Stampi in gomma siliconica e riproduzioni in resina A cura di Ezio Mazzarella e Roberto Rava Il poter riprodurre in più copie, perfettamente uguali, modelli, oggetti, particolari è sempre stato il cruccio di tutti i modellisti. Chi si autocostruisce i rotabili ha sempre sentito l'esigenza di riprodurre le fiancate dei carrelli, dopo averne costruita una tanto faticosamente, oppure ha sempre sognato di riprodurre copie del muso del tal locomotore che è venuto un capolavoro, eccetera. I plasticisti spesso vorrebbero riprodurre quel portale di galleria o quell'arcata del ponte che tanto hanno faticato a fare con varie tecniche, oppure moltiplicare particolari di edifici. Insomma la fantasia non ha limiti, ma molto spesso le difficoltà presunte bloccano gran parte dei progetti. Questa piccola trattazione vuole essere di stimolo a tutti per provare a "stampare" le proprie realizzazioni da riprodurre in più esemplari. Fino a qualche anno fa non era facile fare riproduzioni in serie con buone caratteristiche perché i materiali che si avevano a disposizione non erano facilmente reperibili oppure non era facile utilizzarli: si utilizzavano principalmente il caucciù (ancora oggi reperibile) e il gesso. Il gesso, in particolare, se è di costo molto basso non permette sottosquadri (a meno che non si rompa lo stampo ogni volta o non si utilizzi il sistema bivalve) dovendo utilizzare prodotti distaccanti affinché il materiale colato al suo interno non formi un blocco unico con lo stampo. Oggi invece la tecnologia chimica ha messo a disposizione di tutti noi prodotti dal costo non elevato, di semplice utilizzo con un po’ di attenzione e pratica, come la gomma siliconica per gli stampi e le resine poliuretanica, epossidica e poliestere per le riproduzioni. GOMME SILICONICHE Esistono diversi tipi di gomme siliconiche aventi caratteristiche diverse in elasticità, resistenza al calore, modalità di utilizzo. Per le nostre esigenze modellistiche si utilizzano gomme a maggiore elasticità e fluidità per la formazione dello stampo, se le riproduzioni vengono fatte in resina, mentre si utilizzano gomme meno elastiche, ma resistenti al calore, in caso di riproduzioni con leghe metalliche bassofondenti. Le gomme siliconiche, per vulcanizzare, vanno mescolate nelle quantità consigliate dal produttore con il catalizzatore appropriato, e la completa reazione chimica avviene in circa 24 ore, a 20°C, avendo un tempo di lavorabilità (po tlife) di circa un'ora. Il lungo tempo di indurimento permette una buona fuoriuscita delle bolle d'aria che tendono a restare incapsulate nella gomma durante la sua preparazione (accurata miscelazione) e la colatura nel contenitore dello stampo. Meglio sarebbe procedere ad una "degassificazione" mediante camera a vuoto. RESINE Le più diffuse resine poliuretaniche sono bicomponenti e, generalmente, vanno miscelate in parti uguali in volume. Hanno un tempo di lavorabilità molto basso nell'ordine di pochissimi minuti, sino ad un quarto d'ora. Tendono ad inglobare una miriade di piccole bollicine d'aria e temono l'umidità. Hanno un tempo di indurimento che si aggira intorno all'ora e la reazione sviluppa calore proporzionalmente alla quantità di resina utilizzata. Il modello può quindi essere estratto dallo stampo relativamente presto, ma va lasciato poi riposare per qualche giorno per ottenere la maggiore stabilità possibile. Le resine poliestere, generalmente trasparenti, vanno miscelate con il catalizzatore in peso e volume, per cui è consigliabile l'utilizzo di una bilancia di precisione e catalizzano in tempi lunghi, pari a circa 8-10 ore. Gli oggetti stampati possono rimanere appiccicaticci per parecchi giorni per cui è bene che siano lavati con dell'acetone. Le resine epossidiche vanno trattate anche loro con le modalità anzidette, anche loro sviluppano calore durante la reazione ed induriscono in una mezza giornata. Tutte le resine catalizzano ad una temperatura di circa 18-20°C: temperature inferiori allungano anche di molto i tempi fino a compromettere il risultato finale non permettendo la reazione (si ottiene solo un "brodo" informe che rovina lo stampo); temperature superiori ai 35°C accelerano troppo la reazione (che già da sé s viluppa calore) non permettendo la fuoriuscita delle bolle d'aria. ATTREZZATURE Nel miscelare le gomme e le resine è di fondamentale importanza rispettare con precisione le proporzioni tra catalizzatore e base dichiarate dai produttori. Per meglio miscelare la gomma è bene utilizzare dei contenitori di plastica graduati, reperibili nei negozi di materiale plastico, per la base, mentre per il catalizzatore si possono utilizzare provette graduate, di plastica o di vetro, oppure delle siringhe di tipo usa e getta. Meglio utilizzare contenitori che abbiano un volume di almeno un terzo maggiore rispetto al volume di gomma utilizzata (vedremo poi perché). Per miscelare le resine poliuretaniche risultano molto comodi i bicchieri di plastica per il caffè, che hanno il vantaggio di essere semitrasparenti e di permettere facilmente il dosaggio in parti uguali dei due componenti (se da miscelare in volume), sono di basso costo e possono essere gettati ogni volta senza l'assillo di dover pulire i contenitori (cosa assolutamente non facile). Lo stesso dicasi per gli altri tipi di resina con il solo problema di doversi munire di bilancia di precisione (oggi quelle piccole elettroniche si trovano per poche decine di euro) per il corretto dosaggio dei componenti. Per effettuare una colatura in stampi che riproducono parti molto sottili o piccole, può rendersi indispensabile l'utilizzo di una siringa con un grosso ago per iniettare la resina all'interno dello stampo. Prima si è fatto cenno alla camera a vuoto che rende più facile la fuoriuscita delle bolle d'aria, aventi all'interno pressione atmosferica, mediante la creazione di una depressione. A nominarla si pensa subito a qualcosa di costoso e di difficile realizzazione: nulla di tutto questo. Ecco gli ingredienti per costruirsi una camera a "vuoto" semplice ma efficace: &Mac183; un vecchio compressore di frigorifero; &Mac183; un pezzo di tubo di plastica del tipo comunemente utilizzato per i collettori di scarico nelle abitazioni ( di diametro secondo la dimensione dei modelli da riprodurre, ma non troppo grande in quanto il compressore di frigorifero deve creare la depressione nel minor tempo possibile); &Mac183; due guarnizioni di gomma da mettere a cavallo dei bordi delle estremità del tubo (se ne trovano di apposite); &Mac183; due pezzi di plexiglas o di altro materiale, meglio se trasparente, di almeno 5mm di spessore aumentando lo spessore in proporzione alla grandezza del tubo da tappare (provare per credere, la depressione lo fa incurvare notevolmente); &Mac183; due rubinetti a sfera, meglio se del tipo per aria compressa; &Mac183; un pezzo di tubo per aria compressa e nipple di raccordo. Due parole sulla costruzione, ma le immagini dovrebbero essere sufficientemente chiare: più difficile a spiegarsi che a farsi. Al tubo di aspirazione del compressore và collegato il tubo per aria compressa che a sua volta deve essere fissato ad uno dei due rubinetti precedentemente applicati al tubo/camera. Applicare le due guarnizioni ai bordi del tubo ed appoggiarvi i due pazzi di plexiglas di chiusura facendo attenzione che combacino perfettamente con le guarnizioni. Chiudere il rubinetto che collega l'interno della camera con l'esterno e aprire quello di collegamento con il compressore. Dare corrente e dopo pochi secondi sarà praticamente impossibile staccare i due pezzi di plexiglas dal tubo senza essere "Maciste". Provare per credere. Tornando alle attrezzature occorrenti vanno elencati spatole per miscelare la gomma, stecchetti di legno o spatole più piccole per miscelare le resine, cucchiaini di plastica (da ricordare di salvarli quando si va a passeggio gustandosi un gelato…) per versare gomma e resine. Consiglio: munirsi anche di stracci o meglio carta assorbente da cucina e di guanti da chirurgo monouso. IL CONTENITORE DELLO STAMPO Per iniziare ci occuperemo dello stampo monovalva o a pozzo che permette di ottenere riproduzioni piene (non cave, con la pratica riescono anche quelle ) ma, generalmente, non permette di riprodurre la base su cui viene fatto appoggiare il master. Va precisato che il modello verrà estratto a rovescio, con i "piedi in aria", rispetto come è posizionato nel contenitore. Il master deve essere realizzato con materiale non poroso e non avere "buchi passanti" per non rimanere intrappolato nella gomma. Va ricordato che la gomma riproduce tutto perfettamente, anche la più piccola incisione, e, di conseguenza, anche la più piccola imperfezione (ad esempio graffi di levigatura). Il contenitore dello stampo può essere fatto con materiali vari come cartoncino (meglio se plastificato), plastica, compensato (meglio se verniciato) e anche con la plastilina. Oppure mattoncini di lego. Inoltre potrebbe essere conveniente utilizzare contenitori già pronti come le scatole di plastica porta-diapositive o altri contenitori vari, meglio se di plastica. Non deve presentare fessurazioni o micro-buchi in quanto la gomma si infila dovunque. Il contenitore deve avere dimensioni maggiori rispetto al master di un centimetro per parte (i vari lati, compreso quello superiore) per renderlo "autoportante" se lo stampo di gomma verrà utilizzato senza reinserirlo nel contenitore. Ovviamente se le dimensioni ,ad esempio in lunghezza, sono notevoli và aumentato lo spessore della parete di gomma adiacente per evitare che la pressione esercitata dal peso della resina deformi la gomma e di conseguenza che il modello risulti deformato ( spesso conviene reinserire lo stampo nel suo contenitore per dargli maggiore consistenza e diminuire la quantità di gomma utilizzata per costruirlo). Il master deve essere fissato sul fondo del contenitore, dalla parte della matarozza alla base, in modo stabile e sicuro, ma non definitivo, infatti si deve eventualmente poter staccare al momento dell'estrazione dello stampo dal contenitore. I metodi migliori per fare questo sono l'utilizzo della plastilina, che formerebbe anche la matarozza, oppure con della colla vinilica e con una matarozza fatta con pezzetti di plastica o di legno. Non bisogna aver paura di eccedere con la matarozza, perché, se è vero che è materiale sprecato da togliere dal modello e da buttare, il peso della resina in essa contenuta, premendo sul modello sottostante, facilita l'espulsione delle bolle d'aria e il perfetto riempimento di tutti gli spazi. COLIAMO LA GOMMA Per ottenere i migliori risultati bisogna innanzitutto mescolare molto bene la base nel suo contenitore (tende nel tempo a depositarsi sul fondo) cercando di inglobare meno aria possibile. Si calcola il volume di gomma necessario ( volume del contenitore meno il volume del modello, ricordano però di eccedere un pochino, meglio che avanzi piuttosto che fare piccoli quantitativi aggiuntivi di difficile dosaggio) e lo si versa dal barattolo nel vasetto graduato. Si preleva con la siringa, o si versa nella provetta graduata, la giusta quantità di catalizzatore ricordando anche qui che è meglio qualche goccia in più (piuttosto che ritrovarsi con un brodo che non si indurirà mai!!!) e si unisce il tutto alla gomma nel vasetto. Mescolare il tutto molto bene, non c'è fretta : abbiamo poco meno di un'ora di tempo prima che inizi la polimerizzazione. Attenzione alle bolle d'aria, cerchiamo di evitarle o di farle "esplodere". Dopo la miscelazione facciamo riposare il tutto per una decina di minuti se non abbiamo la camera a vuoto, altrimenti mettiamo subito il contenitore all'interno della stessa. Azionando il compressore vedremo che, aumentando la depressione all'interno, la gomma lievita sempre di più (fino ad aumentare il volume di più di un terzo) "bollendo" come la polenta con le bolle d'aria che fuoriescono rompendosi. Conviene aspettare qualche minuto finché il livello della gomma si abbassa. Magari conviene per un paio di volte aprire il rubinetto non collegato al compressore per ripristinare la pressione atmosferica all'interno della camera, far abbassare la gomma forzatamente e ripetere il processo: così si facilita la fuoriuscita di tutta l'aria. Ora passiamo alla colatura della gomma. Prima di tutto, per evitare la formazione di bolle d'aria tra master e gomma, conviene spennellare il modello con la gomma, utilizzando uno stuzzicadenti per spingere la gomma negli interstizi. Poi iniziamo a colare la gomma versandola preferibilmente solo da un lato, picchettando e inclinando la scatola dello stampo per far penetrare meglio il prodotto dovunque, sempre cercando di inglobare meno aria possibile (eventualmente far "esplodere" le bolle d'aria più recalcitranti con uno stuzzicadenti). Arrivati al completo riempimento dello stampo diamogli qualche col pettino di assestamento anti-bolle, altrimenti mettiamolo nella camera a vuoto, controllando il fenomeno della "lievitazione" per non svuotare letteralmente lo stampo!!. Se tutto è stato fatto correttamente il giorno dopo ci ritroviamo in mano un panetto di gomma elastico e non una brodaglia liquida. Per estrarre il panetto dalla scatola basta facilitarne il distacco dalle pareti con un coltellino o un a piccola spatola. Per estrarre il modello master dallo stampo si deve letteralmente sguantarlo dilatando la gomma oppure tagliandola un po’ (vicino al modello) con un cutter ben affilato per aprirla (non troppo) facilitando l'uscita del master. Attenzione: la gomma siliconica, quando ha polimerizzato, non si attacca alle superfici, ma crea un potente effetto ventosa che potrebbe creare dei danni alla verniciatura del master o a piccole parti non molto robuste al momento della pressione esercitata per l'estrazione. Due parole sullo stampo bivalve Questo metodo è necessario se si vuole riprodurre un modello cavo, oppure se non si vuole "tagliuzzare" troppo la gomma per l'estrazione del master, in caso di riproduzione di particolari della base , eccetera. Conviene costruirsi un contenitore con il fondo staccabile. Si posiziona il modello su un letto di plastilina di almeno un centimetro di spessore curando che aderisca ben bene. Con un tubetto o con un bastoncino si praticano delle tacche premendolo nella plastilina tra modello e contenitore (almeno quattro tacche) che serviranno da guida alla seconda valva. Colare la gomma come sopra spiegato. A gomma perfettamente solidificata togliere il fondo della scatola e togliere la plastilina. Costruire, anche con della plastilina, le matarozze per la colatura della resina attaccandole bene al modello.Spalmare accuratamente la gomma con un sottile strato di grasso di vaselina ( andrebbe bene anche della crema per le mani) poiché la gomma si incolla solo ad altra gomma solidificata formando un blocco unico. Colare la gomma sempre con gli stessi metodi. Ad indurimento avvenuto si potrà aprire lo stampo togliendo agevolmente il master, aprendo le due valve. Note: se per un errore di dosaggio del catalizzatore la gomma dovesse rimanere liquida conviene provare il seguente metodo di emergenza prima di buttare tutto presi dalla disperazione. Svuotare la gomma liquida dallo stampo e versare un paio di gocce di catalizzatore in quello che rimane. La gomma dovrebbe indurirsi permettendo di toglierla facilmente. Gli stampi in gomma non durano in eterno. Permettono circa una trentina di stampate se per estrarre il modello bisogna "martoriare" la gomma (nel tempo inizia a lacerarsi anche all'interno), fino ad un massimo di una cinquantina di pezzi fatti. La gomma nel tempo si rovina anche perché tende ad assorbire i solventi contenuti nelle resine facendola "rammollire" e diminuendo la definizione dei dettagli riprodotti. Per pulire gli attrezzi utilizzati per la miscelazione della gomma basta aspettare: una volta asciugatasi sarà facile spellicolarla dal barattolo graduato e dalle spatole. COLIAMO LA RESINA POLIURETANICA Leggere molto bene le istruzioni per l'utilizzo dei prodotti. Per iniziare si consiglia di utilizzare resine che abbiano un potlife non troppo breve: la Prochima ha messo sul mercato la resina SINTAFOAM Plus professionale che ha un tempo di lavorazione di circa 10 minuti e un tempo di indurimento di circa un'ora. Altro prodotto molto valido, con il quale tanti hanno iniziato, è la SINTAFOAM che inizia il processo di indurimento in dopo soli 3-4 minuti e solidifica in 45 minuti circa. Entrambe si miscelano in parti uguali in volume. Va precisato che conviene aspettare un po’ di più per sguantare i modelli lasciandoli poi asciugare per qualche giorno nella giusta posizione di "lavoro". Per iniziare si devono scuotere i barattoli contenenti i due componenti. Lasciamo riposare per circa una decina di minuti magari a tappo aperto per permettere la fuoriuscita delle bolle d'aria . In due bicchierini di plastica da caffè (uguali) versare i due componenti curando che il livello di prodotto sia lo stesso in entrambi. Versare la base nel bicchierino contenente l'indurente (così facendo meglio una goccia di indurente in più che una in meno). Mescolare bene il contenuto del bicchiere fino ad ottenere un liquido di colore uniforme e cercando di inglobare meno aria possibile. Se utilizziamo un prodotto che ha un tempo di lavorazione sufficientemente lungo conviene lasciare riposare il tutto un paio di minuti. Versare la resina nello stampo in modo continuo e preferibilmente solo dalla stessa parte, picchettando e inclinando lo stampo per facilitare la fuoriuscita delle bolle che si annidano nei punti a maggiore sottosquadro (ci si può sempre aiutare con l'onnipresente stuzzicadenti). Anche in questo caso, per facilitare la fuoriuscita delle bolle conviene utilizzare la camera a vuoto lavorando però velocemente e facendo attenzione a non svuotare troppo lo stampo con il fenomeno della lievitazione delle bolle (procedere come per la gomma ad un paio di estrazioni dell'aria riportando all'interno della camera la pressione atmosferica e poi ricreando il vuoto, facilitando così l'assestamento della resina negli interstizi). A reazione avvenuta si può estrarre il modello mettendolo ad asciugare su un ripiano stabile e nella sua posizione naturale. Le bolle sono molto fastidiose perché possono compromettere il risultato comportando dei difetti inaccettabili. E' quasi impossibile eliminarle del tutto con i metodi "casalinghi", ma con semplici accorgimenti si possono ridurre. Innanzitutto, se compaiono sempre nello stesso punto, si può forare la gomma per creare una via di sfogo all'aria (otterremo una matarozza in più da togliere). Poi studiando la posizione del modello nello stampo si può fare in modo che le famigerate bolle generino imperfezioni nelle parti non visibili del modello stesso (ricordarsi che tendono a salire verso l'alto). In ultimo conviene utilizzare i prodotti alle temperature di lavoro consigliate 18-20°C (se conse rvate in luogo troppo fresco, ma mai sotto i 5°C, portarle a temperatura di lavoro per t empo) così come lo stampo e gli attrezzi utilizzati. IMPORTANTE I prodotti utilizzati sono composti chimici che contengono solventi volatili dannosi, in particolare le resine. Pertanto se ne consiglia l'utilizzo in locali sufficientemente areati e vanno conservati fuori dalla portata dei bambini. Le gomme siliconiche impiegate sono atossiche, ma possono dare fenomeni di irritazione (soprattutto il catalizzatore è irritante per l'olfatto). Leggere sempre le istruzioni d'impiego allegate ed in particolare le indicazioni di sicurezza. Ezio Mazzarella e Roberto Rava Riproduzione di particolari con resina epossidica premessa: Il presente articolo sarà inserito nel secondo volume della serie "costruiamo un modello di nave a vela", seguito del primo volume (già pubblicato) a cura dell'ANB (Associazione Modellisti Bolognesi). Il secondo volume è previsto in uscita nel corso del 2005. L'opera completa si svilupperà su tre volumi. MagellanO Viene presentato in anteprima sul nostro sito in quanto l'autore è un Amico di e Socio del Gruppo Modellistico Sestese Introduzione Nella costruzione di modelli può capitare la necessità di dover produrre tutta una serie di pezzi uguali tra loro. Questa eventualità capita frequentemente, per esempio, allorquando si affronta un soggetto navale, tipicamente un vascello armato, dove i cannoni sono sempre imbarcati in quantità … industriali. Prenderemo spunto da questa esigenza per descrivere il metodo della riproduzione ripetuta di particolari, più o meno complicati, mediante l’uso della gomma siliconica e della resina epossidica. Un modellista domestico, che si accinge ad una fase in cui deve produrre numerosi pezzi uguali, tende necessariamente a ridurre lo sforzo e la noia con il semplificare (dove può o crede di potere) i dettagli e massimizzare il metodo di costruzione suddividendo il lavoro in fasi simili, ripetendole ogni volta per il numero di pezzi necessari. - Va da se che considerato il metodo di lavoro caratterizzato da una significativa componente manuale del modellista medio, bisogna tenere conto di una certa percentuale di scarti e pertanto i pezzi lavorati saranno certamente di più di quelli richiesti dal modello. La prospettiva di dover trascorrere ore se non giorni a ripetere sempre le stesse cose non alletta nessuno, ed una strategia per risolvere il problema consiste nell’abbassare il grado di tolleranza sui pezzi finiti per poterne accettare un numero maggiore tra quelli che, ad un controllo più rigoroso, andrebbero scartati. In altre parole, accettare anche pezzi non proprio ben riusciti. Una considerazione aggiuntiva è che, per quanto ben fatti, pezzi costruiti uno ad uno non risulteranno mai perfettamente identici uno all'altro: ci saranno certamente delle, sia pur piccole, differenze. - Purtroppo questo modo di agire va a scapito della qualità complessiva del modello. - Vale la pena ricordare che il giudizio generale di un modello è fortemente influenzato dal grado di precisione del “particolare più scadente”. Se, viceversa, è possibile ”clonare” un unico pezzo originale ripetendolo tal quale numerose volte con uno sforzo che è solo una frazione del metodo precedente, la predisposizione d’animo è diametralmente opposta: il pezzo da produrre in originale è uno solo e da quello ne saranno ottenuti tanti quanti necessari e tutti uguali, quindi si sente prepotente la necessità di profondere sull’unico pezzo originale (che oltre a tutto potrà anche essere conservato per usi futuri) il massimo sforzo per realizzarlo al meglio possibile. Non dimentichiamo che un eventuale errore od imperfezione sarà inesorabilmente copiato e ripetuto! Un sistema alla portata di tutti per riprodurre i pezzi è quello di usare stampi in silicone morbido nei quali successivamente colare della resina epossidica a freddo, oppure mediante colata di lega metallica speciale che fonde a bassa temperatura. - Questo sistema richiede pochissima attrezzatura e, una volta padroni della tecnica, permette di ottenere risultati molto soddisfacenti. Per prima cosa sarà bene ripassare qualche aspetto generale di “fonderia”, visto che, in ultima analisi, di fusione si sta parlando, solo che è a freddo anziché a caldo. Per preparare uno stampo, bisogna contemporaneamente tenere presenti tre aspetti importanti: · Evitare i “sottosquadri”. · Evitare le sacche d’aria (aria intrappolata = soffiature). · Predisporre la “materozza”. I sottosquadri. Si definisce “sottosquadro” una parte dello stampo tale per cui, una volta colato il pezzo, nel tentativo di estrarlo dalla forma di colata, ne viene impedito lo “sguscio” perché si forma uno scalino negativo (sporgenza interna). Nel caso dei classici stampi in terra, per i quali ogni volta lo stampo viene distrutto, tali sottosquadri non costituiscono un grave problema, se non per l’eventuale aria intrappolata (vedi più avanti), ma nel caso degli stampi moderni, in acciaio, il problema è insolubile: se uno stampo ha un sottosquadro, il pezzo colato semplicemente non esce dal suo stampo. Stiamo parlando dello stampo “classico” in due metà. Ecco pertanto che pezzi complessi, che presentano sottosquadri, devono necessariamente essere scomposti in parti minori pensati in modo tale da far scomparire il famigerato sottosquadro. Un esempio classico sono le stampate dei modellini in plastica; osservandoli con la dovuta attenzione, si nota come essi siano rigorosamente privi di sottosquadri. Un sistema (decisamente complicato e costoso) per risolvere i sottosquadri è quello di realizzare stampi composti da più di due parti, magari con inserti mobili: è la soluzione adottata, per esempio, dai fabbricanti di elettrodomestici che hanno l’inderogabile necessità di avere pezzi il più possibile monoblocco. Appare alquanto evidente che tale soluzione è alla portata di realizzazioni industriali e non è proponibile a livello amatoriale. Nel caso della resina siliconica, però, sfruttando la notevo le elasticità del materiale, è possibile lasciare qualche sottosquadro e riuscire comunque ad estrarre il pezzo colato. Nei disegni seguenti vediamo: il disegno tecnico di una bombarda inglese del 1700, il pezzo "master" realizzato in 3 parti, rispettivamente in ottone + ferro (i manici, neri), legno + plastica (rossa) e sola plastica (bianca), la rappresentazione del pezzo “master” (della sola canna) inserito nel contenitore predisposto per la colata del silicone e completo di materozza, ed infine il risultato ottenuto (3 pezzi in resina ricomposti). Nella terza immagine, il pezzo è raffigurato orientato nella posizione atta a colare il silicone (preparazione dello stampo), ma è stato anche pensato per permettere, successivamente, di rovesciare il tutto per poter colare la resina ed ottenere il pezzo finito. L’aria intrappolata. Quando si procede ad una colata (un liquido destinato a solidificarsi) esiste sempre il pericolo che una parte di aria, presente nello stampo vuoto, non riesca a fuoriuscire rimanendo intrappolata all’interno dello stampo stesso. L’effetto è quello detto della “soffiatura”: le bolle d’aria rimaste formano, sul pezzo colato, delle cavità normalmente sferiche che rovinano l’aspetto del pezzo finale. Il fenomeno è dovuto al fatto che, mentre il liquido di colata, per effetto della gravità tende a cadere in basso, al contrario l’aria si muove solo verso l’alto e non è in grado di procedere in senso orizzontale, né tantomeno di muoversi verso il basso. Nel caso in cui si formino delle “sacche”, l'aria resta al suo posto e inevitabilmente avremo le soffiature. Nel progettare uno stampo, pertanto, bisogna tenere presente il problema e far si che le famigerate bolle d’aria non si formino facendo in modo che essa trovi comunque il modo di uscire. La soluzione consiste nel posizionare il pezzo “master”, nella fase di realizzazione dello stampo, in modo da minimizzare i punti difficili e, come soluzione estrema, predisporre dei minuscoli canaletti che permettono all’aria di uscire (sfoghi d’aria). Anche il buon posizionamento della materozza (vedi dopo) contribuisce all’agevole uscita dell’aria. Il disegno seguente rappresenta lo stesso pezzo già raffigurato prima, posizionato come deve esserlo per ricevere la colata di resina. In tale esempio una possibile sacca d'aria potrebbe formarsi nella parte alta della bocca da fuoco (vedere più avanti per i metodi di eliminazione dell'aria residua). Il fatto che il pezzo sia posizionato con una forte inclinazione è proprio per cercare di ridurre al minimo il volume di aria intrappolata e contemporaneamente ridurre al minimo i sottosquadri. Come si può osservare, il disegno risulta capovolto rispetto al precedente. Infatti, mentre nel primo caso si trattava di formare lo stampo, ed era necessario appoggiare il “master + materozza” sul fondo del contenitore dello stampo, in questo secondo momento lo stampo (in silicone morbido) è stato formato e il pezzo “master” estratto, lasciando quindi una cavità con la forma in negativo (la parte colorata in rosso), sia del pezzo che della materozza. - Ed è all’interno della cavità che verrà colata la resina bicomponente per formare la copia (o le copie) che desideriamo. La materozza. Per “materozza” si intende un volume aggiuntivo di materiale di colata di rispettabile dimensione che funge da “serbatoio di materiale” e che supplisce ad un fenomeno chiamato “ritiro”. la foto rappresenta il carrello dell'affusto del cannone francese completo di materozza (la parte bianca in basso). La materozza è in basso, cosi come viene posizionata all'interno dello stampo per prendere l'impronta di gomma siliconica. Una volta ottenuta l'impronta, il master viene tolto ed al suo posto rimane l'impronta (il negativo del pezzo raffigurato), per ottenere il pezzo in resina lo stampo viene capovolto così che il volume corrispondente alla materozza rimane in alto. Generalmente un materiale liquefatto occupa un volume più grande dello stesso peso di materiale solidificato. In altre parole, la densità di un liquido è normalmente maggiore della densità dello stesso materiale solidificato. Questa regola vale per tutte le sostanze che possono esistere sia in forma liquida, sia in forma solida, ad eccezione dell'acqua: infatti un dato peso di ghiaccio occupa un volume maggiore della stessa quantità di acqua (pesata) allo stato liquido, ne è dimostrazione il fatto che il ghiaccio galleggia sull’acqua, e la porzione di ghiaccio che emerge corrisponde esattamente alla quota di maggior volume, a parità di peso. In fonderia tale differenza di densità (pertanto di volume) provoca l'indesiderato fenomeno detto di “ritiro”. Tale differenza in volume è caratteristica per ogni materiale e varia da un materiale all’altro. Nel caso della plastica, per esempio, questa differenza molto forte e il ritiro crea problemi agli stampatori. Non vedrete mai pezzi stampati in plastica a forte spessore per il semplice motivo che non sono stampabili: il fortissimo ritiro provocherebbe cavità indesiderate tali da rendere il pezzo inutilizzabile. Il “ritiro” provoca, sul pezzo solidificato, delle rientranze per cui le superfici non appaiono regolari come vorremmo: infatti il materiale tende a solidificare prima in periferia e poi al centro per il semplice motivo che si raffredda prima nelle zone esterne (e più rapidamente nelle zone sottili) rispetto alle zone interne (circondate come sono da materiale ancora caldo), ma se il materiale (solido) ha un volume minore, la parte interna, che rimane liquida più a lungo, quando solidifica “risucchia” il materiale esterno (già solido, ma ancora plastico) e si formano delle cavità ben visibili. Nel caso delle resine epossidiche il feno meno del ritiro è molto meno vistoso, esse infatti sono caratterizzate da un ritiro ridottissimo, ma pur sempre apprezzabile: ecco quindi la necessità di predisporre una materozza che, se ben dimensionata e posizionata, fornisce il materiale mancante alla parte in solidificazione. In più, dato che la solidificazione non avviene per raffreddamento, ma per catalizzazione, essa si sviluppa nello stesso modo ed allo stesso tempo in tutto il materiale a prescindere dal fatto che sia in periferia piuttosto che al centro dello stampo. Rimane il fatto che le zone sottili tendono ad avere un tempo di catalisi più breve di quelle spesse. La materozza è sempre in alto (quando lo stampo è pronto alla colata) e di dimensioni tali da garantire che essa solidificherà dopo il pezzo da colare; in questo modo sarà il pezzo “vero” a risucchiare materiale dalla materozza e non ci saranno ritiri sul pezzo. Il Master Si dice “master” (in italiano: “matrice" o "modello”) il pezzo originale del quale verranno realizzate copie tramite il procedimento di impronta e colata. - Più il master è ben fatto, migliori saranno i suoi “cloni”. Come realizzare il "Master" è un altro argomento e qui si rimanda alle capacità del singolo modellista, anche se niente impedisce di clonare pezzi esistenti già pronti, ma insufficienti come numero a coprire quelli che ci servono. master di canna di cannone navale francese del 1600 - realizzato in ferro Per prendere l’impronta del master si usa una gomma siliconica la quale ha la caratteristica di essere noiosamente appiccicosa quando non è catalizzata, ma di non incollarsi e a niente (tranne che a se stessa), una volta catalizzata. - Alcuni tipi di silicone grezzo si presentano viscosi, appena meno densi delle pasta dentifricia, alla quale in qualche modo assomigliano a cui va aggiunta una data percentuale di catalizzatore, altri sono sotto forma di due liquidi densi da mischiare insieme in proporzioni definite. Esistono gomme da stampo adatte per la resina a freddo ed altre più adatte al metallo basso-fondente (il cosiddetto metallo bianco), grosso modo con le stesse caratteristiche. - La catalizzazione avviene con l’aggiunta di un apposito agente chimico nel giusto dosaggio all’atto della colata. Le dosi sono sempre indicate sulla confezione. A dispetto dell’aspetto vischioso prima della catalizzazione, il materiale da stampo è molto preciso e prende l’impronta di qualsiasi minuto dettaglio (o difetto!) del “master”. Generalmente il master rimane conservato per eventuali usi futuri, anche perchè da un singolo stampo si possono ricavare un numero finito di pezzi (da 10 a 30 a seconda della forma del pezzo e del tipo di materiale usato), pertanto se i pezzi desiderati sono di più, sarà necessario procedere a produrre un nuovo stampo. Inoltre, lo stampo usato, ma ancora buono, si conserva per un certo tempo (meglio se al buio e isolato dall’aria), ma poi comincia a perdere la sua elasticità, si infragilisce e, passato un certo tempo, non è più utilizzabile. La consapevolezza dei limiti di utilizzo del silicone fa si che si possano adottare strategie opportune nel caso in cui, per esempio, i pezzi da riprodurre siano particolarmente numerosi. Per un vascello da 100 cannoni bisogna prepararsi a colare almeno 130 pezzi (nel caso della resina bisogna preventivare scarti di lavorazione per circa il 30%). - Se lo stampo resiste per 20 pezzi, ci sono due vie da scegliere: - la prima consiste nel prepararsi a eseguire almeno 7 stampi in silicone (130 : 20 = 6,5) - la seconda consiste nell’ottenere i primi 6 pezzi (validi) e poi, usando questi ultimi come un nuovo master, creare uno stampo più grande che permette la colata di 7 pezzi contemporaneamente. In questo modo il secondo stampo produrrà 6 x 20 = 120 pezzi, più i 6 pezzi precedenti = 126, molto vicino ai 130 stimati, il tutto con soli 2 stampi di silicone. N.B.: i mancanti pezzi, ammesso che servano, si possono ricavare dal singolo stampo iniziale che è valido ancora per 14 pezzi. La maggior parte delle gomme da impronta richiede un tempo di catalizzazione piuttosto lungo (da 8 fino a 24 ore) ed un “pot- life” (il tempo in cui tale materiale è lavorabile) variabile tra 15 e 30 minuti. Trascorso tale tempo è necessario lasciar riposare lo stampo senza muoverlo. Una volta correttamente catalizzato il silicone, si potrà procedere alla estrazione del Master per passare alla fase di colatura della resina .le immagini rappresentano in successione: 1) il Master già visto in precedenza, adesso completo di materozza (parte bianca in basso) 2) lo stesso pezzo posizionato nel contenitore per lo stampo (un lato è stato omesso per chiarezza) 3) lo stampo pieno di silicone, dopo la colata Lo stampo ed il materiale finale Nel modellismo si usano stampi in silicone elastico nel quale vengono colate resine epossidiche a freddo oppure lega di metallo bianco basso- fondente. Lo stampo altro non è che un contenitore di fortuna generalmente a forma di parallelepipedo, aperto nella parte alta, nel quale è posto il “master” e che, una volta catalizzato il silicone, verrà disfatto; il più delle volte distrutto. Nel predisporre lo stampo è preferibile che lo stesso presenti le facce leggermente inclinate verso l’esterno (a tazza), perché tale forma favorisce lo “sformo”, cioè l’estrazione del silicone catalizzato dalla forma. Una strategia consiste nel predisporre un piano di plastica (che si recupera) e le pareti formate da semplice cartoncino attaccato con nastro adesivo al fondo. Il cartoncino, alla fine andrà distrutto, ma la cosa è compensata dalla facilità e rapidità di realizzazione del contenitore. Importante: il silicone ha un forte peso specifico, il che significa che, per il principio di Archimede, facilmente il nostro “master”, specie se realizzato in materiali leggeri, tenderà a galleggiare in esso, con risultati disastrosi. E’ bene perciò provvedere ad attaccare in modo provvisorio il master al fondo dello stampo con un tratto di nastro doppio-adesivo: non dimentichiamo che, dopo, bisogna estrarre silicone e master insieme dallo stampo., pertanto non è possibile fissare il master in modo permanente sul fondo dello stampo. Si possono anche usare contenitori già pronti di dimensioni opportune, meglio se sacrificabili, che in tutti i casi devono garantire l’estrazione del blocco di silicone catalizzato, (con ancora il master al suo interno), senza eccessivo sforzo. Il materiale più adatto per costruire lo stampo è la plastica (fogli) incollata con il suo collante specifico, ma è possibile utilizzare anche cartoncino tenuto insieme con nastro adesivo; sconsigliato il legno che tende a “legare” per via della superficie rugosa. Qualsiasi materiale si usi, l’importante è che le varie giunzioni siano perfette: il silicone, nonostante il suo aspetto vischioso, passa attraverso fori anche microscopici ed è pertanto possibile che sfugga dallo stampo se questo non è perfettamente sigillato. Se si evidenzia una fuga, la si può tamponare con l’aggiunta di nastro adesivo; la fuga cessa quando il silicone inizia a catalizzare ed a solidificarsi. Il silicone, estremamente elastico, ammette dei leggeri sottosquadri e permette di ottenere pezzi anche di forma complessa, sfruttando la sua elasticità per estrarre il soggetto colato e solidificato. Le resine epossidiche sono costituite da due componenti (base e catalizzatore) che una volta mescolate danno origine ad un composto che quando solidificato presenta caratteristiche di buona lavorabilità. Le leghe di metallo basso- fondente sono quelle usate per produrre, per esempio, i figurini militari e tutta una serie di accessori disponibili anche per il campo navale. Nel caso del metallo le temperature in gioco si aggirano intorno ai 100 – 120°C e pertanto, ancorché considerate “fredde”, richiedono delle precauzioni nel maneggiarle per evitare fastidiose scottature. Le considerazioni precedenti e seguenti, mirate in particolar modo all’uso delle resine epossidiche per colata a freddo, valgono tal quali per le leghe metalliche basso- fondenti. A testa in su e a testa in giù Come abbiamo già visto, quando ci si prepara ad ottenere delle repliche in resina, in pratica si fanno due colate, la prima con il silicone per “prendere l’impronta” e le successive mediante la resina, usando l’impronta in silicone, per ottenere i pezzi finali. E qui nascono le prime difficoltà: infatti le due colate hanno modalità differenti e richiedono l’abitudine a ragionare con orientamenti spaziali opposti. Quando si cola il silicone lo si fa collocando il “master”, completo di materozza, in posizione rovesciata: quella che sarà, successivamente, la faccia superiore dello stampo (per intenderci la bocca nella quale si verserà la resina), nella prima fase è al contrario, messa capovolta, in basso. In altre parole, la faccia alta del silicone appena colato altro non è che la base di appoggio dello stampo di silicone quando si procederà alla colata della resina. Va da sé che le regole dei sottosquadri e dell’aria intrappolata devono essere tenute presenti per tutte e due le situazioni. Preparazione dello stampo Quando si prepara il silicone, si deve aggiungere una piccola proporzione di catalizzatore (sempre indicata dal fornitore sulla confezione) con l’ausilio di una siringa graduata e poi mescoliamo vigorosamente, ci troviamo di fronte a questa situazione: un liquido piuttosto vischioso che ha un “pot life” (tempo di lavorabilità) abbastanza lungo - circa 30 minuti. Per la miscelazio ne del silicone l’occorrente è: • un paio di guanti di gomma: il silicone non catalizzato è vischioso ed appiccicoso • una siringa da iniezione graduata. • un barattolo (meglio se graduato, anche in modo artigianale) dove poter unire i due componenti e mescolarli tra loro • una robusta asta per procedere alla miscelazione • un contenitore provvisorio di volume sufficiente a contenere il master La foto di sinistra mostra l’occorrente per preparare gli stampi in silicone. Nella stessa foto si vedono 4 stampi già riempiti di gomma siliconica. Il barattolo della foto di destra è un contenitore di recupero (per es. un barattolo di yogurt) al quale è stata aggiunta a mano una scala graduata in cc. Generalmente la quantità necessaria di catalizzatore è indicata sulla confezione in percentuale in volume. Va da se che è necessario conoscere con una discreta precisione la quantità di silicone prelevato dal barattolo per poi dosare per bene la quantità di catalizzatore necessario. Un recipiente graduato è consigliato, tanto più che una volta catalizzato, il silicone non appiccica affatto ed i residui si tolgono facilmente, restituendo il recipiente “quasi nuovo”, pronto per un nuovo impiego. La mescolatura va fatta energicamente cercando di non lasciare “zone morte”, poiché il silicone è molto viscoso, essa va effettuata con un robusto bastoncino. Anche il bastone, una volta catalizzato il silicone, potrà essere pulito per bene. Dopo la miscelazione è bene lasciar riposare il composto per una decina di minuti, per permettere alla maggior parte dell’aria inglobata durante il mescolamento di risalire alla superficie. Un trucco per evitare le bolle d’aria nello stampo è quello di colare, molto lentamente, il silicone non sul pezzo, bensì su un lato, possibilmente libero, della scatola che fa da contenitore dello stampo. In questo modo facciamo sì che il silicone si spanda orizzontalmente e, grosso modo, abbia un movimento “a salire di livello” quando arriva intorno al master. Durante la colata del silicone ci si può tranquillamente interrompere e forzare, per esempio con un bastoncino, il silicone ad insinuarsi nei punti del master che riteniamo difficili (il silicone ancora non catalizzato è appiccicoso) e poi si riprende a colare fintantoché tutto il master no n è completamente ricoperto dal silicone. Osserveremo la risalita di bolle d’aria effetto di: 1. aria intrappolata durante la miscelazione silicone-catalizzatore 2. aria intrappolata durante la colata Il fenomeno delle bolle è da ritenersi normale se le bolle cessano di emergere nel giro di un quarto d’ora, se viceversa continuano, facilmente avremo uno stampo con soffiature perché quando il silicone inizia a catalizzare le bolle non riescono più a salire e restano definitivamente intrappolate nello stampo. Nel caso in cui il silicone, per un errore di sottostima, non sia sufficiente a coprire il master, niente paura: poiché il silicone, che non si incolla a niente, aderisce viceversa molto bene a sé stesso, è possibile riprendere in un secondo tempo la colata semplicemente versando il nuovo silicone sul vecchio, anche già catalizzato. NOTA: La caratteristica dell'adesione del silicone con se stesso, suggerirebbe di adoperare stampi a pezzo unico essendo di impedimento per operare con stampi in due o più parti. Nel caso in cui sia indispensabile avere uno stampo scomposto in due (o più) parti, per permettere la separazione tra la prima colata di silicone e la successiva è necessario: 1. Lasciare catalizzare perfettamente la prima colata (24 ore) 2. 2. Spalmare a pennello della vaselina in pasta (uno strato sottilissimo, quasi impercettibile) su tutta la superficie della prima colata - La vaselina agisce quale fattore distaccante. 3. 3. Procedere con la seconda colata di silicone, analogamente a quanto fatto per la prima. 4. 4. Una volta catalizzata anche la seconda colata, con estrema cautela procedere a separare le due parti: provando con cautela in più punti, fintantoché non si trova un punto debole, una volta “innescata” la separazione, le parti si staccheranno con relativa facilità. Trascorse 12- 24 ore avremo lo stampo catalizzato. Un metodo empirico per sapere quando la catalisi è avvenuta, è quello di “saggiare” il residuo di silicone che, inevitabilmente, resta nel contenitore: quando il prodotto sarà elastico e non più appiccicoso, vorrà dire che la catalisi è avvenuta correttamente. - Infatti la catalizzazione è un fenomeno chimico ed è indifferente dalla quantità di materiale: se è ben catalizzato il residuo esterno, altrettanto lo sarà il nostro stampo. Allora potremo: 1. togliere lo stampo dal contenitore provvisorio 2. estrarre il master dallo stampo. 3. osservare la cavità lasciata dal master per cercare di capire, fin dove possibile, se la forma cava ottenuta presenta delle superfici regolari. Eventuali bavette, silicone che è penetrato in sottili fessure del master, si tolgono con forbicine o lamette molto affilate. Viceversa nel caso in cui riscontrassimo dei difetti "a cavità", saremmo costretti a rifare tutto, perché: a) non c’è modo di intervenire sul silicone catalizzato b) una volta estratto il master, non è possibile reintrodurlo esattamente com’era la prima volta. Un tentativo del genere normalmente porta ad avere uno stampo "scampanato" con l'effetto che la copia risulta diversa dall'originale. Lo stampo, pronto per ricevere la resina, dovrà pertanto essere capovolto, rispetto alla posizione che aveva nel ricevere il silicone, e messo nella sua posizione corretta, con la bocca della materozza in alto. Un’ultima operazione preparatoria (facoltativa ) consiste nello spalmare una strato quasi impercettibile di vaselina sulle facce interne dello stampo per preservarlo il più a lungo possibile. Infatti, ad ogni colata, la resina tende ad aderire allo stampo in modo leggero, ma alla lunga sensibile. Colata dopo colata, la superficie dello stampo si deteriora; con il trucco della vaselina si rallenta il processo di invecchiamento dello stampo. La resina La resina epossidica da colata di solito si presenta con due flaconi di liquidi distinti (la resina vera e propria ed il catalizzatore) che debbono essere intimamente miscelati tra loro solo al momento dell’utilizzo, rispettando scrupolosamente le proporzioni indicate sulla confezione. Per valutare correttamente quanta resina è necessaria per ogni colata ed evitare sprechi, è sufficiente simulare la colata stessa con acqua, usando una siringa graduata: una volta riempito lo stampo sapremo il volume totale di miscela necessario. Bisogna avere la precauzione di essere leggermente abbondanti in quanto la resina pronta alla colata è appiccicosa ed una certa parte resta inesorabilmente nel contenitore dove è stata preparata; non dimentichiamo, infine, il fenomeno del ritiro. L’acqua non disturba minimamente lo stampo, prima di procedere alla colata con la resina esso deve essere perfettamente asciutto. Il “pot life” (tempo di lavorazione) della resina miscelata è di pochi minuti. In questi pochi minuti (da 3 a 5) dobbiamo: 1. Miscelare tra loro ben bene i due componenti 2. Lasciare che l’aria intrappolata durante il rimescolamento fuoriesca 3. Colare la miscela nello stampo 4. Curare lo stampo per agevolare l’uscita dell’aria dallo stampo stesso Sono parecchie attività che debbono essere eseguite con rapidità e precisione: per ottimizzarle è necessario predisporre tutto l’occorrente a portata di mano e preparare poca resina alla volta. Nel caso in cui la quantità di resina preparata non sia sufficiente, non c’è problema: la resina, che aderisce a tutto (tranne che al silicone), può essere aggiunta alla resina precedentemente colata. Miscelazione dei componenti Le istruzioni sulla confezione indicano sempre chiaramente le rispettive proporzioni. A volte tali proporzioni sono date in volume, nel quale caso è facile calcolare quanta parte dell’uno o dell’altro componente prelevare mediante una siringa graduata. Se per esempio il rapporto in volume tra “A” e “B” è di 0,9:1 significa che per ogni cm cubo del prodotto “B” dovremo prelevare 0,9 cm cubi del prodotto “A”. Nel caso in cui lo stampo richieda un volume totale di 5 cm cubi dovremo operare in questo modo: chiamiamo “A” il volume unitario del primo componente (es. resina) chiamiamo “B” il volume unitario del secondo componente (es. catalizzatore) chiamiamo “V” il volume totale necessario (volume dello stampo) V : (A+B) x A = A’ volume necessario per il primo prodotto V : (A+B) x B = B’ volume necessario del secondo prodotto Applicando le formule all’esempio precedente dove A+B=1,9, abbiamo: · Volume del primo prodotto A’: 5 : 1,9 x 0,9 = 2,37 · Volume del secondo prodotto B’: 5 : 1,9 x 1,0 = 2,63 · La somma dei due volumi (A’+B’) dà 5,00 cm cubi Altri produttori danno le proporzioni in peso: in questo caso, dato che risulta difficile pesare piccole quantità, è necessario trovare nella scheda tecnica le caratteristiche fisiche dei componenti, tra le quali il “peso specifico” e procedere, con quello, al calcolo del volume corrispondente. Generalmente il peso specifico è dato in kg. per decimetro cubo (litro). L'acqua ha peso specifico = 1,0 (1 litro = 1 Kg) Per valori superiori a 1, abbiamo che 1 kg di prodotto occupa un volume inferiore al litro, al contrario, per valori inferiori a 1 il volume occupato sarà maggiore di 1 litro. Per esempio: se il peso specifico di “A” è 1,22, il volume occupato da un Kg. sarà 1: 1,22 = 0,82 litri se il peso specifico di “B” è di 0,83, il volume occupato da un Kg. sarà 1: 0,83 = 1,2 litri. Se, per esempio, il rapporto in peso è (A:B) 0,9:1 avremo: 0,9 x 0,82 = 0,738 volume unitario del componente “A” 1,0 x 1,2 = 1,2 volume unitario del componente “B” una volta ottenuti i rispettivi volumi unitari, si ritorna al caso precedente e si applica la stessa formula, dove (A + B) = 1,938 Volume del primo prodotto A’: 5 : 1,938 x 0,738 = 1,90 Volume del secondo prodotto B’: 5 : 1,938 x 1,200 = 3,10 La somma dei due volumi (A’+B’) dà 5,00 cm cubi Per la miscelazione della resina l’attrezzatura occorrente è: Ø Un paio di guanti di gomma (meglio vestirsi male: la resina che cade sui vestiti non viene più via e l’indumento macchiato è praticamente da buttare) Ø Due siringhe da iniezione senza ago per prelevare separatamente i due componenti; le siringhe vanno marcate per evitare lo scambio accidentale in caso di prelievi successivi. (Se malauguratamente si scambiassero le siringhe potrebbe innescarsi un lento, ma inarrestabile fenomeno di catalizzazione del materiale ancora nel barattolo, la stessa precauzione deve essere adottata per i tappi dei barattoli, e saremmo costretti a buttare via tutto). Ø Un barattolino a perdere dove poter unire i due componenti e mescolarli tra loro (per piccole quantità ideali i barattoli dei rullini fotografici) Ø Una astina a perdere per procedere alla miscelazione Ø Un rotolo di carta da cucina Fuoriuscita dell’aria intrappolata dopo il rimescolamento Dopo aver mescolato vigorosamente i due componenti, è necessario lasciare il miscuglio a riposare per venti – trenta secondi: la maggior parte dell’aria intrappolata durante la miscelazione verrà a galla. La resina appena mescolata ha grosso modo la stessa fluidità dell’acqua, l’aria esce con relativa facilità. Colatura della miscela nello stampo Una volta smaltita l’aria, si versa rapidamente la miscela nello stampo. Se abbiamo fatto i conti giusti la quantità preparata sarà sufficiente a riempire lo stampo stesso. La miscela ancora non catalizzata è leggermente colorata, ma trasparente. Al trascorrere dei minuti essa diventa opaca (i colori possono variare da produttore a produttore) e si indurisce lentamente. Trascorso il tempo stabilito (di solito circa 1 ora) il pezzo deve essere estratto dallo stampo (in gergo: "sformare"). La resina è sufficientemente rigida per supportare lo sforzo di sformatura, ma abbastanza elastica per cedere nei punti difficili. Se si dovesse deformare, niente paura, essa ritorna lentamente alla forma originale. Il ritorno alla forma originale non avviene se lasciamo troppo tempo il pezzo nello stampo: la catalisi continua, la resina si irrigidisce ulteriormente con il rischio di rompersi nello sforzo di estrazione. Fuoriuscita dell’aria intrappolata nello stampo L’aria presente nello stampo esce da sola e naturalmente all’ingresso della resina per il semplice motivo che un liquido sposta sempre un gas. Purtroppo l’aria si sposta solo verso l’alto: pertanto non è detto che tutta l’aria contenuta nello stampo trovi la via per uscire, quella che resta intrappolata forma le soffiature: difetti sotto forma di indesiderate bolle sferiche. Nei punti difficili, nelle cavità sottili, dove ci sono sottosquadri, di solito resta al suo posto. Per sapere dove sono i punti difficili il sistema più crudo ed empirico è quello di fare una prima colata (a “sacrificio”) ed attendere il risultato: il primo pezzo finito, con tutti i difetti, vi dirà quali sono i punti in cui l’aria rimane dentro. Conosciuto il male è possibile porvi rimedio. Per agevolare la fuoriuscita dell’aria ci sono vari sistemi. Il più semplice è quello di munirvi di una astina di metallo rigido (di almeno 3mm di diametro) con la punta ben arrotondata in modo da non fare danni, con la quale andare a scovare l’aria nei punti difficili e, sfruttando la flessibilità dello stampo, far sì che questa risalga alla superficie. Altri sistemi richiedono l'impiego di attrezzature non alla portata di tutti. Il primo consiste nel porre il recipiente con la resina appena miscelata sotto una campana a vuoto per far sì che l’aria intrappolata durante il rimescolamento fuoriesca con maggiore velocità; successivamente porre sotto la medesima campana lo stampo nel quale è stata appena versata la resina per agevolare la fuoriuscita dell’aria dello stampo. Questo sistema aiuta soprattut to l’eliminazione delle microbolle, ma non serve in caso di sottosquadri dello stampo e non aiuta nel caso di parti molto sottili, dove l’aria comunque non riesce ad uscire per via dell’attrito tra le pareti molto ravvicinate e dello “scontro” con la resina sovrastante che non riesce a scendere. Un secondo sistema consiste nel porre lo stampo in una centrifuga. L’aumento di peso della resina dovuto all’effetto della rotazione della macchina “schiaccia” la resina all’interno dello stampo. Va appena ricordato che l'aria non subisce fenomeni legati alla forza centrifuga. Questo sistema aiuta ad espellere l’aria dallo stampo ed a far sì che la resina vada anche nelle parti fini. Di nuovo non si riesce ad espellere l’aria nei sottosquadri “forti”. Avere a disposizione macchine per il vuoto o centrifughe non è facile per via del loro costo e dell'ingombro, molto più semplice l’astina (che comunque serve nel caso dei sottosquadri “forti”), una buona dose di pazienza e manualità fa il resto. RISULTATI Una volta assimilati i metodi ed i trucchi, saremo in grado di replicare tutti i pezzi che vorremo nelle quantità necessarie (e perché no, anche qualcuno in più di scorta, non si sa mai), il tutto salvando il “master” originale, che sicuramente ci servirà per futuri modelli. La resina prende l’impronta, anche il più minuto particolare, dell’originale. Una volta catalizzata è lavorabile con i normali attrezzi da legno e ferro, si può incollare con colle cianoacriliche e prende molto bene i colori, sia sintetici, sia acrilici. La clonazione, nel modellismo, è una comoda realtà facilmente realizzabile con un po’ di pratica. Nell’immagine seguente sono rappresentati: (da sinistra a destra) 1.lo stampo in silicone ancora con una colata (solidificata) di resina all’interno. 2.Il pezzo estratto così come esce dallo stampo, compresa la materozza 3.Il pezzo “pulito” e pronto per le eventuali lavorazioni future 4.Il “master” originale E' importante pianificare bene il lavoro; per quanto il silicone sia flessibile, non è possibile realizzare in un unica volta pezzi complessi: è necessario suddividere un dato soggetto in componenti più semplici da assemblare successivamente. Scomponendo il particolare di partenza in sotto-componenti stampabili permette la realizzazione anche di minimi dettagli con notevolissimo risparmio di tempo, senza nessuna perdita di precisione. La figure successive mostrano il cannone francese degli esempi precedenti scomposto nelle sue parti-base che, nell'ordine sono: • • • • i due fianchi dell'affusto (già montati con la materozza) la struttura del carrello (che comprende anche gli assali per le ruote) il cuneo per l'alzo della canna (con la materozza) un assieme di tutti i componenti del cannone e dell'affusto le foto della seconda riga mostrano gli stessi elementi della prima inseriti nella forma dello stampo, prima di ricevere la gomma siliconica (una parete è omessa per chiarezza). Il processo richiede di realizzare il corrispondente numero di masters (uno per ogni sotto-compone nte) e successivi stampi, ed una volta ultimate le colate dei pezzi nel numero di copie previste, ricomponendo il tutto si ottengono tanti "cloni" del pezzo originale, tutti incredibilmente uguali e con poco sforzo. Il cannone francese, pronto per la colorazione è riprodotto nella foto seguente e confrontato con il master di partenza. Naturalmente esso è lungi dall’essere finito: bisognerà ancora aggiungere i golfari, la ferramenta, le ruote ed i perni, infine colorare il tutto. La foto successiva mostra lo stesso pezzo con tutti i particolari mancanti. Tutta la nostra chiacchierata verteva sul vantaggio nel poter riprodurre in numerose copie con la massima precisione tanti particolari. L’esempio del cannone navale è calzante in quanto sulle navi dell’epoca essi erano imbarcati sempre in generose quantità, perfino sulle navi mercantili. La foto successiva dimostra il grado di fedeltà ottenuto clonando il cannone di prima in un certo numero di copie. Albino Benedetto