Classe di Italiano UGO FOSCOLO IIS STRADIVARI Capitolo 1 LA VITA Fase 3 dal 1798- è in esilio tra Milano e Bologna. Qui comincia a scrivere le ultime lettere di Jacopo Ortis, che però vengono terminate senza il suo consenso e pubblicate nel 1799, mentre lui è in guerra. Nel 1799 a Firenze conosce Isabella Roncioni, che è già promessa sposa ma ha una storia con lui, ispirando così il personaggio di Teresa nell'Ortis. Riassunto Fase 1-Ugo Niccolò Foscolo nasce nel 1778 a Zacinto, un'isola greca che era sotto il controllo della Repubblica di Venezia. Il padre è un medico che è costretto a viaggiare spesso. Ugo inizia a studiare a Spalato e la sua infanzia è felice: conserverà sempre un ricordo molto intenso di questo periodo di grande libertà e di formazione. Dal 1800 è a Milano, dove ha una relazione con Antonietta Fagnoni, a cui dedica un'ode molto famosa (all'amica risanata). Si dedica anche alla stesura finale delle Ultime Lettere, che pubblica nel 1802. Nel 1803, pubblica la maggior parte dei suoi sonetti. Uno dei sonetti è dedicato alla morte del fratello, suicidatosi nel 1801, forse a causa di una accusa di furto. Fase 2 -Quando muore il padre, nel 1788, si vede costretto a seguire la madre che cerca rifugio dai parenti veneziani del marito. Qui comincia a frequentare scuole di un certo livello, ma è poco incline alla vita da studente modello, quindi decide di frequentare i "salotti letterari" molto frequenti all'epoca, dove gli aristocratici più illuminati e gli studiosi dell'epoca si ritrovano per confrontare le proprie idee. Conosce Isabella Teotochi Albrizzi, di cui si innamora, e altri importanti letterati come Pindemonte e Cesarotti. La sua prima grande opera è la tragedia "Tieste", modellata su quelle di Vittorio Alfieri. Nel 1796, all'arrivo di Napoleone in Italia, Foscolo coglie l'occasione di partecipare attivamente alla liberazione della sua patria dal giogo austriaco, arruolandosi nell'esercito napoleonico. Nel 1797, dopo il trattato di Campoformio, Foscolo è costretto all'esilio e la sua fiducia in Napoleone comincia a vacillare. Fase 4- dal 1804 è nel nord della Francia al seguito di Napoleone, traduce dall'inglese il Viaggio Sentimentale di Sterne. Scrive una premessa in cui afferma che l'autore della traduzione è un certo Didimo Chierico, alter ego nuovo rispetto a Ortis, questa volta caratterizzato da una grande dose di ironia e distacco. Intanto conosce Sophie Hamilton, dalla quale ha una figlia che alcuni anni dopo incontrerà. Fase 5- Nel 1806, approfittando della debolezza degli austriaci, torna a Venezia. Qui incontra l'amico Ippolito Pindemonte col quale discute della funzione delle tombe, in polemica con l’editto di Saint-Cloud. Inizia la redazione dei Sepolcri. Nel 1808 è a Pavia, chiamato dall'università per tenere il cor2 so di letteratura italiana. La sua collaborazione dura poco, perché il corso viene chiuso per mancanza di fondi e contrasti politici. Nel 1810 si trasferisce a Milano dove frequenta i letterati più in vista, come Vincenzo Monti, ma resta deluso dalla loro arrendevolezza nei confronti del potere. Nel 1812 è a Firenze dove inizia a scrivere il poema neoclassico intitolato Le Grazie. Quando finisce l'epoca napoleonica nel 1815, l'Austria offre a Foscolo la possibilità di restare e collaborare, ma lui rifiuta e si trasferisce in Inghilterra. Fase 6- dal 1816 al 1827, anno della morte, lavora sempre più intensamente per mantenersi, ma il suo stile di vita si abbassa progressivamente. Scrive traduzioni, saggi critici, articoli. Nel 1871 la sua salma viene sepolta in Santa Croce. 3 SEZIONE 1 Biografia (approfondimento) Niccolò Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green, Londra, 10 settembre 1827) è stato un famoso poeta italiano. Nacque da Diamantina Spathis e Andrea Foscolo (chirurgo di Vascello e dal 1874 direttore dell'ospedale di Spalato), ebbe una sorella e due fratelli, entrambi morti suicidi. A' generosi Giusta di gloria dispensiera è morte. ❖ Celeste è questa | corrispondenza di amorosi sensi, | celeste dote è negli umani. ❖ Il disprezzare non è da tutti. ❖ Sol chi non lascia eredità d'affetti | Poca gioia ha dell'urna. ❖ E noi, pur troppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte La morte del padre, nel 1788, lasciò la famiglia in difficoltà economiche. Lasciò l'isola natale, con i fratelli minori, nel 1792, per raggiungere la madre a Venezia. L'indigenza impedì al giovane di frequentare studi regolari ma, come autodidatta, egli assimilò una vastissima cultura. ❖ Venezia apparve a Ugo, come una vera patria, ricca di vita intellettuale, fervida di novità e generosa di insospettate occasioni; gli offrì, nello spazio di pochi anni, curiosità ed entusiasmo letterario, facile successo amoroso con la bellissima contessa Isabella Teotochi. La contessa amava circondarsi di uomini di lettere: Ippolito Nievo volle chiamarla Temira, dal nome dell'eroina del Tempio di 4 Cnido di Montesquieu, e con quel nome, Foscolo la ricorderà nell'abbozzo Sesto tomo dell'io, quale esperta introduttrice ai misteri dell'amore e attenta, allo stesso tempo, nel non lasciarsi intrappolare in una passione troppo esclusiva. segretario della Municipalità, riprese le sue esortazioni con l'ode Ai novelli repubblicani «contro il furore della licenza prima motrice di tirannia», composta proprio nell'ottobre in cui Napoleone Bonaparte cedeva Venezia all'Austria nel Trattato di Campoformio. Arrivarono i primi successi letterari, prima il poemetto La giustizia e la pietà, commissionatogli per celebrare il reggente di Chioggia, poi la tragedia Tieste (rappresentata per la prima volta nel 1797). Questo "tradimento" costrinse Foscolo a rifugiarsi a Milano, chiedendo la cittadinanza della Repubblica Cisalpina. Ottenne l'incarico di redigere le relazioni dell'Assemblea legislativa sul Monitore Italiano, soppresso dopo pochi mesi (vi conobbe Parini e Monti). S’invaghì senza fortuna di Teresa Pichler, moglie di Vincenzo Monti, e fu spinto persino ad un tentativo di suicidio. Partì per Bologna, forse anche per sfuggire a quel ricordo, dove trovò impiego in tribunale, collaborò al Monitore Bolognese e al Genio Democratico, pubblicò un'opera di ampio respiro: Ultime lettere di Jacopo Ortis . Sostenitore delle idee rivoluzionarie venute dalla Francia, Foscolo divenne sospetto al governo della Serenissima e, nel 1796, dovette rifugiarsi sui colli Euganei, dove pose mano, secondo la moda romantica del tempo, ad un romanzo epistolare: Laura e dove compose una tragedia di ispirazione alfieriana: il Tieste. Nei sonetti dello stesso periodo compaiono i primi motivi dell'opera foscoliana. Allontanatosi da Venezia, Foscolo si recò a Bologna, dove si arruolò tra i "cacciatori italiani" della Repubblica Cispadana. Altro piccolo trionfo è l'ode A Bonaparte liberatore, pubblicata nel maggio 1797 a spese della città di Bologna. Con la vittoria di Napoleone a Marengo (1800), Foscolo tornò a Milano dove fu nominato capitano ed inviato in Toscana. Qui conobbe Isabella Roncioni, già fidanzata al marchese Bartolomei. Tale situazione gli ispirò molte pagine dell'Ortis. Tornato a Milano, il poeta si innamorò di Antonietta Arese Fagnani, per la quale scrisse All'amica risanata, seconda ode celebrativa della bellezza, nella quale la Fagnani diviene dea e la Bellezza appare come unico ristoro della vita infelice. Una breve traccia-programma stesa nel 1796, ed intitolata Piano di studi ci conferma la serietà degli interessi politici, oltre che letterari, che animavano il Foscolo. L'esercito austro-russo invase l'Italia settentrionale, e lui si arruolò come ufficiale, combattendo a Cento, alla Trebbia, a Novi, a Genova assediata. La disgrazia sopravvenuta ad una L'estate del 1797, vide la caduta della Repubblica di San Marco, e il ritorno di Foscolo a Venezia, dove assume la carica di 5 bella signora, gli ispirò A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. Continuò a combattere al Forte Due Fratelli e al Colle della Coronata, seguì il generale Pino in Toscana. rievocazione dell'antica armonia della poesia, che perpetua nei secoli figure, passioni e miti, fu il sogno che Foscolo perseguì fino alla morte. Si insediò alla cattedra di eloquenza italiana all'Università di Pavia, con l'orazione inaugurale Dell'origine e dell'ufficio della letteratura nella quale ribadiva il valore civile delle lettere come banditrici della verità. Tra il 1801 e il 1802, a Milano, eseguì il rifacimento di Ultime lettere di Jacopo Ortis e dove fu sottoposto alla violentissima passione per Antonietta Fagnani Arese, di cui rimane a testimonianza All'amica risanata e un fremente epistolario. Il suo non allineamento con i potenti, gli fece perdere l'insegnamento, a questo si unirono altri problemi, il mancato matrimonio con Franceschina Giovio, lo scontro con il Monti (si trattò di un malinteso, essendo stata erroneamente attribuita la Foscolo la stroncatura di un poemetto didascalico di un poeta amico del Monti), il fiasco dell'"Aiace", inducendolo a ritirarsi a Firenze (1812). Nel 1813 pubblico la traduzione Viaggio sentimentale di Yorick e la Notizia intorno a Didimo Chierico oltre ad una terza tragedia, la Ricciarda, e il carme Le Grazie. Altri lavori lo impegnarono, l'abbozzo di un romanzo autobiografico, l'orazione per il congresso di Lione, gli otto Sonetti (pubblicati nel 1802), la traduzione ed il commento alla Chioma di Berenice di Catullo, testimonianza della ricca cultura del poeta. Tra il 1804 ed il 1806, Foscolo visse in Francia, come capitano del corpo di spedizione che avrebbe dovuto sbarcare in Inghilterra, nel frattempo studiò l'inglese ed ebbe una relazione con Fanny Emeritt, una signora inglese dalla quale ebbe una figlia, Mary (Floriana). Durante il soggiorno in Francia, Foscolo scrisse l'epistola in versi al Monti e tradusse il Viaggio sentimentale di Yorik di Sterne. Nel 1813, dopo la sconfitta napoleonica a Lipsia, Foscolo tornò a Milano ed indossò nuovamente la divisa, agli ordini di Eugenio Beauharnais. Il 6 aprile 1814, Napoleone abdicò ed il giorno seguente il Beauharnais concluse l'armistizio ed il Regno Italico cadde. Il maresciallo austriaco Bellgarde assicurò Foscolo della propria amicizia e lo inviò a fondare un giornale letterario. Nel 1815, Foscolo, che nel frattempo aveva preparato il programma del giornale, avrebbe dovuto, come ex ufficiale, indossare la divisa austriaca; per evitare di servire il governo austriaco il poeta partì in volontario esilio. Non avrebbe mai più rivisto l'Italia. Nel 1806, con lo scioglimento del corpo di spedizione, poté ritornare a Milano, dove, un intento di critica al governo, gli ispirò Dei sepolcri. Nello stesso anno pubblicò l'"esperimento di traduzione dell'Iliade", in cui sono raffrontate le traduzioni del primo canto realizzate da Foscolo, Cesarotti e Monti. La 6 Si recò quindi in Svizzera, fermandosi a Zurigo, dove ristampò l'Ortis, pubblicò i Vestigi della storia del sonetto italiano e condusse a termine l'Ipercalisse contro i propri nemici (Didymi Clerici prophetae minimi hypercalipses liber singularis, pubblicato in 104 copie di cui dodici con le chiavi delle allusioni) ed i Discorsi delle servitù d'Italia (incompiuti). Verifica 1.1 la vita Domanda 1 di 3 Foscolo pubblica i suoi sonetti nel Nel 1816, essendo ricercato come disertore, lasciò la Svizzera e raggiunse Londra, dove sperò di aver trovato fama e riposo. Presto sopravvennero difficoltà economiche, ed egli, per superarle, cominciò a collaborare ad alcune riviste letterarie inglesi. L'opera maggiore del periodo inglese è Lettere scritte dall'Inghilterra, scritto noto anche come Gazzettino del bel mondo. Notevole fu l'attività critica, di cui sono testimonianze i quattro Saggi sopra il Petrarca (1821) ed il Discorso sul testo della commedia di Dante (1825). A Londra il poeta ritrovò la figlia naturale Floriana (Mary) che lo assistette fino alla morte, avvenuta nel 1827 a Turnham Green presso Londra. A. 1801 B. 1798 C. 1802-3 D. 1806 Verifica risposta 7 SEZIONE 2 Opere Riassunto La personalità 1- Foscolo è il nuovo modello di letterato: non è un cortigiano, è libero, patriota combattente, lavora per vivere. 2- la letteratura e i letterati hanno una funzione civile, come aveva insegnato Parini. 3- eroe romantico: esilio (viaggia continuamente), tanti amori, costruzione del personaggio (bello di fama e di sventura). 4- inquietudine: Foscolo convive con due caratteri: Ortis (romanticismo, infelicità) Didimo (distacco e ironia). ORTIS 1802 1- le ultime lettere di Jacopo Ortis sono, appunto, lettere scritte da Foscolo che si basa su modelli precedenti di romanzi epistolari, ma prendono anche spunto da un fatto di cronaca, il suicidio dello studente Jacopo Ortis, nel quale Foscolo si identifica. 8 Il romanzo è costituito da 67 lettere che il giovane Ortis manda a un amico, Lorenzo Alderani, il quale alla morte del giovane decide di pubblicarle. La particolarità è che mancano le risposte di Lorenzo, che però si intuiscono dalle parole di Ortis. All'interno delle ultime lettere di Jacopo Ortis c'è un motivo fondamentale dato dalla delusione storica, Jacopo si sente "tradito" dal suo tempo sia dal punto di vista politico che amoroso: politico, per via di Napoleone che cede il nord Italia agli austriaci; amoroso, a causa del suo amore ricambiato ma impossibile per una donna già promessa ad altro uomo. nel 1804 Napoleone emana l'editto di Saint-Cloud, che stabilisce che le tombe e i cimiteri siano spostati fuori dalle città e le lapidi siano tutte uguali e senza nome. All'inizio Foscolo è d'accordo, ma poi dopo aver discusso con l'amico Ippolito Pindemonte, cambia idea e per convincere l'amico e i lettori delle sue idee, scrive questa lettera in versi, di 295 endecasillabi sciolti (senza uno schema di rime preciso) Si può dividere in 4 parti: 1-90, 91-150,151-217, 218-295. In sostanza, Foscolo ritiene che i sepolcri non siano utili ai morti, perché la loro vita cessa con la morte e non esiste un aldilà. Per i vivi invece le tombe sono importanti perché permettono di mantenere vivo l'amore che provavano per il morto. Inoltre le tombe dei grandi sono fondamentali per educare i popoli. Questo romanzo ha un grande successo all'epoca per via della sua attualità e modernità. 2- le lettere ci presentano la figura tipica dell'eroe romantico: - sconfitta, vede nella storia solo una decadenza, la politica si basa su odio e tradimento, la società è denaro ed egoismo, la natura che è governata da leggi meccaniche e che quindi non ha un senso logico per l'uomo. Nonostante questo l'eroe romantico ha un cuore che lo spinge a sognare, mentre la ragione lo costringe alla distruzione delle illusioni del cuore. LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS La prima edizione completa è del 1802 (la prima stesura è del ‘96) e ad essa seguiranno altre due edizione, una zurighese del ‘16 e una londinese del ’17. E’ un’opera che accompagnerà il Foscolo per tutta la vita e in cui egli mise molto di se stesso; dunque, per quanto sia eccentrica ed estranea al resto della sua produzione, non è affatto un’opera marginale. 3- all'interno del romanzo sono presenti 2 temi paralleli, l'amore (innamoramento e delusione conseguente) e la politica (logica e annientamento dei sogni del giovane) con la delusone amorosa. Singolarità: il romanzo non si conforma affatto alla formula winkelmanniana, anzi è prodotto di un sentire preromantico; ricalca, infatti, il Werther di Goethe, capolavoro dello Sturm und Drang (“assalto e tempesta”). Il distacco dal neoclassicismo è pertanto una scelta e non un limite. I Sepolcri 9 La critica parla di pensieri ingorgati riferendosi allo stile drammatico e teso che ricalca lo slancio passionale e tragico della narrazione. Isabellina, da Isabella Roncioni amata da Foscolo successivamente. Inoltre, nel primo Ortis, Teresa aveva le fattezze della Pikler, ma nell’edizione successiva, pur mantenendo il nome, somiglierà alla Roncioni. Modelli e influenze: nell’opera predomina l’influenza Goethiana, ma lo stesso Foscolo mette in evidenza l’originalità del proprio romanzo in una lettera di accompagnamento a una copia dell’Ortis inviata al Goethe: la componente politica ha per il Foscolo la priorità su tutti gli altri temi; anche il Werther in realtà aveva un fondamento politico, per quanto implicito: infatti contestava i modelli e la morale della società borghese (Fontini). Tipologia: si tratta di un romanzo epistolare, un genere inventato nel ‘700 in relazione alla messa in valore del sentimento. Tra le strutture possibili, corrispondenza di un solo personaggio o di molti, il Foscolo sceglie la prima su imitazione del Goethe. È anche un romanzo di formazione, un genere di successo sia durante il Romanticismo sia prima, nella letteratura borghese settecentesca. E’ molto presente anche la voce dell’Alfieri (tanto che il Fubini ha definito il romanzo come una tragedia alfieriana in prosa), l’autore che aveva perseguito eccentricamente un culto anarchico della libertà e di cui il Foscolo amava il “forte sentire”. Anche l’Ortis lotta contro ogni forma di tirannide, quella politica, quella costituita dalla grettezza del costume e della morale borghese, e soprattutto quella del vivere: il suicidio del protagonista è un atto di protesta contro l’ineluttabile destino di dolore e morte della vita dell’uomo. Tuttavia l’eroe solitario dell’Alfieri è superato dal personaggio foscoliano che cerca di attuare i suoi ideali nell’incontro con gli uomini e con la storia. Personaggi: nel Werther i personaggi erano, oltre al protagonista, Carlotta, la donna amata, e Alberto, il promesso sposo che rappresenta il perfetto borghese, composto ma arido. Nell’Ortis, oltre al destinatario Lorenzo Alderani, Teresa e Odoardo sono il calco dei suddetti, ma compare un quarto personaggio, quello di Isabellina. Si sentono anche gli echi di Rousseau (in particolare de “La nuova Eloisa”), il più singolare tra i filosofi illuministi, che aveva posto l’accento sui sentimenti e aveva individuato la sua utopia nello stato di natura: secondo lui, per primo il sen- Una testimonianza della traccia autobiografica dell’opera sono proprio i nomi femminili: il nome di Teresa è preso da quella Teresa Pickler per Foscolo aveva litigato con Monti; 10 timento si ribella alle ingiustizie della società presente, in seguito subentra l’impegno razionale. Elementi fondamentali: nella poesia devono essere necessariamente presenti due componenti : 1) il passionato, ovvero il contenuto sentimentale; 2) il mirabile, cioè l’armamentario formale di artifici retorici di cui il poeta deve servirsi per esprimere in una forma letterariamente decorosa il proprio passionato. In esso rientra, secondo il Foscolo neoclassico, anche tutto il repertorio di immagini classiche e mitologiche. Una poesia raggiunge nobile semplicità e calma grandezza quando il passionato è filtrato dal mirabile in modo che anche la passione più forte sia presentata in modo dignitoso. Altri autori di cui si sente l’influenza sono Macchiavelli e Hobbes per quanto riguarda la politica, l’illuminista Holbac, a cui il Foscolo deve la sua concezione materialistico-sensistica del mondo, visto come movimento di materia senza fine e senza scopo. Autobiografia ideale: per quanto l’opera sia in gran parte costruita con materiale autobiografico, bisogna precisare che il Foscolo non è completamente identificato col protagonista; sempre esiste uno iato tra la personalità dell’autore e il personaggio creato (o anche il narratore). La divergenza più significativa comunque si ritrova nel rapporto con la politica; l’Ortis è un politicamente puro, che di fronte al tradimento di napoleone recide ogni rapporto col tiranno e preferisce il suicidio al disimpegno; al contrario Foscolo continuò a militare nell’esercito napoleonico per quanto profondamente deluso. All’Ortis suicida si contrappone il Foscolo collaborazionista. Funzioni: Foscolo indica le principale funzioni della poesia in quella 1) consolatoria (l’uomo, incapace di dare un senso alla sua esistenza e travolto dalle passioni, trova consolazione nella poesia che descrive la bellezza e l’armonia dell’universo) e in quella 2) oratoria (la poesia deve celebrare e persuadere gli uomini ai più alti valori). La funzione forse più importante, implicita nelle precedenti, è comunque quella 3) civilizzatrice: la poesia eterna i valori umani e celebra la bellezza e l’armonia e con ciò spinge gli uomini futuri ad imitare e sentir propri questi valori. OPERE DI POETICA I due scritti di poetica del Foscolo (“Dell’Origine e dell’Uffizio della letteratura”, orazione di apertura per l’inaugurazione dell’anno accademico a Milano; “I Principi di Critica poetica” del periodo londinese), benché collocati in diversi periodi della sua vita individuano le stesse caratteristiche fondamentali. ODI E SONETTI Si conforma ai canoni neoclassici l’opera poetica del Foscolo, che si lascia alle spalle la suggestione Sturmundranghiana dell’Ortis. Nonostante ciò la conquista della nobile semplicità e della calma grandezza non è immediata: i Sonetti pisani, con11 temporanei dell’Ortis, tendono a dare un’espressione violenta e poco filtrata dal punto di vista formale dei propri sentimenti; la disperazione “urlata” dell’Ortis è voluta e conforme al genere, ma i componimenti poetici in questo periodo avrebbero dovuto assecondare maggiormente i canoni del neoclassicismo, per cui il prevalere del passionato sul mirabile appare come una stonatura. vietato le sepolture in chiesa, i monumenti funebri e le iscrizione su ciascuna tomba (editto di Saint Cloud). Foscolo, a causa del suo materialismo, all’inizio era favorevole al provvedimento e in proposito aveva avuto un dibattito con Ippolito Pindemonte, un letterato cattolico; dopo essersi ravveduto scrive questo carme dedicandolo proprio a Pindemonte. La critica ha definito i sepolcri come una oratio grandis a causa dei suoi toni solenni e del contenuto politico. I Sonetti Milanesi e le Odi invece sono prove poeticamente più riuscite, se si tiene conto della formula del Winkelmann. Sistema delle Illusioni: le illusioni sono per il Foscolo dei valori a cui manca un fondamento di tipo razionale e che però sono necessarie per dare un senso alla vita dell’uomo; riprende in ciò la filosofia di Vico che scrisse soprattutto per opporsi al massimo razionalista, Cartesio, e che stabilisce il sistema delle certezze, che poi sono le illusioni foscoliane (la conoscenza del Vico nell’Italia del Nord proviene dagli esuli napoletani sfuggiti alle persecuzioni borboniche del 1799 per la caduta della repubblica partenopea). Il mezzo attraverso il quale il Foscolo riesce a conciliare profondità di sentimenti e nobile semplicità è il sistematico ricorso all’immaginario mitico e il calco di versi classici. La critica parla di riassorbimento del passionato nel mirabile e di processo di liberazione attraverso l’immagine. Nel sonetto “In Morte del fratello Giovanni”, Foscolo calca i versi di Catullo (come il Monti nell’ode “A Teresa Pikler”) per parlare di se stesso; nell’ode “All’Amica Risanata” e nell sonetto “A Zacinto” parla di temi autobiografici e di valori che gli stanno molto a cuore (bellezza e patria) attraverso il sistematico ricorso al mito. CARME DEI SEPOLCRI Tipologia: i “Sepolcri” sono un carme, ovvero un componimento di poesia lirica, di circa 300 versi; poichè hanno un destinatario, inoltre, rientrano nel genere dell’epistola metrica. Pretesto: il suo scopo è quello di contrastare il provvedimento illuminista già in vigore in Austria e in Francia, che avrebbe 12 Funzione politica: nei “Sepolcri” si parla di una di questa illusioni, quella del culto dei morti. Esso diviene importante non perché serva in qualche modo ai morti, ma perché è utile a chi rimane in vita: se il vivo è convinto che l’unico modo per sopravvivere alla morte sia il ricordo, sarà spinto a comportarsi bene per ottenere meriti presso familiari, amici e società e pertanto essere ricordato. L’opera fu cominciata tra il ’12 e il ’13, in un periodo molto sereno trascorso nella villa di Bellosguardo (Firenze) ospite di alcune amicae del Foscolo (Eleonora Nencini, Cornelia Martinetti,. L’occasione gli fu fornita dalla notizia che il Canova stava sbalzando il gruppo marmoreo delle tre grazie. Lavorò moltissimo su quest’opera anche quando tornò a Milano (ora sotto gli Austriaci), poi a Zurigo nel ’16, e a Londra nel ’17. Nonostante ciò rimase incompleta e priva di una struttura definitiva (questo costituisce una crux per i filologi). In questo senso il culto dei morti ha un’importanza civile e politica, in quanto motore della civilizzazione: per soddisfare un desiderio irrazionale l’uomo compie azioni meritorie che innalzano praticamente il livello di civiltà. Argomento: Benché non manchino alcuni brevi ma incisivi riferimenti all’attualità, l’opera è tutta incentrata sul mito: tre Grazie vengono mandate sulla terra per civilizzare attraverso le arti belle (scultura, pittura, architettura, musica, letteratura) gli uomini, che sono ai primordi dei bruti (influsso filosofico di Vico e Lucrezio). Il Foscolo insiste nel dire che l’ispirazione del suo carme non è religiosa (come quella de “I Cimiteri” del Pindemonte e della poesia sepolcrale inglese) ma politica. Stile desultorio: il Guillon accusa il carme Dei Sepolcri di desultorietà, ovvero di essere poco lineare e di omettere passaggi logici fondamentali. Foscolo risponde dicendo che il procedere di tipo analogico (per richiami di somiglianza) è uno dei capi saldi del genere lirico cui il carme appartiene; il poeta lirico non è obbligato a spiegare con chiari snodi logici il suo ragionamento. Si parla in proposito di salti pindarici. Per garantire la sua tesi Foscolo fa riferimento ad un’opera in cui Orazio afferma che la poesia lirica “transvolat in medio posita”. Contenuto politico: La dimensione mitica che avvolge tutto il poemetto ha tratto in inganno la critica per molti anni: si era interpretata come un’opera disimpegnata poiché non c’era nessuna battaglia evidente contro qualche problema di attualità; è stato anche detto che per un’opera del LE GRAZIE 13 genere fosse facile e quindi meno meritorio rispettare la formula winkelmanniana. Oggi la critica la pensa diversamente: le Grazie celebrano valori universali che rendono un popolo civile e non può pertanto essere considerata un’opera di evasione, benché slegata dall’attualità politica. Didimo ideale del Foscolo maturo, e descritto come colui che sente si le passioni ma “come calore di fiamma lontana”. Si parla di opera “politica” in senso etimologico, in quanto celebra i valori che stanno alla base della polis; in questo senso le grazie sono portatrici di una politica trascendentale, che trascende perciò quella della contingenza. NOTIZIA INTORNO A DIDIMO CHIERICO L’Influenza dello Stern: l’opera deve molto alla traduzione del “Viaggio Sentimentale” dello Stern: in questa opera lo scrittore inglese fa un resoconto brillante ed ironico del suo viaggio in Italia. Come diario di viaggio è estremamente anomalo, in quanto mai si fa riferimento a un qualche luogo o monumento visto, ma si riferisce con dovizia di particolari degli incontri umani. Il Foscolo apprende pertanto l’ironia e l’autoironia, un atteggiamento indispensabile per attuare quel distacco dalle proprie passioni che garantisce un esito winkelmanniano della poesia. Nell’introduzione alla traduzione il Foscolo inserisce un breve autoritratto celandosi nella figura di Didimo Chierico, il nuovo alterego foscoliano; confrontandolo con l’Ortis i due personaggi sembrano l’uno il contrario dell’altro. 14 Capitolo 2 SELEZIONE TESTI Alla sera Autoritratto A Zacinto In morte al fratello Giovanni Alcune lettere dall’Ortis I sepolcri stori. Scintillavano tutte le stelle, e mentr’io salutava ad una ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuore s’innalzava come se aspirasse ad una regione più sublime assai della terra. Mi sono trovato su la montagnuola presso la chiesa: suonava la campana de’ morti, e il presentimento della mia fine trasse i miei sguardi sul cimiterio dove ne’ loro cumuli coperti di erba dormono gli antichi padri della villa: - Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce - umana sorte! men felice degli altri chi men la teme. - Spossato mi sdrajai boccone sotto il boschetto de’ pini, e in quella muta oscurità, mi sfilavano dinanzi alla mente tutte le mie sventure e tutte le mie speranze. Da qualunque parte io corressi anelando alla felicità, dopo un aspro viaggio pieno di errori e di tormenti, mi vedeva spalancata la sepoltura dove io m’andava a perdere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita. E mi sentiva avvilito e piangeva perché avea bisogno di consolazione - e ne’ miei singhiozzi io invocava Teresa Dalle ultime lettere 2 6 O t t o b r e La ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te ne ringrazio. La trovai seduta miniando il proprio ritratto. Si rizzò salutandomi come s’ella mi conoscesse, e ordinò a un servitore che andasse a cercar di suo padre. Egli non si sperava, mi diss’ella, che voi sareste venuto; sarà per la campagna; né starà molto a tornare. Una ragazzina le corse fra le ginocchia dicendole non so che all’orecchio. È un amico di Lorenzo, le rispose Teresa, è quello che il babbo andò a trovare l’altr’jeri. Tornò frattanto il signor T***: m’accoglieva famigliarmente, ringraziandomi che io mi fossi sovvenuto di lui. Teresa intanto, prendendo per mano la sua sorellina, partiva. Vedete, mi diss’egli, additandomi le sue figliuole che uscivano dalla stanza; eccoci tutti. Proferì, parmi, queste parole come se volesse farmi sentire che gli mancava sua moglie. Non la nominò. Si ciarlò lunga pezza. Mentr’io stava per congedarmi, tornò Teresa: Non siamo tanto lontani, mi disse; venite qualche sera a veglia con noi. Io tornava a casa col cuore in festa. - Che? lo spettacolo della bellezza basta forse ad addormentare in noi tristi mortali tutti i dolori? vedi per me una sorgente di vita: unica certo, e chi sa! fatale. Ma se io sono predestinato ad avere l’anima perpetuamente in tempesta, non è tutt’uno? 1 4 M a g g i o , a s e r a O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potuto continuare: mi sento un po’ calmato e torno a scriverti. - Teresa giacea sotto il gelso - ma e che posso dirti che non sia tutto racchiuso in queste parole? Vi amo. A queste parole tutto ciò ch’io vedeva mi sembrava un riso dell’universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cielo, e mi parea ch’egli si spalancasse per accoglierci! deh! a che non venne la morte? e l’ho invocata. Sì; ho baciato Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento un odore soave; le aure erano tutte armonia; i 1 3 m a g g i o Jer sera appunto dopo più di due ore d’estatica contemplazione d’una bella sera di Maggio, io scendeva a passo a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non sentiva che il canto della villanella, e non vedeva che i fuochi de’ pa16 rivi risuonavano da lontano; e tutte le cose s’abbellivano allo splendore della Luna che era tutta piena della luce infinita della Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nella gioja di due cuori ebbri di amore - ho baciata e ribaciata quella mano - e Teresa mi abbracciava tutta tremante, e trasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore palpitava su questo petto: mirandomi co’ suoi grandi occhi languenti, mi baciava, e le sue labbra umide, socchiuse mormoravano su le mie ahi! che ad un tratto mi si è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorella e s’alzò correndole incontro. Io me le sono prostrato, e tendeva le braccia come per afferrar le sue vesti ma non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgomentava: sentiva e sento rimorso di averla io primo eccitata nel suo cuore innocente. Ed è rimorso - rimorso di tradimento! Ahi mio cuore codardo! - Me le sono accostato tremando. - Non posso essere vostra mai! - e pronunciò queste parole dal cuore profondo e con una occhiata con cui parea rimproverarsi e quasi per consolarmi, all’astro di Venere: era anch’esso sparito. Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de’ zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a’ miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animali generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co’ pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne’ nostri petti la sola virtù utile a’ mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro dell’infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale. Adesso che l’anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell’avvenire compiangermi. Accompagnandola lungo la via, non mi guardò più; né io avea più cuore di dirle parola. Giunta alla ferriata del giardino mi prese di mano la Isabellina e lasciandomi: Addio, diss’ella; e rivolgendosi dopo pochi passi, - addio. Io rimasi estatico: avrei baciate l’orme de’ suoi piedi: pendeva un suo braccio, e i suoi capelli rilucenti al raggio della Luna svolazzavano mollemente: ma poi, appena appena il lungo viale e la fosca ombra degli alberi mi concedevano di travedere le ondeggianti sue vesti che da lontano ancor biancheggiavano; e poiché l’ebbi perduta, tendeva l’orecchio sperando di udir la sua voce. - E partendo, mi volsi con le braccia aperte, 4 d i c 9 8 Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della città sotto un boschetto di tigli. 17 Egli si sosteneva da una parte sul mio braccio, dall’altra sul suo bastone: e talora guardava gli storpj suoi piedi, e poi senza dire parola volgevasi a me, quasi si dolesse di quella sua infermità, e mi ringraziasse della pazienza con la quale io lo accompagnava. S’assise sopra uno di que’ sedili ed io con lui: il suo servo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio più dignitoso e più eloquente ch’io m’abbia mai conosciuto; e d’altronde un profondo, generoso, meditato dolore a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e per la nuova licenza. Le lettere prostituite; tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione: non più la sacra ospitalità, non la benevolenza, non più l’amore figliale - e poi mi tesseva gli annali recenti, e i delitti di tanti uomiciattoli ch’io degnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d’animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di quegli animosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque e’ si vedano presso il patibolo - ma ladroncelli, tremanti, saccenti - più onesto insomma è tacerne. - A quelle parole io m’infiammava di un sovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore. - Egli mi guardò attonito: gli occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spaventosi, e il mio dimesso e pallido aspetto si rialzò con aria minaccevole - io taceva, ma si sentiva ancora un fremito rumoreggiare cupamente dentro il mio petto. E ripresi: Non avremo salute mai? ah se gli uomini si conducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sì vilmente. - Il Parini non apria bocca; ma stringendomi il braccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse, come accen- nandomi perch’io tornassi a sedermi: E pensi, tu, proruppe, che s’io discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta della mia inferma vecchiaja in questi vani lamenti? o giovine degno di patria più grata! se non puoi spegnere quel tuo ardore fatale, ché non lo volgi ad altre passioni? Allora io guardai nel passato - allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io errava sempre nel vano e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla; e conobbi tutta tutta la disperazione del mio stato. Narrai a quel generoso Italiano la storia delle mie passioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que’ genj celesti i quali par che discendano a illuminare la stanza tenebrosa di questa vita. E alle mie parole e al mio pianto, il vecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo. - No, io gli dissi, non veggo più che il sepolcro: sono figlio di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi sembrò di vederla calcare tremando le mie pedate e seguirmi fino a sommo il monte, donde io stava per diruparmi, e mentre era quasi con tutto il corpo abbandonato nell’aria - essa afferravami per la falda delle vesti, e mi ritraeva, ed io volgendomi non udiva più che il suo pianto. Pure s’ella - spiasse tutti gli occulti miei guai, implorerebbe ella stessa dal Cielo il termine degli ansiosi miei giorni. Ma l’unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare la libertà della patria. - Egli sorrise mestamente; e poiché s’accorse che la mia voce infiochiva, e i miei sguardi si abbassavano immoti sul suolo, ricominciò: - Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma - credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l’altro quarto a’ loro delitti. Pur se ti reputi baste18 volmente fortunato e crudele per aspirare a questa gloria, pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questo giogo della nostra patria non ti hanno per anco insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero? Chiunque s’intrica nelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia. Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù. E allora? avrai tu la fama e il valore di Annibale che profugo cercava per l’universo un nemico al popolo Romano? - Né ti sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze, ed incauto d’ingegno quale sei tu, sarà sempre o l’ordigno del fazioso, o la vittima del potente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturno della calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da’ tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro. - Ma poniamo che tu superando e la prepotenza degli stranieri e la malignità de’ tuoi concittadini e la corruzione de’ tempi, potessi aspirare al tuo intento; di’? spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica? arderai le tue case con le faci della guerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi le fortune? ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come tiranno. Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall’intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l’onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi, convie- ne o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna reprimere in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tua superiorità, e della conoscenza del comune avvilimento? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; e per pochi anni di possanza e di tremore, avresti perduta la tua pace, e confuso il tuo nome fra la immensa turba dei despoti. Ti avanza ancora un seggio fra’ capitani; il quale si afferra per mezzo di un ardire feroce, di una avidità che rapisce per profondere, e spesso di una viltà per cui si lambe la mano che t’aita a salire. Ma - o figliuolo! l’umanità geme al nascere di un conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza di sorridere su la sua bara. - Tacque - ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: O Cocceo Nerva! tu almeno sapevi morire incontaminato.[4] - Il vecchio mi guardò - Se tu né speri, né temi fuori di questo mondo - e mi stringeva la mano - ma io! - Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisionomia si raddolciva di soave conforto, come s’ei lassù contemplasse tutte le tue speranze. - Intesi un calpestio che s’avanzava verso di noi; e poi travidi gente fra’ tiglj; ci rizzammo; e l’accompagnai sino alle sue stanze. Dei Sepolcri All'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro? Ove piú il Sole 19 per me alla terra non fecondi questa bella d'erbe famiglia e d'animali, e quando vaghe di lusinghe innanzi a me non danzeran l'ore future, né da te, dolce amico, udrò piú il verso e la mesta armonia che lo governa, né piú nel cor mi parlerà lo spirto delle vergini Muse e dell'amore, unico spirto a mia vita raminga, qual fia ristoro a' dí perduti un sasso che distingua le mie dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte? Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve tutte cose l'obblío nella sua notte; e una forza operosa le affatica di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe e l'estreme sembianze e le reliquie della terra e del ciel traveste il tempo. Ma perché pria del tempo a sé il mortale invidierà l'illusïon che spento pur lo sofferma al limitar di Dite? Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l'armonia del giorno, se può destarla con soavi cure nella mente de' suoi? Celeste è questa corrispondenza d'amorosi sensi, celeste dote è negli umani; e spesso per lei si vive con l'amico estinto e l'estinto con noi, se pia la terra che lo raccolse infante e lo nutriva, nel suo grembo materno ultimo asilo porgendo, sacre le reliquie renda dall'insultar de' nembi e dal profano piede del vulgo, e serbi un sasso il nome, e di fiori odorata arbore amica le ceneri di molli ombre consoli. Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna; e se pur mira dopo l'esequie, errar vede il suo spirto fra 'l compianto de' templi acherontei, o ricovrarsi sotto le grandi ale del perdono d'lddio: ma la sua polve lascia alle ortiche di deserta gleba ove né donna innamorata preghi, né passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura. Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti contende. E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia, che a te cantando nel suo povero tetto educò un lauro con lungo amore, e t'appendea corone; e tu gli ornavi del tuo riso i canti 20 che il lombardo pungean Sardanapalo, cui solo è dolce il muggito de' buoi che dagli antri abdüani e dal Ticino lo fan d'ozi beato e di vivande. O bella Musa, ove sei tu? Non sento spirar l'ambrosia, indizio del tuo nume, fra queste piante ov'io siedo e sospiro il mio tetto materno. E tu venivi e sorridevi a lui sotto quel tiglio ch'or con dimesse frondi va fremendo perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio cui già di calma era cortese e d'ombre. Forse tu fra plebei tumuli guardi vagolando, ove dorma il sacro capo del tuo Parini? A lui non ombre pose tra le sue mura la città, lasciva d'evirati cantori allettatrice, non pietra, non parola; e forse l'ossa col mozzo capo gl'insanguina il ladro che lasciò sul patibolo i delitti. Senti raspar fra le macerie e i bronchi la derelitta cagna ramingando su le fosse e famelica ululando; e uscir del teschio, ove fuggia la luna, l'úpupa, e svolazzar su per le croci sparse per la funerëa campagna e l'immonda accusar col luttüoso singulto i rai di che son pie le stelle alle obblïate sepolture. Indarno sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti non sorge fiore, ove non sia d'umane lodi onorato e d'amoroso pianto. Dal dí che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi all'etere maligno ed alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri destina. Testimonianza a' fasti eran le tombe, ed are a' figli; e uscían quindi i responsi de' domestici Lari, e fu temuto su la polve degli avi il giuramento: religïon che con diversi riti le virtú patrie e la pietà congiunta tradussero per lungo ordine d'anni. Non sempre i sassi sepolcrali a' templi fean pavimento; né agl'incensi avvolto de' cadaveri il lezzo i supplicanti contaminò; né le città fur meste d'effigïati scheletri: le madri balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono nude le braccia su l'amato capo del lor caro lattante onde nol desti 21 il gemer lungo di persona morta chiedente la venal prece agli eredi dal santuario. Ma cipressi e cedri di puri effluvi i zefiri impregnando perenne verde protendean su l'urne per memoria perenne, e prezïosi vasi accogliean le lagrime votive. Rapían gli amici una favilla al Sole a illuminar la sotterranea notte, perché gli occhi dell'uom cercan morendo il Sole; e tutti l'ultimo sospiro mandano i petti alla fuggente luce. Le fontane versando acque lustrali amaranti educavano e vïole su la funebre zolla; e chi sedea a libar latte o a raccontar sue pene ai cari estinti, una fragranza intorno sentía qual d'aura de' beati Elisi. Pietosa insania che fa cari gli orti de' suburbani avelli alle britanne vergini, dove le conduce amore della perduta madre, ove clementi pregaro i Geni del ritorno al prode cne tronca fe' la trïonfata nave del maggior pino, e si scavò la bara. Ma ove dorme il furor d'inclite gesta e sien ministri al vivere civile l'opulenza e il tremore, inutil pompa e inaugurate immagini dell'Orco sorgon cippi e marmorei monumenti. Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, decoro e mente al bello italo regno, nelle adulate reggie ha sepoltura già vivo, e i stemmi unica laude. A noi morte apparecchi riposato albergo, ove una volta la fortuna cessi dalle vendette, e l'amistà raccolga non di tesori eredità, ma caldi sensi e di liberal carme l'esempio. A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta. Io quando il monumento vidi ove posa il corpo di quel grande che temprando lo scettro a' regnatori gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue; e l'arca di colui che nuovo Olimpo alzò in Roma a' Celesti; e di chi vide sotto l'etereo padiglion rotarsi piú mondi, e il Sole irradïarli immoto, onde all'Anglo che tanta ala vi stese sgombrò primo le vie del firmamento: - Te beata, gridai, per le felici 22 aure pregne di vita, e pe' lavacri che da' suoi gioghi a te versa Apennino! Lieta dell'aer tuo veste la Luna di luce limpidissima i tuoi colli per vendemmia festanti, e le convalli popolate di case e d'oliveti mille di fiori al ciel mandano incensi: e tu prima, Firenze, udivi il carme che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco, e tu i cari parenti e l'idïoma désti a quel dolce di Calliope labbro che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma d'un velo candidissimo adornando, rendea nel grembo a Venere Celeste; ma piú beata che in un tempio accolte serbi l'itale glorie, uniche forse da che le mal vietate Alpi e l'alterna onnipotenza delle umane sorti armi e sostanze t' invadeano ed are e patria e, tranne la memoria, tutto. Che ove speme di gloria agli animosi intelletti rifulga ed all'Italia, quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi venne spesso Vittorio ad ispirarsi. Irato a' patrii Numi, errava muto ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo desïoso mirando; e poi che nullo vivente aspetto gli molcea la cura, qui posava l'austero; e avea sul volto il pallor della morte e la speranza. Con questi grandi abita eterno: e l'ossa fremono amor di patria. Ah sí! da quella religïosa pace un Nume parla: e nutria contro a' Persi in Maratona ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi, la virtú greca e l'ira. Il navigante che veleggiò quel mar sotto l'Eubea, vedea per l'ampia oscurità scintille balenar d'elmi e di cozzanti brandi, fumar le pire igneo vapor, corrusche d'armi ferree vedea larve guerriere cercar la pugna; e all'orror de' notturni silenzi si spandea lungo ne' campi di falangi un tumulto e un suon di tube e un incalzar di cavalli accorrenti scalpitanti su gli elmi a' moribondi, e pianto, ed inni, e delle Parche il canto. Felice te che il regno ampio de' venti, Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi! E se il piloto ti drizzò l'antenna oltre l'isole egèe, d'antichi fatti certo udisti suonar dell'Ellesponto i liti, e la marea mugghiar portando alle prode retèe l'armi d'Achille sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi 23 giusta di glorie dispensiera è morte; né senno astuto né favor di regi all'Itaco le spoglie ardue serbava, ché alla poppa raminga le ritolse l'onda incitata dagl'inferni Dei. E me che i tempi ed il desio d'onore fan per diversa gente ir fuggitivo, me ad evocar gli eroi chiamin le Muse del mortale pensiero animatrici. Siedon custodi de' sepolcri, e quando il tempo con sue fredde ale vi spazza fin le rovine, le Pimplèe fan lieti di lor canto i deserti, e l'armonia vince di mille secoli il silenzio. Ed oggi nella Troade inseminata eterno splende a' peregrini un loco, eterno per la Ninfa a cui fu sposo Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio, onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta talami e il regno della giulia gente. Però che quando Elettra udí la Parca che lei dalle vitali aure del giorno chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove mandò il voto supremo: - E se, diceva, a te fur care le mie chiome e il viso e le dolci vigilie, e non mi assente premio miglior la volontà de' fati, la morta amica almen guarda dal cielo onde d'Elettra tua resti la fama. - Cosí orando moriva. E ne gemea l'Olimpio: e l'immortal capo accennando piovea dai crini ambrosia su la Ninfa, e fe' sacro quel corpo e la sua tomba. Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto cenere d'Ilo; ivi l'iliache donne sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando da' lor mariti l'imminente fato; ivi Cassandra, allor che il Nume in petto le fea parlar di Troia il dí mortale, venne; e all'ombre cantò carme amoroso, e guidava i nepoti, e l'amoroso apprendeva lamento a' giovinetti. E dicea sospirando: - Oh se mai d'Argo, ove al Tidíde e di Läerte al figlio pascerete i cavalli, a voi permetta ritorno il cielo, invan la patria vostra cercherete! Le mura, opra di Febo, sotto le lor reliquie fumeranno. Ma i Penati di Troia avranno stanza in queste tombe; ché de' Numi è dono servar nelle miserie altero nome. E voi, palme e cipressi che le nuore piantan di Priamo, e crescerete ahi presto di vedovili lagrime innaffiati, 24 Alla sera proteggete i miei padri: e chi la scure asterrà pio dalle devote frondi men si dorrà di consanguinei lutti, e santamente toccherà l'altare. Proteggete i miei padri. Un dí vedrete mendico un cieco errar sotto le vostre antichissime ombre, e brancolando penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne, e interrogarle. Gemeranno gli antri secreti, e tutta narrerà la tomba Ilio raso due volte e due risorto splendidamente su le mute vie per far piú bello l'ultimo trofeo ai fatati Pelídi. Il sacro vate, placando quelle afflitte alme col canto, i prenci argivi eternerà per quante abbraccia terre il gran padre Oceàno. E tu onore di pianti, Ettore, avrai, ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finché il Sole risplenderà su le sciagure umane. Forse perché della fatal quïete Tu sei l'imago a me sì cara vieni O sera! E quando ti corteggian liete Le nubi estive e i zeffiri sereni, E quando dal nevoso aere inquïete Tenebre e lunghe all'universo meni Sempre scendi invocata, e le secrete Vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme che vanno al nulla eterno; e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme Delle cure onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge. Sonetti 25 A Zacinto In morte al fratello Giovanni Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de' tuoi gentil anni caduto. Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque La Madre or sol suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo e sol da lunge i miei tetti saluto. cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch'io nel tuo porto quiete. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta. ❖ Parafrasi sepolcri Il sonno della morte è forse meno doloroso all’ombra dei cipressi e nei sepolcri su cui i parenti possono piangere i loro morti? 26 Quando il Sole per me non feconderà più la terra con le belle specie di piante e di animali, e quando il futuro davanti a me non ci sarà più, ricco di lusinghe, né potrò più udire, dolce amico, la tua poesia malinconica, né più sentirò nel cuore l’ispirazione poetica e il sentimento d’amore, unico alimento per la mia vita di esule, quale risarcimento per i giorni perduti potrà mai costruire una pietra tombale che distingua le mie ossa da tutte le altre che la morte dissemina in terra e in mare? E’ proprio vero, Pindemonte! Anche la Speranza, ultima Dea, abbandona i sepolcri; e la dimenticanza avvolge ogni cosa nelle tenebre della notte; il tempo muta l’uomo, i sepolcri, le spoglie e ciò che resta della terra e del cielo. Ma perché l’uomo dovrà privarsi prima del tempo dell’illusione che seppur morto possa tuttavia soffermarsi sulla soglia del regno dei morti? Non vive anche egli sotto terra, quando la bellezza del mondo sarà per lui cessata, se può destare l’illusione di sopravvivenza con il ricordo dei teneri affetti nella mente dei suoi cari? Questa corrispondenza di affetti tra i defunti e i vivi è un dono celeste; e spesso attraverso di essa si continua a vivere con l’amico morto, e il morto continua a vivere con noi, a condizione che la terra pietosa che lo accolse e lo nutrì da bambino, offrendogli nel suo grembo materno l’ultimo rifugio, renda inviolabili i suoi resti dagli oltraggi degli agenti atmosferici e dal sacrilegio piede del volgo, e una lapide conservi il nome, e un albero amico, profumato di fiori consòli le ceneri con la dolce ombra. Solo chi non lascia affetti tra i vivi ha poco conforto nella tomba; e se pure immagina ciò che accadrà dopo i funerali, vede il suo spirito vagare nel pianto nelle regioni d’Acheronte, o rifugiarsi sotto le grandi ali del perdono di Dio; ma le sue ceneri lasciano alle ortiche in una deserta terra dove né una donna innamorata verrà a pregare, né un passante solitario potrà udire il sospiro che la natura manda dalla tomba. Tuttavia una nuova legge oggi impone che i sepolcri siano posti fuori dagli sguardi pietosi, e toglie la possibilità di nomi sulle tombe. E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia (poesia), il quale cantando per te nella sua povera casa fece crescere una pianta d’alloro con amore costante, e ti offriva serti di fiori; e tu rendevi bella con la tua ispirazione la poesia che criticava il nobile lombardo (Sardanapalo) per il quale è gradito solo il muggito dei buoi che, provenendo dalle rive dell’Adda e del Ticino, lo rendono beato di ozi e di cibi. Oh bella Musa, dove sei? Non sento il profumo dell’ambrosia, che indica la presenza della musa, fra questi tigli dove io sto seduto sospirando per la mia patria lontana. E tu venivi e gli sorridevi sotto quel tiglio che ora con le fronde intristite sembra fremere perché non ricopre, o Dea, la tomba del vecchio a cui già aveva profuso calma e ombra. Forse tu fra le tombe comuni stai vagando ansiosamente per cercare dove sia sepolto il capo sacro del tuo Parini? A lui la città corrotta compensatrice di cantanti evirati, non ha dedicato una tomba ombrosa, non una lapide, non un’epigrafe; e forse insanguina le ossa di Parini il capo mozzato di un ladro che è stato giustiziato sul patibolo per i suoi delitti. Senti raspare tra le tombe ridotte a macerie e gli sterpi la cagna randagia che vaga tra le fosse, latrando per la fame; e uscire dal teschio, dove si era rintanata per sfuggire la luna, l’upupa e svolazzare tra le croci sparse nel cimitero di 27 campagna, e senti l’immondo uccello rimproverare con il suo verso lugubre i raggi che pietosamente le stelle inviano alle sepolture dimenticate. Invano sulla tomba del tuo poeta, o Dea, invochi gocce di rugiada dalla squallida notte. Ahi! Sui morti non sorgono fiori, se il morto non viene onorato dalle lodi umane e dal pianto amoroso. Filmato 2.1 Lettura dei Sepolcri Dal giorno in cui l’istituzione del matrimonio, delle leggi e della religione concessero agli uomini primitivi di essere pietosi verso sé stessi e verso altri, i vivi toglievano all’aria maligna e alle bestie Youtube feroci i resti corruttibili dei defunti che la Natura con vicende eterne destina ad altre forme di vita. Le tombe erano testimonianza dei fatti gloriosi ed erano altari per i figli; e uscivano quindi le risposte dei Lari domestici, e fu osservato con timore il giuramento fatto sulla tomba degli antenati: culto che in diverse forme rituali le virtù patriottiche e l’affetto per i parenti tramandarono per una lunga serie di anni. Non sempre le pietre tombali facevano da pavimento alle chiese; non da sempre il puzzo dei cadaveri mescolato al profumo dell’incenso i fedeli che pregavano contaminò; non da sempre le città furono rattristate dalla vista di immagini di scheletri: le madri balzano nel sonno atterrite, e tendono le braccia nude sul capo amato del loro piccino, affinché non lo svegli il lungo gemito di un defunto che chiede agli eredi preghiere di suffragio dalla chiesa in cui è seppellito. Ma i cipressi e cedri impregnando l’aria di puri profumi protendevano i loro rami sempreverdi sulle tombe segno della memoria perenne, e preziosi vasi raccoglievano le lacrime offerte in voto. Gli amici del morto strappavano una favilla al Sole per rischiarare il buio del sepolcro perché gli occhi di un uomo che muore cercano la luce del sole: e tutti l’ultimo sospiro mandano alla luce che sfugge. Le fontane versando acque purificatrici facevano crescere amaranti e viole sul terreno della tomba; e chi sedeva a versare latte e a raccontare le proprie pene ai cari defunti, un profumo intorno sentiva simile all’aria dei campi Elisi. Pietosa pazzia che rende cari i giardini dei cimiteri alle inglesi giovani donne dove le conduce l’amore della madre perduta, dove, clementi, pregano i Geni affinché concedessero il ritorno dell’eroe che troncò l’albero maestro della nave nemica da lui sconfitta, e si scavò la bara. Ma il paese in cui dorme l’ardente desiderio di compiere gesta gloriose e dove a governare la vita sociale sono la ricchezza improduttiva e sfarzosa e la viltà, segni di lusso esteriore e funesti simboli del regno dei morti sorgono lapidi e monumenti di marmo. Già i letterati, i mercanti, e i proprietari di terre ornamento e classe dirigente del bel Regno d’Italia, hanno sepoltura nelle regge e nei palazzi da vivi e gli stemmi come unico titolo di gloria. A me la morte prepari un quieto rifugio quando 28 finalmente la sorte cesserà di perseguitarmi e gli amici raccoglieranno un’eredità non di tesori, ma di affetti vivi e sinceri e l’esempio di una poesia degna d’uomo libero e che incita a libertà. Le tombe dei grandi uomini accendono gli animi nobili ad imprese memorabili, o Pindemonte; e rendono bella e sacra allo straniero la terra che le accoglie. Io quando vidi la tomba dove riposa il corpo di quel grande uomo (MACHIAVELLI), che insegnando ai regnanti come governare, ne toglie gli allori, e rivela ai popoli come il potere grondi di lacrime e di sangue; e quando vidi la tomba di colui che un nuovo Olimpo innalzò agli dei a Roma (MICHELANGELO); e quando vidi la tomba di chi vide più pianeti ruotare nella volta celeste, e il sole immobile illuminarli (GALILEI), per cui per primo aprì le strade del cielo all’inglese (NEWTON) che vi fece straordinari progressi; gridai, beata te (Firenze), per la tua aria salubre e ricca di vita, e per i fiumi che l’Appennino versa a te dai suoi gioghi! La luna lieta per la tua aria pura riveste di luce limpidissima i tuoi colli in festa per la vendemmia, e le valli popolate di case e di uliveti mandano al cielo mille profumi di fiori: e tu per prima, Firenze, udivi il poema che confortò la rabbia all’esule Ghibellino (DANTE), e tu desti i genitori (fiorentini) e la lingua a quel dolce labbro di Calliope (PETRARCA) che adornando Amore cantato in modo pagano in Grecia e a Roma di un leggero velo, lo restituì a Venere Celeste. Ma ancora più beata sei perché conservi in un tempio le glorie italiane, forse le uniche rimaste da quando le Alpi mal difese e l’alternarsi della potenza tra le diverse nazioni ti hanno privato delle armi, della ricchezza, della religione e della nazione e, tranne che del ricordo del passato, di tutto. Nel giorno in cui la speranza di gloria risplenderà agli animi generosi e all’Italia, trarremo gli auspici per le azioni future. E a queste tombe venne spesso ad ispirarsi Vittorio (Alfieri). Adirato contro gli dei della patria, errava in silenzio nei luoghi più deserti introno all’Arno, desideroso guardando i campi e il cielo; e poiché nessun essere vivente gli addolciva l’affanno, si sedeva qui il severo; e aveva sul viso il pallore della morte e la speranza. Abita con questi eternamente: le sue ossa fremono per l’amor di patria. Ah sì! Da quella pace sacra una voce divina parla: quello stesso che alimentò il valore e l’impeto guerriero di Greci che batterono i Persiani a Maratona dove Atene consacrò tombe ai suoi guerrieri. Il navigante che solcava in quel mare sotto l’isola di Eubea, vedeva nella grande oscurità apparire scintille di elmi e spade che si urtavano, vedeva fumare i roghi di cadaveri, vedeva fantasmi di guerrieri luccicanti di armi di ferro cercare la battaglia; e nell’orrore dei notturni silenzi si diffondeva lungo nelle schiere di soldati un rumore e un suono di trombe, e un incalzare di cavalli che correvano scalpitando sugli elmi dei moribondi, e il pianto, gli inni e il canto delle Parche. Fortunato te, Ippolito, che hai percorso il mare durante i tuoi anni giovanili! E se il timoniere indirizzò la nave oltre le isole dell’Egeo, certamente hai udito le rive dell’Ellesponto risuonare di antiche gesta, e la marea muggire portando nel promontorio Reteo le armi di Achille sopra le ossa di Aiace: per gli animi generosi la morte è giusta dispensatrice di gloria; né l’astuzia, né il favore dei re consentirono ad Ulisse di conservare le armi contese, poiché il mare agitato dagli dei 29 degli inferni le tolse alla nave errante. Quanto a me che i tempi presenti e il desiderio di gloria mi costringono ad andare fuggitivo tra diverse genti, possano le Muse animatrici del pensiero umano chiamarmi a evocare gli eroi. Le Muse siedono sui Sepolcri per custodirli, e quando gli agenti atmosferici distruggono fino alle rovine, esse allietano i luoghi deserti con il loro canto, e l’armonia vince il silenzio di mille secoli. E oggi nella Triade disabitata risplende eternamente ai visitatori stranieri un luogo reso eterno dalla Ninfa a cui fu sposo Giove, e a Giove diede il figlio Dardano da cui ebbero origini Troia e Assaraco e i cinquanta figli di Priamo e l’Impero Romano. E ciò avvenne perché Elettra sentì la Parca che la chiamava dalla vita terrena alle danze festose dei Campi Elisi, mandò a Giove un ultimo desiderio: e se, diceva, ti furono cari i miei capelli e il mio viso e le dolci notti d’amore, e se la volontà del fato non mi concede sorte migliore, almeno dal cielo guarda la morte amica, affinché della tua Elettra resti immortale. Pregando con queste parole moriva. E se ne addolorava Giove, re dell’Olimpo: e scotendo il capo immortale faceva piovere dai capelli ambrosia sulla Ninfa e fece sacro il suo corpo e la sua tomba. Lì fu sepolto Erittonio e riposa il corpo del giusto avo; lì le donne troiane scioglievano i capelli, invano ahi! Supplicando di tener lontano la morte incombente sui loro mariti; lì venne Cassandra, quando il Nume le fece predire la caduta di Troia; e cantò alle anime un inno affettuoso, e guidava i nipoti insegnando a loro il pietoso inno. E diceva sospirando: oh se mai ad Argo, pascolerete i cavalli per Diomede e per Ulisse, a voi il cielo permetta il ritorno, invano cercherete la vostra patria! Le mura di Troia, opera di Apollo fumeranno sotto le loro macerie. Ma gli dei della patria avranno dimora in queste tombe; perché è proprio degli dei conservare anche nella rovina la loro fama gloriosa. E voi palme e cipressi che le nuore di Priamo piantano e crescerete ahi presto innaffiati dalle lacrime delle vedove degli eroi caduti, proteggete i miei padri: echi non abbatterà pietosamente la scure sugli alberi sacri meno soffrirà di lutti consanguinei e toccherà con mani pure gli altari. Proteggete i miei padri. Un giorno vedrete un cieco mendicante vagare tra le vostre antichissime ombre, e brancolando penetrare nei sepolcri, e abbracciare e interrogare le urne. Faranno risuonare il lamento le parti più interne dei sepolcri, e tutta la tomba racconterà la storia di Troia due volte distrutta e due volte ricostruita più splendida sulle deserte rovine per rendere più bella l’ultima vittoria dei greci. Il sacro poeta, placando le anime sofferenti con il poema, renderà eterna fama ai principi greci per tutte le terre che circondano Oceano. E tu, Ettore, avrai l’onore di essere pianto ovunque sarà considerato santo e degno di lacrime il sangue versato per la patria, finché il sole continuerà ad illuminare sulle sofferenze degli uomini. 30