Come si curano le tendiniti o tendinopatie ? A cura del Dott. Giuseppe Palumbo Classificazione delle tendiniti o tendinopatie La classificazione può essere fatta in base alle strutture interessate oppure in base alla sede d’insorgenza (per es. patologia della cuffia dei rotatori della spalla, tendinopatia achillea, ecc.) Classificazione in base alle strutture interessate Peritendiniti: Sono caratterizzate da fenomeni flogistici dei foglietti peritendinei Tendinosi: Caratterizzate da manifestazioni degenerative del tessuto tendineo che si indebolosce e perde tonicità. Questa patologia colpisce soprattutto gli anziani e le persone che sottopongono a sforzi eccessivi i tendini già infiammati. Tenosinoviti: Ipertrofia dei tendini provvisti di guaine sinoviali. Tendinopatia inserzionale: È caratterizzata da fenomeni infiammatori e degenerativi che riguarda la giunzione osteotendinea. Rottura sottocutanea: È la lesione completa o parziale del tendine. I tendini sono robuste strutture fibroelastiche che connettono i muscoli alle ossa o ad altre strutture di inserzione, hanno una grande resistenza ai carichi meccanici e consentono di trasmettere, distribuire e graduare la forza esercitata dai muscoli alle strutture alle quali sono connessi. La principale funzione dei tendini è di trasmettere la forza esercitata dai muscoli alle strutture a cui sono connessi. Il tendine, grazie alle fibre di collagene, possiede una grande forza meccanica, ma scarsa elasticità, è perciò destinato a far fronte principalmente a carichi di tensione ed è meno capace di sopportare le forze elastiche e di compressione. Il tendine è in grado di sopportare carichi elevatissimi, anche superiori ai 500 kg/cm2 della sua sezione, ma l’allungamento massimo è solo il 4-5% della sua lunghezza. Infatti, oltre a questa soglia si possono formare delle lacerazioni e uno stiramento dell’8-10% può determinarne la rottura. La variazione della composizione e della struttura tendinea determina una migliore capacità di risposta e di rigenerazione dei segmenti tensionali rispetto alle zone pressorie. Il continuo processo di rinnovamento cellulare permette ai tendini di adattarsi gradualmente ai diversi carichi di lavoro sia se questi aumentano (irrobustimento) sia se diminuiscono (indebolimento), ma in caso di danno e di rottura la capacità di rigenerazione è molto lenta a causa della scarsa vascolarizzazione. Te rapia ad onde d'urto per la tendinopatia del rotuleo C ura e terapia per l'achillodinia C urare le Tendinopatie Le cause Le lesioni tendinee possono essere il risultato di microtraumi ripetuti, dovuti a sforzi eccessivi, o di esercizi non abituali, soprattutto se eseguiti in modo non corretto Le cause della patologia tendinea sono strettamente collegate da un punto di vista biomeccanico all’intensità e alla frequenza del movimento eseguito: Intensità: coincide con il carico di lavoro a cui viene sottoposto il tendine che deve essere di intensità tale da innescare il meccanismo patogenetico, per esempio il sollevamento di un peso eccessivo o velocità troppo elevata con cui viene eseguito un singolo gesto (lancio del peso). Frequenza: coincide con la somma e la ripetizione dello stesso movimento sia all'interno della singola seduta di allenamento sia nel ciclo di vari allenamenti. I fasci tendinei possono anche essere interessati da alcune malattie, come artrite reumatoide, lupus eritematoso, sclerosi sistemica, gotta, sindrome di Reiter, diabete e, più raramente, amiloidosi. I sintomi Il sintomo principale di una tendinite è il dolore nella zona colpita, che aumenta con il movimento e può essere accompagnato da gonfiore o tumefazione, più o meno evidente. Il dolore può essere di diverso grado e presentarsi spontaneamente, oppure essere prodotto dalla palpazione del tendine, dalla contrazione muscolare contrastata o dall'estensione passiva forzata del muscolo interessato. La tendinite può diventare tenosinovite nei tendini provvisti di guaina sinoviale (come quelli dei muscoli flessori o estensori delle dita delle mani e dei piedi). In questo caso, oltre al dolore, si ha difficoltà di scorrimento del tendine nella propria guaina, questo provoca tipici movimenti a “scatto” delle articolazioni e una sorta di frizione che può essere auscultata con lo stetoscopio dal medico durante il movimento del tendine. Nelle tendinopatie inserzionali (tenoperiostiti), invece, il dolore si manifesta alla giunzione tra il tendine e l'osso, in modo molto marcato e con la tendenza a diventare cronico. Diagnosi Dolore, gonfiore e arrossamento della cute sono i sintomi che, associati alla palpazione diretta del tendine, consentono al medico di valutare la presenza di questa patologia che può essere confermata dall’ecografia che chiarisce la sede, il grado, l’estensione della lesione, evidenzia eventuali calcificazioni e tessuti cicatriziali. Le indagini radiografiche sono utili per escludere eventuali alterazioni ossee che posso peggiorare il quadro clinico. Borsite e tendinite del tendine d'achille C ura e terapia per la tendinite e la borsite Te rapia ad onde d'urto per la tendinite calcifica Cura e terapia Alla prima comparsa dei sintomi è necessario interrompere l’allenamento, applicare ghiaccio per 15 minuti più volte al giorno ed eventualmente sottoporsi a delle sedute di massaggio della zona con una crema antinfiammatoria al fine di ridurre l'infiammaz ione. Se la tendinite non viene curata può portare a formazione di aderenze fibrose cicatriziali sulla guaina tendinea, rendendo in tal modo più problematica l’estensione del tendine fino a compromettere il movimento dell’articolazione. Se curata dai primi sintomi, questa tendinopatia richiede dalle 4 alle 6 settimane, periodo in cui bisogna seguire un programma di riabilitazione motoria. Nel passato nei casi più gravi si ricorreva all’ intervento chirurgico ( presenta una forte invasività non scevro di complicazioni ed effetti collaterali ) , mentre oggi si interviene con le onde d’urto che hanno invece il vantaggio di stimolare la formazione di nuovi vasi sanguigni come si ottiene con l’intervento chirurgico, in assenza di invasività e pericoli per il paziente. meccanismi ed effetti biologici Gli impulsi pressori prodotti dalle onde d'urto sono capaci di indurre, a livello delle zone colpite: riduzione della flogosi locale; neoformazione di vasi sanguigni; riattivazione dei processi riparativi. Tali effetti sono solo in parte dovuti ad un meccanismo di azione diretto (distruzione meccanica degli aggregati inorganici come sostenuto dagli urologi o comunque impatto pressorio sulle strutture biologiche), dal momento che sono soprattutto mediati da alcuni fenomeni fisici conseguenti al passaggio dell’onda nel tessuto colpito. Allorquando una onde d'urto attraversa un fluido genera molteplici differenze pressorie responsabili della formazione di bolle di gas e del fenomeno della "cavitazione"; infatti, la ridotta pressione che si produce sul lato interno della semionda consente un rapido passaggio dell’acqua alla fase gassosa con formazione di una vera e propria bolla di dimensioni variabili a seconda dell’energia sprigionata. Una successiva onde d'urto colpisce la bolla così formata dando luogo ad una violenta implosione che forma un getto d’acqua, il cosiddetto “jet stream”, che è notevolmente accelerato dal campo di bassa pressione esistente all’interno della bolla (velocità di 2700-3000 km/h). Tale getto d’acqua direzionale, colpendo i tessuti viciniori, determina microlesioni la cui entità è in funzione del numero degli impulsi e della loro energia (Delius et al., 1998). La membrana cellulare è la più sensibile e sono sufficienti livelli d’energia pari a 0,2 mj/ mm2 per alterarne le proprietà di permeabilità . Più resistenti invece sono il citoscheletro, i mitocondri e la membrana nucleare nei quali le alterazioni si cominciano a notare per valori d’energia pari a 0,5 mj/ mm2. Queste lesioni sono responsabili della catena degli eventi biologici desiderati che inducono, a livello ultrastrutturale, diversi tipi di risposta secondo la qua lità del tessuto su cui sono applicati. Studi sperimentali recenti (Russo et al., 2001) hanno dimostrato che le alte energie sprigionate dai jet streams cavitazionali, generati nei tessuti attraversati dalle O.U., producono alterazioni biomolecolari tali da spiegare le molteplici risposte biologiche-tissutali che si osservano in corso di trattamento e vale a dire quelle angiogenetiche, citotossiche e neuromodulanti. Da questi studi sembra che il punto d’innesco principale sia rappresentato dalla molecola di nitrossido d’azoto (NO), molecola assai instabile, che fisiologicamente è prodotta in condizioni di stress dalle cosiddette sintetasi: essa rappresenta il vero mediatore chimico nelle O.U. ed è considerata la molecola starter della neoangiogenesi come anche della risposta antinfiammatoria, neuromodulante, citotossica (per le più alte concentrazioni) e probabilmente anche di una risposta immunitaria . E’ stato dimostrato, in laboratorio, che l’energia sprigionata dai jet streams è in grado di portare a rottura talune molecole, quali la L-Arginina e l’acqua ossigenata presente nelle aree d’infiammazione; dal riassemblamento molecolare derivante sarebbe possibile giungere direttamente alla produzione di NO, saltando quindi il fisiologico meccanismo enzimatico a cascata. Altre indagini sperimentali (Russo et al., 2000) hanno dimostrato in vivo il fenomeno della cavitazione mediante la registrazione, durante la formazione delle bolle di cavitazione, di due distinti spikes, di marcata intensità , legata a due differenti momenti di compressione e rarefazione massima (bubble oscillation); gli AA concludono che tale evenienza dipende non solo dalla energia della onda d'urto ma anche dalla concentrazione di acqua nei tessuti, dal mezzo di propagazione e dall’intervallo di tempo tra le singole onde d'urto. Proprio per i suddetti motivi, la risposta al trattamento con onde d'urto è diversa a seconda dei tessuti colpiti. Nel tessuto osseo è stata osservata una reazione di tipo osteogenetico ed una di tipo vascolare; nei tessuti molli, invece, oltre ad una risposta vascolare si verifica anche un effetto antinfiammatorio ed antalgico. La risposta osteogenetica è stata dimostrata nelle aree di pseudoartrosi dove è possibile ottenere la rottura di cristalli di idrossiapatite e la liberazione di microcristalli che determina un’espansione del numero dei nuclei d’aggregazione calcica e quindi una riattivazione ed un ampliamento della risposta osteogenetica. Infatti, la pseudoartrosi riconosce tra l’altro, come fattore etiopatogenetico, la formazione di cristalli di idrossiapatite lungo la rima di frattura che impedisce l’avanzamento delle gemme vascolari provenienti dai capi di frattura provocando, di conseguenza, un ridotto apporto ematico che non permette al callo fibroso di trasformarsi in tessuto osseo. Le onde d'urto inducono, da una parte, la frammentazione dei cristalli di idrossiapatite provocando una riattivazione e, addirittura, un ampliamento della risposta osteogenetica attraverso la libe razione di fattori di crescita attivi sull’osteogenesi (BMP) e, dall’altra, l’innesco di un’attività neoangiogenetica conseguente alla perforazione della membrana cellulare dell’endotelio capillare ed alla migrazione di cellule endoteliali nello spazio int erstiziale con rilascio di E.S.A.F.(Endothelial Stimulating Angiogenetic Factor). Recenti studi dimostrano che l’azione delle onde d'urto, da un punto di vista istopatologico, si tradurrebbe nell’induzione di fratture trabecolari a livello della lesione con conseguenti fenomeni microemorragici e formazione di trombi; ciò renderebbe la lesione più recettiva allo stimolo dei fattori piastrinici. Le piastrine infatti, se attivate, rilasciano numerosi fattori di crescita capaci di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimale come fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali esercitando, peraltro, un’azione chemiotattica verso macrofagi, monociti e polimorfonucleati. Si è ipotizzato che, nel sito di lesione ossea, si verifichi un rilascio iniziale di PDGF (Plateled derived growth factor), TGF-b (trasforming growth factor-beta), EGF (epidermal growth factor) e IGF I e II (Insulin like growth factor I e II), e cioè fattori di crescita osteoinduttivi di derivazione piastrinica, per effetto della degranulazione delle piastrine presenti in loco. Il PDGF stimola la mitosi delle cellule staminali midollari presenti nell’osso e, in virtù dell’effetto angiogenetico, determina e potenzia la formazione dei nuovi capillari già indotta dall’onda d’urto nelle sedi di lesione. Contemporaneamente si assiste ad una proliferazione di fibroblasti e di proosteoblasti per effetto del TGFbeta, che successivamente induce la differenziazione dei proosteoblasti in osteoblasti stimolandoli a produrre matrice ossea, mentre i fibroblasti depositano la matrice del collagene destinata a sostenere la crescita vasale. In una fase più avanzata del processo, il rilascio di IGF I e II agisce sugli osteoblasti dell’endostio che iniziano a riempire le trabecole dell’osso spugnoso. In uno studio molto recente (Martini et al., 2003), è stato dimostrato che l’azione delle O.U. a livello micromolecolare si concretizzerebbe in una variazione della permeabilità di membrana con conseguente apertura dei canali del potassio (canali Ca++dipendenti), indice quest’ultimo di incremento del metabolismo cellulare. Russo, in un recente studio, ha ipotizzato la possibile azione delle onde d'urto a livello microenergetico suggerendo che possano indurre modifiche del livello quantico energetico de gli elettroni inducendo un riarrangiamento proteico tridimensionale che indurrebbe l’apertura dei canali ionici (Russo et al., 2003). Per quanto riguarda l’effetto vascolare sono stati evidenziati due tipi di risposta. Una, precoce e transitoria, è dovuta all’effetto delle onde d'urto sulle terminazioni nervose simpatiche con conseguente simpaticoplegia che induce l’apertura del letto capillare (effetto “wash out” degli Autori anglosassoni). A distanza di alcuni giorni, segue una seconda risposta legata all’incremento del numero dei capillari nel distretto irradiato; secondo le teorie più recenti, tale formazione di vasi capillari si produrrebbe grazie ad un meccanismo simil fisiologico delle onde d'urto che mimerebbero l’azione dell’E.S.A.F. (Endothelial Stimulating Angiogenetic Factor), un pepetide in grado, se liberato, di perforare la membrana basale delle strutture vascolari loco-regionali con conseguente fuoriuscita di cellule endoteliali negli spazi interstiziali dove queste cominciano a proliferare formando nuovi capillari. Ne consegue che la risposta antinfiammatoria, osservabile dopo il trattamento, è sostenuta dall’intenso lavaggio circolatorio tissutale che si viene e determinare nell’area bersaglio e che causa l’allontanamento delle molecole ad attività chinino ed istamino-simile e della cosiddetta sostanza P presenti nella regione della flogosi. Per quanto riguarda l’effetto analgesico sono state avanzate diverse teorie: le onde d'urto modificano l’eccitabilità della membrana cellulare; i nocicettori, non potendo generare così alcun potenziale, impediscono l’insorgenza del dolore; le onde d'urto stimolano i nocicettori a generare un’alta quantità di impulsi nervosi che bloccano la trasmissione del segnale ai centri cerebrali, perciò la soglia d el dolore s’innalza (teoria del Gate Control); le onde d'urto aumentano il livello dei radicali liberi presenti nell’ambiente cellulare e questi generano sostanze inibitorie del dolore. Studi sperimentali, condotti in questi anni, hanno dimostrato una chiara relazione dose/effetto del microdanno cellulare dove per dose s’intende non solo la potenza delle onde d'urto ma anche il numero totale di colpi applicati. Infatti, la risposta cellulare dose-dipendente varia dal semplice incremento della permeabilità cellulare (Lauer, 1997) per le potenze più basse, alle lesioni del reticolo endoplasmatico e della parete nucleare (Seidl, 1995) e a quelle del citoscheletro fino alla rottura cellulare completa per quelle più elevate (Brummer, 1990; Seidl, 1995; Buch, 1997). Da quanto detto si può ritenere che gli effetti delle onde d'urto sui tessuti sono strettamente correlati ai dosaggi utilizzati. Se intensità troppo basse possono essere insufficienti a determinare risposte biologiche significative, queste cominciano a manifestarsi con una precisa gradualità al crescere della potenza e/o del numero dei colpi; secondo il meccanismo biologico che s’intende evocare per la risposta terapeutica ricercata, il rapporto dose/colpi va attentamente prevalutato, anche in relazion e alla problematica dei costi del trattamento che oggi assume una rilevanza topica. Una semplice risposta antidolorifica ed antiflogistica può richiedere potenze basse e medie (tra 0,1 e 0,3 mj/mm2) sufficienti a determinare un wash-out della regione trattata ed un incremento della vascolarizzazione tale da portare ad un più fisiologico metabolismo locale. Quando sono presenti calcificazioni o pseudoartrosi, le potenze richieste sono senz’altro più elevate, ma la valutazione pretrattamento deve tener conto della sede oltre che le dimensioni delle stesse. Le calcificazioni A cura del Dott. Giuseppe Palumbo Cos’è?…..e perché si verifica? E’ un deposito di calcio. Ciò può verificarsi per due motivi: a) le cellule tendinee si trasformano in cellule produttrici di calcio per un processo che si chiama "metaplasia" (tendinopatia calcifica); b) il tessuto tendineo degenera a causa dell’invecchiamento e dell’usura, e successivamente calcifica (calcificazione degenerativa). Nel primo caso, il deposito di calcio si trova nel contesto del tendine; nel secondo, in corrispondenza dell’inserzione del tendine. Chi colpisce? La tendinopatia calcifica è più frequente nei soggetti giovani adulti (nostri dati: età media, 45.4 anni), di sesso femminile e dediti (41%) ad attività lavorative domestiche o sedentarie (27%). La calcificazione degenerativa è spesso presente in soggetti anziani (età media, 66.5 anni) di sesso femminile; non è stata evidenziata una correlazione statisticamente significativa con l’attività lavorativa svolta. Quali sono i sintomi? Dolore in corrispondenza della calcificazione. E’ evidente che la tendinite calcifica simula i sintomi causati da una sindrome da attrito. te rapia ad onde d'urto per le calcificazioni calcificazioni e onde d'urto Quale è la durata dei sintomi? La calcificazione (da tendinopatia calcifica) segue un suo ciclo evolutivo. Ad ogni fase di questo ciclo corrisponde un differente quadro clinico. La prima fase è definita di "metaplasia fibrocartilaginea". Seguono le fasi "formativa", "calcifica", "di riassorbimento" e "di ristrutturazione". Tranne la prima, sono tutte potenzialmente responsabili di dolore. La fase di "riassorbimento" è la più dolente. La durata di ciascuna fase non è nota. Un nostro studio ha evide nziato che le prime due fasi possono durano oltre 13 mesi. Come si fa la diagnosi? L’esame radiografico può essere sufficiente ad evidenziare una calcificazione. Per stabilire l’esatta localizzazione della calcificazione, occorrono almeno quattro proiez ioni radiografiche o un esame ecografico, TAC o RM. Le calcificazioni sono tutte uguali? No. Si differenziano per localizzazione, dimensione, forma e nitidezza del contorno. Tali caratteristiche aiutano a capire in quale fase del ciclo evolutivo si trova la calcificazione. Come deve essere trattata? Attualmente la possibilità di trattare le calcificazioni con le onde d’urto ha completamente modificato l’approccio a questa malattia, permettendo di solito una rapida attenuazione del dolore (in genere dopo 2-3 sedute a distanza di 7-10 giorni) ed una precoce rieducazione funzionale che prevede esercizi di stretching, rinforzo muscolare isometrico ed eccentrico prima e successivamente concentrico, fino al progressivo ritorno alla normalita. Le onde d’urto quindi evitano l'intervento chirurgico che tra l’altro è rischioso è ha scarse possibilità di guarigione. La soluzione chirurgica infatti, di questi casi, spesso non da risultati soddisfacenti al contrario delle onde d'urto che sono risolutive. EFFETTI DELLE ONDE D'URTO Eliminazione dei fibroblasti calcificati Neovascolarizzazione dei legamenti Aumento della produzione di collagene Incremento del metabolismo e della microcircolazione Aumento dell’eliminazione della sostanza P Diminuzione della tensione muscolare nuove indicazioni terapeutiche in Medicina dello Sport A cura del Dott. Giuseppe Palumbo La terapia con onde d’urto può essere utilizzata sia per patologie croniche che acute dei tessuti molli nel campo della medicina dello sport. Gli ultimi risultati dimostrano l’efficienza delle onde d’urto nella guarigione della tensione muscolare; le onde d’urto riducono drasticamente i tempi per la guarigione e l’intervallo di recupero e permettono un più veloce ritorno alla piena attività fisica. Indicazioni in medicina dello sport sono: Guarigione della tensione muscolare Acuta Supporto ad una rigenerazione muscolare Spasmo muscolare acuto Ginocchio del saltatore Gomito del tennista Tendinite della spalla Dolore inguinale Dolore al Tendine di Achille O nde d'urto per i traumi sportivi professore Wolfgang Schaden - Traumi sportivi, basta bisturi la cura é con le onde d'urto O nde d'urto per i traumi sportivi Tendinopatie correlate alla pratica dello sci: terapia strumentale e prevenzione. Tendinopatia, Tecar, Onde d’urto Professor Schaden, qual è il meccanismo d’azione delle onde d’urto? Le onde d’urto sono onde acustiche di pressione prodotte da generatori elettroidraulici, convogliate sulle parti del corpo da trattare mediante speciali teste terapeutiche. L’onda d’urto stimola il tessuto del paziente a produrre specifici fattori di crescita responsabili dei processi di guarigione. Gli effetti più importanti sono quello antidolorifico, e antinfiammatorio e di un’aumentata vascolarizzazione; nel caso delle pseudoartrosi e delle fratture si osserva la formazione di nuovo tessuto osseo che realizza la loro definitiva consolidazione. Quali patologie possono essere curate attraverso le onde d’urto? Attraverso questa tecnica possono essere trattati vari tipi di tessuti: ossei, molli (muscoli, legamenti, fasce) e tendini. Tutti i principali traumi che colpiscono tradizionalmente gli sportivi vengono curati con efficacia: tendinopatie della spalla, del ginocchio e degli adduttori, fasciti plantari, fibromatosi, rigidità articolare, calcificazioni e ossificazioni, tendinite achillea, ritardi da consolidamento o pseudoartrosi, fratture da stress, fino al classico gomito del tennista. Quali sono i vantaggi rispetto ai metodi tradizionali? In passato per queste patologie si ricorreva generalmente alle infiltrazioni locali e all’intervento chirurgico. Le infiltrazioni locali sono spesso solo momentaneamente vantaggiose se non inefficaci e l’intervento chirurgico presenta una forte invasività non scevro di complicazioni ed effetti collaterali. Le onde d’urto hanno invece il vantaggio di stimolare la formazione di nuovi vasi sanguigni come si ottiene con l’intervento chirurgico, in assenza di invasività e pericoli per il paziente. E sulle percentuali di successo cosa può dirci? Variano a seconda della zona trattata, ma per certe patologie si raggiunge la guarigione completa, per altre la percentuale oscilla tra il 70 e l’80%. Molti si stupiscono di fronte a questo scarto del 20 -30%, ma in medicina è del tutto normale. Il corpo non è una scienza esatta e quindi ogni organismo reagisce in modo diverso alle cure, per motivi ancora inspiegabili. Ci sono sportivi famosi che si sono già rivolti a questo trattamento? Certo. Posso ricordare il caso di Donovan Bailey, campione olimpico dei 100 metri ad Atlanta. Nel ’98 era stato operato più volte a causa di una fascite plantare, ma nonostante questo co ntinuava a sentire dolore e non riusciva a correre. Dopo il trattamento con le onde d’urto, a distanza di sole cinque settimane, era di nuovo in pista. Esistono controindicazioni? La tecnica è sicura, ma ci sono dei casi particolari in cui è meglio evita re l’uso. Questi casi riguardano le donna in gravidanza, i pazienti con pacemaker, persone affette da tumori e malattie della coagulazione del sangue. Un discorso a parte va fatto per i traumi del cervello e del midollo spinale: l’impiego delle onde d’urto su zone così sensibili è ancora in fase di sperimentazione, ma i primi risultati sembrano positivi. Dopo quanto tempo si può tornare a praticare sport senza problemi? La scomparsa del dolore è praticante immediata ma è essenziale ricordare che i tempi di recupero sono simili a quelli di un’operazione, servono settimane per tornare in campo con la certezza di non correre rischi. Lo sportivo, si sa, è impaziente e il medico deve essere bravo a fargli rispettare la procedura.