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Daniela Mantovani e Stefano Toso
Nota di lavoro n. 9801
Novembre 1998
3520(7(,$
Associazione per le Previsioni Econometriche
via G. Marconi, 43 - 40122 Bologna
( (051) 6480911 - Fax (051) 220753
6LQWHVL
Uno degli aspetti di maggiore debolezza delle politiche pubbliche per l’assistenza in
Italia sembra essere rappresentato dall’incapacità di conseguire apprezzabili risultati distributivi e nell’azione di contrasto della povertà. Scopo di questo lavoro è quello di
esaminare gli effetti distributivi dei principali trasferimenti erogati dalle Ammnistrazioni centrali, con particolare riguardo a quelli monetari, avvalendosi del modello di microsimulazione fiscale ',5,02' e delle informazioni campionarie di fonte Banca
d’Italia. Dalle stime emerge che la ripartizione dei benefici, con particolare riferimento
alle pensioni sociali, ai trattamenti di invalidità civile e alle integrazioni al minimo delle
pensioni, è quanto meno casuale e comunque non ristretta alle famiglie con risorse economiche limitate. L’insoddisfacente performance delle politiche vigenti è registrata anche dal deludente livello di WDUJHW HIILFLHQF\ delle voci di spesa, prese singolarmente.
Tale quadro negativo sembra dipendere, oltre che dall’assenza di un istituto non categoriale di contrasto della povertà, dalle incongruenze del capillare, ancorché rozzo e disomogeneo, sistema di PHDQV WHVWLQJ vigente. La possibilità di perseguire più efficacemente obiettivi redistributivi in un contesto di risorse scarse appare strettamente dipendente dagli esiti che avrà l’attuazione della recente normativa che, istituendo
l’Indicatore della situazione economica equivalente, intende ricondurre a criteri di maggiore equità ed uniformità i processi di selezione dei beneficiari delle politiche sociali.
1. PREMESSA*
Fra gli aspetti maggiormente carenti delle politiche assistenziali in Italia, oltre
all’assenza di una legge quadro nazionale, da cui traggono origine le forti differenze
nelle prestazioni fornite in sede locale, e allo squilibrio nella composizione relativa tra
trasferimenti monetari e servizi, con una netta predominanza dei primi sui secondi, vi è
l’incapacità di raggiungere apprezzabili risultati distributivi e nella lotta alla povertà1.
Le cause della scarsa efficacia equitativa della spesa assistenziale sono, come è noto, più d’una: D) la mancanza di un istituto universale di minimo vitale, che funga da
temporanea rete di sicurezza nelle situazioni di indigenza, erogato su scala nazionale, E)
l’esclusiva presenza di programmi categoriali riservati a tipologie specifiche di soggetti
(anziani, invalidi), individuati sulla base di caratteristiche socio-demografiche solo parzialmente in grado di cogliere l’insorgenza di una condizione di reale bisogno economico, F) la commistione, in più d’un istituto, di caratteristiche previdenziali e assistenziali,
relativamente alle modalità di copertura della spesa e ai criteri di attribuzione del sussidio, con conseguente sovrapposizione di obiettivi equitativi sia interpersonali che intrapersonali OLIHF\FOH, G) il carattere assolutamente rudimentale dei criteri di verifica della
condizione economica, che si riduce al mero accertamento (eventualmente esteso al coniuge) del reddito imponibile Irpef, con ovvi problemi di corretta identificazione degli
aventi diritto all’assistenza e moltiplicazione sul versante della spesa delle iniquità prodotte dall’evasione fiscale, H) l’inadeguatezza degli importi monetari delle prestazioni,
rispetto a quanto sarebbe richiesto per sollevare i beneficiari almeno al livello della soglia della povertà2.
La razionalizzazione dei criteri di selezione dei beneficiari della spesa di ZHOIDUH,
secondo quanto previsto dal recente d. lgs. n. 109 del 31/3/1998 che ha istituito
Questo lavoro, presentato al workshop «La riforma del :HOIDUH6WDWH: analisi teoriche e proposte di SROL
F\», presso l’Università Bocconi di Milano nel giugno 1998, estende parte della ricerca su «Selettività e
universalismo nel ridisegno delle politiche della spesa di welfare», svolta da Stefano Toso nel 1997 su incarico della Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica (Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica).
1
Cfr., da ultimo, Marignetti, Roberti (1998), Rostagno, Utili (1998) e Negri, Saraceno (1996).
2
I limiti sopra elencati non sono un fenomeno unicamente italiano ma riguardano anche i sistemi assistenziali degli altri paesi dell’Europa meridionale, in particolare di Spagna, Portogallo, Grecia e Turchia.
Per un’analisi comparata di tali sistemi e per una tipizzazione che individua, all’interno dei paesi Ocse, un
«modello sudeuropeo» di assistenza sociale, cfr. Gough (1996). Sui fattori socio-economici (ritardi
nell’industrializzazione, ruolo della famiglia, struttura dell’occupazione) e politico-istituzionali (esperienze autoritarie, polarizzazione ideologica, forte presenza della Chiesa nel campo dell’assistenza, soggezione della burocrazia statale al potere politico) che sarebbero storicamente alla base di tale modello, cfr.
*
l’Indicatore della situazione economica equivalente (Ise), e la sperimentazione nel prossimo biennio di un inedito istituto universale di contrasto della povertà (il Reddito minimo di inserimento), unitamente alla creazione di un Fondo per le politiche sociali con
cui promuovere la realizzazione di standard essenziali ed uniformi di servizi sociali su
tutto il territorio nazionale (a tutela dell’infanzia, degli anziani, dei portatori di handicap, ecc.) dovrebbero consentire di attenuare le incongruenze sopra elencate3.
In attesa che l’attuazione della regolamentazione nazionale da parte degli enti erogatori per quanto riguarda l’Ise consenta di valutare gli effetti prodotti dal rinnovato sistema di PHDQVWHVWLQJ nell’erogazione dei servizi sociali a livello locale (le uniche prestazioni per ora interessate dalla riforma) e prenda il via la sperimentazione del Reddito
minimo d’inserimento4, sembra opportuno tentare di delineare un quadro aggiornato
dell’impatto distributivo delle politiche vigenti.
Scopo di questo lavoro è quello di esaminare gli effetti distributivi dei principali
trasferimenti monetari erogati dalle Amministrazioni centrali, a partire dalle informazioni contenute nella più recente indagine campionaria della Banca d’Italia sui bilanci
delle famiglie italiane. La scelta di limitare l’attenzione ai soli interventi in moneta decisi a livello centrale e di escludere quelli locali e i benefici in natura, anch’essi erogati
prevalentemente dalle Amministrazioni locali, è giustificata dal ruolo assolutamente residuale riservato ai secondi (meno del 10% del totale dell’assistenza complessiva, secondo le fonti ufficiali), dalla loro forte differenziazione territoriale e dai problemi di
Ferrera (1998 e 1996). Sul caso italiano, in particolare, si veda Ferrera (1993), cap. VI e VII.
3
Rispetto alla soluzione auspicata dalla Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche
della spesa sociale (commissione Onofri) di passare a un istituto universale di minimo vitale che inglobasse in prospettiva le funzioni svolte dagli attuali schemi categoriali, l’idea che è prevalsa nella trattativa
tra Governo e parti sociali, e che ha trovato sbocco dapprima nel disegno di legge collegato alla Finanziaria per il 1998 (art. 59, commi 47 e 48) e poi nel decreto legislativo approvato definitivamente nel giugno
1998, è stata quella di introdurre H[QRYR un istituto semi-universale di contrasto alla povertà, denominato
Reddito minimo d’inserimento (Rmi), in aggiunta agli istituti esistenti. Il Rmi sarà riservato, almeno in
una prima fase sperimentale non superiore a due anni, alle persone aventi a carico figli minori o con handicap ed impossibilitati a provvedere al mantenimento proprio e dei minori. Il sussidio individuale, subordinato ad una verifica dei mezzi non sostanzialmente dissimile da quella prevista dall’Ise e condizionato alla disponibilità ad accettare qualsiasi offerta di lavoro si rendesse nel frattempo disponibile, non
potrà superare un importo pari alla differenza tra una soglia di povertà convenzionalmente fissata in
500.000 lire mensili per il VLQJOH e il reddito mensile percepito. In virtù della franchigie concesse il livello
di reddito da lavoro in corrispondenza del quale si annulla il sussidio non è pari tuttavia a mezzo milione
bensì a 667.000 lire.
4
Per una prima stima del profilo distributivo dell’Ise in relazione a quello dell’indicatore tradizionalmente impiegato nella «prova dei mezzi», il reddito imponibile Irpef, cfr. Prometeia (1998), cap. 4. Una
valutazione quantitativa dei possibili scenari di riforma dell’assegno al nucleo familiare e della prevista
introduzione del Reddito Minimo d’Inserimento è invece contenuta in Bosi, Matteuzzi (1997a, 1997b).
natura statistica in cui si incorre nella fase di rilevazione statistica dei dati5. Le difficoltà
di censire a livello aggregato gli interventi specifici di Comuni, Provincie, Regioni e Usl
e di imputarli a livello microeconomico, difficoltà peraltro tipiche di tutte le rilevazioni
campionarie, sono puntualmente confermate nel caso specifico dell’indagine da noi utilizzata, della Banca d’Italia6.
2. LA METODOLOGIA IMPIEGATA
Gli istituti per il sostegno dei redditi e per la tutela delle varie forme di handicap qui
presi in esame includono le pensioni integrate al minimo, le pensioni sociali, gli assegni
al nucleo familiare, i trattamenti di invalidità civile e le pensioni di guerra.
L’ammontare complessivo di risorse assorbito da tali istituti ammontava nel 1995 a circa 55.300 miliardi7.
L’inclusione nell’assistenza delle integrazioni al minimo e degli assegni familiari,
apparentemente anomala rispetto alle classificazioni di fonte Istat, è conforme alla ricostruzione istituzionale suggerita dalla commissione Onofri ed è in linea con le classificazioni adottate dall’Ocse, in sede di confronti internazionali. Il connotato assistenziale
attribuito alle due voci di spesa si giustifica, sul piano funzionale, con le evidenti finalità
di tutela dei redditi bassi che i due istituti hanno assunto nel tempo.
Per quanto riguarda le pensioni integrate al minimo, basti ricordare che, fermo restando il carattere contributivo del finanziamento, la loro erogazione è subordinata dal
1983 alla verifica del reddito del potenziale beneficiario e che, dal 1994, l’accertamento
del reddito si applica non più a livello del singolo individuo bensì, se coniugato, al reddito della coppia. L’introduzione, con la riforma Dini, del criterio contributivo nel calcolo delle pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti prelude inoltre alla scomparsa dei
trattamenti integrati al minimo e al loro assorbimento da parte dell’assegno sociale, uno
5
Cfr. Commissione di indagine sulla povertà e sull’emarginazione (1996). Per un quadro aggiornato della
spesa di ZHOIDUH a livello municipale, stimata per il 1995 in circa 8500 miliardi, si vedano le elaborazioni
effettuate dalla Lega delle Autonomie Locali sui certificati di conto consuntivo di oltre 7000 comuni italiani. Cfr. Lega Nazionale delle Autonomie Locali (1997).
6
A questo tipo di informazioni (assistenza sociale diversa da quella pensionistica) l’indagine riserva uno
spazio ridottissimo nella parte finale del questionario: cfr. Banca d’Italia (1997), p. 110, quesiti c1-c7.
Una speciale sezione sull’uso di servizi pubblici era invece contenuta nell’indagine precedente, relativa ai
bilanci delle famiglie del 1993. Per una simulazione dell’impatto distributivo di alcune prestazioni sociali
in natura, che si avvale di tali informazioni, si veda Cer (1997), pp. 78-85.
7
Per una descrizione puntuale delle caratteristiche istituzionali dei singoli istituti, cfr. Commissione per
l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale (1997a), da cui è tratta la tabella 1, ag-
schema per definizione assistenziale.
7DE,PSRUWLHOLPLWLGLUHGGLWRGHLSULQFLSDOLLVWLWXWLDVVLVWHQ]LDOLLQ,WDOLD
,VWLWXWR
,PSRUWRPLJOLDLDGLOLUH
Pensioni integrate al minimo
685 (per 13 mensilità)
/LPLWHGLUHGGLWRFKHGjOXRJRDOOD
VRVSHQVLRQHGHOVXVVLGLRPLJOLDLDGL
OLUH
17.820 (indiv.), 35.641 (coppia)
Assegno sociale
498 (per 13 mensilità)
6.477 (indiv.), 12.954 (coppia)
Pensione sociale
390 (per 13 mensilità)
5.078 (indiv.), 21.111 (coppia)
Assegno al nucleo familiare
da 90 a 1.137 (per 12 mensi- da 33,1 a 90 milioni annui di reddito
lità)
familiare, con maggiorazioni
Pensione di invalidità civilea
382 (per 13 mensilità)
22.310 (indiv.)
5.078b (indiv.)
Indennità di accompagnamento per
gli invalidi civili totali
768 (per 12 mensilità)
--
Indennità di accompagnamento per
i ciechi civili assoluti
1.057 (per 12 mensilità)
--
Assegno per invalidi civili parziali
382 (per 13 mensilità)
5.077 (indiv.)
Pensione di guerra
4.500 (importo medio annuoc)
--
(a): pensione spettante agli invalidi civili totali e parziali, ai minori invalidi civili, ai sordomuti, ai
ciechi civili assoluti e parziali
(b): per i trattamenti a favore dei mutilati e invalidi civili parziali e dei minori invalidi civili
(c): dato relativo al 1994.
Anche l’evoluzione della normativa che regola i trasferimenti monetari a favore dei
lavoratori con carichi di famiglia mostra, fin dal 1983, con l’introduzione di limiti di
reddito per la corresponsione dell’assegno integrativo, segni della volontà di introdurre
elementi di selezione nella concessione dei sussidi, a dispetto della loro natura contributiva. Il carattere selettivo è stato rafforzato con la riforma del 1988 che, introducendo
l’assegno unico al nucleo familiare, ha determinato la progressiva contrazione del numero dei destinatari e del livello delle prestazioni sul prodotto interno lordo. Analogamente agli schemi esistenti in altri paesi a favore delle famiglie di lavoratori a basso
reddito (tipici sono i casi del )DPLO\&UHGLW in Gran Bretagna e dell’(DUQHG,QFRPH7D[
&UHGLW negli Stati Uniti), anche per l’assegno al nucleo è quindi difficilmente contestagiornata al secondo semestre 1997.
bile la presenza di una componente assistenziale8.
Ribadita la loro natura prettamente assistenziale, va tuttavia segnalato che
l’indagine Banca d’Italia non contiene informazioni sugli assegni al nucleo familiare, né
tantomeno sulle pensioni integrate al minimo. L’indagine riporta infatti, per quanto riguarda l’assistenza, solo le pensioni sociali, di guerra e di invalidità civile (con
l’esclusione per queste ultime, dell’indennità di accompagnamento per gli invalidi civili
totali). La rilevanza dei due istituti, e soprattutto delle integrazioni al minimo, stimate
nel 1995 in circa 30 mila miliardi, la metà della spesa assistenziale complessiva, hanno
tuttavia indotto a procedere alla loro imputazione in capo ai singoli individui del campione. A questo fine ci si è avvalsi del modello di microsimulazione ',5,02', un
modello per l’analisi delle politiche di prelievo e di spesa, progettato e gestito congiuntamente da Prometeia, il Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Modena e
il Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Bologna9.
La simulazione degli assegni al nucleo familiare prevede una procedura standard,
affinata in precedenti versioni del micromodello e tuttavia non priva di difficoltà, se si
considera la generale sovrastima della spesa rispetto ai dati ufficiali dell’Inps. La procedura consiste, in sostanza, nell’applicare una serie di algoritmi, in grado di riprodurre la
legislazione di spesa del 1995, ai redditi imponibili Irpef dei lavoratori dipendenti ed exdipendenti, valutati nei due anni precedenti. La verifica dei requisiti di reddito familiare
e della composizione della famiglia consente di selezionare i beneficiari dell’assegno e
quindi di attribuire gli importi monetari alle singole unità campionarie10.
La strada che è stata seguita, invece, per stimare la componente integrata al minimo
delle pensioni ha assunto come punto di riferimento le informazioni sulla spesa aggre-
8
I provvedimenti degli ultimi tre anni, che hanno determinato aumenti nelle prestazioni e l’allargamento
del numero dei beneficiari, specialmente tra le famiglie numerose, hanno allentato il grado di selettività
dell’istituto senza metterne ovviamente in discussione il contenuto di assistenza.
9
',5,02' consente di simulare gli effetti distributivi (a livello di singola unità d’analisi e
nell’aggregato) dell’Irpef, dei contributi sociali a carico dei lavoratori e dell’assegno al nucleo familare,
nonché di loro ipotetiche riforme. Il GDWD VHW dell’ultima versione del modello è rappresentato
dall’indagine campionaria Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane nell’anno 1995, che riguarda
8.135 famiglie, 23.924 individui e 14.669 percettori di reddito.
10
Per quanto riguarda il requisito della composizione familiare è opportuno ricordare che la nozione di
famiglia rilevante ai fini dell’assegno non coincide con quella dell’indagine: la prima comprende sostanzialmente solo il richiedente l’assegno, il coniuge, i figli minorenni e quelli maggiorenni inabili, la seconda invece, più ampia, si estende a tutte le persone conviventi che, indipendentemente da vincoli di parentela, provvedono al sostentamento della famiglia con la messa in comune dei redditi guadagnati da ciascuno. La simulazione degli assegni familiari con ',5,02' tiene conto, per quanto possibile, di tale
divergenza.
gata relativa a questo tipo di trattamenti. Non essendo tale informazione disponibile in
statistiche o pubblicazioni ufficiali, ci si è affidati alle stime contenute nei documenti
della commissione Onofri11, secondo cui, al 1° gennaio 1996, il numero complessivo di
trattamenti Inps di vecchiaia e anzianità, invalidità e superstiti, integrati al minimo,
ammontavano a 5 milioni 610 mila, per una spesa complessiva pari a 31.326 miliardi di
lire12. Si sono quindi individuate nell’indagine campionaria le pensioni Inps presumibilmente integrate al minimo nel 1995, ossia tutte quelle di importo pari a 626 mila lire
mensili (per tredici mensilità), con una banda di oscillazione in più e in meno del 5%,
per catturare almeno in parte l’eterogeneità della normativa. A queste pensioni si è successivamente attribuito il valore medio dell’integrazione pro capite ricavato dalla stima
aggregata di spesa, ovvero 430 mila lire mensili (per tredici mensilità). Tale importo
approssima la componente assistenziale dei trattamenti integrati al minimo, mentre il
complemento alle 626 mila lire rappresenta la componente assicurativa13.
Gli inevitabili margini di arbitrarietà impliciti nella ricostruzione delle voci di spesa
non contemplate nell’indagine suggeriscono grande prudenza nell’interpretazione dei risultati, in attesa di ulteriori approfondimenti. Una seconda fonte di cautela è data dalla
qualità, solo in parte soddisfacente, dei dati originari, a causa delle divergenze esistenti
tra la struttura del campione Banca d’Italia e la composizione demografica della popolazione italiana destinataria dell’assistenza. Segnaletici dei problemi di rappresentatività
del campione sono i casi di sovrastima della spesa per assegni familiari e pensioni sociali (rispettivamente, +34 e +17%) e di forte sottostima di quella per le pensioni integrate al minimo e le pensioni di invalidità erogate dal Ministero degli Interni (rispettivamente, -37 e -79%), rispetto alle statistiche ufficiali di fonte Inps. A ciò si aggiungano
i possibili errori nelle risposte, in sede d’intervista14.
11
Cfr. Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche (1997b), p. 172, tabella 1.1.
Si noti che prima della riforma Dini l’integrazione al minimo delle pensioni era riservata ai dipendenti
del settore privato. Con il passaggio al criterio contributivo, l’integrazione è stata estesa, nella fase transitoria della riforma, ai dipendenti del settore pubblico, alle stesse condizioni previste dall’Inps per i propri trattamenti di vecchiaia e invalidità. Come si è detto in precedenza, peraltro, con la progressiva messa
a regime della riforma le pensioni integrate al minimo sono destinate a sparire, assorbite dall’assegno sociale.
13
L’approssimazione della procedura consiste evidentemente nel fatto che l’imputazione della componente integrata al minimo è fatta al valore medio, anziché sulla base degli anni di contribuzione e della
carriera retributiva di ciascuno.
14
Tipico è il caso di 16 percettori di pensione sociale del campione, su un totale di 282 (pari al 5% circa),
che risultano avere un’età inferiore ai 65 anni, in palese contrasto con la normativa vigente che riserva
questo tipo di pensione agli ultra sessantacinquenni. Contraddizioni del genere si sono verificate, peraltro,
anche in indagini precedenti: cfr. Monacelli (1996), pp. 18, 19.
12
3. I RISULTATI DELL’ANALISI
Un primo quadro dell’impatto distributivo degli istituti assistenziali è sintetizzato
nella tabella 2, che riporta la distribuzione per decili di famiglie della spesa per assegni
familiari, integrazioni al minimo di pensione, pensioni sociali, di invalidità civile e di
guerra. La tabella riporta anche, nella prima riga, la distribuzione del reddito familiare
disponibile complessivo, al netto dell’Irpef e degli assegni al nucleo familiare.
L’ordinamento per decili è calcolato per livelli crescenti di reddito familiare equivalente
(scala di equivalenza Ocse15).
7DE'LVWULEX]LRQHGHOUHGGLWRGLVSRQLELOHHGLDOFXQHYRFLGLVSHVDDVVLVWHQ]LDOHSHU
GHFLOLGLIDPLJOLHRUGLQDWHSHUUHGGLWRGLVSRQLELOHHTXLYDOHQWHYDORUL
1
2
3
4
5
Reddito disponibile
3,3
4,9
5,9
7,1
8,2
Assegno al nucleo familiare
30,0
20,8
17,8
13,8
Pensione integrata al minimo
7,5
14,3
14,2
Pensione sociale
8,5
16,4
Pensione di invalidità civile**
7,6
Pensione di
guerra
1,2
Decili
6
9
10
3ULPL totale
GH
FLOL
7
8
9,4
10,8
12,3
14,6 23,4
100
7,4
5,2
2,8
1,3
0,6
0,3
100
14,2
12,1
9,5
9,2
8,3
7,3
3,2
100
18,8
10,1
12,1
4,9
10,1
5,0
10,7
3,4
100
8,1
2,3
20,7
6,5
16,8
17,3
9,6
9,1
2,2
100
0,3
3,4
6,3
10,4
4,3
20,4
8,9
40,2
4,6
100
(*) Scala di equivalenza Ocse
(**) Escluse le indennità di accompagnamento per invalidi civili totali
)RQWH: elaborazioni con ',5,02' su dati Banca d’Italia (Indagine sui bilanci delle famiglie italiane
nel 1995).
Il dato più eclatante è il diverso andamento mostrato dagli assegni familiari, rispetto
alle altre forme di trasferimento. Mentre infatti la spesa per l’assegno al nucleo si distribuisce con regolarità e in modo decrescente all’aumentare del reddito, tanto che i primi
15
La scala Ocse attribuisce valore 1 al nucleo di un solo componente, mentre valori incrementali di 0,7 e
due decili di famiglie si appropriano di circa la metà della spesa (50,8%) e i quattro più
ricchi solo del 5%, un andamento irregolare caratterizza la distribuzione delle prestazioni per le integrazioni al minimo e, soprattutto, per pensioni sociali e invalidità civile.
Singolare è innanzitutto il fatto che, nonostante i tre programmi appena menzionati
siano soggetti a limiti di reddito individuali e/o familiari, la quota di spesa più elevata
non sia appannaggio delle famiglie del primo decile, come ci si potrebbe aspettare, bensì del secondo (14,3%), nel caso delle pensioni integrate al minimo, del terzo (18,8%),
per le pensioni sociali, e addirittura del quarto (20,7%), per le pensioni di invalidità civile.
Una seconda incongruenza, rispetto alla natura selettiva dell’istituto, è data
dall’andamento decrescente non monotono delle quote di spesa per pensioni sociali,
chiaramente visibile lungo tutto l’arco della distribuzione. Il fenomeno investe anche i
trattamenti di invalidità civile, relativamente ai primi sette decili, e le integrazioni al
minimo, limitatamente al dieci per cento più povero delle famiglie.
Un andamento non monotono caratterizza anche la distribuzione della spesa per
pensioni di guerra, concentrate nel settimo (20,4%) e, in particolare, nel nono decile
(40,2%). Tra i programmi assistenziali presi in esame, va tuttavia sottolineato che questo è l’unico a non essere subordinato al PHDQVWHVWLQJ: l’assenza di monotonicità, così
come il fatto che la spesa complessiva avvantaggi nettamente la metà più ricca della popolazione (78,4%) rispetto all’altra (21,6%), è, in linea di principio, compatibile con i
requisiti extra-monetari che regolano questo trattamento pensionistico.
Andamenti distributivi così apparentemente bizzarri, nel senso di scarsamente selettivi, per quanto concerne la spesa per le integrazioni al minimo, per pensioni sociali e
per invalidità civile, invitano a considerare l’evidenza empirica della tabella 1 con una
certa attenzione. Più d’una sembrano essere le ragioni di tali risultati, in parte collegate
alle caratteristiche dei dati campionari utilizzati.
In primo luogo va rimarcato che la definizione di famiglia impiegata nell’indagine
campionaria è più estesa di quella che stabilisce, nella realtà, i criteri di eleggibilità ai
singoli programmi di spesa. Il concetto di nucleo familiare utilizzato per la verifica della
condizione economica dei beneficiari è infatti ristretto, secondo la normativa vigente,
alla coppia ed esclude gli eventuali redditi aggiuntivi prodotti dagli altri membri convi0,5 sono assegnati, rispettivamente, ad ogni altro adulto e ogni minore presente in famiglia.
venti16. E’ quindi possibile che, assumendo un concetto di famiglia più ampio, in grado
di tenere conto dell’apporto fornito al bilancio familiare non solo dal destinatario della
spesa e dal coniuge ma anche da altri componenti, il beneficiario risalga la scala dei
redditi, collocandosi in decili relativamente ricchi17.
In secondo luogo è opportuno ricordare che la nozione di reddito familiare disponibile, la variabile rispetto alla quale sono ordinate le famiglie del campione, differisce dal
concetto di reddito a cui si applica la verifica dei mezzi, in genere identificato con
l’imponibile Irpef. Il primo include infatti, oltre ai trasferimenti monetari pubblici, anche i redditi da attività finanziarie ed è al netto dell’imposta personale. Se si considera
che per le famiglie meno abbienti il reddito disponibile è decisamente superiore a quello
assoggettato a tassazione personale se ne deduce che l’ordinamento delle famiglie in decili di reddito disponibile, anziché di imponibile Irpef, tende a sovrastimare l’effetto di
VSLOORYHU della spesa a favore delle famiglie comprese in decili di reddito medio-alto.
Fatte queste precisazioni, che tuttavia si applicano a tutte le voci di spesa e quindi
non spiegano completamente gli andamenti erratici a cui si è fatto cenno, è più che fondato il sospetto che le incongruenze nella distribuzione per decili delle pensioni integrate al minimo e, più ancora, delle pensioni sociali e di quelle agli invalidi civili, riflettano in larga parte una mancanza di razionalità dei criteri di selettività attualmente
vigenti. Oltre ad includere nella prova dei mezzi, come si è ricordato poc’anzi, solo i
redditi del potenziale beneficiario e in alcuni casi quello del coniuge ma non anche le
entrate degli altri componenti della famiglia, l’applicazione del PHDQVWHVWLQJ si segnala
infatti per la presenza di scale di equivalenza implicite ben distanti da qualunque scala
osservata (relativamente ai limiti di reddito individuale e familiare da applicare nella verifica dell’effettivo diritto al beneficio) e per la mancanza di uniformità, a parità di ampiezza del nucleo familiare, tra le soglie di reddito al di là delle quali viene meno
l’accesso a un istituto o a un altro18.
16
Ciò si verifica per le pensioni integrate al minimo, per le pensioni sociali e, come è noto, per l’assegno
al nucleo familiare. Nel caso dell’assegno mensile per invalidi civili parziali e della pensione di inabilità
per invalidi civili totali, il PHDQVWHVWLQJ si applica esclusivamente a livello individuale.
17
Sull’importanza per il bilancio familiare dei redditi apportati dai membri di due o più generazioni e
sulle potenzialità interpretative di un’analisi della povertà in Italia che tenga conto delle convivenza tra
anziani, adulti e minorenni, cfr. Prometeia (1997), appendice al cap. 5.
18
I tetti di reddito familiare oltre i quali veniva negato il diritto all’integrazione totale di pensione al minimo erano nel 1995 (l’anno a cui si riferiscono le simulazioni) di 8 milioni 144 mila lire per un nucleo di
un solo componente e di 24 milioni 432 mila lire per la coppia, con un rapporto di 1 a 3. Le soglie di
esclusione dal godimento della pensione sociale, per gli ultra sessantacinquenni, erano di 4 milioni 461
Risultati simili a quelli della tabella 2, almeno da un punto di vista qualitativo, caratterizzano anche la distribuzione della platea dei beneficiari dei singoli programmi di
spesa (cfr. tabella 3).
7DE'LVWULEX]LRQHGHOOHTXRWHGLEHQHILFLDULGHLVLQJROLSURJUDPPLGLVSHVDVXOWRWDOH
GHOOHIDPLJOLHRUGLQDWHSHUUHGGLWRGLVSRQLELOHHTXLYDOHQWHYDORUL
Decili
6
1
2
3
4
5
Assegno al nucleo familiare
16,6
17,2
17,1
16,6
13,6
Pensione integrata al minimo
8,3
14,2
14,0
12,5
Pensione sociale
7,9
15,9
18,5
Pensione di invalidità civile**
11,0
11,3
Pensione di
guerra
0,8
2,2
10
3ULPL totale
GH
FLOL
7
8
9
9,2
5,9
2,4
1,1
0,2
100
11,3
9,4
9,7
9,1
8,0
3,5
100
13,2
11,6
4,6
9,3
6,4
8,6
4,0
100
4,3
17,3
6,4
15,4
16,3
11,6
4,1
2,2
100
16,8
8,0
13,3
7,8
14,1
10,5
19,2
7,2
100
(*) Scala di equivalenza Ocse
(**) Escluse le indennità di accompagnamento per invalidi civili totali
)RQWH: elaborazioni con ',5,02'su dati Banca d’Italia (Indagine sui bilanci delle famiglie italiane
nel 1995).
Il numero complessivo di famiglie che percepiscono l’assegno al nucleo familiare,
stimato in circa il 31% della popolazione campionaria, appare concentrato nei primi
quattro decili. Nella prima metà della distribuzione è compreso, in particolare, l’81,1%
delle famiglie di lavoratori dipendenti ed ex-dipendenti beneficiari dell’assegno.
Quote più basse, ma pur sempre superiori al 50%, vengono registrate dai beneficiari
dei primi cinque decili degli altri programmi assistenziali (se si escludono le pensione di
guerra): il 60,4% dei nuclei familiari con almeno una pensione integrata al minimo si
concentra, ad esempio, nella prima metà della distribuzione19. Le famiglie che beneficiano di pensione sociale e di pensioni di invalidità civile, comprese nei cinque decili
mila lire per un nucleo singolo e di 19 milioni 296 mila lire se era presente il coniuge, con un rapporto di
1 a 4,3.
19
Sulla base delle ipotesi fatte in precedenza per l’imputazione della componente assistenziale delle tre
categorie (vecchiaia/anzianità, invalidità e superstiti) di pensioni Inps, i trattamenti integrati al minimo riguarderebbero circa il 16% delle famiglie del campione.
iniziali, ammontano al 67,1 e al 50,3%, rispettivamente. Per i percettori di questi due
ultimi trattamenti si ripresentano, tuttavia, le incoerenze già segnalate in occasione della
descrizione della distribuzione della spesa: basti sottolineare, a titolo d’esempio,
l’andamento FUHVFHQWH, all’aumentare del reddito, della quota di famiglie beneficiarie di
almeno una pensione sociale nei tre decili più poveri della popolazione. Anche per la
tabella 3 valgono in buona misura le osservazioni fatte, in sede di commento, per la tabella 2.
Poiché una finalità dell’assistenza, se non la principale, dovrebbe essere quella del
sostegno dei redditi delle famiglie in condizioni di privazione economica, si è anche
esaminato il contributo offerto da ciascuno degli istituti alla riduzione del numero di
famiglie povere sul totale. La tabella 4 riporta in particolare i valori assunti dall’indice
di diffusione della povertà (KHDGFRXQWUDWLR), al netto e al lordo di ciascun programma
di spesa. L’indice è calcolato con riferimento a tre livelli alternativi della soglia di povertà: la tradizionale linea al 50%, pari al reddito disponibile medio pro capite, e due
suoi multipli (linee 60 e al 70%), pari rispettivamente al 120 e al 140% del reddito disponibile medio pro capite20. In questo modo è stato anche possibile valutare
l’adeguatezza dei singoli istituti nell’azione di tutela delle famiglie che si situano al di
sotto di soglie di quasi povertà.
Rispetto ad una diffusione della povertà del 12,7%, se valutata con una linea al 50%
(pari a circa 14 milioni 810 mila lire annue per un nucleo di due persone), l’istituto che
sembra esercitare il maggiore impatto in termini di riduzione del numero di famiglie
povere sul totale sono le pensioni integrate al minimo. Prima di godere
dell’integrazione, la quota di nuclei poveri sul totale delle famiglie del campione è infatti del 17%, oltre quattro punti percentuali in più del dato al netto dell’integrazione
(cfr. tab. 4). Un contributo minore, ma pur sempre sensibile, è fornito dall’assegno al
nucleo familiare, che di per sé determina una contrazione del numero di famiglie povere
dell’1,2%. Le pensioni sociali e quelle di invalidità erogate dal Ministero degli interni
20
Giova ricordare che l’espressione «linea al 50%» si riferisce alla convenzione internazionale di considerare povera ogni famiglia di due persone il cui reddito familiare sia inferiore al reddito medio pro capite. Ipotizzando una divisione in parti uguali delle risorse familiari all’interno del nucleo, ciò equivale a
considerare povera una famiglia di due membri se il reddito di ciascun componente non supera la PHWj
del reddito medio pro capite: di qui il termine «linea al 50%». L’estensione della linea della povertà calcolata per un nucleo di due persone alle famiglie con un numero di componenti diversi da due richiede
che il reddito familiare sia espresso in lire equivalenti oppure che si calcolino, data una scala di equivalenza di riferimento, tante linee della povertà quante sono le tipologie familiari.
esercitano invece un ruolo marginale. Il risultato deludente delle pensioni di invalidità
civile è tuttavia verosimilmente da mettere in relazione, oltre che alla scarsa razionalità
dei criteri di selettività, alla forte sottostima della spesa aggregata nel campione Banca
d’Italia.
Non sorprendentemente lo spostamento verso l’alto della linea di povertà standard
riduce l’efficacia delle integrazioni al minimo, sebbene la contrazione assoluta
dell’indice di diffusione rimanga superiore al 3% (cfr. ultima colonna della tabella 4).
Di un certo interesse è che la capacità degli assegni familiari di ridurre l’KHDGFRXQWUDWLR
si mantenga su valori assoluti costanti, di poco superiori all’1%, anche in corrispondenza di soglie di quasi povertà.
Stando alla tabella 4 i risultati più tangibili nell’azione di sostegno dei redditi si ottengono con le pensioni integrate al minimo e con gli assegni familiari, mentre più contenuto è l’impatto prodotto dalle pensioni sociali e, soprattutto, dai trattamenti di invalidità civile. Tale effetto è in parte imputabile alle diverse caratteristiche che contraddistinguono le procedure di selezione dei beneficiari dei singoli istituti. L’azione di contrasto della povertà dipende tuttavia anche dall’ammontare di risorse impiegate: è ovvio
infatti che, indipendentemente dal grado di selettività, l’efficacia di ciascun istituto dipende dal TXDQWXP di spesa, ossia dalle risorse monetarie impegnate. Tanto maggiore è
la spesa, tanto più è probabile che essa riesca a colmare la distanza che separa il reddito
delle famiglie povere dalla soglia della povertà. Sotto questo profilo va ricordato che,
sebbene fortemente sottovalutata rispetto alle stime aggregate, la spesa per integrazioni
al minimo simulata con ',5,02' ammonta a circa 19.665 miliardi di lire, ossia più
della metà delle risorse complessive (33.180 miliardi) da noi ricostruite21.
21
Stime da noi effettuate indicano una spesa per assegni familiari, pensioni sociali e invalidità civile (al
netto delle indennità di accompagnamento), rispettivamente, di 7.360, 4.070 e 1.615 miliardi di lire.
7DE/DVSHVDSHUO¶DVVLVWHQ]DLQ,WDOLDYDORULGHOO¶LQGLFHGLGLIIXVLRQHGHOODSRYHUWjKHDGFRXQWUDWLRSHUO¶LQWHUDSRSROD]LRQHSULPDH
GRSRO¶HURJD]LRQHGHOODVSHVDYDORUL
Diffusione
della povertà
Diffusione della
povertà SULPD
GHJOLDVVHJQL
IDPLOLDUL
(a)
(b)
(a) – (b)
(c)
(a) - (c)
(d)
(a) – (d)
(e)
(a) – (e)
Standard* (reddito disponibile** medio pro capite)
12,7
13,9
13,6
12,9
17,0
120% del reddito medio
pro capite (linea al 60%)
19,8
21,1
20,6
20,0
23,8
140% del reddito medio
pro capite (linea al 70%)
28,6
29,7
29,0
28,8
31,8
Linea della povertà
Diffusione della
povertà SULPD
GHOODSHQVLRQH
VRFLDOH
Diffusione della
povertà SULPD
GHOODSHQVLRQHGL
LQYDOLG&LYLOH
Diffusione della
povertà SULPD
GHOODLQWHJUD]
PLQGLSHQVLRQH
(*) La linea della povertà è riferita ad un nucleo di due componenti, coerentemente agli standard internazionali, ed è pari a 14,81 milioni annui.
Le linee della povertà delle famiglie di numerosità diversa da due sono ottenute applicando la scala di equivalenza Ocse.
(**) Reddito familiare al netto dell’Irpef e dei trasferimenti pubblici.
)RQWH: elaborazioni con ',5,02'su dati Banca d’Italia (Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nel 1995).
Essendo le prestazioni assistenziali da noi considerate esclusivamente di carattere
categoriale, si è ritenuto necessario procedere con un supplemento d’indagine.
Un’analisi dell’impatto dei trasferimenti monetari sulle famiglie povere dell’intera popolazione e non anche su quelle della specifica categoria che beneficia della singola
prestazione appare infatti incompleta: data la schiera relativamente ristretta di nuclei
familiari che percepiscono un sussidio, è naturale chiedersi, fatto cento quel numero,
qual è la percentuale di tali nuclei che riesce a oltrepassare la soglia di povertà grazie al
sussidio. Un tentativo di arricchire l’evidenza empirica della tabella 4 è contenuto nelle
tabelle seguenti, che riportano la diffusione della povertà tra le famiglie comprese in
ciascun sotto insieme del campione assegnatario di spesa, prima e dopo la spesa medesima. Le tabelle 5 e 5bis riportano anche nella prima colonna, per comodità, i valori
dell’indice di diffusione calcolati sull’intera popolazione.
Il primo aspetto degno di nota, seppure non inatteso, concerne la condizione di privazione economica ex-ante (ossia prima della spesa) delle famiglie che risultano beneficiarie dell’assistenza. Data una soglia di povertà standard (linea al 50%), la tab. 5 indica
che, a fronte di un 12,7% di famiglie povere sul totale delle famiglie, quasi il doppio
(24,7%) sarebbero state in povertà, tra quelle destinatarie degli assegni familiari, VHQRQ
DYHVVHURULFHYXWRO¶DVVHJQRPHGHVLPR. L’accreditamento del sussidio riduce, in termini
assoluti, del 4,1% la quota di famiglie povere, portandolo al 20,6%, un valore peraltro
ancora decisamente superiore al dato medio dell’intera popolazione (12,7%).
L’eventuale riferimento a soglie di quasi povertà non modifica questo quadro, nel senso
che, anche dopo l’assegno, la povertà tra i nuclei beneficiari rimane costantemente superiore a quella valutata sul totale delle famiglie22. Passando agli altri istituti e assumendo
come riferimento la linea di povertà standard, si osserva che circa 37 famiglie su 100
con uno o più pensionati sociali sarebbero al di sotto della linea,VHQRQSRWHVVHURFRQWD
UHVXOODSHQVLRQH. L’attribuzione della pensione sociale riduce in questo caso di ventisette punti l’indice di diffusione, portandolo al 10,1%, un valore inferiore al dato medio
nazionale. Per valori più elevati della soglia di povertà, la contrazione dell’KHDGFRXQW
UDWLR si mantiene su livelli consistenti e tuttavia non più tali da riassorbire l’eccesso di
povertà presente in questa fascia della popolazione, rispetto a quella complessiva.
22
Per un’analisi puntuale delle incoerenze della struttura degli assegni familiari cfr. Matteuzzi (1996).
7DE/DVSHVDSHUO¶DVVLVWHQ]DLQ,WDOLDGLIIXVLRQHGHOODSRYHUWjKHDGFRXQWUDWLRWUDOHIDPLJOLHEHQHILFLDULH
GHOO¶DVVLVWHQ]DSULPDHGRSRO¶HURJD]LRQHGHOODVSHVDYDORUL
Linea della povertà
Diffusione
della povertà a Diffusione della povertà tra le familivello
glie assegnatarie di assegni al nudell’intera pocleo familiare
polazione
Diffusione della povertà tra le famiglie assegnatarie di pensioni sociali
GRSRO¶DVVHJQR
SULPD
GHOO¶DVVHJQR
GRSRODSHQVLRQH SULPDGHOODSHQ
VLRQH
(a)
(b)
(a) - (b)
(c)
(d)
(c) - (d)
Standard* (reddito
disponibile** medio
pro capite)
12,7
20,6
24,7
10,1
37,1
120% del reddito
medio pro capite (linea al 60%)
19,8
33,5
37,7
23,1
46,3
140% del reddito
medio pro capite (linea al 70%)
28,6
48,5
52,4
41,8
55,2
(*) La linea della povertà è riferita ad un nucleo di due componenti, coerentemente agli standard internazionali, ed è pari a 14,81 milioni annui.
Le linee della povertà delle famiglie di numerosità diversa da due sono ottenute applicando la scala di equivalenza Ocse.
(**) Reddito familiare al netto dell’Irpef e dei trasferimenti pubblici.
)RQWH: elaborazioni con ',5,02'su dati Banca d’Italia (Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nel 1995).
7DEELV/DVSHVDSHUO¶DVVLVWHQ]DLQ,WDOLDGLIIXVLRQHGHOODSRYHUWjKHDGFRXQWUDWLRWUDOHIDPLJOLHEHQHILFLDULH
GHOO¶DVVLVWHQ]DSULPDHGRSRO¶HURJD]LRQHGHOODVSHVDYDORUL
Linea della povertà
Diffusione
della povertà a Diffusione della povertà tra le familivello
glie assegnatarie di pensioni di indell’intera povalidità civile
polazione
Diffusione della povertà tra le famiglie assegnatarie di pensioni integrate al minimo
GRSRODSHQVLRQH SULPDGHOODSHQ
VLRQH
GRSR
SULPDGHOODLQWH
O¶LQWHJUD]LRQHDO JUD]LRQHDOPL
PLQLPR
QLPR
(e)
(f)
(e) - (f)
(g)
(h)
(g) - (h)
Standard* (reddito
disponibile** medio
pro capite)
12,7
11,8
31,8
12,4
40,2
120% del reddito
medio pro capite (linea al 60%)
19,8
22,3
43,6
22,4
48,2
140% del reddito
medio pro capite (linea al 70%)
28,6
26,6
50,7
35,0
55,9
(*) La linea della povertà è riferita ad un nucleo di due componenti, coerentemente agli standard internazionali, ed è pari a 14,81 milioni annui.
Le linee della povertà delle famiglie di numerosità diversa da due sono ottenute applicando la scala di equivalenza Ocse.
(**) Reddito familiare al netto dell’Irpef e dei trasferimenti pubblici.
)RQWH: elaborazioniFRQ',5,02'su dati Banca d’Italia (Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nel 1995).
Per quanto riguarda il sotto insieme di famiglie con almeno una pensione integrata
al minimo, va rilevato che, con una linea al 50%, ben 4 famiglie su 10 risulterebbero
povere VHQ]D O¶LQWHJUD]LRQH (cfr. tab. 5bis). Il godimento dell’integrazione contrae in
modo consistente l’indice di diffusione, portandolo al 12,4%, un valore tuttavia ancora
sostanzialmente allineato con il dato medio nazionale. Riduzioni più contenute
dell’indice si verificano, in termini assoluti, non appena si sposta verso l’alto la linea
della povertà. Ciò fa sì che la quota di famiglie povere, anche dopo l’integrazione, sia
costantemente più alta di quella della popolazione complessiva (22,4% con una linea di
quasi povertà al 60%, 35% con una linea al 70%).
Un impatto decisamente variabile è quello esercitato, infine, dai trattamenti di invalidità civile. L’efficacia distributiva di tale istituto sembra infatti dipendere dal livello al
quale è fissata la linea della povertà. Con una soglia standard, l’erogazione delle pensioni riduce la quota di famiglie povere, inizialmente pari al 31,8%, ad un livello inferiore al dato medio nazionale (11,8 contro 12,7%). L’efficacia si riduce tuttavia in corrispondenza di una soglia appena un po’ più elevata, al 60%: la diffusione della povertà
tra i nuclei comprendenti almeno un invalido civile, pur contraendosi in assoluto di oltre
ventuno punti percentuali, rimane infatti più alta di quella nazionale (22,3 contro
19,8%). Questo andamento, apparentemente in linea con la natura selettiva dell’istituto,
viene ribaltato non appena si consideri una soglia di quasi povertà al 70%: l’erogazione
del sussidio è infatti di nuovo in grado di riportare il valore dell’KHDGFRXQWUDWLR al di
sotto del valore medio nazionale (26,6 contro 28,6%). Il risultato altalenante delle pensioni di invalidità civile è da mettere verosimilmente in relazione alla presenza, per tale
istituto, di limiti di reddito unicamente individuali e non anche familiari, ossia comprensivi del reddito del coniuge.
4. EFFICIENZA ED EFFICACIA DELLA SPESA PER L’ASSISTENZA: UNA SINTESI
L’argomento di gran lunga principale portato a sostegno dei programmi selettivi è
che questi ultimi risulterebbero più efficienti di quelli universali, a parità di spesa,
nell’azione di contrasto della povertà. L’approccio comunemente usato per misurare
l’efficienza relativa dei programmi selettivi fa riferimento in particolare al concetto di
WDUJHWHIILFLHQF\, ovvero alla capacità di un intervento di indirizzare i trasferimenti verso
coloro che sono ritenuti bisognosi23, ed agli indicatori suggeriti sul finire degli anni settanta da W. Beckerman24.
La descrizione degli indicatori risulta agevole se ci si serve dell’analisi grafica,
nell’ipotesi di misurare la povertà in termini di SRYHUW\JDS complessivo e a prescindere
dall’impatto distributivo esercitato dalla tassazione personale.
La figura 1 misura in ascissa la quota cumulata di famiglie ordinate per livelli crescenti di reddito sul totale, mentre la retta <( individua in ordinata il reddito posseduto
prima del trasferimento pubblico25. Se assumiamo che ] indichi il livello del reddito in
corrispondenza del quale è posta la linea della povertà, le famiglie povere saranno
quelle comprese tra l’origine degli assi e 3 mentre la distanza verticale tra la retta <( e
la linea della povertà, ossia l’area (A+D), misura il SRYHUW\JDS complessivo, prima del
trasferimento. Ipotizzando un programma di spesa il cui esborso complessivo sia pari
all’area (A+B+C), la quota di famiglie ancora in povertà dopo il trasferimento si riduce
a P1 e il SRYHUW\JDS complessivo all’area D.
)LJ0LVXUHGLWDUJHWHIILFLHQF\
Y
EFFETTO DEI
TRASFERIMENTI
z
Y1
E
B
C
D
A
Y0
0
23
P1
P0
% DI FAMIGLIE
E’ fin troppo evidente che il termine «efficienza» viene qui utilizzato non nel senso tradizionale della
teoria economica bensì per indicare la capacità del programma di spesa di andare esclusivamente a vantaggio di coloro che rientrano nel WDUJHW prescelto. Lo schema concettuale a cui si farà riferimento prescinde infatti dalle reazioni comportamentali eventualmente indotte dalla spesa.
24
Cfr. Beckerman (1979). Alcune delle misure associate al suo nome, e in particolare la SRYHUW\UHGXFWLRQ
HIILFLHQF\, erano peraltro già state concepite con altri termini da più d’un autore: cfr. Musgrave HW DO.
(1970).
25
Nel grafico si suppone, per comodità, che la funzione di densità di frequenza sia uniforme per redditi
maggiori o uguali a Y0, così che la funzione (inversa) di densità di frequenza cumulata sia lineare rispetto
al reddito.
Gli indicatori suggeriti da Beckerman sono i seguenti: D la YHUWLFDOH[SHQGLWXUHHI
ILFLHQF\, che rappresenta la proporzione di spesa complessiva che va a quelle famiglie
che sarebbero state in povertà in assenza della spesa medesima, ossia il rapporto
(A+B)/(A+B+C); E la SRYHUW\UHGXFWLRQHIILFLHQF\, che esprime la proporzione di spesa
complessiva che consente alle famiglie povere (o ad alcune di esse) di raggiungere la
soglia della povertà, senza oltrepassarla, ossia il rapporto A/(A+B+C); F una misura
dell’eccesso di spesa (VSLOORYHU rispetto a quella strettamente necessaria a portare i poveri sulla soglia ], ossia il rapporto B/(A+B)26. Sulla base di tali definizioni è immediato
dedurre che l’efficienza di un ipotetico istituto assistenziale è inferiore al 100% se vengono effettuati trasferimenti a famiglie al di sopra della soglia di povertà (area C) e se
vengono erogati sussidi di ammontare superiore a quanto è necessario per arrivare alla
soglia ma non oltre (area B).
Nessuno dei tre indicatori fornisce tuttavia una valutazione del SRYHUW\ JDS complessivo residuo, ossia dopo la spesa, mentre è evidente che un programma, pur presentando un alto livello di efficienza, può lasciare in povertà una quota significativa di famiglie. Ciò che si richiede è pertanto una misura di HIILFDFLD, distinta da quelle di efficienza: la capacità della spesa di ridurre la povertà dipende infatti sia dal suo ammontare
assoluto, sia dall’efficienza con la quale la spesa riduce il SRYHUW\JDS27.
Per cogliere la distinzione tra i concetti di efficacia e di efficienza nella lotta alla
povertà ci è d’aiuto di nuovo la figura 1: se, per ipotesi, un nuovo programma di spesa
fosse tale che, dato il medesimo livello <, la retta <( intersecasse la <( non più nel
punto in figura bensì nel punto di coordinate 3], l’inefficienza del trasferimento (le
aree B e C) sarebbe azzerata, ma il SRYHUW\JDS complessivo (l’area D) sarebbe addirittura maggiore di prima. Viceversa, un programma di spesa più inefficiente di quello
originario potrebbe risultare più efficace, ai fini della lotta alla povertà, se si avessero a
L’entità dell’effetto di VSLOORYHU dipende evidentemente dallo specifico obiettivo che si sta perseguendo
(la lotta alla povertà) e dal livello della linea della povertà presa a riferimento: basterebbe infatti assumere
un obiettivo equitativo meno circoscritto (la lotta alla disuguaglianza) o alzare la linea della povertà per
ridurre l’effetto di VSLOORYHU, a parità di tutto il resto. Lo «spreco» di risorse pubbliche potrebbe essere anche la conseguenza di un altro fattore. Va infatti ricordato che, in concreto, i criteri di verifica della condizione economica prevedono l’esclusione di alcune tipologie di reddito o la concessione di franchigie
parziali. In termini della figura 1, un soggetto potrebbe quindi risultare beneficiario di una spesa superiore
a quella necessaria per colmare il SRYHUW\JDS individuale (o addirittura essere oltre la linea della povertà
già prima del trasferimento) senza che ciò sia formalmente sinonimo di WDUJHWLQHIILFLHQF\.
27
Cfr. Weisbrod (1970), che distingue tra efficienza verticale e orizzontale della spesa.
26
disposizione maggiori risorse. Per questo motivo è opportuno disporre di un indicatore
di efficacia: un indice utile allo scopo è il SRYHUW\JDSHIILFLHQF\, che misura la riduzione proporzionale del SRYHUW\JDS complessivo nel passaggio da prima a dopo la spesa.
In termini della figura 1, esso è rappresentato dal rapporto A/(A+D).
Una volta richiamate le principali misure di efficienza e di efficacia, è possibile cogliere anche in termini di questi indicatori il deludente impatto distributivo degli istituti
assistenziali considerati nel paragrafo precedente (cfr. tab. 6).
7DE7DUJHWHIILFLHQF\GHLSULQFLSDOLLVWLWXWLDVVLVWHQ]LDOLLQ,WDOLDYDORUL
9HUWLFDO([
3RYHUW\UHGXF
SHQGLWXUH(IIL
WLRQHIILFLHQF\
6SLOORYHU
3RYHUW\JDSHI
ILFLHQF\
FLHQF\
Assegni al nucleo familiare
40,73
37,68
7,49
12,67
Pensioni integrate al minimo
42,69
27,24
36,20
21,90
Pensioni sociali
39,62
27,91
29,55
5,61
Pensioni di invalidità civile*
32,58
20,35
37,54
1,69
Pensioni di guerra
6,74
2,10
68,88
0,05
Tutti gli istituti
45,11
31,42
30,36
35,31
(*) Escluse le indennità di accompagnamento per invalidi civili totali.
)RQWH: elaborazioni con ',5,02'su dati Banca d’Italia (Indagine sui bilanci delle famiglie italiane
nel 1995).
Un primo indizio della limitata capacità delle politiche vigenti di andare a vantaggio delle famiglie in povertà è dato dal modesto valore della YHUWLFDOH[SHQGLWXUHHIIL
FLHQF\ che, anche nel caso più ottimistico degli assegni familiari e delle pensioni integrate al minimo, non supera il 43%: oltre la metà della spesa stanziata per ciascun singolo istituto va pertanto a favore di nuclei familiari il cui reddito è superiore alla soglia
di povertà ancor prima del trasferimento. Non sorprendentemente il valore di tale indicatore crolla al 7% circa nel caso delle pensioni di guerra, essendo queste ultime uno
delle pochissime voci di spesa non subordinate alla prova dei mezzi.
Il giudizio relativamente positivo che in precedenza si era dato degli assegni al nucleo familiare è confermato anche da questa batteria di indicatori. E’ infatti questa
l’unica voce di spesa con una SRYHUW\UHGXFWLRQHIILFLHQF\ che sfiora il 38%, a fronte di
valori per gli altri istituti che non superano il 28% per le pensioni sociali e per quelle
integrate al minimo e il 21% per i trattamenti di invalidità civile. L’esame dei livelli
comparati di VSLOORYHU assegna in modo definitivo agli assegni familiari la palma di istituto meno inefficiente: solo il 7% circa della spesa riservata ai poveri risulterebbe «in
eccesso» rispetto a quella strettamente necessaria per raggiungere la soglia di povertà.
Sempre la tab. 6 (cfr. ultima colonna) registra il sensibile contributo delle pensioni
integrate al minimo nel ridurre il SRYHUW\JDS complessivo (21,9%), effetto quest’ultimo
dovuto più ad un effetto di cassa che ad un’appropriata selezione dei beneficiari. Si noti
a questo proposito il valore pressoché trascurabile del SRYHUW\JDSHIILFLHQF\ per le pensioni di invalidità civile, in parte anche dovuto alla forte sottostima della spesa
nell’indagine campionaria della Banca d’Italia.
5. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
La stima degli effetti distributivi dei principali istituti assistenziali di tipo monetario
vigenti in Italia, pur bisognosa di ulteriori verifiche e approfondimenti, conferma le valutazioni fortemente critiche sull’attuale sistema espresse in altri studi.
Dalle stime da noi effettuate risulta che la ripartizione dei benefici, con particolare
riferimento alle pensioni sociali e ai trattamenti di invalidità civile, è quanto meno casuale e comunque non ristretta alle famiglie aventi risorse economiche limitate. Lo
spreco distributivo implicito in tali forme di assistenza è in larga parte condiviso dalle
pensioni integrate al minimo, che da sole assorbono oltre la metà dell’assistenza complessiva. Ciò è in evidente contraddizione non solo con gli inevitabili criteri di selettività che, dati i persistenti vincoli di bilancio pubblico, è opportuno informino in futuro il
sistema ma anche con le finalità distributive che dovrebbero guidare i flussi di spesa
correnti.
Una valutazione dell’efficienza e dell’efficacia dell’assistenza pubblica nell’azione
di contrasto alla povertà non può ovviamente prescindere dall’entità degli importi monetari accordati a livello pro capite. Sotto questo profilo va rimarcata la mancanza di
uniformità di prestazioni ed il fatto che tutti gli importi monetari, senza eccezione alcuna, risultano inferiori ad una soglia convenzionale di povertà, posta uguale al reddito disponibile medio pro capite. Ciò vale, si noti, anche per l’istituto maggiormente generoso, l’assegno al nucleo familiare. La sostanziale inadeguatezza degli attuali trasferimenti
monetari nel tutelare le famiglie in condizioni di urgente bisogno economico trova con-
ferma nelle nostre elaborazioni. Anche dopo la spesa, infatti, una percentuale considerevole di famiglie, tra quelle appartenenti alle categorie assistite, permane in uno stato di
povertà. Tale percentuale è quasi sempre superiore al valore medio nazionale
dell’KHDGFRXQWUDWLR, calcolato sull’intera popolazione.
L’insoddisfacente performance delle politiche assistenziali vigenti viene registrata,
in forma sintetica, anche dalle misure di WDUJHWHIILFLHQF\ alla Beckerman, che confermano il quadro di sostanziale irrazionalità nella distribuzione complessiva della spesa
corrente e i limiti specifici dei singoli istituti.
Gli insufficienti risultati distributivi conseguiti dai trasferimenti monetari sembrano
dipendere, oltre che dall’assenza di un istituto non categoriale rivolto a tutti i cittadini
poveri in quanto tali, dalle numerose incongruenze che caratterizzano il capillare, ancorché rozzo, sistema di verifica dei mezzi vigente in Italia28. Quelle più macroscopiche
riguardano l’insoddisfacente definizione dell’ambito familiare a cui si applica il PHDQV
WHVWLQJ (solitamente la coppia ma talvolta anche il singolo beneficiario, indipendentemente dal fatto che sia coniugato o no, come nel caso delle pensioni di invalidità civile),
il riferimento pressoché esclusivo al reddito imponibile a fini Irpef (con conseguenti
problemi di disparità di trattamento tra diverse tipologie di reddito, in relazione ai casi
di erosione ed evasione fiscale), l’applicazione di scale di equivalenza del tutto stravaganti per tenere conto della presenza del coniuge o della diversa composizione del nucleo familiare (come nel caso dell’assegno al nucleo) e l’assoluta mancanza di uniformità nei limiti di reddito che sanciscono la riduzione graduale del beneficio monetario
ed il raggiungimento della soglia di esclusione dal medesimo.
In tale contesto la determinazione di nuovi criteri di selezione dei potenziali beneficiari, capaci di rilevare in maniera più corretta le risorse economiche di questi ultimi,
appare non più procrastinabile. In una direzione promettente si muove, a questo proposito, il d. lgs. n. 109 dello scorso 31 marzo che definisce criteri unificati di valutazione
della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate.
L’istituzione dell’Indicatore della situazione economica (Ise) sembra porre le premesse
per il superamento del rudimentale e disomogeneo sistema di verifica dei mezzi attualmente impiegato per stabilire l’inclusione/esclusione dei potenziali beneficiari della
spesa, l’importo delle prestazioni monetarie e il grado di compartecipazione alla coper28
Dalla prova dei mezzi, lo ricordiamo, sono escluse solo le pensioni di guerra e le indennità di accompa-
tura finanziaria delle stesse, se erogate sotto forma di servizi29.
La nuova disciplina che si applicherà nella fase di sperimentazione alle sole prestazioni in natura fornite a livello locale (servizi di asili nido e scuole per l’infanzia, mense
scolastiche, assistenza domiciliare, case protette e centri diurni per anziani, appoggio
all’handicap in area scolastica, ecc.), individua nel reddito, nel patrimonio e nella composizione del nucleo familiare del richiedente gli ingredienti di base dell’Ise30. Alla disciplina dell’Ise rinviano, pur con alcune eccezioni, anche le recenti disposizioni in materia di riordino della partecipazione alla spesa sanitaria (il cosiddetto «sanitometro») e
lo schema di decreto legislativo, definitivamente approvato dal Governo ai primi di giugno, che introduce per la prima volta in Italia un istituto monetario non categoriale di
contrasto della povertà (il Reddito minimo d’inserimento). Rimangono invece esclusi
dall’Ise le prestazioni erogate a livello centrale (pensioni e assegni sociali, trattamenti di
invalidità civile, assegni al nucleo familiare, pensioni integrate al minimo), per le quali è
tuttavia
ragionevole
ipotizzare,
una
volta
conclusa
la
sperimentazione,
l’assoggettamento alla nuova normativa. Ciò in considerazione del fatto che è soprattutto nell’ambito delle prestazioni monetarie che si concentrano le smagliature più macroscopiche degli attuali criteri di selezione dei beneficiari.
Il decreto istitutivo dell’Ise lascia consistenti margini di flessibilità agli enti erogatori, per quanto concerne in particolare la scelta dell’unità familiare di riferimento e la
combinazione del reddito con il patrimonio. Sembra pertanto ragionevole sostenere che
la fiducia riposta nel nuovo indicatore, quale primo cruciale tassello della riforma delle
politiche sociali, può trovare conferma solo nella misura in cui verrà assicurato un corretto equilibrio tra uniformità di criteri e flessibilità nella loro applicazione31. Solo se gli
gnamento a favore di non vedenti e invalidi civili.
29
Il modello normativo a cui plausibilmente si ispira la disciplina dell’Ise è quello che regola gli interventi in materia di diritto allo studio universitario, relativamente all’assegnazione di borse di studio da
parte delle Regioni e agli esoneri, totali e parziali, da tasse e contributi universitari: cfr., da ultimo, DPCM
(30.4.1997). Per un esame delle prime fasi di applicazione della normativa del triennio precedente si veda
Silvestri HWDO (1996).
30
Secondo il decreto istitutivo l’Ise è definito dal reddito complessivo ai fini Irpef e dal reddito da attività
finanziarie, determinato applicando il rendimento annuo dei titoli decennali del Tesoro al patrimonio mobiliare, al netto della franchigia di 2,5 mln. se il nucleo familiare risiede in un immobile in affitto.
L’indicatore è poi combinato, nel limite massimo del 20%, con quello della situazione patrimoniale, mobiliare e immobiliare, a meno di una franchigia di 50 mln., elevabile fino a 70 mln. se il nucleo risiede in
abitazione di proprietà. Una volta calcolato, l’Ise è infine espresso in termini equivalenti, ossia rapportato
ad un coefficiente che tiene conto del numero dei componenti della famiglia del richiedente.
31
Per un’attenta ed articolata valutazione della nuova disciplina, e delle sue applicazioni in tema di «sanitometro» e Reddito minimo d’inserimento, cfr. Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica (1998).
enti erogatori sapranno infatti assecondare lo spirito contenuto nella regolamentazione
nazionale sarà possibile evitare il pericolo, da alcuni paventato, della trasformazione
dell’Ise in uno strumento vessatorio, impropriamente utilizzato per stanare gli evasori ed
esaltare i poteri degli apparati amministrativi, e procedere, viceversa, nella direzione di
un modello di ZHOIDUH universale, tipico dei sistemi più evoluti dell’Europa centrosettentrionale.
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Daniela Mantovani e Stefano Toso Nota di lavoro n