Avviso 5/2011 – Documento finale – Allegato 2/9
2_L’INSERIMENTO DEGLI STRANIERI NEL
MERCATO DEL LAVORO ITALIANO
TEMI AFFRONTATI
Il mercato del lavoro
I lavori degli stranieri
La ricerca del lavoro
I lavoratori domestici
L’occupazione straniere nelle piccole e medie imprese
I giovani stranieri nel mercato del lavoro
La domanda di manodopera straniera
Indice di attrattività occupazionale
I salari degli stranieri
Le rimesse
Gli imprenditori stranieri
Valore aggiunto prodotto dalle imprese condotte da stranieri
I redditi dichiarati dagli stranieri
Stranieri e finanza pubblica
Le nuove misure fiscali e l’immigrazione
L’impatto fiscale dell’immigrazione
Il comportamento economico delle famiglie stranieri
Il disagio economico delle famiglie straniere
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Il mercato del lavoro
L’apporto degli stranieri al mercato del lavoro italiano è sempre più rilevante; basti pensare
che nel 2011 gli stranieri rappresentavano più del 7% del totale della popolazione residente in
Italia1 e costituivano il 9,8% del totale degli occupati (oltre 2 milioni di occupati); un valore in
aumento rispetto al 9,1% del 2010. Se si considerano i valori assoluti, come il numero di
occupati, nemmeno la crisi sembra aver interrotto la crescita dell’occupazione straniera in
Italia; tuttavia se si fa riferimento al tasso di disoccupazione la recessione economica sembra
aver avuto importanti ripercussioni sulla condizione lavorativa degli immigrati.
Tra il 2008 e il 2011 il numero di occupati stranieri è aumentato di oltre 500 mila unità; al
contrario il numero di occupati italiani è diminuito di circa 938 mila unità. Nonostante
l’incremento del numero di occupati, il tasso di occupazione2 è sceso dal 67,1% al 62,3%; ciò
significa che l’incremento del numero di occupati è stato inferiore all’aumento della popolazione
di riferimento3. Rispetto al totale degli occupati, la partecipazione degli stranieri al mercato del
lavoro è particolarmente rilevante in Umbria (13,8%), nel Lazio (12,8%) e in Lombardia
(12%). Nello stesso periodo il tasso di disoccupazione degli stranieri è cresciuto di 3,6 punti
percentuali, passando dall’8,5% al 12,1%, mentre quello degli italiani è passato dal 6,6%
all’8,0%. L’analisi dei tassi di disoccupazione sembra confermare la fragilità della popolazione
straniera rispetto alla crisi; tuttavia è importante sottolineare che il tasso di disoccupazione è il
rapporto tra il numero di disoccupati e le forze lavoro (che includono occupati e persone in
cerca di occupazione) e quindi non tiene conto dei diversi tassi di attività delle due popolazioni.
In Lombardia tra il 2008 e il 2011 il numero dei disoccupati italiani è aumentato di quasi 58
mila unità e quello degli stranieri di poco più di 35 mila. Anche in Emilia Romagna l’incremento
è stato consistente: oltre 21 mila stranieri e 23 mila italiani disoccupati in più, così come in
Piemonte (quasi 30 mila disoccupati italiani in più e 25 mila disoccupati stranieri). In Campania
invece la situazione appare particolarmente preoccupante per gli italiani, con quasi 44 mila
disoccupati in più.
Per comprendere meglio se e in che modo la crisi abbia inciso sulla condizione lavorativa degli
stranieri è utile approfondire i dati sulle transizioni occupazionali. In particolare tra il 2009 e il
2010 la percentuale di stranieri che sono passati dall’occupazione alla disoccupazione è
maggiore (5,5%) di quella degli italiani (2,0%); viceversa gli stranieri hanno maggiori
probabilità di ritornare occupati dopo un periodo di disoccupazione (33,1% contro il 22,4%
degli italiani) perché gli italiani tendono più frequentemente a diventare inattivi (45,9%, contro
30,8% degli stranieri). Negli ultimi anni la presenza delle donne straniere all’interno del
mercato del lavoro italiano è diventata sempre più rilevante. Nel 2010 le donne straniere
1
Secondo i dati Istat al 1° gennaio 2011.
Il tasso di occupazione è il rapporto tra gli occupati e la corrispondente popolazione di riferimento.
3
L. Zanfrini, Il lavoro, in Fondazione Ismu, Sedicesimo rapporto sulle migrazioni 2010, Milano, Franco Angeli, 2010, p.
100.
2
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rappresentavano il 9,4% del totale delle occupate in Italia, mentre nel 2011 la percentuale è
salita al 10,3%.
La crisi economica sembra aver contribuito anche a mantenere la segregazione occupazionale
degli stranieri nel mercato del lavoro italiano. Quasi il 90% degli occupati stranieri è impiegato
come operaio, e i lavoratori stranieri rappresentano poi circa il 30% del totale degli occupati in
lavori low skilled e meno del 2% dei lavoratori high skilled. Gli stranieri sono anche più
frequentemente impiegati in settori particolarmente esposti al ciclo economico (come l’edilizia,)
e con contratti meno stabili. Negli ultimi anni infatti la diffusione del lavoro a termine è
aumentata in modo più significativo tra gli stranieri rispetto agli italiani: tra il 2010 e il 2011 la
percentuale di lavoratori a termine sul totale degli stranieri occupati è passata dal 14,1% al
14,9%, mentre tra gli italiani l’incremento è stato molto più contenuto, inferiore al punto
percentuale (dall’11,0% all’11,5%). Questi dati sembrano quindi confermare la difficoltà del
sistema economico italiano a valorizzare e a sfruttare le competenze e le conoscenze dei
lavoratori immigrati.
Anno di riferimento: 2008-2011
Territorio: Italia
Parole chiave: mercato del lavoro, occupazione, tasso di occupazione, disoccupazione, tasso di
disoccupazione, professioni, tipologie contrattuali, lavoro a termine
Bibliografia:
-
http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2010/10/Disoccupatistranieri-in-Italia_Ottobre-2010.pdf
-
http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/06/Il-mercato-dellavoro-straniero-nel-2010.pdf
-
http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/06/Mercato-del-lavoro2011.pdf
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I lavori degli stranieri
Gli stranieri svolgono prevalentemente lavori scarsamente qualificati. Secondo i dati Istat
2010, il 37,7% degli stranieri lavora in posizioni non qualificate e gli stranieri rappresentano
circa un terzo di tutti i lavoratori impiegati in queste mansioni. Nello specifico oltre mezzo
milione di immigrati lavorava come addetto non qualificato nei servizi di pulizia (spazzini,
collaboratori domestici, addetti alla pulizia nelle imprese), 226 mila sono muratori, carpentieri,
ponteggiatori, 144 mila sono cuochi, camerieri e baristi. Se dall’analisi dei numeri assoluti si
passa all’esame della presenza degli stranieri in rapporto al totale degli occupati, si evidenzia
come il 52,4% di tutto il personale non qualificato dei servizi di pulizia sia straniero. Un altro
comparto in cui la presenza degli stranieri è particolarmente rilevante è quello delle
costruzioni, dove i lavoratori stranieri rappresentano il 32,7% di tutti gli occupati nelle
mansioni non qualificate. Dal 2007 al 2010 il numero di stranieri è cresciuto maggiormente
proprio tra le professioni low skilled (356 mila lavoratori in più), mentre una tendenza inversa
si è registrata tra gli italiani: dal 2007 al 2010 i lavoratori italiani non qualificati sono diminuiti
di circa 33 mila unità. Prendendo in esame le professioni più esercitate dagli stranieri, si
osserva una progressiva sostituzione della manodopera italiana – che è sempre meno
disponibile a svolgere alcune mansioni – con i lavoratori stranieri. Nel commercio ambulante e
tra i tinteggiatori, i laccatori e i parchettisti si registra una sostituzione quasi perfetta, cioè
l’afflusso di lavoratori stranieri corrisponde agli abbandoni degli italiani. Per alcune professioni
del turismo (cuochi, camerieri, baristi) e dell’industria (saldatori, montatori e lattonieri) si
osserva invece una ‘over sostituzione’, ovvero i nuovi ingressi di stranieri hanno superato la
contrazione del numero di lavoratori italiani, un dato che sembra confermare la tendenza alla
progressiva etnicizzazione di alcuni ambiti lavorativi non qualificati. Vi sono poi alcune
professioni in cui gli ingressi degli stranieri non sono riusciti a compensare la riduzione del
numero di lavoratori italiani. È il caso, tra gli altri, dei magazzinieri, dei manovali, dei muratori
e dei braccianti agricoli.
Anno di riferimento: 2007-2010
Territorio: Italia
Parole chiave: mercato del lavoro, professioni, occupazione, etnicizzazione occupazionale, sostituzione
italiani stranieri
Bibliografia: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/02/Occupazionestraniera-per-settori-e-professione.pdf
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La ricerca del lavoro
La crisi ha avuto serie ripercussioni sul mercato del lavoro. La Fondazione Leone Moressa ha
deciso di esaminare più in dettaglio le aspirazioni lavorative degli stranieri disoccupati,
confrontandole con quelle dei lavoratori italiani. In Italia nei primi nove mesi del 2011 i
disoccupati stranieri hanno raggiunto la cifra di 300 mila unità e il tasso di disoccupazione è
salito all’11,1%. L’86,1% dei
disoccupati
stranieri
vorrebbe trovare un lavoro come
dipendente, meglio se a tempo indeterminato (97,4%). Anche gli italiani preferirebbero trovare
lavoro come dipendente (94,2%), ma rispetto agli stranieri, sono più aperti alla possibilità di
avviare un’attività autonoma.
Sebbene le posizioni indeterminate siano quelle più ambite, i disoccupati italiani e stranieri
sono consapevoli degli attuali problemi del mercato del lavoro italiano: in mancanza di un
lavoro subordinato a tempo indeterminato, la quasi totalità degli stranieri sarebbe disposta ad
accettare anche contratti a termine (98,3%). Per quanto riguarda l’orario di lavoro, quasi la
metà degli stranieri è interessata ad un’occupazione a tempo pieno (48,4%), mentre il 37,4%
non
esprime
preferenze.
Al
contrario
il
45,3%
degli
italiani
potrebbe
accettare
indifferentemente un’occupazione part time o full time, mentre solo il 42,1% cerca un lavoro a
tempo pieno. Nel caso in cui non fosse disponibile un lavoro full time, la quasi totalità degli
stranieri (così come degli italiani) sarebbe disposta anche ad accettare un part time. Gli
stranieri disoccupati si attendono un guadagno di 895 euro mensili, oltre 70 euro in meno di
quello auspicato dagli italiani. Anche a causa della minor disponibilità di mezzi di trasporto
privati, il 21,3% dei disoccupati stranieri non vorrebbe però lavorare in un comune diverso da
quello di residenza, contro il 14,4% degli italiani.
Le modalità di ricerca del lavoro degli italiani differiscono almeno in parte da quelle degli
stranieri. L’85,3% dei disoccupati stranieri si rivolge a parenti, amici o conoscenti per cercare
un lavoro, mentre il 28,3% si rivolge ad agenzie interinali o cerca lavoro su internet. Tra gli
italiani disoccupati è invece molto più diffuso l’utilizzo di internet (45,8%), mentre il ricorso
alle reti amicali e familiari, sebbene sia ampiamente diffuso, è un po’ meno rilevante (75,5%).
Anno di riferimento: 2011
Territorio: Italia
Parole chiave: mercato del lavoro, disoccupazione, aspirazioni lavorative, ricerca del lavoro
Bibliografia: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/01/Lavororicercato-dagli-stranieri-disoccupati.pdf
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I lavoratori domestici
Secondo i dati dell’Inps4, in Italia i lavoratori domestici regolarmente iscritti all’Inps sono oltre
871 mila. Di questi l’81,5% era un cittadino straniero, generalmente proveniente da un paese
extra Ue (71,8%). Dal 2001 al 2010 il numero di lavoratori domestici stranieri è quintuplicato
raggiungendo il numero di 711 mila (+408,3%). Complessivamente i lavoratori domestici
stranieri versano nelle casse dell’Inps 699 milioni di euro, pari all’83,9% del totale dei
contributi, con un aumento del 487,6% rispetto al 2001. In media ciascun lavoratore straniero
versa 985 euro; una cifra che aumenta sino a 1.000 euro se si considerano i soli lavoratori non
comunitari.
Nonostante la crisi, la richiesta di manodopera straniera per la cura della persona e della casa
è quindi rimasta sostanzialmente inalterata. Il progressivo invecchiamento della popolazione,
la maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro e la scarsità di servizi assistenziali
pubblici spinge sempre più famiglie ad affidare a terzi i compiti di cura e assistenza.
Il 14,7% del totale dei collaboratori domestici italiani lavora a Roma (104 mila iscritti all’Inps),
a Milano l’11,5% e a Torino il 4,4%. In quasi tutto il territorio italiano la presenza degli
stranieri è preponderante tra i lavoratori domestici. Fa eccezione la Sardegna, dove la maggior
parte dei lavoratori domestici è italiana. Se si esamina il rapporto il numero di lavoratori
domestici al numero degli anziani over 75 residente, nelle province di Roma e di Milano si
registrano i valori più elevati: ogni mille persone con più di 75 anni a Roma ci sono 259
lavoratori domestici e a Milano 209, contro un dato medio nazionale di 116.
E’ interessante tracciare un breve profilo dei lavoratori domestici. Indipendentemente dalla
cittadinanza, i lavoratori domestici sono prevalentemente donne. Le lavoratrici italiane hanno
mediamente 46 anni, lavorano per 20 ore la settimana e dichiarano 36 settimane lavorative
all’anno. Le collaboratrici domestiche straniere sono più giovani delle italiane (in media hanno
41 anni), lavorano per 28 ore settimanali e dichiarano 33 settimane lavorative all’anno. La
retribuzione annua delle straniere è di 5.828 euro contro i 4.805 euro delle italiane. Più della
metà delle lavoratrici domestiche straniere proviene dall’Est Europa (57,3%) e il 20,5% dal
continente asiatico.
Anno di riferimento: 2007-2010
Territorio: Italia
Parole chiave: lavoro domestico, badanti, contributi, retribuzione, occupazione femminile
Bibliografia: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/01/Famiglie-ebadanti.pdf
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Dati Inps 2010.
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L’occupazione straniera nelle piccole e medie imprese
Il ricorso alla manodopera straniera è ormai un fattore strategico per le piccole imprese; ciò
nonostante sono ancora pochi gli studi relativi all’inserimento lavorativo degli stranieri in
queste imprese. La Fondazione Leone Moressa ha quindi ritenuto opportuno realizzare
un’indagine periodica sull’occupazione degli stranieri nelle piccole imprese5. Tra il 2° semestre
2011 e il 1° semestre 2011 l’occupazione straniera nelle piccole imprese è aumentata dello
0,8%. L’andamento è positivo in quasi tutti i settori, fatta eccezione per l’edilizia, comparto in
cui si registra un calo dello 0,6%. Nello stesso periodo l’occupazione degli italiani nelle piccole
e medie imprese è diminuita dell’1,3%. Il 30% dei lavoratori stranieri delle piccole imprese è
impiegato nel settore edile, mentre il 39,6% lavora presso aziende manifatturiere. Nel settore
dei servizi alle imprese è invece impiegato il 15,8% del totale dei lavoratori stranieri, e in
quello dei servizi alle persone il 14,6%. Nonostante l’importanza della manodopera straniera
per le piccole imprese, i lavoratori immigrati sono impiegati prevalentemente in professioni
scarsamente qualificate. La maggioranza è inquadrata come operaio generico (60,6%), il
37,0% come operaio specializzato e solo il 2,4% come impiegato. Generalmente le piccole
imprese non richiedono un’esperienza lavorativa particolare: per il 53,5% degli imprenditori
intervistati è sufficiente avere un’esperienza lavorativa generica e il 10,4% non richiede alcun
tipo di esperienza. Solo il 36,1% delle imprese indica tra i requisiti un’esperienza specifica nel
settore d’impiego. La mobilità sociale dei dipendenti stranieri delle piccole imprese è quindi
piuttosto limitata, e questa condizione rischia di essere un limite anche per lo sviluppo futuro
delle imprese stesse, soprattutto nella competizione sui mercati internazionali.
Anno di riferimento: 2011
Territorio: Italia
Parole chiave: piccole imprese, mercato del lavoro, professioni
Bibliografia:
- studio 1° semestre 2011 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wpcontent/uploads/2012/06/Osservatorio-sulloccupazione-straniere-nelle-PI-italiane-1%C2%B0sem-2011.pdf;
- studio 2° semestre 2011 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wpcontent/uploads/2012/02/Osservatorio-occupazione-straniera-nelle-PI-italiane-2%C2%B0sem-2011.pdf.
5
L’indagine è stata realizzata in collaborazione con Panel Data con metodo CATI e ha interessato oltre 800 imprese
nell’universo della piccola impresa in Italia con lavoratori stranieri.
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I giovani stranieri nel mercato del lavoro
La Fondazione Leone Moressa ha ritenuto opportuno dedicare un approfondimento alle
condizioni lavorative dei giovani stranieri. In Italia nel 2011 si contavano 455 mila giovani6
occupati stranieri, pari al 14,2% di tutti gli occupati tra i 15 e i 30 anni. I disoccupati invece
erano poco meno di 100 mila e rappresentavano l’11,8% di tutti i disoccupati di questa fascia
di età. Ciò significa che l’apporto dei giovani stranieri al sistema produttivo italiano è
particolarmente rilevante. È comunque importante sottolineare che benché il tasso di
disoccupazione dei giovani stranieri sia più basso di quello italiano (17,2% contro 20,4%) il
valore è comunque superiore a quello registrato per la popolazione straniera nel suo complesso
(12,1%). Se per i giovani italiani il periodo di disoccupazione dura in media quasi un anno e
mezzo, per gli stranieri il periodo è leggermente più breve, pari a circa un anno. Bisogna infatti
considerare
che
non
solo
la
giurisdizione
italiana
vincola
il
permesso
di
soggiorno
all’occupazione regolare, ma anche che gli stranieri, rispetto agli italiani, non possono godere
dell’ammortizzatore sociale costituito dalle reti familiari.
I giovani occupati stranieri sono inquadrati con contratti più stabili rispetto ai giovani italiani:
tra gli stranieri l’incidenza del lavoro atipico7 è del 26,6%, contro il 33,4% degli italiani. Gli
stranieri sono però prevalentemente inquadrati come operai (83,2%) e solo il 10,2% è un
impiegato, contro il 42,3% e il 49,0% degli italiani. Più di un quarto dei giovani stranieri
(28,1%) svolge un lavoro low skilled, mentre appena il 7,5% ricopre ruoli altamente qualificati,
contro il 42,3% degli italiani. Il problema del sottoinquadramento (che riguarda anche i giovani
italiani) è particolarmente diffuso tra i giovani stranieri: quasi il 36% è sottoinquadrato, contro
il 27,7% degli italiani. La condizione lavorativa dei giovani stranieri è quindi per molti versi
peggiore (e più incerta) di quella degli italiani. Gli stranieri hanno livelli di scolarizzazione
medio-bassi e ricoprono professioni scarsamente qualificate in settori caratterizzati da una
forte discontinuità. Tra i giovani italiani e stranieri è poi molto diffuso il lavoro in orari
disagevoli – il 20,9% dei giovani stranieri e il 19,0% degli italiani lavora la sera – ed è
piuttosto frequente il lavoro in giorni festivi: circa un quarto dei giovani italiani e stranieri
lavora la domenica.
Anno di riferimento: 2011
Territorio: Italia
Parole chiave: occupazione giovanile, disoccupazione, lavoro atipico, sottoinquadramento
Bibliografia: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/02/I-giovanioccupati-stranieri-e-italiani-a-confronto.pdf
6
Per giovani si intendono qui gli individui con età compresa tra i 15 e i 30 anni.
Percentuale ottenuta rapportando gli occupati con contratti a termine (a tempo determinato e collaboratori) e il totale
degli occupati.
7
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La domanda di manodopera straniera
Il sistema informativo Excelsior di Unioncamere consente di monitorare la domanda di
lavoratori immigrati da parte delle imprese italiane. L’importanza di questa indagine consiste
non tanto nella capacità predittiva, quanto nella possibilità di analizzare e seguire l’evoluzione
della domanda di lavoratori stranieri anche da un punto di vista qualitativo. Nell’ultimo
decennio la domanda di lavoratori stranieri non stagionali è stata caratterizzata da dinamiche
differenti. Se all’inizio degli anni duemila si è assistito ad una rapida fase espansiva (le
assunzioni previste per il 2003 ammontavano a 229 mila, il 55,6% in più rispetto al 2001), a
partire dal 2004 il fabbisogno si è progressivamente ridotto. Nel 2007 si è invece registrato un
nuovo picco (235.800 posti di lavoro previsti), ma l’incremento è stato di breve durata: già nel
2009, con l’emergere della crisi economica, le assunzioni previste sono scese a 92 mila e il
2011, con solo 86 mila assunzioni, ha segnato un nuovo punto di minimo. Di conseguenza
anche l’incidenza delle assunzioni degli stranieri rispetto al totale è drasticamente diminuita: se
nel 2001 il 20,3% delle assunzioni previste riguardava personale straniero, nel 2011 la
percentuale è scesa al 14,2%.
La maggior parte della domanda di manodopera straniera delle industrie delle imprese e dei
servizi proviene dalle province di Milano e Roma, ma anche questi territori hanno risentito della
crisi: se nel 2010 a Roma erano previste 11.530 assunzioni di stranieri, nel 2011 la domanda è
calata a 7.180. Rispetto al totale delle assunzioni previste, nel 2010 erano le province di
Parma, Forlì Cesena e Prato a impiegare il maggior numero di stranieri, mentre nel 2011
Mantova, Parma e Ravenna hanno espresso in termini relativi la maggiore richiesta.
Nel complesso, rispetto alle tendenze degli ultimi anni, la crisi ha segnato una battuta di
arresto nel processo di qualificazione della domanda di lavoro straniero e un riacutizzarsi del
fenomeno di segregazione occupazionale. Nel 2010 le assunzioni programmate riguardavano
generalmente professioni qualificate nelle settore terziario (27%) e in particolare nel comparto
dei servizi alle persone (21,8%), con un’esperienza specifica nel settore (54,6%). Nel 2011 la
richiesta di personale straniero è invece arrivata generalmente da imprese con più di 50
dipendenti del settore delle costruzioni (18,2%) ed era finalizzata prevalentemente a reperire
operai specializzati (26,9%) e di addetti non qualificati (25,3%). Non bisogna poi dimenticare
che una parte della richiesta di manodopera straniera è destinata al reclutamento di lavoratori
stagionali, soprattutto nei mesi estivi: ad esempio nel III trimestre del 2011 la maggior parte
della richiesta di lavoratori immigrati (stagionali e non stagionali) proveniva dal settore
turistico e le professioni più richieste erano quelle di cuoco e cameriere.
Anno di riferimento: 2000-2011
Territorio: Italia
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Parole chiave: fabbisogno occupazionale, occupazione stagionale
Bibliografia:
-studio 2011 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2010/10/Previsione-diassunzione-stranieri-nel-2010_Agosto-2010.pdf;
-studio 2010 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2010/10/Previsione-diassunzione-stranieri-nel-2010_Agosto-2010.pdf;
-studio III trimestre 2011 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wpcontent/uploads/2011/07/comunicato-stampa_la-richiesta-di-manodopera-straniera1.pdf.
Indice di attrattività occupazionale
La Fondazione Leone Moressa ha quindi costruito un indice che potesse fornire una stima
dell’attrattività occupazionale straniera nel territorio nazionale. Con il termine ‘attrattività
occupazionale’ si vuole indicare l’abilità di richiamare (e far rimanere) i lavoratori dall’estero.
Per costruire l’indice di attrattività occupazionale sono stati presi in considerazione una serie di
indicatori che valutano: la richiesta del mercato italiano di manodopera proveniente dall’estero,
la tipologia degli impieghi offerti agli stranieri, l’impatto della recessione economica, le
retribuzioni percepite, la ricchezza dichiarata e le esigenze demografiche del territorio (ovvero
di favorire un ricambio generazionale nella forza lavoro). La combinazione di questi elementi
permette di valutare quali regioni italiane sappiano meglio favorire l’inserimento lavorativo
degli stranieri.
Anche se non è possibile operare un confronto diretto tra gli studi elaborati nei diversi anni 8, le
regioni del Nord Italia sembrano avere una maggiore capacità di valorizzare il lavoro degli
immigrati. Nel 2009 le regioni più inclusive, almeno dal punto di vista lavorativo, erano Friuli
Venezia Giulia, Lombardia e Trentino Alto Adige; viceversa l’attrattiva esercitata da Calabria,
Puglia e Molise appariva piuttosto limitata. Nel 2010 e nel 2011, nonostante la crisi, le regioni
del Centro-Nord sembrano essere comunque i territori potenzialmente più idonei per
l’integrazione economica e lavorativa degli stranieri. In particolare nel 2010 (modifica il
collegamento con il link al pdf che lo trovi sotto) in Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Lazio si
registrava un indice di attrattività occupazionale particolarmente alto: posto pari a 100 il valore
medio italiano, in queste regioni l’indice raggiungeva rispettivamente il valore di 123,1, 122,5
e 112,9; al contrario in Calabria il valore era di appena 20,9. Nel 2011 invece i valori più alti si
sono registrati in Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto, mentre Puglia e Calabria sono le
regioni con il minor potenziale di inclusione lavorativa.
8
Non è possibile operare un confronto diretto tra i diversi studi perché la composizione dell’indice di attrattività
occupazionale è stata modificata nel 2011.
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La capacità delle regioni di investire nel capitale umano dei lavoratori stranieri è quindi
fondamentale non solo per l’integrazione economica e sociale degli immigrati, ma anche per la
crescita delle economie territoriali. In questo senso, la scarsa capacità di attrarre e assorbire
manodopera straniera non sembra essere riconducibile esclusivamente ad un minor fabbisogno
di manodopera straniera, ma sembra essere un limite dei sistemi produttivi più chiusi e meno
dinamici. Se si confrontano i valori regionali dell’indice di attrattività occupazionale con i tassi
di incidenza della popolazione straniera, si nota però che i territori potenzialmente più idonei
per l’integrazione economica e lavorativa degli immigrati non sono sempre quelli in cui si
concentrano gli stranieri. Questa discrepanza è facilmente comprensibile se si considera che
non sono solo i fattori economici a guidare i percorsi e le scelte dei lavoratori immigrati; inoltre
l'indice fa riferimento alle capacità potenziali dei sistemi economici e dei mercati del lavoro
locali, senza tener conto di altri fattori come quelli ambientali, istituzionali e socio-culturali.
Anno di riferimento: 2009-2010-2011
Territorio: Italia
Parole chiave: indice di attrattività occupazionale, integrazione
Bibliografia:
-studio 2009 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2010/10/Indice-diattrattivit%C3%A0-occupazionale-degli-stranieri.pdf;
-studio 2010 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/06/Attrattivitàoccupazionale-degli-stranieri.pdf
-studio 2011 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/06/Il-mercato-dellavoro-straniero-nel-2010.pdf
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I salari degli stranieri
In media nel 2011 un dipendente straniero ha percepito uno stipendio di 973 euro mensili, 316
euro in meno di un dipendente italiano (un differenziale pari a -24,5%). Rispetto allo stesso
periodo del 2010 la situazione sembra essere sostanzialmente immutata: il salario medio
mensile degli stranieri era infatti solo leggermente più alto, 987 euro, con un differenziale
rispetto agli italiani di 294 euro. Nel III trimestre del 2009 invece in media un dipendente
straniero percepiva 962 euro, 238 euro in meno di un dipendente italiano.
Gli studi condotti in questi anni dalla Fondazione Leone Moressa mettono in luce alcune
tendenze di fondo. Una delle più importanti riguarda le disparità territoriali. Gli stranieri che
risiedono nelle regioni del Mezzogiorno guadagnano molto meno degli stranieri che lavorano
nelle regioni settentrionali: nel 2010 uno straniero residente in Friuli Venezia Giulia percepiva
uno stipendio medio di 1.159 euro, contro i 674 euro di un lavoratore straniero della Calabria.
e nel 2011 il divario tra le due regioni è rimasto sostanzia inalterato (1.113 euro contro 674
euro). Nelle regioni del Sud Italia è più elevato anche il gap retributivo tra dipendenti stranieri
e italiani: in Campania nel 2011 la differenza assoluta tra il salario di un dipendente italiano e
quello di un dipendente straniero si aggirava attorno ai 500 euro, mentre in Calabria la
retribuzione degli stranieri è quasi il 60% della retribuzione media di un italiano.
L’appartenenza di genere è uno dei fattori responsabili delle differenze retributive in tutti i
paesi industrializzati. L’Italia non fa eccezione: le donne generalmente svolgono professioni
meno qualificate e con stipendi più bassi. Anche tra gli stranieri si riscontra un ampio
differenziale di genere: già nel III trimestre 2009 un lavoratore straniero maschio percepiva in
media 1.008 euro, contro i 799 euro delle lavoratrici. Tra il IV trimestre 2010 e il IV trimestre
2011 il divario è rimasto sostanzialmente stabile.
Nell’interpretare i differenziali retributivi tra italiani e stranieri, una delle variabili più
significative da tenere in considerazione è la qualifica professionale: secondo i dati Istat del
2011 l’87,1% dei lavoratori stranieri è inquadrato come operaio contro il 39,6% dei lavoratori
italiani. A parità di qualifica quindi il divario con i lavoratori italiani si abbassa, anche se non si
annulla: nel 2010 un operaio straniero percepiva un salario mensile di 934 euro, l’11,2% in
meno rispetto agli operai italiani, mentre nel 2011 il divario è salito al 13%.
È importante sottolineare che nel settore dei servizi alla persona, in cui è impiegata un’ampia
quota dei lavoratori stranieri, lo stipendio medio è particolarmente basso. Nel III trimestre
2009, un dipendente di questo comparto percepiva mediamente 722 euro, contro i 1.226 del
settore dei trasporti e delle comunicazioni. Una cifra che è stata confermata dai dati delle
successive rilevazioni: nel IV trimestre 2011 la retribuzione media di un lavoratore straniero
nel settore dei servizi alla persona era di 717 euro mensili.
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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Un altro fattore esplicativo della presenza di un significativo divario salariale è l’anzianità
lavorativa: una buona parte della popolazione straniera in Italia è presente (regolarmente) sul
territorio italiano da relativamente poco tempo; inoltre le difficoltà di accesso al mondo del
lavoro e l’instabilità occupazionale penalizzano negativamente le carriere degli immigrati. Il
differenziale retributivo aumenta quindi al crescere dell’età, poiché generalmente gli stranieri
non hanno accumulato un’anzianità lavorativa paragonabile a quelli degli italiani, né i percorsi
professionali sono comparabili.
A differenza di quanto accade tra gli italiani, il titolo di studio non sembra avere molta
influenza sul livello salariale degli stranieri; infatti, le retribuzioni percepite da coloro che hanno
un basso livello di istruzione (nessun titolo, licenza elementare e licenza media) non
differiscono molto da quelle ricevute dai lavoratori diplomati. Il gap con gli italiani invece tende
a crescere con l’aumentare del livello di istruzione: nel 2011 un laureato straniero percepiva in
media 489 euro in meno di un laureato italiano, un gap in leggero aumento rispetto a quello
registrato
nel
2010.
Questo
dato
potrebbe
essere
ricondotto
al
problema
del
sottoinquadramento, che è particolarmente diffuso tra i lavoratori immigrati.
Il paese di provenienza è un’altra variabile importante: secondo i dati del 2010 e del 2011 la
retribuzione media di un dipendente proveniente dal Marocco è di oltre 13 mila euro, mentre
quella di un dipendente filippino non raggiunge i 10 mila euro.
Anno di riferimento: 2009-2010-2011,
Territorio: Italia
Parole chiave: retribuzione, gap salariale
Bibliografia:
- studio 2009 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2010/10/Differenzialisalariali-stranieri-nel-2009_Marzo-2010.pdf;
-studio 2010 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2011/05/Retribuzionidegli-stranieri-20101.pdf;
- studio 2011 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/06/Retribuzionestranieri-2011.pdf
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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Le rimesse
I trasferimenti degli emigranti verso i loro paesi di origine costituiscono potenzialmente un
fattore di crescita per le economie dei paesi in via di sviluppo e contribuiscono ad alleviare la
povertà. Secondo le stime della Banca Mondiale, in alcuni paesi in via di sviluppo le rimesse
ammontano a più del doppio del totale degli aiuti pubblici allo sviluppo e sono seconde solo agli
Investimenti diretti esteri. Al contrario dei tradizionali aiuti internazionali, le rimesse vengono
percepite direttamente da individui e famiglie in stato di necessità. Aumentando il potere
d’acquisto di queste famiglie e lasciando a loro decidere le modalità di impiego di queste
somme si ottiene una forma di intervento spesso più efficace.
Dal 2000 al 2011 il volume dei trasferimenti verso l’estero è aumentato costantemente, con
l’eccezione del 2010 – anno in cui per la prima volta si è registrato un calo nel volume delle
rimesse (-2,6%) –, e tra il 2010 e il 2011 il tasso di crescita, pari al 12,5%, è stato superiore a
quello riscontrato tra il 2007 e il 2008 (+5,6%) e tra il 2008 e il 2009 (+5,8%). È opportuno
però ricordare che dal 2006 la Banca d’Italia ha introdotto una nuova metodologia, che ha
migliorato la qualità e l’attendibilità dei dati raccolti (che in precedenza potevano essere
sottostimati); inoltre l’incremento delle rimesse potrebbe essere in parte ricondotto al maggior
utilizzo dei canali formali, anche dovuto al calo dei costi dei trasferimenti.
Se nel 2000 le rimesse rappresentavano lo 0,05% del Pil nel 2011 la percentuale è salita sino
allo 0,47%. Nel 2008 l’importo medio procapite inviato da ogni straniero nel paese di origine
era pari a 1.859 euro. Nel 2009 la cifra è scesa a 1.735 euro e nel 2010 è ulteriormente
diminuita a 1.508 euro, per poi risalire nel 2011 a 1.618 euro. Questi dati sembrano
confermare quanto rilevato da altri studi internazionali, cioè che le rimesse hanno risentito
meno di altri flussi finanziari della crisi.
La dimensione territoriale è molto importante nell’analisi dei flussi delle rimesse. Nel 2008
Roma raccoglieva più di un quarto delle rimesse inviate complessivamente dall’Italia (26,7%),
mentre da Milano proveniva il 13,5%, da Prato il 6,5% e da Firenze il 4,0%. La situazione nel
2011 è solo leggermente mutata: Roma, con il 27,6%, è sempre la provincia da cui proviene la
maggior parte dei flussi di denaro inviati dai lavoratori stranieri nei paesi di origine, seguita da
Milano (13,9%) e da Napoli il 4,1%, mentre Prato, distretto che ha risentito pesantemente
della crisi, raccoglie solo il 3,4% e Firenze il 3,2%.
Nel 2011 i principali paesi di destinazione delle rimesse erano la Cina, con 2,5 miliardi di euro,
la Romania (894 milioni di euro), le Filippine (601 milioni di euro) e il Marocco (299 milioni di
euro). Nel 2000 invece la maggior parte delle rimesse era destinata alle Filippine (34,0%) e
l’8,5% alla Cina.
In media nel 2011 i cinesi hanno spedito nel paese di origine poco più di 12 mila euro l’anno,
una cifra in aumento rispetto ai circa 9.400 euro del 2010 e nettamente superiore a quella di
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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tutte le altre comunità straniere. Ciò significa che, mettendo a confronto le rimesse inviate con
il Pil pro capite di ciascun paese, ogni cittadino cinese residente in Italia sostiene
economicamente circa 4 connazionali in patria, per un ammontare complessivo di quasi 816
mila individui. È necessario però sottolineare come talvolta i grossisti cinesi utilizzino gli
operatori money transfer per inviare anche flussi commerciali, che vengono conteggiati tra le
rimesse. Il contributo dei cittadini del Bangladesh è ancora più importante: con circa 3.523
euro di rimesse a testa mantengono 7,6 connazionali a testa, per un totale di 630 mila
individui. I filippini invece hanno ridotto gli importi inviati all’estero: dai 5.761 euro del 2010 si
è passati ai 4.484 del 2011, 1.277 euro in meno.
Anno di riferimento: 2000-2011,
Parole chiave: rimesse, co-sviluppo, risparmio
Territorio: Italia
Bibliografia:
-studio 2008 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2010/10/Le-rimesse-inItalia-2008_Agosto-2009.pdf;
-studio 2009 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2010/10/Le-rimesse-inItalia-2009_Aprile-2009.pdf;
-studio 2010 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2011/04/Comunicatostampa_rimesse-in-Italia-anno-20103.pdf;
-studio 2011 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/05/Comunicatostampa_rimesse-in-Italia-anno-2011.pdf.
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Gli imprenditori stranieri
Negli ultimi anni il numero degli imprenditori stranieri in Europa, così come in Italia è
aumentato significativamente. Questa crescita è stata favorita sia da fattori esogeni, come il
diffondersi dell’outsourcing o l’affermarsi delle pratiche di delocalizzazione, sia dalla capacità
degli immigrati stessi di valorizzare le reti familiari e della comunità di appartenenza. Malgrado
il tema sia oggetto di studio già a partire dagli anni ’90, i dati oggi a disposizione sono ancora
insufficienti per descrivere una realtà così complessa e sfaccettata. In particolare è difficile
pervenire ad una definizione precisa di imprenditore immigrato. Non sempre infatti l’avvio di
un’attività autonoma è l’esito di un percorso professionale congruente. In alcuni casi la scelta
di intraprendere un’attività autonoma può quindi essere il frutto della difficoltà di accedere al
mercato del lavoro regolare. Ciò nonostante è opportuno provare a stimare il numero di
imprenditori nati all’estero che operano in Italia.
Se si prendono in esame tutti i cittadini nati all’estero che ricoprono un ruolo imprenditoriale
(titolare, socio, amministratore, etc.), dal 2005 al 2009 i lavoratori autonomi sono aumentati
del 28,5%, superando i 628 mila, contro una contrazione del numero degli imprenditori italiani
pari al 2,1%. Tra il 2009 e il 2010, nonostante la crisi economica, il numero degli ‘imprenditori'
stranieri’ è cresciuto ulteriormente (+4,9%), mentre il numero degli italiani è diminuito dello
0,4%. Le province che hanno registrato i maggiori tassi di crescita tra il 2005 e il 2009 sono
quelle di Pavia (+67,5%), Lodi (+64,8%), Rieti (+64,7%), Rovigo (+60,9%) e Prato
(+60,6%). Tra il 2009 e il 2010 invece i nati all’estero sono aumentati soprattutto nel territorio
di Monza e Brianza (+10,2%), Asti (+10%) e Rimini (+8,4%). L’unica provincia in cui il
numero di immigrati imprenditori è diminuito è quella di Nuoro (-7,5%), dove il calo è stato
superiore a quello registrato per gli italiani.
Se invece si circoscrive l’oggetto di studio ai soli soci e titolari, a fine 2011 il numero di
imprenditori stranieri si aggirava attorno ai 412 mila, pari al 9,3% del totale dei soci e dei
titolari di impresa operanti in Italia. Anche adottando questa ulteriore distinzione, si
confermata la divergenza (già evidenziata prima) tra la dinamica degli ‘imprenditori’ italiani e
quella degli stranieri. Dal 2010 al 2011 il numero dei soci e dei titolari di impresa nati all’estero
è aumentato del 5,6% e dal 2006 al 2011 si è registrato un incremento complessivo del 36%.
Nello stesso periodo (2006 al 2011) il numero degli imprenditori nati in Italia è invece
diminuito del 6,8% e solo nell’ultimo anno (dal 2010 al 2011) si è registrata una contrazione
pari a -1,4%. Secondo questa definizione, circa un quarto degli ‘imprenditori’ immigrati opera
nelle province di Roma (8,2%), Milano (6,9%), Torino (5,1%), Firenze (3,3%) e Brescia
(2,4%). Rispetto al totale degli imprenditori attivi, la presenza dell’imprenditoria immigrata è
particolarmente rilevante nella provincia di Prato, dove i nati all’estero rappresentano il 25,1%
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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del totale degli imprenditori. Valori superiori alla media si registrano anche a Trieste (17,1%),
a Milano (16,9%) e a Firenze (15,5%).
Il settore che più sembra aver risentito della crisi è quello estrattivo: dal 2010 al 2011 il
numero degli imprenditori nati in Italia è calato del 4,7% e quello degli imprenditori nati
all’estero ha registrato una contrazione pari a -9,4%. Altri settori di attività, come le
costruzioni, il commercio e la manifattura, registrano invece un aumento del numero di
imprenditori nati all’estero (rispettivamente +4,4%, + 6,7% e +3,2%), a dispetto di un calo
degli imprenditori italiani (rispettivamente -2,0%, -1,4%, -3,0%).
I dati a disposizione consentono di tracciare un breve identikit dell’imprenditore nato all’estero:
oltre un quarto dei lavoratori autonomi immigrati è donna. Una presenza che è ancora più
importante nel settore agricolo. Gli imprenditori immigrati sono relativamente giovani, così
come le loro attività. La scelta del settore di investimento dipende dalla struttura economica e
produttiva del territorio di riferimento. Se nelle regioni del Nord il settore di attività prevalente
è quello delle costruzioni, nel Sud Italia le imprese degli stranieri si concentrano nel comparto
del commercio. I principali paesi di provenienza degli imprenditori sono Marocco, Romania e
Cina.
Anno di riferimento: 2005-2011,
Parole chiave: imprenditoria, lavoro autonomo, imprese, settore di attività
Territorio: Italia
Link:
-studio 2010 http://www.interacom.it/flm/doc_10.pdf,
-studio I semestre 2011: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wpcontent/uploads/2011/08/comunicato-stampa_+57-gli-imprenditori-stranieri-in-Italia.pdf
-studio 2011: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/2012/06/gli-imprenditori-stranieri-in-italia2011/
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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Valore aggiunto prodotto dalle imprese condotte da stranieri
Nel 2011 le 454 mila imprese condotte da stranieri producono circa il 5,5% del valore aggiunto
nazionale, per una cifra complessiva di 76 miliardi di euro. In alcune regioni il contributo delle
imprese straniere alla produzione del Pil è ancora più significativo: in Toscana il 7,7% del
valore aggiunto è prodotto da imprese condotte da stranieri, in Emilia Romagna il 6,7% e in
Friuli
Venezia
Giulia
il
6,4%.
Ad
eccezione
dell’Abruzzo,
nel
Sud
Italia
l’apporto
dell’imprenditoria immigrata alla creazione del Pil nazionale è più modesto e si aggira attorno
al 2,5%. In valori assoluti la Lombardia è la regione in cui la ricchezza prodotta dalle imprese
condotte dagli stranieri è più elevata, con una produzione pari a 18 miliardi di euro.
Nel settore delle costruzioni il contributo degli immigrati al valore aggiunto è particolarmente
rilevante: il 13,8% di tutta la ricchezza creata dal settore è originata dalle imprese degli
stranieri. Altri comparti particolarmente importanti sono quelli del commercio (le imprese degli
straniere producono il 10,1% della produzione complessiva), la manifattura (6,6%) e i servizi
alle persone (6,3%). Sono però le aziende che operano nei servizi a produrre la maggiore
ricchezza in termini assoluti, con una cifra pari a quasi 21 miliardi di euro.
Anno di riferimento: 2011
Parole chiave: valore aggiunto, imprese, imprenditoria, Pil
Territorio: Italia
Bibliografia: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/04/Comunicatostampa_stranieri-e-valore-aggiunto-prodotto.pdf
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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I redditi dichiarati dagli stranieri
Osservare la distribuzione del reddito, sottolineando eventuali sperequazioni, permette di
trarre alcune considerazioni sulle condizioni di vita degli immigrati, nonché di individuare i
gruppi economicamente più vulnerabili. L’analisi si basa sui dati ufficiali forniti dal Ministero
delle Finanze. Le informazioni disponibili non consentono però di identificare i cittadini
stranieri, ma solo i cittadini nati all’estero
Dal 2005 ad oggi il numero degli stranieri che presenta una dichiarazione dei redditi è
aumentato del 37,9%, un incremento molto simile a quello dei redditi complessivamente
dichiarati (+36,8%). Nello stesso periodo i contribuenti italiani sono diminuiti dello 0,3, mentre
l’ammontare dell’importo totale dichiarato è aumentato dell’11,9%. Il reddito medio degli
stranieri è rimasto sostanzialmente invariato, passando dai 12.469 euro del 2005 ai 12.481
euro del 2010, mentre tra il 2009 e il 2010 è addirittura diminuito (-0,2%), probabilmente a
causa degli effetti della crisi sul mercato del lavoro. Il reddito medio degli italiani è invece
aumentato del 16,3%, passando dai 17.067 euro del 2005 ai 19.848 del 2010. È però
opportuno sottolineare che anche i redditi degli italiani hanno risentito della crisi: tra il 2009 e
il 2010 l’aumento è stato infatti solo pari all’1,4% . Se la crescita degli importi medi percepiti
dai nati in Italia è sostanzialmente in linea con l’aumento del Pil nominale e degli indicatori
Oros9, che misurano le retribuzioni lorde medie e gli oneri sociali medi per lavoratore10, i
redditi degli stranieri sono rimasti fermi. L’aumento dei contribuenti nati all’estero – che
corrisponde nella maggior parte dei casi ad un aumento della forza lavoro (il lavoro dipendente
è infatti la principale fonte di reddito) – non corrisponde ad un uguale aumento degli importi
dichiarati. La stagnazione dei redditi degli stranieri deriva, almeno in parte, dalla loro
condizione occupazionale e professionale: gli immigrati vengono solitamente impiegati in
posizioni lavorative low skilled e con remunerazioni di livello medio-basso. È opportuno
comunque ricordare che una significativa quota di stranieri rientra nella no-tax area, poiché i
lavoratori alle dipendenze di persone fisiche che percepiscono un reddito inferiore agli 8.000
euro annui non sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi.
L’analisi della distribuzione del reddito consente di fare alcune riflessioni importanti sul livello di
integrazione degli stranieri in Italia e sul livello di diseguaglianza della società Italiana. Circa la
metà dei contribuenti nati all’estero ha dichiarato nel 2010 meno di 10 mila euro, mentre gli
italiani che rientrano in questa classe di reddito sono poco più di un terzo. Rispetto al 2009, nel
2010 la percentuale di contribuenti che dichiara meno di 10 mila euro è aumentata sia tra gli
stranieri, sia tra gli italiani, dove l’incremento è stato superiore al punto percentuale. Dal 2008
9
La rilevazione viene effettuata trimestralmente dall’Istat sui dati Inps, integrati con le informazioni derivanti dalle
indagini mensili dell’Istat sulle grandi imprese.
10
Per lavoratore si intendono qui le Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno.
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
Pag. 19
al 2010 la percentuale di nullatenenti stranieri è poi leggermente aumentata, passando dal
2,0% del 2008 al 2,2% del 2010.
Nella maggioranza dei casi contribuenti nati all’estero dichiarano proventi da lavoro dipendente
(o assimilati). Anche tra i contribuenti nati in Italia il lavoro dipendente è la principale fonte di
reddito, ma più dell’80% dei contribuenti percepisce anche redditi da terreni e fabbricati. Se la
quasi totalità dei contribuenti nati in Italia ha quindi delle proprietà immobiliari, solo una
piccola percentuale degli stranieri gode di una rendita da immobili.
Rispetto al 2008, il differenziale tra italiani e stranieri è leggermente aumentato: si è passati
dai 6.755 euro del 2008 ai 7.367 euro del 2010. Questo incremento è legato per lo più
all’ampliamento del divario tra i redditi da lavoro dipendente, che è passato da 5.172 euro a
5.853; viceversa il differenziale i per i redditi da lavoro autonomo, così come per i redditi di
impresa e di partecipazione in società e aziende, si è ridotto. Ciò nonostante per quanto
riguarda i redditi da lavoro autonomo il gap tra italiani e stranieri continua ad essere
particolarmente elevato: nel 2008 un lavoratore autonomo italiano percepiva mediamente
11.666 euro in più di un lavoratore autonomo nato all’estero e nel 2010 la differenza è
comunque di 10.549 euro.
Le regioni in cui la presenza di contribuenti nati all’estero è maggiore sono anche quelle in cui
si concentra la presenza straniera. In Trentino Alto Adige, in Friuli Venezia Giulia, in Veneto e
in Emilia Romagna più del 10,0% dei dichiaranti è nato all’estero; viceversa in Sardegna,
Calabria e Basilicata la percentuale è inferiore al 4,0%. Il valore medio dei redditi dichiarati
dagli stranieri varia fortemente tra le diverse aree geografiche del nostro Paese. I contribuenti
(sia nati in Italia, che all’estero) dichiarano mediamente cifre più alte nelle regioni del CentroNord rispetto a quelle del Mezzogiorno. Nell’ultimo quinquennio in tutte le regioni italiane il
numero dei dichiaranti nati all’estero è aumentato, ma se in Liguria e nel Lazio la crescita è
stata superiore alla media (rispettivamente 53,2% e 51,1%), in Friuli Venezia Giulia e in Molise
l’aumento è stato più contenuto (16,8% e 26,6%).
L’appartenenza di genere è un importante fattore di discriminazione all’interno della società
italiana e quindi anche della popolazione straniera che vive nel nostro paese. Le donne
straniere costituiscono il 42% dei contribuenti, ma dichiarano appena un terzo dei redditi
complessivi percepiti dagli stranieri. Tra il 2008 e il 2009 i contribuenti stranieri di genere
maschile sono diminuiti dell’1%, contro un aumento del 2,4% delle donne straniere; inoltre gli
importi medi dichiarati dalle donne sono rimasti sostanzialmente stabili (+0,7%), contro una
diminuzione dell’1,5% dei redditi dichiarati dagli uomini. Tra il 2009 e il 2010 invece le
dichiaranti straniere sono aumentate del 5,2%, mentre gli uomini sono aumentati del 3%.
Mediamente nel 2010 una donna straniera ha dichiarato poco più di 10 mila euro contro i 14
mila euro degli uomini, un gap sostanzialmente stabile rispetto a quello registrato nel 2008. Le
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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regioni in cui la presenza di contribuenti nati all’estero è maggiore sono anche quelle in cui si
concentra la presenza straniera.
Il 18,1% dei contribuenti nati all’estero proviene dalla Romania (18,1%); mentre il 7,1%
dall’Albania e il 6,4% dal Marocco. Una quota significativa di dichiaranti è poi nata in Svizzera
(4,5%), in Germania (4,4%) e in Cina (4,3%). L’apporto dei contribuenti nati in Romania è
rilevante anche dal punto di vista delle cifre complessivamente dichiarate: nel 2009 i rumeni
percepivano il 12,7% del reddito complessivamente dichiarato dai cittadini nati all’estero, una
quota che nel 2010 è ulteriormente aumentata (13,2%). Tra il 2005 e il 2010 il numero di
dichiaranti provenienti dalla Cina (13,9%), dalla Moldavia (12,1%), dalle Filippine (10,9%) e
dall’India (10,5%) è aumentato, mentre si è registrata una flessione dei contribuenti originari
dei paesi dell’ex-Jugoslavia (-11,3%), dalla Tunisia (-1,3%) e dalla Polonia (-0,5%).
I contribuenti nati nei paesi economicamente più sviluppati percepiscono redditi superiori alla
media: è il caso dei francesi, degli svizzeri e dei tedeschi. Importi ben al di sotto della media si
registrano invece per i cittadini originari della Cina (7.330 euro nel 2010), per quelli Ucraini
(8.170 euro) e per quelli polacchi (8.990 euro).
Anno di riferimento: 2005-2010
Parole chiave: comportamento economico, reddito, lavoro dipendente, lavoro autonomo, diseguaglianza,
povertà
Territorio: Italia
Bibliografia:
- studio 2008 www.interacom.it/flm/studio_completo.pdf
- studio 2009 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/06/redditidichiarati-da-stranieri-2009.pdf
- studio 2010 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/2012/06/i-redditi-dichiarati-dagli-stranieri2010/
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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Stranieri e finanza pubblica
L’integrazione degli stranieri avviene anche attraverso l’inclusione nel sistema contributivo. Per
questo motivo gli studi relativi all’apporto degli stranieri alla finanza pubblica sono sempre più
numerosi. Secondo i dati del Ministero delle Finanze del 2010, i soggetti nati all’estero per cui è
stata calcolata un’imposta Irpef netta positiva sono poco più di 2 milioni – il 63,9% del totale
dei dichiaranti stranieri – per un gettito complessivo di 6,2 miliardi di euro, pari a circa il 4,1%
del totale del gettito. Rispetto al totale dei contribuenti che hanno pagato l’Irpef, i cittadini nati
all’estero sono il 6,8% e hanno versato 2.956 euro a testa di Irpef, contro i quasi 5 mila euro
dei nati in Italia. Rispetto al 2009 il numero di contribuenti è diminuito di circa un punto
percentuale, ma l’ammontare complessivo dell’imposta netta è invece aumentato (nel 2009 era
pari a 5,9 miliardi di euro). Ciò significa che nel 2009 l’importo procapite medio versato dai
cittadini nati all’estero alle casse dello stato era più basso, pari a 2.810 euro. Anche nel 2009 i
cittadini nati all’estero rappresentavano il 6,8% del totale dei contribuenti. Non in tutte le
regioni però il numero di contribuenti è diminuito: in Valle d’Aosta, nel Lazio, in Toscana, in
Molise, in Sardegna e in Campania la variazione è stata positiva, seppur piuttosto contenuta.
Per quanto riguarda il gettito Irpef complessivamente versato, in tutto il territorio italiano si è
registrato un incremento. In particolare in Puglia (8,3%) e in Campania (7,2%) l’aumento è
stato ben superiore a quello medio (4,3%). Se si analizza il rapporto tra il numero dei
contribuenti che pagano l’imposta netta e il numero totale dei dichiaranti, si nota come tra il
2009 e il 2010 la percentuale di soggetti nati all’estero tenuta a pagare l’Irpef sia scesa dal
64,9% al 61,8%, mentre quella degli italiani sia rimasta sostanzialmente stabile (75,5%).
I dichiaranti nati in Romania sono i principali contribuenti sia in termini di numero di soggetti
che pagano l’imposta netta, sia per l’ammontare della stessa. La seconda comunità in termini
di contribuenti Irpef è quella albanese, seguita da quella marocchina.
Anno di riferimento: 2009-2010
Parole chiave: reddito, contribuenti, finanza pubblica, Irpef, tasse
Territorio: Italia
Bibliografia:
- studio 2009: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2011/12/Comunicatostampa_Le-imposte-pagate-dagli-stranieri1.pdf
- studio 2010 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/2012/06/le-tasse-pagate-dagli-stranieri2010/
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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Le nuove misure fiscali e l’immigrazione
Nel 2011 sono state realizzate 3 manovre fiscali: a Luglio (DL 98/2011), a Ferragosto (DL
138/2011) e a Dicembre (DL 201/2011). Tali manovre hanno e avranno un impatto importante
sulle famiglie straniere. Analizzando nel dettaglio l’impatto di ogni singola manovra riferita alle
attività della famiglia si è elaborato un modello che, prendendo come base le caratteristiche di
due famiglie straniere tipo (famiglia mononucleare e famiglia con 4 componenti), ha calcolato
gli effetti dell’aumento delle tasse nel quadriennio 2011-2014.
Per quanto riguarda le famiglie mononucleari, nel 2011 l’incremento delle spese derivanti dalla
maggior tassazione dovrebbe aggirarsi attorno ai 106,50 euro, nel 2012 si prevede invece un
aumento di 259,8 euro e nel 2013 e nel 2014 un aumento di 399,20 euro e 438,70 euro. Se
per il 2011 il maggior aggravio è riconducibile all’incremento dell’addizionale Irpef, la crescita
del 2013 e del 2014 è imputabile all’aumento delle aliquote Iva: nel 2011 l’aumento dell’Iva
comporterà una maggiorazione delle spese delle famiglie pari a 10,5 euro in più, ma nel 2014
la cifra salirà a 237,30 euro. Quindi nel corso del prossimo quadriennio per le famiglie straniere
gli effetti più rilevanti si manifesteranno probabilmente sui consumi, su cui inciderà
negativamente anche l’aumento delle accise sul carburante.
Considerazioni simili possono essere effettuate anche per le famiglie straniere composte da
padre, madre e due figli. Nel 2011 le famiglie straniere con quattro componenti pagheranno
119 euro in più – incremento dovuto prevalentemente all’aumento dell’addizionale regionale
Irpef –, nel 2012 316,90 euro, nel 2013 519 euro e nel 2013 578,10 euro. In particolare gli
incrementi delle aliquote Iva avranno un impatto limitato nel 2011 (18 euro in più), ma gli
effetti tenderanno ad amplificarsi nei prossimi anni sino a raggiungere un incremento di 305,1
euro nel 2013 e 364,60 euro nel 2014.
Anno di riferimento: 2011
Parole chiave: tasse, finanza pubblica
Territorio: Italia
Bibliografia: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2012/01/impatto-dellamanovra-sulle-famiglie-straniere.pdf
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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L’impatto fiscale dell’immigrazione
La Fondazione Leone Moressa insieme ad Andrea Stuppini (della Regione Emilia Romagna) ha
tentato di quantificare, partendo dai dati sui lavoratori e sui contribuenti stranieri, l’impatto
fiscale dell’immigrazione nel 2009 per comprendere se e come le entrate fiscali derivanti dalla
presenza
straniera
nel
territorio
nazionali
superino
i
costi
sostenuti
dalla
Pubblica
Amministrazione per gestire la popolazione migrante.
Ricalibrando le informazioni derivanti dai redditi dichiarati dai nati all’estero e considerando i
soli occupati con cittadinanza straniera, si perviene a stimare un reddito medio procapite
dichiarato di 10.838€ che equivale ad un imposta Irpef media di 1.303€. Questo consente di
stimare in 2,8miliardi di € l’imposta netta complessivamente pagata dagli stranieri che, in
termini di aliquota ammonta all’11,2%.
Dalla parte delle entrate, accanto al gettito Irpef, vanno sommati i contributi previdenziali che
ammontano a 7,5 miliardi di € (di cui 6,5 a carico dei lavoratori dipendenti), l’imposta sui
consumi (1miliardo di €), le imposte sugli oli minerali, lotto e lotterie e permessi (1,7 miliardi
di €). Questo permette di stimare in 12 miliardi le entrate nelle casse pubbliche derivanti dalle
attività e dalla presenza degli immigrati.
Dalla parte della spesa si annoverano spese legate alla sanità (per 3,1 miliardi di €), le spese
scolastiche (per 3 miliardi di €), i servizi sociali dei comuni (0,5 miliardi di €), i fondi per la
casa (0,4 miliardi di €), le spese del Ministero della Giustizia e dell’Interno (2 miliardi di €) e i
trasferimenti monetari (1,5 miliardi di €). Per un ammontare complessivo di spesa che si
attesta attorno ai 10,5 miliardi di €.
Tutto ciò permette di ipotizzare un saldo positivo per la finanza pubblica di 1,5 miliardi di €.
Anno di riferimento: 2009
Parole chiave: costi – benefici, Irpef, reddito dichiarato, contribuenti, finanza pubblica, tasse
Territorio: Italia
Bibliografia:
http://www.caritasitaliana.it/materiali/Pubblicazioni/libri_2011/dossier_immigrazione2011/scheda.pdf
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Il comportamento economico delle famiglie straniere
L’analisi del comportamento economico delle famiglie non presuppone solo lo studio della
struttura dei redditi, dei consumi e dei risparmi, ma permette anche di affrontare il tema della
povertà. Lo scopo di questa ricerca – basata sulle indagini della Banca d’Italia11 – è quindi
quello di stimolare riflessioni utili per elaborare politiche migratorie coerenti con una realtà in
continua evoluzione, specie in un periodo di crisi come quello attuale.
Negli ultimi anni in Italia si è assistito ad un passaggio da un’immigrazione costituita in
prevalenza da singoli lavoratori ad un’immigrazione di tipo familiare. Ciò nonostante, secondo i
dati della Banca di Italia del 2010, le famiglie straniere sono ancora prevalentemente costituite
da un unico componente. Nel 72,8% dei casi il capofamiglia straniero è maschio e quasi il 30%
ha meno di 34 anni (contro il 9,2% delle famiglie italiane).
Nel 2010 in media il reddito di una famiglia straniera ammontava a 18.674 euro, quasi il 45%
in meno di una famiglia italiana (33.588 euro). Tra il 2009 e il 2010 il divario sembra essere
leggermente diminuito, anche a causa della sostanziale stagnazione dei redditi degli italiani:
nel 2009 il reddito annuo di una famiglia straniera era pari a 17.409 euro, contro i quasi
32.947 euro di una famiglia italiana (-47,2%). Nello stesso periodo il consumo medio annuo
delle famiglie straniere è leggermente aumentato, passando da 17.772 euro a 18.038 euro,
mentre quello delle famiglie italiane è aumentato da 24.083 euro a 25.608 euro. È però
importante sottolineare che le famiglie straniere mostrano generalmente una propensione al
consumo maggiore di quelle italiane. Questi primi dati permettono di stimare il risparmio delle
famiglie: se nel 2009 le famiglie straniere non erano riuscite a risparmiare nulla (-362 euro),
nel 2010 il saldo è stato positivo, seppur molto esiguo (636 euro); viceversa tra il 2009 e il
2010 il risparmio delle famiglie italiane sembra essere diminuito, scendendo da 8.865 euro del
2009 ai 7.550 euro.
Rispetto alle famiglie italiane – che diversificano maggiormente gli investimenti –, la quasi
totalità delle famiglie straniere che riescono a risparmiare, preferisce lasciare il proprio denaro
sul conto corrente e solo pochissimi investono in obbligazioni, in titoli di stato, o in altre forme
di investimento. Considerata la diversa capacità di risparmio, anche per quanto riguarda gli
importi dei conti corrente si rilevano differenze significative: in media le famiglie straniere
hanno 5.276 euro depositati in banca contro i 10.856 euro delle famiglie italiane.
Nel 72,8% dei casi le famiglie straniere vivono in affitto nell’abitazione di residenza e appena il
13,8% ne è il proprietario. Una quota significativa, pari al 13,4%, è in usufrutto o in uso
gratuito. Bisogna infatti ricordare che i lavoratori domestici (colf, assistenti per gli anziani o i
disabili e babysitter) risiedono spesso a titolo gratuito presso la casa del datore di lavoro. La
situazione è molto diversa per le famiglie italiane: la maggioranza (71,8%) vive in immobili di
11
Si fa riferimento alle indagini della Banca d’Italia sui “Bilanci delle famiglie italiane” negli anni 2009 e 2010.
Fondazione Leone Moressa, Avviso 5/2011- documento finale, Allegato 2/9
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proprietà,
mentre
l’17,8%
vive
in
affitto.
Passando
ad
esaminare
le
caratteristiche
dell’abitazione, si nota come le famiglie straniere vivano in abitazioni più piccole di quelle degli
italiani (71 mq contro 106 mq), spesso localizzate nelle periferie urbane e con problemi di
sovraffollamento (32,8% contro 9,4% degli italiani).
L’indagine della Banca d’Italia (così come altre indagini condotte dall’Istat) segnalano come tra
le famiglie straniere l’incidenza della povertà sia particolarmente grave. Secondo i dati della
Banca d’Italia 2010, il 42,2% degli stranieri è ‘povero’12, mentre per gli italiani il valore scende
al 12,6%. Nel complesso comunque, a causa della crisi, la povertà è aumentata sia tra gli
italiani che tra gli stranieri, sebbene in misura diversa: nel 2009 il 38,0% degli stranieri e il
12,1% degli italiani viveva al di sotto della soglia di povertà .
Anno di riferimento: 2009-2010
Parole chiave: reddito, diseguaglianza, povertà, risparmio, consumo, casa
Territorio: Italia
Bibliografia:
- studio 2008 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2011/08/Comunicatostampa_povert%C3%A0-delle-famiglie-straniere.pdf;
- studio 2010 http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wpcontent/uploads/2012/03/Comportamento-economico-delle-famiglie-straniere.pdf
12
Secondo la metodologia adottata dalla Banca d’Italia, è povero chi dispone di un reddito equivalente inferiore alla
metà della mediana, che per il 2010 ammonta a 8.241€. Il reddito equivalente si interpreta come il reddito di cui
ciascun individuo dovrebbe disporre se vivesse da solo per raggiungere lo stesso tenore di vita che ha nella famiglia in
cui vive, ed è ottenuto correggendo il reddito complessivamente percepito dalla famiglia con la scala di equivalenza
dell’Ocse modificata.
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Il disagio economico delle famiglie straniere
Partendo dall’indagine campionaria Istat ‘Redditi e Condizioni di vita’ riferita al 2008, la
Fondazione Leone Moressa ha effettuato un approfondimento sugli indicatori di disuguaglianza
e di disagio economico delle famiglie italiane e straniere.
Grazie ai dati disponibili, la Fondazione ha potuto distinguere tra famiglie italiane (89,8%), in
cui tutti i componenti sono nati in Italia e hanno cittadinanza italiana, famiglie straniere
(6,0%), in cui tutti i componenti della famiglia sono nati all’estero e/o hanno cittadinanza
straniera, e le famiglie miste (4,2%), in cui vi sono sia cittadini italiani nati in Italia che
cittadini italiani nati all’estero e/o cittadini con cittadinanza straniera.
Generalmente le famiglie straniere dichiarano maggiori difficoltà economiche rispetto a quelle
italiane: la percentuale di famiglie straniere che si trovano in condizione di deprivazione
materiale è sistematicamente più alta di quella italiana; al contrario la differenza tra famiglie
miste e famiglie italiane non è così evidente e in alcuni casi le famiglie miste sono meno
esposte al rischio di povertà materiale. Circa un quarto delle famiglie straniere (24,8%) ritiene
di arrivare con grande difficoltà a fine mese e ben il 16,4% dichiara di non poter riscaldare
sufficientemente l’abitazione. Tra le famiglie italiane invece la percentuale di chi non riesce ad
arrivare alla fine del mese scende al 16,7%, mentre poco più del 10,9% non può permettersi
di riscaldare adeguatamente l’abitazione. La maggioranza delle famiglie straniere (58,8%) non
è poi in grado di far fronte ad una spesa imprevista di 750 euro, contro il 30,2% di quelle
italiane, una percentuale quest’ultima che è comunque sintomo di un disagio diffuso. Se tra le
famiglie italiane vi sono differenze anche molto significative a seconda del luogo di abitazione –
le famiglie che vivono nel Sud Italia segnalano maggiori difficoltà economiche rispetto alle
famiglie che vivono al Nord –, tra le famiglie straniere non si riscontra una dinamica simile.
Basti pensare che il 28,5% delle famiglie straniere del Nord Italia dichiara di avere difficoltà ad
arrivare alla fine del mese, contro il 16,7% e il 18% delle famiglie che vivono al Centro e al
Sud. I nuclei stranieri in condizione di disagio economico sono distribuiti sul territorio ‘a
macchia di leopardo’ e non è possibile individuare specifiche aree in cui i sintomi della povertà
sono più accentuati.
Le famiglie straniere incontrano difficoltà rilevanti anche per quanto riguarda l’acquisto di beni
e servizi: nel corso dell’anno il 10,8% delle famiglie straniere non ha avuto i soldi per
comprare beni alimentari (contro il 5,4% delle italiane), il 15,8% per pagare le spese mediche,
il 30,4% per acquistare capi di vestiario e il 15,8% per le spese per i trasporti (come treni,
bus, carburante…). Inoltre l’8,6% delle famiglie straniere ha avuto difficoltà a sostenere le
spese per la scuola (come libri scolatici, tasse scolastiche o universitarie) e il 18,1% a pagare
le tasse.
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Anno di riferimento: 2008
Parole chiave: diseguaglianza, povertà, deprivazione materiale
Territorio: Italia
Bibliografia: http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2011/03/Disagioeconomico-delle-famiglie-straniere.pdf
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L`inserimento degli stranieri nel mercato del lavoro italiano