ISRAELE – PALESTINA
storia dello Stato d’Israele
e del conflitto arabo-israeliano
Secolo XIX: la questione ebraica
Nel corso dell’Ottocento, con l’affermazione del
liberalismo, in Europa occidentale finisce la
discriminazione degli ebrei per ragioni religiose: gli
ebrei escono dai ghetti, comincia l’integrazione
degli ebrei che raggiungono posizioni anche
ragguardevoli nella società e nella politica.
Tuttavia verso la fine del secolo emerge di
nuovo in Europa occidentale un atteggiamento
ostile verso gli ebrei, motivato non più dalla
diversità religiosa, ma da concezioni razziste e
nazionaliste, ben radicate nella “moderna” cultura
romantica e positivista.
Infatti il determinismo materialistico dei positivisti
porta a stabilire uno stretto rapporto tra i caratteri
fisici e i caratteri spirituali e culturali dei popoli: il
passo verso l’istituzione di gerarchie di valore
legate alle differenze razziali è breve (p.e.
Gobineau).
Anche il Darwinismo sociale alimenta il razzismo
inteso come lotta per la sopravvivenza tra le razze
umane (lotta salutare per l’umanità).
La dottrina biblica della comune origine del genere
umano viene considerata una “superstizione
antiquata”: le differenze tra le “razze” sono
originarie e sostanziali.
L’antisemitismo di fine Ottocento
Anche ragioni culturali e politiche provocano odio verso
gli ebrei: per i nazionalisti gli ebrei sono un popolo di
“senza patria”, per molti socialisti (Proudhon, Marx) essi
incarnano lo spirito del Capitalismo.
Spesso l’antigiudaismo tradizionale e l’antisemitismo
moderno si saldano in movimenti reazionari che rifiutano il
liberalismo e i suoi principii (l’eguaglianza civile dei cittadini,
la libertà religiosa, lo Stato laico)
In FRANCIA: Affare Dreyfuss (1895)
nell’IMPERO RUSSO, panslavismo, “russificazione” dei
popoli soggetti all’impero, persecuzione degli ebrei: terribili
pogrom, istigati dalla polizia zarista.
(Protocolli dei Savi di Sion -sono un falso!- : tesi
del complotto giudaico per la conquista del mondo)
ANTIGIUDAISMO : discriminazione degli Ebrei
per la loro religione (in una società “cristiana”
non possono godere di pieni diritti, ma
normalmente la vita e il culto degli ebrei sono
tutelati)
ANTISEMITISMO : discriminazione degli Ebrei
per la loro razza e per i loro caratteri etnicoculturali: essi appartengono a una razza inferiore
che inquina e corrompe la razza ariana. La razza
ebraica è portatrice di valori negativi che
corrompono la civiltà europea (avidità e usura,
mancanza di patriottismo > internazionalismo,
settarismo, slealtà ecc.)
Nasce il Sionismo
Thedor Hertzl (1860-1904) viennese,
ebreo integrato, giornalista, assiste
all’immigrazione in Austria degli
ebrei russi in fuga all’impero zarista;
vede il successo del partito
antisemita di K. Lueger (eletto
sindaco di Vienna);
segue a Parigi il processo Dreyfuss; si
convince così che il processo di
integrazione degli Ebrei nelle nazioni
europee è destinato a fallire: gli
Ebrei saranno sempre vittime di
discriminazioni e persecuzioni.
Il popolo ebraico sarà libero solo se
costituirà, come tutti gli altri popoli
europei, uno Stato nazionale su un
territorio proprio.
Il movimento sionista
Il movimento sionista nasce nel 1896, data della pubblicazione del saggio di
T. Hertzl “Lo stato degli ebrei”.
Al movimento sionista (primo congresso a Basilea – 1897) aderiscono subito
migliaia di ebrei europei.
Il sionismo vuole costituire uno Stato ebraico in Palestina, regione abitata
anticamente dagli ebrei, soggetta (fino alla Prima Guerra Mondiale)
all’impero turco-ottomano, in cui vive ancora una piccola comunità ebraica,
accanto a una popolazione in maggioranza araba.
Inizia l’emigrazione di ebrei sionisti in Palestina. Gli ebrei comprano terre
dai palestinesi e sviluppano l’agricoltura.
Il sionismo vuole uno Stato degli ebrei, ma non uno Stato religioso:
il sionismo è laico, liberale e socialista.
Il sionismo è rifiutato dagli ebrei religiosi ortodossi, che attendono la
redenzione del popolo e il ritorno in Israele da un Messia inviato da Dio
(ogni tentativo umano è un falso messianismo), e dagli ebrei assimilati o
integrati, che vogliono dissolvere la “diversità” ebraica, mentre il sionismo la
ribadisce.
La Prima Guerra Mondiale
1908: il movimento nazionalista dei Giovani Turchi conquista il potere
nell’impero Turco Ottomano: l’impero non si fonda più sull’Islam ma
sull’identità nazionale turca; ma questo provoca, per reazione, la nascita
di un nazionalismo arabo, insofferente del dominio turco.
Nella Prima Guerra Mondiale l’Impero Turco si schiera con la Germania e
l’Austria contro l’Intesa.
L’Inghilterra allora fomenta la rivolta degli Arabi contro l’impero
Turco, promettendo che alla fine della Guerra si costituirà uno Stato
nazionale arabo in Medio-oriente (Lawrence d’Arabia).
Tuttavia Inglesi e Francesi si accordano per spartirsi l’area medioorientale (accordo Sykes- Picot 1916).
Nel 1917 Dichiarazione Balfour: il governo inglese dichiara di essere
favorevole alla costituzione di un “focolare” ebraico in Palestina, fatti salvi
i diritti dei palestinesi non ebrei.
In tal modo il Regno Unito accetta e
sostiene il programma del movimento sionista, per ottenerne l’appoggio,
utile soprattutto per spingere gli Stati Uniti all’intervento.
Alla fine della Guerra le
attese degli arabi e degli
ebrei vengono tradite:
infatti la regione
mediorientale viene divisa
e assegnata, con la
formula dei “Mandati della
Società delle Nazioni”, a
Inghilterra e Francia.
Tuttavia la Dichiarazione
Balfour viene recepita
dalla Società della
Nazioni; c’è quindi un
impegno inglese e
internazionale a costituire
in futuro lo Stato ebraico:
l’insediamento di ebrei
sionisti in Palestina
continua.
Sotto il mandato inglese, la comunità ebraica (jishuv) in
Palestina si dota di strutture organizzative che prefigurano
uno Stato indipendente: organismi politici, scuole,
ospedali, un sindacato, partiti, e dal 1930 anche una forza
armata clandestina.
Gli ebrei inoltre continuano ad acquistare terre dagli
arabi.
La rapida crescita della Jishuv suscita contrasti con la
popolazione araba-palestinese e con le autorità inglesi,
preoccupate di evitare disordini nel loro “mandato”: fin
dal 1920 gli arabi provocano tumulti contro il governo
britannico e gli ebrei; nel 1936 scoppia la “Grande rivolta
araba”, con scontri e centinaia di vittime tra ebrei e
palestinesi.
Gli arabi palestinesi tuttavia sono divisi per le dispute
tra le grandi famiglie dei notabili e non riescono a darsi
istituzioni solide, paragonabili a quelle ebraiche.
EBREI E ARABI IN PALESTINA
PRIMA DELLA NASCITA DI
ISRAELE
Anno
Ebrei
Arabi
1800
6.700
268.000
1880
24.000
525.000
1915
90.000
590.000
1931
174.000
837.000
1947
630.000 1.310.000
La lingua ebraica, lingua della
Bibbia, era una lingua “morta”,
usata solo per la preghiera e lo
studio della Bibbia. Grazie agli
studi e alle pubblicazioni di
Eliezer Ben Yehuda (1858-1922),
l’ebraico “rinasce” e diventa la
lingua ufficiale della Jishuv (>
rottura con l’ebraismo della
diaspora, caratterizzato dallo
yiddish)
La Palestina alla vigilia
della Seconda Guerra Mondiale

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La Grande rivolta araba (1936-1939) viene
repressa dagli Inglesi (il Gran Muftì di
Gerusalemme Aj Amin Al Husseini,
ispiratore della rivolta, fugge nella Germania
nazista); ma l’Inghilterra cerca di evitare
problemi con gli arabi (fra i quali fa
facilmente breccia la propaganda nazista)
frenando il progetto sionista.
Nel 1939 con il Libro Bianco gli Inglesi
limitano drasticamente l’immigrazione degli
ebrei in Palestina per cinque anni e
sottomettono all’approvazione araba le
immigrazioni dopo il quinquennio. Di fatto
il Libro Bianco del 1939 rappresenta, da
parte inglese, l’abbandono dell’impegno a
sostenere la causa sionista.
Adolf Hitler: la
propaganda nazista
faceva leva sui
sentimenti antisionisti
degli arabi per
destabilizzare il
Medio-oriente
La Seconda Guerra Mondiale

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
La limitazione delle immigrazioni è
inaccettabile per i sionisti, tanto
più che con la guerra si pone il
problema di accogliere gli ebrei in
fuga dalle persecuzioni e stragi
naziste.
Tuttavia lo scoppio della Guerra
congela il conflitto tra inglesi e
sionisti: gli ebrei di Palestina
combattono contro i nazisti
insieme alle forze alleate.
Va ricordato che, mentre il Gran
Muftì Aj Amin collabora alla
creazione di una divisione di SS
islamiche in Bosnia, la Legione
Araba transgiordana partecipa alla
guerra nello schieramento alleato.
La Shoà
Lev Talmon: “E’ proprio dall’olocausto che bisogna partire, da questa
realtà incancellabile della nostra storia. Giacché ci permette allo stesso
tempo di capire la nascita dello Stato israeliano e le origini remote della
nevrosi ossessiva di cui soffre tuttora il nostro popolo. Dopo l’olocausto,
niente poté essere come prima; nemmeno la questione ebraica e la base
stessa - storica, umana - del sionismo.”
Abba Eban: i superstiti dei lager, “non si fidavano più del mondo intero,
dell’umanità e delle sue promesse”. Non bisognava più che il male
radicale si ripetesse, “e perché questo non si ripetesse più, per gli ebrei
era fondamentale uno Stato che fosse solo loro”.
La Shoà e il trionfo del Sionismo
E’ stata la Shoà che ha determinato il successo del
Sionismo. Prima della Seconda Guerra mondiale il sionismo
era condiviso solo da una minoranza del popolo ebraico.

Dopo la guerra e la Shoà la maggioranza degli ebrei,
(anche di quelli che non emigreranno in Israele) sente la
necessità dello Stato ebraico e approva il progetto sionista.

La maggior parte degli ebrei sopravvissuti ai lager non
vogliono tornare ai paesi d’origine, e cercano una nuova
patria, dirigendosi verso la Palestina o verso gli Stati Uniti.
Inoltre gran parte degli Stati e dell’opinione pubblica mondiale
riconosce di avere un debito nei confronti del popolo ebraico
(anche chi ha combattuto contro i nazisti non ha saputo
difendere gli ebrei); nasce una simpatia per le vittime della
persecuzione antisemita e la causa sionista guadagna
consensi ed appoggi anche fuori del mondo ebraico.

Le Grandi Potenze e il Sionismo
Tuttavia le grandi potenze vincitrici della guerra non
appoggiano incondizionatamente la causa sionista;
considerazioni diplomatiche (la necessità di mantenere buoni
rapporti con i paesi arabi, per la loro importanza strategica ed
economica) condizionano le scelte dei governi.
 L’Inghilterra mantiene l’atteggiamento assunto nel 1939 : un
atteggiamento filo-arabo e contrario alla costituzione di uno
Stato ebraico in Palestina. L’atteggiamento antisionista del
governo britannico viene manifestato dal rifiuto di concedere
l’ingresso in Palestina a 100.000 ebrei europei reduci dei
lager nazisti.
 Negli Stati Uniti emerge una forte divergenza tra il
Dipartimento di Stato, vicino alle posizioni filo-arabe
britanniche, e il presidente Truman, più sensibile alla causa
sionista, anche per le pressioni degli ebrei americani.



Alla fine la posizione di Truman prevale e nel
1947-48 gli Stati Uniti appoggiano il progetto ONU
di spartizione della Palestina e la conseguente
nascita dello Stato d’Israele.
L’U.R.S.S., che in questo momento non ha
rapporti con il mondo arabo, e che vuole limitare il
peso internazionale dell’Inghilterra, assume una
posizione decisamente favorevole ai sionisti. Fra
l’altro la Cecoslovacchia, alleata dell’U.R.S.S.,
fornirà alla Jishuv le armi necessarie per
combattere la Guerra d’Indipendenza (1948)
Gli ebrei contro il mandato britannico
Finita la guerra il governo della Jishuv prende le armi contro il
mandato inglese in Palestina. Azioni militari e terroristiche contro
gli inglesi vengono compiute dall’Hagana, l’esercito della Jishuv, e
da due organizzazioni sioniste dissidenti, l’Irgun e il Lehi.

Il Regno Unito, ormai incapace di tenere sotto controllo la
Palestina, si prepara a lasciare il mandato e chiede l’intervento
dell’ONU.
 Episodi emblematici del conflitto tra ebrei e inglesi sono:
l’attentato all’Hotel King David di Gerusalemme, sede dell’autorità
britannica (91 persone uccise), attuato dall’Irgun di Menahem
Begin (luglio 1946);
Il caso Exodus 1947 : gli inglesi vietano l’ingresso in Palestina dei
rifugiati ebrei e li concentrano in campi profughi:
il traghetto Exodus, che trasporta 4.500 profughi ebrei, approda
in Israele dopo uno scontro armato tra l’Hagana e la marina
inglese che cerca d’intercettarlo.

1947: L’ONU decide sulla Palestina
1947: gli Stati Uniti e l’URSS prendono posizione a favore
della costituzione di uno Stato ebraico, viene quindi
costituita una commissione ONU (UNSCOP) che prepara un
piano di spartizione della Palestina tra arabi ed ebrei. Gli
ebrei collaborano con l’UNSCOP mentre gli arabi decidono di
boicottarla.
Il 29 novembre 1947 l’ONU approva la divisione della
Palestina secondo il piano UNSCOP con 33 voti favorevoli,
13 contrari, 10 astenuti.
Il piano prevede che Gerusalemme abbia uno statuto
internazionale e sia amministrata dall’ ONU: assegna allo
Stato ebraico un territorio abitato da 500.000 ebrei e
400.000 (?) arabi.
La guerra civile del 1947
e la proclamazione dello Stato d’Israele
Gli arabi rifiutano il piano di spartizione, e attaccano gli ebrei
(2 dicembre 1947: sciopero generale proclamato dall’Alto
comitato arabo e incendio di un’area commerciale ebrea a
Gerusalemme): inizia la guerra civile tra ebrei e arabi
(massacro di Deir Yassin e rappresaglia).
La guerra civile è favorevole agli ebrei, che acquistano il
controllo effettivo delle zone della Palestina assegnate
dall’UNSCOP e di altre ritenute necessarie per difendere
insediamenti ebraici periferici. Viene anche conquistata Giaffa
(70.000 abitanti arabi). Inizia la “fuga” degli arabi dalle zone
controllate dagli ebrei (fuga o allontanamento forzato?).
Durante la guerra civile le autorità mandatarie inglesi non
intervengono: la scadenza del mandato è ormai prossima.

Il 14 maggio 1948 infatti
finisce il mandato inglese in
Palestina (le autorità
britanniche lasciano
Gerusalemme il giorno
prima); nello stesso giorno i
capi dell’Agenzia ebraica,
riuniti nel Museo di Tel Aviv,
proclamano la nascita dello
Stato d’Israele, che viene
subito riconosciuto dagli Stati
Uniti e dall’URSS. David Ben
Gurion diventa il primo
ministro e Chaim Weizmann
diventa il presidente del
nuovo Stato.
La prima guerra arabo-israeliana
(1948-49)
8 ore dopo la proclamazione d’indipendenza, gli Stati arabi
decidono di attaccare: la coalizione araba è costituita da
Egitto, Transgiordania, Libano, Iraq, Siria.
L’esercito israeliano, rifornito di armi dalla Cecoslovacchia,
ha la meglio sui nemici, numericamente preponderanti, ma
divisi e male organizzati. Nasce il “mito” dell’invincibilità
dell’esercito israeliano.
Durante la guerra gli israeliani conquistarono territori che
l’ONU non aveva assegnato ad Israele, ma che rendevano il
territorio di Israele più compatto e difendibile. Vennero
conquistate a nord la Galilea (con Nazareth), a sud gran
parte del Negev, a est la Cisgiordania fino a Gerusalemme.
In Cisgiordania furono occupate le città arabe di Lydda e
Ramle, pericolose per Israele perché vicine a Tel Aviv;
70.000 abitanti furono espulsi e dovettero spostarsi in
piena estate a Ramallah (un centinaio di persone
morirono nella “marcia della morte”, divenuta uno dei
simboli della tragedia palestinese).
Durante la guerra ci furono tregue e trattative imposte
dall’ONU, ma il mediatore Bernadotte fu assassinato dagli
estremisti ebrei del gruppo Lehi. Il governo israeliano
condannò l’attentato e sciolse il gruppo Lehi con la
”ordinanza sul terrorismo”. Anche l’Irgun di Begin
venne sciolto.
La fine delle ostilità fu imposta all’inizio del 1949 dagli
Stati Uniti che temevano un’estensione della guerra.
L’armistizio del 1949
Gli accordi di armistizio tra Israele e gli Stati arabi
confermano sostanzialmente le conquiste israeliane. Oltre ai
territori “verde scuro”, Israele ottiene la parte ovest di
Gerusalemme. Il Regno di Transgiordania si annette la
Cisgiordania e Gerusalemme est (e diventa Regno di
Giordania). La striscia di Gaza è controllata dall’Egitto.
Gli accordi di armistizio dovrebbero essere provvisori, ma di
fatto i confini di Israele stabiliti dagli accordi vengono
riconosciuti da tutti gli Stati come confini definitivi di Israele.
Per i palestinesi la guerra del 1948-49 è la catastrofe
(NAKBA) : la possibilità di costituire uno Stato arabo
palestinese è scomparsa, e molti di essi si trovano nella
condizione di profughi.
ISRAELE 1949
Il problema dei profughi
Durante la guerra civile e la guerra arabo-israeliana
circa750.000 palestinesi abbandonarono il territorio d’Israele.
Questo fenomeno fu determinato in parte dalla fuga
volontaria (per non essere coinvolti dalla guerra), in parte da
espulsioni attuate dai comandi militari israeliani (questo è uno
dei temi più dibattuti, Israele non ammette PROPRIE
responsabilità per l’esodo palestinese).
I profughi si stabilirono principalmente in Giordania
(Cisgiordania e Transgiordania), in Libano e nella striscia di
Gaza e vennero sistemati in campi profughi. L’ONU istituì
l’UNRWA per l’assistenza ai rifugiati palestinesi, e con la
Risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948 sancì il diritto dei
profughi palestinesi di ritornare alle proprie case.

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Israele tuttavia accettò il ritorno solo di una parte di essi
(100.000), anche perché, dopo la fine della guerra,
dovette accogliere 600.000 ebrei espulsi dagli Stati arabi.
Per Israele il problema dei profughi era una conseguenza
della guerra, che era stata scatenata dagli arabi, ed era
“compensato” dalle espulsioni degli ebrei .
Solo la Giordania offrì la cittadinanza ai profughi, negli
altri paesi i rifugiati furono considerati esiliati apolidi
senza diritti. Per i regimi arabi infatti era conveniente
non assimilare i palestinesi, in quanto il problema dei
profughi giustificava e alimentava l’opposizione ad
Israele.
Il problema dei profughi oggi
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Oggi i profughi palestinesi sono circa 4 milioni, dislocati in
Giordania, in Cisgiordania, in Libano, nella Striscia di Gaza e in
Siria; un terzo di essi vive ancora nei campi. Le situazioni più
critiche si registrano nella Striscia di Gaza (500.000 persone in 8
campi sovraffollati, condizioni igienico-sanitarie disastrose,
povertà…) e nel sud del Libano (220.000 persone in 12 campi,
senza diritti, escluse dalla vita economica e sociale del Libano).
Il problema del “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi
(secondo la Risoluzione ONU 194), costituisce uno dei nodi più
difficili da sciogliere nelle trattative di pace in corso. Proposte
avanzate dal presidente USA Clinton (2000-2001) per risolvere il
problema con un parziale reinsediamento dei profughi in Israele,
ma anche con forme di risarcimento e con l’assimilazione dei
profughi nei paesi ospitanti, non sono state accolte, e su questo
punto le opinioni di Israele e dell’Autorità palestinese restano
ancora molto distanti.
Nasser presidente dell’Egitto
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Premessa: nel 1952, in Egitto, la rivoluzione dei giovani
ufficiali dell’esercito abbatté la monarchia di re Farouk e
istituì una repubblica presidenziale;
nel 1954 venne eletto presidente Nasser, che stabilì
relazioni amichevoli con l’Unione sovietica ottenendo aiuti
militari.
Israele, preoccupata per il rafforzamento militare egiziano,
ottenne dalla Francia un consistente numero di caccia e di
carri armati. La Francia era ostile a Nasser a causa degli
aiuti che questi aveva fornito ai ribelli algerini.
La tensione tra Egitto e Israele era altissima, con
incursioni dei Fedayn egiziani in territorio israeliano, e raid
di rappresaglia attuati da Israele.
Gamal Abdel NASSER
1956: la Crisi di Suez
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Nel 1956 Nasser decise di costruire la diga di Assuan e, per
coprire i costi di questa opera, nazionalizzò il Canale di Suez
(che era gestito da una compagnia anglo-francese).
La Francia e l’Inghilterra decisero di reagire militarmente e
coinvolsero Israele con un accordo segreto. Israele avrebbe
attaccato gli Egiziani nel Sinai e Francia e Inghilterra
sarebbero intervenute con il pretesto di dividere i
combattenti. Ma il vero obiettivo per Francia e G.B. era il
controllo del canale, e per Israele era la conquista del Sinai .
Tuttavia il piano fallì soprattutto a causa delle minacce di
intervento dell’Unione Sovietica e della reazione degli Stati
Uniti (e dell’ONU) che ottennero il ritiro di Israele, Francia e
G.B. dalle zone occupate.
Nella zona del canale e nel Sinai si stanziarono truppe
dell’Onu.
Crisi di Suez
L’attacco inglese al Canale
Soldati di Israele nel Sinai
Crisi di Suez
I leaders sovietici Cruscev,
Gomulka, Bulganin
Il presidente USA
Ike Eisenhower
La soluzione della crisi di Suez evidenziò che oramai solo
le due super-potenze, USA e URSS, erano in grado di
intervenire nelle crisi e nelle controversie internazionali, e gli
Stati europei potevano avere solo un ruolo secondario e
subordinato.
Al-Fatah e O.L.P.
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Nel 1959 viene fondata, da Yasser Arafat,
la prima organizzazione politico-militare dei
palestinesi, Al-Fatah, che poi confluirà nella
OLP e che ne costituirà la corrente
maggioritaria fino al 2006, quando sarà
superata da Hamas.
Nel 1964 viene fondata l’ O.L.P.
(Organizzazione per la liberazione della
Palestina). Inizialmente l’OLP fu pilotata da
Nasser e dalla Lega degli Stati Arabi, ma nel
1969 ne divenne presidente Arafat, e l’OLP
si rese indipendente.
Scopo dichiarato dell’OLP era la costituzione
di una patria dei palestinesi e la resistenza al
Sionismo e all’occupazione israeliana, anche
con azioni di guerriglia e attacchi ai civili.
La guerra dei Sei giorni
(5-10 giugno 1967)
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Nel 1967 la propaganda anti-israeliana, le minacce di
Nasser e degli Stati arabi fornirono a Israele il pretesto per
scatenare una guerra preventiva.
13 maggio: l’URSS dà a Nasser l’informazione falsa che
Israele sta per attaccare la Siria > accordi tra Siria ed
Egitto.
14 maggio: Nasser invia truppe egiziane nel Sinai e ottiene
dall’ONU il ritiro delle truppe ONU stanziate nel Sinai e a
Gaza.
21 maggio: Nasser blocca lo stretto di Tiran (accesso al
Mar Rosso di Israele, dichiarato “casus belli” da Israele)
30 maggio: alleanza militare tra Egitto e Giordania
La guerra dei 6 giorni
(5-10 giugno 1967)
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5 giugno: inizia l’attacco preventivo di Israele contro Egitto,
Giordania e Siria.
Nel primo giorno di guerra l’aviazione israeliana distrugge
quasi tutti gli aerei (di fabbricazione sovietica) e le piste dei
nemici, poi l’esercito israeliano avanza rapidamente e
occupa la striscia di Gaza e il Sinai fino al canale di Suez, la
Cisgiordania (compresa Gerusalemme est) e le alture del
Golan (in Siria).
Il 10 giugno cessano le ostilità.
Il ministro della difesa,
Generale Moshe Dayan,
“eroe” della Guerra dei
6 giorni,
con David Ben Gurion
La guerra
dei Sei giorni
Moshe Dayan
Carri armati e truppe di
Israele avanzano nel Sinai
Mezzi egiziani distrutti
La risoluzione 242
del Consiglio di sicurezza dell’Onu
(22 novembre 1967)
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Stabiliva l’instaurazione di una pace giusta e duratura in
Medio Oriente, il ritiro di Israele da zone occupate (o dalle
zone occupate?), la cessazione delle attività terroristiche
palestinesi, il rispetto della integrità e indipendenza di ogni
Stato della regione, un’equa soluzione del problema dei
profughi.
La soluzione 242 venne accettata sia da Israele sia dagli
arabi e dall’OLP (con interpretazioni diverse) e costituì la
base di tutti gli accordi di pace stipulati o tentati negli anni
successivi.
Tuttavia negli anni successivi continuarono gli scontri tra
guerriglieri palestinesi e Israele.
Olimpiadi di Monaco
1972
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Negli anni Settanta si
intensificarono le azioni
terroristiche palestinesi fuori
dai confini di Israele
(dirottamenti aerei, attentati
ecc.).
L’episodio più clamoroso fu il
raid terroristico che uccise
12 atleti israeliani durante le
Olimpiadi di Monaco del
1972
1973: La guerra del Kippur
Il primo ministro
d’Israele Golda Meir
Il 6 ottobre 1973, mentre in Israele si celebrava
la festa di Yom Kippur, Egitto e Siria sferrarono
un attacco a sorpresa contro Israele.
Israele fu colto impreparato dall’attacco, sia
perché la facile vittoria nella guerra dei 6 giorni
lo aveva portato a sottovalutare i nemici, sia
perché i servizi segreti, impegnati a contrastare
il terrorismo, avevano allentato la guardia nei
confronti degli Stati arabi.
Israele però riuscì a riprendersi, grazie agli aiuti militari inviati dagli
Stati Uniti con un ponte aereo.
I paesi arabi produttori di petrolio per ritorsione diminuirono la
produzione di petrolio, provocando una grave crisi energetica ed
economica in Occidente.
Alla fine della guerra non vi furono spostamenti importanti dei
confini degli Stati impegnati nel conflitto.
1977-79: la pace con l’Egitto

Nel 1977 il presidente egiziano Sadat dichiarò di voler
“abbattere la barriera del sospetto” tra il suo paese e Israele,
e di essere pronto “ad andare in Israele a fare la pace” .
L’apertura fu accolta da Israele che invitò Sadat in Israele e
avviò il negoziato di pace.
Il presidente egiziano Sadat
parla alla Knesset d’Israele
1979, Camp David:
pace tra Egitto e Israele

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L’accordo venne raggiunto 2
anni dopo, con la mediazione
del presidente USA Jimmy
Carter: l’Egitto riconosceva il
diritto all’esistenza dello Stato
d’Israele, e otteneva la
restituzione del Sinai. Tra i due
Stati si stabilivano regolari
relazioni diplomatiche.
La Lega Araba espulse l’Egitto
per aver firmato la pace.
Sadat venne assassinato nel
1981 da un membro di un
gruppo islamista (Al-Jihad).
Il presidente egiziano
Anwar Al-Sadat e il primo ministro
d’Israele Menachem Begin, con
Il presidente degli Stati Uniti Jimmy
Carter, a Camp David.
1982: la guerra in Libano
L’OLP aveva stabilito la sua base in Libano (dopo essere stata espulsa
dalla Giordania nel 1970), e dai campi profughi palestinesi in Libano
partivano le incursioni dei guerriglieri dell’OLP contro i centri abitati del
nord d’Israele (Galilea).

D’altra parte la presenza dei palestinesi aveva destabilizzato il Libano,
diviso tra fazioni politico-militari (cristiano-maroniti, musulmani sunniti,
drusi e sciiti) alleate con Israele, OLP, Siria, Iran.

Nel 1982, Israele (Begin capo del governo, Ariel Sharon ministro della
difesa), in risposta alle incursioni palestinesi e all’attentato contro
l’ambasciatore d’Israele a Londra, lanciò l’operazione “Pace in Galilea”,
cioè l’attacco al Libano: in poche settimane le truppe israeliane arrivarono
a Beirut e la misero sotto assedio.
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L’intervento degli Stati Uniti impose a Israele il “cessate il fuoco”.
Intervenne in Libano una forza multinazionale (Stati Uniti, Francia e Italia)
e sotto la sua protezione circa 10.000 guerriglieri poterono lasciare il
Libano (l’OLP si trasferì in Tunisia). Concluso il trasferimento dell’OLP la
forza multinazionale lasciò il Libano.
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Il 12 settembre 1982 venne ucciso in un attentato il neo-presidente del
Libano Bashir Gemayel, capo della falange cristiano-maronita, favorevole
all’intervento israeliano contro i palestinesi.
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Il massacro di
Sabra e Chatila
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Nella notte tra il 16 settembre e il 17
settembre, per vendicare la morte di
Gemayel, bande di falangisti
cristiano-maroniti penetrarono nei
campi profughi di Sabra e Chatila
(alla periferia di Beirut, in una zona
controllata dalle truppe d’Israele) e
fecero un’orrenda strage (da tre a
seimila vittime civili).
Il massacro suscitò grande scalpore
nel mondo, e Israele fu accusato di
esserne corresponsabile, per aver
lasciato agire indistrurbati i
falangisti, o addirittura per averli
favoriti e istigati.
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La commissione Kahan, istituita
in Israele, stabilì la responsabilità
indiretta, “per negligenza”, del
ministro della difesa Ariel
Sharon.
Anche in Israele l’opinione pubblica
fu scossa dalla strage di Sabra e
Chatila: 400.000 persone (il 10%
della popolazione d’Israele)
parteciparono a una
manifestazione organizzata dai
partiti dell’opposizione e dal
movimento pacifista Shalom
Akshav, e chiesero la fine della
guerra e un’inchiesta sul massacro.
L’esercitò israeliano si ritirò e in
Libano venne nuovamente
dispiegata la forza multinazionale
(USA, Francia, Gran Bretagna,
Italia), che fu però ripetutamente
attaccata dai terroristi.
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Dopo un attentato all’ambasciata USA (69 morti), il 23
ottobre 1983 due camion-bomba vennero lanciati da
terroristi kamikaze contro le caserme americana e francese:
morirono 241 marines USA e 56 soldati francesi.
L’attentato era opera di Hezbollah, il “partito di Dio”, fazione
dei musulmani sciiti sostenuti dall’Iran.
Dopo pochi mesi la forza multinazionale venne ritirata,
mentre il Libano precipitava nella guerra civile, che sarebbe
durata 6 anni.
L’Intifada
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Nel 1987, vent’anni dopo l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza da
parte di Israele, scoppia la rivolta (prima Intifada) dei palestinesi dei
territori occupati. I palestinesi che vivono nello Stato d’Israele godono
degli stessi diritti degli Ebrei, ma diversa è la condizione degli abitanti dei
territori occupati, sottoposti all’occupazione e all’amministrazione militare.
Inoltre Israele, nonostante abbia accettato la risoluzione ONU 242 che
l’impegnava a ritirarsi dai territori occupati, ha insediato 70.000 coloni in
Cisgiordania e 2.000 a Gaza, prefigurando quindi l’annessione a Israele di
questi territori.
L’Intifada, condotta con lancio di pietre da giovani e ragazzi, ha messo in
seria difficoltà l’esercito e il governo israeliano.
1993: gli Accordi di Oslo
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Dopo lunghe trattative segrete in
Norvegia, si giunge al
riconoscimento reciproco tra Israele
e l’OLP, e un accordo di base per il
raggiungimento della pace (anche se
restano molti problemi e contrasti,
che dovrebbero essere risolti nelle
successive trattative). Intanto
Israele si ritira dalle città di Gerico e
di Gaza e consente ad Arafat di
rientrare in Palestina e di istituire
l’Autorità Nazionale Palestinese, che
assume il controllo di queste città.
Nel 1995 un estremista di destra
israeliano uccide il premier israeliano
Yitzahk Rabin.
Ciò nonostante le trattative con
l’OLP continuano, sia durante il
governo di Netanyau (della Destra),
sia durante il governo di Ehud Barak
(laburista).
La storica stretta di mano tra
Rabin e Arafat, che
suggella gli accordi di
Oslo, con la mediazione
del presidente Clinton.
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Le trattative, pur avvicinando le parti, non raggiungono un accordo
definitivo: Barak propone di restituire all’Autorità Nazionale Palestinese
l’88% dei territori, chiedendo che l’ANP si impegni a contrastare il terrorismo
anti-israeliano. Arafat respinge la proposta perché non concede all’ANP la
sovranità completa su Gerusalemme est e sulla spianata delle moschee. Il
mancato conseguimento della pace indebolisce il governo Barack.
Nel settembre del 2000 esplode la seconda Intifada, in seguito alla
“passeggiata” sulla spianata delle moschee del leader della destra israeliana
Ariel Sharon. In 6 anni questa Intifada provoca la morte di circa 1000
israeliani e 4000 palestinesi.
Inizia anche la lunga serie degli attentati di terroristi suicidi contro civili
israeliani.
Nel febbraio 2001 Ariel Sharon vince le elezioni contro Barak e diventa capo
del governo.
Sharon accusa l’ANP di non fare nulla contro i terroristi e rompe i rapporti
con Arafat . Intanto continuano gli attentati dei kamikaze palestinesi e le
rappresaglie israeliane.
Uno degli attentati dei
kamikaze avviene in un
autobus: 10 israeliani
restano uccisi e 30 sono
feriti
Gerusalemme:
chiesa del
Santo Sepolcro
i luoghi della contesa
Il luogo dal quale riprende il conflitto è sacro e
irrinunciabile sia per gli ebrei che per i
musulmani, chiamato rispettivamente monte del
Tempio e Haram al Sharif. Lì si trovano:
− il Muro del Pianto, quanto resta del tempio
di Gerusalemme, distrutto dai romani nel
70 d.C.
− La Cupola della Roccia, fatta costruire dal
califfo Abd al-Malik nel 691.
− la moschea al Aqsa, ove i musulmani si
recano per la preghiera rituale del venerdì.
La città vecchia, la spianata del Tempio (al Haram al Sharif)
Cupola
della Roccia
Moschea
al Aqsa
Muro
del Pianto
Gli accordi di
Ginevra
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Nonostante tutte le difficoltà i
negoziati procedono: un
accordo che risolve tutti i nodi
della contesa tra Israele e
Palestinesi (ritiro dai territori,
sovranità su Gerusalemme,
ritorni dei profughi, sicurezza
di Israele ecc.) viene
raggiunto a Ginevra nel 2003,
ma viene raggiunto da due
delegazioni non ufficiali,
costituite da palestinesi
moderati e da pacifisti
israeliani. I due governi
accettano, con molte riserve,
gli accordi di Ginevra come
base per il negoziato ufficiale.
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2004: muore Yasser Arafat, leader di al-Fatah e presidente
dell’Autorità Nazionale Palestinese, e gli succede Abu Mazen
(anche lui del partito al-Fatah).
Inoltre nel 2005 Sharon decide il ritiro unilaterale di Israele
dalla striscia di Gaza: non vengono ritirate solo le truppe, ma
anche 8.000 coloni israeliani sono costretti ad abbandonare i
loro insediamenti nella striscia, che quindi passa sotto il
controllo dell’ANP.
Ma fatti nuovi intervengono a modificare la situazione e ad
allontanare la pace…
2006: la pace si allontana…
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L’ultima guerra in Libano: 12 luglio 2006: lancio di razzi
katyusha da parte delle milizie Hezbollah contro Israele;
Gli Hesbollah (sciiti libanesi) sono sostenuti e armati dall’Iran di
Ahmadinejad, che ha più volte dichiarato l’obiettivo della distruzione di
Israele;
Israele reagisce attaccando le postazioni degli Hezbollah nel sud del
Libano. L’attacco israeliano cessa quando l’ONU decide l’invio di una forza
multinazionale d’interposizione (di cui fa parte anche un contingente
italiano).
Nel 2006, le elezioni del parlamento dell’ANP vengono vinte da Hamas,
fazione politico-militare islamica, che si prefigge la jihad, la distruzione
dello Stato d’Israele e la costituzione di un unico stato islamico
palestinese.
Nel 2007 Hamas espelle dalla striscia di Gaza, dopo scontri sanguinosi, le
autorità palestinesi di al-Fatah e assume il controllo totale della striscia
(la Cisgiordania invece rimane sotto il controllo del presidente Abu Mazen
e di al-Fatah): la cosiddetta Guerra civile palestinese provoca centinaia di
morti.
Inizia il lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso le città meridionali di
Israele.
Questa è la storia, per sommi capi, dello Stato d’Israele e
del conflitto tra Israele e gli Stati arabi, tra Israele e gli
Arabi palestinesi. E’ anche la storia dei tentativi di costruire
la pace, la convivenza, talvolta coronati dal successo, più
spesso falliti, ma comunque cercati con ostinazione e
coraggio da molti ebrei e arabi.
Però, accanto alla storia condotta e realizzata dagli uomini
di stato, dai politici, dai militari, dai guerriglieri, c’è anche la
storia realizzata dagli uomini comuni, dagli uomini e dalle
donne che cercano di costruire la pace imparando a
convivere, insegnando ai giovani, ebrei e arabi,
l’accettazione e il rispetto dell’altro, la condivisione e
l’amicizia.
La situazione della Cisgiordania (2008)
e la costruzione del muro
Angelica Livne Calò è un’ebrea che ha creato una compagnia teatrale di
giovani palestinesi ed ebrei.
Samar Sahar è una palestinese cristiana che ha fondato, a Gerusalemme, un
orfanatrofio che accoglie bambini orfani e abbandonati di tutte le fedi e le
etnie.
Nella foto Angelica e Samar fanno insieme il pane, un gesto che significa
condivisione e amicizia, e in cui hanno coinvolto centinaia di donne
ebree e palestinesi, istituendo la “Giornata del pane”.
Aggiornamenti:
La guerra di Gaza:
Dicembre 2008 / gennaio 2009
Operazione militare intrapresa da
Israele per por fine al lancio di
missili (attuato da Hamas)
sulle città israeliane, ha
suscitato comunque proteste
per le gravi conseguenze
subite dalla popolazione civile
della striscia di Gaza.
Carta tratta da Limes
Il viaggio di Benedetto XVI : maggio 2009
Benedetto XVI al Muro del Pianto
Benedetto XVI al Campo Profughi di
Betlemme, presso il muro che separa
Israele dai “territori”.
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