ISRAELE – PALESTINA storia dello Stato d’Israele e del conflitto arabo-israeliano Secolo XIX: la questione ebraica Nel corso dell’Ottocento, con l’affermazione del liberalismo, in Europa occidentale finisce la discriminazione degli ebrei per ragioni religiose: gli ebrei escono dai ghetti, comincia l’integrazione degli ebrei che raggiungono posizioni anche ragguardevoli nella società e nella politica. Tuttavia verso la fine del secolo emerge di nuovo in Europa occidentale un atteggiamento ostile verso gli ebrei, motivato non più dalla diversità religiosa, ma da concezioni razziste e nazionaliste, ben radicate nella “moderna” cultura romantica e positivista. Infatti il determinismo materialistico dei positivisti porta a stabilire uno stretto rapporto tra i caratteri fisici e i caratteri spirituali e culturali dei popoli: il passo verso l’istituzione di gerarchie di valore legate alle differenze razziali è breve (p.e. Gobineau). Anche il Darwinismo sociale alimenta il razzismo inteso come lotta per la sopravvivenza tra le razze umane (lotta salutare per l’umanità). La dottrina biblica della comune origine del genere umano viene considerata una “superstizione antiquata”: le differenze tra le “razze” sono originarie e sostanziali. L’antisemitismo di fine Ottocento Anche ragioni culturali e politiche provocano odio verso gli ebrei: per i nazionalisti gli ebrei sono un popolo di “senza patria”, per molti socialisti (Proudhon, Marx) essi incarnano lo spirito del Capitalismo. Spesso l’antigiudaismo tradizionale e l’antisemitismo moderno si saldano in movimenti reazionari che rifiutano il liberalismo e i suoi principii (l’eguaglianza civile dei cittadini, la libertà religiosa, lo Stato laico) In FRANCIA: Affare Dreyfuss (1895) nell’IMPERO RUSSO, panslavismo, “russificazione” dei popoli soggetti all’impero, persecuzione degli ebrei: terribili pogrom, istigati dalla polizia zarista. (Protocolli dei Savi di Sion -sono un falso!- : tesi del complotto giudaico per la conquista del mondo) ANTIGIUDAISMO : discriminazione degli Ebrei per la loro religione (in una società “cristiana” non possono godere di pieni diritti, ma normalmente la vita e il culto degli ebrei sono tutelati) ANTISEMITISMO : discriminazione degli Ebrei per la loro razza e per i loro caratteri etnicoculturali: essi appartengono a una razza inferiore che inquina e corrompe la razza ariana. La razza ebraica è portatrice di valori negativi che corrompono la civiltà europea (avidità e usura, mancanza di patriottismo > internazionalismo, settarismo, slealtà ecc.) Nasce il Sionismo Thedor Hertzl (1860-1904) viennese, ebreo integrato, giornalista, assiste all’immigrazione in Austria degli ebrei russi in fuga all’impero zarista; vede il successo del partito antisemita di K. Lueger (eletto sindaco di Vienna); segue a Parigi il processo Dreyfuss; si convince così che il processo di integrazione degli Ebrei nelle nazioni europee è destinato a fallire: gli Ebrei saranno sempre vittime di discriminazioni e persecuzioni. Il popolo ebraico sarà libero solo se costituirà, come tutti gli altri popoli europei, uno Stato nazionale su un territorio proprio. Il movimento sionista Il movimento sionista nasce nel 1896, data della pubblicazione del saggio di T. Hertzl “Lo stato degli ebrei”. Al movimento sionista (primo congresso a Basilea – 1897) aderiscono subito migliaia di ebrei europei. Il sionismo vuole costituire uno Stato ebraico in Palestina, regione abitata anticamente dagli ebrei, soggetta (fino alla Prima Guerra Mondiale) all’impero turco-ottomano, in cui vive ancora una piccola comunità ebraica, accanto a una popolazione in maggioranza araba. Inizia l’emigrazione di ebrei sionisti in Palestina. Gli ebrei comprano terre dai palestinesi e sviluppano l’agricoltura. Il sionismo vuole uno Stato degli ebrei, ma non uno Stato religioso: il sionismo è laico, liberale e socialista. Il sionismo è rifiutato dagli ebrei religiosi ortodossi, che attendono la redenzione del popolo e il ritorno in Israele da un Messia inviato da Dio (ogni tentativo umano è un falso messianismo), e dagli ebrei assimilati o integrati, che vogliono dissolvere la “diversità” ebraica, mentre il sionismo la ribadisce. La Prima Guerra Mondiale 1908: il movimento nazionalista dei Giovani Turchi conquista il potere nell’impero Turco Ottomano: l’impero non si fonda più sull’Islam ma sull’identità nazionale turca; ma questo provoca, per reazione, la nascita di un nazionalismo arabo, insofferente del dominio turco. Nella Prima Guerra Mondiale l’Impero Turco si schiera con la Germania e l’Austria contro l’Intesa. L’Inghilterra allora fomenta la rivolta degli Arabi contro l’impero Turco, promettendo che alla fine della Guerra si costituirà uno Stato nazionale arabo in Medio-oriente (Lawrence d’Arabia). Tuttavia Inglesi e Francesi si accordano per spartirsi l’area medioorientale (accordo Sykes- Picot 1916). Nel 1917 Dichiarazione Balfour: il governo inglese dichiara di essere favorevole alla costituzione di un “focolare” ebraico in Palestina, fatti salvi i diritti dei palestinesi non ebrei. In tal modo il Regno Unito accetta e sostiene il programma del movimento sionista, per ottenerne l’appoggio, utile soprattutto per spingere gli Stati Uniti all’intervento. Alla fine della Guerra le attese degli arabi e degli ebrei vengono tradite: infatti la regione mediorientale viene divisa e assegnata, con la formula dei “Mandati della Società delle Nazioni”, a Inghilterra e Francia. Tuttavia la Dichiarazione Balfour viene recepita dalla Società della Nazioni; c’è quindi un impegno inglese e internazionale a costituire in futuro lo Stato ebraico: l’insediamento di ebrei sionisti in Palestina continua. Sotto il mandato inglese, la comunità ebraica (jishuv) in Palestina si dota di strutture organizzative che prefigurano uno Stato indipendente: organismi politici, scuole, ospedali, un sindacato, partiti, e dal 1930 anche una forza armata clandestina. Gli ebrei inoltre continuano ad acquistare terre dagli arabi. La rapida crescita della Jishuv suscita contrasti con la popolazione araba-palestinese e con le autorità inglesi, preoccupate di evitare disordini nel loro “mandato”: fin dal 1920 gli arabi provocano tumulti contro il governo britannico e gli ebrei; nel 1936 scoppia la “Grande rivolta araba”, con scontri e centinaia di vittime tra ebrei e palestinesi. Gli arabi palestinesi tuttavia sono divisi per le dispute tra le grandi famiglie dei notabili e non riescono a darsi istituzioni solide, paragonabili a quelle ebraiche. EBREI E ARABI IN PALESTINA PRIMA DELLA NASCITA DI ISRAELE Anno Ebrei Arabi 1800 6.700 268.000 1880 24.000 525.000 1915 90.000 590.000 1931 174.000 837.000 1947 630.000 1.310.000 La lingua ebraica, lingua della Bibbia, era una lingua “morta”, usata solo per la preghiera e lo studio della Bibbia. Grazie agli studi e alle pubblicazioni di Eliezer Ben Yehuda (1858-1922), l’ebraico “rinasce” e diventa la lingua ufficiale della Jishuv (> rottura con l’ebraismo della diaspora, caratterizzato dallo yiddish) La Palestina alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale La Grande rivolta araba (1936-1939) viene repressa dagli Inglesi (il Gran Muftì di Gerusalemme Aj Amin Al Husseini, ispiratore della rivolta, fugge nella Germania nazista); ma l’Inghilterra cerca di evitare problemi con gli arabi (fra i quali fa facilmente breccia la propaganda nazista) frenando il progetto sionista. Nel 1939 con il Libro Bianco gli Inglesi limitano drasticamente l’immigrazione degli ebrei in Palestina per cinque anni e sottomettono all’approvazione araba le immigrazioni dopo il quinquennio. Di fatto il Libro Bianco del 1939 rappresenta, da parte inglese, l’abbandono dell’impegno a sostenere la causa sionista. Adolf Hitler: la propaganda nazista faceva leva sui sentimenti antisionisti degli arabi per destabilizzare il Medio-oriente La Seconda Guerra Mondiale La limitazione delle immigrazioni è inaccettabile per i sionisti, tanto più che con la guerra si pone il problema di accogliere gli ebrei in fuga dalle persecuzioni e stragi naziste. Tuttavia lo scoppio della Guerra congela il conflitto tra inglesi e sionisti: gli ebrei di Palestina combattono contro i nazisti insieme alle forze alleate. Va ricordato che, mentre il Gran Muftì Aj Amin collabora alla creazione di una divisione di SS islamiche in Bosnia, la Legione Araba transgiordana partecipa alla guerra nello schieramento alleato. La Shoà Lev Talmon: “E’ proprio dall’olocausto che bisogna partire, da questa realtà incancellabile della nostra storia. Giacché ci permette allo stesso tempo di capire la nascita dello Stato israeliano e le origini remote della nevrosi ossessiva di cui soffre tuttora il nostro popolo. Dopo l’olocausto, niente poté essere come prima; nemmeno la questione ebraica e la base stessa - storica, umana - del sionismo.” Abba Eban: i superstiti dei lager, “non si fidavano più del mondo intero, dell’umanità e delle sue promesse”. Non bisognava più che il male radicale si ripetesse, “e perché questo non si ripetesse più, per gli ebrei era fondamentale uno Stato che fosse solo loro”. La Shoà e il trionfo del Sionismo E’ stata la Shoà che ha determinato il successo del Sionismo. Prima della Seconda Guerra mondiale il sionismo era condiviso solo da una minoranza del popolo ebraico. Dopo la guerra e la Shoà la maggioranza degli ebrei, (anche di quelli che non emigreranno in Israele) sente la necessità dello Stato ebraico e approva il progetto sionista. La maggior parte degli ebrei sopravvissuti ai lager non vogliono tornare ai paesi d’origine, e cercano una nuova patria, dirigendosi verso la Palestina o verso gli Stati Uniti. Inoltre gran parte degli Stati e dell’opinione pubblica mondiale riconosce di avere un debito nei confronti del popolo ebraico (anche chi ha combattuto contro i nazisti non ha saputo difendere gli ebrei); nasce una simpatia per le vittime della persecuzione antisemita e la causa sionista guadagna consensi ed appoggi anche fuori del mondo ebraico. Le Grandi Potenze e il Sionismo Tuttavia le grandi potenze vincitrici della guerra non appoggiano incondizionatamente la causa sionista; considerazioni diplomatiche (la necessità di mantenere buoni rapporti con i paesi arabi, per la loro importanza strategica ed economica) condizionano le scelte dei governi. L’Inghilterra mantiene l’atteggiamento assunto nel 1939 : un atteggiamento filo-arabo e contrario alla costituzione di uno Stato ebraico in Palestina. L’atteggiamento antisionista del governo britannico viene manifestato dal rifiuto di concedere l’ingresso in Palestina a 100.000 ebrei europei reduci dei lager nazisti. Negli Stati Uniti emerge una forte divergenza tra il Dipartimento di Stato, vicino alle posizioni filo-arabe britanniche, e il presidente Truman, più sensibile alla causa sionista, anche per le pressioni degli ebrei americani. Alla fine la posizione di Truman prevale e nel 1947-48 gli Stati Uniti appoggiano il progetto ONU di spartizione della Palestina e la conseguente nascita dello Stato d’Israele. L’U.R.S.S., che in questo momento non ha rapporti con il mondo arabo, e che vuole limitare il peso internazionale dell’Inghilterra, assume una posizione decisamente favorevole ai sionisti. Fra l’altro la Cecoslovacchia, alleata dell’U.R.S.S., fornirà alla Jishuv le armi necessarie per combattere la Guerra d’Indipendenza (1948) Gli ebrei contro il mandato britannico Finita la guerra il governo della Jishuv prende le armi contro il mandato inglese in Palestina. Azioni militari e terroristiche contro gli inglesi vengono compiute dall’Hagana, l’esercito della Jishuv, e da due organizzazioni sioniste dissidenti, l’Irgun e il Lehi. Il Regno Unito, ormai incapace di tenere sotto controllo la Palestina, si prepara a lasciare il mandato e chiede l’intervento dell’ONU. Episodi emblematici del conflitto tra ebrei e inglesi sono: l’attentato all’Hotel King David di Gerusalemme, sede dell’autorità britannica (91 persone uccise), attuato dall’Irgun di Menahem Begin (luglio 1946); Il caso Exodus 1947 : gli inglesi vietano l’ingresso in Palestina dei rifugiati ebrei e li concentrano in campi profughi: il traghetto Exodus, che trasporta 4.500 profughi ebrei, approda in Israele dopo uno scontro armato tra l’Hagana e la marina inglese che cerca d’intercettarlo. 1947: L’ONU decide sulla Palestina 1947: gli Stati Uniti e l’URSS prendono posizione a favore della costituzione di uno Stato ebraico, viene quindi costituita una commissione ONU (UNSCOP) che prepara un piano di spartizione della Palestina tra arabi ed ebrei. Gli ebrei collaborano con l’UNSCOP mentre gli arabi decidono di boicottarla. Il 29 novembre 1947 l’ONU approva la divisione della Palestina secondo il piano UNSCOP con 33 voti favorevoli, 13 contrari, 10 astenuti. Il piano prevede che Gerusalemme abbia uno statuto internazionale e sia amministrata dall’ ONU: assegna allo Stato ebraico un territorio abitato da 500.000 ebrei e 400.000 (?) arabi. La guerra civile del 1947 e la proclamazione dello Stato d’Israele Gli arabi rifiutano il piano di spartizione, e attaccano gli ebrei (2 dicembre 1947: sciopero generale proclamato dall’Alto comitato arabo e incendio di un’area commerciale ebrea a Gerusalemme): inizia la guerra civile tra ebrei e arabi (massacro di Deir Yassin e rappresaglia). La guerra civile è favorevole agli ebrei, che acquistano il controllo effettivo delle zone della Palestina assegnate dall’UNSCOP e di altre ritenute necessarie per difendere insediamenti ebraici periferici. Viene anche conquistata Giaffa (70.000 abitanti arabi). Inizia la “fuga” degli arabi dalle zone controllate dagli ebrei (fuga o allontanamento forzato?). Durante la guerra civile le autorità mandatarie inglesi non intervengono: la scadenza del mandato è ormai prossima. Il 14 maggio 1948 infatti finisce il mandato inglese in Palestina (le autorità britanniche lasciano Gerusalemme il giorno prima); nello stesso giorno i capi dell’Agenzia ebraica, riuniti nel Museo di Tel Aviv, proclamano la nascita dello Stato d’Israele, che viene subito riconosciuto dagli Stati Uniti e dall’URSS. David Ben Gurion diventa il primo ministro e Chaim Weizmann diventa il presidente del nuovo Stato. La prima guerra arabo-israeliana (1948-49) 8 ore dopo la proclamazione d’indipendenza, gli Stati arabi decidono di attaccare: la coalizione araba è costituita da Egitto, Transgiordania, Libano, Iraq, Siria. L’esercito israeliano, rifornito di armi dalla Cecoslovacchia, ha la meglio sui nemici, numericamente preponderanti, ma divisi e male organizzati. Nasce il “mito” dell’invincibilità dell’esercito israeliano. Durante la guerra gli israeliani conquistarono territori che l’ONU non aveva assegnato ad Israele, ma che rendevano il territorio di Israele più compatto e difendibile. Vennero conquistate a nord la Galilea (con Nazareth), a sud gran parte del Negev, a est la Cisgiordania fino a Gerusalemme. In Cisgiordania furono occupate le città arabe di Lydda e Ramle, pericolose per Israele perché vicine a Tel Aviv; 70.000 abitanti furono espulsi e dovettero spostarsi in piena estate a Ramallah (un centinaio di persone morirono nella “marcia della morte”, divenuta uno dei simboli della tragedia palestinese). Durante la guerra ci furono tregue e trattative imposte dall’ONU, ma il mediatore Bernadotte fu assassinato dagli estremisti ebrei del gruppo Lehi. Il governo israeliano condannò l’attentato e sciolse il gruppo Lehi con la ”ordinanza sul terrorismo”. Anche l’Irgun di Begin venne sciolto. La fine delle ostilità fu imposta all’inizio del 1949 dagli Stati Uniti che temevano un’estensione della guerra. L’armistizio del 1949 Gli accordi di armistizio tra Israele e gli Stati arabi confermano sostanzialmente le conquiste israeliane. Oltre ai territori “verde scuro”, Israele ottiene la parte ovest di Gerusalemme. Il Regno di Transgiordania si annette la Cisgiordania e Gerusalemme est (e diventa Regno di Giordania). La striscia di Gaza è controllata dall’Egitto. Gli accordi di armistizio dovrebbero essere provvisori, ma di fatto i confini di Israele stabiliti dagli accordi vengono riconosciuti da tutti gli Stati come confini definitivi di Israele. Per i palestinesi la guerra del 1948-49 è la catastrofe (NAKBA) : la possibilità di costituire uno Stato arabo palestinese è scomparsa, e molti di essi si trovano nella condizione di profughi. ISRAELE 1949 Il problema dei profughi Durante la guerra civile e la guerra arabo-israeliana circa750.000 palestinesi abbandonarono il territorio d’Israele. Questo fenomeno fu determinato in parte dalla fuga volontaria (per non essere coinvolti dalla guerra), in parte da espulsioni attuate dai comandi militari israeliani (questo è uno dei temi più dibattuti, Israele non ammette PROPRIE responsabilità per l’esodo palestinese). I profughi si stabilirono principalmente in Giordania (Cisgiordania e Transgiordania), in Libano e nella striscia di Gaza e vennero sistemati in campi profughi. L’ONU istituì l’UNRWA per l’assistenza ai rifugiati palestinesi, e con la Risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948 sancì il diritto dei profughi palestinesi di ritornare alle proprie case. Israele tuttavia accettò il ritorno solo di una parte di essi (100.000), anche perché, dopo la fine della guerra, dovette accogliere 600.000 ebrei espulsi dagli Stati arabi. Per Israele il problema dei profughi era una conseguenza della guerra, che era stata scatenata dagli arabi, ed era “compensato” dalle espulsioni degli ebrei . Solo la Giordania offrì la cittadinanza ai profughi, negli altri paesi i rifugiati furono considerati esiliati apolidi senza diritti. Per i regimi arabi infatti era conveniente non assimilare i palestinesi, in quanto il problema dei profughi giustificava e alimentava l’opposizione ad Israele. Il problema dei profughi oggi Oggi i profughi palestinesi sono circa 4 milioni, dislocati in Giordania, in Cisgiordania, in Libano, nella Striscia di Gaza e in Siria; un terzo di essi vive ancora nei campi. Le situazioni più critiche si registrano nella Striscia di Gaza (500.000 persone in 8 campi sovraffollati, condizioni igienico-sanitarie disastrose, povertà…) e nel sud del Libano (220.000 persone in 12 campi, senza diritti, escluse dalla vita economica e sociale del Libano). Il problema del “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi (secondo la Risoluzione ONU 194), costituisce uno dei nodi più difficili da sciogliere nelle trattative di pace in corso. Proposte avanzate dal presidente USA Clinton (2000-2001) per risolvere il problema con un parziale reinsediamento dei profughi in Israele, ma anche con forme di risarcimento e con l’assimilazione dei profughi nei paesi ospitanti, non sono state accolte, e su questo punto le opinioni di Israele e dell’Autorità palestinese restano ancora molto distanti. Nasser presidente dell’Egitto Premessa: nel 1952, in Egitto, la rivoluzione dei giovani ufficiali dell’esercito abbatté la monarchia di re Farouk e istituì una repubblica presidenziale; nel 1954 venne eletto presidente Nasser, che stabilì relazioni amichevoli con l’Unione sovietica ottenendo aiuti militari. Israele, preoccupata per il rafforzamento militare egiziano, ottenne dalla Francia un consistente numero di caccia e di carri armati. La Francia era ostile a Nasser a causa degli aiuti che questi aveva fornito ai ribelli algerini. La tensione tra Egitto e Israele era altissima, con incursioni dei Fedayn egiziani in territorio israeliano, e raid di rappresaglia attuati da Israele. Gamal Abdel NASSER 1956: la Crisi di Suez Nel 1956 Nasser decise di costruire la diga di Assuan e, per coprire i costi di questa opera, nazionalizzò il Canale di Suez (che era gestito da una compagnia anglo-francese). La Francia e l’Inghilterra decisero di reagire militarmente e coinvolsero Israele con un accordo segreto. Israele avrebbe attaccato gli Egiziani nel Sinai e Francia e Inghilterra sarebbero intervenute con il pretesto di dividere i combattenti. Ma il vero obiettivo per Francia e G.B. era il controllo del canale, e per Israele era la conquista del Sinai . Tuttavia il piano fallì soprattutto a causa delle minacce di intervento dell’Unione Sovietica e della reazione degli Stati Uniti (e dell’ONU) che ottennero il ritiro di Israele, Francia e G.B. dalle zone occupate. Nella zona del canale e nel Sinai si stanziarono truppe dell’Onu. Crisi di Suez L’attacco inglese al Canale Soldati di Israele nel Sinai Crisi di Suez I leaders sovietici Cruscev, Gomulka, Bulganin Il presidente USA Ike Eisenhower La soluzione della crisi di Suez evidenziò che oramai solo le due super-potenze, USA e URSS, erano in grado di intervenire nelle crisi e nelle controversie internazionali, e gli Stati europei potevano avere solo un ruolo secondario e subordinato. Al-Fatah e O.L.P. Nel 1959 viene fondata, da Yasser Arafat, la prima organizzazione politico-militare dei palestinesi, Al-Fatah, che poi confluirà nella OLP e che ne costituirà la corrente maggioritaria fino al 2006, quando sarà superata da Hamas. Nel 1964 viene fondata l’ O.L.P. (Organizzazione per la liberazione della Palestina). Inizialmente l’OLP fu pilotata da Nasser e dalla Lega degli Stati Arabi, ma nel 1969 ne divenne presidente Arafat, e l’OLP si rese indipendente. Scopo dichiarato dell’OLP era la costituzione di una patria dei palestinesi e la resistenza al Sionismo e all’occupazione israeliana, anche con azioni di guerriglia e attacchi ai civili. La guerra dei Sei giorni (5-10 giugno 1967) Nel 1967 la propaganda anti-israeliana, le minacce di Nasser e degli Stati arabi fornirono a Israele il pretesto per scatenare una guerra preventiva. 13 maggio: l’URSS dà a Nasser l’informazione falsa che Israele sta per attaccare la Siria > accordi tra Siria ed Egitto. 14 maggio: Nasser invia truppe egiziane nel Sinai e ottiene dall’ONU il ritiro delle truppe ONU stanziate nel Sinai e a Gaza. 21 maggio: Nasser blocca lo stretto di Tiran (accesso al Mar Rosso di Israele, dichiarato “casus belli” da Israele) 30 maggio: alleanza militare tra Egitto e Giordania La guerra dei 6 giorni (5-10 giugno 1967) 5 giugno: inizia l’attacco preventivo di Israele contro Egitto, Giordania e Siria. Nel primo giorno di guerra l’aviazione israeliana distrugge quasi tutti gli aerei (di fabbricazione sovietica) e le piste dei nemici, poi l’esercito israeliano avanza rapidamente e occupa la striscia di Gaza e il Sinai fino al canale di Suez, la Cisgiordania (compresa Gerusalemme est) e le alture del Golan (in Siria). Il 10 giugno cessano le ostilità. Il ministro della difesa, Generale Moshe Dayan, “eroe” della Guerra dei 6 giorni, con David Ben Gurion La guerra dei Sei giorni Moshe Dayan Carri armati e truppe di Israele avanzano nel Sinai Mezzi egiziani distrutti La risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza dell’Onu (22 novembre 1967) Stabiliva l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Medio Oriente, il ritiro di Israele da zone occupate (o dalle zone occupate?), la cessazione delle attività terroristiche palestinesi, il rispetto della integrità e indipendenza di ogni Stato della regione, un’equa soluzione del problema dei profughi. La soluzione 242 venne accettata sia da Israele sia dagli arabi e dall’OLP (con interpretazioni diverse) e costituì la base di tutti gli accordi di pace stipulati o tentati negli anni successivi. Tuttavia negli anni successivi continuarono gli scontri tra guerriglieri palestinesi e Israele. Olimpiadi di Monaco 1972 Negli anni Settanta si intensificarono le azioni terroristiche palestinesi fuori dai confini di Israele (dirottamenti aerei, attentati ecc.). L’episodio più clamoroso fu il raid terroristico che uccise 12 atleti israeliani durante le Olimpiadi di Monaco del 1972 1973: La guerra del Kippur Il primo ministro d’Israele Golda Meir Il 6 ottobre 1973, mentre in Israele si celebrava la festa di Yom Kippur, Egitto e Siria sferrarono un attacco a sorpresa contro Israele. Israele fu colto impreparato dall’attacco, sia perché la facile vittoria nella guerra dei 6 giorni lo aveva portato a sottovalutare i nemici, sia perché i servizi segreti, impegnati a contrastare il terrorismo, avevano allentato la guardia nei confronti degli Stati arabi. Israele però riuscì a riprendersi, grazie agli aiuti militari inviati dagli Stati Uniti con un ponte aereo. I paesi arabi produttori di petrolio per ritorsione diminuirono la produzione di petrolio, provocando una grave crisi energetica ed economica in Occidente. Alla fine della guerra non vi furono spostamenti importanti dei confini degli Stati impegnati nel conflitto. 1977-79: la pace con l’Egitto Nel 1977 il presidente egiziano Sadat dichiarò di voler “abbattere la barriera del sospetto” tra il suo paese e Israele, e di essere pronto “ad andare in Israele a fare la pace” . L’apertura fu accolta da Israele che invitò Sadat in Israele e avviò il negoziato di pace. Il presidente egiziano Sadat parla alla Knesset d’Israele 1979, Camp David: pace tra Egitto e Israele L’accordo venne raggiunto 2 anni dopo, con la mediazione del presidente USA Jimmy Carter: l’Egitto riconosceva il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, e otteneva la restituzione del Sinai. Tra i due Stati si stabilivano regolari relazioni diplomatiche. La Lega Araba espulse l’Egitto per aver firmato la pace. Sadat venne assassinato nel 1981 da un membro di un gruppo islamista (Al-Jihad). Il presidente egiziano Anwar Al-Sadat e il primo ministro d’Israele Menachem Begin, con Il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, a Camp David. 1982: la guerra in Libano L’OLP aveva stabilito la sua base in Libano (dopo essere stata espulsa dalla Giordania nel 1970), e dai campi profughi palestinesi in Libano partivano le incursioni dei guerriglieri dell’OLP contro i centri abitati del nord d’Israele (Galilea). D’altra parte la presenza dei palestinesi aveva destabilizzato il Libano, diviso tra fazioni politico-militari (cristiano-maroniti, musulmani sunniti, drusi e sciiti) alleate con Israele, OLP, Siria, Iran. Nel 1982, Israele (Begin capo del governo, Ariel Sharon ministro della difesa), in risposta alle incursioni palestinesi e all’attentato contro l’ambasciatore d’Israele a Londra, lanciò l’operazione “Pace in Galilea”, cioè l’attacco al Libano: in poche settimane le truppe israeliane arrivarono a Beirut e la misero sotto assedio. L’intervento degli Stati Uniti impose a Israele il “cessate il fuoco”. Intervenne in Libano una forza multinazionale (Stati Uniti, Francia e Italia) e sotto la sua protezione circa 10.000 guerriglieri poterono lasciare il Libano (l’OLP si trasferì in Tunisia). Concluso il trasferimento dell’OLP la forza multinazionale lasciò il Libano. Il 12 settembre 1982 venne ucciso in un attentato il neo-presidente del Libano Bashir Gemayel, capo della falange cristiano-maronita, favorevole all’intervento israeliano contro i palestinesi. Il massacro di Sabra e Chatila Nella notte tra il 16 settembre e il 17 settembre, per vendicare la morte di Gemayel, bande di falangisti cristiano-maroniti penetrarono nei campi profughi di Sabra e Chatila (alla periferia di Beirut, in una zona controllata dalle truppe d’Israele) e fecero un’orrenda strage (da tre a seimila vittime civili). Il massacro suscitò grande scalpore nel mondo, e Israele fu accusato di esserne corresponsabile, per aver lasciato agire indistrurbati i falangisti, o addirittura per averli favoriti e istigati. La commissione Kahan, istituita in Israele, stabilì la responsabilità indiretta, “per negligenza”, del ministro della difesa Ariel Sharon. Anche in Israele l’opinione pubblica fu scossa dalla strage di Sabra e Chatila: 400.000 persone (il 10% della popolazione d’Israele) parteciparono a una manifestazione organizzata dai partiti dell’opposizione e dal movimento pacifista Shalom Akshav, e chiesero la fine della guerra e un’inchiesta sul massacro. L’esercitò israeliano si ritirò e in Libano venne nuovamente dispiegata la forza multinazionale (USA, Francia, Gran Bretagna, Italia), che fu però ripetutamente attaccata dai terroristi. Dopo un attentato all’ambasciata USA (69 morti), il 23 ottobre 1983 due camion-bomba vennero lanciati da terroristi kamikaze contro le caserme americana e francese: morirono 241 marines USA e 56 soldati francesi. L’attentato era opera di Hezbollah, il “partito di Dio”, fazione dei musulmani sciiti sostenuti dall’Iran. Dopo pochi mesi la forza multinazionale venne ritirata, mentre il Libano precipitava nella guerra civile, che sarebbe durata 6 anni. L’Intifada Nel 1987, vent’anni dopo l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza da parte di Israele, scoppia la rivolta (prima Intifada) dei palestinesi dei territori occupati. I palestinesi che vivono nello Stato d’Israele godono degli stessi diritti degli Ebrei, ma diversa è la condizione degli abitanti dei territori occupati, sottoposti all’occupazione e all’amministrazione militare. Inoltre Israele, nonostante abbia accettato la risoluzione ONU 242 che l’impegnava a ritirarsi dai territori occupati, ha insediato 70.000 coloni in Cisgiordania e 2.000 a Gaza, prefigurando quindi l’annessione a Israele di questi territori. L’Intifada, condotta con lancio di pietre da giovani e ragazzi, ha messo in seria difficoltà l’esercito e il governo israeliano. 1993: gli Accordi di Oslo Dopo lunghe trattative segrete in Norvegia, si giunge al riconoscimento reciproco tra Israele e l’OLP, e un accordo di base per il raggiungimento della pace (anche se restano molti problemi e contrasti, che dovrebbero essere risolti nelle successive trattative). Intanto Israele si ritira dalle città di Gerico e di Gaza e consente ad Arafat di rientrare in Palestina e di istituire l’Autorità Nazionale Palestinese, che assume il controllo di queste città. Nel 1995 un estremista di destra israeliano uccide il premier israeliano Yitzahk Rabin. Ciò nonostante le trattative con l’OLP continuano, sia durante il governo di Netanyau (della Destra), sia durante il governo di Ehud Barak (laburista). La storica stretta di mano tra Rabin e Arafat, che suggella gli accordi di Oslo, con la mediazione del presidente Clinton. Le trattative, pur avvicinando le parti, non raggiungono un accordo definitivo: Barak propone di restituire all’Autorità Nazionale Palestinese l’88% dei territori, chiedendo che l’ANP si impegni a contrastare il terrorismo anti-israeliano. Arafat respinge la proposta perché non concede all’ANP la sovranità completa su Gerusalemme est e sulla spianata delle moschee. Il mancato conseguimento della pace indebolisce il governo Barack. Nel settembre del 2000 esplode la seconda Intifada, in seguito alla “passeggiata” sulla spianata delle moschee del leader della destra israeliana Ariel Sharon. In 6 anni questa Intifada provoca la morte di circa 1000 israeliani e 4000 palestinesi. Inizia anche la lunga serie degli attentati di terroristi suicidi contro civili israeliani. Nel febbraio 2001 Ariel Sharon vince le elezioni contro Barak e diventa capo del governo. Sharon accusa l’ANP di non fare nulla contro i terroristi e rompe i rapporti con Arafat . Intanto continuano gli attentati dei kamikaze palestinesi e le rappresaglie israeliane. Uno degli attentati dei kamikaze avviene in un autobus: 10 israeliani restano uccisi e 30 sono feriti Gerusalemme: chiesa del Santo Sepolcro i luoghi della contesa Il luogo dal quale riprende il conflitto è sacro e irrinunciabile sia per gli ebrei che per i musulmani, chiamato rispettivamente monte del Tempio e Haram al Sharif. Lì si trovano: − il Muro del Pianto, quanto resta del tempio di Gerusalemme, distrutto dai romani nel 70 d.C. − La Cupola della Roccia, fatta costruire dal califfo Abd al-Malik nel 691. − la moschea al Aqsa, ove i musulmani si recano per la preghiera rituale del venerdì. La città vecchia, la spianata del Tempio (al Haram al Sharif) Cupola della Roccia Moschea al Aqsa Muro del Pianto Gli accordi di Ginevra Nonostante tutte le difficoltà i negoziati procedono: un accordo che risolve tutti i nodi della contesa tra Israele e Palestinesi (ritiro dai territori, sovranità su Gerusalemme, ritorni dei profughi, sicurezza di Israele ecc.) viene raggiunto a Ginevra nel 2003, ma viene raggiunto da due delegazioni non ufficiali, costituite da palestinesi moderati e da pacifisti israeliani. I due governi accettano, con molte riserve, gli accordi di Ginevra come base per il negoziato ufficiale. 2004: muore Yasser Arafat, leader di al-Fatah e presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, e gli succede Abu Mazen (anche lui del partito al-Fatah). Inoltre nel 2005 Sharon decide il ritiro unilaterale di Israele dalla striscia di Gaza: non vengono ritirate solo le truppe, ma anche 8.000 coloni israeliani sono costretti ad abbandonare i loro insediamenti nella striscia, che quindi passa sotto il controllo dell’ANP. Ma fatti nuovi intervengono a modificare la situazione e ad allontanare la pace… 2006: la pace si allontana… L’ultima guerra in Libano: 12 luglio 2006: lancio di razzi katyusha da parte delle milizie Hezbollah contro Israele; Gli Hesbollah (sciiti libanesi) sono sostenuti e armati dall’Iran di Ahmadinejad, che ha più volte dichiarato l’obiettivo della distruzione di Israele; Israele reagisce attaccando le postazioni degli Hezbollah nel sud del Libano. L’attacco israeliano cessa quando l’ONU decide l’invio di una forza multinazionale d’interposizione (di cui fa parte anche un contingente italiano). Nel 2006, le elezioni del parlamento dell’ANP vengono vinte da Hamas, fazione politico-militare islamica, che si prefigge la jihad, la distruzione dello Stato d’Israele e la costituzione di un unico stato islamico palestinese. Nel 2007 Hamas espelle dalla striscia di Gaza, dopo scontri sanguinosi, le autorità palestinesi di al-Fatah e assume il controllo totale della striscia (la Cisgiordania invece rimane sotto il controllo del presidente Abu Mazen e di al-Fatah): la cosiddetta Guerra civile palestinese provoca centinaia di morti. Inizia il lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso le città meridionali di Israele. Questa è la storia, per sommi capi, dello Stato d’Israele e del conflitto tra Israele e gli Stati arabi, tra Israele e gli Arabi palestinesi. E’ anche la storia dei tentativi di costruire la pace, la convivenza, talvolta coronati dal successo, più spesso falliti, ma comunque cercati con ostinazione e coraggio da molti ebrei e arabi. Però, accanto alla storia condotta e realizzata dagli uomini di stato, dai politici, dai militari, dai guerriglieri, c’è anche la storia realizzata dagli uomini comuni, dagli uomini e dalle donne che cercano di costruire la pace imparando a convivere, insegnando ai giovani, ebrei e arabi, l’accettazione e il rispetto dell’altro, la condivisione e l’amicizia. La situazione della Cisgiordania (2008) e la costruzione del muro Angelica Livne Calò è un’ebrea che ha creato una compagnia teatrale di giovani palestinesi ed ebrei. Samar Sahar è una palestinese cristiana che ha fondato, a Gerusalemme, un orfanatrofio che accoglie bambini orfani e abbandonati di tutte le fedi e le etnie. Nella foto Angelica e Samar fanno insieme il pane, un gesto che significa condivisione e amicizia, e in cui hanno coinvolto centinaia di donne ebree e palestinesi, istituendo la “Giornata del pane”. Aggiornamenti: La guerra di Gaza: Dicembre 2008 / gennaio 2009 Operazione militare intrapresa da Israele per por fine al lancio di missili (attuato da Hamas) sulle città israeliane, ha suscitato comunque proteste per le gravi conseguenze subite dalla popolazione civile della striscia di Gaza. Carta tratta da Limes Il viaggio di Benedetto XVI : maggio 2009 Benedetto XVI al Muro del Pianto Benedetto XVI al Campo Profughi di Betlemme, presso il muro che separa Israele dai “territori”.