Antidepressivi e terapie ormonali nel
trattamento della depressione post-partum
RIASSUNTO
La depressione post-partum (DPP) colpisce il 14,5% della popolazione femminile e
qualora non trattata si associa a significativo rischio psicopatologico per la madre e
il bambino. La compatibilità tra assunzione della terapia antidepressiva e allattamento al seno materno è spesso un dilemma per la madre e per il clinico. Anche se la
psicoterapia (in particolare la psicoterapia interpersonale) si è dimostrata efficace nel
trattamento della DPP, essa non sempre è disponibile, soprattutto in ambito pubblico. Questo lavoro riporta la definizione, l’epidemiologia, la diagnosi differenziale e i
fattori di rischio della DPP nonché i dati di evidenza sull’uso di antidepressivi ed
estradiolo nel suo trattamento. Viene infine presentata l’opinione degli autori su un
possibile modo di gestione clinica della donna con depressione in questa fase del
ciclo riproduttivo.
2:2010; 45-57
Psychiatric Institute and Clinic, University of Pittsburgh Medical Center
of Psychiatry, Obstetrics and Gynecology and Reproductive Sciences,
Epidemiology, and Women's Studies, Women's Behavioral Health CARE,
Western Psychiatric Institute and Clinic, University of Pittsburgh Medical Center
NÓOς
1Western
2Departments
LA DEPRESSIONE NEL CICLO
VITALE FEMMINILE
TERESA LANZA DI SCALEA1, KATHERINE L. WISNER2
Parole chiave: depressione post-partum, depressione perinatale, puerperio, antidepressivi, estradiolo, allattamento.
SUMMARY
The prevalence of postpartum depression (PPD) has been estimated as high as
14,5%. Untreated postpartum depression has been associated with subsequent psychopathologic risk for the mother-infant dyad. Depressed breastfeeding women
often decline pharmacological treatments due to concern about the infant's exposure
through breast-milk. Psychotherapeutic intervention (i.e. interpersonal psychotherapy) has been demonstrated to be efficacious for the treatment of PPD, but it is not
always available, especially in public settings. The present report sought to report
the definition, epidemiology, differential diagnosis, and risk factors for PPD, as well
as available evidence on the use of antidepressants and estradiol for its treatment.
The authors’ opinion on the clinical management of women with PPD is presented.
Key words: post-partum depression, perinatal depression, puerperium, antidepressants, estradiol, breastfeeding.
45
Indirizzo per la corrispondenza: Teresa Lanza di Scalea, 3811 O’Hara Street, Pittsburgh, PA 15213,
USA, e-mail: [email protected]
NÓOς
T. LANZA DI SCALEA - K. L. WISNER
ANTIDEPRESSIVI E TERAPIE ORMONALI NEL
TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE POST-PARTUM
DEFINIZIONE
La nosografia categoriale dei disturbi mentali attualmente in uso non considera la depressione post-partum (DPP) una categoria diagnostica a sé stante. La IV edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali
(DSM IV-TR) applica la caratteristica “con esordio nel post-partum” ad
episodi depressivi maggiori, maniacali o misti e al disturbo psicotico breve
con insorgenza entro quattro settimane dal parto1. La X edizione della
Classificazione internazionale delle malattie (ICD-X) inserisce la depressione “post-partum” o “post-natale” tra i disturbi mentali associati al puerperio non altrimenti specificati con insorgenza entro sei settimane dal
parto2. Secondo il parere di esperti riunitosi a Satra Bruk (Svezia), il termine “post-partum” dovrebbe essere applicato a disturbi con insorgenza nei
tre mesi dal parto3. Questa proposta si basa sui risultati di studi epidemiologici condotti da Kendell et al. che mostravano un aumentato rischio di ricoveri per disturbi psichiatrici nei primi novanta giorni dal parto rispetto al
periodo gravidico4.
In ambito clinico e di ricerca, tuttavia, i criteri temporali della DPP vengono
estesi al primo anno dal parto.
La presentazione clinica e il decorso della DPP non trattata non si differenziano sostanzialmente da episodi depressivi con esordio in altre fasi del ciclo
riproduttivo femminile. Tuttavia, la DPP si presenta spesso in comorbilità
con disturbi o sintomi d’ansia1, in particolare inerenti al bambino. Uno studio caso-controllo ha riportato maggiore prevalenza di pensieri ossessivi con
contenuto aggressivo in donne con DPP rispetto a donne depresse non postpartum5.
EPIDEMIOLOGIA
Su richiesta dell’Agenzia per la Ricerca e Qualità dell’Assistenza Sanitaria
Americana (Agency for Healthcare Research and Quality, AHRQ) i ricercatori della North Carolina University (USA) hanno recentemente revisionato
la letteratura sull’epidemiologia della depressione perinatale (definita dalla
presenza di episodi depressivi maggiori o minori dalla gravidanza fino al
primo anno dal parto), fornendo i seguenti risultati sull’incidenza e prevalenza della DPP6:
1) il 6,5% delle neo-mamme ha un nuovo episodio depressivo maggiore nei
tre mesi dal parto e la percentuale aumenta fino al 14,5% se si considerano anche episodi depressivi minori (incidenza);
2) nei primi tre mesi dal parto il 7,1% delle neo-mamme soffre di episodi
depressivi maggiori ed il 19,2% soffre di episodi depressivi maggiori o
minori (prevalenza periodale);
3) la prevalenza puntuale di episodi depressivi maggiori o minori raggiunge
il picco nel terzo mese post-partum (12,9%), diminuisce lievemente tra il
quarto ed il settimo mese (9,9-10,6%) e drasticamente negli ulteriori cinque mesi dal parto (6,5%);
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Dopo avere escluso attraverso l’anamnesi, l’esame obiettivo e l’interpretazione dei dati di laboratorio che il quadro depressivo sia la conseguenza di
una patologia organica (ad es. ipotiroidismo, diabete, sclerosi multipla) o
dell’intossicazione/astinenza da sostanze (ad es. b-bloccanti, steroidi, cocaina), la diagnosi differenziale della depressione post-partum dovrebbe quindi
comprendere due quadri psicopatologici specifici del puerperio: il maternity
blues e la psicosi post-partum. Il maternity blues - sindrome transitoria che
colpisce dal 50 al 75% delle neo-mamme - esordisce al terzo-quarto giorno
dal parto ed è caratterizzato da facilità al pianto, astenia, umore depresso,
ansia, irritabilità, cefalea e ridotta capacità di concentrazione. Nonostante
nella maggior parte dei casi si risolva spontaneamente entro il decimo giorno post-partum, uno studio europeo ha mostrato che il maternity blues si
associa ad un aumentato rischio di depressione maggiore (odd ratio= 3,8) e
di disturbi d’ansia (odd ratio= 3,9) nei tre mesi dal parto8. Il decorso delle
lievi alterazioni umorali nei primi giorni dal parto merita dunque un’attenta
osservazione al fine di identificare eventuali segni precoci della DPP per iniziare prontamente un trattamento adeguato. La ben più rara psicosi post-partum colpisce lo 0,1-0,2% delle donne, esordisce tra la prima e la quarta settimana dal parto, è caratterizzata da un franco quadro psicotico (deliri, allucinazioni, rapide alternanze del tono dell’umore e disorganizzazione comportamentale) con significativo cambiamento rispetto al funzionamento premorboso e rappresenta un’emergenza psichiatrica a causa del rischio di suicidio e/o infanticidio9. Anche se il DSM IV-TR classifica la psicosi post-partum come forma severa di depressione maggiore o esordio/ricorrenza di un
disturbo psicotico, i dati di letteratura suggeriscono che essa possa essere
una presentazione del disturbo bipolare10.
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DIAGNOSI DIFFERENZIALE
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Uno studio longitudinale condotto sulla popolazione generale danese ha
mostrato un rischio significativo di esordio lifetime di disturbo depressivo
maggiore durante i primi cinque mesi dal parto (rischio relativo: primo
mese= 2,79; secondo mese= 3,53; dal terzo al quinto mese= 2,08)7.
LA DEPRESSIONE NEL CICLO
VITALE FEMMINILE
4) considerando solo gli episodi depressivi maggiori, i due picchi di prevalenza puntuale corrispondono al secondo (5,7%) ed al sesto mese postpartum (5,6%).
FATTORI DI RISCHIO
Una metanalisi di 84 studi11 ha individuato tredici fattori di rischio con
diversi gradi di associazione con la probabilità di insorgenza di DPP (effect
size): il grado di associazione è moderato-forte (effect size> 0,4) per fattori
di natura psicosociale (stima di sé, eventi di vita stressanti in gravidanza o
nel puerperio, conflittualità coniugale, scarso supporto sociale) e clinico-psi47
T. LANZA DI SCALEA - K. L. WISNER
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ANTIDEPRESSIVI E TERAPIE ORMONALI NEL
TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE POST-PARTUM
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chiatrica (pregressi episodi di DPP, episodio depressivo maggiore o sintomi
d’ansia in gravidanza), mentre è lieve (effect size< 0,4) per livello socio-economico, fattori ostetrici, temperamento infantile, stato coniugale, gravidanza
non programmata/non voluta e maternity blues.
La prevalenza lifetime della depressione maggiore nelle donne è circa il doppio rispetto agli uomini, specialmente durante fasi corrispondenti a significative fluttuazioni dei livelli di steroidi gonadici come il ciclo mestruale, il
post-partum e la perimenopausa12. Questo dato di evidenza ha ispirato ricerche orientate verso la comprensione delle basi biologiche delle “depressioni
riproduttive” recentemente descritte come possibili entità diagnostiche indipendenti, caratterizzate da meccanismi patogenetici e orientamenti terapeutici propri13. Nel caso della DPP, sembra che il rapido declino (non i livelli
assoluti) di steroidi gonadici della prima settimana dal parto determini un
maladattamento dei sistemi neurotrasmettitoriali monoaminergici implicati
nella patogenesi della sindrome depressiva. A conferma di questa ipotesi,
non sono state ad oggi riscontrate differenze significative dei livelli di estradiolo e progesterone tra donne con depressione post-partum e donne postpartum senza depressione14.
Il ruolo del rapido declino di steroidi gonadici nella patogenesi della DPP è
supportato inoltre dai risultati di Bloch et al.15 che hanno indotto uno stato di
ipogonadismo in donne con e senza storia pregressa di DPP mediante somministrazione prolungata di leuprolide (agonista dell’ormone stimolante le
gonadotropine, GnRHa), seguito da una simulazione della condizione gravidica mediante somministrazione di dosi sovrafisiologiche di estradiolo e progesterone per otto settimane. All’ottava settimana la somministrazione di
entrambi gli steroidi veniva sospesa (fase di withdrawal) al fine di simulare il
rapido declino ormonale tipico del post-partum. Delle otto donne con storia
pregressa di DPP cinque sviluppavano sintomi depressivi, mentre tra le
donne senza storia pregressa nessuna mostrava sintomi depressivi. Il picco di
incidenza dei sintomi depressivi si verificava nella fase di sospensione degli
steroidi gonadici (fase di withdrawal che simulava il post-partum).
I limitati studi di neuroimaging su donne con DPP hanno confermato il coinvolgimento del sistema serotoninergico nella patogenesi del disturbo. Ad
esempio, studi di tomografia ad emissione positronica (PET) hanno mostrato
alterazioni del potenziale di legame del trasportatore della serotonina a livello piastrinico16 e ridotto potenziale di legame dei recettori post-sinaptici
della serotonina 5H1 nel giro cingolato e nella corteccia medio-temporale di
donne con DPP17.
Sulla base della letteratura che suggerisce il ruolo patogenetico della disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene nella patogenesi della depressione18, due recenti studi hanno suggerito che l’ormone, rilasciante la corticotropina, secreto a livello placentare (CRHp) e la b-endorfina misurati
durante la gravidanza potrebbero rappresentare markers predittivi di sviluppo di DPP. Il CRHp è simile al CRH ipotalamico nella struttura e nella
bioattività, ma la sua secrezione viene stimolata – invece che inibita – dal
cortisolo mediante un meccanismo di feedback positivo. Di conseguenza i
livelli di CRHp aumentano durante la gravidanza e diminuiscono dramma-
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LA DEPRESSIONE NEL CICLO
VITALE FEMMINILE
ticamente dopo il parto, causando una transitoria disregolazione dell’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene. Il peptide oppioide b-endorfina - derivato della
propriomelanocortina (POMC) - è sintetizzato a livello ipofisario (in risposta al CRH) e a livello placentare. La sua sintesi varia durante il periodo
perinatale, aumentando significativamente durante il travaglio e diminuendo rapidamente dopo il parto. Esso ha proprietà analgesiche ed euforizzanti
ed è un indice di attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. In un
campione di cento (n= 100) donne seguite prospetticamente dalla 15º settimana di gestazione fino alla 9º settimana post-partum, elevati livelli di
CRFp (cut-off= 56,86 pg/ml) alla 25º settimana di gestazione predicevano
significativamente lo sviluppo di DPP indipendentemente dai sintomi
depressivi durante la gravidanza (R2 = 0,21, = 0,46, p< 0,001)19. Seguendo
la medesima procedura di studio Yim et al. hanno successivamente mostrato che donne eutimiche con elevati livelli di b-endorfina durante la gravidanza (dalla 15º alla 37º settimana) mostravano un aumento di più di tre
volte del rischio di DPP rispetto a donne con ridotti livelli di b-endorfina
(odds ratio= 3,19-4,68)20.
Se replicati, questi risultati potrebbero essere clinicamente rilevanti. In
donne eutimiche durante la gravidanza (quindi non individuabili mediante le
consuete procedure di screening attraverso questionari self-report) prelievi
ematici effettuati tra la 24º e la 28º settimana di gestazione (in coincidenza
con il test di screening del diabete gestazionale) potrebbero far parte delle
procedure per individuare precocemente donne a rischio di sviluppo DPP.
TRATTAMENTO: FOCUS SU ANTIDEPRESSIVI ED ESTRADIOLO
Ad oggi i dati di letteratura sull’efficacia del trattamento farmacologico della
DPP sono limitati e si assume che i farmaci antidepressivi con dimostrata efficacia nel trattamento della depressione maggiore in altre fasi del ciclo riproduttivo femminile siano effettivamente efficaci anche nel post-partum. Il limitato numero di studi clinici randomizzati controllati con placebo è giustificato
alla luce di un ovvio dilemma etico: non offrire un trattamento attivo comporta l’esposizione della madre e del bambino alle dimostrate conseguenze negative della depressione non trattata. Il noto effetto degli ormoni estrogeni sui
sistemi neurotrasmettitoriali implicati nella patogenesi della depressione e
l’assetto ormonale specifico del post-partum hanno ispirato iniziali studi sull’uso di orientamenti terapeutici specifici, in particolare di estradiolo21.
In questo articolo viene riportata letteratura sull’uso dei farmaci antidepressivi e di estradiolo nel trattamento della DPP (al fine di ridurre la persistenza o
l’aggravamento del disturbo già in atto), definita da episodi depressivi maggiori con insorgenza nel primo anno dal parto. A tale scopo gli autori hanno
condotto una ricerca bibliografica per aggiornare una review da loro precedentemente pubblicata per individuare eventuali nuovi dati a sostegno o
negazione delle attuali raccomandazioni sull’uso di antidepressivi ed estradiolo nel trattamento della DPP. La ricerca ha usato la stessa procedura
(motori di ricerca e parole chiave) della precedente review ed è stata limitata
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ANTIDEPRESSIVI E TERAPIE ORMONALI NEL
TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE POST-PARTUM
NÓOς
all’ultimo anno (gennaio 2009-gennaio 2010). Non sono risultati nuovi studi
empirici che giustifichino modificazioni nelle raccomandazioni già in precedenza esposte dagli autori22. Vengono riportate di seguito le evidenze ad oggi
disponibili.
Antidepressivi: studi in aperto
Roy et al. hanno descritto quattro casi (n= 4) di depressione maggiore esordita nelle dodici settimane dal parto che raggiungevano criteri di remissione
(Hamilton Depression Scale≤ 7) dopo assunzione di fluoxetina (20 mg/g) per
un periodo da tre a sei settimane (caso 1= quarta settimana; caso 2= sesta
settimana; caso 3= quinta settimana; caso 4= terza settimana)23. In Stowe et
al. ventisei (n= 26) donne con DPP moderata esordita nelle prime ventiquattro settimane dal parto sono state trattate con sertralina (dose iniziale= 50
mg/g; dose massima= 200 mg/g) in combinazione con psicoterapia di supporto. All’ottava settimana di trattamento venti soggetti raggiungevano criteri di risposta (riduzione di più del 50% della sintomatologia, in base
all’Hamilton Depression Scale), e quattordici di remissione (Hamilton
Depression Scale< 7 o Clinicl Global Impression Scale= 1)24.
Suri et al. hanno condotto uno studio di otto settimane sull’uso di fluvoxamina in sei (n= 6 ) donne con DPP e punteggi alla Hamilton Depression Scale
pre-trattamento≥ 17 (i valori medi non venivano riportati). La dose iniziale di
fluvoxamina era pari a 50 mg/g e veniva aumentata fino ad un massimo di
150 mg/g nelle seguenti due settimane; la dose media giornaliera per tutti i
soggetti era pari a 142 mg ±20. Il tasso di remissione (Hamilton Depression
Scale≤ 7) era pari al 67% e la gravità sintomatologica si riduceva significativamente tra la seconda e terza settimana di trattamento25.
In Cohen et al. quindici (n= 15) donne con grave DPP in comorbilità con sintomi d’ansia sono state trattate con venlafaxina per un periodo di otto settimane (dose media durante lo studio= 162,5 mg/g, range 75-225 mg/g). Dopo
due settimane di trattamento tutti i soggetti riportavano una significativa
diminuizione della gravità dei sintomi depressivi e d’ansia e all’ottava settimana la frequenza di remissione (Hamilton Depression Scale≤ 7 o Clinicl
Global Impression Scale≤ 2) era pari all’80%26.
Nonacs et al. hanno condotto uno studio sull’uso di bupropione nel trattamento di DPP in otto (n= 8) donne con moderata DPP (tre delle quali in
comorbilità con disturbi d’ansia; disturbo di panico con agorafobia n= 1,
disturbo d’ansia generalizzato n= 1, disturbo d’ansia non altrimenti specificato n= 1). Lo studio prevedeva dosi iniziali di bupropione pari a 150 mg/g e
successive dosi flessibili fino ad un massimo di 400 mg/d in base alla tollerabilità e al grado di risposta dei sintomi depressivi. Il protocollo dello studio
permetteva la contemporanea assunzione di zolpidem (fino a 10 mg al giorno) e di lorazepam (fino a 2 mg al giorno). Al termine delle otto settimane di
trattamento il tasso di risposta era pari al 75% (riduzione di più del 50%
della sintomatologia, in base a Hamilton Depression Scale e Kellner Symptom Questionnaire) e il tasso di remissione pari al 37,5% (Hamilton Depres-
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Wisner et al. hanno assegnato centonove (n= 109) donne in modo random a
due bracci di trattamento antidepressivo: 1) sertralina (n= 54); 2) nortriptilina
(n= 55). Lo studio prevedeva otto settimane di trattamento e successive sedici settimane di follow-up per valutare la durabilità della risposta. I soggetti
venivano trattati con dose fissa e venivano apportate modifiche nel dosaggio
in caso di effetti collaterali (dose iniziale e dose massima consentita per i due
farmaci: nortriptilina= 10 mg/g e 150 mg/g; sertralina= 25 mg/g e 200 mg/g).
I tassi di risposta (riduzione di più del 50% della sintomatologia, in base a
Hamilton Depression Scale) e di remissione (Hamilton Depression Scale< 7)
a 8 e 24 settimane non differivano significativamente nei due gruppi (settimana 8= 55% e 76%; settimana 24= 79% e 73%)28.
Due studi clinici randomizzati hanno mostrato che non esiste un significativo
vantaggio nell’uso della terapia combinata (antidepressivo SSRI + terapia
cognitivo comportamentale, CBT) rispetto all’uso di antidepressivi SSRI in
monoterapia per il trattamento della DPP. Ottantasette (n= 87) donne con
depressione maggiore o minore esordita nelle 6-8 settimane post-partum
hanno partecipato in uno studio a doppio cieco (per la farmacoterapia) di
dodici settimane con i seguenti quattro bracci di trattamento: 1) fluoxetina
(20 mg/g) più una sessione di CBT (n= 22); 2) fluoxetina più sei sessioni di
CBT (n= 21); 3) placebo più una sessione di CBT (n= 23); 4) placebo più sei
sessioni di CBT (n= 21).
La riduzione dei sintomi depressivi era significativamente maggiore nei soggetti che assumevano fluoxetina rispetto al placebo e non veniva osservato
alcun vantaggio dell’uso della terapia combinata (fluoxetina più una o sei
sessioni di CBT). I risultati di questo studio non possono essere estesi a campioni con depressioni moderate o gravi [media dei punteggi baseline della
Hamilton Depression Scale nello studio: gruppo trattato con fluoxetina= 13,3
(12,2-14,5); gruppo trattato con CBT= 14 (12,5-15,7)]. È inoltre importante
notare che l’outcome dello studio era la riduzione della gravità dei sintomi
depressivi, non la loro remissione29.
Simili risultati sono stati riportati da uno studio di dodici settimane su trentacinque (n= 35) donne con DPP severa (media dei punteggi baseline della
Hamilton Depression Scale> 21) in comorbilità con disturbi d’ansia, assegnate in modo random a due bracci di trattamento: 1) paroxetina in monoterapia (dose iniziale= 10 mg, dose massima= 50 mg) (n= 16); 2) paroxetina in
combinazione con 12 sessioni di CBT (n= 19). Lo stato psicopatologico
veniva valutato da uno psichiatra in cieco rispetto al trattamento. Paroxetina
in monoterapia e terapia combinata erano entrambi efficaci nella riduzione
NÓOς
Antidepressivi: studi clinici randomizzati
LA DEPRESSIONE NEL CICLO
VITALE FEMMINILE
sion Scale≤ 7). La gravità dei sintomi d’ansia era ridotta al termine dello studio, ma la differenza pre- post-trattamento non raggiungeva livelli di significatività statistica (p= 0,058)27.
Il disegno in aperto di questi studi e la ridotta numerosità dei campioni limita
la generalizzabilità dei risultati.
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ANTIDEPRESSIVI E TERAPIE ORMONALI NEL
TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE POST-PARTUM
NÓOς
dei sintomi d’ansia e depressivi e non venivano riscontrate differenze significative in tassi di risposta, tempi di remissione (settimane) e dose media di
paroxetina alla remissione30.
In uno studio di otto settimane Yonkers et al. hanno confrontato tassi di
remissione e di risposta in trentacinque donne (n= 35) trattate con paroxetina
a rilascio immediato e trentacinque (n= 35) donne trattate con placebo. La
dose iniziale di paroxetina era pari a 10 mg/g per le prime due settimane, 20
mg/g per la terza e quarta settimana e veniva successivamente aumentata fino
a 30 o 40 mg/g sulla base dello stato clinico. In tutti i soggetti l’esordio del
disturbo depressivo maggiore era avvenuto entro i tre mesi dal parto. Il gruppo trattato con paroxetina mostrava tassi di remissione all’ottava settimana
significativamente maggiori rispetto al gruppo trattato con placebo [37% versus 14%; odd ratio (95% CI)= 3,5 (1,1-11,5); p= 0,04]31.
Estradiolo: studi in aperto
Akohas et al. hanno descritto due casi di DPP severa secondo i criteri ICD10 e ridotti livelli pre-trattamento di estradiolo (caso 1= 140 pmol/L; caso 2=
23 pmol/L) trattati per due settimane con estradiolo sublinguale (caso 1= 4
mg/g nella prima settimana e 3 mg/g nella seconda settimana; caso 2= 4
mg/g nella prima e seconda settimana). In entrambi i casi alla fine della
seconda settimana la gravità dei sintomi depressivi era significativamente
ridotta e i livelli di estradiolo erano aumentati32. È degli stessi autori uno studio su un campione di ventitre (n= 23) donne con severa DPP esordita nei sei
mesi dal parto e valori baseline di estradiolo≤ 200 pmol/L trattate per otto
settimane con b-estradiolo micronizzato sublinguale (1 mg 3-8 volte al giorno in base ai livelli di estradiolo). Durante le prime due settimane di trattamento una significativa riduzione della gravità dei sintomi depressivi corrispondeva a un incremento dei livelli di estradiolo. All’ottava settimana tutti i
soggetti raggiungevano i criteri di remissione (Montgomery-Asberg Depression Rating Scale≤ 7). Tuttavia, l’assunzione contemporanea di farmaci antidepressivi da parte di quattordici (n= 14) soggetti lascia incerto il ruolo specifico dell’estradiolo nella riduzione dei sintomi depressivi33.
Estradiolo: studi clinici randomizzati
Gregoire et al. hanno condotto un trial clinico randomizzato a doppio cieco
di sei mesi su sessantuno (n= 61) donne con DPP severa assegnate a due
bracci: 1) 200 µg/g di 17 b-estradiolo transdermico per tre mesi con associazione di diidrogesterone (10 mg/g) per 12 giorni al mese (n= 34); 2) placebo, cerotti applicati negli stessi tempi del gruppo trattato (n= 27). La media
dei livelli di estradiolo nelle donne trattate era pari a 680 pmol/L. Lo studio
non prevedeva l’uso di interviste diagnostiche ma si limitava al questionario
di autovalutazione Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS), ampiamente utilizzato nello screening della DPP. Entrambi i gruppi mostravano
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Il tasso di ricorrenza della DPP è pari al 25% e qualora non trattata si associa
a rischio psicopatologico per la madre, alterazioni dello stile di attaccamento, alterazioni dello sviluppo emotivo e cognitivo nel bambino a breve e
lungo termine. Ad esempio, studi prospettici hanno mostrato che bambini di
madri depresse hanno alterate performance cognitive a 18 mesi di età rispetto
a bambini di madri non depresse e in popolazioni con svantaggiato livello
socio-economico l’alterazione persiste fino a 4 e 5 anni d’età35.
A causa del timore di effetti avversi sul neonato, donne con DPP si trovano
spesso di fronte al dilemma della compatibilità tra allattamento al seno e
assunzione di farmaci antidepressivi. Esse sono spesso incerte se
proseguire/iniziare l’assunzione di terapie farmacologiche e preferiscono
spesso alternative non-farmacologiche. Nonostante la psicoterapia (in particolare la psicoterapia interpersonale) sia efficace nel trattamento della DPP
lieve o moderata36, essa non è sempre disponibile, soprattutto in ambito pubblico e non è indicata in monoterapia nei casi di depressione grave.
Ad oggi, tre organizzazioni professionali hanno proposto raccomandazioni
per il trattamento della DPP37-40. Riassumiamo di seguito alcuni aspetti
chiave della gestione clinica della donna con PPD secondo l’opinione degli
autori.
1. Sulla base della letteratura sull’epidemiologia della DPP6,7 le procedure di
screening dovrebbero estendersi a tutto il primo anno dal parto. Le figure
professionali specializzate nella gestione del puerperio (ad es. ostetrici,
ginecologi e pediatri) sono pertanto potenziali risorse per garantire una
diagnosi precoce. La Edinburgh Postpartum Depression Scale (EPDS)41 e
la Postpartum Depression Screening Scale (PDSS)42 sono validi strumenti
di screening. Donne che riportano punteggi≥ 10 nella EPDS o ≥ 80 nella
PDSS dovrebbero essere sottoposte a valutazione psichiatrica al fine di
confermare la diagnosi di depressione maggiore (o minore) con esordio
nel post-partum.
2. La terapia antidepressiva (in monoterapia o in combinazione con psicoterapia) dovrebbe essere considerata per donne con depressione post-partum
di gravità moderata o grave che non rispondono, rifiutano o non possono
accedere a psicoterapie supportate da dati empirici (ad es. la psicoterapia
NÓOς
GESTIONE CLINICA DELLA DPP: ALCUNI PUNTI CHIAVE
LA DEPRESSIONE NEL CICLO
VITALE FEMMINILE
una riduzione della gravità dei sintomi depressivi nel tempo, ma nel gruppo
trattato con estradiolo tale riduzione avveniva più rapidamente. Al terzo
mese di trattamento l’80% dei soggetti trattati con estradiolo - rispetto al
31% nel gruppo placebo - aveva punteggi alla EPDS< 14 . Alla conclusione
dello studio, nonostante la contemporanea somministrazione di diidroprogesterone, tre soggetti mostravano modificazione istologiche endometriali. Il
47% del gruppo trattato con estradiolo e il 37% del gruppo placebo assumevano contemporaneamente farmaci antidepressivi e non è quindi possibile
individuare il contributo dell’estradiolo per sé nel trattamento dei sintomi
depressivi34,35.
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T. LANZA DI SCALEA - K. L. WISNER
ANTIDEPRESSIVI E TERAPIE ORMONALI NEL
TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE POST-PARTUM
NÓOς
3. interpersonale, la terapia cognitivo-comportamentale e una tecnica derivata dalla psicoterapia centrata sul cliente36,37,43).
3. La scelta dell’antidepressivo dovrebbe basarsi sul giudizio clinico e sui
dati di evidenza ad oggi disponibili: in trial clinici randomizzati fluoxetina
e paroxetina si sono dimostrati superiori al placebo mentre noradrenalina e
sertralina parimenti efficaci nel trattamento dei sintomi depressivi.
3. Ulteriori studi su efficacia, tollerabilità ed effetti a breve e lungo termine
sul neonato esposto in corso di allattamento sono necessari prima di considerare l’estradiolo come terapia di prima scelta in donne che non rispondono o rifiutano antidepressivi convenzionali21. Tale cautela si estende
all’uso di terapie complementari/alternative i cui dati empirici sono ancora
limitati44.
4. La terapia antidepressiva dovrebbe essere proseguita a dosaggio pieno
almeno per sei mesi dopo la fase acuta, come indicato nelle linee guida
dell’American Psychiatric Association per il trattamento della depressione
maggiore45.
5. Se una donna decide di allattare al seno sertralina e paroxetina (tra gli inibitori del re-uptake della serotonina, SSRIs), imitriptilina e nortriptilina
(tra i triciclici) dovrebbero essere considerati come farmaci di prima
scelta46. Studi empirici mostrano infatti che essi sono per lo più non quantificabili nel siero del neonato allattato al seno e riportano rari e non significativi eventi avversi nel breve termine (primi sei mesi di età). Dati sull’effetto a lungo termine (oltre il primo anno di età) dell’esposizione ad
antidepressivi in corso di allattamento non sono ancora disponibili. Tuttavia, gli studi di Epperson et al. non hanno mostrato alterazioni nel trasportatore della serotonina piastrinica in neonati allattati al seno durante assunzione materna di antidepressivi SSRI, suggerendo - indirettamente - che
l’esposizione ad antidepressivi durante l’allattamento non altera il trasporto della serotonina del neonato a livello perferico o centrale47,48. I
dati sull’effetto degli antidepressivi di nuova generazione (buproprione,
duloxetina, escitalopram) sul neonato sono ad oggi limitati a singoli casi
e studi in aperto con campioni di numerosità ristretta27,49,50 e non dovrebbero pertanto essere considerati di prima scelta, a meno che siano stati
efficaci in pregressi episodi e siano state escluse controindicazioni per il
loro uso.
6. La scelta della terapia antidepressiva nel post-partum dovrebbe derivare da
un’attenta valutazione che consideri il rischio della depressione non trattata per la diade madre-bambino40 e il rapporto rischio/beneficio dell’allattamento al seno materno in corso di terapia antidepressiva46, 51.
La depressione post-partum è una condizione clinica comune e spesso le
donne non ricevono un trattamento adeguato. Questo ha un notevole impatto
clinico, viste le conseguenze avverse della depressione non trattata per la
diade madre-bambino. Gli studi empirici sull’efficacia di antidepressivi ed
estradiolo nel trattamento della depressione post-partum (al fine di ridurre la
persistenza o l’aggravamento del disturbo già in atto) sono limitati a sette
studi in aperto e cinque studi clinici randomizzati. La gestione clinica della
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depressione post-partum dovrebbe comprendere una valutazione personalizzata del rischio della depressione non trattata e il rapporto rischio/beneficio
dell’allattamento al seno materno in corso di terapia antidepressiva.
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Antidepressivi e terapie ormonali nel trattamento della depressione