si basa su una programmazione curricolare ben precisa, poco flessibile (11.2.2); l’unità didattica consta di una serie di unità d’apprendimento (11.3.2). Le riflessioni sulla scelta di un modello anziché di un altro si possono vedere nel paragrafo 11.3.1. 11.3.1 La scelta del modello Dalla tradizione antica e recente della didattica abbiamo ereditato vari modelli didattici (descritti in 11.3): quali sono i modelli più adatti ai bisogni di uno studente immigrato? La conversazione maieutica, pur bandita dalla nostra realtà scolastica di massa in quanto richiede l’interazione con pochissimi allievi, diventa interessante in una prospettiva di Laboratorio di Italiano (11.7), dove il numero degli studenti è limitato e non si deve seguire un curricolo prescrittivo ma solo una traccia implicita (11.2.2). Brevi conversazioni di questo tipo, che cercano di estrarre dall’allievo quello che già sa e su quella base di fargli percorrere un ulteriore passo nelle “zona di sviluppo potenziale”, possono essere gestite dai docenti di educazione motoria, artistica, tecnica, aree in cui la classe lavora in maniera abbastanza autonoma ed è possibile per l’insegnante sedersi un po’ accanto al ragazzo immigrato. Se poi si decide di utilizzare una scheda individuale per l’osservazione delle competenze che mano a mano maturano (11.2.3), allora la conversazione apparentemente destrutturata tra docente e allievo assume una praticità altissima. La lezione non ha senso, proprio perché annulla il ruolo dello studente straniero, che invece è impegnato più di ogni altro suo collega italiano nella costruzione individualizzata di una competenza complessa come quella in una lingua seconda. L’ unità didattica è per sua natura lunga, dura varie ore, si articola in varie fasi, si fonda su una programmazione molto precisa e sostanzialmente anche molto rigida: ma proprio per questa sua dimensione e rigidità non è adatta al lavoro “di rimessa” dell’insegnante di italiano L2, che lavora su un curricolo implicito (11.2.2) e deve sempre “rincorrere” i percorsi acquisitivi del singolo studente. Rimane a disposizione quindi, oltre alla conversazione maieutica vista sopra, il modello dell’Unità d’apprendimento (11.3.2). Dibattito: è d’accordo con questa nostra proposta? Si confronti con i suoi colleghi nel forum, ed eventualmente anche nelle sezioni in presenza. 11.3.2 L’unità di apprendimento Questa nozione, nuova nel panorama glottodidattico, è in realtà il nucleo centrale della classica “unità didattica” e nasce sulle basi della psicologia della Gestalt che descrive la percezione in termini di globalità, analisi e sintesi. La fase della “globalità” (che non vuol dire “intuizione”, “approssimazione”) consiste nel primo approccio ad una conversazione autentica tra compagni, ad una favola, dal racconto di un’esperienza vissuta fuori della scuola, ad uno spezzone televisivo, ad una canzone, ad una conversazione con il docente, ad una pagina di un libro di testo e così via: si tratta di quel testo orale, scritto o audiovisivo su cui poi si interviene in maniera analitica. Il passaggio dalla percezione globale a quella analitica avviene durante i vari passaggi dalla comprensione superficiale a quella profonda e deve essere guidata da opportune attività (che vengono descritte nel modulo 12); partendo dal testo si muove all’analisi vera e propria, alla focalizzazione su aspetti specifici, e poi alla fase di sintesi/riflessione per - gli atti comunicativi che si vogliono far acquisire: li si fa individuare nel testo, poi li si drammatizza, li si fissa e li si riutilizza, guidando gli allievi nella riflessione sull'aspetto funzionale che hanno acquisito. - gli aspetti grammaticali, cioè fonologici, morfosintattici, lessicali, testuali - i temi culturali impliciti o espliciti nel testo, soprattutto laddove divergono da quelli della cultura di provenienza e quindi vanno fatti osservare e comprendere - i linguaggi non verbali, soprattutto se il testo di partenza è un video. Questa “molecola dell’apprendimento” costituita dalla serie globalità-analisi-sintesi è il nucleo dell’attività di acquisizione della lingua: ogni testo – ogni dialogo, canzone, video, favola, vignetta, poesia, lettera, barzelletta, scena di film, ecc. – che viene presentato (d)allo studente va esplorato attraverso le tre fasi della percezione gestaltica: prima in maniera globale, poi in maniera analitica, infine realizzando il più autonomamente possibile una sintesi e una riflessione che permetta all’apprendimento temporaneo di evolvere in acquisizione permanente, portando le nuove informazioni ad “accomodarsi”, come dice Piaget, nella mente insieme al patrimonio pre-esistente. 11.3.3 La possibilità modulare Nell’ultimo decennio si è venuto diffondendo il concetto di “modulo”. Definire un “modulo” nella formazione scientifico-professionale o in un corso di storia è facile; più arduo è definirlo in discipline non segmentabili, basate sulla progressione per cui nuovi elementi si “accomodano” (per dirla con Piaget) accanto ai precedenti modificando continuamente la competenza, tornando a spirale più volte su quanto già acquisito, in un percorso di continuo approfondimento, come nel caso della matematica e delle lingue. Un modulo è una sezione, una porzione, un sottoinsieme del corpus dei contenuti di un curricolo (11.2) e deve essere a. autosufficiente, concluso in se stesso - per quanto possibile in un sistema come quello linguistico où tout se tient: alla fine del modulo lo studente deve essere in grado di operare autonomamente nel contesto affrontato dal modulo stesso; b. basato su ambiti comunicativi complessi, non su semplici “situazioni”: i moduli presentano ambiti comunicativi che richiedono scambi linguistici di varia natura, come ad esempio “la prima sopravvivenza”, “il tempo libero”, “vivere la città”, e così via; c. deve essere valutabile nel suo complesso in modo da poter essere accreditato nel libretto scolastico dello studente; d. pur nella sua autonomia, un “modulo” deve essere raccordabile con altri moduli. Ora, risulta evidente che, malgrado i tentativi di modularizzazione della scuola, nell’insegnamento dell’italiano L2 essa ha ragion d’essere solo se c’è un portfolio personale, che accompagna lo studente di classe in classe mano a mano che acquisisce la piena padronanza dell’italiano. DIBATTITO Si confronti con i colleghi su - la definizione di modulo che abbiamo proposto - le quattro caratteristiche indicate con delle lettere, sopra. 11.4 Valutazione, Rinforzo, Recupero In altri moduli si è discussa la natura dell’errore (Modulo 6) e il modo di correggerlo; si rimanda dunque a quella nozione di errore, visto come spia di un’interlingua in costruzione e non come colpa da punire o cancro da estirpare. Mentre nelle unità didattiche delle altre discipline è prevista una fase conclusiva di testing, che assume periodicamente carattere di verifica più estesa nel “compito in classe”, nell’insegnamento dell’Italiano L2 ciò non è possibile se l’insegnamento procede per conversazioni (11.3.1) e unità d’apprendimento (11.3.2), che hanno una strutturazione minima e che sono assai brevi. Piuttosto che di testing formale, nell’insegnamento dell’italiano L2 si procede procede secondo una logica di osservazione attenta (11.4.1) e longitudinale, di registrazione frequente dei risultati positivi e dei problemi; in questa prospettiva diventa fondamentale la collaborazione tra docenti: a. se da un lato tutti possono correggere immediatamente le forme errate ripetendole correttamente (ruolo che può essere svolto anche dai compagni (11.6.4)), b. dall’altro tutti i docenti delle varie aree disciplinari dovrebbero segnalare al responsabile dell’Italiano L2 i problemi cronici che identificano un dato studente, problemi che non sono risolvibili con una rapida correzione estemporanea e che quindi hanno bisogno di un intervento ad hoc. Nel paragrafo che segue (11.4.1), cercheremo di riflettere su come si possa osservare la performance degli studenti per cercare in qualche modo di risalire alla competenza; in seguito cercheremo di vedere come procedere al a. rinforzo, cioè la focalizzazione su un punto debole, in modo da sanare un problema specifico, ben individuato (11.4.2), b. recupero, che si attua quando non si hanno solo lacune ben identificate, ma un rallentamento o una diffocoltà complessivi (11.4.3). 11.4.1 Osservare le performance: tecniche e procedure (Premessa: speso si usano in maniera superficiale termini come “test”, “verifica, “valutazione”, e adesso anche su “certificazione” le idee non sono sempre chiare. Purché le operazioni di classe siano condotte in maniera corretta il problema della terminologia non è rilevante – chi vuole può verificare la propria precisione nell’uso di questi termini, quindi nella definizione di questi concetti docimologici). In più occasioni si è ripetuto che una delle caratteristiche primarie dell’insegnamento dell’italiano L2 riguarda l’atteggiamento del docente, che ascolta più che parlare, che osserva più che guidare, che “gioca di rimessa” anziché guidare lui il gioco seguendo una rigida programmazione (11.2.2 e 11.2.3). Anche la valutazione del percorso che lo studente sta facendo va condotta in maniera indiretta, senza necessariamente investire una parte del pochissimo tempo individualizzato a disposizione per raccogliere dati, cioè per la “verifica”. Quindi la “verifica” scompare come pratica dall’Italiano L2, per lasciare il posto ad un’osservazione attenta: non servono compiti in classe ad hoc, prove strutturate, ecc.: basta osservare quello che lo studente straniero ha scritto durante la sua normale attività scolastica; per verificare la padronanza dell’orale con un minimo di oggettività si possono registrare spezzoni di parlato (racconti della giornata precedente, relazioni, “interrogazioni” sulle varie materie) e poi analizzarli insieme all’allievo. Scomparendo la verifica scompare anche la correzione condotta in solitudine dal docente, per essere sostituita da un’analisi critica compiuta insieme da studente e insegnante, che può proficuamente applicare la logica maieutica (11.3.1) per elicitare, per estrarre dall’interlingua dello studente stesso le conoscenze che gli permettano di capire i suoi errori. Una “valutazione” in senso tradizionale della situazione in Italiano L2 è praticamente impossibile: ogni studente sa molte cose che esulano da quanto l’insegnante può verificare o anche solo immaginare, perché il suo vissuto e la sua esperienza extrascolastica di italiano si evolvono di giorno in giorno (e non è un’espressione fatta: davvero “di giorno in giorno”), non seguono una programmazione. L’insegnante può osservare, ed eventualmente registrare le sue osservazioni in una scheda personale dell’allievo o in una scheda curricolare (11.2.3), può cercare di individuare il trend, la costanza nell’allargamento e nel miglioramento dell’interlingua, la scomparsa o la permanenza di lacune specifiche, il superamento delle interferenze dovute alla precisione della lingua d’origine. Comunque, qualunque sia il metodo usato per “valutare” il livello di competenza di un ragazzo straniero, si tratta di un atto da compiere insieme ai colleghi, che integrano, confermano, smentiscono, correggono la “fotografia” proposta dall’insegnante cui è affidata la valutazione. A nostro avviso, più che investire tempo nel tentativo di giungere ad una valutazione maniacalmente precisa del livello di italiano parlato da Ahmed oggi 20 aprile, livello che sarà smentito stasera stessa dopo che Ahmed avrà fatto una partita a calcio con ragazzini italiani, è importante sapere cosa fare dopo che è stata rilevata una lacuna specifica (11.4.2) oppure si è constata un rallentamento, una difficoltà diffusa (11.4.3). 11.4.2 Rinforzo: natura e tecniche Ci sono degli errori sistematici, chiaramente identificabili, sia dovuti all’origine (la pronuncia di /r/ ed /l/ da parte di orientali, vuoi /p/ e /b/ da parte di cinesi ed arabi ecc.), sia specifici di un singolo studente (c’è chi propone coniugazioni del tipo “io vai, tu vai, lui vai”, c’è chi sbaglia l’ordine delle parole, l’aspetto dei verbi e così via). Con questo tipo di devianza è chiara e ben identificata, si procede ad un rinforzo specifico, che è mirato sul “prodotto”, su quella data forma dell’italiano (mentre se si deve lavorare sul “processo” acquisitivo nel suo complesso si applicheranno tecniche di recupero (11.4.3)). Si tratta di attività spesso demotivanti, di carattere anche comportamentistico, che quindi vanno usate con parsimonia: se si rinforza la conoscenza di una o due “regole” al giorno, alla fine del mese avremo percorso un itinerario impressionante. Una volta individuato il problema su cui vale la pena intervenire, la procedura può essere: a. reperire un testo in cui l’errore compare, se possibile, più volte: uno scritto, una registrazione, ecc.; si può anche indurre alla produzione di un testo in cui si sa che comparirà l’errore: ponendo domande, facendo raccontare un’esperienza al passato, facendo leggere una filastrocca con molte /r/ e /l/, e così via b. richiamare l’attenzione su quell’errore, eventualmente guidando l’allievo a percepirlo c. offrire un modello corretto, che può essere lo stesso enunciato modificato, oppure enunciati simili, stimolando al confronto e alla scoperta della “regola” corretta d. dopo aver osservato, ipotizzato e verificato un dato meccanismo linguistico, ad esempio l’opposizione “sono/sonno” o quella “vivevo/vissi”, si muove alla fissazione del meccanismo individuato. Conviene dilungarci su questa procedura. La “fissazione” è un’attività di natura comportamentistica: si offre uno stimolo e lo studente risponde applicando la “regola” oggetto di fissazione: in tal modo si crea un processo automatizzato (un mental habit) per cui quella “regola” verrà usata senza più pensarci. Tipiche dell’approccio grammaticalistico (“volgere al plurale”, “inserire la voce corretta del verbo tra parentesi”) e soprattutto di quello strutturalistico, queste tecniche sono spesso state eliminate tout court, anche come reazione a periodi glottodidattici in cui esse costituivano la prassi quotidiana per ore ed ore, dal latino alla lingua straniera. In realtà, visto che lo studente immigrato vive immerso nell’italiano per tutta la giornata, non è certo l’input autentico che gli viene a mancare, per cui non ci pare sbagliato proporgli qualche minuto di fissazione meccanica, ripetitiva, demotivante (ma solo se troppo lunga), direttamente focalizzata su una “regola”. L’importante è coinvolgere lo studente nel processo di fissazione, compiendo con lui il percorso delle lettere “a”-“d” indicato sopra, in modo che l’esercizio strutturale sia psicologicamente giustificato, come lo è ripetere lungamente gli accordi se si vuole imparare a suonare la chitarra o provare e riprovare il tiro ad effetto se si vuole giocare a calcio. Elenchiamo qui alcune tecniche, che possono essere approfondite cliccando direttamente sulle parole evidenziate Per la dimensione fonetica e fonologica si possono usare le coppie minime, la ripetizione regressiva, la drammatizzaione. In ambito morfo-sintattico e per i meccanismi di coesione testuale si possono fare esercizi strutturali veri e propri (pattern drills) o esercizi di completamento e trasformazione. Per il lessico si può fare il gioco dei campi lessicali. 11.4.3 Recupero: natura e tecniche Il recupero è un processo lungo, che non interviene su problemi specifici per i quali si ricorre al “rinforzo” (11.4.2), e serve soprattutto per migliorare la padronanza delle abilità complesse (la lettura, il riassunto, ecc. ) o sistemi grammaticali di vasta portata, come il sistema dei verbi al passato. Il recupero si bassa soprattutto su input supplementare mirato. Vediamone le ragioni. Krashen ipotizza che l'acquisizione si basi sull'input (a) reso comprensibile e (b) collocato al punto giusto dell'ordine naturale di acquisizione. Tale punto viene chiamato “i+1”: è l’elemento immediatamente successivo (“+1”) rispetto a quanto interiorizzato fino a quel momento (cioè: “i” ). Tuttavia, in un allievo con problemi generali “i” è pieno di lacune che non consentono l’innesco del “+1”, né d’altra parte è possibile agire in maniera mirata dato che le sue lacune sono diffuse. Rimane solo la possibilità di offrire input supplementare, reso comprensibile, nella speranza che l’elemento linguistico collocato nel grado “+1” sia presente e che, incontrandolo e comprendendolo, il meccanismo d’acquisizione linguistica se ne appropri. Il lavoro di recupero si basa dunque essenzialmente su input supplementare in cui si focalizza l’attenzione sul meccanismo della comprensione, del riassunto, ecc., in modo che lo studenti impari ad imparare: la formula potrebbe essere “input + riflessione” sulle abilità e sui campi grammaticali trattati. 11.5 Programmare il ruolo delle tecnologie didattiche In questo modulo, dedicato alla “programmazione”, non si può omettere un cenno ad un tema che viene comunque affrontato in maniera più vasta nel modulo 13 . Quanto ci preme richiamare all’attenzione in questa videata è solo la necessità che le tecnologie didattiche non vengano ignorate nella programmazione dell’insegnamento dell’italiano L2, come invece avviene spesso. Mentre tutti comprendono facilmente la necessità di riprodurre in un’aula italiana il mondo in cui si parla la LS, la lingua straniera, attraverso registratori, video, film, computer, ecc., nell’insegnamento dell’italiano L2 è diffusa la convinzione che le tecnologie non servano il quanto lo studente “vive” l’italiano quotidianamente. Al contrario, la tecnologia ci permette di portare all’attenzione dello studente immigrato alcuni aspetti che ha incontrato o può incontrare nella vita extra-scolastica (canzoni, spezzoni di film o programmi televisivi, ecc.) ma che là sono rapidi e in tempo reale, qui possono essere sfruttati secondo la logica gestaltica, cioè nella sequenza globalità / analisi / sintesi e riflessione (11.3.2). Inoltre, la tecnologia consente non solo di presentare materiale ma anche di registrare le performance degli studenti e poi utilizzare tale registrazione come testo di partenza per l’analisi e la riflessione linguistica, culturale, comunicativa. 11.6 Ruolo di docenti e compagni nelle procedure didattiche I modelli operativi che sono stati descritti in questo modulo nonché le tecniche glottodidattiche che si vedranno nel Modulo 12 non vengono realizzate nel vuoto, bensì in una comunità che comprende varie figure. Riflettere sull’interazione tra queste figure e sul ruolo che esse giocano nel realizzarsi quotidiano delle procedure didattiche è altrettanto importante per la programmazione quanto riflettere sui contenuti e i modi dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2. Per avere qualche spunto ed avviare questa riflessione, da completare insieme ai colleghi visto che ogni realtà locale fa storia a sé, basta cliccare sulle parole chiave nella lista che segue: Il docente di Italiano L2 I docenti delle varie discipline I mediatori ed i facilitatori I compagni italiani e le loro famiglie I compagni non italiani Le famiglie e la comunità d’appartenenza 11.7 La creazione e gestione di un Laboratorio Italiano L2 Che cos’è, secondo lei, un “Laboratorio di italiano L2”? E’ solo un luogo op qualcosa di più? Ci rifletta prima di proseguire nella lettura di questa videata. Quando diciamo “Laboratorio di Italiano L2” intendiamo qualcosa di ben più complesso della semplice struttura fisica che lo ospita: anzi, questa, insieme ai materiali, alle attrezzature, ecc., è una variabile dipendente dal progetto, dall’idea di laboratorio. Un laboratorio di italiano L2 è fatto di idee e di persone, prima che di luoghi e materiali. E’ una struttura complessa caratterizzata dai seguenti elementi: a. b. c. d. e. uno scopo ed un progetto di attuazione dello stesso (11.7.1) un luogo fisico, dotato di arredi ed attrezzature (11.7.2) una raccolta di materiali didattici ed “autentici” (11.7.3) una raccolta di materiale di guida per il docente (11.7.4) una o più persone che elaborano il progetto e gestiscono le attività del laboratorio (11.7.5) f. un luogo dove è possibile – più che altrove – la didattica ludica (11.7.6) Nei paragrafi in cui approfondiamo le sei voci elencate sopra offriremo alcune linee generali, ma non una guida precisa nei dettagli: le caratteristiche di un Laboratorio di Italiano L2 variano da scuola a scuola a seconda non solo del grado (materna, elementare, media, superiore) e del tipo (un Istituto professionale ha natura e problemi diversi da un liceo), ma anche dalla zona, dalla percentuale di immigrati, dal raccordo possibile o no tra scuola e territorio, dalla capacità di attrarre sovvenzioni e fondi da banche, fondazioni, enti locali, dalla possibilità di ricevere computer dimessi da aziende e banche, e così via. Quindi abbiamo deciso di fornire le linee concettuali senza addentrarci in dettagli organizzativi che ogni gruppo di insegnanti può elaborare autonomamente. Un’osservazione è comunque doverosa prima di rinviare ai vari paragrafi che costituiscono questa sezione: un laboratorio di italiano L2 non è una sezione avulsa dall’attività complessiva della scuola, né un alibi che evita a tutti gli altri docenti di doversi far carico dell’apprendimento dell’italiano da parte di alunni immigrati: è solo un luogo di raccordo, di intervento mirato, non una struttura che, da sola e per il solo fatto di esistere, può risolvere i problemi. (Molte delle indicazioni di questo paragrafo derivano dal saggio sul “Laboratorio di Italiano L2”, di Fabio Caon e Barbara D'Annunzio, nel volume curato da M. C. Luise e riportato nella guida bibliografica in 11.8). DIBATTITO E’ d’accordo con questa nostra impostazione? Ne discuta con i suoi colleghi di forum e poi provi ad organizzare un possibile laboratorio per la sua scuola. Dopo di che lo descriva ai colleghi chiedendo il loro giudizio. 11.7.1 Scopo ed un progetto di attuazione del Laboratorio di Italiano L2 Nel saggio di Caon-D’Annunzio nell’opera curata da M.C. Luise (11.8) il laboratorio di Italiano L2 viene definito come uno spazio all’interno della scuola in cui gruppi di allievi non italofoni (e, in particolari momenti, anche italofoni) appartenenti a classi diverse possono: • • • • • • • apprendere lessico e approfondire strutture linguistiche che siano legate a situazioni comunicative rispondenti ai loro bisogni e interessi (anche svincolate dal curricolo della classe d’appartenenza) socializzare con il gruppo dei pari in una situazione in cui la differenza linguistica e culturale non è significativa come nel gruppo-classe interagire e socializzare con compagni di età diverse parlanti la stessa lingua materna svolgere attività in cui la competenza linguistica non condizioni il successo delle stesse (ad es. attività manipolative, grafico-pittoriche, ludico-didattiche, musicali, sperimentali, creative, logico-matematiche). Gli alunni hanno così l’opportunità di far emergere senza “forzature” le loro potenzialità espressive e le abilità di cui sono depositari avere la possibilità di ritrovare e far emergere elementi della loro cultura d’origine o del loro vissuto personale acquisire competenze extralinguistiche e socio-pragmatiche afferenti al nuovo contesto linguistico e culturale stabilire con una o più figure adulte una relazione educativa, grazie alla quale sia facilitato l’apprendimento e l’integrazione scolastica Come si vede è un progetto ben più complesso e sofisticato del semplice “imparare l’italiano”: è un progetto formativo che coinvolge l’intero spettro dell’azione pedagogica. Per questa ragione ogni Laboratorio di italiano L2 è necessariamente diverso da quello della scuola accanto – anche se non è impensabile che scuole vicine possano consorziarsi per organizzare un Laboratorio comune. Sul piano più strettamente operativo, quindi specifico di questo modulo, noteremo che un laboratorio può essere organizzato secondo vari modalità (che non si escludono a vicenda: sono solo diversi modi di affrontare un problema, ma nella stessa giornata il Laboratorio può funzionare in ciascuna delle modalità che elenchiamo): a. laboratorio intensivo/permanente: nel primo caso si dà supporto immediato a chi è appena arrivato, quindi si lavora per le BICS (11.2), nel secondo si effettua un’azione sistematica, si lavora sulla sistemazione delle BICS e soprattutto si imposta la CALP; nel primo caso i destinatari sono essenzialmente allievi stranieri, nel secondo caso possono essere integrati anche dei ragazzi italiani che abbiano difficoltà linguistiche (non motivazionali o cognitive) che impediscono loro di accedere ai contenuti disciplinari b. laboratorio decrescente/crescente: il primo è tipico del primo intervento e viene collocato di solito all’inizio dell’anno scolastico, in modo da fornire un contributo di sostegno iniziale; un laboratorio crescente è invece tipico della fine dell’anno scolastico e serve a preparare per gli ultimi “compiti in classe” (sappiamo bene che la valutazione conclusiva non dovrebbe essere condotta sugli ultimi compiti in classe e sulle ultime interrogazioni – ma conosciamo altrettanto bene la prassi scolastico dominante: e il nostro scopo non è quello di immaginare una scuola che non c’è, ma quello di inserire i ragazzi stranieri nella nostra scuola così com’è) oppure agli esami di quinta elementare o di licenza media c. laboratorio linguistico/interculturale: nel primo caso i destinatari sono gli studenti immigrati, nel secondo devono essere coinvolti studenti (e famiglie) italiane; i contenuti del primo tipo di laboratorio sono l’oggetto di gran parte dei moduli di questo corso, mentre il secondo tipo (che non può essere episodico ma deve avere una sua estensione temporale per risultare efficace) può consistere di visione di film ambientati in paesi stranieri , di feste di compleanno con cucina etnica, di ascolto o esecuzione di musica dei vari paesi. I destinatari non sono tanto gli immigrati, che vengono gratificati in quanto per una volta è la loro cultura ad essere al centro dell’attenzione e dello studio, quanto gli italiani. 11.7.2. Luogo fisico, arredi ed attrezzature Lo spazio fisico è importante perché costituisce uno spazio psicologico e relazionale riservato agli studenti non italiani, che possono ospitarvi i loro compagni italiani per alcune esperienze interculturali o linguistiche (11.7.1), ma che rimane “loro”. Quindi lo spazio dovrà essere, per quanto possibile, esclusivamente dedicato al laboratorio di italiano L2 – e se possibile dovrà essere uno spazio dignitoso: accogliere i ragazzini stranieri in un sottoscala o in una sala buia e squallida costituisce un messaggio chiarissimo di disinteresse se non di disprezzo. La sala del Laboratorio di Italiano L2 è contemporaneamente a. un luogo di lavoro, per cui deve avere strutture che consentano una didattica cooperativa e “destrutturata” come quella propria dell’italiano L2: tavoli per lavoro di gruppo, facilmente spostabili per diventare tavoli per due persone o per lavoro individuale b. un luogo di gioco, visto che la glottodidattica ludica gioca un ruolo fondamentale con ragazzi che vivono quotidianamente l’apprendimento come stress, come una sfida in cui hanno meno strumenti dei loro compagni italiani; per saperne di più, visitare http://helios.unive.it/~aliasve/moduli/caonrutka/caonrutka.html c. un luogo attrezzato con le strumentazioni necessarie, dal registratore audio che consente di registrare e poi riascoltare le performance linguistiche degli alunni, a un video, un computer, una lavagna; il problema della riproduzione sonora è fondamentale per un laboratorio di questo tipo in cui l’oralità gioca un ruolo primario e quindi è possibile avere riproduzione fedele dei suoni d. un luogo di esposizione, in cui si espongono sia i lavori dei ragazzini immigrati, sia le foto dei luoghi di provenienza, sia poster grammaticali, ecc.: ottima una striscia di legno che core lungo i muri a circa 1m.70cm di altezza, cui attaccare con puntine i fogli e i poster e. un luogo di archivio, dove si conservano le schede individuali (11.2.3) , le schede di lavoro, tutti i materiali (11.7.3) che servono per una didattica spesso scarsamente programmabile (11.2.2): scaffalature capienti e comode con una buona logica di archiviazione, per reperire facilmente i materiali necessari per quell’attività specifica in quel preciso momento 11.7.3 Raccolta di materiali didattici ed “autentici” Malgrado esistano ormai buoni materiali didattici, molto del materiale è rappresentato da fogli, da “materiale grigio”, che costituisce una ricchezza facilmente dispersa se non si procede continuamente ad una archiviazione ed una catalogazione precisa. Lo stesso dicasi per i materiali “autentici” (mettiamo la parola tra virgolette per ricordare che un testo autentico, dal biglietto della metropolitana alla scatola di biscotti, è autentico solo quando viene usato in stazione o in cucina: usato come materiale didattico è comunque in autentico, perché la sua fruizione non ha più lo scopo per cui è stato creato): solo una catalogazione continua e coerente consente di trovare il materiale giusto per un’attività “qui e ora”. Perdere 10 minuti per cercare un dato materiale o una scheda di lavoro significa perdere gran parte della motivazione: per questo insistiamo sulla necessità di archiviare il materiale in maniera precisa. Veniamo ora la materiale didattico: ormai se ne trova di vario tipo reperibile a. in siti dedicati all’apprendimento dell’italiano quali • Progetto ALIAS, sito creato con un finanziamento ministeriale e che offre gratuitamente una grande quantità di materiali per la formazione e link: www.unive.it/progettoalias • Sito dedicato alla formazione degli insegnanti di italiano: www.itals.it • Progetto “Me Too – La multimedialità per il plurilinguismo e l’interculturalità nelle scuole”: http://www.socrates-me-too.org/index.htm • Italiano lingua seconda e educazione interculturale : www.edscuola.it/stranieri.html • Riebi – Rete educazione bilingue in Italia: www.unive.it/labclil • Centro Come, della Provincia di Milano: www.centrocome.it b. nei siti dei principali editori di materiali di questo tipo: • Bonacci, editore specializzato per l’italiano: http://www.bonacci.it/ • Eli, che prepara materiali didattici per molte lingue: http://www.elipubli.com/ • Guerra, editore specializzato per l’italiano: http://www.guerra-edizioni.com/ • Petrini, sotto il marchio Teorema: http://www.petrini.it/ita/index.asp c. siti che offrono materiale didattico specifico, quali ad esempio: • Scuola d'Italiano, Roma: alla sezione "materiali didattici", si possono trovare numerosi materiali di italiano per stranieri:: http://web.tiscali.it/scudit/mdindice.htm • Dizionario illustrato per bambini disponibile in moltissime lingue: http://www.logos.it • LinguaItalia, rete di collaboratori che costruiscono e vendono in Internet prodotti multimediali per la didattica delle lingue: http://www.linguaitalia.com/ • Giochi per l’italiano: http://www.pdictionary.com/italian Inoltre va ricordato che oltre ai materiali a schede (i numerali, i possessivi, ecc.), che ci paiono i più adatti al modello didattico flessibile e “destrutturato” che abbiamo proposto in questo modulo (11.2.2) in una didattica basata sull’unità di apprendimento (11.3.2), esistono anche materiali mirati ad alcuni problemi specifici, reperibili presso gli editori visti sopra: dalle favole di Rollo e Laura per bambini cinesi che faticano a discernere /r/ ed /l/, a quelli di Beppo e Pippo per l’opposizione /p/ e /b/, ai quaderni sui giochi o sulle feste o sulle favole dei bambini italiani, per un discorso non solo linguistico ma anche culturale. In alcuni casi è la scuola a farsi carico dell’acquisto di questi quaderni, da dare poi agli allievi stranieri, in altri casi si procede ad acquisti individuali, ma spesso si ricorre anche a fotocopie: si tratta di una prassi (abbastanza) economica che tuttavia, oltre a porre problemi di carattere legale, dà allo studente materiale “rovinato” dal passaggio dal colore al bianco e nero, quindi di minor valore psicologico di un quaderno che può essere sfogliato anche a casa, mostrato ai fratellini e ai genitori, conservato come “libro” anziché trascurato e perso come una delle mille fotocopie che si ricevono a scuola. 11.7.4 Raccolta di materiale di guida per il docente Il laboratorio di italiano L2 non è solo il luogo di lavoro con i ragazzi immigrati (e talvolta i loro compagni italiani), ma è anche il luogo di lavoro degli insegnanti che si occupano del laboratorio stesso: di esso dunque fa parte anche la raccolta dei materiali di guida linguistica, culturale e glottodidattica dei docenti – indipendentemente dal fatto che fisicamente questi materiali siano conservati nella biblioteca della scuola, in sala docenti, in un armadio in corridoio o nel laboratorio stesso. Inoltre: serve anche un computer non solo per il lavoro di ricerca e di lavoro degli studenti, ma anche perché gli insegnanti possano collegarsi a siti specificamente pensati per chi si occupa di italiano L2, come ad esempio • • • • • • • Progetto ALIAS, sito creato con un finanziamento ministeriale e che offre gratuitamente una grande quantità di materiali per la formazione e link: www.unive.it/progettoalias Sito dedicato alla formazione degli insegnanti di italiano: www.itals.it Progetto “Me Too – La multimedialità per il plurilinguismo e l’interculturalità nelle scuole”: http://www.socrates-me-too.org/index.htm Italiano lingua seconda e educazione interculturale : www.edscuola.it/stranieri.html Riebi – Rete educazione bilingue in Italia: www.unive.it/labclil Centro Come, della Provincia di Milano: www.centrocome.it Una Onlus molto attiva è Cospe- Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti: http://www.cospe.it/ Tra gli editori che hanno collane glottodidatiche ricordiamo: • Alma edizioni: http://www.almaedizioni.it/ • Bonacci Editore: www.bonacci.it • Edizioni ELI: http://www.elionline.com • Guerini: www.guerini.it • Guerra Edizioni: http://www.guerra-edizioni.com • La Nuova Italia: http://www.lanuovaitalia.it/ • Patatrac, che ha materiali interculturali: http://www.patatrac.com/ • Utet Libreria, con due collane (“Glottodidattica” e “I libri http://www.utetlibreria.it/home.html • Vannini Editrice: http://www.vanninieditrice.it/libri/hibiscus.htm di Babele”): C’è poi una libreria specializzata, che ha una ottima newsletter: http://www.il-libro.it/ In altre parole, il Laboratorio di italiano L2 è anche il luogo di crescita scientifica e professionale dei docenti che vi operano. Limitandoci all’area glottodidattica (e rimandando agli altri moduli per i materiali linguistici o interculturali), riportiamo in 11.8 alcuni titoli fondamentali per l’autoformazione del docente di italiano L2. 11.7.5. Persone che elaborano il progetto e gestiscono le attività del laboratorio Il Laboratorio di italiano L2 non è proprietà e responsabilità personale né dell’insegnante incaricato di questo settore, né dei mediatori o dei facilitatori linguistici. Un laboratorio di italiano L2 è un investimento economico ma anche culturale e professionale di tutto un collegio docenti e della dirigenza di un istituto. Tuttavia, spesso in un collegio docenti non si trova o la consapevolezza della necessità, e quindi la volontà politica, di dotare la scuola di un Laboratorio di italiano L2, né si trovano sempre le competenze necessarie per costituire un Laboratorio. Ne consegue che la collaborazione con le altre scuole, con persone esterne, con università e centri di ricerca, può costituire il nucleo umano necessario per progettare il laboratorio e/o per gestirlo. La collaborazione può avere almeno tre forme: a. collaborazione scientifica con centri di ricerca: tutti i moduli di questo corso nascono da università che si impegnano nello studio dell’insegnamento dell’italiano L2, ma ci sono anche centri supportati da enti locali e così via. Ogni realtà locale conosce a quelli centri vicini può appoggiarsi sia per una formazione iniziale sia per organizzare corsi di formazione, di perfezionamento, fino a veri e propri master universitari i didattica dell’italiano L2. (Una guida è in 11.7.4) b. consorzi di scuole vicine: spesso una singola scuola comprensiva, un circolo, un istituto superiore, presi singolarmente, non hanno le risorse economiche e professionali per costituire e soprattutto per gestire un Laboratorio di italiano L2: ma scuole fisicamente vicine possono consorziarsi per fornire un servizio indispensabile c. reti di scuole che sono particolarmente interessate al problema: a differenza dei consorzi visti sopra, si tratta di scuole distanti, sebbene di solito nell’ambito di una provincia o una regione, che mettono insieme la loro esperienza e conducono forme di lavoro in qualche modo riconducibili alla ricerca-azione. In questo paragrafo ci pare utile richiamare un concetto che è stato sotteso o espresso en passant in tutti i paragrafi del punto 11.7, dedicato ai Laboratori di italiano L2: spesso nelle scuole l’istituzione di un Laboratorio di italiano L2 ha due effetti relazionali: a. da un lato gli insegnanti non impegnati nel laboratorio di italiano L2 demandano il lavoro in questo settore ai colleghi che, in orario di lavoro, come completamento orario, come parte dell’orario o in altro modo si occupano del laboratorio b. dall’altro chi opera in laboratorio può tendere a considerare gli stranieri come suo territorio personale di azione anziché a porsi come primus inter pares, a coordinare un’azione comune. Si tratta di due posizioni inaccettabili, e di fronte alla deresponsabilizzazione dei Consigli di Classe, ci si chiede se sia opportuno istituire un Laboratorio di italiano L2. 11.7.6 Un luogo ottimale per la glottodidattica ludica Non approfondiamo qui la nozione di glottodidattica ludica, che è trattata in molti dei materiali teorici visti in 11.8 ma ci limitiamo a linkarci a un sito dove questo tema viene trattato: basterà selezionarlo tra i vari moduli offerti nell’indice di quel sito: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/caonrutka/caonrutka.html 11.8 Guida bibliografica Le indicazioni che seguono non sono un bibliografia ma uno strumento agile e sintetico per a. approfondire le nozioni fornite in questo modulo, quindi gli aspetti metodologici (non quelli linguistico-acquisizionali, sociologici, pedagogici, ecc.) b. creare una biblioteca glottodidattica di riferimento in un Laboratorio di Italiano L2, secondo quanto abbiamo proposto in 11.7.4. Cliccando sulle parole evidenziate nei titoli dei libri che proponiamo è possibile accedere anche a una scheda con l’indice, in modo da consentire una prima valutazione di interesse per chi debba graduare l’acquisizione dei volumi. In alcune delle riviste, di cui dove possiamo diamo anche il sito, esiste anche una versione on line. AA.VV., Approccio alla lingua italiana per allievi stranieri, Torino, Teorema, 2000 BALBONI P.E., Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino, UTET Libreria, 1998 BALBONI P.E., Le sfide di Babele: insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, UTET Libreria, 2002 CAON F. e S. RUTKA, Insegnare l’italiano giocando: principi e materiali per una didattica ludica, Perugia, Guerra, 2003 CAON F. e B. D’ANNUNZIO, Il Laboratorio di italiano L2: progettazione, attività, gestione, Perugia, Guerra, 2003 DOLCI R. e P. CELENTIN, (a cura di) La formazione di base del docente di italiano, Roma, Bonacci, 2003 FAVARO G., Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, Firenze, La Nuova Italia, 2002 LUISE M. CECILIA (a cura di), Italiano lingua seconda: fondamenti e metodi, Perugia, Guerra, 2003 Articoli metodologici sull’insegnamento dell’Italiano L2 si trovano spesso in queste riviste: • • • • In.it. Quadrimestrale al servizio degli insegnanti di italiano a stranieri, Guerra, www.initonline.it Italiano & oltre, La Nuova Italia, www.lanuovaitalia.it Lingua e Nuova Didattica, Petrini, www.lend.it Scuola e Lingue Moderne, Garzanti / ANILS, www.anils.abramo.it Gli insegnanti possono perseguire la loro crescita culturale anche iscrivendosi alle associazioni di lingua: • Anils: http://anils.abramo.it/ • Lend: http://www.lend.it/ • Ilsa: http://associazioni.comune.firenze.it/ilsa/ Definire il corpus di un corso significa stilare l'elenco del materiale da insegnare in quel corso. Sono ad esempio dei corpora i volumi del Consiglio d'Europa che descrivono i livelli soglia delle principali lingue europee e in buona parte lo è anche il Common European Framework. Un termine usato talvolta al luogo di corpus è sillabo. Il curricolo, nell’accezione che utilizziamo qui, è anche un corpus (lessicale, morfosintattico, pragmatico, ecc.), ma include altre dimensioni. Corpus è una nozione quantitativa e statica (quindi difficilmente applicabile all’Italiano L2) mentre curricolo ha anche una dimensione qualitativa, dinamica. Torna al paragrafo 11.2 E’ il termine tipico della tradizione scolastica italiana e rimanda ai documenti ufficiali in cui si descrivono le mete e gli obiettivi, indicandoli per grandi linee senza tuttavia procedere ad una elencazione dettagliata. Spesso si tratta, in realtà, di manifesti glottodidattici, in cui si dà largo spazio alla descrizione del "come dovrebbe essere" trascurando il "come potrà essere". Si tratta di uno strumento operativo ormai abbandonato ma che, comunque, per la sua staticità e prescrittività non è applicabile alla variegatissima realtà degli studenti migranti. Torna al paragrafo 11.2 La nozione di curricolo in glottodidattica si allontana da quella usata degli esperti di scienze della formazione, soprattutto italiani; l’approccio di riferimento per la glottodidattica è stato elaborato infatti in sede europea, sebbene con il contributo italiano, e si trova nel Common European Framework. Nella definizione di Johnson (in un volume del 1989) il termine curricolo includes all the relevant decision making processes of all participants. Non è quindi una lista, come il corpus, né un’indicazione programmatica, ma una serie di processi cui partecipano docenti, studenti, che perseguono mete ed obiettivi, analizzano i bisogni, definiscono i contenuti, e così via per tutti gli aspetti significativi del processo di insegnamento/apprendimento. Torna al paragrafo 11.2 Sulla base dei tre assi di relazione della vita umana (io; io e i “tu” che mi sono vicini; io e gli altri, il mondo, la storia) si identificano tre mete educative, che per quanto riguarda gli immigrati vanno ripensate rispetto al modo in cui le applichiamo allo sviluppo dei ragazzi italiani: culturizzazione cioè la conoscenza ed il rispetto (in alcuni casi può esserci anche l’assunzione) di modelli culturali e di valori di civiltà del paese d’accoglienza, l’Italia; da un lato questa acculturazione permette di guardare alla propria cultura d’origine da un punto di vista diverso, permettendo l’insorgere di senso critico, dall’altro è la condizione necessaria per la seconda meta educativa, la socializzazione socializzazione cioè la possibilità di avere relazioni sociali con italiani o con altri immigrati di diverso ceppo linguistico usando la lingua italiana; solo l’immigrato culturizzato e socializzato può cercare, in Italia, la propria promozione umana e sociale autopromozione cioè la possibilità di procedere nella realizzazione del proprio progetto di vita anche in Italia, oltre che nel paese d’origine se un giorno dovesse esserci un rientro. Torna al paragrafo 11.2.1 Per una panoramica del problema delle tipologie linguistiche di provenienza vedere il modulo 4 per alcune lingue specifiche si può ricorrere a materiali di a. guida: arabi: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/dellapuppa/lallievodellafricadelnord.htm cinesi: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/dannunzio/lallievocinese.html rom: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/mori/mori.html albanesi: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/triolo/triolo.html slavi: http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/celentin/celentin.html b. informazione bibliografica cinesi: http://venus.unive.it/~aliasve/materialididattica/bibragbarbara.htm http://venus.unive.it/~aliasve/materiali/chineseweb.htm interculturalità: http://venus.unive.it/~aliasve/materialididattica/biblgenerale.htm glottodidattica ludica: http://venus.unive.it/~aliasve/materialididattica/bilbioludica.html albanesi: http://venus.unive.it/~aliasve/materialididattica/bilbioalbanese.html arabi: http://venus.unive.it/~aliasve/materiali/bibliografiaragionata.html c. normativa scolastica Marocco: http://venus.unive.it/~aliasve/materiali/marocco.htm Paesi vari: http://venus.unive.it/~aliasve/link/index.php?kid=6&catname=Normativa Torna al paragrafo 11.2.1 Si realizza quando lo studente rivela la propria soggettività, la propria personalità, quando manifesta sentimenti, emozioni, pensieri, impressioni, sensazioni. Questa funzione si realizza, oltre che nei dialoghi, anche in generi quali la lettera personale, il diario, l'intervista, ecc. Principali atti comunicativi: - chiedere/dire il nome, l’età, la provenienza, presentarsi - parlare dello stato fisico (benessere, malessere, stanchezza, ecc.) - parlare dello stato psichico (tristezza, allegria, delusione, ecc. - esprimere i propri gusti - ecc. Molti materiali didattici, improntati ad una mera comunicazione pragmatica, attribuiscono un peso piuttosto limitato a questa funzione, fondamentale sul piano dell’affettività e della motivazione. Torna al paragrafo 11.2.4 Si realizza quando l’italiano serve a stabilire, mantenere o chiudere un rapporto di interazione sia orale (dialoghi, telefonate, conferenze, ecc.) sia scritta (lettere, e.mail, ecc.). Per poter realizzare questa funzione lo studente deve apprendere ad eseguire atti comunicativi quali: - salutare e congedarsi - offrire, accettare e rifiutare qualcosa - ringraziare e rispondere al ringraziamento - scusarsi - ecc. I rapporti interpersonali rimandano a regole sociolinguistiche da tenere in considerazione al fine di un uso appropriato della lingua: scegliere tra “tu” e “lei”, usare o evitare “parolacce”, ecc., sono operazioni di estrema delicatezza sull’esito pragmatico della comunicazione. Torna al paragrafo 11.2.4 Consiste nell'usare l’italiano per agire sugli altri, per regolare il loro comportamento, per ottenere qualcosa, per soddisfare le proprie necessità. I generi propri di questa funzione sono le istruzioni orali e scritte, i regolamenti, le leggi. I principali atti comunicativi sono: - dare e ricevere istruzioni - dare e ricevere consigli, ordini, disposizioni - chiedere, obbligare o impedire di fare qualcosa - ecc. Questa funzione rimanda a regole socio-culturali da tenere in considerazione al fine di una scelta appropriata delle espressioni da usare. La scelta errata può bloccare lo scambio comunicativo perché uno dei due parlanti si sente offeso per il modo in cui è stato chiesto qualcosa, si sono date istruzioni, ecc. Torna al paragrafo 11.2.4 Si manifesta quando la lingua italiana viene usata per descrivere o per spiegare la realtà in generi comunicativi quali la relazione su un evento, la descrizione di una situazione, il testo scientifico, e così via. Questa funzione richiede, in termini di atti comunicativi, che lo studente sia in grado di - descrivere cose, azioni, persone, eventi - chiedere e dare informazioni - chiedere e dare spiegazioni - ecc. I messaggi che realizzano questa funzione sono prevalentemente caratterizzati da oggettività, lessico denotativo molto preciso, ed è qui che gli studenti incontrano le maggiori difficoltà. Torna al paragrafo 11.2.4 Si realizza quando ci si serve dell’italiano per riflettere sulla lingua italiana o per risolvere problemi comunicativi tipici dell'interazione in una lingua non nativa. Gli atti comunicativi possono essere: - chiedere come si chiama un oggetto - creare perifrasi per descrivere il significato di parole ignote (una persona che non conosce la parola “ladro” può dire: “ho visto uno di quelli che rubano”) - comprendere o fornire spiegazioni sulla lingua e sulla comunicazione. E’ evidente che si tratta di una funzione di primaria importanza a scuola, ma che ha una forte utilità anche nel mondo della comunicazione reale. Torna al paragrafo 11.2.4 Si realizza quando si usa la lingua italiana per produrre particolari effetti ritmici, suggestioni musicali, associazioni metaforiche, ecc., oppure per creare situazioni e mondi immaginari. Sono propri di questa funzione tutti i generi “letterari”, dalla fiaba al poema epico. Non ci sono atti comunicativi specifici, tranne - l’apertura di una fiaba: “c’era una volta…” - la chiusura di una fiaba: “e vissero sempre felici e contenti” C’è tuttavia un lessico particolare (dal “marchese” del Gatto con gli stivali al “principe azzurro”, dalle “fate” più o meno “turchine” alle “streghe malvagie” …), ci sono delle curve intonative particolari, ad esempio quando si deve creare suspence in “era una notte buia e tempestosa, faceva freddo e il vento era tremendo, quando d’improvviso…”; ci sono elementi culturali spesso importanti: il lupo, anima cattivo per antonomasia nelle favole italiane, è un orso nella versione di Cappucetto Rosso in Russia, laddove i lupi sono ben più comuni. Torna al paragrafo 11.2.4 La conversazione maieutica aveva cittadinanza sotto i portici di Atene o di Roma, quando un saggio (il filosofo, il Maestro: “magister”, colui che è “magis”, di più) si sforzava di far maturare l’autonomia cognitiva e critica del suo allievo, estraendo le sue conoscenze implicite, costringendolo a renderle esplicite ragionandoci sopra. Oggi questo modello è usato solo a livello di dottorato di ricerca, dove il rapporto maestro/allievo è strettissimo – ma paradossalmente questo modello può essere usato proficuamente anche per lo studente immigrato, soprattutto quando si lavora con piccoli gruppi come in un laboratorio di italiano L2 (11.7) Ogni tanto la conversazione del filosofo si alternava a quella del rètore o del grammatico, che impartivano “lezioni”: leggevano (da cui lectio) i testi sacri – dall’Iliade alle orazioni di Cicerone – e poi ne traevano delle “regole” a cui adeguarsi per scrivere bene. La lectio è tipica dell'istruzione religiosa (cattolica, ebraica, islamica): pone l'obiettivo (il testo sacro) al centro dell'attenzione; tramite il sacerdote-maestro, che ha il diritto all'interpretazione autentica ed incontestabile, il testo sacro viene comunicato in maniera frontale e diretta agli allievi, che compiono un atto di fede nella capacità ermeneutica del maestro. Si tratta di una posizione indubbiamente molto gratificante per l'insegnante ma non produttiva sul piano psico-pedagogico: l’allievo è una tabula rasa, passivo recettore di idee altrui, acritico. E poi il testo sacro della lingua, la grammatica fissa ed immutabile, non c’è neppure più… Torna al paragrafo 11.3 Secondo la teoria di Stephen Krashen, la prima delle condizioni perché ci sia acquisizione linguistica è che l’input sia collocato al gradino che nell'ordine naturale di acquisizione (che definiremo sotto) si trova immediatamente dopo l'input acquisito fino a quel momento. Si tratta dell’applicazione krasheniana (quindi, come molte delle indicazioni di questo glottodidatta americano, è costruita un po’ ad effetto, con una logica di semplificazione quasi giornalistica) di una nozione psicologica che Vygotsky chiama area di sviluppo potenziale e che in Bruner troviamo come zone of proximal development: è la distanza tra la parte di un compito che una persona è già in grado di eseguire e il livello potenziale cui può giungere nel tentativo di compiere la parte restante del compito, distanza che può percorrere da solo, sotto la guida di una persona più esperta (un magister, qualcuno che è magis, “di più”), dialogando con i pari, assistito dalle risorse Krashen descrive questo principio secondo la formula “i+1”: - i = la parte del compito linguistico o comunicativo che si è già in grado di eseguire sulla base della competenza “acquisita” - + 1 = l’area di sviluppo potenziale. Krashen inserisce i vari scalini “i+1” lungo l’ordine naturale d'acquisizione, cioè la successione degli elementi linguistici nella sequenza di acquisizione; le conseguenze possibili sono due: - se noi prendiamo un elemento a caso della sequenza, tutti gli elementi che vengono prima di quel punto sono condizione necessaria per poterlo acquisire - se il punto i+1 compare nell'input reso comprensibile, il fatto di aver già acquisito gli elementi precedenti è condizione sufficiente perché l'acquisizione del nuovo avvenga, purché il filtro affettivo sia aperto (vedi sotto). Anche se Krashen non ne parla, questa ipotesi rimanda alla nozione di interlingua, secondo cui la lingua viene appresa secondo un procedimento a spirale che procede per approssimazioni successive alla lingua-obiettivo. All’inizio si attua un processo di pidginizazione, di ipersemplificazione che permette una comunicazione rudimentale, poi piano piano si procede a risistemare quanto si sa e a incremetarlo in quantità e qualità: non si può dire che uno studente straniero sa o non sa l’italiano, si può solo dire che l’interlingua di quello studente oggi è configurata in un certo modo, che è unico ed originale nei suoi pregi e problemi. Torna al paragrafo 11.3.1 Nel modello di percezione della realtà secondo la psicologia della Gestalt, ma anche secondo la neurologia percettiva, si ipotizza che ci sia anzitutto una percezione globale dell'evento comunicativo o del testo. Essa coinvolge principalmente l'emisfero destro del cervello e si basa su strategie quali - lo sfruttamento massimo della ridondanza, del supplemento di informazioni contestuali (il luogo, il momento, i partecipanti, ecc.) e co-testuale (ad esempio, l’articolo “le” mi indica che nomi e aggettivi che seguono sono femminili e plurali, e non è necessario un lavoro analitico per recepire le ulteriori informazioni che confermano il femminile plurale) - la formazione di ipotesi socio-pragmatiche su quanto potrà avvenire in quel contesto, sulla base delle nostre conoscenze del mondo (che per un immigrato sono spesso dubbie e scarse) - la formazione di ipotesi linguistiche sulla base delle nostre conoscenze grammaticali (anche queste incerte nell’immigrato - l’elaborazione delle metafore: il nostro parlare quotidiano, non solo quello letterario, è denso di metafore fossili (“è [furbo come] una volpe”), di metafore volontarie o involontarie che comunque ci consentono di visualizzare alcuni significati… ma lo studente proviene da culture con set di metafore totalmente diversi - la verifica globale ed approssimativa delle ipotesi (skimming) oppure la verifica di singoli elementi (scanning) - la ricerca di analogie con eventi noti. Torna al paragrafo 11.3.2 Provi a scrivere le definizioni di alcuni termini docimologici, poi confronti con quelle che trova più sotto: Testing Verifica Valutazione Certificazione • Testing Si tratta di un aspetto della valutazione, precisamente quello della raccolta di dati il più possibile affidabili e pertinenti. In italiano corrisponde a "verifica", anche se la parola "testing" è connotata nel senso di una maggiore meccanicità, oggettività. • Verifica Spesso questo termine viene usato come sinonimo di “valutazione”, ma in realtà ne è solo una parte, cioè quella della raccolta di dati (cfr. testing) e della definizione di un punteggio. • Valutazione E’ il complesso di operazioni che consiste nel: - reperire informazioni sulla quantità e la qualità dell’acquisizione di un allievo (cfr. verifica e testing); - definire dei parametri (operazione detta anche scaling) da applicare ai dati del test per ottenere un punteggio (operazione detta anche scoring); - elaborazione (a) di un giudizio statistico sul rapporto tra un allievo e il suo gruppo, (b) di un giudizio di merito sull’acquisizione avvenuta e (c) di un giudizio rapportato alla personalità del singolo: i suoi punti di partenza, i suoi progressi, le sue capacità. Quest’ultima fase è quella che spesso porta a definire la valutazione come un atto “politico”, in quanto mette in gioco tutta una serie di valori ideologici da parte dell’insegnante; - esprimere del giudizio, che può essere un voto in numeri o in lettere oppure può avere la forma di un giudizio, in cui si fa una diagnosi e, se necessario, si suggerisce una terapia di recupero. • Certificazione Attestazione ufficiale, di solito rilasciata da un organismo statale o di alto prestigio glottodidattico, che attesta la conoscenza di una lingua o della sua didattica. La ricerca sulla certificazione è uno dei settori più vivaci della glottodidattica degli anni Novanta, in quanto le implicazioni sociali, professionali, internazionali si aggiungono a quelle strettamente scientifiche: che cosa significa “sapere una lingua”?, come si può determinare la competenza attraverso l’esecuzione?, come si può suddividere un continuum (da conoscenza zero a conoscenza pari a quella di un madrelingua) in settori? su quali parametri? Un punto di riferimento sono costituiti dai livelli A1-2, B1-2 e C1-2 definiti dal Consiglio d’Europa nel quadro del progetto per un Quadro europeo comune di riferimento per l’insegnamento delle lingue. Comunque in una situazione di L2, in cui l’italiano viene acquisito per scopi diversissimi e viene usato in situazioni disparate, il problema della certificazione è ancora un problema aperto. da P:E.Balboni, Dizionario di glottodidattica, Perugia, Guerra, 1999. Torna al paragrafo 11.4.1 • Coppie minime Le coppie minime sono costituite da parole che si differenziano per un solo fonema: ad esempio, per l'opposizione tra /n/ e la corrispondente geminata /n:/ possiamo avere pena-penna, sano-sanno, sono-sonno ecc. Si fanno ripetere prima pena, sano, sono, ecc.; poi penna, sanno, sonno, ecc.; poi le opposizioni pena/penna, ecc. • Drammatizzazione Forma di simulazione che non concede agli attori alcuna libertà, trattandosi di recitare (leggendo oppure a memoria) un testo predisposto dal manuale, dall'insegnante o dalla classe stessa. In quest'ultima variante, un gruppo può essere invitata a predisporre il testo drammatico partendo da testi di altro tipo, ad esempio da testi narrativi quali favole o racconti della cultura d’origine: così facendo gli allievi apprendono a suddividere un testo nelle varie situazioni e a caratterizzare dal punto di vista sociolinguistico i vari personaggi in base ai loro ruoli sociali, culturali e psicologici. Se viene registrata e poi analizzata insieme agli allievi, la drammatizzazione consente di lavorare in profondità sulle competenze fonologica, paralinguistica e sull’intonazione. • Ripetizione regressiva L'allievo ascolta e ripete una frase che è stata spezzata nei suoi sintagmi, i quali vengono proposti a partire dall'ultimo ricostruendo, stimolo dopo stimolo, l'intera frase (esempio: "con me?", "al cinema con me?", "vieni al cinema con me?"). La ripetizione regressiva serve a fissare le curve intonative. Se si chiedesse la ripetizione di una frase completa l'intonazione verrebbe difficilmente colta dall'allievo; se invece si segmentasse la frase e si proponessero i sintagmi dal primo in poi, ad ogni nuova aggiunta l'intonazione cambierebbe; ripetendo invece a ritroso, la curva intonativa rimane costante. Torna al paragrafo 11.4.2 • Esercizi strutturali Rientrano in questa categoria anzitutto i pattern drills dell'approccio strutturalista, ma anche altre forme di esercizi elaborate in ambito comunciativo. I pattern drills constano di una batteria di stimoli seguiti da uno spazio vuoto in cui l'allievo deve fornire la risposta, che viene poi confermata o corretta; bstano una decina di item per fissare, di solito, una struttura minima, su cui si può tornare più girni di seguito finchè non sia pienamente fissata. Le versioni più comunicative degli esercizi strutturali evitano di concentrare l’attenzione su elementi morfosintattici o su paradigmi lessicali e includono invece atti comunicativi, spesso inseriti in microsituazioni: ad esempio, se si chiede agli studenti di mettersi in fila dal più giovane al più vecchio, ciascuno dovrà dire più volte la propria data di nascita e comprendere quella di tutti gli altri, fissando in tal modo i numeri, i mesi, le date. Gli esercizi strutturali, ripetitivi, spesso monotoni, privi di valenza comunicativa, risultano fortemente demotivanti e vanno usati con parsimonia. • Tecniche di manipolazione Sono tutte quelle attività che si aprono con la consegna "Volgere al..." oppure "Sostituire la forma ... con ...", e così via. Sono attività caratterizzate dal fatto di operare al livello delle strutture di superficie e al di fuori di uno scopo comunicativo: la lingua viene vista solo in quanto forma, indipendentemente dalla sua valenza pragmatica e dalla componente socio-culturale. Queste tecniche operano di solito sull'aspetto morfosintattico e sono molto precise nell'individuare un aspetto grammaticale e nel focalizzare l'attenzione dell'allievo su quello specifico punto. Si tratta di attività ripetitive, spesso monotone, prive di valenza comunicativa, e risultano fortemente demotivanti e vanno usati con parsimonia. Torna al paragrafo 11.4.2 Il meccanismo di base è quello che mira a creare dei campi semantici completi, perché l’immagazzinamento mnemonico del lessico avviene per sistemi e non per elementi isolati. Sono esempi di campi semantici i colori, gli aggettivi di dimensione, le nozioni di tempo, e così via. Il gioco a coppie è una vera e propria gara, in cui l’insegnante lancia la parola iniziale e poi, uno per volta, gli studenti rilanciano aggiungendo una parola dello stesso campo. Ripetuto a distanza di qualche giorno, lo stesso gioco può far notare se c’è stata sistematizzazione del campo lessicale trattato. Torna al paragrafo 11.4.2 Secondo la teoria di Stephen Krashen, la prima delle condizioni perché ci sia acquisizione linguistica è che l’input sia collocato al gradino che nell'ordine naturale di acquisizione (che definiremo sotto) si trova immediatamente dopo l'input acquisito fino a quel momento. Si tratta dell’applicazione krasheniana (quindi, come molte delle indicazioni di questo glottodidatta americano, è costruita un po’ ad effetto, con una logica di semplificazione quasi giornalistica) di una nozione psicologica che Vygotsky chiama area di sviluppo potenziale e che in Bruner troviamo come zone of proximal development: è la distanza tra la parte di un compito che una persona è già in grado di eseguire e il livello potenziale cui può giungere nel tentativo di compiere la parte restante del compito, distanza che può percorrere da solo, sotto la guida di una persona più esperta (un magister, qualcuno che è magis, “di più”), dialogando con i pari, assistito dalle risorse Krashen descrive questo principio secondo la formula “i+1”: - i = la parte del compito linguistico o comunicativo che si è già in grado di eseguire sulla base della competenza “acquisita” - + 1 = l’area di sviluppo potenziale. Krashen inserisce i vari scalini “i+1” lungo l’ordine naturale d'acquisizione, cioè la successione degli elementi linguistici nella sequenza di acquisizione; le conseguenze possibili sono due: - se noi prendiamo un elemento a caso della sequenza, tutti gli elementi che vengono prima di quel punto sono condizione necessaria per poterlo acquisire - se il punto i+1 compare nell'input reso comprensibile, il fatto di aver già acquisito gli elementi precedenti è condizione sufficiente perché l'acquisizione del nuovo avvenga, purché il filtro affettivo sia aperto (vedi sotto). Anche se Krashen non ne parla, questa ipotesi rimanda alla nozione di interlingua, secondo cui la lingua viene appresa secondo un procedimento a spirale che procede per approssimazioni successive alla lingua-obiettivo. All’inizio si attua un processo di pidginizazione, di ipersemplificazione che permette una comunicazione rudimentale, poi piano piano si procede a risistemare quanto si sa e a incremetarlo in quantità e qualità: non si può dire che uno studente straniero sa o non sa l’italiano, si può solo dire che l’interlingua di quello studente oggi è configurata in un certo modo, che è unico ed originale nei suoi pregi e problemi. Torna al paragrafo 11.4.3 Intendiamo due possibili figure: l’insegnante di classe che si occupa degli immigrati, ma soprattutto l’insegnante incaricato del laboratorio di italiano L2. La loro funzione non è tanto quella di “insegnare”, di proporre contenuti, schemi, riflessioni, descrizioni, quanto piuttosto quella di guidare l’immigrato nel suo processo di scoperta dell’italiano, della sua logica interna, delle sue regole, delle sue “follie” morfologiche (quale studente potrà da solo scoprire che “da” indica moto da luogo, moto a luogo, moto per luogo?). Von Humbolt diceva che “non si possono insegnare le lingue, si possono creare le condizioni perché qualcuno le apprenda”: l’insegnante di italiano L2 crea queste condizioni, dà l’aiuto che serve nel momento che serve, osserva quello che gli studenti sanno e lo sistematizza, assegna ulteriori compiti di osservazione da svolgere nelle ore extra-scolastiche, registra nella scheda individuale i progressi del singolo studente e li commenta con lui, funge da punto di riferimento per i colleghi di altre discipline. Torna al paragrafo 11.6 Tutti i docenti dell’intero consiglio di classe sono docenti di italiano L2. Il fatto che ci sia un insegnante di italiano L2 non esime tutti dall’insegnare le loro discipline facendo attenzione a rendere comprensibile l’input che viene dato, nelle spiegazioni come nelle pagine dei manuali; né permette ai docenti di altre discipline di sorvolare su errori frequenti, da correggere in tempo reale ripetendo l’enunciato corretto ed eventualmente chiedendo alla classe di spiegare il perché dell’errore del compagno straniero. È fondamentale evitare un atteggiamento di delega al collega di italiano, da un lato, ed evitare di procedere in maniera scoordinata dagli altri: se, ad esempio, il collega di italiano L2 ha abituato gli studenti stranieri a riassumere evidenziando anzitutto le parole chiave e poi gerarchizzando le varie informazioni, anche i colleghi di scienze o storia o geografia dovrebbero far riassumere usando la stessa procedura, in modo da non creare un’ulteriore confusione nella mente già confusa di un ragazzino che si trova a dover imparare affrettatamente una lingua seconda. Torna al paragrafo 11.6 Il mediatore linguistico e culturale (un madrelingua straniero che ha vissuto l’esperienza dell’immigrazione) è una figura fondamentale nei primi momenti dell’integrazione di uno studente immigrato, ma non deve divenire - né un alibi per esimere gli insegnanti italiani dagli interventi sia estemporanei sia sistematici - né un iperprotettivo “possessore” del ragazzo straniero, restio ad affidarlo alla cura del Consiglio di Classe quando la sua funzione di prima accoglienza e di primo inserimento è esaurita. Il mediatore in realtà ha una funzione culturale più che linguistica, quindi interagisce poco con i docenti; ma può diventare interessante, se ha una funzione presso la comunità d’origine (ad esempio aiuta a fare compiti, a studiare, ecc., i gruppi di ragazzini immigrati, anche se appartenenti a più scuole e classi), se agisce in raccordo con gli insegnanti di italiano L2, dei quali può diventare un collaboratore che raddoppia fuori della scuola le scarse ore di italiano L2 che si possono fare in una scuola. Inoltre il mediatore può coinvolgere le famiglie sia spiegando la logica dei “compiti a casa”, qualunque cosa si intenda con questa espressione, sia nello spingere le madri (spesso casalinghe) a frequentare il laboratorio linguistico della scuola dei figli se si decide di lavorare anche sulle famiglie. Il “facilitatore” è una figura diversa: è un italiano, talvolta laureato nella lingua di provenienza degli studenti stranieri (ma la cosa, ancorché ottimale, non è indispensabile), che gestisce un laboratorio di italiano L2 nella scuola (in tal caso i ragazzini possono essere sottratti alla classe durante la mattina, oppure frequentare il laboratorio nel pomeriggio) o che addirittura partecipa al lavoro in classe, affiancando il ragazzino straniero. Il facilitatore deve agire in modo raccordato con il docente responsabile dell’italiano L2, rappresentandone un prolungamento operativo, restituendogli feedback sulle performance, le lacune, i successi del ragazzo straniero. E’ necessaria dunque un’interazione continua tra docente, che dà le linee guida, e facilitatore che le rispetta, perché va rispettata la mente di un ragazzo in difficoltà. Per questa ragione, piuttosto che un’ora completamente dedicata ad un ragazzo può essere preferibile lavorare 55 minuti con lo studente e confrontarsi 5 minuti con il docente, epr avere indicazioni e ritornargli informazioni. Torna al paragrafo 11.6 Perché lasciare che un ragazzino straniero interrompa continuamente le lezioni per chiedere ripetizioni e spiegazioni quando queste gli possono essere date, senza disturbare nessuno, da suoi compagni appositamente “nominati” tutori per un giorno o per una settimana? In questo modo, la quantità di interruzioni diminuisce (e quindi anche la protesta delle famiglie italiane che vedono nell’immigrato un rallentamento al lavoro della classe), ma soprattutto i problemi vengono filtrati e giungono all’insegnante solo quelli che il compagno italiano non è stato in grado di risolvere. Un esempio può chiarire questo meccanismo: a. un bambino straniero dice “lui vedi” e l’italiano gli corregge “lui vede”, magari opponendo “tu vedi, lui vede”: il problema non disturba la classe e viene risolto b. un bambino straniero dice “la gente vanno via”, l’italiano corregge il verbo; ma all’osservazione dello straniero “una persona va, la gente sono tanti, e allora la gente vanno”… o l’italiano ha elaborato il concetto di collettivo, o deve rivolgersi al docente: ma allora questi risponde al problema degli italiani, non solo del bambino straniero. Responsabilizzare i compagni come tutor temporanei ha quindi una funzione di selezione delle interruzioni, che vengono effettuate solo quando significative per italiani e stranieri insieme; se si propone anche una sorta di tutorato extrascolastico, ad esempio chiedendo a un tutor-compagno di invitare il ragazzino straniero a fare i compiti insieme un pomeriggio, si ottiene di far conoscere all’immigrato una casa italiana, un modo di vivere italiano – e di far filtrare nella case degli italiani un bambino straniero vero, con tanto di nome cognome occhioni e sorriso, non più l’idea astratta e paurosa degli “immigrati”. Torna al paragrafo 11.6 I compagni della stessa lingua d’origine rappresentano un problema, se la lingua d’origine diventa un rifugio continuo di fronte ad ogni difficoltà; ma i compagni della stessa etnia possono diventare una risorsa se li si coinvolge nel fare i compiti insieme, nel ragionare insieme sull’italiano, in una logica di didattica collaborativa. Molto più interessante è la presenza di compagni di altre lingue d’origine: l’italiano diventa una lingua obbligata per l’interazione, la correzione reciproca diventa interessantissima: ciascuno con un suo errore può evidenziare competenze parziale degli altri o, per converso, può far emergere il fatto che uno di loro ha già elaborato una data “regola” di cui l’insegnante altrimenti non si sarebbe accorto. Abbiamo evidenziato, sopra, “didattica collaborativa”: è una dimensione obbligata visto che si lavora con ragazzi che condividono lo stesso problema, l’acquisizione dell’italiano, e che quindi possono condividere strategie e risultati. Non ha senso l’osservazione “mettere insieme ragazzi di più origini e che sanno poco l’italiano significa produrre uno scambio di modelli scorretti, di errori”: se è vero che si possono scambiare anche errori (ma l’insegnante o il facilitatore linguistico sono lì per correggere…), è anche vero che per la maggior parte della sua giornata il ragazzo straniero può accedere a italiano parlato da madrelingua – compagni, docenti, televisione, amici – e quindi non saranno gli errori nelle ore di laboratorio di italiano L2 a rovinare la sua acquisizione. Quello che conta è il fatto che, oltre che errori e modelli scadenti, gli studenti immigrati messi insieme si scambiano anche strategie d’acquisizione. E questo risultato è tale da bloccare ogni obiezione… Torna al paragrafo 11.6 Non è compito di questo modulo affrontare l’argomento sul piano socio-pedagogico, ma solo in ordine alle procedure per facilitare e migliorare l’acquisizione dell’italiano L2. In questo senso l’osservazione è duplice: a. da un lato, parte dell’attività dello studente si svolge a casa: occorre chiarire (direttamente o attraverso i mediatori culturali) alle famiglie cosa sono i “compiti”, che ruolo di stimolo e controllo possono svolgere i genitori, i fratelli maggiori – quanto meno, garantire che facciano i “compiti”, qualunque cosa si intenda sotto l’ombrello di questo termine abusato b. dall’altro, si possono affiancare le famiglie nel processo di acquisizione guidata. Perché mai il laboratorio di italiano L2 non potrebbe funzionare per un’ora per le madri che accompagnano i ragazzini, all’inizio dell’orario della scuola? Perché l’ultima mezz’ora prima del ritiro dei bambini non può essere dedicata ad altre madri? In questo modo il processo di acquisizione viene condiviso tra madri e figli, con un evidente incremento della motivazione e della possibilità di riflessione comparativa tra lingua d’origine e italiano. Torna al paragrafo 11.6 AA.VV., Approccio alla lingua italiana per allievi stranieri, Torino, Teorema, 2000 1. G. FAVERO, In viaggio dentro al nuova lingua 2. E. BETTINELLO, L’organizzazione della scuola 3. G. BARZANO’, Accogliere gli alunni stranieri in una scuola “internazionale” 4. A. VILLARINI, L’apprendimento spontaneo dell’italiano 5. P.E. BALBONI, Approccio alla lingua italiana per allievi stranieri 6. M.C.LUISE, Metodologia glottodidattica per bambini 7. P.E.BALBONI, Problemi interculturali 8. F. DELLA PUPPA, L’allievo di origine araba 9. B. D’ANNUNZIO, L’allievo di origine cinese 10. E. DIZDARI e R. TRIOLO, L’allievo di origine albanese 11. S. TUCCIARONE, Gli adulti nelle scuole carcerarie 12. G.PALLOTTI, Favorire la comprensione dei testi scritti 13. AA.VV., Tipologia dei materiali didattici 14. P.E.BALBONI, La formazione dei docenti 15. M. SERRA, Il cinema e la formazione interculturale Torna al paragrafo 11.8 BALBONI P.E., Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino, UTET Libreria, 1998 1. Le tecniche glottodidattiche TECNICHE PER LO SVILUPPO DELLE ABILITA’ LINGUISTICHE 2. Una mappa delle abilità linguistiche 3. Le abilità ricettive 4. Le abilità produttive 5. Tecniche per le abilità di dialogo 6. Le abilità di lavoro sui testi TECNICHE PER L’ACQUISIZIONE DELLE “REGOLE” 7. Le regole: dall’ipotesi all’impiego 8. La fissazione e il reimpiego delle regole 9. Tecniche per la riflessione sulla lingua LE TECNICHE IN CLASSE 10. Le tecniche nel contesto dell’unità didattica 11. Repertorio ragionato delle tecniche glottodidattiche Torna al paragrafo 11.8 BALBONI P.E., Le sfide di Babele:insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, UTET Libreria, 2002 Lasciamo per esteso l’indice del capitolo di approfondimento per quanto esposto in questo modulo. 1. Insegnare le lingue in una società complessa 2. Un approccio interdisciplinare 3. Gli “attori” del processo glottodidattico 4. I “contenuti” del processo glottodidattico 5. L’interazione tra i componenti del processo glottodidattico 6. I modelli operativi comuni a tutte le situazioni glottodidattiche 6.1 Il curricolo 6.1.1 L’analisi dei bisogni 6.1.2 I fini dell’insegnamento delle lingue 6.1.3 Indicazioni per la programmazione 6.1.4 Indicazioni per la realizzazione in classe 6.1.5 Indicazioni per la valutazione dei risultati e del curricolo stesso 6.2 Dai curricoli bidimensionali ai curricoli tridimensionali 6.3 I modelli della tradizione: dalla conversazione con il filosofo alla lezione con il rètore 6.4 I modelli ereditati dal 20° secolo 6.4.1 L’unità di apprendimento 6.4.2 L’unità didattica 6.5 Il modulo 7. Gli strumenti comuni a tutte le situazioni 8 Due tipi di testo comuni a molti corsi di lingue: i testi letterari e quelli microlinguistici 9. Le lingue per il bambino: dai 3 ai 10 anni 10. Le lingue per gli adolescenti: dagli 11 ai 18 anni 11. Le lingue per l’adulto nelle università, nelle aziende e in altre istituzioni 12. L’uso veicolare della lingua straniera per insegnare altre discipline 13. L’italiano come lingua seconda per gli immigrati 14. Le lingue “seconde” nelle regioni bilingui APPENDICI A. Principali approcci e metodi del 20° secolo B. Un repertorio delle principali tecniche didattiche Torna al paragrafo 11.8 CAON F. e S. RUTKA, Insegnare l’italiano giocando: principi e materiali per una didattica ludica, Perugia, Guerra, 2003 CORNICE TEORICA 1 La glottodidattica ludica: presupposti teorici 1.1 L’ approccio umanistico- affettivo 1.2 Le teorie costruttiviste 1.3 Alcune indicazioni ministeriali 1.4 Motivazione e glottodidattica ludica 2 La glottodidattica ludica: natura, fondamenti e finalità 2.1 Cos’è la glottodidattica ludica 2.2 I giochi per apprendere la lingua 2.3 Il gioco tra cooperazione e competizione 2.4 Classificazione e tipologie di giochi 2.5 Glottodidattica ludica per bambini 2.6 Glottodidattica per preadolescenti ed adolescenti 3 la glottodidattica ludica a scuola: l’organizzazione del contesto ludico 3.1 L2 e Ls: differenze e affinità tra i due contesti di insegnamento 3.2 La Glottodidattica ludica per la LS e per la L2 3.3 Lo studente non italofono come risorsa per la classe 3.4 L’organizzazione e gestione della classe 3.5 Ruolo dell’insegnante 3.6 Centralità del rapporto docente discente 3.7 dalla parte degli insegnanti 3.8 la glottodidattica ludica nella scuola elementare: un’esemplificazione 3.9 la glottodidattica ludica nella scuola media inferiore: un’esemplificazione 3.10 la glottodidattica ludica nella scuola superiore: un’esemplificazione 3.11 glottodidattica ludica e valutazione ATTIVITA’ PER LA CLASSE Tecniche per l’applicazione di una glottodidattica ludica Torna al paragrafo 11.8 CAON F. e B. D’ANNUNZIO, Il Laboratorio di italiano L2: progettazione, attività, gestione, Perugia, Guerra, 2003 COORDINATE TEORICHE 1. Natura del Lab oratorio di Italiano L2 1.1 Che cos’è il laboratorio di italiano L2 1.2 L’organizzazione esterna del laboratorio 1.2.1 Rapporto con gli enti finanziatori 1.2.2 Rapporto con la scuola 1.2.3 Il laboratorio nel protocollo d’accoglienza 1.2.4 Rapporto con la commissione intecultura 1.2.5 La comunicazione con la famiglia 1.2.6 Il laboratorio scolastico 1.2.7 Il laboratorio extrascolastico 1.3 l’organizzazione interna del laboratorio 1.3.1 Come si lavora in laboratorio: l’unità d’apprendimento 1.3.2 L’organizzazione spaziale del laboratorio 1.3.3 L’apprendente al centro del laboratorio 1.3.4 Le tipologie del laboratorio 1.3.5 Punti critici della classe plurilingue e plurilivello 1.3.6 Le risorse del laboratorio (umane, materiali) 1.3.7 Integrare il laboratorio nella programmazione della scuola 1.3.8 La valutazione 2 Strumenti specifici 2.1 Scheda per la rilevazione dei dati 2.2 Biblio-sitografia ragionata MATERIALI PER IL LABORATORIO esempi di unità di apprendimento per elementari, medie e superiori Torna al paragrafo 11.8 Celentin P. e R. Dolci (a cura di) La formazione di base del docente di italiano, Roma, Bonacci, 2003 Parte I – Coordinate teoriche Cap. 1 BALBONI P. E. Per una didattica umanistico-affettiva dell’italiano Cap. 2 DOLCI R. La figura e la formazione dell’insegnante di italiano LS Parte II – Approccio all’insegnamento dell’italiano a stranieri Cap. 3 SANTIPOLO M. Sociolinguistica applicata e didattica dell’italiano come LS Cap. 4 BRUGE’ L. La grammatica e il suo insegnamento Cap. 5 CANEPARI L. e PANDOLFI M. E. La fonetica dell’italiano e il suo insegnamento Cap. 6 PAVAN E. La cultura e la civiltà italiane e il loro insegnamento in una prospettiva interculturale Cap. 7 CARDONA M. Il Lexical Approach e i processi della memoria: alcune convergenze Parte III – Metodi e tecniche Cap. 8 Cap. 9 Cap. 10 Cap. 11 Cap. 12 Cap. 13 Cap. 14 Cap. 15 Cap. 16 Cap. 17 LUISE M. C. Insegnare italiano all’estero: cenni per una glottodidattica a misura di bambino ZAMBORLIN C. Italiano come LS per adulti: coordinate didattiche di riferimento SPINELLI B. L’utilizzo dei materiali autentici nell’insegnamento dell’italiano come LS ANGELINO M. Lo sviluppo delle abilità produttive BALLARIN E. Lo sviluppo delle abilità ricettive MINELLO R. La valutazione degli apprendimenti linguistici DE LUCHI M. La Ricerca – Azione PELIZZA G. La letteratura nella classe di lingua BEGOTTI P La didattica delle microlingue SERRAGIOTTO G. L’italiano come lingua veicolare: insegnare una disciplina attraverso l’italiano Parte IV – Strumenti e supporti per l’insegnamento Cap. 18 BIRAL M. Indicazioni per l'analisi di manuali per l'insegnamento dell'italiano LS Cap. 19 TORRESAN P. L’utilizzo del video nella didattica dell’italiano LS Cap. 20 CELENTIN P. Software nella didattica dell’italiano LS Cap. 21 MEZZADRI M. Internet per la didattica dell’italiano LS Parte V – La formazione continua Cap. 22 DOLCI R. e CELENTIN P. L’importanza della formazione permanente Cap. 23 RAPACCIUOLO M.A. L’offerta formativa per i docenti di italiano LS Cap. 24 SALVALAGGIO M. L’offerta editoriale per i docenti di italiano LS PARTE VI - Le istituzioni e i casi Cap. 25 VASSILLI S. Le istituzioni e le leggi. La figura dell’insegnante di italiano all’estero Cap. 26 CIULLI C. e CIURLI S. Italiano LS all’Università: la Koç University di Istanbul Cap. 27 MARZORATI A.M. Corsi di lingua e cultura. ABC ovvero istruzioni per l’uso (livello medio, Svizzera) Cap. 28 SANTAGATI S. La scuola statale italiana di Barcellona Cap. 29 WINKLER N. L’insegnamento dell’italiano LS nelle scuole tedesche Cap. 30 PANDOLFI M.E. Italiano LS all’instituto superior del Profesorado “Joaquín V. González” di Buenos Aires 31 DA ROLD M. L’insegnamento dell’italiano LS all’Istituto Italiano di Cultura di Madrid: insieme per migliorare Torna al paragrafo 11.8 FAVARO G., Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, Firenze, La Nuova Italia, 2002 1. I bambini dell’immigrazione a scuola 2. Il contesto di apprendimento. Le modalità organizzative della sucola 3. Modelli di apprendimento e riferimenti teorici 4. Come si impara l’italiano L2 5. L’italiano “su misura” 6. Le parole per dire. 7. Le parole per studiare 8. La valutazione formativa 9. Gli alunni cinesi, arabofoni, albanesi e ispanofoni 10. Abitare la lingua 11. Glossario Torna al paragrafo 11.8