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NOTA A CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE QUARTA
SENTENZA 7 aprile 2014, n. 1605
A cura di VALENTINA CAPPANNELLA
Risarcimento senza previo annullamento e diligenza necessaria ad evitare il danno
La sentenza in commento ribadisce il costante orientamento della giurisprudenza
amministrativa nel senso dell’ammissibilità del ricorso giurisdizionale volto ad ottenere il mero
risarcimento del danno subito - senza cioè esperire l’azione di annullamento del provvedimento
amministrativo illegittimo - anche nel sistema antecedente all’entrata in vigore del Codice del
Processo Amministrativo, rivelandosi di particolare interesse laddove affronta il tema della
individuazione della diligenza richiesta al privato nell’evitare il danno.
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La questione preliminare che il Consiglio di Stato è chiamato a risolvere è quella della
ammissibilità o meno, anteriormente all’entrata in vigore del nuovo Codice del Processo
Amministrativo, del ricorso di primo grado volto esclusivamente ad ottenere il risarcimento del
danno subito dalla Società allora ricorrente a seguito dell’occupazione della cava di sua proprietà
per lo sversamento di materiali provenienti da alcuni Comuni campani coinvolti dagli eventi
alluvionali del maggio 1998, in mancanza dell’annullamento dell’ordinanza contingibile ed urgente
che tale occupazione aveva autorizzato.
Il Consiglio di Stato ha riconosciuto l’ammissibilità del ricorso, individuando “anche
nell’assetto anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo - che ha
espressamente sancito, all’art. 30, in tema di risarcimento del danno da lesione degli interessi
legittimi, l'autonomia, sul versante processuale, della domanda di risarcimento rispetto al rimedio
impugnatorio – l’assenza di un rapporto di pregiudizialità processuale tra i due rimedi”.
Tale principio di autonomia dell’iniziativa impugnatoria rispetto al rimedio risarcitorio è
stato affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella “storica” pronuncia n. 3 del 23
marzo 2011, la quale ha chiarito l’applicabilità della disciplina prevista dal Codice del Processo
Amministrativo (D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) in materia di proponibilità in via autonoma
dell’azione volta ad ottenere il risarcimento del danno (v. art. 30 C.P.A.) a situazioni anteriori
all’entrata in vigore del Codice medesimo, “in quanto ricognitiva di principi evincibili dal sistema
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normativo antecedente all’entrata in vigore del codice” (ad eccezione, ovviamente, del termine di
decadenza posto dal citato art. 30, inapplicabile ratione temporis a situazioni pregresse).
Come è dato leggere, infatti, in tale ultima sentenza “entrambi i principi affermati dal d. lgs.
n. 104 del 2010 - quello dell’assenza di una stretta pregiudiziale processuale e quello
dell’operatività di una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione
risarcitoria” sono “ricavabili anche dal quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore del
codice”.
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La decisione in commento si rivela, poi, degna di nota laddove affronta, nella fattispecie
concreta sottoposta al suo esame, il tema dell’eventuale concorso di responsabilità del privato
danneggiato per mancata impugnazione del provvedimento amministrativo lesivo.
Tale aspetto trova oggi specifica disciplina nel Codice del Processo Amministrativo, il
quale, all’art. 30, comma 3, secondo periodo, dispone che “Nel determinare il risarcimento il
giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque,
esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche
attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
Simile regola di non risarcibilità dei danni evitabili con la diligente utilizzazione degli
strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, peraltro, è rinvenibile anche nel sistema antecedente al
Codice del Processo Amministrativo, in quanto ricognitiva di principi espressi dall’art. 1227 c.c..
In merito a tali previsioni normative, già la citata pronuncia n. 3/2011 dell’Adunanza
Plenaria aveva riconosciuto la possibilità di valutare anche le scelte processuali di tipo omissivo
come comportamento apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno, una volta
appurato, alla stregua di un giudizio di causalità ipotetica, che le condotte attive trascurate non
avrebbero implicato un rilevante sacrificio e, anzi, avrebbero verosimilmente inciso, in senso
preclusivo o limitativo, sulla gravità del danno.
In particolare, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto che “la mancata impugnazione di un
provvedimento amministrativo possa essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede
nell'ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno”,
ammettendo nello stesso tempo che “A diversa conclusione si deve invece pervenire laddove la
decisione di non fare leva sullo strumento impugnatorio sia frutto di un'opzione discrezionale
ragionevole e non sindacabile in quanto l'interesse all'annullamento oggettivamente non esista, sia
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venuto meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di soddisfazione”. Partendo da tali
premesse, la citata pronuncia n. 3/2011 è pervenuta alla conclusione che “la mancata proposizione
del ricorso per annullamento va apprezzata nel quadro di una valutazione più ampia - oggi
recepita dagli artt. 30 e 124 del codice del processo amministrativo oltre che dall'art. 243 bis del
codice dei contratti pubblici - del comportamento complessivo della parte in seno al quale detta
omissione processuale si colloca. Andrà allora ponderata la concorrente rilevanza eziologica
spiegata dal mancato utilizzo di rimedi e di condotte che, non implicando rilevanti costi e oneri,
sono, a maggior ragione, esigibili (…), come l'attivazione del rimedio dei ricorsi amministrativi e
la proposizione di tempestive istanze volte a sollecitare la rimozione o la modificazione in
autotutela del provvedimento illegittimo, in una agli ulteriori comportamenti diligenti idonei ad
incidere in senso favorevole sul rapporto amministrativo oggetto del provvedimento illegittimo”.
Nella stessa direzione si muove anche una successiva decisione della Sezione V del
Consiglio di Stato - la n. 6296 del 29 novembre 2011, richiamata nella pronuncia oggetto della
presente nota -, la quale, premesso che “non è (…) esigibile, affinché il comportamento del
creditore sia ritenuto conforme all’ordinaria diligenza, il necessario esperimento da parte sua degli
ordinari rimedi giurisdizionali di impugnazione”, arriva ad ammettere che “è sufficiente che
l’amministrazione sia stata messa in condizione, tramite un apposito <avviso di danno>
consistente nell’invito all’autotutela, di ritornare sul proprio atto, assolvendo, in un regime di
risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo, l’obbligo (o meglio, l’onere) di annullamento
d’ufficio dell’atto illegittimo (…) al fine di evitare di incorrere nella condanna al risarcimento del
danno anche per le spese ulteriori sostenute dal privato”.
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Simili principi trovano piena conferma anche nella pronuncia n. 1605/2014 oggetto di
commento, nella quale i Giudici di Palazzo Spada sono chiamati a risolvere la questione della
configurabilità o meno di una responsabilità della società proprietaria della cava occupata in forza
di provvedimenti contingibili ed urgenti, per non avere questa impugnato l’ordinanza di
occupazione.
Una volta chiarito che la lesione della posizione della Società privata, nel caso di specie, non
è riconducibile all’illegittimità dell’ordinanza contingibile ed urgente che aveva reso possibile
l’occupazione della cava, bensì al protrarsi della situazione di occupazione divenuta illegittima - per
cui nessun onere di tempestiva impugnazione dell’ordinanza è configurabile in capo al provato, che
difetta anzi di interesse al ricorso -, il Consiglio di Stato esclude radicalmente che il comportamento
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della Società ricorrente possa integrare una condotta contraria a correttezza e buona fede, tale da
incidere, ai sensi dell’art. 1227 c.c., sulla misura della responsabilità rinvenibile in capo alla
pubblica amministrazione.
In particolare, il Consiglio di Stato qualifica come “diligente” la condotta della società
danneggiata, la quale ha messo l’amministrazione in condizione di adottare gli opportuni rimedi
“partecipando durante tutto il periodo di perdurante occupazione a conferenze di servizi
convocate dalle amministrazioni interessate ed ivi vanamente manifestando la volontà di ottenere
serio ristoro al danno perpetrato, data la mancata soddisfazione della sua pretesa”.
Così, partendo dal principio secondo cui, al fine di escludere il concorso di colpa del
privato di cui all’art. 1227 c.c., non è necessario l’esperimento dei mezzi di tutela giurisdizionale,
ma è sufficiente aver messo l’amministrazione in condizione di adottare opportuni rimedi, con il
cosiddetto “avviso di danno”, nell’individuare quest’ultimo, la pronuncia esaminata ritiene che esso
possa consistere anche nella mera manifestazione da parte del privato, in sede di conferenza di
servizi convocata dall’amministrazione interessata, dell’interesse a veder soddisfatta la
propria pretesa, nonché della volontà di essere ristorato del danno subito.
In questo modo, la condotta diligente del privato, necessaria ad evitare l’esclusione e/o la
limitazione del danno risarcibile, non deve necessariamente sostanziarsi in un atto formale, avente
quanto meno la forma di diffida a cessare nel comportamento lesivo, ma deve essere valutata in
concreto, essendo sufficiente che il privato abbia manifestato alla p.a. la propria posizione, a chiare
lettere, nelle opportune sedi.
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