Leopardi 1. L’Epistolario Dagli anni della formazione agli Idilli, attraverso le lettere Lezioni d'Autore La famiglia Leopardi (1/2) Giacomo Leopardi nasce a Recanati, nelle Marche, all’epoca Stato pontificio, il 29 giugno 1798, dalla diciannovenne Adelaide Antici e dal ventiduenne Monaldo Leopardi, tra loro cugini e sposi nell’estate precedente. La famiglia era di parte guelfa e pertanto protetta dai pontefici, di antica nobiltà terriera (Giacomo si autodefinisce “possidente” nella scheda che compila per la richiesta del passaporto), in declino economico, ma sempre rispettosa della facies nobiliare che al suo rango si confaceva. La famiglia Leopardi (2/2) I fratelli Carlo e Paolina saranno quelli con i quali il poeta manterrà contatti più intimi e confidenziali, saranno i veri riferimenti affettuosi all’interno di una famiglia in cui un padre “buonissimo” e condiscendente (secondo le testimonianze dei figli) sarà sempre incapace di contrapporsi a una madre che le cronache tramandano come severa e fredda. Questa – d’altra parte – chiamava Giacomo “figlio d’oro – Mucciaccio”, a giudicare da come il poeta si firma nella prima delle sole quattro lettere che le scrisse in tutta la vita. La corrispondenza con la madre ”Caro carissimo Figlio […] Sapete quanto io vi amo sinceramente, e qual spina mi sia stata al cuore, il vedervi sempre malcontento e di mal’umore […]” (Adelaide Antici a Giacomo, il 29 novembre 1822) “Cara mamma, io mi ricordo ch’Ella quasi mi proibì di scriverle, ma intanto non vorrei che pian piano Ella si scordasse di me. Per questo timore rompo la proibizione e le scrivo, ma brevemente […]” (alla madre, nel gennaio del 1823 da Roma) L’educazione scolare Dall’età scolare fino al 1812 riceve in casa, a opera di due gesuiti, l’educazione tipica impartita ai figli delle famiglie nobili da questi religiosi: studi teologici, classici e filosofici, ma anche scientifici. Parallelamente, prosegue i suoi studi individuali, che lo porteranno nel giro di pochissimi anni a una cultura vastissima. Del 1809, secondo quanto ci dice l’autore stesso, è la prima composizione poetica, inizio della produzione lirica. Si tratta di un sonetto di argomento omerico (La morte di Ettore). Gli anni di “studio matto e disperatissimo” Tra il 1812 e il 1819 si collocano i sette anni di “studio matto e disperatissimo” che tanto condizionò il poeta sia nella formazione culturale sia nel fisico, già fragile, ulteriormente minato dalle lunghe ore di lettura. Numerose le ipotesi sulla salute sempre precaria del poeta; sta di fatto che egli si sentì sin dalla giovane età gravemente malato, spesso in punto di morte. Poco stabile anche la situazione emotiva, aggravata dagli studi filosofici e letta da alcuni come un disturbo ciclotimico dell’umore. L’amicizia con Pietro Giordani L’amicizia con Giordani nasce per via epistolare nel 1817; l’anno successivo Leopardi riceve la sua attesissima visita a Recanati. Per andargli incontro, esce per la prima volta da solo dal palazzo Leopardi, come testimonia il fratello Carlo. Si riportano di seguito tre brani dall’Epistolario, il primo testimonia l’impaziente attesa della visita di Giordani, gli altri due confidenze molto intime sul proprio stato d’animo. Le lettere a Pietro Giordani (1/3) “Io v’aspetto impazientissimamente, mangiato dalla malinconia, zeppo di desiderii, attediato, arrabbiato, bevendomi questi giorni o amari o scipitissimi, senza un filo di dolce né d’altro sapore che possa andare a sangue a nessuno. Certo ch’avendo aspettato tanto tempo la vostra visita, adesso ch’è vicina ogni giorno mi pare un secolo, né sapendo come riempierli, […] sudo il cuore a sgozzarli” (a Pietro Giordani, 14 agosto 1818) Le lettere a Pietro Giordani (2/3) “Sono così stordito dal niente che mi circonda, che non so come abbia forza per prender la penna per rispondere alla tua del primo. […] Non ho più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte, non perch’io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore”. (a Pietro Giordani, 19 novembre 1819) Le lettere a Pietro Giordani (3/3) “Sto anch’io sospirando caldamente la bella primavera come l’unica speranza di medicina che rimanga allo sfinimento dell’animo mio: e poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza, e vedendo un cielo puro e un bel raggio di luna, e sentendo un’aria tepida e certi cani che abbaiavano da lontano, mi si svegliarono alcune immagini antiche, e mi parve di sentire un moto nel cuore, onde mi posi a gridare come un forsennato, domandando misericordia alla natura, la cui voce mi parve di udire dopo tanto tempo. […] Ora sono stecchito e inaridito come una canna secca, e nessuna passione trova più l’entrata di questa povera anima […]”. (a Pietro Giordani, 6 marzo 1820) La scoperta dei poeti moderni Gli anni intorno al 1815 sono anche quelli in cui Leopardi, pur continuando i suoi studi classici entra in contatto con la poesia recentissima, di Foscolo, Goethe, Monti; sono quelli in cui instaura l’affettuoso rapporto epistolare con Pietro Giordani; in cui scrive la (non pubblicata) Lettera ai compilatori della Biblioteca italiana, prendendo posizione sulla cosiddetta polemica classicoromantica. Inizia la grande produzione lirica Nel 1816, ancora una volta accanto alla traduzione dei classici (primo libro dell’Odissea e secondo libro dell’Eneide) inizia la vera e propria produzione lirica, con le due canzoni All’Italia e Sopra il monumento di Dante. Queste, pubblicate nel ’19, saranno erroneamente interpretate come un’esortazione agli ideali risorgimentali e, in quanto tali, avranno un grande successo. I piccoli idilli Tra il 1819 e il 1821 vengono composti quelli che si è soliti chiamare “piccoli idilli”: L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, Lo spavento notturno, La vita solitaria. In questa fase e in queste liriche il poeta è ancora convinto che la sua condizione personale e storica sia alla base della sua infelicità (la fase del cosiddetto “pessimismo storico”) e spera ancora che evadere da Recanati sia la possibilità unica di sfuggire alla morsa della sofferenza. Il tentativo di fuga verso Roma Nel ’19 Leopardi comincia prima a sognare e poi a progettare la fuga da Recanati verso Roma. La fuga fu sventata e solo nel 1822, se pure a malincuore, il padre gli permetterà di raggiungere alcuni parenti nella capitale. Nell’evasione dal “natio borgo selvaggio” Leopardi proiettava un futuro di salvezza, persuaso che la grande città avrebbe rappresentato una dimensione più idonea alla sua sensibilità. Tra il ’21 e il ’22 si collocano le ultime canzoni, tra cui Ad Angelo Mai e L’ultimo canto di Saffo. L’arrivo a Roma: la delusione Solo nel 1822, il 17 novembre, Giacomo riesce a rendere concreto il suo desiderio di evasione; con il permesso dei genitori si unisce alla famiglia Antici (parenti della madre, Adelaide) che fa ritorno a Roma per l’inverno. Il viaggio dura sei giorni, probabilmente gli ultimi giorni di speranza, giacché l’arrivo a Roma è immediatamente deludente. Lettera al fratello Carlo (1/2) “Credi, Carlo mio caro, che io son fuori di me, non già per la meraviglia, ché quando anche io vedessi il Demonio non mi meraviglierei: e delle gran cose che io vedo, non provo il menomo piacere, perché conosco che sono meravigliose, ma non lo sento e t’accerto che la moltitudine e la grandezza loro m’è venuta a noia dopo il primo giorno. E perciò s’io ti dico d’aver quasi perduto la conoscenza di me stesso, non pensare né alla meraviglia, né al piacere, né alla speranza, né a veruna cosa lieta.[…]” (a Carlo, 25 novembre 1822) Lettera al fratello Carlo (2/2) “In verità io non ho compagnia nessuna: ho perduto me stesso; e gli altri che mi circondano non potranno farmi compagnia in eterno. […] Ho bisogno d’amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita: il mondo non mi par fatto per me […] Le donne romane alte e basse fanno propriamente stomaco; gli uomini fanno rabbia e misericordia.” (a Carlo, il 25 novembre 1822) FINE Lezioni d'Autore