Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
10
ICTUS ACUTO: FASE DI OSPEDALIZZAZIONE (TERAPIA)
10.1
TERAPIA
10.1.1
Terapia medica specifica
10.1.1.1
Trombolisi intravenosa
205
ACUTA DELL’ICTUS ISCHEMICO
Gli studi clinici di trombolisi realizzati nella seconda metà degli anni ‘90 hanno portato ad
accumulare dati su oltre 5·000 pazienti, così da consentire una valutazione delle possibilità
offerte da tale trattamento.
10.1.1.1.1 Trombolisi con streptokinasi
Per quanto concerne la trombolisi intravenosa, i tre studi con streptokinasi (SK)1-3 sono stati
interrotti prima del termine previsto dal protocollo, a causa di un eccesso di trasformazioni
emorragiche sintomatiche (OR 8,26; IC<0 0,48-142,44) e di mortalità sia precoce (OR 1,90;
IC95 1,37-2,63) che tardiva (OR 1,43; IC95 1,10-1,88); l’endpoint combinato morte/dipendenza al termine del follow-up era ridotto ma non in maniera significativa nei pazienti trattati (OR
0,94; IC95 0,72-1,24).4 Le cause di questo sostanziale fallimento della SK vanno verosimilmente ricercate, più che nella molecola in sé, nei disegni degli studi e segnatamente nell’aver
questi previsto il trattamento anche di pazienti gravi. Tutti e tre gli studi, infatti, hanno escluso dal trattamento pazienti molto lievi o con sintomi in rapido miglioramento, mentre hanno
arruolato pazienti anche gravi, cioè in stupor o coma; solo nel MAST-I viene riportata l’esclusione di pazienti in “coma grave”, termine non ulteriormente specificato ma che sottintende
che pazienti in stupor o coma iniziale siano stati randomizzati.2 Altro elemento chiamato in
causa per rendere ragione dell’elevato rischio di danno iatrogeno correlato con la SK è l’uso
concomitante di ASA.2 Infatti, il confronto separato post-hoc del sottogruppo trattato con sola
SK con quello trattato con SK ed ASA ha evidenziato che l’associazione comportava un
aumento significativo dei decessi totali e di quelli da morte cerebrale conseguente a trasformazione emorragica grave.5 Attualmente, quindi, non sussistono indicazioni all’uso di SK nell’ictus ischemico acuto.
10.1.1.1.2 Trombolisi con rt-PA
I principali studi con r-tPA 6-9 hanno invece conseguito risultati più interessanti. Vanno ricordate alcune sostanziali differenze fra i protocolli di studio e segnatamente l’intervallo di tempo
massimo consentito fra esordio dei sintomi e trattamento, posto a 3 ore nello studio NINDS,6
a 6 ore negli studi ECASS I e II,7,8 e fra 3 e 5 ore nello studio ATLANTIS;9 la dose di farmaco somministrata, che è stata di 0,9 mg/kg fino ad un massimo di 90 mg (10% infuso in bolo,
il rimanente in 60 minuti) in tutti i casi 6,8,9 tranne che nello studio ECASS I,7 nel quale sono
stati somministrati 1,1 mg/kg fino ad un massimo di 100 mg; l’esclusione di pazienti con sintomi lievi o in rapido miglioramento, prevista in tutti gli studi,6-9 mentre pazienti gravi (in stupor o coma) sono stati dichiaratamente esclusi solo negli studi ECASS I e II;7,8 infine i segni
precoci dell’infarto in più di 1/3 del territorio dell’arteria cerebrale media (ACM) alla tomografia computerizzata (TC) cerebrale erano criterio di esclusione negli studi ECASS I e II e
ATLANTIS,7-9 ma non nel NINDS.8
Due metanalisi dei risultati dei quattro studi 4,10 dimostrano che, malgrado una maggiore incidenza di trasformazione emorragica sintomatica (OR 3,22; IC95 2,40-4,31), l’r-tPA ha ridotto
in modo significativo l’incidenza dell’endpoint combinato morte/dipendenza e non solo nei
pazienti trattati entro 3 ore (OR 0,55; IC95 0,42-0,72) ma anche in quelli trattati fra 3 e 6 ore
e, quindi, in tutti i pazienti trattati entro le 6 ore (OR 0,79; IC95 0,68-0,92). Questo significa
che per ogni 1·000 pazienti trattati con r-tPA, 57 (IC95 da 20 a 93) di quelli trattati entro 6 ore
e 140 (IC95 da 77 a 203) di quelli trattati entro 3 ore evitano morte o dipendenza a 3 mesi, malgrado la comparsa di emorragia secondaria sintomatica in 77 (IC95 da 55 a 99) pazienti in più
(non fatale in 48 casi, fatale in 29 casi) quando trattati entro 6 ore. Infatti, tenendo in considerazione che le trasformazioni emorragiche sintomatiche comprendono anche quelle fatali
che, a loro volta, sono già comprese nell’endpoint aggregato morte/dipendenza a 3 mesi, ne
consegue che, malgrado l’r-tPA abbia un indice terapeutico relativamente ridotto, il rapporto
rischi/benefici è a favore di questi ultimi.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.1
Grado A
La somministrazione di streptochinasi e.v. non è indicata.
Raccomandazione 10.2
Grado A
Il trattamento con r-tPA e.v. (0,9
mg/kg, dose massima 90 mg, il
10% della dose in bolo, il rimanente in infusione di 60 minuti) è
indicato entro tre ore dall’esordio
di un ictus ischemico.
Sintesi 10-1
Permangono alcune note di dissenso relative all’interpretazione
ed alla conduzione dello studio
NINDS. Inoltre la metanalisi
Cochrane evidenzia una notevole
eterogeneità statistica per l’effetto del tPA, che rende il risultato
della stessa, favorevole al farmaco, non del tutto affidabile
(I2=62%). Alla data di emissione
di questa versione, Clinical
Evidence pone la trombolisi nel
gruppo “trade-off between benefit and harm”, precisando che il
trattamento riduce la dipendenza
nei sopravvissuti ma aumenta la
mortalità totale e le emorragie
fatali. Per queste ragioni esiste
nel gruppo SPREAD una posizione di parziale dissenso sulla classificazione come “A” del grado
della raccomandazione 10.2.
Sintesi 10-2
L’efficacia del trattamento con rtPA e.v. diminuisce ma è ancora
presente quando la somministrazione è effettuata dopo le 3 ore e
fino a 4,5 ore dall’esordio dei sintomi, mentre il trattamento fra le
4,5 e le 6 ore presenta ancora
una efficacia tendenziale non più
statisticamente significativa.
È in corso uno studio randomizzato e controllato, chiamato
IST 3, che mira a rivalutare su
una casistica molto ampia, il rapporto rischio/beneficio del trattamento somministrato fino a 6 ore
dall’esordio dei sintomi.
206
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Tale dato è ulteriormente rafforzato dalla metanalisi dei dati individuali dei pazienti arruolati
negli studi NINDS, ATLANTIS ed ECASS I e II.11 Questa ha il vantaggio di aver inserito nell’analisi statistica una serie di parametri individuali (p.es. pressione arteriosa, valori glicemici
ecc.) non disponibili nelle precedenti metanalisi, così da consentire una più accurata analisi
delle variabili correlate con l’esito clinico. La metanalisi evidenzia che la maggior incidenza di
trasformazioni emorragiche tipo PH2 fra i pazienti trattati (5,8% t-PA vs. 1,1% placebo) è
correlata con l’età e, appunto, col trattamento ma non con l’intervallo fra inizio sintomi e terapia. Inoltre evidenzia che l’OR per il raggiungimento di un punteggio Rankin 0-1 a favore del
t-PA è 2,8 (IC95 1,7-4,5) quando i pazienti sono trattati entro 90 minuti, ma diminuisce a 1,5
(IC95 1,1-2,1) nei pazienti trattati fra 91 e 180 minuti, a 1,4 (IC95 1,1-1,8) in quelli trattati fra i
181 ed i 270 minuti e, infine, a 1,16 (IC95 0,91-1,49) in quelli trattati fra i 271 ed i 360 minuti.
Questo significa che il trattamento è efficace fino a 270 minuti dall’esordio dei sintomi, mentre la somministrazione successiva presenta una efficacia tendenziale che sfiora la significatività statistica. Peraltro i dati sottolineano che quanto più precocemente il t-PA viene somministrato, tanto maggiori sono le probabilità di guarigione del paziente.
Alcune riserve metodologiche sulla principale fonte di evidenza (studio NINDS), apparse
nella letteratura internazionale, hanno indotto alcuni componenti del gruppo di lavoro e del
gruppo di metodologia ad una posizione di parziale dissenso sul grado della raccomandazione 10.1 che, in accordo con i nuovi criteri adottati, sarebbe di grado B anziché A. Tali riserve
possono essere riassunte come segue:
1. la pubblicazione del 1995 non era, come inizialmente affermato, una analisi intention to
treat (presumibilmente meno soggetta a bias), ma un’analisi on treatment (potenzialmente
più soggetta a bias);
2) esisteva un notevole sbilanciamento per gravità dell’ictus all’ingresso tra i due gruppi, essendo complessivamente più grave (ma non in maniera statisticamente significativa) il gruppo
trattato con il placebo. L’analisi del NINDS non ha adeguatamente tenuto conto di questo
sbilanciamento, anche se un’analisi post hoc recentemente pubblicata da un gruppo indipendente incaricato dal NINDS, ha evidenziato come lo sbilanciamento fosse presente solo
tra i pazienti con punteggio NIHSS all’ingresso fra 0 e 5 (78% dei quali nel gruppo rt-PA,
22% nel gruppo placebo). Peraltro questi erano complessivamente solo 58 (9%) dei 620
pazienti arruolati nello studio, e l’analisi ha dimostrato che lo sbilanciamento non influisce
in alcun modo sul risultato a favore del rt-PA;12
3. ciascun centro aveva accesso alle buste di randomizzazione in aperto, e questa è una importante fonte potenziale di bias;
4. alcuni centri hanno usato il trattamento sbagliato per errori di fornitura delle fiale (almeno
13 pazienti);
5. la distribuzione temporale della randomizzazione mostra un inatteso e inspiegato addensamento a 90 minuti che rende alquanto instabile l’analisi di relazione efficacia-tempo per le
prime 3 ore. Secondo il dissenso manifestato, questi elementi (leggibili anche nel sito della
FDA) non permetterebbero di attribuire il grado A di evidenza.
Una convincente conferma nel “mondo reale” dei risultati conseguiti negli studi randomizzati è quella che viene dagli studi con t-PA somministrato in aperto, secondo quanto pubblicato in una recente revisione sistematica.13 Secondo questa metanalisi, i dati dimostrano che la
somministrazione del t-PA entro 3 ore dall’esordio dei sintomi comporta un’incidenza di mortalità, di trasformazione emorragica sintomatica (fatale e non fatale) e di esito clinico positivo
sovrapponibili a quelle conseguite negli studi randomizzati. In particolare, due degli studi
presi in esame nella revisione sistematica sono studi multicentrici di fase IV realizzati proprio
allo scopo di valutare efficacia e sicurezza del trattamento con r-TPA nella pratica clinica. Lo
Standard Treatment with Activase Reverse Stroke (STARS)14 ha trattato complessivamente 389
pazienti con gli stessi criteri dello studio NINDS con esito clinico eccellente (Rankin 0-1) nel
35% dei casi (contro il 39% dello studio NINDS), indipendenza funzionale (Rankin 0-2) nel
43% dei casi, mortalità nel 13% (contro il 17% dello studio NINDS) e trasformazione emorragica sintomatica nel 3% dei casi (contro il 6,4% dello studio NINDS). Il Canadian Activase
for Stroke Effectiveness Study (CASES)15 ha trattato 1·099 pazienti, sempre secondo i criteri
NINDS, con indipendenza funzionale (Rankin 0-2) nel 46% dei casi, e trasformazione emorragica sintomatica nel 4,6% dei casi.
La citata revisione sistematica 13 ha riportato anche dati sulle possibili violazioni di protocollo
e sull’influenza di queste sull’esito clinico. Dall’analisi combinata dei dati dei singoli studi
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
risulta evidente come le violazioni di protocollo – quali: trattamento oltre le 3 ore, somministrazione di farmaci antitrombotici entro 24 ore dalla trombolisi, pressione arteriosa elevata o
tempi di coagulazione anomali al momento del trattamento – siano significativamente correlate con la trasformazione emorragica sintomatica. Questo dato sottolinea l’estrema importanza di attenersi anche nella pratica clinica di routine alle regole, in tema di selezione e gestione generale dei pazienti, codificate dagli studi farmacologici.
Per questo le linee guida canadesi 16 e quelle europee 17 raccomandano che la trombolisi e.v.
sia utilizzata esclusivamente da medici con documentata esperienza nella diagnosi e nella
gestione dell’ictus, che operano all’interno di strutture dove siano stati approvati specifici protocolli di trattamento. In base a quanto fin qui esposto, l’utilizzo della terapia trombolitica con
rt-PA i.v. entro 3 ore dall’esordio dei sintomi di un ictus ischemico è stato approvato in maniera condizionale dalla European Agency for the Evaluation of Medicinal Products (EMEA) nel
settembre 2002 e dal Ministero della Salute in Italia nel luglio 2003 (G.U. N° 190, 18 agosto
2003). L’approvazione è per ora solo condizionale e non definitiva perché gli esperti
dell’EMEA hanno espresso il rilievo critico che dati veramente convincenti a favore del trattamento derivano solo dallo studio NINDS, mentre gli studi ECASS I e II non hanno dato
risultati altrettanto definitivi, così da far temere che soprattutto la sicurezza della terapia
potesse non essere assicurata. Quindi la condizione posta dall’EMEA è che il trattamento
venga effettuato solo nel contesto di uno studio osservazionale post-marketing, denominato
Safe Implementation of Thrombolysis in Stroke – Monitoring Study (SITS-MOST) e che contestualmente venga realizzato, in centri selezionati, anche un nuovo studio randomizzato controllato contro placebo nella finestra terapeutica 3-4,5 ore, denominato ECASS III. In base a
quanto detto sopra, la misura primaria di esito dello studio SITS-MOST è la sicurezza del trattamento, definita dall’incidenza di trasformazioni emorragiche sintomatiche nelle prime 36
ore successive al trattamento e dalla mortalità al termine del follow-up di 3 mesi.
Il Ministero della Salute, ponendo l’accento proprio sulla sicurezza del trattamento, ha pubblicato in dettaglio le caratteristiche organizzative che i centri clinici debbono possedere per
poter essere autorizzato ad effettuare la terapia trombolitica (Tabella 10:I). Si tratta di caratteristiche che possono consentire di minimizzare l’intervallo di tempo fra arrivo del paziente
e inizio trattamento, di assicurare una monitorizzazione accurata della pressione arteriosa e
dello stato neurologico durante il trattamento e per le 24-48 ore successive a questo e di intervenire tempestivamente in caso di complicanze (Tabella 10:II). I criteri esposti in questa tabella non sono comunque derivati da evidenza esterna: p.es., la monitorizzazione e il trattamento della pressione arteriosa sono state gestite differentemente nel NINDS, che raccomanda
una gestione stretta non necessariamente rispettata poi nello studio 12 e nello IST 3, che lascia
al singolo medico la decisione sul singolo paziente.
La somministrazione sicura del trattamento richiede, inoltre, che la selezione dei pazienti sia
accurata, secondo criteri di esclusione atti ad ottimizzare il rapporto rischi/benefici del trattamento (Tabella 10:III). Va qui notato che per alcuni criteri di esclusione come, ad esempio
l’età superiore ad 80 anni, non ci sono dati di evidenza. Infatti, l’età è stata considerata a priori un criterio di esclusione in quasi tutti gli studi randomizzati controllati sulla trombolisi sistemica, con la sola eccezione dello studio NINDS nel quale, però, il numero dei pazienti ultraottantenni era troppo esiguo per consentire conclusioni definitive. Pertanto sussiste incertezza
in merito al trattamento di pazienti così anziani, nei quali l’incidenza di ictus è molto elevata,
le conseguenze disabilitanti molto gravi e, di conseguenza, potenzialmente grande – ma non
dimostrato – il beneficio della terapia. Questo ed altri motivi di incertezza (importanza dei
segni precoci di lesione alla TC cerebrale, possibilità che la finestra terapeutica sia più ampia)
espressi dal gruppo Cochrane 4 sono il presupposto dello studio randomizzato controllato IST
3, finalizzato a rivalutare su una casistica molto ampia il rapporto rischio/benefico del trattamento somministrato fino a 6 ore dall’esordio dei sintomi.
10.1.1.2
Trombolisi intrarteriosa
Per quanto concerne la trombolisi intrarteriosa in caso di occlusione dell’arteria cerebrale
media, i dati disponibili provengono dagli studi con pro-urokinasi ricombinante (rpro-UK). Il
PROACT I 18 era uno studio dose-finding eseguito su 40 pazienti, mentre il PROACT II 19 ha
randomizzato 180 pazienti con occlusione angiograficamente dimostrata del tronco principale dell’arteria cerebrale media a ricevere o 9 mg di rpro-UK seguiti da eparina 2·000 IU in bolo
e quindi 500 IU/ora per 4 ore oppure solo eparina, in rapporto di 2:1. I pazienti sono stati trattati entro 6 ore dall’esordio dei sintomi e la loro gravità media era maggiore rispetto a quella
stesura 15 marzo 2005
207
Sintesi 10-3
La trombolisi va effettuata in centri esperti, dotati di caratteristiche
organizzative che consentano di
minimizzare l’intervallo di tempo
fra arrivo del paziente e inizio del
trattamento, e che assicurino una
monitorizzazione accurata dello
stato neurologico e della pressione arteriosa per le 24 ore successive al trattamento.
Sintesi 10-4
La trombolisi e.v. con t-PA entro
3 ore è approvata come trattamento negli Stati Uniti, in
Canada, in Sud America e in
maniera condizionale in Europa.
La condizione per l’approvazione
è che il farmaco venga somministrato entro 3 ore dall’esordio dei
sintomi solo nel contesto di uno
studio di fase IV denominato Safe
Implementation of Thrombolysis
in Stroke-Monitoring Study (SITSMOST), e nella finestra 3-4,5 ore
solo nel contesto di un nuovo
studio randomizzato verso placebo denominato ECASS III.
Sintesi 10-5
La selezione dei pazienti candidati alla trombolisi deve essere
accurata, secondo criteri di
esclusione atti ad ottimizzare il
rapporto rischi/benefici del trattamento.
208
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Tabella 10:I – Struttura organizzativa necessaria per effettuare trombolisi
• solida esperienza nel trattamento dell’ictus acuto;
• accesso diretto alle unità di emergenza in cui il centro è inserito:
• il medico in servizio presso l’unità di emergenza deve avere l’autorità di iniziare la trombolisi o deve
poter interpellare immediatamente il medico dotato di tale autorità;
• servizi diagnostici (TC e/o RM e laboratorio analisi) ed eventuali consulenze (cardiologica, rianimatoria,
neurochirurgica) disponibili 24/24 ore;
• struttura dedicata ad hoc ovvero reparto specializzato nella gestione dell’ictus acuto sotto la responsabilità
di un neurologo o, in alternativa, di un medico:
• esperto nella gestione in emergenza del paziente con ictus acuto;
• in grado di riconoscere e gestire le complicanze del trattamento con alteplase;
• a capo di team multidisciplinare comprendente équipe infermieristica specializzata ed almeno un fisioterapista ed un logopedista;
• reparto di terapia intensiva o semintensiva:
• dove ricoverare il paziente durante la terapia trombolitica ed il primo giorno di degenza;
• che garantisca assistenza costante e qualificata nel monitorare livello di coscienza e stato neurologico
generale;
• che sia fornito di apparecchiature per il monitoraggio di PA, ritmo cardiaco, ECG, SaO2 e temperatura
corporea;
• medici, neuroradiologi e radiologi (valutazione TAC) con:
• esperienza di terapia trombolitica;
• partecipazione a programmi di formazione clinica sulla terapia trombolitica nell’ictus;
• partecipazione a programmi di formazione dedicati allo studio SITS-MOST.
Tabella 10:III – Controindicazioni al t-PA
(la presenza anche di una sola delle condizioni indicate esclude la trombolisi)
Controindicazioni generali
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Ulteriori controindicazioni
nell’ictus ischemico acuto
diatesi emorragica nota
pazienti in terapia anticoagulante orale, p.es. con warfarin
sanguinamento in atto o recente grave
storia o sospetto di emorragia intracranica in atto
ESA sospetta
storia di patologie del SNC
(neoplasia, aneurisma, intervento chirurgico cerebrale o midollare)
retinopatia emorragica
recenti (<10 giorni) massaggio cardiaco esterno traumatico, parto,
puntura di vaso sanguigno non comprimibile (p.es. vena succlavia o giugulare)
ipertensione arteriosa grave non controllata
endocardite batterica, pericardite
pancreatite acuta
malattia ulcerosa del tratto gastroenterico (<3 mesi)
aneurisma arterioso, malformazione artero-venosa
neoplasia con aumentato rischio emorragico
grave epatopatia, compresa insufficienza epatica, cirrosi, ipertensione portale
(varici esofagee), epatite attiva
intervento chirurgico maggiore o grave trauma (<3 mesi)
• insorgenza dell’ictus >3 ore o ora di insorgenza non nota
• deficit lieve o rapido miglioramento dei sintomi
• ictus grave clinicamente (p.es. NIHSS >25) e/o sulla base di adeguate tecniche di
neuroimmagini
• crisi convulsiva all’esordio dell’ictus
• emorragia intracranica alla TC cerebrale
• sospetto clinico di ESA, anche se TC normale
• somministrazione di eparina nelle precedenti 48 ore
• aPTT eccedente il limite normale superiore del laboratorio
• paziente con storia di ictus e diabete concomitante
• ictus negli ultimi 3 mesi
• conta piastrinica <100·000/mm3
• ipertensione arteriosa grave non controllata: PAS >185 mm Hg, o PAD >110 mm Hg
o terapia aggressiva necessaria per riportare la PA entro questi limiti
• glicemia <50 o >400 mg/dL
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
209
Tabella 10:II – Selezione dei pazienti, modalità di somministrazione di r-tPA e monitoraggio dei pazienti trattati
(NOTA: questa tabella riporta indicazioni non basate su evidenza ma derivanti da consenso fra esperti)
sospetto ictus
Valutazione generale immediata: <10 min
• ABC e segni vitali
• somministrare O2 con cannula nasale
• accesso venoso; campione di sangue
per conta cellule, elettroliti, coagulazione
• glucostix: trattare ipoglicemia
• ECG, valutando eventuale aritmia
• chiamare il neurologo (a meno che sia già
previsto nell’organico del DEA)
Valutazione neurologica immediata: <25 min
• storia clinica
• valutare ora inizio sintomi (<3 ore per fibrinolisi)
• EOG
• EN: livello di coscienza (eventuale GCS)
livello di gravità (NIHSS o scala Hunt Hess)
• richiedere TC urgente senza contrasto
• leggere TC (∆T max arrivo/lettura TC <45 min)
la TC mostra emorragia
parenchimale o subaracnoidea?
no
sì
Probabile ictus ischemico acuto
• rivedere TC: eventuali segni precoci >1/3 ACM?
• EN: deficit variabile o in rapido miglioramento?
• ci sono criteri di esclusione per trombolisi?
(vedere tabella 10:III)
• rivedere i dati: siamo >3 ore dall’esordio
dei sintomi?
no
a tutti i quesiti
sì
ad uno o più quesiti
consultare neurochirurgo
• terapia standard
• considerare altre condizioni
che richiedano trattamento
Il paziente rimane candidato per la trombolisi
• rivedere rischi/benefici col paziente e/o la famiglia e ottenere il consenso informato scritto
Iniziare trattamento (∆T ottimale arrivo/trattamento <60 min)
• r-tPA 0.9 mg/kg (max 90 mg), il 10% in bolo di 1 min, il resto infusione di 60 min
• monitorare stato neurologico: infusione: ogni 15 min
per 6 ore: ogni 30 min
per 16 ore: ogni 60 min
In caso di peggioramento neurologico, grave cefalea, ipertensione acuta, nausea o vomito, interrompere
infusione se ancora in corso; eseguire TC d'urgenza in qualunque momento si manifestino i sintomi descritti.
In caso di emorragia valutazione neurochirurgica e, se indicato, svuotamento chirurgico
dopo normalizzazione dei parametri coagulativi (vedi § 10.2).
• monitorare quadro clinico: in caso di emorragia sistemica grave, tecniche di immagini richieste dal caso,
quindi terapia medica o chirurgica.
per 2 ore:
ogni 15 min
• monitorare PA:
per 6 ore:
ogni 30 min
per 16 ore: ogni 60 min
misurazioni più frequenti in caso di PAS >180 mmHg o PAD >105 mmHg
1. PAD >140 mmHg
nitroprussiato di sodio (0.5 mcg/kg/min)
2. PAS > 230 o PAD 121-140 mmHg (1) labetalolo* 10-20 mg in bolo lento e.v., ripetibile ogni 20 min fino a
massimo 150 mg, oppure bolo iniziale e poi infusione a 2-8 mg/min
(2) se la PA non è ben controllata con labetalolo*, considerare
sodio nitroprussiato
3. PAS 180-230 o PAD 105-120
labetalolo* 10 mg in bolo lento e.v., ripetibile ogni 20 min
fino a max 150 mg, oppure bolo iniziale e poi infusione a 2-8 mg/min
• non anticoagulanti né antiaggreganti per 24 ore
* evitare labetalolo in pazienti con asma, scompenso cardiaco o gravi alterazioni della conduzione cardiaca;
per i pazienti con ipertensione refrattaria pensare alternativamente a sodio nitroprussiato
stesura 15 marzo 2005
210
Sintesi 10-6
Le evidenze su cui si basa il trattamento endovascolare sono limitate e comprendono i risultati
degli studi PROACT I e II ed alcune serie cliniche poco numerose
in parte non controllate. La rapida
evoluzione tecnologica per quanto riguarda le tecniche ed i device e l’abilità variabile degli operatori hanno precluso l’effettuazione di ulteriori ampie sperimentazioni controllate. Dall’evidenza
disponibile risulta che queste tecniche sono probabilmente più
efficaci nel caso di occlusioni di
tronchi arteriosi maggiori ma a
spese di maggiori difficoltà e
costi organizzativi e con un
rischio non precisamente quantificabile nel singolo caso.
Raccomandazione 10.3
Grado D
Le tecniche endovascolari con
l’uso di farmaci trombolitici,
associate o meno a manovre
meccaniche (angioplastica, tromboaspirazioni, recupero del trombo), sono indicate nei centri con
provata esperienza di neuroradiologia interventistica, nel caso di
occlusione dei tronchi arteriosi
maggiori (carotide interna, tronco
principale dell’arteria cerebrale
media, arteria basilare) con quadro clinico predittivo elevato
rischio di morte o gravi esiti funzionali.
Raccomandazione 10.4
Grado D
In caso di documentata occlusione dell’arteria basilare è indicata,
nei centri con provata esperienza
di neuroradiologia interventistica,
la trombolisi intrarteriosa con una
finestra terapeutica anche oltre le
6 ore dall’esordio dell’evento.
Sintesi 10-7
Nei pazienti con trombosi dei seni
venosi, la trombolisi selettiva è
un trattamento opzionale da considerarsi in caso di inefficacia
della terapia anticoagulante con
eparina e.v.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
dei pazienti trattati con r-tPA e.v. (NIHSS media di 17 contro 14 nei pazienti r-tPA e 15 nei
placebo dello studio NINDS).6 La metanalisi dei due studi dimostra che, malgrado un aumentato rischio di trasformazione emorragica nei pazienti trombolisati (OR 2,39; IC95 0,88-6,47),
peraltro comparabile a quello conseguente a trombolisi e.v., il trattamento consente una riduzione assoluta del 15% (OR 0,55; IC95 0,31-1,00) dell’incidenza dell’endpoint combinato
morte/dipendenza a 90 giorni,4 il che significa che per ogni 1·000 pazienti trattati se ne salvano 150. Quindi, in centri che dispongono di un team esperto di radiologia interventista, l’opzione trombolisi i.a. si prospetta soprattutto per i pazienti con ictus emisferico che arrivino
oltre le 3 ma entro 6 ore dall’esordio dei sintomi e che siano mediamente più gravi.
I dati di letteratura relativi alla trombolisi in caso di ictus vertebrobasilare, sebbene siano divenuti più numerosi negli ultimi anni,20-23 non consentono tuttora di porre conclusioni univoche
circa le indicazioni e le modalità di trattamento. Infatti, malgrado l’occlusione dell’arteria basilare sia gravata da una mortalità variabile dall’86% al 91%,24 studi controllati con trombolisi
in questa patologia sono ancora mancanti. I dati disponibili provengono da piccoli studi nonrandomizzati con urokinasi i.a. o con r-tPA e.v, per un totale di circa 170 pazienti trattati.21,25-31
Questi studi riportano un esito favorevole (non ulteriormente precisato) nel 20%-60% dei
casi, contro il 5%-14% ottenibile con terapie antitrombotiche. La trasformazione emorragica
è riportata nello 0%-14% dei casi ed in genere non è responsabile di peggioramento significativo o di morte. I dati disponibili non consentono di stabilire quale fra trombolisi e.v. ed i.a.
sia l’approccio preferibile in termini di sicurezza ed efficacia, per cui la scelta può essere determinata, ancora una volta, dalla presenza o meno di un team di neuroradiologia interventista.
In caso di documentata occlusione dell’arteria basilare, l’atteggiamento prevalente, che emerge attualmente da quanto riportato in letteratura, è a favore dell’estensione della finestra terapeutica anche oltre le 6 ore dall’esordio dell’evento.20,23
Circa la trombolisi in corso di trombosi dei seni venosi, infine, i dati disponibili sono molto
limitati, riferendosi complessivamente a circa 70 pazienti trattati in aperto.32-40 Nel complesso
viene segnalata l’efficacia del trattamento nel 70%-80% dei casi, sia in termini di ricanalizzazione dei seni venosi che sul piano clinico, con trasformazione emorragica sintomatica nello
0%-17% dei casi. Anche in questo caso, comunque, il principale elemento limitante tale
approccio è la presenza di un team esperto di neuroradiologi interventisti, per cui la terapia di
prima scelta resta quella anticoagulante discussa più avanti.
10.1.1.3
Il consenso alla terapia trombolitica
L’acquisizione del consenso informato è un momento cruciale del processo decisionale terapeutico poiché attraverso di esso il paziente viene informato sul rapporto rischio-beneficio
della terapia che viene proposta e viene messo in luce il valore che il paziente attribuisce all’effetto della terapia e ai diversi esiti della malattia.
Il Gruppo di studio di Bioetica e Cure Palliative della Società Italiana di Neurologia (SIN) si
è occupato negli anni scorsi di questo problema in due modi diversi. Esso ha promosso un
sondaggio multicentrico tra pazienti ricoverati per ictus e i loro familiari allo scopo di valutare il loro orientamento sulle diverse opzioni divenute possibili dopo l’introduzione della terapia trombolitica e sui problemi legati al consenso informato 41 e successivamente ha prodotto
un documento sul consenso alla trombolisi onde fornire al medico gli strumenti necessari per
affrontare il problema dell’informazione al paziente e/o ai familiari e sulle circostanze in cui si
deve richiedere il consenso o in cui questo può eventualmente essere evitato.42 Vengono riassunti qui di seguito i punti fondamentali del documento.
In primo luogo esso afferma che, nel caso della trombolisi per l’ictus, è necessario ricercare
sempre il consenso del paziente, dato che si tratta di una terapia rischiosa per il pericolo di
emorragia cerebrale sintomatica che comporta la possibilità del peggioramento del deficit neurologico o addirittura della morte. Inoltre, sebbene non vi sia l’evidenza che l’informazione al
paziente con ictus modifichi il suo esito,43 è stato dimostrato che il coinvolgimento del paziente e dei familiari nel processo di cura è uno degli elementi fondamentali che giustificano il successo delle stroke unit rispetto ai reparti di cura non dedicati all’ictus.44 Il consenso alla trombolisi può rappresentare quindi l’inizio del coinvolgimento del paziente e dei familiari nel processo di cura. Tuttavia la necessità del consenso si scontra con quello che accade nella realtà,
dove il consenso del paziente spesso non può essere ottenuto, sia per le circostanze dell’emergenza, per l’angoscia e lo stress sperimentati da un paziente che da pochi attimi sta verifistesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
cando su di sé che cosa significhi avere un ictus, sia per il deficit cognitivo o del linguaggio che
può conseguire all’ictus stesso, sia infine per il poco tempo disponibile per maturare un consenso davvero informato.
Spesso ci si trova quindi a dover ricorrere a modelli di consenso alternativi a quello diretto del
malato. È frequente in simili circostanze, nel nostro e in altri paesi dell’Unione Europea,
richiedere il consenso ad una persona vicina al paziente, di solito un familiare (modello del consenso sostitutivo), per analogia con le procedure usate nella sperimentazione clinica. Anche
questo modello però è soggetto a limiti pesanti. Da un lato il familiare, come il malato, si trova
nella condizione difficile di dover recepire ed elaborare delle informazioni nel contesto di
un’emergenza medica e, come è stato dimostrato empiricamente, non sempre è in grado di
interpretare le volontà del proprio congiunto;45 dall’altro non vi è chiarezza sul piano legale.
Infatti la legge italiana in tema di sperimentazioni cliniche,46 in accordo con la Dichiarazione
di Helsinki, prevede, nel contesto dell’emergenza, la possibilità di ottenere il consenso da un
“rappresentante legalmente riconosciuto” nel caso in cui il paziente sia incompetente, ma non
definisce poi che cosa s’intenda con questa figura che nell’ordinamento italiano è prevista soltanto per i minori, per gli interdetti e per gli inabilitati riconosciuti giuridicamente come tali.
Nonostante queste difficoltà, questo gruppo di lavoro di Bioetica e diritti del cittadino di
SPREAD pensa che la prassi di ricorrere frequentemente ai familiari in queste circostanze nel
nostro paese sia giustificata se questo è l’unico modo di cercare di capire le volontà del paziente e di ottenere il consenso alla terapia. Il consenso, infatti, non va inteso come una delega di
responsabilità riguardo ad una situazione sulla quale il medico non ha le idee chiare, ma come
il modo di considerare – nella misura del possibile – nel processo decisionale anche il punto
di vista del paziente. Dal sondaggio effettuato dal Gruppo di studio della SIN su menzionato
mediante oltre 600 interviste a pazienti e familiari si evince che vi è una certa indecisione da
parte del familiare a farsi carico delle problematiche del paziente (il 41% non si ritiene in
grado di prendere una decisione riguardante la trombolisi di un parente, mentre invece il 78%
si sente in grado di decidere per sé); al tempo stesso dal sondaggio emerge il desiderio, espresso dall’84% degli intervistati, che nel caso un paziente sia incompetente vi sia la possibilità di
informare e richiedere il consenso ad un familiare.
Un problema ulteriore è sorto in Italia da quando è stata autorizzata la terapia trombolitica
nell’ambito dello studio SITS-MOST. In effetti condizione dell’adesione a detto studio è l’autorizzazione (data dal paziente o in alternativa dal familiare) al trattamento dei dati sensibili.
Un dibattito si è aperto in proposito in seno al gruppo degli aderenti allo studio: se il consenso all’adesione al SITS-MOST sia da intendere unicamente come consenso al trattamento dei
dati sensibili o anche consenso al trattamento. Questo gruppo di lavoro di SPREAD pensa che
il fatto che la trombolisi endovenosa sia oggi autorizzata in Italia non costituisce superamento
della necessità di acquisire il consenso informato e che quindi tale consenso sia da intendere
come un duplice consenso: alla terapia e al trattamento dei dati sensibili.
Può essere interessante citare un recente studio sulla pratica clinica corrente condotto negli
USA, dove la terapia non è vincolata all’adesione ad alcuno studio del tipo del SITS-MOST,
nel quale è stato dimostrato che, su 63 pazienti sottoposti a trombolisi endovenosa, solo
nell’84% era stato acquisito il consenso informato scritto (fornito rispettivamente dal malato
nel 30% dei casi e dal decisore sostitutivo nel 70%) e che, fra i pazienti con documentato consenso, vi erano marcate discrepanze tra la capacità di decidere del paziente e la fonte del consenso: da un lato il consenso era stato dato dal sostituto in 5/8 casi in cui il paziente era competente, dall’altro era stato dato dal paziente stesso in 7/38 casi con riduzione della competenza.47 Ciò significa che la dottrina del consenso informato non sempre viene correttamente
intesa ed applicata e che probabilmente, come sostengono gli autori, sono necessari protocolli più stringenti sia per la valutazione della competenza che per la procedura di consenso.
Si può verificare, infine, la circostanza in cui il paziente non sia in grado di fornire il consenso e sia solo, senza familiari. Per far fronte a queste situazioni difficili, negli Stati Uniti la Food
and Drug Administration 48 – mossa dalla preoccupazione che l’impossibilità di condurre ricerche appropriate lasci prive di valide terapie molte situazioni acute – ha proposto una serie di
regole che consentano il reclutamento dei malati negli studi clinici in situazioni di emergenza
anche quando non sia possibile acquisire il consenso degli stessi o dei decisori sostitutivi.
Queste proposte sono state accolte con qualche riserva, ma costituiscono senza dubbio un
stesura 15 marzo 2005
211
212
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
contributo apprezzabile alla soluzione del problema. Vediamo in breve in che cosa esse consistono.
La FDA ritiene che si possa arruolare un malato in uno studio terapeutico se:
a. il soggetto versa in pericolo di vita;
b. non si conoscono trattamenti di provata efficacia o essi sono insoddisfacenti;
c. è indispensabile ricorrere alla ricerca clinica per individuare quale sia il trattamento maggiormente benefico.
Altre due condizioni devono essere soddisfatte:
a. non è possibile ottenere il consenso informato del paziente sia perché la sua condizione clinica lo impedisce, sia perché non c’è tempo di acquisire il consenso di un fiduciario e
comunque non è possibile individuare preventivamente i soggetti che saranno colpiti in
modo da acquisire il loro consenso preventivo;
b. la ricerca è nell’interesse del paziente in quanto la condizione di emergenza richiede un
intervento e il rischio legato alla ricerca è ragionevole se paragonato alle terapie esistenti (o
all’assenza di terapie).
A queste condizioni di base la FDA aggiunge altre due raccomandazioni:
a. la consultazione della comunità dalla quale verranno selezionati i soggetti dello studio, volta
a far sì che la comunità sia coinvolta nel processo decisionale del Comitato Etico;
b. la comunicazione al pubblico più largo dello studio e dei suoi scop prima dell’inizio dello
stesso, e dei risultati a studio compiuto.
Entrambe le raccomandazioni appaiono ragionevoli, ma di assai difficile implementazione, sia
negli Stati Uniti, sia nel nostro paese, ove non sono note iniziative di questo genere. In Italia
manca un pronunciamento autorevole in questo senso. Il decreto ministeriale del 1998 che
recepisce le Linee guida europee di GCP,46 ammette che il consenso possa essere evitato
(modello del consenso evitabile), ma solo in condizioni di emergenza e limitatamente all’ambito sperimentale.49
L’esito del sondaggio del Gruppo di studio della SIN 41 può essere di qualche aiuto. Ai pazienti colpiti da ictus (poco prima della loro dimissione) e ai familiari che li assistevano è stata
rivolta la domanda: “Per coloro che sono stati colpiti da ictus esiste oggi una terapia in fase di
studio (la terapia trombolitica) che, se somministrata entro poche ore dall’esordio dei sintomi,
è in grado di ridurre l’invalidità ma aumenta il rischio di morte nei primi giorni. Se Lei fosse
il paziente in questione, accetterebbe di sottoporsi a questa terapia, pur conoscendone i
rischi?”. Il 59% ha risposto di sì, il 19% no e il 22% non ha saputo prendere una decisione.
Questo consenso relativamente ampio alla terapia trombolitica da parte di persone che da
poco avevano avuto l’esperienza di un ictus è risultato simile a quello a favore della terapia
anticoagulante orale – sicuramente più consolidata e diffusa di quella trombolitica – ottenuto
dalle interviste su tale terapia nella prevenzione secondaria per l’ictus in pazienti con fibrillazione atriale cronica.50 Gli intervistati sono stati favorevoli alla terapia trombolitica probabilmente anche perché ben l’81% di loro considerava la grave disabilità conseguente all’ictus
paragonabile se non peggiore della morte, analogamente a quanto riscontrato da altri autori i
quali, tuttavia, hanno intervistato soggetti a rischio di ictus ma senza l’esperienza diretta dell’evento.51,52 Sebbene l’esito di un sondaggio non possa certo sostituire il parere di un singolo
individuo, nei casi in cui il consenso è impossibile da ottenere esso può contribuire a giustificare la scelta del medico.
Un ulteriore modello di consenso che il Gruppo di studio della SIN considera a proposito della
trombolisi è quello delle direttive anticipate. Questo modello consiste nella possibilità di esprimere anticipatamente, prima che il paziente non sia più in grado di farlo, il proprio atteggiamento verso il consenso a terapie ad alto rischio. Esso si applica per lo più, come è ovvio, nelle
malattie croniche, ma potrebbe essere applicato anche nel caso delle malattie acute in certa
misura prevedibili, come l’ictus, anche se è difficile immaginare una vera formalizzazione di
una direttiva anticipata in merito, se non nella forma di un rifiuto o un’accettazione generica.
Si potrebbe pensare ad una campagna informativa diretta principalmente ai soggetti con fattori di rischio in modo che le persone raggiunte dalla campagna abbiano l’opportunità di
maturare una maggiore consapevolezza circa tali problemi e siano in grado di decidere più
razionalmente al momento di un ictus.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
213
Un ultimo aspetto affrontato dal documento del Gruppo di studio della SIN è il problema di
come fornire l’informazione. A questo proposito non si può proporre un modello rigido poiché il medico deve essere in grado di adattare il messaggio al livello culturale e alla situazione
emotiva della persona che ha di fronte. È noto che il modo in cui si fornisce l’informazione e
si esprimono i rischi ed i benefici di un’opzione terapeutica può modificare significativamente la scelta del soggetto,53 ragion per cui il medico deve essere il più chiaro ed esplicito possibile nell’esporre il rapporto rischio-beneficio della terapia trombolitica per l’ictus specificando che la terapia trombolitica con rt-PA endovena entro 3 ore dall’esordio di un ictus ischemico non è salva-vita, poiché non riduce la mortalità, ma è salva-disabilità in quanto riduce
l’invalidità post-ictus in maniera statisticamente e clinicamente significativa.4 A questo proposito una recente esperienza dell’Università di Edimburgo, che sta coordinando uno studio
internazionale randomizzato e controllato sull’rt-PA e.v. contro placebo entro 6 ore dall’esordio dei sintomi,54 ha documentato come il coinvolgimento dei consumers nel redigere opuscoli informativi possa avere un ruolo fondamentale nel rendere più comprensibile e indipendente l’informazione.55 La realizzazione di una campagna informativa non potrà quindi prescindere dal coinvolgimento dei rappresentanti di coloro ai quali l’informazione è indirizzata.
Quanto sopra si applica comunque al trattamento dell’ictus con t-PA per via e.v.. Altre vie di
somministrazione rimangono per ora sperimentali; per esse il gruppo di lavoro su Bioetica e
Diritti del Cittadino di SPREAD ha indicato una serie di criteri per la valutazione etica dei protocolli di ricerca nell’ictus acuto in emergenza, reperibile nell’Appendice II a questo volume.
10.1.1.4
Terapia con ancrod
Un cenno finale va fatto all’ancrod, una serina proteasi estratta dal veleno di vipera che agisce
come agente defibrinogenante. Lo studio Stroke Treatment with Ancrod Trial (STAT)56 ha randomizzato 500 pazienti a ricevere entro 3 ore dall’esordio dei sintomi e per 72 ore ancrod o
placebo. Un esito clinico favorevole a 90 giorni (Barthel Index ≥95) è stato riportato nel 42,2%
dei trattati contro il 34,4% dei placebo (P=0,04), con una mortalità rispettivamente del 25,4%
e 23% (P=0,62) e con trasformazione emorragica sintomatica nel 5,2% e 2% (P=0,06) dei
casi. Uno studio europeo con ancrod somministrato entro 6 ore dall’esordio dei sintomi
(ESTAT)57,58 è stato interrotto prematuramente dopo che un’analisi ad interim ha evidenziato
una mortalità a 90 giorni più elevata nei pazienti trattati con ancrod.
10.1.1.5
Sintesi 10-8
Al momento attuale le evidenze
disponibili controindicano l’uso di
ancrod nel paziente con ictus
ischemico acuto. Tuttavia un
recente aggiornamento della revisione Cochrane indica la necessità di rendere utilizzabili i risultati dello studio ESTAT prima di
trarre conclusioni definitive.
Terapia antitrombotica come terapia specifica
L’uso di anticoagulanti e di ASA come terapia dell’infarto cerebrale è stato ampiamente sperimentato negli ultimi anni.
Lo studio Fraxiparine in Stroke Study (FISS)59 ha randomizzato pazienti con ictus ischemico
ad essere trattati, entro 48 ore dall’esordio dei sintomi e per 10 giorni, con nadroparina s.c.
4·000 UI/die o 4·000 UI × 2 o con placebo. Lo studio ha evidenziato l’efficacia di entrambe le
dosi di farmaco nel migliorare l’endpoint combinato morte/dipendenza al termine del followup, cioè a 6 mesi dall’esordio dei sintomi, ma non in fase acuta. Tuttavia i risultati del FISS non
sono stati replicati dal FISS-bis, studio multicentrico europeo su una casistica di 767 pazienti
trattati entro 24 ore e per 10 giorni con 86 UI/kg o con 86 UI/kg × 2.60 L’analisi combinata
dei due studi nel complesso non evidenzia l’efficacia della nadroparina nel migliorare l’endpoint morte/dipendenza (OR 0,99; IC95 0,94-1,05).61
Lo International Stroke Trial (IST)62 ha messo a confronto eparina non frazionata s.c. con
ASA. In totale, 19·435 pazienti con sospetto ictus ischemico sono stati randomizzati in aperto
a ricevere entro 48 ore dall’esordio dei sintomi e per 14 giorni per metà eparina non frazionata s.c. (il 25% 12·500 unità due volte al giorno ed il 25% 5·000 unità per due) o non-eparina
e per metà ASA (300 mg al giorno) o non-ASA. Per il disegno fattoriale dello studio, comunque, metà dei pazienti randomizzati ad ASA ricevevano anche eparina e metà di quelli randomizzati ad eparina ricevevano anche ASA. Al termine del follow-up a sei mesi, l’endpoint
morte/dipendenza non era migliorato nei pazienti trattati con eparina mentre nei pazienti trattati con ASA si riscontrava un modesto effetto positivo che, correggendo l’esito clinico in funzione della gravità all’ingresso, diveniva significativo con 14 eventi evitati per ogni 1·000
pazienti trattati.62 La combinazione dei dati IST con quelli del Chinese Acute Stroke Trial
(CAST),63 che ha randomizzato 20·000 pazienti con ictus ischemico a ricevere ASA 160 mg o
placebo entro 48 ore dall’esordio dei sintomi e per 4 settimane, conferma sostanzialmente il
dato, con 12 pazienti salvati da morte/dipendenza ogni 1·000 trattati.61,64
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.5
Grado A
L’ASA (160-300 mg/die)❊ è indicato in fase acuta per tutti i
pazienti ad esclusione di quelli
candidati al trattamento trombolitico (nei quali può essere iniziato
dopo 24 ore) o con indicazione al
trattamento anticoagulante.
❊GPP
Il gruppo SPREAD ritiene più adeguato il dosaggio di 300 mg.
214
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Il Trial of Org 10172 in Acute Stroke (TOAST)65 ha randomizzato 1·281 pazienti con ictus
ischemico a ricevere, entro 24 ore e per i primi 7 giorni dall’esordio dei sintomi, l’eparinoide
danaparoide e.v. 1·500 U anti-Xa o placebo. Malgrado una risposta apparentemente positiva
al trattamento entro la prima settimana, l’esito clinico a 3 mesi dei pazienti trattati è risultato
sovrapponibile a quello dei pazienti non trattati (esito favorevole, indicato da un punteggio al
Barthel Index da 12 a 20, rispettivamente nel 75,2% e 73,7% dei casi, OR 0,92; IC95 0,72-1,19)
con in più una maggior frequenza di infarcimenti emorragici gravi nei pazienti trattati (1,7%
vs. 0,6%).
Lo studio Heparin in Acute Embolic Stroke Trial (HAEST)66 ha confrontato l’eparina a basso
peso molecolare dalteparina 100 UI/kg × 2 con l’ASA 160 mg in 449 pazienti con ictus e fibrillazione atriale trattati entro 30 ore e per 14 giorni dall’esordio dei sintomi. L’esito clinico a 3
mesi dei pazienti trattati con dalteparina non è risultato significativamente migliore rispetto ai
pazienti trattati con ASA (morte/dipendenza nel 48,2% e 48,4% dei casi rispettivamente).
Lo studio Therapy of Patients with Acute Stroke (TOPAS)67 ha confrontato quattro dosi diverse dell’eparina a basso peso molecolare certoparina, 3·000 U anti-Xa, 3·000 U × 2, 5·000 U × 2
e 8·000 U × 2, in pazienti trattati entro 12 ore dall’esordio dei sintomi e per 14 giorni. Lo studio non è contro placebo ed i dati suggeriscono solamente che per quanto concerne l’esito clinico positivo a 3 mesi, inteso come Barthel Index ≥90, non c’è differenza fra le diverse dosi di
farmaco. Peraltro l’alta incidenza di esito clinico favorevole (dal 56% al 63% nei quattro sottogruppi) e la bassa mortalità complessiva del 7,5% derivano dall’essere stati randomizzati
nello studio anche pazienti con ictus lieve.
Infine, lo studio Tinzaparin in Acute Ischemic Stroke Trial (TAIST) ha randomizzato 1·484
pazienti al trattamento con tinzaparina 175 UI anti-Xa/kg, o con 100 UI anti-Xa/kg o con ASA
300 mg p.o entro 48 ore dall’esordio dell’ictus e per 10 giorni. L’esito clinico a 6 mesi è risultato sovrapponibile nei tre gruppi con rispettivamente il 3,9%, il 5,5% ed il 3,7% di mortalità e con esito clinico favorevole (Rankin ≤2) nel 41,5%, nel 42,4% e nel 42,5% di pazienti.68
Raccomandazione 10.6
Grado A
L’uso sistematico di eparina non
frazionata, eparina a basso peso
molecolare, eparinoidi, non è
indicato come terapia specifica
dell’ictus ischemico.
Quindi, il trattamento con ASA 160-300 mg/die (preferenzialmente 300 mg/die secondo il
gruppo SPREAD) è indicato in tutti i pazienti con ictus ischemico acuto, tranne quelli candidati al trattamento trombolitico (nei quali può essere iniziato dopo 24 ore) o con indicazione
al trattamento anticoagulante. Al momento attuale non sussistono indicazioni all’uso di eparina non frazionata o a basso peso molecolare, o di eparinoidi come terapia specifica dell’ictus
ischemico, cioè finalizzata a limitare il danno cerebrale. Tuttavia va sottolineato come in tutti
gli studi citati il trattamento è stato iniziato fino a 24-48 ore dopo l’inizio dei sintomi, cioè ben
oltre i più ottimistici limiti di sopravvivenza della penombra ischemica,69,70 anche se il sottogruppo dei pazienti trattati entro le 12 ore nello studio IST non ha tratto alcun giovamento
dalla terapia eparinica.62
Le stenosi subocclusive carotidee o vertebrobasilari, le dissecazioni carotidee o vertebrali e le
trombosi dei seni venosi cerebrali rappresentano un capitolo a parte della terapia anticoagulante d’emergenza. Si tratta di evenienze riportate in letteratura come eventi di frequenza relativamente bassa, così che i dati a disposizione provengono da casistiche numericamente limitate quando non da serie aneddotiche.
Raccomandazione 10.7
Grado D
Il trattamento anticoagulante con
eparina e.v. è indicato in pazienti
con dissecazione dei grossi tronchi arteriosi ed in quelli con stenosi subocclusiva in attesa di
trattamento chirurgico.
È pratica frequente ricorrere alla terapia anticoagulante con eparina e.v. in pazienti con stenosi
serrata dei grossi tronchi arteriosi extracranici, nell’attesa di un eventuale intervento di ricanalizzazione, chirurgica o per via endovascolare, o in alternativa a questi quando controindicati.71 L’analisi del sottogruppo dei pazienti dello studio TOAST con ictus secondario a stenosi marcata o ad occlusione della carotide interna, che rappresentano il 22% di quelli sottoposti a studio con ultrasuoni ma costituisce comunque un sottogruppo non pianificato, quindi con scarsa potenza statistica i cui risultati presentano una elevata probabilità di bias, ha evidenziato un esito clinico favorevole a 7 giorni nel 53,8% dei pazienti trattati e nel 38% dei placebo (P=0,023) e a 3 mesi rispettivamente nel 68,3% e nel 53,2% dei casi (P=0,021),72 suggerendo l’utilità del trattamento anticoagulante d’emergenza in questi pazienti. Tuttavia uno studio più recente (FISS-tris), peraltro non ancora pubblicato in extenso, di confronto tra nadroparina 3·800 IU a-Xa × 2/die vs. ASA 160 mg/die per 10 giorni specificamente nella patologia
dei grossi vasi indica che i risultati ottenuti con ASA e con eparina sono sovrapponibili.73
La dissecazione arteriosa, spontanea o post-traumatica, è un’evenienza rara con un’incidenza
di 2,5-3,5 casi per 100·000 ogni anno,74,75 anche se oggi più facilmente diagnosticata grazie agli
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
215
studi con ultrasuoni e all’angiografia in RM o in TC. La patogenesi dell’ictus è per lo più tromboembolica, cioè consegue alla formazione di trombi nella sacca subintimale che poi possono
rientrare nel circolo e quindi embolizzare attraverso una seconda breccia intimale a valle.76
Questo è dunque il razionale fisiopatologico della terapia anticoagulante anche se a tutt’oggi
non esistono studi randomizzati che dimostrino il rapporto rischio/beneficio di tale trattamento. In base ai risultati di serie retrospettive e di case report è indicato il ricorso ad eparina
non frazionata e.v. o ad eparine a basso peso molecolare, seguite poi da anticoagulanti orali.
L’indicazione è inoltre quella di proseguire il trattamento anticoagulante fino a riparazione del
danno che in genere avviene entro 3-6 mesi; oltre questo limite una riparazione è estremamente improbabile ma se a 6 mesi persistono la dissecazione o irregolarità del lume vasale la
terapia anticoagulante va proseguita così come il monitoraggio dello stato del vaso. Gli antiaggreganti vanno somministrati sin dall’inizio in pazienti con controindicazioni agli anticoagulanti.77-79
Le trombosi dei seni venosi sono un’evenienza clinica di diagnosi oggi più facile, per quanto
relativamente infrequente, grazie alle neuroimmagini e segnatamente alla RM. L’evoluzione
naturale è piuttosto imprevedibile, essendo possibile anche un recupero neurologico completo senza alcun trattamento. La terapia anticoagulante, il cui razionale è quello di prevenire l’estensione del trombo, è stata dimostrata come efficace in due studi 80,81 che hanno complessivamente randomizzato 80 pazienti ad eparina non frazionata e.v. o ad eparina a basso peso
molecolare s.c. contro placebo. L’analisi combinata dei dati dei due studi evidenzia una riduzione del 15% dell’incidenza dell’endpoint combinato morte/dipendenza nei pazienti trattati,
ma con IC95 fra –36% e +6% e, quindi, senza significatività statistica. Tuttavia, in attesa dell’identificazione di variabili che consentano di differenziare sottogruppi di pazienti con trombosi venose cerebrali a diverso rischio evolutivo, i dati di questi studi e quelli di casistiche non
randomizzate 82,83 indicano che l’approccio terapeutico più appropriato è attualmente quello
con eparina, riservando la trombolisi locale (vedi § 10.1.1.2) ai casi che presentino un andamento peggiorativo malgrado una scoagulazione ottimale ed un adeguato trattamento delle
possibili cause sottostanti.84
10.1.1.6
Raccomandazione 10.8
Grado D
Il trattamento anticoagulante con
eparina e.v. è indicato in pazienti
con trombosi dei seni venosi.
Neuroprotezione
Malgrado il notevole interesse derivante dal forte razionale fisiopatologico, i farmaci neuroprotettori che hanno dato risultati positivi nell’ischemia sperimentale (come gli antagonisti del
recettore N-metil-D-aspartato, i farmaci anti-radicali liberi, gli anticorpi anti-molecole di adesione, solo per citare i più interessanti), non hanno poi confermato la loro efficacia in studi clinici di fase III. Tutte le revisioni sistematiche fino ad oggi pubblicate non mostrano alcun vantaggio clinico dell’uso di calcio antagonisti, gangliosidi, lubeluzolo, GABA agonisti, tirilazad,
antagonisti della glicina o dei recettori NMDA, rispetto al placebo.85-91
Potrebbero essere molte le possibili spiegazioni, fra cui il ritardo nell’inizio del trattamento (in
alcuni studi fino a 24-48 ore), dosi inadeguate, un meccanismo d’azione non appropriato per
tutti i tipi di ictus. Ad esempio, è improbabile che un antagonista del recettore N-metil-Daspartato, che agisce a livello sinaptico, possa essere efficace nel proteggere la sostanza bianca
ischemica dove non ci sono sinapsi.92 Altra possibile spiegazione è che se non si ristabilisce
tempestivamente un adeguato flusso ematico nel tessuto ischemico, questo non può tornare a
condizioni di normale funzionalità ed al massimo resterà “congelato” nella condizione determinata dal neuroprotettore fin quando questo sarà somministrato. Quindi, è verosimile che
solo la sperimentazione combinata di un farmaco neuroprotettore con la rivascolarizzazione
farmacologica potrà consentire di dimostrare l’efficacia clinica della neuroprotezione.93 Sono
comunque in corso ricerche cliniche su nuovi neuroprotettori, i cui risultati – principalemnte
focalizzati su disabilità e recupero neurologico (studi SAINT-I e SAINT-II)94 – sono attesi nel
corso del 2007.
La revisione sistematica effettuata nell’ambito della Cochrane Collaboration e recentemente
aggiornata conclude per una mancanza di dati circa l’efficacia dell’uso dei corticosteroidi nel
trattamento dell’ictus ischemico acuto.95
Conclusioni analoghe emergono dalle revisioni circa l’uso dei diuretici osmotici (mannitolo,
glicerolo)96,97 che pertanto non sono indicati nel trattamento sistematico dell’ictus ischemico
acuto, mentre si rimanda alla raccomandazione 11.31 b per quanto concerne il trattamento
dell’edema cerebrale.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.9 a
Grado A
L’uso di farmaci neuroprotettori
non è indicato nel trattamento
dell’ictus ischemico acuto.
Raccomandazione 10.9 b
Grado A
I corticosteroidi non sono indicati
nel trattamento dell’ictus ischemico acuto.
Raccomandazione 10.9 c
Grado A
I diuretici osmotici (mannitolo,
glicerolo) non sono indicati nel
trattamento sistematico dell’ictus
ischemico acuto, ma si rimanda
alla raccomandazione 11.31 b
per quanto concerne il trattamento dell’edema cerebrale.
216
Sintesi 10-9
La terapia antitrombotica di prevenzione secondaria in pazienti
con ictus acuto va scelta alla luce
dell’inquadramento patogenetico
del caso, che va fatto al più presto possibile (preferibilmente
entro 48 ore al massimo), con
l’eventuale ricorso, ove possibile,
alle più appropriate indagini strumentali. Comunque la scelta
terapeutica deve tener conto
della gravità clinica del paziente
e della sua aderenza al trattamento, e della possibilità di effettuare un monitoraggio accurato,
qualora necessario, come nel
caso della terapia anticoagulante
orale.
Raccomandazione 10.10 a
Grado B
In pazienti con fibrillazione atriale
non valvolare è indicata la terapia
anticoagulante orale (TAO) mantenendo i valori di INR tra 2 e 3.
Raccomandazione 10.10 b
Grado D
In pazienti con altra eziologia cardioembolica che hanno un elevato rischio di recidiva precoce, è
indicata la terapia con eparina
e.v. (PTT 1,5-2,5 il valore basale)
seguita da terapia anticoagulante
orale da embricare con l’eparina,
con obiettivo INR fra 2 e 3 (valvulopatie con o senza FA), o fra 2,5
e 3,5 (protesi valvolari meccaniche).
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
10.1.2
Terapia antitrombotica come terapia di prevenzione secondaria
Un’adeguata terapia di prevenzione secondaria deve essere mirata in funzione del sottostante
meccanismo patogenetico cardioembolico, aterotrombotico o da patologia di piccole arterie.
Questo va definito con le più appropriate indagini strumentali da eseguire entro un limite massimo di 48 ore dal ricovero.
10.1.2.1
Ictus cardioembolico
Che la terapia anticoagulante sia quella più efficace nella prevenzione dell’ictus in pazienti con
cardiopatie emboligene, è stato chiaramente dimostrato dagli studi di prevenzione primaria 98
(vedi § 7.2.2.2) e da quelli di prevenzione secondaria in pazienti colpiti da TIA o ictus minori (vedi § 12.6.2).99 Questi hanno anche permesso di delineare diversi profili di rischio, che
pongono i pazienti con fibrillazione atriale già colpiti da TIA o ictus nel gruppo di quelli ad
alto rischio di recidiva.100 Ma studi randomizzati controllati con terapia anticoagulante in fase
acuta non esistono, per cui il dilemma che si pone al clinico di fronte al paziente con ictus e
cardiopatia emboligena è se iniziare una terapia anticoagulante d’emergenza e con che cosa,
sapendo che questa comporta un rischio di trasformazione emorragica dell’infarto, che è tanto
più elevato quanto più estesa è la lesione.101 Studi con TC seriata hanno dimostrato una trasformazione emorragica spontanea fino al 40% dei casi di presumibile ictus cardioembolico,
in particolare per gli infarti più estesi che, inoltre, si è visto essere prevedibile già ad una TC
eseguita entro 6 ore dall’esordio dei sintomi grazie alla presenza di segni precoci estesi e di
effetto massa.102 Peraltro, la trasformazione emorragica più frequente è sotto forma di petecchie più o meno confluenti, tende a manifestarsi entro 5-7 giorni dall’esordio dei sintomi, per
lo più consegue al ritorno di sangue nell’area infartuale attraverso i vasi collaterali piali inizialmente compressi dall’edema perilesionale,102,103 non ha alcuna conseguenza sul piano clinico 101,102 e verosimilmente non è influenzata dall’uso di anticoagulanti.102 Invece l’infarcimento secondario in forma di ematoma, più importante clinicamente, è meno frequente ma
può verificarsi spontaneamente fino al 2% dei casi,102 è più precoce verificandosi entro 48
ore 104 e consegue in genere alla riapertura del vaso occluso per lisi dell’embolo, pur essendo
stato descritto anche in assenza di una tale ricanalizzazione.105 Comunque il rischio potenziale che un trattamento anticoagulante precoce possa favorire questa seconda evenienza, va valutato alla luce del rischio di ricorrenza precoce (entro due settimane) ed ultraprecoce (nelle
prime 48 ore). Una non recente revisione della letteratura da parte della Cerebral Embolism
Task Force 106 stima il rischio di recidiva precoce intorno al 12% (dal 2% al 22%), mentre in
una serie prospettica di 227 ictus cardioembolici la recidiva precoce è stata stimata pari al
13,7% e quella ultraprecoce al 4,8%.107
I già citati studi con terapia anticoagulante a base di eparina non frazionata o a basso peso
molecolare o di eparinoidi somministrati entro 24-48 ore dall’esordio dell’ictus, forniscono dati
di non univoca interpretazione. Nello studio FISS 59 la nadroparina ha consentito una riduzione del 39% del rischio relativo di recidiva durante il ricovero (2,9% con entrambi i dosaggi di
nadroparina contro 4,8% dei pazienti placebo), non significativa per l’esiguità del campione
studiato, e persino con una minore incidenza di trasformazioni emorragiche (48% in meno con
la dose alta, e 27% in meno con quella bassa, cioè rispettivamente 4,9% e 6,9% contro 9,5%
nei placebo). Non viene fornito il dato separato relativo agli ictus cardioembolici.
L’analisi del sottogruppo dei pazienti con fibrillazione atriale dello studio IST 62 (3·169 pazienti, cioè il 16% del totale) evidenzia una riduzione a 14 giorni di 21±7 eventi ogni 1·000 pazienti trattati (2,8% contro 4,9%), a fronte, però, di 16±4 infarcimenti emorragici in più (2,1%
contro 0,4%). C’è da dire che nello studio non viene specificata la gravità di questi infarcimenti, per cui considerando la mortalità a 14 giorni come indice indiretto di complicanze
emorragiche fatali, il trattamento anticoagulante previene 16±14 eventi di decesso/ictus non
fatale (19,2% contro 20,7%). Per contro, il trattamento con ASA previene 13±7 recidive
(3,3% contro 4,5%), provoca 3±4 infarcimenti emorragici in più (1,4% contro 1,1%) e complessivamente 2±3 eventi di decesso/ictus non fatale in più (19,8% contro 19,9%) per ogni
1·000 pazienti trattati.62
Nello studio TOAST 65 i pazienti con ictus cardioembolico trattati con danaparoide non presentavano recidive nei primi 7 giorni, contro l’1,6% di recidive nei placebo, ma a fronte di trasformazione emorragica grave nell’1,7% dei trattati contro lo 0,4% dei placebo (indipendentemente dal sottotipo patogenetico di ictus). Lo studio HAEST 66 riporta l’8,5% di recidive di
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
217
ictus a 14 giorni nei pazienti trattati contro il 7,5% del placebo e, rispettivamente, il 2,7% e
l’1,8% di trasformazioni emorragiche sintomatiche. Infine, lo studio TAIST 68 riporta il 3,3%
di recidive nel braccio ad alta dose di tinzaparina, il 4,7% in quello a dose media ed il 3,1%
in quello con ASA con, rispettivamente, il 2,2%, l’1,0% e lo 0,6% di complicanze emorragiche intra- o extra-craniche.
Dall’analisi comparata di questi studi risulta evidente la non immediata confrontabilità dei
risultati, vista la variabilità di recidiva precoce nei pazienti non trattati dall’1,6% 65 al 7,5%.66
Questo si può spiegare ipotizzando diverse definizioni di recidiva adottate nei diversi studi,
tenendo conto, peraltro, che tali definizioni non vengono mai fornite tranne che nello studio
HAEST 66 che, però, ha considerato recidive anche il peggioramento dei sintomi verificatosi
dopo 48 ore dall’esordio dell’ictus e, quindi, ha computato come recidive un buon numero di
progressing stroke.108
Un elemento critico comune a questi studi è, comunque, il mancato monitoraggio dei livelli di
scoagulazione, il che non è un dato di secondo piano considerando che, ad esempio, dai dati
su tutta la popolazione studiata nello studio IST risulta che il sottogruppo trattato con la dose
più elevata di eparina è quello che ha presentato il tasso più elevato di complicanze emorragiche,62 mentre il sottogruppo trattato con la dose più bassa di eparina è quello che ha presentato il miglior rapporto rischio/beneficio, anche in confronto con l’ASA.109,110 Solo lo studio
TOAST ha previsto un aggiustamento del dosaggio del farmaco in funzione dei livelli di scoagulazione raggiunti, ma gli autori non riportano il valore medio di attività anti-Xa effettivamente conseguito, né presentano il livello di anticoagulazione raggiunto nei pazienti con e
senza complicanze emorragiche,65 per cui non si può escludere che nei primi i valori conseguiti possano aver superato il range terapeutico. Infine, un limite specifico dello studio IST è
che il 33% dei pazienti è stato sottoposto a TC cerebrale solo dopo la randomizzazione,62 con
il probabile arruolamento di almeno 600 pazienti con emorragia cerebrale, il che può avere
comportato uno sbilanciamento delle complicanze emorragiche a sfavore dei gruppi sottoposti a terapia con eparina.109 Tuttavia, nella successiva metanalisi dei dati combinati CAST e
IST, si è rilevato che nei 9·000 pazienti (22%) randomizzati senza TC prima di iniziare il trattamento – ivi inclusi circa 800 soggetti poi identificati come colpiti da ictus emorragico – non
si è osservato un particolare eccesso di trasformazioni emorragiche.64
Uno dei problemi originati da questi studi è la variabilità delle stime di trasformazione emorragica e quindi del potenziale rapporto tra benefici e rischi. Secondo una recente metanalisi 111
basata su 28 studi osservazionali e 19 RCT, purtroppo di valore limitato a causa di definizioni
non omogenee degli eventi e di popolazioni piccole o affette da bias, il rischio spontaneo di
trasformazione emorragica è 8,5% (IC95 7%-10%), incluso lo 1,5% (IC95 0,8%-2,2%) di
emorragie gravi (accompagnate da deterioramento neurologico o ematoma parenchimale). La
frequenza spontanea di trasformazione emorragica è quindi relativamente bassa, ma aumenta
in maniera marcata con l’impiego di antitrombotici o trombolitici. I principali fattori di
rischio, desumibili però da soli 8 studi, includono: infarti di grandi dimensioni, effetto di
massa, ipodensità precoce, età >70 anni. Ipertensione o ictus cardioembolico non risultano
essere, in questa analisi, fattori di rischio indipendenti per trasformazione emorragica.
Va inoltre sottolineato come il ricorso ad ecocardiografia transesofagea nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare arruolati nello studio SPAF-III abbia permesso di evidenziare che
la presenza di trombi 112 e/o di ridotta velocità di flusso 112,113 in auricola sinistra, di ecocontrasto spontaneo denso 112,114 e di placche aortiche complicate 112 sono tutti fattori correlati
con elevato rischio tromboembolico. Inoltre, ove possibile è utile prendere in considerazione
anche la presenza ed estensione dei segni precoci dell’infarto alla TC cerebrale. Naturalmente
criteri cardine nella scelta terapeutica restano la gravità clinica del paziente e la sua aderenza
al trattamento, intendendo quest’ultima anche in relazione alla realtà territoriale nella quale il
paziente vive e, quindi, alla presenza o meno di centri per il monitoraggio della terapia anticoagulante.
In conclusione, quindi, in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare è indicata la terapia
anticoagulante orale (TAO) con INR da mantenere fra 2 e 3, mentre in pazienti con altra eziologia cardioembolica (valvulopatie con o senza FA, protesi valvolari) che hanno un elevato
rischio di recidiva precoce, è indicata la terapia con eparina e.v. (PTT 1,5-2,5 volte il valore
basale) seguita da TAO da embricare con l’eparina, con obiettivo INR fra 2 e 3 (valvulopatie
con o senza FA), o fra 2,5 e 3,5 (protesi valvolari meccaniche). In pazienti con qualunque eziostesura 15 marzo 2005
Sintesi 10-10
L’esecuzione di ecocardiografia
transesofagea in pazienti con
fibrillazione atriale non valvolare
può permettere di evidenziare
condizioni ecografiche di elevato
rischio cardioembolico come
trombi in auricola sinistra, ecocontrasto spontaneo denso, ridotta velocità di flusso in auricola
sinistra, placche aortiche complicate, isolatamente o in associazione. Fisiopatologicamente questi pazienti andrebbero considerati come ad elevato rischio di
recidiva precoce, ma al momento
attuale non si hanno indicazioni
da studi randomizzati sul più
appropriato trattamento anticoagulante (tipo di farmaco e
timing).
Raccomandazione 10.11
Grado D
In pazienti con qualunque eziologia cardioembolica, in assenza
delle controindicazioni elencate
nel Capitolo 5, è indicato iniziare
il trattamento anticoagulante
orale tra 48 ore e 14 giorni
tenendo conto di:
• gravità clinica;
• estensione della lesione alle
neuroimmagini;
• comorbosità cardiologica
(definita anche con ecocardiografia).
218
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
logia cardioembolica, in assenza delle controindicazioni elencate nel Capitolo 5, il trattamento anticoagulante orale va iniziato tra 48 ore e 14 giorni successivi all’evento tenendo conto di:
• gravità clinica;
• estensione della lesione alle neuroimmagini;
• comorbosità cardiologica (definita anche con ecocardiografia).
Raccomandazione 10.12
Grado B
L’ASA alla dose di 325 mg/die è
indicato come terapia di prevenzione secondaria precoce dopo
un ictus cardioembolico in tutti i
casi nei quali la terapia anticoagulante è controindicata o non
possa essere adeguatamente
monitorata al momento della
dimissione.
Comunque, i ricercatori dello studio IST concludono sostenendo che il ricorso ad ASA 300
mg al giorno entro 48 ore dall’esordio dei sintomi in pazienti con qualunque tipo patogenetico di ictus ischemico consente di ridurre del 30% il rischio relativo di recidiva precoce di ictus
e che tale trattamento ha il miglior profilo rischio/beneficio.62 Questa conclusione è rafforzata anche dalla già citata metanalisi degli studi CAST ed IST che evidenzia l’efficacia dell’ASA
nel prevenire recidive di ictus, anche indipendentemente dal tipo patogenetico, con 7±1 recidive prevenute, a fronte di un aumento di 2±1 trasformazioni emorragiche, ogni 1·000 pazienti trattati 64 ed indipendentemente dall’esecuzione di TC prima di iniziare il trattamento.
Quindi, dove è disponibile una CT sufficientemente precoce e regolare monitoraggio dei
tempi di coagulazione o iter diagnostico strumentale necessario per distinguere sottogruppi a
diverso rischio di recidiva, la scelta terapeutica fra anticoagulante e ASA ed il timing della terapia saranno definiti in funzione del quoziente di rischio per ictus correlato alla sottostante cardiopatia, eventualmente ulteriormente quantizzato in base alle indagini strumentali eseguite in
regime d’urgenza. Dove ciò non è disponibile, non vi sono ragioni sostanziali per ritardare o
evitare il trattamento almeno con ASA nel sospetto di ictus ischemico di qualsiasi tipo.64
Nel caso specifico dell’ictus cardioembolico, viene raccomandato l’ASA come terapia di prevenzione secondaria precoce in tutti i casi nei quali la terapia anticoagulante è controindicata
o non possa essere adeguatamente monitorata al momento della dimissione.110 In analogia con
quanto raccomandato in prevenzione primaria 115 (vedi anche raccomandazione 7.7 d) esiste
un consenso generalizzato ad indicare l’impiego della dose di 325 mg/die. Per la prevenzione
secondaria a lungo termine si veda il Capitolo 12.
Raccomandazione 10.13
Grado D
In pazienti con FA che già assumevano terapia anticoagulante
orale e che presentino un INR al
di sotto del range terapeutico, è
indicata la terapia anticoagulante,
con la scelta del tipo di anticoagulante e del timing definite
come nella raccomandazione
10.11.
Raccomandazione 10.14
Grado D
In pazienti con protesi valvolari
già in terapia anticoagulante
orale ben condotta, è indicata
l’associazione agli anticoagulanti
orali di antiaggreganti piastrinici.
Sintesi 10-11
In pazienti con ictus e forame
ovale pervio le scelte terapeutiche di prevenzione secondaria
sono le stesse proposte in ambito
non d’emergenza (vedi raccomandazioni 12.14 a, b, c), mentre
il timing è quello indicato nella
raccomandazione 10.11.
Un discorso a parte meritano i pazienti con cardiopatie emboligene che vanno incontro ad
ictus malgrado terapia anticoagulante. Nel caso della fibrillazione atriale questo avviene il più
spesso perché i livelli di INR non sono nel range terapeutico,116 ma comunque in emergenza
la scelta ed il timing della terapia anticoagulante debbono seguire i criteri su riportati.
Nel caso dei pazienti portatori di protesi valvolari, invece, una volta escluso con TC cerebrale trattarsi di emorragia cerebrale, i provvedimenti da prendere sono i seguenti:
a. nei pazienti con protesi valvolari biologiche, che al momento dell’ictus sono in trattamento
con ASA dopo i tre mesi iniziali con TAO, è indicata una TAO a lungo termine;
b. nei pazienti con protesi valvolari meccaniche in cui l’ictus si sia verificato in corso di TAO
ad intensità inadeguata è opportuno riprendere la TAO ad intensità ottimale (INR 2,5-3,5
per le protesi a disco singolo o doppio emidisco e INR 3-4,5 per le protesi a palla e le protesi multiple);
c. nei pazienti con protesi meccaniche che hanno embolizzato malgrado una TAO adeguata è
consigliabile l’associazione alla TAO di ASA 100 mg o in alternativa dipiridamolo 400 mg
die. Queste raccomandazioni sono basate sulla estrapolazione di risultati ottenuti in prevenzione primaria in pazienti con protesi valvolari meccaniche ad elevato rischio cardioembolico;117-119
d. in tutti i pazienti con protesi in cui si è verificato un ictus è raccomandabile l’esecuzione dell’ecocardiografia transesofagea per la ricerca di un’eventuale trombosi valvolare protesica.
Nei pazienti con trombosi valvolare protesica e ictus deve essere attuata una terapia anticoagulante.120 Nei pazienti in cui persista una trombosi protesica e vi sia una ricorrenza di eventi
nonostante il trattamento anticoagulante deve essere preso in considerazione un approccio
cardiochirurgico
Infine, per quanto riguarda i pazienti con ictus e forame ovale pervio le scelte terapeutiche di
prevenzione secondaria sono le stesse proposte in ambito non d’emergenza (vedi § 12.6.2.4).
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
10.1.2.2
219
Ictus da patologia aterosclerotica dei tronchi arteriosi extra-cranici
L’ictus ischemico da patologia dell’asse carotideo o vertebrale extracranico è nella maggior
parte dei casi artero-embolico, piuttosto che trombotico. Anche in caso di occlusione acuta
della carotide interna al collo, infatti, in oltre la metà dei casi l’ictus è causato dalla concomitante occlusione artero-embolica dell’arteria cerebrale media omolaterale.121 Pertanto la terapia di prevenzione secondaria in caso di ictus o TIA da patologia arteriosa, si può a pieno titolo considerare indirizzata al controllo di potenziali fonti emboligene. Un’ulteriore conferma di
tale assunto è data dall’identificazione del ruolo di fattore di rischio per ictus giocato dalle
placche aterosclerotiche in aorta ascendente ed arco aortico.122-127 Queste si riscontrano fin
nel 60% di pazienti con ictus di età superiore ai 60 anni, come verosimile indice di una patologia aterosclerotica diffusa. Assumono un ruolo da protagoniste in casi di ictus criptogenetico, cioè quando mancano lesioni aterotrombotiche nelle sedi classiche,122,123,125 e soprattutto
quando sono protrudenti,122,124,126 ed hanno un aspetto complicato.123,125,127
Le indicazioni di terapia di prevenzione secondaria nei pazienti con ictus artero-embolico ad
origine carotidea sono ampiamente codificate, in particolare per quanto riguarda il trattamento di tromboendoarteriectomia (TEA) in caso di stenosi carotidee ≥70% e, tenendo conto
di eventuali altri fattori di rischio per ictus e dei rischi operatori, anche per quelle fra il 50%
ed il 69% (vedi Capitolo 13).128,129 Sono in via di studio approcci alternativi come angioplastica e stent carotidei. Tuttavia, va sottolineato che si tratta di trattamenti elettivi e che a
tutt’oggi mancano stime del rischio di recidiva precoce in tali pazienti e, quindi, dell’opportunità di eseguire una TEA d’emergenza.
Nel caso di placche carotidee responsabili di stenosi <50% non c’è indicazione chirurgica ed
il trattamento è farmacologico. Nel caso di pazienti che non assumevano terapia antitrombotica prima dell’ictus, la scelta terapeutica cade sugli antiaggreganti (Capitolo 12). L’unico
antiaggregante studiato in fase acuta è l’ASA, nei già citati studi IST 62 e CAST 63, in base ai
quali l’indicazione primaria è quella di somministrare ASA 160-300 mg/die. Il problema sorge
quando i pazienti già prima dell’ictus assumevano antiaggreganti, in genere ASA. In questo
caso non ci sono indicazioni che aumentare il dosaggio dell’ASA apporti qualche beneficio.129
Quindi, il dilemma che si pone è se mantenere il trattamento in atto (che comunque potrebbe
aver ridotto la gravità di un evento inevitabile), cambiare farmaco antiaggregante (ipotizzando
che l’evento sia secondario a un suo fallimento) o iniziare terapia anticoagulante. Per la sostituzione, l’indicazione attuale è quella di ricorrere all’associazione dipiridamolo a lento rilascio
200 mg e ASA 25 mg ogni 12 ore (non ancora disponibile in Italia) 110,130 o a ticlopidina 250
mg × 2/die (eseguendo due controlli dell’emocromo al mese per i primi tre mesi)110 o a clopidogrel 75 mg/die, quest’ultimo preferibile a ticlopidina per il miglior profilo di sicurezza.128,129
Per quanto concerne la terapia anticoagulante in caso di ictus non cardioembolico, invece, lo
studio Stroke Prevention in Reversible Ischemia Trial (SPIRIT)131 ha confrontato ASA 30 mg
con warfarina in 1·316 pazienti con TIA o ictus minore di presunta genesi arteriosa (non cardiaca). Il trattamento ha comportato una crescita del rischio emorragico di un fattore 1,43
(IC95 0,96-2,13) per ogni aumento di 0,5 unità INR. Ma l’obiettivo di INR previsto nello studio era 3,0-4,5, cioè un livello di scoagulazione che non ha nessun razionale fisiopatologico in
pazienti con ictus non cardioembolico. Il Warfarin-Aspirin Recurrent Stroke Study
(WARSS),132 ha messo a confronto warfarina (obiettivo INR 1,4-2,8) ed ASA 325 mg somministrate entro 30 giorni dall’ictus e per due anni in pazienti con ictus non cardioembolico. Lo
studio non ha evidenziato differenze fra warfarina ed ASA nella prevenzione di recidive di
ictus o di morte da qualunque causa, né nell’incidenza di emorragie maggiori. Gli autori concludono affermando che warfarina ed ASA sono ragionevoli alternative terapeutiche. Al
momento attuale, quindi, gli anticoagulanti andrebbero riservati ai casi di recidive plurime
malgrado terapia antiaggregante.128,129 Lo studio European and Australasian Stroke Prevention
in Reversible Ischemia Trial (ESPRIT)133 prevede la randomizzazione a warfarina (INR 2-3),
dipiridamolo (400 mg) più ASA (30-325 mg) o ASA (30-325 mg) da sola di 4·500 pazienti con
TIA o ictus minore di origine arteriosa. Iniziato nel 1997, ad aprile 2005 lo studio aveva randomizzato 3·240 pazienti in 81 centri.
Per quanto concerne i pazienti con placche nell’arco aortico, infine, ancora non c’è un’indicazione evidente sulla migliore terapia di prevenzione secondaria. Finora sono disponibili solo
dati su piccole serie che indicano tanto una superiorità degli anticoagulanti,134 quanto la
sovrapponibile efficacia di antiaggreganti ed anticoagulanti.124 Nel sottogruppo di pazienti
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.15
Grado A
In pazienti con ictus conseguente
a patologia aterotrombotica dei
vasi arteriosi extracranici che non
assumevano terapia antitrombotica prima dell’evento, è indicato
somministrare ASA 160-300
mg/die.
Raccomandazione 10.16
Grado D
In pazienti con ictus conseguente
a patologia aterotrombotica dei
vasi arteriosi extracranici che già
assumevano ASA prima dell’evento, è indicato somministrare
ticlopidina 250 mg×2/die (eseguendo almeno due controlli dell’emocromo al mese per i primi
tre mesi) o clopidogrel 75 mg/die,
o dipiridamolo a lento rilascio
200 mg e ASA 25 mg×2/die.
Raccomandazione 10.17
Grado D
In pazienti con ictus conseguente
a patologia aterotrombotica dei
vasi arteriosi extracranici che
malgrado adeguata terapia
antiaggregante presentino ripetute recidive, è indicata la terapia
anticoagulante orale (INR 2-3).
220
Sintesi 10-12
Non ci sono al momento attuale
dati sufficienti per raccomandare
terapia antiaggregante ovvero
anticoagulante in pazienti con
placche dell’arco aortico, anche
se sul piano strettamente fisiopatologico queste dovrebbero essere trattate analogamente alle
placche dei tronchi arteriosi
extracranici. Tuttavia, le indicazioni prevalenti in letteratura sono a
favore degli anticoagulanti.
Sintesi 10-13
In pazienti con ictus lacunare la
terapia di prevenzione secondaria
va definita alla luce di indagini
diagnostiche le più complete possibili, atte ad evidenziare potenziali condizioni di rischio per ictus
aterotrombotico o cardioembolico.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
dello studio SPAF III con fibrillazione atriale e placche in arco aortico, quelli trattati con warfarina con INR 2-3 hanno avuto il 5,9% di recidive per anno, contro il 17,3% di quelli trattati con ASA 325 mg più bassa dose di warfarina con INR <1,5.135 In attesa di risultati più certi
da studi randomizzati, la scelta attualmente prevalente è il trattamento anticoagulante,136 mentre efficacia e sicurezza di un approccio chirurgico di TEA 137 sono tutte da definire.
10.1.2.3
Ictus lacunare
Una revisione della letteratura sugli ictus lacunari 138 ha posto in evidenza come, pur rimanendo l’ipertensione il più frequente fattore di rischio – anche se non in maniera significativamente diversa dai non lacunari 139 - e la patologia intrinseca delle piccole arterie il principale meccanismo patogenetico, tuttavia la fibrillazione atriale e altre cardiopatie ad elevato
rischio emboligeno possono essere presenti fino al 18% dei casi, mentre stenosi carotidee
>50% congrue con l’emisfero sintomatico si riscontrano fino al 20% dei casi. La tematica è
certo complessa, poiché va chiarito se la presenza di potenziali fonti cardioemboliche o di
patologia dei grossi vasi in pazienti con infarto lacunare sia semplicemente concomitante o
possa avere importanza patogenetica. È stato comunque dimostrato che la recidiva di ictus in
pazienti con iniziale ictus lacunare è un nuovo ictus lacunare solo nel 48% dei casi, mentre è
un’emorragia nel 3,5% dei casi ed un ictus cardioembolico o aterotrombotico nel rimanente
48% dei casi.140 Inoltre, un’analisi post-hoc della casistica arruolata nello studio NASCET ha
evidenziato che su 1·158 pazienti con ictus emisferico, 210 (18%) avevano un infarto lacunare alla TC e, quando trattati con terapia medica, questi avevano un rischio di recidiva a 3 anni
del 15,8% per ictus aterotrombotico, del 9,2% per ictus lacunare e dello 0,8% per ictus cardioembolico, contro rispettivamente il 17,1%, 2,9% e 2,3% per i pazienti con primo ictus
non-lacunare.141
In base a tali considerazioni, anche in caso di ictus lacunare la terapia di prevenzione secondaria va definita solo a seguito di indagini diagnostiche sullo stato dei grossi tronchi arteriosi
e del cuore.
Raccomandazione 10.18
Grado B
Per la prevenzione delle trombosi
venose profonde in pazienti a
rischio elevato (pazienti plegici,
con alterazione dello stato di
coscienza, obesi, con pregressa
patologia venosa agli arti inferiori) è indicato l’uso di eparina a
dosi profilattiche (eparina calcica
non frazionata 5·000 UI × 2 o
eparine a basso peso molecolare
nel dosaggio suggerito come profilattico per le singole molecole)
da iniziare al momento dell’ospedalizzazione.
10.1.3
Terapia antitrombotica come terapia di prevenzione delle complicanze
10.1.3.1
Trombosi venose profonde ed embolia polmonare
La trombosi venosa profonda (TVP) è descritta clinicamente nel 5% dei pazienti con ictus,142
mentre ricorrendo a tecniche diagnostiche come la scintigrafia con fibrinogeno marcato la
prevalenza sale al 53% dei pazienti emiplegici non sottoposti a trattamento profilattico.143-145
Il rischio di embolia polmonare in questi pazienti è del 10%-20%, con una mortalità globale
di circa il 10%.144,145 Elemento di interesse è che il picco di esordio di TVP è fra il secondo
ed il settimo giorno dopo l’ictus,145 con un plateau intorno alla terza settimana, mentre il
rischio di embolia polmonare cresce linearmente nello stesso periodo.142
Fra gli studi con anticoagulanti a dosi terapeutiche,59,62,65,66,68 gli studi FISS 59 e TOAST 65
riportano un’incidenza di TVP diagnosticate clinicamente dello 0,48% 59 e dell’1% 65 nei
pazienti non trattati, contro lo 0% 59,65 nei pazienti trattati. Lo studio TOAST riporta anche
lo 0,16% di embolie polmonari sintomatiche nei pazienti trattati contro lo 0,32% nei non trattati.65 Negli studi HAEST 66 e TAIST 68 i pazienti trattati con ASA hanno presentato TVP
rispettivamente nel 2,2% e nell’1,8% dei casi contro lo 0,4% di quelli trattati con dalteparina 66 e lo 0% e lo 0,6% di quelli trattati con tinzaparina, rispettivamente ad alta o a media
dose.68 Nello studio TAIST vengono riportate anche le embolie polmonari sintomatiche che si
sono verificate nello 0,8% dei pazienti trattati con ASA a nello 0,4% e 0,8% dei pazienti trattati con le due dosi di tinzaparina. Lo studio IST,62 infine, non riporta dati sulle TVP ma solo
sull’incidenza di embolie polmonari sintomatiche (fatali e non), che va dallo 0,9% nei pazienti placebo, allo 0,8% nei pazienti trattati con sola eparina a bassa dose, allo 0,7% in quelli trattati solo con ASA, allo 0,5% nei pazienti trattati con sola eparina ad alta dose. Tutto questo,
però, al prezzo di un rischio di emorragie intra- ed extra-cerebrali più elevato nel gruppo eparina ad alta dose (ma valgono qui di nuovo le critiche già riportate alla mancata monitorizzazione della terapia anticoagulante nello studio IST).
Peraltro, va sottolineato che limitandosi alle sole emorragie fatali, paradossalmente il trattamento col miglior rapporto rischio beneficio nello studio IST è quello con eparina ad alta dose
associata ad ASA, con lo 0,3% di embolie polmonari e lo 0,41% di emorragie fatali, seguito
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
221
dall’associazione eparina a bassa dose più ASA, con lo 0,5% di embolie polmonari e lo 0,37%
di emorragie fatali contro lo 0,7% di embolie polmonari e lo 0,27% di emorragie fatali con la
sola ASA.
Sette studi randomizzati hanno valutato efficacia e sicurezza di eparina non frazionata s.c.
(5·000 UI × 3),146-148 danaparoide,148-150 dalteparina,151,152 in dosi profilattiche e non terapeutiche, cioè non attivamente scoagulanti, nella prevenzione delle TVP. In tutti gli studi il trattamento è stato mantenuto per i primi 14 giorni successivi all’esordio dell’ictus e la TVP è stata
diagnosticata in maniera strumentale, con scintigrafia con fibrinogeno marcato, e non clinica.
Nel complesso sono stati randomizzati oltre 600 pazienti ed in media l’incidenza di TVP è
scesa dal 63% (IC95 57%-69%) nei pazienti non trattati, al 23% (IC95 17%-29%) nei pazienti trattati con eparina s.c. a bassa dose e al 16% (IC95 10%-22%) nei pazienti trattati con eparine a basso peso molecolare, mentre il confronto diretto fra eparina non frazionata e danaparoide è risultato a favore della maggior efficacia di quest’ultimo.149 Il rischio di trasformazione emorragica, non ulteriormente specificato se fatale, va dal 2,0% 151 al 2,8%.147
La metanalisi Cochrane 61 ha messo insieme gli studi sopra citati con anticoagulanti a dosi profilattiche,146,147,149,151,152 con i dati di due studi non pubblicati e con quelli di uno studio comparativo di eparina standard e.v. con mezzi fisici di prevenzione,153 per un totale di 916 pazienti. Il risultato è una netta efficacia della terapia anticoagulante con 281 (IC95 230-332) TVP
prevenute ogni 1·000 pazienti trattati. Per quanto concerne la prevenzione dell’embolia polmonare, poi, la metanalisi mette insieme tredici studi fra i quali anche l’IST che, quindi, da
solo rappresenta più dell’80% dei pazienti studiati. Il risultato è che la terapia anticoagulante
(a qualunque dose) previene 4 embolie polmonari per ogni 1·000 pazienti trattati al prezzo di
9 emorragie sistemiche gravi in eccesso.
Sintesi 10-14
In pazienti non a rischio elevato
di trombosi venose profonde, il
ricorso sistematico all’eparina
comporta un bilancio
beneficio/rischio di complicanze
emorragiche intracerebrali e/o
sistemiche inaccettabile.
Infine una metanalisi più recente,154 mettendo assieme tre degli studi con anticoagulanti a dosi
profilattiche precedentemente considerati 149,151,152 e i sottogruppi “bassa dose” degli studi
FISS 59 e FISS-bis,60 evidenzia una riduzione non significativa di incidenza di TVP (OR 0,52;
IC95 0,23-1,16) ed un aumento non significativo di trasformazioni emorragiche sintomatiche
(OR 1,36; IC95 0,56-3,33). Incidentalmente, questo evidenzia come i risultati delle metanalisi
ed il messaggio che se ne fa derivare, molto dipendono dalla scelta degli studi da includere in
queste fatta dagli autori.
Quindi, si può concludere che i dati sopra riportati dimostrano che il trattamento con eparina non frazionata s.c. a bassa dose (5·000 UI × 2) o con eparine a basso peso molecolare in
dose profilattica è indicato nella prevenzione delle TVP nei pazienti a rischio elevato (pazienti plegici, con alterazione dello stato di coscienza, obesi, con pregressa patologia venosa degli
arti inferiori). Per quanto riguarda, invece, la prevenzione dell’embolia polmonare i dati a
disposizione non sono conclusivi e solo uno studio randomizzato che ricerchi sistematicamente gli emboli polmonari potrebbe dirimere il dubbio di quale trattamento, fra anticoagulanti
ed ASA, abbia il miglior rapporto rischio/beneficio. Per il momento, quindi, dobbiamo limitarci all’evidenza che il trattamento più efficace nel prevenire il formarsi di fonti di emboli per
il circolo polmonare sia il più indicato a prevenire l’embolia polmonare. D’altra parte l’ASA
non si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di embolia polmonare negli studi CAST 63
(0,1% con ASA vs. 0,2% con placebo) ed IST 62 (0,6% con ASA vs. 0,8% senza ASA).
Infine, va ricordato che delle misure fisiche alternative di prevenzione solo la compressione
pneumatica intermittente (CPI) e la stimolazione muscolare elettrica si sono dimostrate efficaci nel prevenire TVP tanto quanto l’eparina standard e.v. in uno studio su 360 pazienti con
ictus.153 Invece le calze elastiche sono state studiate soprattutto in ambiente neurochirurgico,
ed i due studi più ampi hanno dimostrato un’efficacia preventiva significativamente maggiore
della combinazione delle calze elastiche con eparine a basso peso molecolare rispetto ai due
trattamenti separati.155,156 È attualmente in corso la famiglia di studi CLOTS (Clots in Legs Or
Teds after Stroke) che dovrebbe rispondere a due domande: 1) L’ utilizzo precoce e routinario
delle calze a compressione graduate riduce il rischio delle TVP prossimali nelle settimane successive all’ ictus? 2) Tra le calze a compressione graduate sono più efficaci e più pratiche quelle lunghe o quelle corte? I risultati sono attesi intorno al 2009 (http://www.
dcn.ed.ac.uk/clots/).
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.19
Grado D
La mobilizzazione precoce, le
calze elastiche e la compressione
pneumatica intermittente sono
indicate come misure aggiuntive
o come alternative agli anticoagulanti quando questi siano controindicati.
222
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
10.1.3.2
Progressing stroke
Per progressing stroke si intende un peggioramento sensibile e misurabile di una o più funzioni neurologiche nei giorni successivi al ricovero ospedaliero.
Raccomandazione 10.20
Grado D
Non ci sono indicazioni all’uso
degli anticoagulanti nel progressing stroke, tranne che nei casi
di stenosi subocclusiva carotidea
o basilare o di occlusione di basilare.
Sintesi 10-15
Il controllo e l’adeguato trattamento di ipertermia ed iperglicemia ed il trattamento dell’edema
cerebrale sono comunque consigliati nella prevenzione e nel trattamento del progressing stroke.
Il razionale dell’uso dei farmaci anticoagulanti nei progressing stroke è basato sull’ipotesi che
tale evenienza consegua alla progressione di una trombosi subocclusiva od occlusiva in un
tronco arterioso extracranico.157 Di fatto, questo meccanismo si può verificare in caso di stenosi subocclusiva della carotide interna o, soprattutto, della basilare, quando una progressione del trombo può determinare la progressiva occlusione dei rami arteriosi che dal tronco
della basilare si dipartono.158 In questi casi, dunque, come già detto in precedenza è indicato
il ricorso a terapia anticoagulante o in alternativa, nel caso dell’occlusione della basilare, ha un
senso la trombolisi. Ma si tratta di eventi poco frequenti, mentre studi condotti negli ultimi
dieci anni hanno dimostrato che fino al 20%-40% dei pazienti con ictus ischemico possono
presentare un peggioramento spontaneo nelle ore successive e fino ad una settimana dall’esordio dei sintomi.159 Nel caso di pazienti con ictus in territorio carotideo, di gran lunga i più
studiati, si è visto che il 90% di quelli che peggiorano spontaneamente hanno un’occlusione
arteriosa completa già poche ore dopo l’esordio dei sintomi e prima che il peggioramento
abbia luogo, e questa coinvolge il tratto intracranico della carotide interna o l’arteria cerebrale media nel 75% dei casi.160 Inoltre, è stato evidenziato che questi pazienti presentano segni
precoci estesi alla TC dell’infarto in atto nel 70% dei casi e, quindi, sviluppano lesioni estese
con notevole edema perilesionale che esercita effetto massa.160-162 Altri studi hanno poi evidenziato altre condizioni correlabili con il peggioramento spontaneo, come una storia clinica
di diabete,162,163 elevati valori glicemici all’ingresso,164 temperatura corporea elevata,165 elevati livelli sierici di glutammato.166 Una possibile ipotesi unificante vede nell’edema cerebrale,
che viene accentuato dall’iperglicemia 149,167 e dall’ipertermia,147 il responsabile del guadagno
di nuovo tessuto cerebrale all’ischemia, attraverso la compressione sui vasi collaterali. Questo
porta nuovo tessuto cerebrale a non funzionare, con il conseguente peggioramento clinico, ed
è solo su questo tessuto ischemico che le ondate di depolarizzazione generate dal glutammato
liberato a livello del core ischemico possono agire con effetto necrotizzante.69
Alla luce di quanto detto, è facile comprendere il fallimento degli unici due studi randomizzati atti a valutare efficacia e sicurezza dei farmaci anticoagulanti nella prevenzione dell’ictus
progressivo.66,168 In particolare lo studio HAEST ha evidenziato una progressione dei sintomi
nel 10,7% dei pazienti trattati con dalteparina, contro il 7,6% di quelli trattati con ASA,66 che
rappresentano una prevalenza straordinariamente bassa di progressione rispetto alla letteratura se non si tiene in considerazione il fatto che, come già detto, una buona parte delle recidive di ictus in questo studio erano in realtà progressing stroke.102
Al momento attuale, quindi, non ci sono evidenze a favore dell’uso degli anticoagulanti nei progressing stroke, tranne che nei casi di stenosi subocclusiva carotidea o basilare o di occlusione
di basilare. Per contro, non esiste una terapia dei progressing stroke a parte il controllo dei fattori che sembrano giocare un ruolo come l’edema cerebrale, l’iperglicemia e l’ipertermia.
10.1.3.3
La trombocitopenia da eparina 169
La piastrinopenia da eparina (Heparin-Induced Thrombocytopenia, HIT) è un evento avverso
potenzialmente grave legato alla somministrazione di questo farmaco. Si tratta di una piastrinopenia immunologica, che compare durante o subito dopo il trattamento eparinico, in genere dal 5° al 15° giorno dopo l’inizio della terapia, ma che può insorgere anche in 2ª giornata
se il paziente è stato già trattato con eparina negli ultimi 3 mesi, ed è causata da immunoglobuline IgG che attivano le piastrine attraverso i loro recettori Fc(RII). La sua incidenza varia
tra lo 0,3% e il 4%, a seconda dei vari report, e non vi sono sostanziali differenze nel rischio
di indurre HIT tra la somministrazione di eparina a dose terapeutica o profilattica.
L’origine immunologica della HIT è stata riconosciuta già 25 anni fa e recenti studi hanno
dimostrato che l’antigene target è rappresentato dal complesso eparina-fattore piastrinico 4
(PF4). Il paradosso rappresentato da una piastrinopenia che si associa a complicanze trombotiche e non emorragiche è stato spiegato dalla scoperta che nella HIT le immunoglobuline
interagiscono tramite il loro frammento Fc con il recettore piastrinico Fc (RII) (CD32).
Questo diverso tipo di legame è in grado di attivare le piastrine in modo esplosivo, con generazione di microparticelle piastriniche ricche in fosfolipidi carichi negativamente e dotate di
attività procoagulante. Questi anticorpi reagiscono anche con cellule endoteliali ricoperte da
PF4, per la presenza di eparansolfato sulla superficie endoteliale ed è probabile che un danno
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
endoteliale immuno-mediato contribuisca alla patogenesi delle trombosi associate a piastrinopenia da eparina.
La comparsa di piastrinopenia in corso di terapia eparinica deve far sospettare una piastrinopenia da eparina, specie se si tratta di un calo del 50% o più rispetto ai valori basali, intervenuto dopo almeno 5 giorni di terapia. Di fronte al sospetto clinico occorrerà da una parte
escludere altre possibili cause, dall’altra confermare se possibile la diagnosi mediante test di
laboratorio atti ad evidenziare nel siero del paziente la presenza di un fattore aggregante piastrinico eparina-dipendente. Il test più usato è l’immunoaggregometria piastrinica. Più sensibili, ma più complesse e meno utilizzate, altre metodiche quali il test del rilascio della serotonina marcata o test citofluorimetrici. Recentemente è stato messo a punto un test ELISA utilizzante come antigene target il complesso eparina-PF4. La difficoltà di avere in tempi rapidi
una conferma laboratoristica fa sì che nella pratica clinica sia spesso necessario prendere decisioni terapeutiche prima che (o senza che) sia dimostrata la presenza di anticorpi anti-piastrine eparina-dipendenti.
La HIT si associa frequentemente con trombosi arteriose o venose, con una incidenza compresa tra il 25% e l’89% dei casi di piastrinopenia. Recentemente è stata meglio caratterizzata la sindrome denominata gangrena venosa associata con la HIT, riconoscendo il ruolo patogenetico in questi pazienti della somministrazione di warfarina e della conseguente riduzione
dei livelli plasmatici di proteina C. La gravità di questa pur rara sindrome, che sovente conduce all’amputazione dell’arto, ha portato a valutare con circospezione la somministrazione di
anticoagulanti orali in alternativa all’eparina nei pazienti con HIT associata a trombosi.
La gravità degli eventi trombotici che si possono associare alla piastrinopenia da eparina rende
necessario un monitoraggio della conta piastrinica in tutti i pazienti che ricevono eparina sia a
dosaggio terapeutico che profilattico. Per i pazienti ospedalizzati, è consigliabile un controllo
basale e una successiva conta piastrinica ogni 3 giorni dal 5° al 15° giorno; per i pazienti trattati a domicilio, oltre al controllo basale sarà opportuno effettuare almeno un controllo in 7ª8ª giornata. In caso di riduzione della conta piastrinica al 50% o più – in assenza di una probante causa alternativa – la somministrazione di eparina deve essere immediatamente sospesa.
Il comportamento clinico sarà diverso innanzitutto a seconda che si tratti di una semplice piastrinopenia (non accompagnata da alcun segno clinico o strumentale di trombosi) oppure di
una HIT associata a trombosi, sia precedente che conseguente alla somministrazione di eparina. Nel primo caso la profilassi potrà essere proseguita con gli eparinoidi (dermatansolfato o
danaparoid fiale) o con irudina. Tuttavia soltanto il dermatansolfato è oggi in commercio in
Italia. Dovrà essere monitorata la conta piastrinica e la coagulazione del sangue per poter rilevare in tempo eventuali segni laboratoristici preoccupanti (ulteriore calo delle piastrine, attivazione della coagulazione). Le eparine a basso peso molecolare non sono raccomandabili in
quanto può esservi immunizzazione crociata.
Il trattamento dei pazienti con piastrinopenia da eparina e trombosi è problematico. L’eparina
deve essere immediatamente sospesa – evitando anche l’eparinizzazione dei cateteri venosi – e
le opzioni terapeutiche alternative dipendono dalla gravità e dalla sede dell’occlusione. Le
eparine a basso peso molecolare oggi si considerano controindicate in quanto hanno un’alta
probabilità di indurre reazioni crociate (probabilità di reazioni crociate >90% in vitro, con un
rischio di fallimento terapeutico clinico stimato tra il 25% e il 50%). Il trattamento di elezione è rappresentato oggi dall’irudina ricombinante, che è stata impiegata con successo in numerosi casi, è completamente priva di reattività crociata, ed è già stata approvata per questa indicazione in vari paesi d’Europa e in USA. Lo schema posologico più usato prevede una dose
d’attacco di 0,4 mg/kg in bolo endovenoso, seguito da una dose di mantenimento di 0,15
mg/kg/ora, con monitoraggio laboratoristico in modo da mantenere il PTT a livello di 1,5~3
volte il PTT normale. L’irudina può essere associata con i trombolitici. Tra gli eparinoidi, la
maggiore esperienza è stata accumulata con il danaparoide, impiegato ad oggi in più di 700
casi, con un successo superiore al 90%. Anche il danaparoide non è scevro da reazioni crociate, che raggiungono il 10%-40% in vitro, ma che raramente si accompagnano ad evidenza
clinica di immunità crociata. La dose d’attacco è di 2·250 U in bolo, seguita da 400 U/ora per
4 ore, poi 300 U/ora per 4 ore iniziando poi una dose di mantenimento di 150-200 U/ora.
Questo schema posologico raggiunge di solito un livello di anticoagulazione terapeutico
(0,5~0,8 U anti-Xa/mL) per cui non è necessario un monitoraggio laboratoristico. Il dermatansolfato va utilizzato per via endovenosa ad una dose iniziale di 0,6 mg/kg da monitorizzare con l’APTT in maniera analoga all’eparina standard e studi recenti dimostrano la sua efficacia. Ha comunque anch’esso una percentuale significativa di reattività crociata con gli anticorpi anti-eparina-PF4.
stesura 15 marzo 2005
223
Raccomandazione 10.21
Grado C
La conta piastrinica periodica è
indicata nei primi 15 giorni di
terapia (o di profilassi) con eparina.
Raccomandazione 10.22
Grado D
La sospensione immediata del
trattamento eparinico è indicata
se viene posta diagnosi (o fondato sospetto) di piastrinopenia da
eparina.
In caso di piastrinopenia da eparina gli anticoagulanti orali non
sono indicati come terapia sostitutiva.
Raccomandazione 10.23
Grado D
In pazienti in cui era già stato iniziato il trattamento anticoagulante orale e l’INR era in range terapeutico è indicato continuare,
dopo sospensione dell’eparina,
con gli anticoagulanti orali.
Raccomandazione 10.24
Grado D
In caso di piastrinopenia da eparina in pazienti in cui deve essere
proseguita una terapia antitrombotica, sono indicate le seguenti
opzioni terapeutiche: irudina, dermatan solfato, danaparoid, trombolitici; gli anticoagulanti orali
possono essere iniziati una volta
risolta la piastrinopenia da eparina.
224
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
DELL’ICTUS EMORRAGICO
10.2
TERAPIA
10.2.1
Emorragia intracerebrale spontanea
10.2.1.1
Presentazione clinica
La classica presentazione consiste in un deficit neurologico focale, che progredisce in minuti
od ore e si accompagna a cefalea, nausea, vomito, elevazione della pressione arteriosa e crisi
epilettiche. Una riduzione più o meno grave dello stato di coscienza è in rapporto alle dimensioni ed alla localizzazione dell’ematoma. Circa il 51%-63% dei pazienti ha una lieve progressione dei deficit, mentre il 34%-38% ha un massimo di sintomi all’esordio, e solo il 5%20% degli ictus mostrano sintomi progressivi.170 La progressione clinica è dovuta al persistere del sanguinamento con allargamento dell’ematoma. All’esordio circa il 50% dei pazienti ha
disturbi della vigilanza ed il 30% è in coma.
10.2.1.2
Fisiopatologia
Il tipo più comune di emorragia intracerebrale è dovuto alla rottura di una arteriola perforante che causa, con la fuoriuscita di sangue, un immediato danno del parenchima cerebrale circostante. Le emorragie che originano da putamen, globo pallido, talamo, capsula interna,
sostanza bianca periventricolare, ponte e cervelletto sono tipiche dei pazienti ipertesi ed attribuite a patologia dei piccoli vasi. In contrasto le emorragie lobari dei pazienti anziani sono
spesso dovute ad angiopatia amiloide.171 La angiopatia amiloide è responsabile del 15%-20%
di emorragie dell’anziano.172 Si stima che la presenza di angiopatia cerebrale amiloidea sia
approssimativamente del 5%-8% nelle emorragie dei pazienti di più di 70 anni di età e del
55%-60% in quelle dei pazienti di più di 90 anni.173
L’emorragia determina un aumento di volume intracranico. Questo crea un’ipertensione
parenchimale, a bersaglio, con un massimo di Pressione IntraCranica regionale (PICr) nella
sede dell’ematoma, decrescente con la distanza dell’epicentro emorragico. Questo provocherà
una diminuzione del flusso cerebrale regionale (rCBF) tanto maggiore quanto più alta sarà la
PICr. Quindi potremo avere da minima diminuzione di rCBF in piccoli ematomi in encefali
atrofici, fino ad arresti circolatori regionali quando la PPCr (Pressione di Perfusione Cerebrale
regionale) sarà uguale a 0. Ciò accade quando la PAr (Pressione Arteriosa regionale) è eguale
alla PICr. Ovviamente nei casi gravissimi il fenomeno sarà diffuso con compromissione della
coscienza sino alla morte cerebrale per arresto di circolo (PPC=0).174,175
Vi può essere, specialmente nel caso di ematomi cerebellari, lo sviluppo di un idrocefalo per
la compressione del terzo ventricolo e dell’acquedotto di Silvio. A volte anche gli ematomi che
si aprono all’interno del terzo ventricolo possono dare dilatazione dei ventricoli laterali per
occlusione dei forami di Monro.176 L’ischemia peri-ematoma sviluppa un edema, dapprima
citotossico poi vasogenico, che è aggravato dall’ipotensione e dall’ipossia.177
La sede degli ematomi ha la seguente frequenza secondo Kase CS:178
1. striato (putamen, il più frequente) ................................................34%
2. lobare (più frequente la zona temporo-parieto-occipitale) ..........24%
3. talamica ..........................................................................................20%
4. cerebellare ........................................................................................7%
5. pontina..............................................................................................6%
6. caudato ............................................................................................5%
7. putamino-talamica............................................................................4%
10.2.1.3
Raccomandazione 10.25
Grado D
La TC cranio è indicata come
esame di prima scelta per la diagnosi in acuto di emorragia cerebrale.
Diagnostica
Nessun aspetto clinico è in grado di differenziare con sicurezza un’emorragia da una ischemia
cerebrale. Prima dell’avvento della TC erano stati effettuati dei tentativi di identificare con
punteggi di tipo clinico l’ictus ischemico e quello emorragico, sulla base del fatto che l’ictus
emorragico, causato da emorragie intracerebrali, emorragie endoventricolari ed emorragie
subaracnoidee, era più frequentemente associato ad obnubilamento del sensorio e cefalea.
Con l’utilizzo della TC nella pratica clinica ci si rese poi conto che soprattutto le piccole emorragie sfuggivano a questi criteri e che la clinica non è sufficientemente accurata per distinguere un ictus ischemico da un’emorragia intracerebrale primaria.179,180 Al fine di porre questa
diagnosi differenziale, e ciò deve essere effettuato nel più breve tempo possibile per i risvolti
terapeutici che ne conseguono, occorre una TC o una RM dell’encefalo. La TC e la RM delstesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
l’encefalo, oltre a differenziare con sicurezza gli ictus ischemici da quelli emorragici, permettono la localizzazione dell’ematoma e possono documentare la presenza di aneurismi, malformazioni artero-venose, tumori, o complicanze come l’emorragia endoventricolare, l’ernia
cerebrale, l’idrocefalo. In urgenza la TC del cranio è un esame più veloce e più semplice da
interpretare rispetto alla RM. L’utilizzo del contrasto per la TC favorisce l’individuazione di
neoplasie e malformazioni vascolari. Alcuni aspetti evidenziati da questo esame, come la presenza di emorragia subaracnoidea o endoventricolare, calcificazioni endocraniche anomale,
strutture vascolari prominenti l’emorragia, o la localizzazione dell’emorragia stessa (sede perisilviana), suggeriscono la possibile origine da alterazioni strutturali del sanguinamento stesso.181 Vi è un metodo rapido e validato per misurare il volume degli ematomi, proposto da
Kothari, che consiste nel moltiplicare il diametro maggiore della lesione per il diametro ad
esso perpendicolare per il numero di immagini nelle quali è visibile l’ematoma per lo spessore dei tagli TC stessi.182
L’angiografia si impone nel caso di ematomi in sede atipica, nel sospetto di una malformazione vascolare (aneurismi, malformazioni artero-venose, fistole durali), in questi casi, se eseguita a distanza è positiva in circa il 20% dei casi che erano risultati negativi alla TC in urgenza.183
L’angiografia è di poco rilievo nell’identificare anomalie vascolari nei pazienti di età superiore
ai 55 anni, ipertesi, con emorragie in sede tipica.184 I tempi di esecuzione dell’angiografia
dipendono dallo stato clinico del paziente e dalla decisione del neurochirurgo di operare o
meno.
Le immagini in risonanza magnetica possono non dimostrare piccoli aneurismi o malformazioni vascolari, ma sono superiori alla TC nel diagnosticare malformazioni cavernomatose,
specialmente se l’esame viene eseguito a distanza di settimane o mesi dall’emorragia, e possono rivelare la presenza di residui emosiderinici intracerebrali, segno di sanguinamenti pregressi come si verifica nell’amiloidosi cerebrale primaria (in T2 gradient-echo).185
È indicata la ripetizione di una TC cranio se le condizioni cliniche peggiorano, per accertare
una progressione del sanguinamento, eventuale nuovo sanguinamento in altra sede o la formazione di un idrocefalo.
Ci sono 10 lavori in letteratura riguardanti la prognosi dell’emorragia cerebrale, la maggioranza dei quali individuano fattori prognostici negativi: l’età, lo stato di coscienza, la pressione arteriosa, il diabete e l’estensione intraventricolare dell’emorragia, il volume dell’ematoma,
la formazione di idrocefalo.171,186,187 Sono fattori prognostici negativi un volume dell’ematoma
sopratentoriale >50 mL ed una estensione del sanguinamento intraventricolare >20 mL.
10.2.1.4
Trattamento medico
Trattamento antipertensivo
La pressione sanguigna è inizialmente sempre elevata, sia perché solitamente si tratta di
pazienti ipertesi, sia perché l’aumento della pressione intracranica comporta un incremento
della pressione sistemica. Teoricamente ha un fondamento razionale la proposta di ridurre la
pressione di questi pazienti in fase acuta, nel tentativo di favorire la fine del sanguinamento in
atto, è però altrettanto ragionevole pensare che la pressione sistemica elevata possa migliorare la perfusione delle zone peri-ematoma compresse ed ischemiche. Un recente studio con RM
ha dimostrato solo una modesta riduzione della perfusione nella zona periematoma nelle
emorragie di grosso volume e l’origine prevalentemente vasogenica dell’edema cerebrale,188
mentre per le emorragie di piccolo o medio volume uno studio PET ha dimostrato la conservazione della vasoregolazione e della perfusione per riduzione dei valori pressori del 15%.189
In uno studio non è stata osservata una relazione tra livelli pressori ed espansione dell’ematoma, ma l’uso di farmaci antipertensivi ha probabilmente reso difficile l’interpretazione dei
risultati.184
In mancanza di dati, è raccomandazione degli esperti il mantenimento della pressione media
<130 mm Hg nei pazienti con storia di ipertensione e >90 mm Hg per assicurare una adeguata perfusione cerebrale,190 e valori di pressione di perfusione cerebrali >70 mm Hg di media
nei pazienti con ipertensione endocranica.185 È ipotizzabile che i valori pressori vadano maggiormente contenuti nella fase iniziale del sanguinamento, in acuto, e che possano essere più
elevati nella fase di edema cerebrale ed ipertensione endocranica. Il farmaco più usato per corstesura 15 marzo 2005
225
Raccomandazione 10.26
Grado D
L’angiografia è indicata nei pazienti con emorragia intraparenchimale senza una chiara causa
dell’emorragia che sono candidati
al trattamento chirurgico, particolarmente nei pazienti con emorragia in sede atipica, giovani,
normotesi, e clinicamente stabili.
Raccomandazione 10.27
Grado D
L’angiografia non è indicata nei
pazienti anziani ed ipertesi, che
abbiano una emorragia nei gangli
della base e talamo, nei quali la
TC non suggerisca la presenza di
una lesione strutturale.
Raccomandazione 10.28
Grado D
Nell’emorragia intraparenchimale, RM ed angio-RM sono utili in
pazienti selezionati, e sono indicate nei pazienti con lesioni lobari ed angiografia negativa candidati alla chirurgia, per la diagnostica degli angiomi cavernosi o
nei pazienti in cui si sospetti una
angiopatia amiloide.
Raccomandazione 10.29
Grado D
Nei pazienti con emorragia endocranica è indicata la correzione
dell’ipertensione arteriosa:
• se la pressione sistolica è
>230 mm Hg o la diastolica è
>140 mm Hg in due misurazioni a distanza di 5 minuti,
iniziare la terapia con nitroprussiato o urapidil;
• se la pressione sistolica è
compresa tra 180 mm Hg e
230 mm Hg, la diastolica tra
105 mm Hg e 140 mm Hg o
la pressione media è >130
mm Hg in due misurazioni a
distanza di 20 minuti, iniziare
una terapia endovenosa con
labetalolo, enalapril o altri farmaci a basse dosi somministrabili e.v. come diltiazem,
lisinopril, o verapamil;
• se la pressione sistolica è
<180 mm Hg e la diastolica
<105 mm Hg, rimandare la
terapia anti-ipertensiva.
La scelta dell’eventuale ipotensivo dipende da valutazioni cliniche
generali (p.es. il labetalolo è controindicato in pazienti con asma).
226
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
reggere i valori pressori elevati è il nitroprussiato, che ha però l’inconveniente di essere un
vasodilatatore potenzialmente capace di incrementare l’edema cerebrale. Nella Tabella 10:IV
sono illustrati gli interventi farmacologici raccomandati. È invece dimostrata l’importanza del
controllo della pressione, sia per gli eventi cardiovascolari in genere, che per il rischio di risanguinamento, nella fase post-acuta e in prevenzione secondaria.
Tabella 10:IV – Gestione dell’ipertensione nei pazienti con emorragia endocranica
Farmaci per il trattamento dell’ipertensione:
Labetalolo
5-100 mg/h con dosi in bolo intermittenti di 10-40 mg o somministrazione continua
di 2-8 mg/min
Nitroprussiato
0,5-10 mcg/kg/minuto
Urapidil cloridrato
iniezione endovenosa in bolo di 25 mg (=5 mL di soluzione iniettabile), da ripetere dopo
2 minuti in caso di mancata risposta. In caso di risposta positiva dopo la prima o seconda
somministrazione, infusione continua a 0,15-0,5 mg/min, da regolare in base alla risposta pressoria.
Raccomandazione 10.30
Grado D
Nei pazienti con emorragia cerebrale intraparenchimale non è indicata la profilassi antiepilettica.
Raccomandazione 10.31
Grado D
I cateteri esterni di derivazione
ventricolare non vanno mantenuti oltre i 7 giorni.
Raccomandazione 10.32
Grado D
Per il trattamento dell’ipertensione endocranica sono indicate le
seguenti opzioni:
agenti osmotici:
sono le prime sostanze da utilizzare, ma non sono da usare
come profilassi. Il mannitolo al
20% (0,25-0,5 g/kg per 4 ore) è
da riservare ai pazienti con ipertensione endocranica di livello
elevato e clinica in rapido deterioramento. Per i noti fenomeni di
rebound è da utilizzare per tempi
inferiori ai 5 giorni. Il glicerolo
viene generalmente somministrato per via parenterale (250 mL di
glicerolo al 10% in 30-60 minuti,
ogni 6 ore), in alternativa è possibile la somministrazione orale (50
mL al 10% ogni 6 ore). Anche in
questo caso l’uso non è ancora
sostenuto da solide evidenze
esterne. Da ricordare la necessità
di controllo dell’emocromo
durante la terapia con glicerolo in
quanto il farmaco può indurre
emolisi.
Uno studio randomizzato, controllato con placebo e in doppio cieco su 399 pazienti che utilizzava tre dosi di fattore VII ricombinante attivato (rFVIIa; 40, 80 e 160 mcg/kg), somministrato entro 4 ore dall’esordio dell’emorragia cerebrale, ha mostrato una significativa efficacia
complessiva nel limitare la progressione di volume degli ematomi intracerebrali, nel ridurre la
mortalità e migliorare gli esiti. Apparentemente, gli effetti sono proporzionali alla dose somministrata, così come la frequenza di eventi avversi tromboembolici arteriosi (infarti miocardici e cerebrali) che, tuttavia, non hanno subito un aumento significativo.191 Si attendono ora
studi indipendenti di conferma di questo risultato, tali da rendere possibile l’identificazione
della dose più adeguata, della finestra terapeutica utile e della procedura più efficiente per l’utilizzo del farmaco.
Fluidi ed equilibrio elettrolitico
Lo scopo di questo tipo di trattamento è l’euvolemia. Il bilancio va calcolato monitorando la
produzione giornaliera di urine ed aggiungendo 500 mL per le perdite insensibili e 300 mL
per i pazienti febbrili. Gli elettroliti sodio, potassio, calcio e magnesio, vanno controllati assiduamente e mantenuti entro i limiti di normalità. L’acidosi e l’alcalosi vanno corrette in base
ai dati dell’emogasanalisi.184
Terapia antiepilettica
Le crisi epilettiche si hanno nel 15% dei pazienti con emorragia cerebrale e di solito insorgono nelle prime 24 ore. Non vi sono evidenze sull’utilità di adottare una terapia antiepilettica
profilattica in questi pazienti. Se intervengono crisi epilettiche, queste vanno trattate immediatamente, in quanto possono destabilizzare i pazienti in situazione critica. In questi pazienti può essere eseguita una terapia e.v. con fenitoina a 15-18 mg/kg con infusione a 50
mg/minuto, da passare appena possibile per os, e da interrompersi a distanza di circa 1 mese
dalla crisi epilettica, in caso di silenzio clinico e dopo controllo EEG.192
Trattamento dell’ipertermia
È opportuno mantenere i livelli di temperatura entro valori normali utilizzando, se necessario,
preferibilmente il paracetamolo. In caso di febbre è appropriato eseguire esami colturali su
urine, escreato bronchiale e sangue, ed iniziare in tempi rapidi una adeguata terapia antibiotica in caso di infezione. I cateteri esterni di derivazione ventricolare non vanno mantenuti oltre
i 7 giorni, per pericolo di infezioni.184
Gestione dell’ ipertensione endocranica
L’aumento della pressione endocranica è sicuramente rilevante in questi pazienti ed almeno
teoricamente potrebbe essere importante monitorizzarne i valori, ma le metodiche per farlo
sono invasive e non prive di possibili complicazioni. Al momento non vi sono studi clinici controllati che abbiamo dimostrato l’utilità del monitoraggio invasivo di questo parametro, nemmeno nei pazienti con riduzione del livello di coscienza, anche se il rischio di lesione emorragica da monitoraggio della Pressione IntraCranica (PIC) è inferiore all’1%, ed il rischio infet-
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
tivo non arriva al 5%.193,194 L’opportunità di questo intervento deve essere valutata in base alla
situazione clinica e strumentale dei singoli pazienti.
Gli agenti osmotici (mannitolo,96 glicerolo 97) possono ridurre l’edema circostante l’emorragia
e ridurre l’ipertensione endocranica, hanno però effetti collaterali in quanto possono indurre
ipotensione, ipokaliemia, insufficienza renale da iperosmolarità, emolisi, scompenso cardiaco.
Studi clinici controllati su un piccolo numero di pazienti sembrano averne evidenziato l’efficacia nell’ictus acuto, ma questa non risultava nell’unico studio su 100 pazienti che includeva
anche emorragie cerebrali.195 Tuttavia, questo tipo di trattamento è generalmente utilizzato,
eventualmente con aggiunta di furosemide 10 mg ogni 2-8 ore, nei pazienti con emorragia
cerebrale che abbiano un deterioramento della coscienza.
Vi sono dati certi che dimostrano come l’iperventilazione sia in grado di ridurre la pressione
intracranica. Uno studio con iperventilazione prolungata in pazienti con traumi cranici ha
mostrato un esito peggiore nei trattati a 3 ed a 6 mesi, ma non ad 1 anno. Per i pazienti con
emorragia cerebrale non vi sono evidenze in proposito. Può essere ragionevole riservare questo trattamento per breve periodo di tempo (<6 ore) nei pazienti più gravi ed in quelli che verranno sottoposti ad intervento di evacuazione.196
Non ci sono evidenze sul beneficio dell’uso dei corticosteroidi nell’emorragia cerebrale. Vi
sono al riguardo solo due studi, uno eseguito in era pre-TC ed uno tailandese più recente, che
riportano una OR=1, quindi inefficacia del trattamento.197,198
Nei pazienti monitorizzati per ipertensione endocranica, valori di pressione intracranica ≥20
mm Hg per oltre 5 minuti ed una pressione di perfusione cerebrale >70 mm Hg sono considerati alterati.193
Alcuni pazienti richiedono sedazione con propofol, benzodiazepine o morfina. Se questo non
basta si può ricorrere al coma barbiturico: il tiopental riduce rapidamente i valori di pressione endocranica, probabilmente riducendo il flusso ed il volume cerebrale. La complicazione
delle alte dosi di barbiturico (massima dose 10 mg/kg al giorno) è l’ ipotensione sistemica. Per
le dosi di mantenimento si consigliano 0,3-0,6 mg/kg/giorno.194
Efficacia delle stroke unit
Anche per i pazienti con emorragia cerebrale è stata dimostrata l’efficacia del ricovero in
stroke unit rispetto al ricovero in medicina generale, con riduzione significativa della mortalità
a 30 giorni (dal 39% al 63%; P=0,007), che si manteneva ad un anno (P=0,013).199
Prevenzione delle complicanze
I pazienti con emorragia cerebrale hanno un rischio di trombosi venosa tra il 30% ed il 70%,
con rischio elevato di embolia polmonare. Ciò nonostante, si preferisce usare cautela nell’impiego di terapie anticoagulanti anche se a basse dosi che tuttavia, alle dosi raccomandate
(5·000 UI di calciparina × 2 al giorno), sembrerebbe non aumentare il rischio di recidiva del
sanguinamento arterioso cerebrale. Non vi sono dati da studi randomizzati dirimenti il comportamento da tenersi. In un lavoro che ha visto trattare 46 pazienti dopo 4 giorni o dopo 10
giorni dal sanguinamento, si sono verificate meno embolie polmonari nei trattati dopo 4 giorni, ma non era possibile una valutazione delle differenze di mortalità.200 In un altro lavoro in
aperto su 68 pazienti l’esito sembrava più favorevole nei pazienti trattati dopo 2 giorni rispetto a quelli trattati dopo 4 e 10 giorni, ma la randomizzazione non era stata casuale.201 L’ASA
è nota ridurre del 39% il rischio di trombosi venosa nei pazienti con patologia diversa dalla
cerebrovascolare, ma la sua efficacia nei pazienti con emorragia cerebrale non è dimostrata, né
è dimostrata una sua ipotetica maggiore sicurezza rispetto all’eparina non frazionata o alle eparine a basso peso molecolare. Rimane raccomandato l’uso di mezzi profilattici meccanici come
le calze elastiche a compressione graduale. In caso di trombosi venosa profonda ed embolia
polmonare è indicato il posizionamento di un filtro cavale a permanenza o temporaneo.202
Come già indicato nel § 10.13.1, gli studi CLOTS dovrebbero identificare – anche nei pazienti con ictus emorragico – se l’ utilizzo precoce e routinario delle calze a compressione graduate riduce il rischio delle TVP prossimali nelle settimane successive all’ictus e se, tra le calze a
compressione graduate, sono più efficaci e più pratiche quelle lunghe o quelle corte. I risultati sono attesi intorno al 2009. (http://www.dcn.ed.ac.uk/clots/]).
stesura 15 marzo 2005
227
furosemide:
alla dose di 10 mg ogni 2-8 h
può essere somministrata contemporaneamente alla terapia
osmotica. L’osmolarità plasmatica
va valutata due volte al giorno nei
pazienti in terapia osmotica e
come obiettivo vanno mantenuti
livelli <310 mOsm/L.
iperventilazione:
l’ipocapnia causa vasocostrizione
cerebrale, la riduzione del flusso
cerebrale è praticamente immediata con riduzione dei valori di
pressione endocranica dopo 30
minuti. Una riduzione di pCO2 a
30-35 mm Hg si ottiene mediante
ventilazione costante con volumi
di 12-14 mL/kg e riduce la pressione endocranica del 25-30%.
farmaci sedativi:
la paralisi neuromuscolare in
combinazione con una adeguata
sedazione con tiopentale previene le elevazioni di pressione
intratoracica da vomito, tosse,
resistenza al respiratore. In queste situazioni sono da preferirsi
farmaci non depolarizzanti come
il vecuronio o il pancuronio.
Raccomandazione 10.33
Grado D
Per il trattamento dell’ipertensione endocranica non è indicato
l’uso degli steroidi.
Raccomandazione 10.34
Grado D
Nei pazienti con emorragia intraparenchimale a rischio di trombosi venosa profonda, è indicata
la prevenzione delle trombosi
venose con l’uso di calze elastiche o di mezzi meccanici.
Sintesi 10-16
Non vi sono dati sufficienti sulla
sicurezza, in fase post acuta,
della terapia con eparina a basse
dosi o dell’ASA per la prevenzione
della trombosi venosa profonda
nei pazienti con emorragia intraparenchimale.
228
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
10.2.1.5
Sintesi 10-17
L’evidenza sulle indicazioni chirurgiche in caso di emorragia
intracerebrale spontanea si è
arricchita recentemente a seguito
dei risultati dello studio STICH; in
un ampio numero di pazienti randomizzati a trattamento neurochirurgico precoce o trattamento
inizialmente conservativo (fino ad
eventuale deterioramento clinico)
non è stata dimostrata alcuna
superiorità in termini di beneficio
di un tipo di approccio rispetto
all’altro.
Sintesi 10-18
Non è possibile formulare raccomandazioni relative al trattamento chirurgico dell’emorragia cerebrale a sede ganglio-basale su
base ipertensiva, in assenza di
evidenze o consenso.
Raccomandazione 10.35
Il trattamento chirurgico dell’emorragia cerebrale è indicato in:
a (grado D)
emorragie cerebellari di diametro
>3 cm con quadro di deterioramento neurologico o con segni di
compressione del tronco e idrocefalo secondario a ostruzione
ventricolare;
b (grado D)
emorragie lobari di grandi o
medie dimensioni (≥50 cm3), in
rapido deterioramento per compressione delle strutture vitali
intracraniche o erniazione;
c (grado D)
emorragie intracerebrali associate ad aneurismi o a malformazioni artero-venose, nel caso in cui
la lesione strutturale associata
sia accessibile chirurgicamente.
Trattamento chirurgico
Il razionale per proporre questo trattamento risiede nel concetto generale che la rimozione
chirurgica dell’ematoma possa ridurre il danno sul parenchima cerebrale in quanto diminuisce l’effetto massa, blocca la cascata dei prodotti tossici derivanti dall’emorragia, previene il
possibile ingrandimento dell’ematoma che può avvenire nelle prime ore dell’emorragia. La
percentuale di emorragie cerebrali trattata chirurgicamente è molto variabile nei vari paesi, si
va dal 2% dell’Ungheria al 30%~40% di UK, Spagna e Giappone, al 70% ed oltre di Svezia
e Lituania, a testimonianza di una incertezza sul da farsi.203
Ci sono 10 studi controllati e randomizzati (RCT) ed una revisione Cochrane del 2000 sul trattamento chirurgico dell’emorragia intracerebrale.195,204-213 L’intervento di craniotomia tradizionale è stato valutato in 5 studi, uno di questi condotto in era pre-TC. Il risultato della metanalisi 213 mostra un incremento di morte e dipendenza nei trattati mediante craniotomia (OR
1,20; IC95 0,83-1,74); un risultato con tendenza negativa permane anche escludendo lo RCT
di McKissock,195 eseguito in era pre-TC; si osserva invece una tendenza verso la positività se
si esclude anche lo RCT di Chen et al.,207 comprendente pazienti trattati in tempi diversi e con
metodiche diverse. Non significativo il piccolo studio di Tan sia per mortalità che per disabilità.212 Nello studio di Kanaya e Kuroda che metteva a confronto i risultati della evacuazione
chirurgica, con tecniche diverse, in 3·638 pazienti rispetto al trattamento medico utilizzato in
3·372 pazienti con emorragia putaminale, la conclusione è che il trattamento chirurgico è raccomandato per ematomi di dimensioni superiori ai 30 mL ed in presenza di alterazioni lievi
dello stato di coscienza; risultò anche che l’aspirazione stereotassica assicurava migliori risultati funzionali rispetto alla craniotomia, ma questo studio ha avuto numerose critiche metodologiche.214 Risultati in tal senso si sono avuti anche da alcune casistiche in aperto.215-217 Un
lavoro multicentrico e randomizzato (SICHPA) su soli 71 pazienti, riguardante il trattamento
stereotassico, entro 48 ore, previa infusione di urochinasi al centro della lesione emorragica,
ha dimostrato una riduzione significativa delle dimensioni degli ematomi trattati rispetto ai
controlli (dal 10% al 20% P<0,05), ma non è stato in grado di dimostrare una riduzione significativa della mortalità a 180 giorni (OR 0,23; IC95 0,02-1,20; P=0,08) né di mortalità e disabilità combinate.211 Esiste un solo studio randomizzato sulla evacuazione endoscopica delle
emorragie cerebrali, su 100 pazienti, che ha fornito risultati al limite della significatività statistica (RR 0,76; IC95 0,56-1,02) in termini di riduzione della mortalità e dei deficit permanenti. Il risultato è migliore nei pazienti di età inferiore ai 60 anni, con ematoma >50 mL ed iniziale riduzione della vigilanza.205
Recentemente sono stati pubblicati i dati dello studio International Surgical Trial in Intracerebral Haemorrhage (STICH),218 uno studio randomizzato per confrontare l’approccio chirurgico precoce di evacuazione dell’ematoma in pazienti con emorragia intracranica sopratentoriale
spontanea, rispetto al trattamento inizialmente conservativo (fino ad eventuale deterioramento
clinico). I risultati di questo studio, che ha arruolato 1·033 pazienti da 87 centri in 27 paesi
diversi, non hanno mostrato un beneficio, in termini di mortalità e disabilità, del trattamento
chirurgico precoce rispetto ad un approccio iniziale di tipo conservativo con qualsiasi tecnica
chirurgica utilizzata. In questo studio i pazienti sottoposti a craniotomia erano 324, mentre altre
tecniche d’intervento erano state usate in 144 pazienti; in 34 casi si trattava di tecnica stereotassica ed in 31 endoscopica, anche in questi gruppi senza beneficio dal trattamento.
Sulla base dei dati disponibili solo in alcuni sottogruppi di pazienti vi è generale accordo sulla
indicazione o meno all’approccio chirurgico. In particolare vengono considerati candidati
all’intervento i pazienti con ematoma cerebellare di dimensioni superiori ai 3 cm, ed i pazienti giovani, con ematoma lobare e deterioramento progressivo delle condizioni neurologiche.219
Al contrario i pazienti con piccoli ematomi e quelli con stato di coma profondo non vengono
considerati candidati all’intervento. I possibili metodi d’intervento sono la semplice aspirazione, la chirurgia tradizionale a cielo aperto, l’evacuazione endoscopica e stereotassica; la semplice aspirazione è comunque una pratica abbandonata, in quanto provocava risanguinamenti.204,205,220
Per quanto riguarda le emorragie sottotentoriali cerebellari il trattamento chirurgico viene
accettato da tutti come intervento salvavita, ma è certo che non tutti i pazienti debbono necessariamente essere trattati. Le controversie riguardano quali pazienti trattare e se provvedere
solo ad un intervento di derivazione ventricolare in caso di idrocefalo, od ad un intervento sull’ematoma stesso. Buoni criteri per la decisione di intervenire chirurgicamente possono essere
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
un deterioramento del livello di coscienza, dimensioni dell’ematoma maggiori di 3 o 4 cm di
diametro, anche con coscienza conservata, per la possibilità di un rapido instaurarsi di uno
stato di coma.221 L’assenza dei riflessi troncoencefalici fa ritenere inutile l’intervento. In caso
di idrocefalo, qualora non vi sia compressione sul tronco encefalico, si considera come prima
scelta l’intervento di derivazione ventricolare, se invece vi è compressione viene privilegiata
l’evacuazione dell’ematoma. Anche per queste situazioni vi sono dati preliminari, da confermare, in favore dell’aspirazione stereotassica.222
Due metanalisi di tutti gli studi osservazionali riguardanti il trattamento delle emorragie endoventricolari con trombolitici concludono sulla possibilità che il trattamento sia efficace sulla
mortalità nei casi di grave emorragia, ma che non vi è chiarezza sulla dose ottimale, tempi di
somministrazione, metodi e durata della somministrazione. Non essendovi studi randomizzati in merito, sarebbe opportuno valutarne la fattibilità.223,224
10.2.1.6
Emorragie cerebrali nei pazienti in trattamento anticoagulante
La terapia anticoagulante è associata ad un rischio d’emorragia cerebrale pari a 0,3-2,5 per
1·000 pazienti per anno.225 con aumento del rischio relativo di 15,3 volte rispetto a pazienti
non in trattamento anticoagulante.226 Non esiste una chiara correlazione con i livelli di anticoagulazione (almeno nei centri anticoagulati in cui la terapia viene gestita con sistemi computerizzati e con adesione alle linee guida internazionali) e con la durata della terapia. Inoltre,
limitatamente alle emorragie cerebrali spontanee, non sempre è confermato un effetto prognostico sfavorevole della terapia anticoagulante in termini di mortalità. Anche in assenza di
chiare linee guida è considerato critico normalizzare le alterazioni dell’emostasi nel più breve
tempo possibile per ridurre la progressione del volume dell’emorragia nelle prime ore. Come
primo provvedimento è preferibile l’impiego di concentrati protrombinici alla dose di 35-50
U/kg. Tali concentrati hanno una efficacia immediata.227 Più difficile è la normalizzazione dell’emostasi con plasma fresco congelato a causa dei tempi di preparazione e dei volumi richiesti (dose richiesta di 10-20 mL/kg di peso corporeo). Deve seguire la somministrazione di 1020 mg di vitamina K con infusione lenta endovenosa (in 5 minuti) che può essere ripetuta
dopo 12 ore. La vitamina K richiede circa 6 ore di latenza per divenire efficace e non può essere considerata la terapia adeguata, da sola, nelle emorragie cerebrali. In caso di terapia anticoagulante con eparina non frazionata l’antidoto è rappresentato dal solfato di protamina alla
dose di 1 mg per 100 U di eparina somministrata. Se i pazienti avevano una chiara indicazione alla terapia antitrombotica, il problema immediato, in caso di evoluzione clinica favorevole, è la sua ripresa. In assenza di dati certi in letteratura, è ragionevole attendere una o due settimane, non essendo considerata mandatoria la completa scomparsa del sanguinamento alla
TC, che abbisogna di molte settimane.228
Vi sono rari sanguinamenti intracerebrali anche da trattamento trombolitico per infarto del
miocardio o embolia polmonare e più numerosi per trattamento trombolitico nell’ictus ischemico acuto. In questi casi sono da adottare i trattamenti generali suggeriti per la patologia e
può essere utile la somministrazione di plasma fresco congelato o concentrati di complesso
protrombinico 6-10 U.229,230
Agli antiaggregganti piastrinici classici (ASA, ticlopidina e clopidogrel) si sono andati affiancando gli inibitori GP IIb/IIIa. Tutti questi farmaci aumentano potenzialmente il rischio di
emorragia cerebrale. In particolare la terapia con antiaggreganti aumenta il rischio relativo di
emorragia cerebrale spontanea di 11,5 volte.231 Negli studi condotti con associazione GP
IIb/IIIa ed eparina sono state descritte complicanze emorragiche cerebrali nell’1,1%-1,4%
dei casi, mentre negli studi con sola eparina sono state descritte complicanze nello 0,9% dei
pazienti trattati.232 Non ci sono trattamenti farmacologici specifici per le complicanze emorragiche che avvengono con questa terapia. L’unico provvedimento utile può essere la trasfusione di concentrati piastrinici.
10.2.2
Emorragia subaracnoidea da aneurisma
10.2.2.1
Elementi di epidemiologia
Nonostante gli indubbi miglioramenti nella gestione della patologia, questa rimane gravata da
una mortalità di circa il 25%, e da una disabilità in circa il 50% dei pazienti sopravvissuti, per
una incidenza tra 6 e 16 per 100·000 per anno nei paesi occidentali, con frequenza di malattia
che aumenta con l’età ed è maggiore nel sesso femminile.236 In Italia sono state stimate le incistesura 15 marzo 2005
229
Raccomandazione 10.36
Il trattamento chirurgico dell’emorragia cerebrale non è
indicato:
a (grado C)
come trattamento precoce sistematico delle emorragie cerebrali,
mediante qualsiasi tecnica chirurgica, se non vi è un deterioramento neurologico;
b (grado D)
in piccole emorragie intracerebrali (<10 cm3) o deficit minimi
[è indicata la sola terapia medica];
c (grado D)
in emorragie intracerebrali con
GCS≤4 (non vanno trattate chirurgicamente, per l’esito neurologico estremamente povero, e per
l’elevata mortalità);
d (grado D)
in emorragie intracerebrali associate ad aneurismi o a malformazioni artero-venose, nel caso in
cui la lesione strutturale associata non sia accessibile chirurgicamente.
Raccomandazione 10.37
Grado D
Nei pazienti con emorragia cerebrale durante trattamento anticoagulante è indicata la correzione dell’emostasi, che si ottiene
più rapidamente con i concentrati
protrombinici rispetto al plasma
fresco.
230
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
denze di 10 per 100·000 nel distretto umbro del Trasimeno e di 8 per 100·000 a L’Aquila.237,238
La frequenza di emorragia subaracnoidea al di sotto di 20 anni di età è rara; viene riportata
intorno al 3% ed ha una prognosi nettamente migliore.236
Circa il 25% dei pazienti ai quali viene diagnosticata un’emorragia subaracnoidea (ESA) risulta aver sofferto di un precedente sanguinamento rimasto misconosciuto. In questi casi si è verificato un sanguinamento molto modesto per cui la cefalea ha rappresentato il solo sintomo
non adeguatamente valorizzato dal paziente o dal medico curante e quindi genericamente classificata come emicrania o artrosi cervicale. In mancanza di una corretta diagnosi, nell’arco di
giorni o settimane è estremamente frequente un risanguinamento “maggiore” con esiti molto
spesso drammatici. Per questo è indicato effettuare una valutazione neurologica ed eventuali
esami strumentali in tutti i pazienti con cefalea inabituale ad esordio acuto e/o con tipo ed
intensità di dolore non comune per il paziente, in quanto una diagnosi precoce ed un corretto trattamento sono fondamentali per migliorarne la prognosi.239-241
10.2.2.2
Fattori di rischio
Vi sono dati ottenuti da buoni studi di coorte. La familiarità, il fumo di sigaretta attivo o passivo, l’ipertensione e l’abuso di alcol sono risultati fattori di rischio per emorragia subaracnoidea (ESA).242,243 L’ipertensione è stata dimostrata correlata alla ESA dagli studi di coorte ed
in un recente studio caso-controllo riguardante casi giovanili.242 In studi degli anni ‘60, l’uso
dei contraccettivi orali era risultato aumentare il rischio di ESA. Tale associazione non è stata
riconfermata in studi recenti, probabilmente a causa della diversa composizione delle attuali
“pillole” rispetto alle prime utilizzate. Ulteriori fattori di rischio riportati sono l’indice di
massa corporea superiore alla norma e l’uso di droghe e di stimolanti a breve termine. In uno
studio è stata riscontrata una significativa relazione con i farmaci contenenti caffeina e nicotina. Non è stato dimostrato come fattore di rischio il diabete.244 Per una discussione più
approfondita si veda il § 6.5.3.
Ipertensione
Sintesi 10-19
Gli elementi a favore del trattamento chirurgico di un aneurisma
non rotto sono: la giovane età
(lunga aspettativa di vita con
aumento del rischio cumulativo di
rottura), pregressa ESA da altro
aneurisma, familiarità per ESA
e/o aneurismi, diametro superiore
ai 7 mm, sintomi compressivi o
evidenza di ingrandimento progressivo della sacca, localizzazione sulla linea mediana (aneurisma dell’arteria comunicante
anteriore o della basilare).
Sintesi 10-20
Gli aneurismi del tratto intracavernoso vanno considerati separatamente, in quanto hanno un
basso rischio di sanguinamento
anche se sintomatici. L’intervento
può rendersi necessario per la
presenza di sintomi da compressione più che per il rischio di
sanguinamento.
Raccomandazione 10.38
Grado D
In un paziente che ha avuto
un’ESA da altro aneurisma, il
trattamento chirurgico degli
aneurismi intatti è indicato dato
il loro rischio di rottura indipendentemente dalle dimensioni.
L’ipertensione è un sicuro e frequente fattore di rischio per emorragia cerebrale. Da una revisione di numerosi studi si è dimostrata una riduzione del 42% degli ictus ischemici ed emorragici per riduzione di 5~6 mm Hg di pressione diastolica e di 10~12 mm Hg di pressione
sistolica, ma ci sono scarse informazioni sull’influenza della terapia antipertensiva nella riduzione dell’incidenza di emorragia subaracnoidea (ESA), anche in studi recenti.245-247
Fumo
In studi caso-controllo si è dimostrata riduzione del rischio di ESA tanto più rilevante, quanto più tempo è trascorso dalla cessazione del fumo, e minor rischio per chi ha smesso di fumare rispetto ai fumatori correnti.248
Aneurismi non rotti
Da studi angiografici ed angio-RM sembra realistico ritenere che gli aneurismi non rotti possano avere una prevalenza nella popolazione del 2%-3%, il che significa che in Italia ci sono
1,5-2 milioni di persone in questa condizione.249,250 Si riscontra più frequentemente in persone giovani (massima incidenza fra 40 e 60 anni) in attività e senza altre patologie di rilievo.
Grazie ad uno studio internazionale, l’ISUIA (International Study Unruptured Intracranial
Aneurysms) che ha coinvolto 60 centri in Nord America ed Europa e che rappresenta lo studio sistematico più importante, ora si hanno conoscenze molto più precise sia sulla storia naturale degli aneurismi, sia sul rischio di rottura, sia sui parametri più importanti da considerare
per decidere in ogni singolo caso il trattamento più adeguato (semplice osservazione con controllo dei fattori di rischio, trattamento chirurgico o endovascolare).251 Su 5·662 pazienti si è
visto che il loro riscontro è molto più frequente nelle donne (3 ad 1 rispetto ai maschi) ed in
giovane età (età media 51,4 anni). Molto alta la percentuale di fumatrici o ex fumatrici (79%).
Una familiarità per questa patologia è stata riscontrata nel 20% dei casi, con maggiore incidenza di aneurismi multipli e maggiore tendenza alla rottura.
Per quanto riguarda la sede, infrequente il riscontro di aneurismi intatti a livello della comunicante anteriore (15%), rispetto al riscontro di oltre il 30% di aneurismi rotti in questa sede
in caso di ESA, ed al contrario il riscontro del 33% di aneurismi intatti a livello della arteria
cerebrale media, rispetto al 13% di aneurismi rotti in questa localizzazione in caso di ESA. Nel
75% dei casi gli aneurismi intatti avevano un diametro inferiore ad 1 cm. Per quanto riguarstesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
231
da il rischio di una futura rottura esso è risultato strettamente correlato alle dimensioni dell’aneurisma, alla localizzazione e alla presenza o meno di una pregressa ESA da altro aneurisma.
Il rischio di rottura è risultato molto basso (circa 0,1% per anno) per aneurismi di dimensione inferiori a 7 mm, e aumenta progressivamente con l’aumentare delle dimensioni. Maggior
rischio di rottura si ha anche per gli aneurismi della linea mediana (arteria comunicante anteriore ed apice della basilare). Inoltre la probabilità di rottura risulta 11 volte superiore nei
pazienti con pregressa ESA da rottura di altro aneurisma.
Per quanto riguarda le complicanze chirurgiche, queste sono risultate più elevate di quanto si
pensasse in passato, specie se vengono valutati anche i deficit cognitivi. L’età è emersa come il
fattore più importante: la percentuale di complicanze chirurgiche aumenta nettamente dopo i
60-70 anni. Altri fattori predittivi di risultati chirurgici negativi sono la localizzazione dell’aneurisma in fossa cranica posteriore, le ampie dimensioni dell’aneurisma, la presenza di sintomi compressivi, una storia di malattia cerebro-vascolare ischemica.152-154
10.2.2.3
Presentazione clinica
La presentazione tipica dell’ESA consiste in una cefalea ad esordio improvviso, solo a volte vi
può essere un disturbo della coscienza e/o segni neurologici focali e/o vomito. Le emorragie
più importanti determinano uno stato di sopore o coma. In alcuni casi si ha il deficit di un
nervo cranico (più spesso del 3° nervo cranico) per sanguinamento in prossimità dello stesso
o per compressione da parte della sacca aneurismatica. Il rigor nucale è incostante e quando
presente compare dopo alcune ore. Poiché, come detto, è ancora oggi comune che ESA lievi
non vengano diagnosticate, è importante mantenere un alto grado di sospetto clinico per questa patologia, che va in tutti i casi esclusa con diagnostica appropriata e non trascurata. La corretta diagnosi di piccoli sanguinamenti ed un opportuno trattamento sono in grado di evitare
una recidiva dell’ESA, spesso mortale. La gravità dell’ESA viene espressa attraverso la scala di
Hunt ed Hess oppure la scala della federazione mondiale dei Neurochirurghi WFNS (Tabella
10:V).245,246
Tabella 10:V – Scale di gravità dell’ESA
scala di Hunt ed Hess
grado
1
2
3
4
5
10.2.2.4
stato neurologico
asintomatico
grave cefalea, meningismo, senza deficit
neurologici (eccetto paralisi di nervi cranici)
rallentato, deficit neurologici minimi
stuporoso, moderata o grave emiparesi
coma, postura decerebrata
Scala WFNS (World Federation of Neurological Surgeons)
grado
Glasgow coma scale
I
15
assenti
deficit focali
II
14-13
assenti
III
14-13
presenti
IV
12-7
presenti o assenti
V
6-3
presenti o assenti
Diagnosi
L’ESA è una emergenza e come tale deve essere gestita presso un centro che abbia i mezzi idonei per farlo. Nel sospetto clinico il primo esame da eseguirsi è una TC senza contrasto che, se
eseguita entro 24 ore dall’esordio, evidenzia l’emorragia subaracnoidea nel 92% dei casi.257 La
sensibilità dell’esame declina nei giorni successivi; in tale fase la diagnosi di ESA si può ottenere eseguendo in contemporanea una rachicentesi, che è indicata anche in fase acuta nel caso
di TC negativa e ragionevole sospetto clinico.258,259 Sono disponibili linee guida tecniche per
l’analisi del liquor nel sospetto di emorragia cerebrale,260 che possono essere così sintetizzate:261
• il metodo di analisi raccomandato è la spettrofotometria che includa l’analisi quantitativa
della bilirubina, da eseguirsi sull’ultimo campione raccolto;
• l’aumento di bilirubina, generalmente accompagnata dall’ossiemoglobina, nel liquor è il
riscontro chiave per procedere con ulteriori approfondimenti diagnostici; la presenza di
ossiemoglobina da sola è quasi sempre un artefatto, anche se occasionalmente può verificarsi nell’ESA;
• l’assenza di ossiemoglobina e di bilirubina all’esame spettrofotometrico non supporta un’emorragia subaracnoidea.
La rottura di un aneurisma cerebrale può determinare, oltre all’ESA, la formazione di un ematoma. In un paziente che alla TC presenta un ematoma intracranico, la possibilità che tale emastesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.39
Grado D
Il trattamento chirurgico degli
aneurismi sintomatici è indicato
data la loro elevata probabilità di
andare incontro a rottura o di
provocare sintomi progressivi od
embolie.
Raccomandazione 10.40
Grado D
Il trattamento chirurgico degli
aneurismi asintomatici di dimensioni superiori a 7 mm è indicato
solo se non coesistono particolari
condizioni di rischio (età avanzata, condizioni mediche o neurologiche gravi).
Raccomandazione 10.41
Grado D
Gli aneurismi piccoli (<7 mm)
senza pregressa storia di ESA e
familiarità possono essere trattati
con approccio conservativo, ma è
indicato monitorare nel tempo se
vi è un aumento o modificazione
della conformazione della sacca.
232
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
toma derivi dalla rottura di un aneurisma cerebrale varia dal 4% al 35%. L’ematoma può essere, oltre che intracerebrale, anche intraventricolare, sottodurale od una combinazione dei precedenti, spesso associati all’emorragia subaracnoidea, e la prognosi in questi casi risulta nettamente peggiore. In circa 1/3 dei casi l’ematoma ha dimensioni tali da costituire un rischio per
la vita del paziente, per cui è necessario un intervento chirurgico immediato.220,262
La localizzazione e le caratteristiche morfologiche dell’emorragia variano a seconda della sede
dell’aneurisma che ha sanguinato: ematomi frontali o fronto-basali negli aneurismi dell’arteria
comunicante anteriore; ematomi temporali in caso di aneurisma dell’arteria cerebrale media.
La RM ha poca sensibilità per la diagnostica dell’ESA e non vi sono studi clinici controllati di
raffronto tra TC e RM.263,264 L’angio-RM e l’angio-TC sono state proposte come alternative
all’angiografia digitale, ma non forniscono ancora sufficienti dettagli e non hanno sufficiente
sensibilità per le decisioni chirurgiche. Possono essere utilizzate nell’emergenza clinica, ed è
possibile, che in futuro l’angio-RM possa sostituire l’angiografia tradizionale.265-267
Raccomandazione 10.42
Grado D
La TC cranio senza contrasto è
indicata per la diagnosi in emergenza di ESA.
Raccomandazione 10.43
Grado D
La rachicentesi è indicata, qualora la TC sia negativa, in presenza
di sospetto clinico di ESA, anche
solo per esclusione di tale patologia.
Raccomandazione 10.44
Grado D
Nei pazienti con ESA, l’angiografia digitale è indicata in quanto
tuttora rappresenta lo standard
migliore per la descrizione morfologica della formazione aneurismatica.
Raccomandazione 10.45
Grado D
Angio-RM ed angio-TC sono
sempre indicate nei pazienti con
ESA quando l’angiografia digitale
non può essere eseguita.
Dopo aver rilevato la presenza di ESA e/o di ematoma di probabile origine aneurismatica alla
TC, è indicato eseguire uno studio angiografico per evidenziare o escludere la presenza di tale
malformazione vascolare causa dell’emorragia. Se presente, il successivo trattamento (chirurgico o endovascolare) verrà deciso in base alla sede, dimensione e morfologia della malformazione stessa. Rimane in discussione l’utilità dell’angiografia in caso di quadro di emorragia
perimesencefalica alla TC. Anche se occasionalmente (2,5%-5% dei casi) questo quadro è
conseguente alla rottura di un aneurisma in fossa posteriore, va pesata la probabilità di riscontrare un aneurisma nel 5% dei pazienti, contro il rischio imposto dall’angiografia (con un tasso
di complicanze transitorie o permanenti intorno all’1,8%) nel restante 95% dei pazienti. Una
strategia in cui si esegua in questi soggetti un’angio-CT ma senza successiva angiografia se l’angio-CT risulta negativa, sembra massimizzare il rapporto tra benefici e rischi.243
L’angiografia è tuttora l’esame di riferimento per studiare gli aneurismi. Lo studio angiografico può risultare negativo e si parla allora di emorragia subaracnoidea sine materia, sebbene in
questi casi sarebbe più corretto parlare di ESA con angiografia negativa. L’incidenza di tale
condizione è stata riportata dal 7% al 33% ma è andata progressivamente diminuendo con
l’affinamento delle tecniche diagnostiche fino a diventare molto rara.
Sono state avanzate varie teorie per spiegare la presenza di una emorragia subaracnoidea con
angiografia negativa:
1. si tratterebbe di emorragie venose perimesencefaliche;
2. l’emorragia sarebbe dovuta ad un aneurisma che va incontro a trombosi immediata;
3. l’emorragia sarebbe dovuta a piccoli aneurismi che si distruggono al momento dell’emorragia (inferiori a 2 mm di diametro);
4. gli aneurismi sarebbero di dimensioni così piccole da non essere evidenziati allo studio
angiografico;
5. la mancata evidenziazione dell’aneurisma sarebbe dovuta a vasospasmo generale o locale.268
Naturalmente per parlare di ESA con angiografia negativa è necessario aver eseguito uno studio angiografico completo (del circolo carotideo e vertebro-basilare) e con tecnica adeguata.
In caso di ESA con angiografia negativa deve essere eseguita una angiografia di controllo dopo
una settimana dall’esordio (evidenzia aneurismi nell’1%-2% dei casi)269 e, se ancora negativa
per aneurismi, bisogna eseguire una nuova angiografia dopo 1-3 mesi.270 In fase acuta, in caso
di angiografia negativa, può essere utile eseguire una RM cervicale per escludere patologie in
tale sede, responsabili dell’ESA.272,272 Di recente è stata sottolineata l’importanza della presenza alla TC di sangue nelle cisterne perimesencefaliche, rilievo di frequente riscontro nelle
ESA con angiografia negativa. Questi pazienti giungono al ricovero in migliori condizioni cliniche ed hanno una prognosi nettamente più favorevole rispetto a quelli con ESA ed angiografia positiva: sia la recidiva dell’emorragia che lo sviluppo di vasospasmo e di idrocefalo
acuto e cronico sono molto minori.273-275
Per la diagnosi ed il monitoraggio del vasospasmo (vedi § 10.2.2.8) è raccomandato l’uso del
Doppler transcranico che ha il vantaggio di essere una tecnica non invasiva, sebbene una possibile limitazione consista nella presenza di scarsa finestra acustica nel 10% dei pazienti.276
L’angiografia può essere utilizzata per la diagnosi di vasospasmo qualora si utilizzino metodiche endovascolari di trattamento.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
10.2.2.5
233
Trattamento chirurgico ed endovascolare
Dopo rottura di un aneurisma cerebrale, se non vi è un trattamento (chirurgico o endovascolare) con esclusione dell’aneurisma, la probabilità di un nuovo sanguinamento è estremamente elevata: 20% entro 14 giorni, 30% entro 30 giorni, 40% entro 180 giorni ed in seguito la
probabilità di recidiva di rottura è del 3% per anno. L’incidenza di recidiva di rottura è nettamente più elevata nei primi 2 giorni ed in particolare nelle prime 24 ore. Il risanguinamento è un’evenienza estremamente grave: lo studio cooperativo internazionale sull’ESA ha dimostrato che il risanguinamento è responsabile di circa il 30% delle prognosi sfavorevoli per mortalità e morbosità.268,277
Risulta quindi necessario procedere all’esclusione di queste malformazioni con un adeguato
trattamento (chirurgico o endovascolare).
L’efficacia del trattamento chirurgico degli aneurismi cerebrali è nettamente migliorata negli
ultimi anni grazie alla utilizzazione del microscopio operatorio, di una strumentazione microchirurgica sempre più sofisticata e degli avanzamenti delle tecniche anestesiologiche.
I risultati chirurgici sono strettamente correlati alle condizioni neurologiche, alla localizzazione e dimensioni della sacca aneurismatica, all’età del paziente, alle condizioni cliniche generali. La prognosi risulta migliore nel caso di aneurismi non rotti.277,278
La chirurgia costituisce il trattamento di prima scelta nei pazienti giovani, portatori di aneurismi del circolo anteriore, non giganti, ed in generale in tutti i pazienti a basso rischio chirurgico. In questi casi il trattamento chirurgico è da preferire in quanto assicura, come detto,
basse complicanze e consente, in circa l’85%~90% dei casi, di escludere con clip l’aneurisma
in maniera completa e definitiva.235
Dati recenti indicano però che anche un aneurisma “clippato” completamente con intervento
chirurgico ha una possibilità di circa l’1,5% di riapertura al follow-up di 4,4 anni, per cui
anche la chirurgia non dà una protezione assoluta. Nell’1%-2% dei casi è stata anche riportata la formazione di nuovi aneurismi. Il fattore che più di ogni altro condiziona l’esito finale
è costituito dalla gravità clinica del paziente al momento del ricovero e quindi dal danno diretto provocato dall’ESA. Ancora oggi troppi pazienti arrivano al ricovero in stato soporoso o
comatoso al 2° o 3° risanguinamento, non essendo stata diagnosticata correttamente la prima
ESA “minore”.239-241 Per questo, essendo la TC divenuta un esame di facile utilizzo, se ne raccomanda l’uso urgente in pronto soccorso nei pazienti con cefalea inusuale.
Interessante a questo proposito lo studio cooperativo internazionale sul timing chirurgico di
Kassell,276 che dimostra un buon risultato, valutato mediante la Scala di esito di Glasgow
(Tabella 10:VI), solo nel 58% dei casi. Le principali cause degli scarsi risultati (mortalità e
morbosità) furono, in ordine decrescente, l’effetto diretto dell’emorragia, il vasospasmo, la
recidiva dell’emorragia in attesa dell’intervento, le complicanze strettamente collegate all’atto
chirurgico. Per quanto riguarda i tempi del trattamento, i risultati ottenuti con la chirurgia
precoce (entro 3 giorni dall’ESA) o con la chirurgia dilazionata (dopo 7 giorni) furono simili
anche se con una prevalenza di migliori risultati con la chirurgia precoce, soprattutto per la
riduzione della recidiva dell’emorragia, con un minimo effetto negativo sui deficit neurologici ischemici. Nonostante questo fondamentale studio cooperativo non abbia evidenziato
diversità significative nei risultati fra operati precocemente o tardivamente, la chirurgia precoce ha avuto sempre più diffusione tanto che oggi è utilizzata dalla maggior parte dei centri
Neurochirurgici.
Una recente metanalisi ha osservato, su 1·814 pazienti descritti in 268 studi osservazionali, un
miglior esito nei pazienti operati precocemente (0-3 giorni) ed in tempi intermedi (4-7 giorni),
rispetto a quelli operati tardivamente, soprattutto per interventi in pazienti in buone condiTabella 10:VI – Scala di esito di Glasgow
Grado
1
2
3
4
5
Esito
Buon recupero, vita indipendente
Moderata disabilità, vita indipendente
Severa disabilità, vigile ma non indipendente
Stato vegetativo
Morte
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.46
Grado D
Il trattamento chirurgico dell’ESA
è indicato quale approccio di
prima scelta nei pazienti giovani,
portatori di aneurismi del circolo
anteriore, non giganti, ed in
generale in tutti i pazienti a basso
rischio chirurgico.
Sintesi 10-21
Nell’ESA non vi sono al momento
evidenze a favore degli interventi
eseguiti precocemente, entro 3
giorni dall’esordio dei sintomi,
anche se attualmente è la prassi
più utilizzata. Non sono state
riscontrate differenze di esito
rispetto agli interventi eseguiti
entro 7 giorni dall’esordio.
234
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
zioni cliniche (precoce: OR 0,41; IC95 0,34-0,51; intermedia: OR 0,47: IC95 0,32-0,69), anche
se gli autori concludono per la necessità di un nuovo studio osservazionale con metodologia
appropriata.268
Un trattamento chirurgico in emergenza può essere indicato in presenza di un idrocefalo acuto
con ipertensione endocranica (inserimento di un drenaggio ventricolare esterno) oppure
quando la TC evidenzia un ematoma intracerebrale di dimensioni tali da mettere a rischio la
vita del paziente. In questi casi si impone una craniotomia con evacuazione dell’ematoma.
Nella stragrande maggioranza dei casi nello stesso intervento si provvede anche al clippaggio
dell’aneurisma.
La chirurgia precoce viene preferita nei pazienti in buone condizioni cliniche in quanto ha il
vantaggio di ridurre nettamente il rischio di un risanguinamento, assicurare una minore incidenza ed un miglior trattamento del vasospasmo, consentire una mobilizzazione più precoce
del paziente con quindi minore incidenza di complicanze mediche.
Oltre che per via chirurgica, un aneurisma cerebrale può essere trattato anche per via endovascolare, utilizzando le spirali di Guglielmi. Il trattamento endovascolare degli aneurismi è
volto ad escludere l’aneurisma dal circolo cerebrale attraverso un riempimento dello stesso
mediante spirali (coil) o mediante la chiusura del vaso afferente effettuata tramite palloncini
staccabili (DB) o spirali. Le spirali (introdotte nella pratica clinica da G. Guglielmi nel 1991)
sono state utilizzate per chiudere sia aneurismi rotti che aneurismi non rotti. Con l’aumento
dell’esperienza tecnica e con il miglioramento delle microspirali, il trattamento endovascolare
è stato utilizzato con frequenza crescente anche in aneurismi che avrebbero potuto essere trattati chirurgicamente.
Raccomandazione 10.47
Grado D
Nei pazienti con ESA è indicato
privilegiare l’intervento endovascolare rispetto alla chirurgia nel
caso in cui il paziente non possa
essere sottoposto ad intervento
chirurgico per problemi internistici, quando l’aneurisma risulti di
difficile accesso chirurgico o l’intervento si accompagni ad alto
rischio operatorio. L’intervento
endovascolare è indicato anche
in caso di aneurismi non rotti
medio-piccoli.
Sintesi 10-22
L’età superiore a 60 anni, i gradi
clinici intermedi ed alti (HH=3-4)
dopo emorragia subaracnoidea,
ed in particolare gli aneurismi del
circolo posteriore, di difficile accesso chirurgico indipendentemente se rotti o non rotti, sono a
parità di indicazioni fattori che
orientano la scelta terapeutica
verso un intervento endovascolare.
Raccomandazione 10.48
Grado D
In caso di aneurismi dell’arteria
cerebrale media, età inferiore a
60 anni, grading clinico basso
(HH=1~2), presenza di un ematoma cerebrale è indicato il trattamento chirurgico.
Le indicazioni al trattamento endovascolare o chirurgico variano in rapporto alla presentazione clinica (aneurisma non sanguinante, emorragia subaracnoidea, effetto compressivo), età del
paziente e caratteristiche dell’aneurisma (sue dimensioni, localizzazione, aspetto morfologico).
Questo trattamento è oggi utilizzato prevalentemente nei casi ritenuti ad alto rischio operatorio dai neurochirurghi, negli aneurismi del circolo posteriore, nei pazienti anziani ed in generale in tutti i pazienti con importanti fattori di rischio.269
Esistono studi comparativi tra terapia chirurgica ed endovascolare – che hanno randomizzato
al trattamento solo i soggetti senza chiara indicazione all’uno o all’altro trattamento – negli
aneurismi con emorragia subaracnoidea.279 Uno studio randomizzato su 109 pazienti che ha
confrontato la chirurgia con la terapia endovascolare, con trattamento entro 72 ore dall’esordio, ha dimostrato risultati comparabili nei due gruppi di pazienti.280 In questo studio la mortalità correlata alla tecnica è stata del 4% nel gruppo chirurgico contro il 2% del gruppo
endovascolare. Recentemente sono stati pubblicati i risultati dello studio multicentrico randomizzato (sempre secondo i criteri precedenti) e controllato ISAT.281,282 Questo studio ha
confrontato il trattamento chirurgico con il trattamento endovascolare con coil in 2·143
pazienti con aneurismi rotti considerati sia operabili chirurgicamente che embolizzabili, valutando morbosità e mortalità, prevenzione del risanguinamento e qualità della vita dei pazienti ad un anno dall’intervento. Lo studio evidenzia che il trattamento endovascolare è risultato,
in termini di sopravvivenza libera da morbosità ad un anno, significativamente migliore rispetto all’intervento chirurgico con riduzione del rischio assoluto per morte e dipendenza pari a
6,9% (IC95 2,5-11,3). Da considerare che i pazienti arruolati nello studio erano solo il 22,4%
degli osservati; per i non arruolati i due tipi di trattamento non erano stati giudicati equivalenti: il 39% è stato trattato chirurgicamente, il 29% per via endovascolare.283 A lungo termine l’esito dipende soprattutto dal rischio di risanguinamento. Il periodo di osservazione dello
studio ISAT era troppo breve per essere conclusivo in tal senso (recidiva di sanguinamento ad
1 anno dell’1% nei trattati chirurgicamente e del 2,6% nei trattati per via endovascolare).
Questo rischio si presenta basso negli aneurismi trattati con entrambi gli approcci, anche se
lievemente maggiore per quelli trattati per via endovascolare per recidiva dell’aneurisma (compattamento delle spirali, ricrescita della sacca). Una serie non randomizzata e retrospettiva di
2·069 pazienti statunitensi con aneurismi non rotti – di cui solo 255 trattati per via endovascolare – ha mostrato esiti disabilitanti o morte nel 10% dei trattati per via endovascolare e
nel 25% di quelli sottoposti a chirurgia (P=0,001); anche la mortalità era dello 0,5% nei trattati con spirali rispetto al 3,5% di quelli trattati chirurgicamente (P=0,001).284 Questi risultati vanno interpretati con cautela anche perché non vi era stato alcun criterio di selezione dei
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
235
pazienti per la scelta delle due tecniche di trattamento. Una relazione precedente su un sottoinsieme degli stessi casi, che comunque presentava in modo ancora più evidente le stesse
carenze metodologiche, ha confermato una minore mortalità nei trattati per via endovascolare, ed un minor ricorso alla fisioterapia, ma non significativi.285 Una recente metanalisi riporta complicanze nel 3,7% dei casi trattati per via endovascolare, ma anche chiusura completa
dell’aneurisma in solo il 54% dei casi, nel trattamento iniziale.286 Nei casi di occlusione non
completa vi sono alte percentuali di progressione delle dimensioni al follow-up angiografico,
anche se non sono ben noti i rischi di emorragia in questi pazienti. La percentuale di risanguinamento sembra essere di circa il 4%.
Quindi il trattamento degli aneurismi intatti senza chiara indicazione chirurgica, attraverso
embolizzazione o coils sembra avere un più basso tasso di complicanze rispetto ad un clippaggio chirurgico, sono invece necessari ulteriori lavori per dimostrarne l’efficacia nel prevenire emorragie. I pazienti trattati per via endovascolare vanno seguiti nel tempo mediante
esami angiografici e necessitano frequentemente – nel 10% circa dei casi per gli aneurismi
medio-piccoli (piccoli sino a 0,5 cm diametro massimo, medi sino a 1,5 cm, grandi sino a 2,5
cm, giganti oltre 2,5 cm), e fino al 40% negli aneurismi giganti, specie se parzialmente trombizzati – di nuovi trattamenti di occlusione della sacca aneurismatica, che può riaprirsi od
allargarsi anche nei casi di lesioni trattate con iniziale occlusione completa.286,287
Non ci sono dati precisi che indichino una specifica tempistica per il follow up. Se con la procedura endovascolare viene raggiunta una apparente occlusione completa della sacca, l’indicazione è di eseguire una angiografia di controllo dopo 6 mesi; i successivi controlli saranno
programmati sulla base della stabilità del risultato raggiunto. Naturalmente se l’occlusione
completa non può essere raggiunta i controlli saranno più frequenti. La possibilità che un
aneurisma clippato completamente con tecnica chirurgica possa ricanalizzarsi e dare un risanguinamento è molto bassa per cui non sono necessari controlli angiografici seriati se non in
casi particolari.
Attualmente la decisione sul tipo di intervento da adottare, chirurgico o endovascolare, va
attuata nell’ambito di un team specialistico multidisciplinare.
10.2.2.6
Indicazioni alla chiusura del vaso afferente
La chiusura dell’arteria dalla quale l’aneurisma origina può rappresentare una opzione terapeutica. Naturalmente l’occlusione di un’arteria intracranica può portare all’ischemia del territorio a valle. Le conseguenze ischemiche dell’occlusione di un’arteria possono essere previste effettuando un test di occlusione attraverso l’occlusione temporanea del vaso mediante un
palloncino e valutandone gli effetti sulla funzione cerebrale ed emodinamici sia dal punto di
vista clinico che strumentale. Bisogna comunque tenere presente che conseguenze ischemiche
si possono verificare anche se il paziente ha tollerato il test di occlusione.288,289 Il vaso viene di
preferenza occluso per via endovascolare e tale procedura può essere eseguita subito dopo
avere effettuato il test di occlusione. I sintomi compressivi dovuti all’aneurisma possono risolversi dopo tale procedura presumibilmente riducendo la pressione nella sacca per retrazione
del trombo. Tale procedura viene riservata ai casi nei quali non sia possibile un trattamento
elettivo endovascolare o chirurgico e che presentino un alto rischio di rottura.235,269
10.2.2.7
La prevenzione dei risanguinamenti
Trattamento medico
Negli anni ’80 vi era l’abitudine di tenere i pazienti a letto per 6 settimane dopo la rottura di
un aneurisma. Negli studi randomizzati questo trattamento è risultato inferiore alla chirurgia
precoce ed al trattamento antipertensivo.253
Sulla terapia antipertensiva vi sono dati diversi: in alcuni studi sembra favorire il risanguinamento, ma forse solo in quanto somministrata ai pazienti già ipertesi; in altri sembra ridurre il
sanguinamento, che pare legato più agli sbalzi di pressione che a valori elevati ma stabili.290,291
L’utilizzo degli agenti fibrinolitici appare efficace nel prevenire il risanguinamento nel 40%
circa dei casi, tuttavia sembra anche indurre ischemie cerebrali nel 43% dei pazienti.292
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.49
Grado D
La chiusura del vaso afferente in
pazienti con ESA è indicata
quando non sia possibile la chiusura diretta dell’aneurisma per
via chirurgica o per via endovascolare ed esista un rischio elevato di rottura o siano presenti
sintomi progressivi.
Sintesi 10-23
Non vi sono evidenze a favore
dell’efficacia della permanenza a
letto dei pazienti con ESA e della
terapia anti-ipertensiva in acuto
nel prevenire il risanguinamento
dell’aneurisma, tuttavia la somministrazione di antipertensivi
viene ampiamente praticata.
Sintesi 10-24
La terapia antifibrinolitica per
prevenire il risanguinamento nei
pazienti con ESA può essere
usata in particolari condizioni,
p.es. pazienti con scarsa possibilità di vasospasmo candidati a
terapia chirurgica dilazionata, ma
non è un trattamento di routine in
quanto provoca ischemie cerebrali in proporzione analoga a
quella degli episodi di risanguinamento evitati dalla stessa terapia.
236
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Trattamento chirurgico
Raccomandazione 10.50
Grado C
Il clippaggio chirurgico è indicato
per ridurre la percentuale di rinsaguinamento dopo ESA.
Raccomandazione 10.51
Grado D
La legatura di carotide per aneurismi non trattabili con approccio
diretto può essere indicata per
prevenire il risanguinamento
dopo ESA.
Sintesi 10-25
Nell’ESA, l’uso di spirali intraluminali sembra avere un rischio
lievemente maggiore di risanguinamenti rispetto alla chirurgia
tradizionale.
Sintesi 10-26
Il trattamento con palloncini e
polimeri ha una casistica troppo
limitata per essere valutato ai fini
della prevenzione del risanguinamento dopo ESA.
Il trattamento chirurgico è il modo più efficace per prevenire il risanguinamento. La legatura
dell’arteria carotide in aneurismi anteriori per i quali non è stato possibile un trattamento chirurgico diretto, si è dimostrata efficace nel prevenire risanguinamenti.288
Il trattamento degli aneurismi con spirali presenta, come già indicato, un rischio di sanguinamento lievemente maggiore rispetto alla chirurgia tradizionale, per la possibilità di riapertura
dell’aneurisma ed espansione delle sue dimensioni. Molti studi su serie neuroradiologiche e
chirurgiche presentano errori sistematici che non permettono una adeguata generalizzazione
dei risultati. Le critiche principali si concentrano su follow-up non adeguato e mancata diagnosi dei casi di morte improvvisa, il che porta a sottostimare la reale prevalenza di rottura
dopo trattamento. Nella storia naturale degli aneurismi il rischio di rottura di un aneurisma
che ha sanguinato è del 20%-30% nel primo mese e del 3% per anno. Sicuramente il trattamento endovascolare o chirurgico, specie se effettuati entro 72 ore dalla rottura, riducono tale
rischio anche se l’evidenza, al momento, non si basa su studi randomizzati e controllati. Anche
la chirurgia tradizionale, tuttavia, non è completamente esente da questo rischio.276,280 Lo studio cooperativo sui tempi del trattamento chirurgico del 1974 ha valutato 979 pazienti trattati con chirurgia invasiva intracranica; 9 dei 453 pazienti (2%) hanno risanguinato dopo l’intervento, ma 4 di queste emorragie sono avvenute in pazienti con aneurismi multipli.276 Nello
studio di Johnston 284 si è dimostrata una maggiore efficacia della chirurgia tradizionale sui
risanguinamenti a 3 mesi, rispetto alla permanenza a letto o al trattamento dell’ipertensione.
Nella serie retrospettiva di Sundt del 1982, l’11% dei pazienti di grado 1-2 hanno risanguinato dopo la chirurgia, il 12,4% ha avuto un sanguinamento intraoperatorio e l’1,2% post-operatorio.293 Queste percentuali sono comparabili a quelle di altre serie pubblicate. Maggiore è
il rischio per gli aneurismi clippati in modo incompleto: Fuerberg in 715 aneurismi trattati ha
osservato 26 aneurismi incompletamente chiusi (3,8%), un paziente di questi ha avuto un
risanguinamento in 266 anni-paziente di follow-up.294
Una stima precisa del rischio di risanguinamento post-embolizzazione è difficile da ottenere
in quanto molti studi non riportano un adeguato follow-up e non distinguono fra trattamento
di aneurismi rotti e non rotti. In uno di tali studi la percentuale di rottura post-embolizzazione è 1,8%.235
Non è possibile per questo fornire dati di un’analisi cumulativa su studi tutti di aneurismi rotti
(con differenti localizzazioni e dimensioni) nei quali si era verificata una nuova emorragia
subaracnoidea dopo il trattamento. Si stima che la percentuale di risanguinamenti per aneurismi rotti e non rotti sia dello 0,9%-1,8% per anno.255,284,294-296 Il rischio di risanguinamento
di un aneurisma trattato è risultato dipendere da diversi fattori quali la sede e le dimensioni
dell’aneurisma, il grado di obliterazione della sacca a fine procedura e le sue variazioni durante il follow-up. Combinando diversi studi per aneurismi localizzati in fossa cranica posteriore
il tasso annuale di risanguinamento dopo embolizzazione può essere stimato pari a 1,4% specie per le localizzazioni distali dell’arteria basilare.295-297 Molte serie hanno evidenziato che,
più grande è l’aneurisma, maggiore è il rischio emorragico dopo trattamento.297,298 In uno studio di coorte di aneurismi precedentemente rotti di più di 2 cm di diametro, si verifica una
rottura ogni 36,6 anni-paziente, con un tasso annuale di risanguinamento pari al 2,7%.297 Le
dimensioni dell’aneurisma sono di grande importanza per la stima del rischio di rottura postembolizzazione, in quanto il rischio per aneurismi giganti è ritenuto essere del 33%, 4% per
i “large” e 0,4% per aneurismi “small” a 3,5 anni di follow up.279,297,298
Un altro predittore importante del rischio di risanguinamento dopo intervento endovascolare
è la non completa chiusura della sacca.299 Anche se alcuni case report mostrano come anche
aneurismi completamente esclusi, sia per via endovascolare che per via chirurgica, possano
rompersi,293-295 il rischio di rottura è molto più alto se la sacca non è completamente occlusa,
con un rischio di rottura stimato pari al 49% in una serie di 178 aneurismi non chiusi completamente.299
L’efficacia del trattamento con palloncini o polimeri ha una casistica troppo limitata e solo in
aperto così da non poter permettere una stima affidabile. Sembra vi possa essere una occlusione completa nel 77% dei casi, con risanguinamenti nel 12%.300
Per gli aneurismi trattati con fasciatura esterna la percentuale di risanguinamenti non è diversa rispetto a quelli sottoposti a terapia medica conservativa, anche se i dati sono insufficienti
per conclusioni definitive.301
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
10.2.2.8
237
Vasospasmo
Il vasospasmo si manifesta con stenosi delle arterie cerebrali e riduzione del flusso, documentata mediante esami angiografici o Doppler transcranico. Il fenomeno ha un esordio dopo 35 giorni dal sanguinamento, raggiunge il massimo fra il 5°-14° giorno ed ha una risoluzione
graduale in 2-4 settimane. Nella metà dei casi si rende manifesto con la comparsa di deficit
neurologici focali, che possono risolversi od esitare in ischemie cerebrali. Il 15%-20% di questi pazienti, nonostante l’attuazione di idonee terapie, muore per il vasospasmo ed il 50% dei
casi sintomatici sviluppa ischemie cerebrali.302 Il vasospasmo rappresenta quindi la seconda
più grave complicanza della emorragia subaracnoidea da rottura di un aneurisma cerebrale.303
La patogenesi del vasospasmo è complessa ma i disturbi clinici hanno caratteristiche peculiari per cui non è difficile una diagnosi precisa nella maggior parte dei casi. I coaguli ematici
negli spazi subaracnoidei possono indurre e mantenere il restringimento dei vasi cerebrali causando una ischemia. Il vasospasmo può colpire le grosse arterie cerebrali ma è più frequente
un interessamento delle piccole arterie e delle arteriole.304 Vi è una significativa relazione fra
la quantità di sangue depositatosi negli spazi subaracnoidei e lo sviluppo successivo di vasospasmo, sia clinico che strumentale, ed il risultato clinico finale. La TC in fase acuta dopo una
emorragia subaracnoidea ha pertanto un enorme significato in quanto dà la possibilità di predire il vasospasmo e, nei pazienti a rischio, consente di instaurare un trattamento preventivo
ed evitare lo studio angiografico nonché l’intervento chirurgico in tale fase, per non peggiorare le condizioni cliniche. Utizzando la scala di Fisher (Tabella 10:VII)305 è possibile classificare alla TC la deposizione di sangue nelle cisterne in quattro categorie che indicano la gravità
dell’ESA. Un altro studio propone l’utilizzo di un punteggio composito per il calcolo del
rischio di vasospasmo (Tabella 10:VIII), più sensibile (AUC della receiver operating characteristic: 68%±8%) rispetto ai criteri dello spessore del sanguinamento (62%±8% P=0,08) o dell’accelerazione del flusso in cerebrale media entro la quinta giornata (45%±7% P<0,05).306,307
Raccomandazione 10.52
Grado D
Per la diagnosi ed il monitoraggio
del vasospasmo è indicato l’uso
del Doppler transcranico.
Se il vasospasmo si prolunga nel tempo con importante riduzione del flusso, la TC potrà evidenziare aree ischemiche singole o multiple.
Nei pazienti di età inferiore ai 20 anni vi è bassa frequenza e minore gravità del vasospasmo e
questo spiega i risultati nettamente migliori nel trattamento degli aneurismi in età pediatrica.307,308
Trattamento del vasospasmo
Serie non controllate di casi hanno dimostrato la risoluzione del vasospasmo mediante l’elevazione della pressione, l’espansione del volume ematico e l’emodiluizione, ma nessuno di
questi trattamenti è stato dimostrato efficace da studi adeguatamente condotti. Questi interventi, inoltre, sono potenzialmente pericolosi per scompenso cardiaco, disordini elettrolitici,
sanguinamento di aneurismi non trattati.308,309
Tabella 10:VII – Scala di Fisher
punteggio di gravità dell’ESA
1
2
3
4
deposizione di sangue nelle cisterne
assente
diffusa,sottile
diffusa, spessa
sangue anche nei ventricoli laterali
Tabella 10:VIII – Indice di rischio per vasospasmo
Fattore
Spessore del coagulo
Scala di Glasgow, punteggio iniziale
Sede della rottura dell’aneurisma
Accelerazione del flusso alla cerebrale media
(>110 cm/sec in 5° giornata)
spesso diffuso
diffuso spesso/localizzato
localizzato o assente
<14
≥14
ACA o ICA
altri
presente
assente
stesura 15 marzo 2005
Score
4
2
1
2
1
2
1
2
1
Raccomandazione 10.53
Grado D
L’ipertensione, l’ipervolemia e l’emodiluizione sono indicate per la
prevenzione ed il trattamento del
vasospasmo, ma la loro efficacia
non è stata univocamente dimostrata.
238
Raccomandazione 10.54
Grado C
La somministrazione di nimodipina per via orale o e.v. è indicata
nel trattamento del vasospasmo
dopo ESA.
Sintesi 10-27
La rimozione dei coaguli vasali
durante l’intervento, la somministrazione di fibrinolitici cisternali
o la somministrazione di agenti
anti-infiammatori o antiossidanti
sono di incerta efficacia nella
prevenzione del vasospasmo
dopo ESA.
Raccomandazione 10.55
Grado D
Il trattamento angioplastico intravascolare è indicato nei pazienti
con vasospasmo dopo ESA, per i
quali i restanti trattamenti si
siano dimostrati inefficaci.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Allen fu il primo a proporre il trattamento con nimodipina per via endovenosa in quanto era
stato dimostrato sperimentalmente che determinava una dilatazione delle arterie piali.310 Da
allora è emersa con sempre maggiore evidenza la possibile efficacia dei calcio-antagonisti diidropiridinici, quali nifedipina e nimodipina, sul fenomeno della vasocostrizione cerebrale in
pazienti con ESA, con beneficio clinico riducendo la frequenza delle ischemie cerebrali, per
cui vengono comunemente utilizzati per via endovenosa o per via orale.310,311 La nimodipina
per via orale riduce gli esiti da vasospasmo in pazienti di ogni grado nei vari studi condotti, ma
non ne previene l’insorgenza e non ne riduce l’entità negli esami angiografici. Il dosaggio consigliato è di 60 mg ogni 4 ore.311 Vi sono serie non controllate di trattamento con nimodipina
e.v. al dosaggio di 1-2 mg/ora che riportano basse percentuali di mortalità o di esiti permanenti
nei trattati.312 Anche uno studio con nicardipina ha mostrato una riduzione del vasospasmo
all’angiografia nei trattati.313 Una recente metanalisi conferma che i calcio antagonisti riducono il rischio di esito sfavorevole dopo ESA aneurismatica indipendentemente da considerazioni sul vasospasmo (RR 0,82; IC95 0,72-0,93) con riduzione assoluta del rischio pari a 5,17%
e NNT=20. L’entità dell’effetto su questo endpoint calcolato per la sola nimodipina orale risulta RR 0,70; IC95 0,58-0,84. Diminuisce anche il rischio di ischemia secondaria sintomatica (RR
0,67; IC95 0,60-0,76), ma viene sottolineato anche che le definizioni di esito sono eterogenee e
che le evidenze a favore di nimodipina non sono completamente al di là di ogni dubbio.314
Evidenze cliniche e sperimentali supportano l’opportunità di rimuovere i coaguli perivasali
durante il trattamento chirurgico per prevenire il vasospasmo. Non vi sono però studi adeguatamente condotti a sostegno di questi dati.315
Non vi sono dati provenienti da studi adeguatamente condotti sugli effetti dell’angioplastica
intravasale. Le serie di casi riferiscono miglioramenti importanti (normalizzazione del calibro
vasale e del flusso) nel 60%-80% dei pazienti, con il 5% di complicanze per rottura del vaso
o di aneurismi non chiusi. Vi è l’indicazione a trattare vasi che risultino all’angiografia di calibro ≥1,5 mm. La somministrazione contemporanea di papaverina è efficace nell’aumentare le
dimensioni del vaso ed il flusso, ma non è indicata nell’arteria cerebellare posteriore inferiore,
poiché può causare depressione respiratoria, a meno che i pazienti siano in terapia intensiva.
Si può avere anche un aumento della pressione endocranica, che andrebbe monitorata in questi pazienti. Il trattamento non è indicato nei pazienti nei quali non sia già stato trattato l’aneurisma rotto, per il rischio di sanguinamento, né nei pazienti con evidenti lesioni ischemiche alla TC, per il rischio di infarcimento emorragico delle lesioni.316
10.2.2.9
Altre complicanze dell’ESA
Idrocefalo
Raccomandazione 10.56
❊GPP
In caso di idrocefalo acuto dopo
ESA con riduzione del livello di
coscienza è indicato il trattamento con derivazione ventricolare,
anche se aumenta il rischio di
risanguinamento e possono verificarsi complicanze infettive.
Sintesi 10-28
La comparsa di idrocefalo cronico
è frequente dopo ESA ed è trattabile con derivazione ventricoloperitoneale o ventricolo-cardiaca
nei pazienti sintomatici.
L’idrocefalo è un’altra possibile grave complicanza della emorragia subaracnoidea. Un allargamento acuto del volume dei ventricoli è comune nella fase acuta dopo l’ESA, per ostruzione meccanica da parte del sangue del flusso liquorale a livello delle cisterne o a livello ventricolare, si riscontra nel 20%-27% dei casi, specie in presenza di un sanguinamento endoventricolare. Il trattamento chirurgico di derivazione ventricolare nell’idrocefalo acuto è raccomandato se vi è una riduzione del livello di coscienza. In questi casi l’intervento è in grado di
migliorare il quadro clinico nel 50%-80% dei casi, ma la procedura aumenta il rischio di risanguinamento e comporta complicanze infettive nel 5%-10% dei casi.317-319
Se non vi è la necessità di un trattamento chirurgico urgente, la permanenza alla TC della dilatazione ventricolare si osserva nel 14%-23% dei casi ed ha significato clinico incerto, in quanto dipende dai criteri di valutazione della dilatazione stessa alla TC. Una regressione spontanea della dilatazione ventricolare si verifica in circa il 20% dei casi. La necessità di una derivazione ventricolo-cardiaca o ventricolo-peritoneale si ha in circa il 10% dei pazienti con
ESA.320-322 L’idrocefalo cronico è dovuto ad aderenze aracnoidali con progressiva dilatazione
ventricolare ed è caratterizzato clinicamente da disorientamento spazio-temporale, incontinenza urinaria, atassia e paraparesi spastica. Questi disturbi si verificano spesso dopo una fase
di ripresa neurologica post-ictale. Si sviluppa più frequentemente nei pazienti che hanno avuto
un’alterazione della coscienza in fase acuta, negli aneurismi dell’arteria comunicante anteriore o del circolo posteriore, nei pazienti più anziani. La sua frequenza raddoppia nei pazienti
con spessa e consistente deposizione ematica cisternale alla TC e/o in presenza di sangue nel
sistema ventricolare, rispetto a quelli che hanno un modesto sanguinamento. Anche il tratta-
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
239
mento di derivazione ventricolare nei casi di idrocefalo cronico non è suffragato da evidenze
da studi prospettici, ma può migliorare lo stato clinico di questi pazienti.322
In conclusione, i pazienti a maggior rischio di idrocefalo sono i pazienti anziani in cattive condizioni cliniche all’ingresso, portatori di aneurisma della comunicante anteriore o del circolo
posteriore con una consistente deposizione ematica cisternale e/o ventricolare alla TC.
L’intervento chirurgico precoce di clippaggio dell’aneurisma con asportazione di sangue dalle
cisterne e apertura della lamina terminale del 3° ventricolo sembra ridurre il rischio di idrocefalo.317
Iponatriemia
Iponatriemia si osserva nel 10%-34% dei pazienti con ESA, soprattutto se in condizioni critiche, con vasospasmo o idrocefalo. Può essere dovuta a sindrome da deplezione di sali o ad
inappropriata secrezione di ormone antidiuretico (SIADH). L’iponatriemia in queste condizioni non va trattata con restrizione del volume ematico, che aggrava il vasospasmo, quanto
piuttosto con terapia sostitutiva di soluzioni saline ipertoniche e.v. Si deve intervenire per valori di sodio <125 mEq/L.323
Diabete insipido
Dopo ESA e dopo trattamento chirurgico si può osservare diabete insipido. Si pone questa
diagnosi per diuresi >300 mL/ora. La terapia consiste in una idratazione che compensi le perdite e terapia con desmopressina (DDAVP) sottocute.324
Crisi epilettiche
Crisi epilettiche sembra si presentino nel 25% dei pazienti, ma non è chiaro se si tratti di crisi
epilettiche vere e proprie o di manifestazioni legate al brusco aumento della pressione intracranica. Si è osservato un aumentato rischio di risanguinamenti dovuto alle crisi. È stata proposta una terapia preventiva delle crisi in alcuni studi, ma in valutazioni retrospettive di casistiche non ne è stata dimostrata l’efficacia.325
10.3
LA
CHIRURGIA CAROTIDEA IN URGENZA O EMERGENZA
La chirurgia carotidea in urgenza o in emergenza trova il suo razionale solo in pazienti che si
possiono definire instabili e ad alto rischio da entrambi i punti di vista sia anatomo patologico carotideo e cerebrale sia clinico neurologico.
Dal punto di vista anatomo patologico carotideo si può rendere necessaria l’immediata rivascolarizzazione del territorio quando questo, indagato angiograficamente o ultrasonograficamente, è compromesso:
a. da una stenosi critica, specie se subocclusiva;
b. da una trombosi acuta;
c. da un trombo o ateroma flottante nel lume vasale.
Dal punto di vista anatomo patologico cerebrale la condizione alla rivascolarizzazione del territorio carotideo è che non vi sia già un vasto edema e/o un vasto territorio infartuale ischemico o emorragico cerebrale, e che non vi sia inoltre una seria compromissione dello stato di
coscienza o delle funzioni vitali.
Viceversa non ci sono indicazioni per un trattamento di rivascolarizzazione chirurgica in
urgenza o emergenza in pazienti con una rapida risoluzione di un deficit neurologico dovuto
ad una trombosi acuta della carotide interna.
Dal punto di vista clinico neurologico le condizioni giudicate di emergenza possono essere:
a. il crescendo TIA;
b. l’ictus in evoluzione;
c. il deficit neurologico acuto (entro le sei ore) associato ad una occlusione acuta della carotide.
Non ci sono in letteratura studi controllati randomizzati sulla base dei quali stabilire le indicazioni e fornire raccomandazioni di un certo livello per un intervento chirurgico di rivascolarizzazione carotidea in urgenza o emergenza durante la fase iperacuta dell’ictus, diversamente dagli interventi su ictus stabilizzati (>24 h) discussi nel § 13.4.2.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 10.57
Grado D
La tromboendoarteriectomia
carotidea in fase acuta è indicata
presso un centro con certificata
esperienza di interventi su questo
tipo di pazienti, con bassa morbosità e mortalità (<3%), in presenza di stenosi di grado elevato
o trombosi acuta congrua con i
sintomi, in caso di TIA subentrante o recidivante o in caso di ictus
minore stabilizzato.
Sintesi 10-29
a. Per quanto riguarda la TEA in
urgenza è auspicabile utilizzare i modelli di rischio per
quanto riguarda la selezione
dei pazienti.
b. Non esistono a tutt’oggi evidenze sul rapporto
rischio/beneficio della TEA in
emergenza nei casi di ictus in
evoluzione o di ictus acuto
(entro le 6 ore), anche se
associati a stenosi critica o a
trombosi acuta della carotide.
240
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Diverse però sono le pubblicazioni di esperienze importanti e significative di centri qualificati, che hanno indubbiamente migliorato il tasso di mortalità perioperatorio rispetto al passato,
proponendo quindi un intervento chirurgico in una situazione di emergenza già di per se con
alto tasso di mortalità e morbosità, ed hanno consentito in diversi casi un recupero dell’integrità vascolare ed un miglioramento clinico apprezzabile e in altri casi hanno senz’altro evitato un ulteriore peggioramento clinico del paziente.
Schneider 326 ha pubblicato 43 casi di endoarteriectomia carotidea in emergenza per crescendo TIA o ictus in evoluzione senza gravi compromissioni anatomo funzionali cerebrali, riportando un tasso di mortalità e morbosità perioperatorio dello 0%. Eckstein 327 riferisce 71 casi
di endoarteriectomia carotidea in emergenza per ictus grave (16 casi), ictus in evoluzione (34
casi) o crescendo TIA (21 casi), in 5 dei quali è stata associata l’applicazione locale di trombolitici, confermando l’utilità dell’intervento chirurgico, considerato l’esito clinico dei pazienti,
e ritenendo necessaria un’angiografia intraoperatoria. Lo stesso Eckstein 328 riporta un’altra
esperienza di 14 casi di associazione tra endoarteriectomia carotidea in emergenza e trombolisi intrarteriosa, in 3 casi dei quali la trombolisi ha preceduto l’endoarteriectomia. I risultati
sono stati 13/14 casi di ricanalizzazione di occlusioni emboliche intracraniche e 10/11 casi di
ricanalizzazione di trombosi della carotide interna. In 4 pazienti il recupero neurologico è
stato totale (Rankin 0), in 6 pazienti è residuato un deficit minore (Rankin 2~3), in 2 pazienti
è residuato un deficit grave (Rankin 4~5), e in 2 pazienti si è verificato l’exitus.
Va peraltro considerato il possibile vizio da pubblicazione, per cui è verosimile che serie con
complicanze ben maggiori non siano state pubblicate e neanche presentate a Congressi.
Vi sono poi altre situazioni cliniche in cui un intervento immediato di rivascolarizzazione del
territorio carotideo si potrebbe rendere necessario:
• trombosi carotidea perioperatoria post endoarteriectomia eseguita in elezione;
• trombosi carotidea post angiografia, post PTA o posizionamento di stent endoluminale.
Pertanto possiamo oggi affermare che certamente è ipotizzabile un ruolo più importante della
chirurgia carotidea in emergenza o in urgenza,329 e che comunque sono necessari maggiori
esperienze e casistiche, ma soprattutto studi clinici randomizzati e controllati per fornire indicazioni più precise e raccomandazioni, che per ora sono ancora basate sul buon senso e l’esperienza del Centro di Cura, dell’équipe della stroke unit e di ogni singolo operatore.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia)
10.4
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10 ICTUS ACUTO: FASE DI OSPEDALIZZAZIONE (TERAPIA) 10.1