CENTRO REGIONALE DI COMPETENZA ANALISI E MONITORAGGIO DEL RISCHIO AMBIENTALE PERSONALE DI ALTA QUALIFICAZIONE NELL’ANALISI, MONITORAGGIO E GESTIONE DEL RISCHIO AMBIENTALE” FINANZIATO DALLA REGIONE CAMPANIA NELL’AMBITO DEL POR 2000/2006 - MISURA 3.13 BIOMONITORAGGIO DELL’ESPOSIZIONE A BENZENE Relazione I anno di attività Tutori: Prof. Nicola Sannolo Assegnista: Dott.ssa Maria Pieri ANNO 2004-05 PARTE PRIMA 1.1. Benzene: esposizione ambientale e professionale Il benzene (C6H6) è un idrocarburo aromatico volatile usato primariamente nella produzione di plastiche. E’ considerato un inquinante ubiquitario in quanto si ritrova sia in ambienti confinati (di lavoro o ad uso abitativo) che nell’aria, nell’acqua, negli alimenti e, quindi, anche in campioni biologici della popolazione non esposta professionalmente. Esposizione a benzene in ambiente urbano L’inquinamento atmosferico da benzene nelle città è da attribuirsi quasi esclusivamente al traffico veicolare a causa delle emissioni dei veicoli alimentati a benzina. Il benzene, infatti, è un componente della benzina: circa l’85% del benzene presente nell’atmosfera ha origine dallo scarico dei veicoli, quale composto incombusto o come prodotto di riarrangiamento di altri idrocarburi aromatici componenti le benzine; il 15%, invece, deriva da fenomeni di evaporazione, a seguito dei ripetuti trasferimenti di carburante dalla produzione al serbatoio del singolo veicolo e di perdite dal vano motore, anche durante la sosta [Marchetti R. 1998]. Benzene negli alimenti e nell’acqua La presenza di benzene nell’ambiente circostante determina, a causa di fenomeni di infiltrazione, la contaminazione delle falde acquifere; nell’acqua potabile si ritrovano concentrazioni di benzene di 0.1-0.3 µg/l. Il benzene è contenuto anche in numerosi alimenti quali uova (fino a 100 µg per uovo), carne di vitello arrosto (19 µg/Kg) o in scatola (2 µg/Kg), pesce, pollame, noccioline, frutta e vegetali [IARC, 1987]. Secondo alcuni autori, tuttavia, il contenuto di benzene negli alimenti sarebbe molto più basso di quello sopra riportato e con la dieta verrebbe introdotta una quantità di benzene pari a 0.03 mg/die (0.02 mg con i cibi e 0.015 mg attraverso l’acqua) [Hattemer-Frey HA. 1990, Pezzagno G. 1994]. Concentrazioni “indoor” Il benzene nell’aria di ambienti confinati dipende dalla ventilazione e dalla presenza di sorgenti di emissioni interne. Tra queste il fumo di sigaretta rappresenta la causa di contaminazione più importante; altre sorgenti sono i materiali da costruzione, arredi e finiture, i prodotti utilizzati per la pulizia e i sistemi di riscaldamento (stufe a gas, a legna, a kerosene). Il benzene viene ceduto in quantità variabili anche da adesivi, prodotti di rivestimento, schiume, lubrificanti, vernici, gomme, cosmetici, materiale elettrico e fotografico, inchiostri, penne [Ozkaynak H. 1987]. 1 Esposizione a benzene per l’abitudine al fumo La combustione incompleta del materiale organico del tabacco comporta la produzione di oltre 4700 composti chimici, presenti sia in forma gassosa che particolata (nicotina, idrocarburi policiclici aromatici, benzene, ecc.) [U.S. Environmental Protection Agency 1989] . Ciò fa del fumo di tabacco la maggiore fonte individuale di benzene per la popolazione generale non esposta professionalmente. Infatti, la concentrazione media nel fumo di una sigaretta è compresa tra 40 e 50 µg ed un fumatore di 20 sigarette al giorno ne inala 700-800 µg [Adkolfer F. 1990, Appel BR. 1990]. Nelle abitazioni di soggetti fumatori la concentrazione ambientale di benzene è del 30-50% superiore a quella delle abitazioni dei non fumatori; sono state riscontrate, inoltre, concentrazioni di benzene nel sangue dei fumatori circa doppie rispetto a quelle dei non fumatori [Brugnone F. 1992, Hajimirahga H. 1989] . Anche i fumatori passivi risultano esposti a benzene; uno studio dell’Environmental Protection Agency (EPA) rivela che il livello di esposizione risulta quasi raddoppiato quando soggetti non fumatori si trovano a vivere con soggetti fumatori [Ozkaynak H. 1987]. Per quel che riguarda il rischio cancerogeno sono state elaborate stime di rischio per la popolazione generale, basate sull’assunzione di un rapporto lineare tra esposizione e rischio. In particolare, il TEAM Study (Total Exposure Assessment Methodology Study) degli Stati Uniti, sulla base di una valutazione di esposizione media giornaliera pari a 15 µg/m3 in un campione di popolazione di alcune città degli Stati Uniti, ha stimato che, nella popolazione generale, circa 500 casi di leucemia/anno sono dovuti al benzene presente nel fumo di sigaretta e circa 400 casi ad altre sorgenti interne ed esterne di esposizione a benzene [Wallace LA. 1989]. Fonti di esposizione professionale In ambito industriale, il benzene viene adoperato nell’industria chimica di sintesi come composto base o come solvente nella produzione di prodotti di largo consumo quali vernici, inchiostri, gomme [Pezzagno G. 1995]. Inoltre, in miscela con altri idrocarburi della frazione aromatica del petrolio (toluene, xilene, etilbenzene), il benzene viene utilizzato come componente di carburanti privi di antidetonanti a base di piombo (benzine verdi). L’esposizione professionale, quindi, è da attribuire anche a mansioni espletate nell’industria petrolifera. Tre formulazioni tecniche notificate al registro Italiano dei Pesticidi indicano la presenza di benzene (adoperato quale solvente) in percentuali variabili dal 10% (cypermethrin), al 30% insieme a xilene (alachlor), al 38% insieme a xilene e cicloesanolo (dimethoate) [Petrelli G. 1993]. 1.2. Metabolismo e tossicocinetica 1.2.1. Benzene: assorbimento, biotrasformazione, eliminazione 2 Il benzene viene assorbito principalmente attraverso l’apparato respiratorio; una quota pari al 84-90% dei vapori inalati supera la barriera alveolo capillare e diffonde nel sangue [Minoia C. 2001] . L’assorbimento, in questo caso, dipende essenzialmente da parametri quali la concentrazione ambientale, il tempo di esposizione, la ventilazione polmonare (espressione del dispendio energetico) e l’indice di ritenzione (rapporto tra l'assorbimento totale -differenza tra quantità inalata ed esalata- e la quantità totale di sostanza inalata), che esprime la frazione di solvente assorbito ed è stimato intorno a 0.5 [Pezzagno G. 1995] . La quantità inalata si eleva con l’innalzarsi della temperatura grazie alle caratteristiche di volatilità del solvente. Il benzene può anche entrare nell’organismo attraverso l’apparato digerente e per via cutanea; osservazioni condotte sull’uomo durante le attività lavorative forniscono indici di assorbimento cutaneo pari a circa il 20-40% della dose totale di benzene presente nell’organismo a seguito di esposizioni pari a 1 ppm [Pekari K. 1994, Susten AS. 1985] . Il benzene assorbito si distribuisce rapidamente, fino al raggiungimento dell’equilibrio sangue/aria, con un’emivita nell’uomo di circa 9-24 ore [Baselt RC. 1989] . Essendo una molecola lipofila a basso peso molecolare, il benzene attraversa facilmente le barriere fisiologiche e penetra nei tessuti in proporzione al loro contenuto lipidico. I principali siti di accumulo sono infatti rappresentati dal tessuto adiposo, dal midollo osseo (ricco di lipidi), cervello, rene e fegato; la concentrazione massima nei tessuti viene raggiunta nell’arco di tre ore [Sato A. 1975, Agency Toxic Substances 1993, Avie SP. 1993] . Biotrasformazione del benzene Nei mammiferi molte sostanze esogene che entrano nell’organismo (xenobiotici) vengono metabolizzate prevalentemente nel fegato. Tale processo, chiamato biotrasformazione, è costituito da un insieme di reazioni che portano alla formazione di metaboliti più idrosolubili dello xenobiotico assorbito e, quindi, più facilmente eliminabili per via renale. Il processo metabolico è suddivisibile in due fasi, ciascuna delle quali caratterizzata dall’intervento di specifiche classi di enzimi: nella fase I si verifica generalmente l’ossidazione dello xenobiotico a cui seguono, nella fase II, reazioni di coniugazione. Il metabolismo del benzene (Figura 1) è costituito da un insieme complesso di biotrasformazioni che comportano la produzione di un epossido (benzene ossido) e di altri metaboliti che contribuiscono all’azione genotossica, mielotossica e oncogena per la loro tendenza a reagire con gli acidi nucleici e con altre macromolecole cellulari [Snyder R. 1993 e 1994, YardleyJones A. 1991] . Una volta distribuito all’interno dell’organismo, la bioattivazione del benzene ha luogo principalmente a livello epatico ed, in misura minore, nel midollo osseo, con un tasso di biotrasformazione superiore al 50% [Andrews L. 1979] . L’iniziale ossidazione del benzene, a carico di ossigenasi microsomiali ad azione mista, porta alla formazione di benzene epossido e di chinone epossido. Questi sono responsabili dell’effetto neoplastico a carico del midollo osseo in quanto 3 Figura 1: Metabolismo del benzene. altamente reattivi e in grado di legarsi a costituenti cellulari quali proteine e acidi nucleici (con formazione di N-7-fenil guanina). Il benzene ossido viene a sua volta trasformato attraverso varie vie metaboliche. La prima, chiamata anche metabolismo fenolico, trasforma circa il 30% del benzene bioattivato: trasformazioni di natura non enzimatica portano alla formazione di fenolo, mentre l’epossido deidrasi origina catecolo e chinolo. La seconda, derivante dall’apertura dell’anello benzenico, produce metaboliti a catena lineare (principalmente acido trans,transmuconico) in quantità variabili intorno al 2% del benzene bioattivato [Pezzagno G. 1995] . La terza via concerne l’azione della glutation-S-epossido transferasi citoplasmatica e la reazione con il gruppo nucleofilo della cisteina del glutatione: si forma un complesso glutationico che subisce il distacco successivo della glicina e dell’acido glutammico, generando un acido pre-mercapturico. L’acetilazione di quest’ultimo a livello del gruppo amminico della cisteina, porta alla formazione di un acido mercapturico specifico del benzene, l’N-acetil-S-fenilcisteina, il quale rappresenta lo 0.1% circa della quantità di benzene metabolizzato. Benzene: cinetica di eliminazione Il benzene viene rapidamente eliminato con l’aria espirata (circa il 12% della quantità totale assorbita) e per via renale, come composto tal quale (3%) o attraverso i metaboliti (90% del totale assorbito). Fra i metaboliti, il principale risulta il fenolo (74-87% della quota inalata), escreto con le urine dopo coniugazione epatica come solfato o glucuronide [Minoia C. 2001, Ambrosi L. 1996] . I metaboliti, idrosolubili, vengono escreti con relativa rapidità dagli emuntori, con un picco di eliminazione urinaria a fine turno lavorativo [Ambrosi L. 1996, Agency Toxic Substances 1993, Snyder R. 1993, Qu Q. 2000]. La cinetica di eliminazione presenta tre fasi, caratterizzate da un’emivita rispettivamente di 40-90 minuti, 2-3 ore e 20-30 ore. I distretti nei quali si compiono le diverse fasi sono rispettivamente: il sangue e i tessuti ad elevata vascolarizzazione, i muscoli e la cute, i tessuti ricchi di lipidi (adipe, tessuto nervoso, midollo osseo) e quelli poco vascolarizzati [Sherwood RJ. 1972]. L’adiposità favorisce la permanenza del benzene nell’organismo: a parità di esposizione, l’eliminazione è più lenta nelle donne che negli uomini, verosimilmente come conseguenza del maggior contenuto adiposo dell’organismo femminile [Sato A. 1975]. 1.3. Effetti tossicologici Il benzene viene indicato come uno tra i più potenti agenti cancerogeni e mutageni finora noti. Sebbene non sia ancora del tutto chiaro il meccanismo d’azione nell’indurre effetti genotossici, è definitivamente accertato che questo agente di rischio è in grado di produrre un’ampia varietà di alterazioni genetiche; ciò, associato al fatto che libera metaboliti ad elevato potere genotossico, ha consentito di attribuire al benzene la definizione di “mutageno totale”. Gli effetti tossicologici del 4 benzene risultano differenti in base alla durata dell’esposizione: nelle esposizioni acute, caratterizzate da euforia, cefalea, vertigini, convulsioni, paralisi, tremori, perdita della coscienza, gli organi bersaglio sono il sistema nervoso centrale e il cuore, con effetti irritativi diretti anche alla mucosa respiratoria e a livello oculare; mentre esposizioni croniche a benzene comportano alterazioni neurologiche, effetti sul sistema nervoso periferico, danni epatici, eritemi e dermatiti [Bozza-Marrubini M. 1987, Haley TJ. 1977] . Effetti lesivi sempre a carico del sistema nervoso centrale e del midollo osseo sono rilevabili per esposizioni croniche a benzene, anche a bassi livelli di contaminazione ambientale. Studi epidemiologici, inoltre, hanno inquadrato il benzene come induttore di varie malattie del sangue e di diversi tipi di tumore quali: leucemia mieloide acuta, leucemia linfocitica acuta, leucemia mieloide cronica, leucemia linfocitica cronica e sindrome mielodisplastica. 1.3.1. Effetti acuti, cronici, cancerogeni Intossicazioni acute a seguito di esposizione professionale a benzene e caratterizzate da effetti sul sistema nervoso centrale (euforia, cefalea, vertigini, convulsioni, paralisi, tremori, perdita della coscienza) sono state descritte già all’inizio del secolo scorso in lavoratori esposti a concentrazioni ambientali variabili tra 300 e 3000 ppm [Hamilton A. 1922, Harrington TF. 1917, Greenburg L. 1939]. L’intossicazione acuta fa seguito generalmente a esposizione per via inalatoria e/o cutanea. Oltre alle disfunzioni del sistema nervoso centrale, spesso reversibili, sono stati osservati casi di narcosi conseguenti ad esposizione acuta a bassi o moderati livelli di benzene o toluene assorbiti per inalazione. I sintomi da intossicazione includono affaticamento, sonnolenza, mal di testa e nausea e, in alcuni casi, aritmia. Il benzene esercita effetti irritativi diretti sulla mucosa respiratoria e massicce esposizioni a vapori di benzene determinano a livello cutaneo ustioni chimiche di primo e secondo grado. A livello oculare il benzene provoca bruciore e lesioni reversibili dell’epitelio congiuntivale e della cornea. L’azione sul midollo osseo, ben documentata in seguito ad esposizioni croniche, sembra possa manifestarsi anche per unica massiva esposizione. Intossicazioni, talora letali, sono state descritte anche in seguito ad ingestione di prodotti contenenti benzene, assunti quasi sempre con intento autolesivo [Snyder R. 1994, Bozza-Marrubini M. 1987]. Gli effetti cronici sulla salute connessi con la presenza di benzene derivano, nella maggior parte dei casi, da esposizioni professionali a livelli superiori ai limiti oggi considerati dalla American Conference of Governmental Industrial Hygienists, ACGIH (0.5 ppm). Sono state osservate alterazioni neurologiche TF. 1917] [Gilman AG. 1985, Harrington a carico del sistema nervoso centrale ed effetti sul sistema nervoso periferico, quali polineuriti, danno epatico, eritemi e dermatiti da contatto per prolungata esposizione di cute non protetta conseguente alla rimozione dei lipidi di superficie [Bozza-Marrubini M. 1987, Haley TJ. 1977, Hall AH. 1995] . 5 Alcune evidenze cliniche sembrano suggerire che il benzene, in particolare, eserciti anche un effetto immunotossico alterando la produzione di immunoglobuline (aumento di IgM, riduzione di IgG e IgA) e compromettendo l’integrità dei meccanismi di immunità cellulo-mediata [Dean JH. 1991, Lange A. 1973, Smolik R. 1973] . L’effetto più noto dovuto ad esposizioni croniche a benzene rimane, comunque, quello sul sistema emopoietico. Accanto alla più frequente leucemia acuta mielobastica, l’esposizione al benzene può determinare anche leucemia linfocitica cronica [Smolik R. 1973]. Effetti cancerogeni e mutageni La storia tossicologica del benzene rappresenta uno dei classici esempi di agenti cancerogeni e genotossici scoperti come tali a seguito dell’insorgenza di malattie nell’uomo e solo successivamente studiati in laboratorio. Ciò è conseguenza di un ritardo sempre difficile da colmare tra l’impiego di sostanze chimiche e adeguate conoscenze circa la loro tossicità. La leucopenia indotta dal benzene suggerì addirittura il suo impiego come antineoplastico nel trattamento delle leucemie; tuttavia gli esiti fatali di tale terapia ne sconsigliarono l’ulteriore utilizzo già nel 1913. I primi studi di cancerogenesi animale risalgono al 1928-‘32 [Lignac GOE. 1932] . Risultati di studi sistematici su alterazioni cromosomiche indotte nell’uomo dal benzene furono riportati per la prima volta da Pollini et al. nel 1964: in 5 casi di intossicazione benzolica grave, venne rilevato che circa il 70% delle cellule midollari, poste in coltura, presentava eteroploidia; tuttavia non mancavano le cellule iperdiploidi con un certo numero di trisomie. Gli stessi Autori, in successivi lavori relativi ad indagini su soggetti esposti a benzene, evidenziarono, oltre alle anomalie numeriche, anomalie strutturali dei cromosomi sia nel caso di cellule ematiche midollari sia di quelle periferiche, ipotizzando la genesi di cellule a potenzialità maligna. Nello stesso periodo Tough et al. osservarono aberrazioni cromosomiche strutturali in sangue periferico di 20 lavoratori esposti a benzene [Tough IM. 1965] . Ciò ha portato a numerosi studi di follow-up di lavoratori già affetti da emopatia benzolica nel tentativo di evidenziare possibili correlazioni tra evoluzioni di particolari tipi di cariotipi aberranti ed evoluzione neoplastica [Forni A. 1969 e 1971, Pollini G. 1969 e 1977] . Per esempio, sono stati notati vari fenomeni comuni come: comparsa, nei primi anni dell’intossicazione, di numerose cellule aberranti e successivo lento ritorno verso la normalità; frequente presenza della delezione di un grosso cromosoma metacentrico; frequente trisomia dei cromosomi 19 e 21 oppure perdita dei cromosomi 17 e 18; presenza, nello stesso soggetto, di cellule con aberrazioni simili, tali da suggerire un’origine clonale. L’induzione di aberrazioni cromosomiche, di scambi tra cromatidi fratelli e di micronuclei nelle cellule del midollo osseo è ben documentata dopo somministrazioni di singole dosi di benzene sia per via inalatoria che per via intraperitoneale [Meyne J. 1980, Tice RR. 1989] . Erexon et al. hanno mostrato che incrementi significativi di scambi tra cromatidi fratelli nei linfociti e comparsa di 6 micronuclei in cellule del midollo osseo sono prodotte da esposizioni ripetute di sei ore a concentrazioni pari a 10 ppm nei topi e 1 ppm nei ratti [Erexson GL. 1986]. Recentemente, è stato dimostrato che il benzene è capace di indurre mutazioni nel locus dell’ipoxantina-guanina fosforibosil transferasi nei linfociti splenici dei topi esposti a concentrazioni di 40 - 1000 ppm per 22 h/die per 6 settimane. Alla dose più bassa di 40 ppm, è stato evidenziato un incremento statisticamente significativo di mutazione genica di ben 4 volte rispetto all’evento spontaneo; mentre gli autori hanno osservato un calo dell’effetto cancerogeno alla dose più alta [Ward JB.Jr. 1992] . Questa osservazione è stata spiegata dal fatto che a tali livelli potrebbero essere indotti nell’organismo sistemi di detossificazione enzimatica non attivi a basse dosi. 1.3.2. Classificazione della tossicità Numerose agenzie internazionali per la tutela della salute nei luoghi di lavoro collocano il benzene tra le sostanze con evidenza di effetti cancerogeni sia negli animali che nell’uomo: infatti, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) lo inserisce nel Gruppo 1: “Cancerogeno accertato per l’uomo”; l’ACGIH, sulla base di studi epidemiologici, classifica il benzene nella Categoria A1: “Cancerogeno riconosciuto per l’uomo”; infine, la Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale (CCTN) lo inserisce nella Categoria 1: “Sostanze note per effetti cancerogeni sull’uomo”. 1.4 Tutela dei soggetti professionalmente esposti Il benzene è stato ampiamente adoperato nella seconda meta del XIX secolo, immediatamente dopo la sua introduzione nell’industria, dove veniva impiegato sia come materia prima che come solvente. La sua grande volatilità causava il rapido raggiungimento di elevate concentrazioni ambientali il che si traduceva in esposizioni lavorative ad alto rischio per la salute, tipiche di quei tempi. Mastici a base di benzene venivano ampiamente utilizzati anche nell’industria dell’inscatolamento nel periodo precedente allo sviluppo di altri sistemi di chiusura a tenuta dei recipienti. Nel 1916 sono stati descritti numerosi casi di pancitopenia ed anemia aplastica insorti in giovani donne lavoratrici in una ditta di scatolette a Baltimora [Selling L. 1916]. Lo studio condotto fornì una descrizione accurata dei segni e dei sintomi riscontrati in questi primissimi casi, descrizione che permise un inquadramento della malattia ed una sua associazione con l’esposizione a benzene. In Italia è sempre stata data un’importanza rilevante al rischio benzene e notevoli sono stati i contributi scientifici, sia di tipo sperimentale [Maltoni C. 1979 e 1985], che clinico [Vigliani EC. 1964 e 1976] , che epidemiologico [Paci E. 1989, Vigliani EC. 1976, Vai T. 1989]. L’approvazione della legge 245/63 con la quale si vietava l’uso di solventi contenenti benzene in concentrazioni superiori al 2% in peso, ha costituito 7 un momento di inversione di tendenza. A partire dalla seconda metà degli anni ‘60, infatti, il livello di contaminazione negli ambienti di lavoro si è ridotto di almeno 100 volte e la realtà attuale del mondo industriale è caratterizzata da carichi espositivi inferiori ad 1 ppm [Pezzagno G. 1995]. 1.4.1 Valori Limite Ambientali e Indici Biologici di Esposizione Valori limite di soglia I valori limite di soglia (TLV) indicano le concentrazioni delle sostanze aerodisperse al di sotto delle quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta ripetutamente senza causare effetti nocivi per la salute. I TLV sono stabiliti in base a dati ricavati dall'esperienza in campo industriale, a risultati di ricerche sperimentali sull'uomo e sugli animali e, quando è possibile, alla combinazione dei vari elementi di giudizio. L’ ACGIH 2000] [AIDII, Giornale degli Igienisti Industriali riporta che: “il criterio con cui il limite tollerabile viene fissato può variare a seconda del tipo di sostanza considerata: in alcuni casi ci si propone di prevenire i danni per la salute, in altri, di eliminare fenomeni irritativi, di riduzione dello stato di vigilanza, di disagio o altre forme di stress. I limiti proposti non costituiscono una netta demarcazione tra concentrazioni pericolose o non pericolose, ma hanno valore di raccomandazione e devono essere usati come guida per buone pratiche operative. Malgrado sia poco probabile che un serio danno per l’organismo possa derivare dalla esposizione a valori limite di soglia, è opportuno mantenere la concentrazione degli inquinanti ai livelli più bassi consentiti”. Il primo limite di esposizione per il benzene fu introdotto a partire dal 1941 (100 ppm), poi abbassato a 35 ppm nel 1948 e a 25 ppm nel 1957. Successivamente, poiché per livelli inferiori a 10 ppm nessun effetto ematologico era stato evidenziato fino ad allora, si arrivò ad un TLV-TWA pari a 10 ppm, rimasto tale fino al 1997, sebbene l’ACGIH già nel 1994 ne proponesse la modifica. A partire dal 1997 il nuovo limite è di 0.5 ppm (1.6 mg/m3). Indici Biologici di Esposizione Gli indicatori biologici possono essere costituiti dagli agenti tossici tal quali, da uno o più metaboliti oppure da addotti che l’agente tossico (o anche qualcuno dei suoi metaboliti) forma per interazione con macromolecole (DNA o proteine) o con molecole piccole (acido glucuronico e glutatione). Tali indicatori vengono suddivisi in indicatori di dose interna ed indicatori di effetto. I primi riflettono la quantità di agente tossico effettivamente assorbita dall’organismo e possono essere correlati all’entità dell’esposizione. Gli indicatori di effetto, invece, si riferiscono ai danni prodotti a livello degli organi bersaglio. In linea di principio, per qualsiasi indicatore biologico può essere definito un indice di esposizione biologico (BEI), il quale rappresenta il valore della concentrazione dell’indicatore nei fluidi biologici di soggetti esposti a livelli ambientali di agente 8 tossico corrispondenti ai TLV. Gli indici biologici di esposizione costituiscono una guida per valutare i risultati del monitoraggio biologico. Nel caso del benzene e sono stati proposti diversi indicatori biologici di esposizione, a cui corrispondono diversi BEI. Attualmente, i valori limite biologici proposti dall’ACGIH -corrispondenti ad un valore limite ambientale di 0.5 ppm di benzene e a campioni biologici di urina raccolti a fine turno- sono: 25 µg/g creat per l’N-acetil-Sfenilcisteina e 500 µg/g per l’acido trans,trans-muconico, entrambi adoperati come indicatori biologici. Studi riportati in letteratura propongono un valore di 0.6 µg/l per la benzenuria [Pezzagno G. 1997] . La Deütsche Forschungsgemeinschaft (DFG) propone, inoltre, per il monitoraggio biologico anche la benzenemia, con valori limite compresi fra 0.9 e 38 µg/l (equivalenti a livelli di esposizione di 0.3 e 4.0 ppm, rispettivamente). 1.5 Monitoraggio biologico: stato dell’arte Gli effetti lesivi per la salute dell’uomo a seguito dell’esposizione prolungata anche a bassi livelli di concentrazione di benzene rendono conto della necessità di effettuare un monitoraggio biologico dei soggetti professionalmente esposti a tali sostanze. Il monitoraggio biologico costituisce uno strumento per stimare l’esposizione e il rischio per la salute dei lavoratori mediante la misura della concentrazione di un “indicatore”, denominato biomarcatore, presente nel sangue o nelle urine (mezzo biologico) delle persone esposte. Il biomarcatore agisce come rilevatore dell’effettivo assorbimento di una sostanza. Il monitoraggio biologico consente, quindi di valutare il rischio fornendo un indice globale di esposizione. A tal fine, sono stati adoperati, quali biomarcatori di esposizione, diversi metaboliti urinari: l’N-acetil-S-fenilcisteina e l’acido trans,trans muconico[Einig T. 1996, Ghittori S. 1999, Ming ZF. 2000, Van Sitter NJ. 1993] . Negli ultimi tempi, tuttavia, fra le procedure adoperate per il monitoraggio biologico di soggetti professionalmente esposti a benzene hanno assunto particolare importanza tecniche basate sull’estrazione degli analiti su fibra e rilevazione mediante spettrometria di massa [Brugnone F. 1998 e 1999, Fustinoni S. 1999 e 2000, Kawai T. 1992, 1994 e 1996, Waidyanatha S. 2001] . Tali tecniche consentono una quantificazione diretta del solvente tal quale presente all’interno di matrici biologiche complesse quali il sangue e le urine. 1.5.1 Biomarcatori dell’esposizione professionale La scelta di un opportuno biomarcatore, atto a rappresentare anche bassi livelli di esposizione professionale ad un determinato agente tossico, si basa su un preliminare studio dei processi di assorbimento, distribuzione, trasformazione e di eliminazione dell’agente tossico stesso all’interno dell’organismo umano. I meccanismi e le cinetiche di assorbimento, distribuzione ed eliminazione determinano le modalità con cui il campionamento deve essere effettuato o, in altri termini, consentono di stabilire quale matrice biologica analizzare (ad esempio sangue o urine) e il 9 periodo di raccolta o di prelievo del campione biologico (es. urine delle 24 ore, prelievi di sangue di fine turno lavorativo ecc.). Il metabolismo della sostanza esogena rende conto, invece, delle percentuali di biotrasformazione della sostanza assorbita nei suoi metaboliti e della maggiore o minore stabilità degli stessi nei fluidi biologici in esame. Un biomarcatore ‘sensibile’, rappresentativo cioè anche di bassi livelli di esposizione, deve mostrare requisiti di abbondanza, stabilità e, ovviamente, correlazione con le concentrazioni ambientali dell’agente inquinante, anche se presente in minime quantità. Il biomarcatore risulta invece ‘specifico’ nel momento in cui la sua presenza all’interno dell’organismo può derivare esclusivamente dall’avvenuto assorbimento di un particolare agente tossico eventualmente metabolizzato e non da interferenze di natura alimentare o da vie metaboliche parallele, relative alla biotrasformazione di altre sostanze esogene o endogene. L’analisi del metabolismo del benzene [Pezzagno G. 1995] e di numerosi studi condotti finora sulla popolazione in generale e su lavoratori professionalmente esposti a tali agenti ha consentito di individuare un certo numero di potenziali biomarcatori di esposizione [Ambrosi L. 1996, Brugnone F. 1994, 1998 e 1999, Ikeda M. 1990, Kawai T. 1992,1993,1994 e 1996, Perbellini L. 1988, Van Sitter NJ. 1993, Waidyanatha S. 2001] . Il dosaggio dei vari indicatori biologici di esposizione comporta vantaggi e svantaggi a seconda dei casi e implica l’utilizzo di metodiche diverse, ciascuna tesa alla quantificazione di un determinato biomarcatore presente in un fluido biologico. Gli acidi mercapturici rappresentano indicatori biologici specifici per il benzene, tuttavia corrispondono a percentuali di solvente biotrasformato comprese tra lo 0.05 e lo 0.3%, richiedendo pertanto lo sviluppo di metodiche basate sull’utilizzo di tecniche analitiche altamente sensibili [Van Sitter NJ. 1993] . Le quantità di acido trans,trans muconico ritrovate nelle urine sembrano invece influenzate dalla compresenza di altri solventi [Ambrosi L. 1996] [Ikeda M. 1990] e di acido benzoico come conservanti nelle diete alimentari, diminuendo in tal modo il livello di specificità dei metaboliti quali indicatori biologici. D’altra parte, il dosaggio diretto dei solventi tal quali a differenza dei loro metaboliti consente una correlazione immediata tra dose interna e dose esterna a cui è stato esposto un lavoratore e prescinde da eventuali errori di valutazione dovuti al dosaggio di metaboliti potenzialmente provenienti dalla dieta seguita o dall’esposizione e dal metabolismo di altre sostanze, non tenute in debita considerazione. 1.5.2 Addotti emoglobinici quali indicatori di esposizione I fattori di rischio dei lavoratori professionalmente esposti ad agenti alchilanti sono generalmente connessi alle modificazioni prodotte dalla formazione di addotti a livello degli acidi nucleici, sebbene, rispetto ad altri agenti alchilanti, il bromuro di metile in particolare mostri una bassa affinità specifica nei confronti dei siti del DNA critici per l’insorgere di mutazioni[Pletsa V. 1999, Vogel E.W. 1982] . Le modificazioni prodotte sono considerate responsabili dell’alterazione della capacità 10 di replicazione del DNA, dello sviluppo di mutazioni e del processo degenerativo multistadio che può portare all’insorgenza del cancro. La misura degli effetti sul DNA rappresenterebbe, quindi, un efficiente metodo di valutazione della dose biologicamente efficace o dose tissutale (frazione di sostanza assorbita presente nell’organo bersaglio); tuttavia il monitoraggio diretto degli addotti al DNA non è facilmente realizzabile a scopo preventivo, poiché comporta diverse problematiche, connesse con la necessità di prelievi bioptici, per reperire il materiale biologico, e con l’alto turnover delle molecole di DNA. A causa dei meccanismi enzimatici di riparo degli acidi nucleici, inoltre, la concentrazione degli addotti al DNA risulta indicativa soltanto di esposizioni avvenute in tempi piuttosto recenti. I problemi analitici legati all’analisi diretta degli addotti formati dall’interazione degli agenti alchilanti con il DNA determinano quindi l’esigenza di ricercare metodi alternativi, tesi alla quantificazione di biomarcatori altrettanto rappresentativi, ma di più facile utilizzo. Negli ultimi anni hanno assunto notevole importanza metodi di biomonitoraggio basati sul dosaggio di addotti derivanti dall’interazione fra l’agente alchilante e l’emoglobina (Hb) [Tornqvist M. 1993, Ostermann-Golkar S. 1976, Neumann H.G. 1984, Miraglia N. 2001, Basile A. 2001] . Quest’ultima risulta particolarmente adatta per la dosimetria di sostanze genotossiche dato che è presente in gran quantità nell’organismo, è facilmente campionabile e non è soggetta a meccanismi enzimatici di riparo; inoltre, il tempo di vita media relativamente lungo della proteina (120 giorni nell’uomo) consente di accumulare gli eventuali addotti e di rilevarne la presenza anche nel caso in cui il monitoraggio fosse effettuato in tempi relativamente lontani dall’avvenuta esposizione. Per un gran numero di agenti alchilanti è stata dimostrata l’esistenza di un rapporto costante tra la formazione di addotti con il DNA e con l’emoglobina in un ampio intervallo di dosi [Neumann H.G. 1984, Calleman C.J. 1978]; pertanto la determinazione della dose tissutale attraverso la quantificazione degli addotti dell’emoglobina rappresenta effettivamente una valida misura del rischio genotossico connesso con l’esposizione a sostanze xenobiotiche. Il monitoraggio dei lavoratori professionalmente esposti ad agenti alchilanti è stato finora condotto quantificando gli addotti emoglobinici con tecniche analitiche classificabili in due categorie. Della prima categoria fanno parte i metodi basati sull’analisi, mediante Gas Cromatografia/Spettrometria di Massa (GC/MS), di amminoacidi alchilati liberati dall’idrolisi acida o enzimatica dell’emoglobina, che viene purificata da campioni di sangue provenienti da soggetti esposti. Questi metodi, sebbene sensibili e veloci, non consentono di determinare né la struttura dell’addotto alchilante-proteina, né il tipo di amminoacido reattivo nei confronti di un particolare agente alchilante o la posizione dell’aminoacido stesso all’interno della sequenza globinica. Pertanto tale approccio non permette uno studio del processo di interazione cancerogeno-proteina. Della seconda categoria fanno parte, invece, le tecniche analitiche che si basano sulla reazione di degradazione di Edman modificata. Questa consente l’idrolisi selettiva 11 dell’amminoacido N-terminale di una proteina, lasciando inalterato il resto della catena peptidica; nella degradazione modificata, il convenzionale agente di Edman (fenilisotiocianato) è sostituito dal pentafluorofenilisotiocianato[Lequin R.M. 1972, Tornqvist M. 1986] che consente l’idrolisi selettiva degli amminoacidi N-terminali modificati a seguito di un’alchilazione. Tale reazione è seguita da estrazione del derivato dell’amminoacido N-terminale alchilato e da analisi quantitativa GC/MS, che consente il dosaggio di quantità di addotto nell’ordine delle picomoli. Questa metodica, nonostante i numerosi vantaggi, non permette di determinare gli addotti formati in corrispondenza di siti nucleofili eventualmente più reattivi dell’amminoacido Nterminale e posti all’interno delle catene globiniche; di conseguenza, in relazione a bassi livelli di esposizione -quando, cioè, solo gli amminoacidi maggiormente reattivi vengono alchilati- la quantità di addotto emoglobinico, e quindi il rischio genotossico, potrebbe essere sottostimata. 1.6 Obiettivi della ricerca: Studio dell’interazione benzene-emoglobina Il programma di ricerca è stato incentrato sullo studio dell'interazione dei metaboliti reattivi del benzene con l'emoglobina e sull’individuazione di un peptide modificato quale ottimale biomarcatore di esposizione in campioni reali. Il progetto sarà articolato nelle seguenti fasi: 1) individuazione dei metaboliti che presentano la maggiore reattività nei confronti dell'emoglobina; 2) individuazione e caratterizzazione degli addotti emoglobinici che si formano in seguito all’interazione con ciascuno dei metaboliti del benzene; 3) studio della reattività dei singoli residui amminoacidici allo scopo di individuare un peptide emoglobinico da utilizzare come biomarcatore. In particolare: relativamente al punto 1): a) uno dei principali metaboliti del benzene, la trans,trans-muconaldeide è stata incubata, in vitro, con peptidi modello dell’emoglobina. In seguito le reazioni di incubazione sono state ripetute per campioni di emoglobina proveniente da soggetti non fumatori e non esposti a benzene. Ciascuna reazione è stata condotta adoperando lo stesso rapporto molare di incubazione tra agente alchilante ed emoglobina; b) i campioni ottenuti dalle incubazioni tra trans,trans-muconaldeide ed emoglobina sono stati sottoposti a procedure standardizzate di precipitazione delle globine, mediante acetone o propanolo acido; 12 c) le globine e i peptidi modello sono stati analizzati mediante LC/MS: tale analisi ha consentito di determinare il grado di modifica delle globine e dei peptidi modello. relativamente al punto 2): a) campioni di emoglobina modificata a seguito di reazioni di incubazione sono stati sottoposti ad idrolisi enzimatica (tripsina); b) le miscele triptiche sono state analizzate mediante cromatografia liquida/spettrometria di massa con ionizzazione electrospray (LC/ESI-MS), al fine di individuare tutti i peptidi modificati dall’agente alchilante; c) per ciascun peptide modificato, la determinazione del residuo amminoacidico coinvolto nel legame covalente con l’agente alchilante è stata realizzata mediante analisi di spettrometria di massa tandem (LC/ESI-MSMS). relativamente al punto 3): è stato ricercato il peptide emoglobinico che viene preferenzialmente modificato dall’agente alchilante, anche nel caso in cui quest’ultimo fosse presente in minime quantità. Quest’ultimo risulterà essere il biomarcatore ottimale per evidenziare bassi livelli espositivi. L'originalità dell’approccio analitico utilizzato risiede nel fatto che, vista la complessità del metabolismo del benzene e le poche nozioni a disposizione circa la reattività dei metaboliti, è necessario, ai fini di un’accurata valutazione del tipo e dell’entità dell’interazione con macromolecole biologiche, un preliminare studio strutturale delle modificazioni verificatesi sull’emoglobina, sfruttando l’elevata sensibilità e specificità delle apparecchiature e delle metodologie di spettrometria di massa disponibili. Una volta identificata la natura della modificazione e quindi la natura dell'agente elettrofilo che l'ha prodotta, è possibile individuare uno o più biomarcatori, in grado di rivelare adeguatamente anche bassi livelli di esposizione a benzene. 13 PARTE SECONDA 2.1 Procedure, Materiali e Metodi 2.1.1 Presupposti teorici 2.1.1.1 Cromatografia Liquida ad Alta Efficienza La Cromatografia Liquida ad Alta efficienza (HPLC, High Performance Liquid Chromatography) rappresenta l’evoluzione strumentale della cromatografia in fase liquida su colonne classiche e delle tecniche ad essa collegate. È una tecnica che consente di separare analiti in miscele complesse in pochi minuti ed è caratterizzata da un elevato potere risolutivo [Majors R.E. 1985] Infatti, ogni sostanza raggiunge il rivelatore ben separata (risolta) dalle altre e tutti i componenti la miscela vengono eluiti in pochi minuti. Affinché la prima condizione venga rispettata è necessario che la fase stazionaria sia sensibile alle differenze fra le specie chimiche che si trovano nel campione. La colonna deve possedere un’adeguata selettività facendo in modo che ad ogni sostanza corrisponda un tempo di ritenzione sufficientemente diverso dalle altre. D’altra parte una buona selettività non garantisce di per sé la completa separazione (risoluzione) fra i picchi: è anche indispensabile che questi ultimi siano sufficientemente stretti per non sovrapporsi, nemmeno in parte. La capacità di un sistema fase stazionaria-fase mobile di mantenere stretti i picchi viene definita efficienza. Selettività ed efficienze determinano il grado di risoluzione fornito da un dato sistema cromatografico. In HPLC la fase mobile, allo stato liquido, è rappresentata da soluzioni tampone, saline o da miscele di solventi a diverso potere eluente, spinti lungo la colonna cromatografica mediante l’ausilio di pompe che lavorano in sincronismo e sono in grado di realizzare elevate condizioni di pressione. L’alta pressione consente di utilizzare una fase stazionaria a granulometria molto fine, che garantisce un’elevata superficie di contatto con la fase mobile. In tal modo il processo di ripartizione degli analiti fra le due fasi viene favorito, con conseguente incremento dell’efficienza di separazione. Il tempo che intercorre tra l’introduzione del campione in colonna e la massima risposta del rivelatore viene definito tempo di ritenzione (RT, Retention Time) ed è caratteristico di ogni sostanza, dipendendo dalla diversa affinità che la sostanza in esame presenta nei confronti della fase mobile e della fase stazionaria. 2.1.1.2 Spettrometria di Massa L’analisi mediante tecniche di Spettrometria di Massa consente di misurare il rapporto massa su carica (m/z) dell’analita e, quindi, di ricavare informazioni riguardanti la composizione elementare e di determinare la struttura della sostanza in esame o procedere ad un’accurata analisi 14 quantitativa. È questa una tecnica sensibile, specifica e di elevata riproducibilità. Inoltre, messo a punto il metodo analitico, la procedura può essere applicata nelle analisi di routine. La Spettrometria di Massa si basa sulla ionizzazione e frammentazione delle molecole e sulla separazione degli ioni generati in fase gassosa mediante un opportuno analizzatore di massa. Un requisito necessario, quindi, per il funzionamento di uno spettrometro di massa è dato dalla presenza di ioni in fase gassosa della sostanza da esaminare. Uno spettrometro di massa è uno strumento che lavora sotto vuoto spinto e si compone di un sistema di introduzione, una sorgente di ioni, un analizzatore di ioni e un rivelatore di ioni, collegato ad un sistema di elaborazione dati. Il sistema di introduzione del campione consente il passaggio dell’analita dalle condizioni di pressione atmosferica alle condizioni di vuoto di funzionamento dello spettrometro di massa senza perturbazione dello stesso. L’introduzione può avvenire, per introduzione e/o infusione diretta o collegando lo spettrometro di massa ad un sistema cromatografico (GC oppure HPLC). Nella sorgente ionica l’analita viene ionizzato, utilizzando tecniche diverse. Nella fase successiva, l’analizzatore, ad esempio il quadrupolo e la trappola ionica, separa gli ioni prodotti in sorgente in base al rapporto m/z. Gli ioni giungono, quindi, ad un rivelatore dove generano un segnale elettrico proporzionale al numero di ioni prodotti in sorgente. Infine, il sistema di elaborazione dei dati registra i segnali elettrici e li converte in uno spettro di massa. La Ionizzazione Electrospray (ESI)[Mann M. 1989] è una tecnica di ionizzazione particolarmente compatibile con separazioni cromatografiche in fase liquida ed è applicata principalmente a molecole di alto peso molecolare, poco o niente volatili e termicamente instabili. La Ionizzazione Electrospray si realizza durante il passaggio di fase dell’analita dalla fase condensata liquida alla fase gassosa, attraverso un procedimento di nebulizzazione in uno spazio in cui è presente un campo elettrico di intensità di migliaia di Volt per centimetro. La soluzione dell’analita da ionizzare viene nebulizzata, utilizzando azoto compresso, attraverso un ugello che è posto ad una differenza di potenziale di circa 4kV. L’aerosol che viene a formarsi contiene delle goccioline di soluzione che subiscono una progressiva desolvatazione, in seguito alla quale il loro diametro diminuisce fino ad un valore critico (limite di Rayleigh) oltre il quale si ha la loro esplosione Colombiana. Questo processo, che avviene a pressione atmosferica, porta alla formazione di ioni molecolari variamente protonati in fase gassosa a partire da una soluzione liquida. In questo modo all’analizzatore arrivano cluster di ioni molecolari protonati o deprotonati desolvatati ottenuti a pressione ordinaria. Poichè lo stato di carica dell’analita in soluzione è influenzato dal pH, a differenza della ionizzazione elettronica, la ionizzazione electrospray produce uno spettro di massa in cui per un singolo analita possono essere registrati più ioni quasi molecolari del tipo [M+Hn]+n o [M-Hn]-n. Infine, a differenza della Ionizzazione Elettronica, la tecnica di Ionizzazione Electrospray, non trasferendo 15 un eccesso di energia nel processo di ionizzazione, non produce frammentazioni significative ed è considerata per questo una tecnica di ionizzazione soft. I metodi di acquisizione che si possono scegliere nella spettrometria di massa sono diversi. La scelta è legata a considerazioni che riguardano il tipo di analisi da effettuare (qualitativa o quantitativa), la specificità e la sensibilità. Indagini qualitative, tese all’identificazione e all’individuazione di sostanze incognite, rendono indispensabile la modalità di acquisizione full scan, al fine di ottenere l’intero spettro di massa, ovvero l’impronta digitale della molecola in esame, oppure una serie di informazioni strutturali relative ad una molecola incognita. I dati di uno spettro di massa full scan di una sostanza derivano dall’acquisizione del segnale relativo a tutti gli ioni generati nella camera di ionizzazione dalla sostanza nel range di valori di m/z selezionato per l’analisi. Nello spettro full scan in ascissa è posto il rapporto m/z e in ordinata l’abbondanza relativa dei vari segnali. Ogni segnale nello spettro di massa si riferisce ad un frammento o ione. Nell’analisi strutturale uno spettro di massa full scan fornisce un quadro completo di informazioni ottenibili da una specie molecolare e consente, in linea di massima, la determinazione del peso molecolare e l’identificazione della molecola, grazie anche all’impiego di librerie di spettri di massa sempre più estese e facili da consultare. Nel caso debbano essere effettuate analisi volte alla determinazione quantitativa di specifiche sostanze risulta preferibile adoperare una diversa tecnica di acquisizione. È, infatti, possibile ottenere una maggiore sensibilità quando, nel corso dell’analisi, viene riportato in diagramma solo la corrente ionica dovuta ai ioni specifici che caratterizzano la sostanza in esame, operando, cioè, una Scansione di Ioni Selezionati (Selected Ion Monitoring, SIM). Si possono, cioè, selezionare ed acquisire soltanto pochi ioni rappresentativi dell’analita d’interesse: ciò comporta una diminuzione del segnale dovuto al rumore di fondo e, di conseguenza, un aumento del rapporto segnale/rumore e, quindi, una migliore sensibilità nella rivelazione degli analiti -specialmente nel caso di matrici complesse- senza tuttavia perdere in specificità. L’aumento di sensibilità dipende anche dal fatto che la finestra di osservazione dei segnali diventa più stretta e, quindi, nello stesso tempo possono essere misurati più eventi. Al fine di garantire un’identificazione univoca della molecola in esame, il rapporto tra le intensità relative dei frammenti ionici selezionati deve rispecchiare, entro un parametro di tolleranza del 5%, il rapporto tra le abbondanze relative tipiche dell’analita, che si ritrovano nello spettro di massa full scan. Per indagare più in dettaglio la struttura degli ioni in fase gassosa e, quindi, la struttura dell’analita o per migliorare la specificità e la sensibilità dell’analisi quantitativa è possibile ricorrere ad un tipo particolare di spettrometria di massa, detta spettrometria di massa tandem (MS-MS). In questo caso, è possibile ottenere lo spettro di massa di ioni-prodotto derivanti dalla frammentazione di uno qualsiasi degli ioni (ioneprecursore) presenti nello spettro di massa full scan. In genere,per scopi quantitativi, è preferibile 16 scegliere come ione-precursore quello più intenso nello spettro di massa full scan in modo da selezionare la quasi totalità della corrente ionica generata dall’analita e non perdere in sensibilità. Con la spettrometria di massa tandem nel primo stadio di analisi lo ione precursore, avente un determinato rapporto m/z, viene selezionato ed isolato. Nel secondo stadio a tale ione viene fornita energia o per collisione o per radiazione elettromagnetica, inducendo la frammentazione dello stesso. Gli ioni prodotto risultanti, separati da un secondo analizzatore di massa sono rivelati ed acquisiti in uno spettro di massa tandem. Il processo, in alcune particolari apparecchiature, può essere ripetuto n volte, Spettrometria di Massa Multistadio o MSn. 2.1.1.3 Cromatografia Liquida ad Alte Prestazioni accoppiata alla Spettrometria di Massa con ionizzazione ad Electrospray (LC/ESI-MS) Fino a pochi anni fa la possibilità di collegare un sistema per la cromatografia liquida (HPLC) ad uno spettrometro di massa (MS) sembrava improponibile, perché le due tecniche apparivano incompatibili. La Spettrometria di Massa, infatti, richiede per la ionizzazione condizioni di vuoto spinto e specie molecolari in fase gassosa; al contrario la cromatografia liquida è condizionata dall’uso di flussi elevati di eluente. Il solvente che eluisce da un sistema HPLC, dopo la vaporizzazione, aumenta notevolmente di volume. Il problema legato a questo elevato carico di gas (principalmente solvente vaporizzato) è stato risolto combinando un sistema di riscaldamento e uno di pompaggio e con l’aiuto di un gas di nebulizzazione che favorisce l’evaporazione del solvente. La difficoltà nell’interfacciare un HPLC ad uno spettrometro di massa è stata risolta con l’impiego di tecniche di ionizzazione a pressione atmosferica (API, Atmospheric Pressure Ionization), come la ionizzazione ad electrospray (ESI, Electrospray Ionization). 2.1.2 Materiali La Sostanza P e l’Angiotensina I sono state acquistate dalla ICN Biomedicals Inc (Aurora, Ohio, USA); la tripsina dalla Boehringer (Mannheim, Germania); il Bromuro di Cianogeno è della Pierce (Rockford, Illinois, USA). La Muconaldeide è stata sintetizzata e gentilmente fornita dai Laboratori di Chimica Organica della Facoltà di Chimica dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. I solventi e i reagenti per HPLC sono della Carlo Erba (Milano, Italia). Le colonne cromatografiche utilizzate per la separazione delle globine e dei peptidi sono, rispettivamente, una Jupiter (Phenomenex, USA) C4 (250 mm x 4.6 mm, 5µ, 300 Å) e una Jupiter (Phenomenex, USA) C18 (250 mm x 2.0 mm, 5 um, 300 Å). Le analisi LC/ESI-MS-MS sono state condotte con un sistema modulare HPLC serie 1100 (Agilent, Palo Alto, CA, USA) e uno spettrometro di massa a 17 trappola ionica LCQTMDECA (ThermoQuest, Finnigan, San Jose, CA, USA), dotato di una sorgente ionica electrospray e gestito dal programma Xcalibur (versione 1.2, ThermoQuest). 2.1.3 Metodi 2.1.3.1 Reazioni di incubazione in vitro Sono state condotte delle incubazioni della muconaldeide con peptidi modello, catene globiniche precipitate e con emoglobina. Peptidi Modello/Muconaldeide I peptidi modello che sono stati adoperati sono l’Angiotensina I (AI) e la Sostanza P (SP). Angiotensina/Muconaldeide rapporto molare 1:1 Sono stati prelevati 300 µl di una soluzione acquosa di AI, avente una concentrazione di 1 µg/µl (0.231 µmol), addizionati di 14.4 µl di una soluzione acquosa di MA, avente una concentrazione di 1.76 µg/µl (0.231 µmol). L’incubazione è stata condotta a 37 °C, overnight e successivamente il campione è stato liofilizzato e conservato a -20 °C. Prima dell’analisi il campione è stato sciolto in 300 µl di una soluzione acquosa di acido trifluoroacetico (TFA) allo 0.1%. Sostanza P/Muconaldeide rapporto molare 1:2 Sono stati prelevati 200 µl di una soluzione acquosa di SP, avente una concentrazione di 2 µg/µl (0.297 µmol), addizionati di 32.6 µl di una soluzione acquosa di MA, avente una concentrazione di 2 µg/µl (0.593 µmol). L’incubazione è stata condotta a 37°C, overnight e successivamente il campione è stato liofilizzato e conservato a -20 °C. Prima dell’analisi il campione è stato sciolto in 400 µl di una soluzione acquosa di TFA allo 0.1%. Sostanza P/Muconaldeide rapporto molare 50:1 Sono stati prelevati 100 µl di una soluzione acquosa di SP, avente una concentrazione di 2 µg/µl (0.148 µmol), addizionati di 9 µl di una soluzione acquosa di MA, avente una concentrazione di 0.0362 µg/µl (0.00296 µmol). L’incubazione è stata condotta a 37°C overnight e successivamente il campione è stato liofilizzato e conservato a -20 °C. Prima dell’analisi il campione è stato sciolto in 200 µl di una soluzione acquosa di TFA allo 0.1%. Catene Globiniche/Muconaldeide 18 Emolisi e Precipitazione dell’emoglobina Aliquote di 1.5 ml di sangue intero prelevati da un soggetto non fumatore sono stati centrifugati (5000 rpm per 10 min) e il surnatante è stato allontanato. Sono stati aggiunti 3 ml di soluzione fisiologica (NaCl 0.9%); il campione così ottenuto è stato nuovamente centrifugato e gli eritrociti sono stati separati dal liquido di lavaggio. L’operazione è stata ripetuta più volte fino al raggiungimento di un surnatante trasparente. L’emolisi degli eritrociti è stata ottenuta aggiungendo acqua bidistillata in rapporto 1:1 rispetto al volume di sangue intero iniziale, centrifugando nuovamente (5000 rpm per 10 min) per eliminare le membrane cellulari. Per la precipitazione delle globine, è stato utilizzato acetone acido freddo (100 ml di acetone e 6 ml di HCl al 37%, conservato a -20 °C, overnight), in rapporto 1:15 (v/v) rispetto all’emolizzato, aggiunto goccia a goccia. Il processo di precipitazione viene favorito ponendo il campione in congelatore per circa 1h. Successivamente, eliminato il surnatante dopo centrifugazione, le globine sono state lavate due volte con acetone freddo, quindi, conservate, a secco (mediante flusso di azoto) a -20 °C. Incubazione Hb/MA rapporto molare 1:1 A 15 mg di globina, precedentemente precipitata e sciolta con 4.5 ml di tampone fosfato (Na2HPO4 10 mM, pH 7), sono stati aggiunti 53.2 µl di una soluzione acquosa 2 µg/µl di MA, al fine di ottenere un rapporto molare di incubazione Hb/MA 1:1. L’incubazione è stata condotta a 37 °C, overnight e, successivamente, il campione è stato liofilizzato e conservato a -20 °C. Prima dell’analisi il campione è stato suddiviso in aliquote da 1 mg circa, sciolte in soluzione acquosa di acido trifluoroacetico allo 0.1%, in modo da avere soluzioni 1 µg/µl. Emoglobina/Muconaldeide Un campione di sangue intero (1.5 ml) di un donatore sano è stato centrifugato a 5000 rpm per 10 min, al fine di eliminare il plasma e, successivamente lavato per tre volte con 1 ml di soluzione fisiologica. Agli eritrociti così ottenuti, sono stati aggiunti 3 ml di acqua bidistillata, per provocare la lisi cellulare ed ottenere l’emoglobina libera; la soluzione emolizzata risultante è stata, quindi, ulteriormente centrifugata (5000 rpm, 10 min) per allontanare le membrane cellulari e ottenere una concentrazione di emoglobina pari a 5 g/100 ml. Ad una aliquota di 500 µl di tale soluzione emoglobinica al 5%, sono stati aggiunti, 2 ml di tampone fosfato (10 mM, Na2HPO4) e volumi diversi di una soluzione acquosa di MA (2 µg/µl) in modo da ottenere incubazioni con rapporti molari Hb/MA di 1:1, 1:2, 1:5 e 1:10. Le reazioni sono state condotte a 37 °C, overnight, sotto agitazione; successivamente i campioni sono stati precipitati (come precedentemente descritto) e conservati a -20 °C. 19 2.1.3.2 Separazione ed analisi delle catene globiniche mediante LC/ESI-MS Aliquote di 1 mg di globina (o globina incubata con muconaldeide) sono state sciolte in 1 ml di una soluzione acquosa di TFA allo 0.1% e aliquote di 100 µl delle soluzioni ottenute sono state analizzate mediante LC/ESI-MS adoperando le seguenti condizioni: • colonna cromatografica: C4 (250 mm x 4.6 mm); • tamponi di eluizione: A, H2O/Acetonitrile, 0.25% TFA = 80/20 (v/v ); B, H2O/Acetonitrile, 0.1% TFA = 40/60 (v/v); • gradiente di concentrazione: dal 50% al 68% del solvente B in 48 min; • flusso: 1 ml/min, con splitter (0.2 ml/min inviati alla sorgente electrospray dello spettrometro di massa); • acquisizione: full scan, nell’intervallo m/z (300-2000). 2.1.3.3 Idrolisi delle catene globiniche Digestione enzimatica con tripsina Le catene globiniche (circa 1 mg) alchilate con la MA sono state disciolte in 300 µl di ammonio bicarbonato 0.4%, pH 8.5, e addizionate con una soluzione di tripsina 1 µg/µl in modo da raggiungere un rapporto substrato:enzima = 50:1 (w/w). La reazione di idrolisi è stata condotta a 37 °C, overnight; la miscela peptidica ottenuta è stata portata a secco mediante liofilizzazione e conservata a -20 °C. Degradazione con bromuro di cianogeno I campioni (circa 1 mg) incubati con la MA sono stati sciolti in 300 µl di TFA 70%, quindi addizionati con una soluzione acquosa di bromuro di cianogeno preparata al momento, in modo che il rapporto molare BrCN:Metionina fosse di 100:1. La reazione di idrolisi è stata condotta a temperatura ambiente overnight, proteggendo i campioni dalla luce. L’idrolisi è stata bloccata utilizzando acqua fredda in volume 10 volte superiore. I campioni sono stati successivamente liofilizzati e conservati a -20 °C . 2.1.3.4 Separazione ed analisi dei peptidi mediante LC/ESI-MS I peptidi modello, i digeriti triptici e i peptidi ottenuti dalla degradazione chimica sono stati sciolti con TFA 0.1% e aliquote da 100 µl sono state analizzate mediante LC/ESI-MS adoperando le seguenti condizioni: 20 2.2 • colonna cromatografica: C18 (250 mm x 2.0 mm); • tamponi di eluizione: A, H2O, 0.1% TFA; B, • gradiente di concentrazione: dal 5% al 70% del solvente B in 90 min; • flusso:0.2 ml/min; • acquisizione: full scan, nell’intervallo m/z (300-2000). Acetonitrile, 0.1% TFA; Risultati e Discussione 2.2.1 Reattività della Muconaldeide Muconaldeide/Angiotensina I La reattività intrinseca della Muconaldeide e i gruppi funzionali preferenziali con cui la stessa si lega, sono stati indagati effettuando studi di interazione con peptidi modello, contenenti un ristretto numero di residui amminoacidici rispetto all’emoglobina. Il primo modello che è stato utilizzato è la Angiotensina І (AI), un peptide composto da 10 amminoacidi (Asp-Arg-Val-Tyr-Ile-His-Pro-Phe-His-Leu) avente un peso molecolare di 1296.1 Da. L’Angiotensina è stata analizzata mediante LC/ESI-MS e in Figura 2 sono riportati il profilo cromatografico (pannello a) e lo spettro di massa full scan (pannello b) della molecola. L’Angiotensina eluisce ad un tempo di ritenzione (tr) di 43.8 min; dallo spettro di massa ottenuto si osserva la presenza di tre segnali a valori di m/z di 1296.5, 649.0, 433.1, corrispondenti, rispettivamente, allo ione quasi molecolare [M+H]+, allo ione [M+2H]2+ e allo ione [M+3H]3+. Per studiare il modo in cui la Muconaldeide interagisce con questo peptide modello, dopo aver condotto una incubazione AI/MA con rapporto molare 1:1, la miscela di reazione è stata sottoposta ad una analisi mediante cromatografia liquida associata a spettrometria di massa (Figura 3). Nel cromatogramma si distinguono tre picchi cromatografici: il primo, A, corrisponde all’Angiotensina, il secondo, B, ad un tr di 47.5 min, corrisponde allo spettro di massa riportato in Figura 3b, dal quale si evidenziano tre segnali ad m/z 1388.5 ([M+H]+); 695.1 ([M+2H]2+) e 463.8 ([M+3H]3+). Le intensità relative dei segnali rispecchiano quelle degli ioni multicarica dell’Angiotensina (Figura 2b) e consentono di identificare il picco cromatografico a 47 min come l’addotto formato dall’interazione fra la Muconaldeide e l’Angiotensina. Il picco cromatografico C (tr = 49.8 min) presenta uno spettro di massa del tutto analogo al secondo picco cromatografico, quindi, corrisponde presumibilmente anch’esso ad un addotto AI/MA. Gli addotti, con un peso molecolare di 1388.05±0.29 Da (picco B) e di 1387.93±0.24 Da (picco C), rivelano un incremento di massa pari a 92 Da, e considerando che il peso molecolare della MA è di 110 Da, sono indicativi della formazione di un legame imminico fra il gruppo carbonilico della Muconaldeide e il gruppo amminico N-terminale dell’Angiotensina, con perdita di una molecola di 21 a b Figura 2: Analisi LC/ESI-MS dell’Angiotensina I: a) Profilo cromatografico; b) Spettro di Massa full scan. a A B C b Figura 3: Analisi LC/MS della miscela di incubazione AI/MA 1:1. a) Profilo cromatografico; b) Spettro di Massa del picco cromatografico B. acqua. L’ipotesi è stata confermata conducendo esperimenti di spettrometria di massa tandem. In Figura 4 è riportato lo spettro di massa tandem relativo alla frammentazione dello ione quasi molecolare dell’Angiotensina immodificata: sono messi in evidenza i frammenti della serie bn (da b5 a b10) e della serie y”n (da y”10 a y”6). Questo spettro di massa tandem è stato confrontato con quello relativo alla frammentazione dello ione ad m/z 1388 (Figura 5c). L’analisi dello spettro di massa mostra, anche in questo caso, la presenza della serie bn (da b5* a b10*) e y”n (da y”7 a y”9): la serie bn è tutta modificata mentre la serie y”n non presenta alcuna modifica fino al frammento y”9. Si evince, quindi, che il sito di alchilazione corrisponde al residuo amminoacidico di acido aspartico, come precedentemente supposto. Oltre a consentire l’identificazione del sito di alchilazione preferenziale, l’analisi LC/ESI-MSMS della miscela di incubazione, condotta adoperando come ione precursore il segnale ad m/z 1388, fornisce un’ulteriore informazione. Dal cromatogramma relativo, infatti, (Figura 5a) si nota la presenza di un secondo picco cromatografico (B), il quale corrisponde allo spettro di massa tandem riportato in Figura 5b. Durante la frammentazione dello ione precursore si forma un frammento con un valore di m/z pari a 1344.4 che corrisponde alla perdita di 44 Da dallo ione precursore. L’ulteriore frammentazione del segnale ad m/z 1344.4 (analisi LC/ESI-MS3) mostra, nuovamente, tutta la serie bn modificata e tutta la serie y”n non modificata tranne y”10; quindi è chiaro che, anche in tal caso, la molecola che eluisce ad un tr di 47.4 min corrisponde ad un addotto fra MA ed AI e, inoltre, che il legame della MA è sul residuo di acido aspartico terminale dell’Angiotensina. Concludendo si può affermare che la muconaldeide lega l’Angiotensina in due conformazioni completamente diverse tra loro. Per poter comprendere se la perdita di 44 Da deriva da un riarrangiamento seguito da frammentazione dell’addotto o corrisponde ad una decarbossilazione della molecola al livello del residuo di Asp o di quello carbossiterminale, la MA è stata incubata con un altro peptide modello che non possiede nella sua sequenza amminoacidica l’Asp N-terminale. Muconaldeide/Sostanza P Rapporto di incubazione molare SP/MA=1:2 Il secondo modello preso in considerazione è la Sostanza P (SP), un peptide composto da 11 amminoacidi (Arg-Pro-Lys-Pro-Gln-Gln-Phe-Phe-Gly-Leu-Met) avente un peso molecolare di 1347.1 Da. Anche in questo caso è stata condotta una caratterizzazione del peptide mediante analisi LC/ESI-MS full scan (Figura 6). La Sostanza P eluisce ad un tr di 45.3 min; dallo spettro di massa si evidenziano un segnale molto intenso ad m/z 1347.5 ed un segnale meno intenso ad m/z 674.5, corrispondenti, rispettivamente, allo ione quasi molecolare [M+H]+ e allo ione [M+2H]2+. Lo studio del modo in cui la MA interagisce con tale peptide è stato condotto effettuando una incubazione SP/MA con rapporto molare 1:2 e poi sottoponendo il composto ottenuto ad analisi LC/ESI-MS. Il 22 C B a b c Figura 5: Analisi LC/MS-MS. Ione precursore: m/z 1388.4; ioni prodotto: m/z 400- 1500. a) Profilo cromatografico; b), c) Spettri di Massa dei picchi cromatografici B e C. a b Figura 6: Analisi LC/MS della Sostanza p: a) Profilo cromatografico; b) Spettro di Massa full scan, m/z 400-1600. cromatogramma relativo, riportato in Figura 7a, mostra due picchi. Il primo, ad un tr di 45.2 min, corrisponde alla Sostanza P non modificata; il secondo, indicato in figura come SP+MA (tr=49.5), dà luogo allo spettro di massa riportato nel pannello b della figura 7. L’analisi dello spettro di massa consente l’identificazione della molecola: il peso molecolare è di 1439.05±0.2 Da, con un incremento di massa di 92 Da rispetto alla Sostanza P, indicando, pertanto, che tale molecola rappresenta l’addotto della Sostanza P con la Muconaldeide. Eseguendo un esperimento di spettrometria di massa tandem adoperando come ione precursore il segnale ad m/z 1439.5 è stato possibile risalire al sito in cui è avvenuta l’alchilazione. Lo spettro di massa tandem ottenuto (Figura 7c) mostra la presenza della serie bn tutta modificata e del frammento y”10 non modificato. Analogamente a quanto dedotto per l’Angiotensina, anche in questo caso, la presenza del frammento y”10 privo di alchilazione attesta che la MA lega la SP sul gruppo amminico del residuo N-terminale. Dalla frammentazione del peptide modificato non si ottiene un frammento con un decremento di 44 Da e questo porta alla conclusione che, nel caso dell’AI incubata con la MA, la perdita di 44 unità di massa è presumibilmente dovuta alla decarbossilazione del residuo di acido aspartico N-terminale (che nella SP non è presente), causata da un processo di riarrangiamento favorito dall’interazione con la Muconaldeide, legata proprio sul residuo stesso. Rapporto di incubazione molare SP/MA=50:1 Visto che la MA è una molecola bifunzionale, la sua interazione con sostanze nucleofile può determinare la formazione di legami crociati tra due molecole di peptide. Per indagare tale ipotesi è stata condotta una incubazione SP/MA con un rapporto molare di 50:1, in cui, cioè, la MA si trova in presenza di un forte eccesso di peptide. Sottoponendo il prodotto ottenuto ad una analisi mediante LC/ESI-MS non è stata evidenziata, però, la formazione di nessun dimero. 2.2.2 Interazione Muconaldeide/Emoglobina Lo studio è stato approfondito negli esperimenti successivi, passando a molecole più complesse, per dimensioni e conformazione, quali l’emoglobina. 2.2.2.1 Analisi strutturale L’identificazione e l’analisi strutturale di un addotto emoglobinico prevede il confronto tra esperimenti analoghi condotti sull’emoglobina tal quale e sull’emoglobina incubata con l’agente alchilante. In prima istanza, quindi, è stata effettuata l’analisi dell’ emoglobina stessa, separando ed identificando le subunità α (PM=15126.4) e β (PM=15867.2) mediante analisi LC/ESI-MS full scan. Dal cromatogramma riportato in Figura 8, la catena emoglobinica β (PM misurato = 23 a b c Figura 7: Analisi LC/MS della miscela di incubazione Sp/MA: a) Profilo cromatografico; b) Spettro di Massa full scan del picco cromatografico Sp+MA ; c) Spettro di Massa MS-MS; ione precursore m/z 1439.5; ioni prodotto m/z 400-1500. β α Figura 8: Analisi LC/MS. Profilo cromatografico delle catene globiniche α e β. 15867.9±0.8 Da) eluisce ad un tempo di ritenzione di 25.8 min, mentre quella α (PM misurato = 15126.6±0.5 Da) ad uno tr=33.1 min. Le sequenze amminoacidiche delle catene globiniche sono riportate in Figura 9 adoperando il codice monoletterale. Analisi delle miscele triptiche Dalla idrolisi enzimatica delle due catene emoglobiniche, effettuata mediante l’uso della tripsina come proteasi, si ottiene una miscela di peptidi che è stata analizzata mediante LC/ESI-MS in modalità full scan con l’ausilio di una colonna C18. Il cromatogramma relativo è riportato in Figura 10. Ciascun picco cromatografico è stato identificato mediante l’analisi del relativo spettro di massa e dal confronto tra il peso molecolare misurato e il valore del PM teorico corrispondente ai peptidi triptici. I risultati sono riportati in Tabella 1. Analisi della miscela peptidica ottenuta dopo degradazione con bromuro di cianogeno L’ idrolisi delle catene emoglobiniche è stata effettuata chimicamente, utilizzando bromuro di cianogeno quale reattivo. I peptidi ottenuti sono stati analizzati in modo analogo ai peptidi triptici, mediante analisi LC/ESI-MS in modalità full scan. Il cromatogramma relativo è riportato in Figura 11. In questo caso si forma un numero molto più esiguo di peptidi (due dalla catena β e tre dalla catena α), perché il bromuro di cianogeno idrolizza il legame ammidico esclusivamente a livello di gruppi CO di residui di metionina in catena, presenti in numero di due nella catena α e di uno nella catena β. Nella Tabella 2 sono riportati i peptidi identificati e quelli teorici, contenenti residui di metionina carbossi terminali. 24 Sequenza amminoacidica della catena alpha 1 5 10 15 20 25 30 35 40 VLSPA DKTNV KAAWG KVGAH AGEYG AEALE RMFLS FPTTK 45 50 55 TYFPH FDLSH GSAQV 85 90 95 SALSD LHAHK LRVDP 125 130 135 VHASL DKFLA SVSTV 60 65 70 75 80 KGHGK KVADA LTNAV AHVDD MPNAL 100 105 VNFKL LSHCL 110 115 120 LVTLA AHLPA EFTPA 140 LTSKY R Sequenza amminoacidica della catena beta 1 5 10 15 20 25 30 35 40 VHLTP EEKSA VTALW GKVNV DEVGG EALGR LLVVY PWTQR 45 50 55 60 65 70 75 80 FFESF GDLST PDAVM GNPKV KAHGK KVLGA FSDGL AHLDN 85 90 95 100 105 LKGTF ATLSE LHCDK LHVDP ENFRL 125 130 135 140 110 115 120 LGNVL VCVLA HHFGK 145 EFTPP VQAAY QKVVA GVANA LAHKY H Figura 9: Sequenze amminoacidiche delle catene globiniche α e β in codice monoletterale. Figura 10: Analisi LC/MS full scan della miscela peptidica ottenuta dall’idrolisi triptica delle catene α e β. Tabella 1 Identificazione dei peptidi ottenuti per idrolisi triptica delle catene globiniche α e β. Peptidi Masse teoriche Masse misurate Tempi di Ritenzione Da Da min α(1-7) 728.8 729.5±0.2 23.2 α(12-16) 531.6 532.3 (MH+) 24.6 α(1-11) 1171.3 1170.8±0.3 25.9 β(1-8) 951.1 951.7±0.2 26.8 α(81-90) 1078.2 1077.7±0.2 30.8 α(17-31) 1529.6 1528.9±0.4 31.8 α(93-99) 817.9 817.5±0.2 32.3 β(133-144) 1149.4 1148.8±0.3 34.1 β(18-30) 1314.4 1313.8±0.2 34.1 β(96-104) 1126.2 1125.7±0.3 35.0 β(121-130) 1122.2 1121.5±0.2 36.2 β(133-146) 1449.7 1448.9±0.3 36.5 α(91-99) 1087.3 1086.9±0.3 37.2 β(83-95) 1421.6 1420.8±0.3 39.7 β(9-17) 931.1 931.6±0.2 40.3 α(41-56) 1834.0 1833.4±0.4 41.2 α(128-139) 1252.4 1251.9±0.3 42.4 β(83-104) 2529.8 2529.0±0.2 44.4 α(32-40) 1071.3 1070.6±0.2 44.9 β(41-59) 2059.2 2059.3±0.2 45.9 β(67-82) 1669.9 1668.9±0.3 46.6 α(61-90) 3125.4 3124.4±0.3 50.6 α(62-90) 2997.3 2996.4±0.4 51.3 α(100-127) 2968.5 2967.4±0.3 58.0 β(105-120) 1720.1 1719.1±0.4 58.0 Figura 11: Analisi LC/MS full scan della miscela peptidica ottenuta dall’idrolisi con Bromuro di Cianogeno delle catene globiniche α e β. Tabella 2. Identificazione dei peptidi ottenuti in seguito a taglio con bromuro di cianogeno delle catene globiniche α e β. Peptidi Massa Calcolata Massa Misurata Tempo di Ritenzione (Da) (Da) (min) α(1-32) 3278.7 3278.6±0.3 41.8 α(33-76) 4737.4 4737.8±0.4 48.6 β(56-146) 9816.2 9818.1±0.7 61.8 β(1-55) 6013.1 6014.8±1.0 65.3 α(77-141) 7043.8 7045.3±0.2 69.4 26 2.2.2.2 Muconaldeide/Catene globiniche precipitate La Muconaldeide è stata incubata (in rapporto molare 1:1) con globine previamente precipitate e, quindi, denaturate, derivanti da un campione di sangue appartenente ad un individuo non fumatore e non professionalmente esposto a benzene. Il campione ottenuto presenta un precipitato non cristallino, poco omogeneo e insolubile in ambiente acquoso; il surnatante è stato analizzato mediante analisi LC/ESI-MS e il cromatogramma relativo è riportato in Figura 12. Dal cromatogramma si nota chiaramente l’assenza della catena β e la presenza della catena α non modificata (tr=33.1 min, PM misurato=15124.9±0.4 Da). L’assenza della catena β, lascia presupporre che la Muconaldeide interagisca i9n modo particolare proprio con la catena β; l’impossibilità di analizzare direttamente il precipitato ottenuto a seguito dell’incubazione implica la necessità di procedere alla digestione, enzimatica e/o chimica, del campione in esame. Inoltre, sebbene successivamente alla digestione si assiste alla scomparsa del precipitato, l’analisi LC/ESIMS, sia dei digeriti triptici che dei peptidi ottenuti dalla idrolisi delle catene globiniche mediante bromuro di cianogeno, non ha consentito di rilevare la formazione di nessun peptide modificato. I risultati negativi ottenuti sono probabilmente dovuti all’eccessiva reattività della Muconaldeide in assenza della complessa struttura conformazionale dell’emoglobina, sia terziaria sia quaternaria, il che rende le analisi difficoltose a causa dell’eccessiva varietà di sostanze presenti nella miscela di reazione. 2.2.2.2 Muconaldeide/Emoglobina Per rendere più difficoltoso l’attacco della MA e, quindi, per ridurre l’enorme reattività mostrata dalla molecola, sono state condotte incubazioni con soluzioni di emolizzato. L’emolizzato, infatti, rispetto al sangue intero è caratterizzato dall’avere emoglobina ancora “foldata”, ossia che conserva ancora la sua struttura quaternaria e, quindi, il gruppo eme. Incubazioni a diversi rapporti molari Sono state preparate miscele di incubazione Hb/MA con diversi rapporti molari, in particolare 1:2, 1:5, 1:10 e i prodotti ottenuti sono stati purificati ed analizzati mediante LC/ESI-MS in modalità full scan; i cromatogrammi sono riportati in Figura 13, pannelli b-d. Confrontando i cromatogrammi dei campioni incubati con quello relativo ad una globina non incubata (Figura 13 pannello a), ottenuta da un campione di sangue derivante da un soggetto non fumatore e non professionalmente esposto a benzene, si può chiaramente notare una progressiva diminuzione di intensità del picco corrispondente alla subunità β man mano che si passa ad un rapporto molare di incubazione Hb/MA più elevato; il campione con rapporto molare di 1:10 mostra la quasi totale 27 α Figura 12: Analisi LC/MS della miscela di incubazione MA/Hb in rapporto molare 1: 1. a β α b c d Figura 13: Analisi LC/MS: a) Catene globiniche; miscele di incubazione Hb/MA in rapporti molari di 1:2 (b), 1:5 (c) e 1:10 (d). scomparsa della subunità β. Anche in questo caso, è stata osservata la formazione di un precipitato e si è proceduto, quindi, alla digestione dei campioni di globina incubati. Analisi delle miscele peptidiche ottenute mediante digestione con tripsina e bromuro di cianogeno I campioni sono stati digeriti enzimaticamente, mediante l’utilizzo della tripsina quale proteasi, e chimicamente, mediante l’uso del bromuro di cianogeno. Tutte le miscele peptidiche ottenute sono state successivamente analizzate mediante LC/ESI-MS in modalità full scan. In nessun caso, però, sono stati trovati addotti e cioè peptidi aventi un incremento di 92 Da, incremento di massa caratteristico dell’attacco della MA su gruppi amminici. Anche passando dalla globina precipitata all’emolizzato la MA conserva la sua enorme reattività che sembra esplicarsi prevalentemente a livello della catena emoglobinica β. Tuttavia, non riuscendo ad evidenziare mediante analisi LC/ESI-MS full scan la presenza nei campioni incubati di addotti peptidici, non è possibile risalire ai siti preferenziali di attacco sulle catene emoglobiniche stesse. Le difficoltà riscontrate nei vari esperimenti condotti sull’emoglobina nell’identificazione di eventuali alchilazioni, sono attribuibili a diversi fattori: un’interazione della MA con le globine, particolarmente complessa, con formazione di un numero elevato di addotti emoglobinici, in quantità tali da non consentirne l’identificazione mediante una semplice analisi in modalità full scan e la possibile generazione di legami crociati intra- e inter-molecolari con conseguente formazione di peptidi modificati non noti, poco ipotizzabili e, quindi, di difficile rilevazione. BIBLIOGRAFIA ACGIH (1999) Threshold Limit Values and biological Exposure Indices. American Conference of Governmental Industrial Hygienists. Cincinnati, Ohio, USA. Adkolfer F., Scherer G., Conze C., Angerer J., Lehnert G. Significance of exposure to benzene and other toxic compounds through environmental tobacco smoke. J. Cancer Res. Clin. Oncol., 1990; 116: 591-598. 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L’utilizzo di addotti emoglobinici derivanti dall’esposizione a benzene a fini di monitoraggio biologico deve quindi essere orientato verso la scelta di un metabolita differente, quale ad esempio l’ossido di benzene, anch’esso particolarmente reattivo e in grado di originare addotti emoglobinici che possano fungere da indicatori di esposizione non solo rappresentativi anche di bassi livelli di esposizione, e quindi dotati di notevole “sensibilità, ma anche con elevate caratteristiche di stabilità e specificità. Data la sua elevata reattività l’ossido di benzene non è commercialmente disponibile, pertanto è necessario sintetizzarlo in situ subito prima di procedere allo studio dell’interazione con l’emoglobina. Tale sintesi può essere condotta per via chimica o mediante attivazione metabolica del benzene stesso ad opera di un pool enzimatico. Un valido sistema è costituito dal pool S9, composto da diversi isoenzimi costituenti il Citocromo P450, come CYP2C8, CYP2C9, CYP3A4, CYP2B6, CYP2C19, CYP2A6, CYP1A2, CYP2D6, CYP2E1. Il sistema S9 è implicato nella maggior parte di processi metabolici degli xenobiotici e il benzene, in particolare, è metabolizzato dalla isoforma CYP2E1. L’S9 può essere estratto dal fegato umano o di ratto. Sia che si proceda alla sintesi chimica del benzene ossido sia che si realizzi l’attivazione metabolica del benzene mediante S9, è necessario ottimizzare la procedura di sintesi al fine di massimizzare le rese e procedere ad un’accurata caratterizzazione dei prodotti di reazione ottenuti nei vari step del processo. È, inoltre, necessario valutare la stabilità del benzene ossido sintetizzato proprio a causa dell’elevata reattività di tale molecola. Il proseguimento dell’attività di ricerca sarà articolato come segue. Sintesi chimica dell’ossido di benzene • sintesi chimica dell’epossido di benzene mediante metodi riportati in letteratura (J.R. Gillard, M.J. Newlands, J.N. Bridson and D.J.Burnell” π-Facial stereoselectivity in the Diels-Alder reactions of benzene oxides” Can. J. Chem., 1991; 69, 1337; E. Vogel, W.A. Böll und H. Günther “Oxepin-BenzoloxydValenztautomerie” Tetrahedron Letters, 1965; 10, 609; J.P. Wibaut and F.A. Haak 34 • • • • “Preparation and properties of 1,4-dihydrobenzene and of the addition and substitution products produced from it by the action of bromine” Recueil, 1949; 67, 85). Caratterizzazione mediante Gas Cromatografia/Spettrometria di Massa dei prodotti ottenuti dai singoli step della reazione di sintesi; Valutazione della stabilità chimica del benzene ossido sintetizzato, mediante analisi in Gas Cromatografia/Spettrometria di Massa; Studio della reattività del benzene ossido con peptidi modello dell’emoglobina, quali Sostanza P, Angiotensina I e peptide Leucina-Encefalina, al fine di individuare i residui amminoacidici di alchilazione preferenziale del benzene ossido. Tale caratterizzazione sarà condotta mediante analisi in Cromatografia Liquida ad Alta Efficienza/Spettrometria di Massa a singolo e multistadio. Incubazioni del benzene ossido con campioni di emoglobina di soggetti non fumatori e non professionalmente esposti a benzene e caratterizzazione dei siti preferenziali di incubazione, al fine di individuare il peptide alchilato anche a bassi livelli di incubazione che potrà, quindi, essere scelto quale biomarcatore di esposizione a benzene. Sintesi dell’ossido di benzene mediante attivazione metabolica con S9 • • • • • ottimizzazione del protocollo di incubazione benzene/S9 relativamente alle condizioni di pH, temperatura, tempi di reazione, tamponi da utilizzare; caratterizzazione mediante Cromatografia Liquida ad Alta Efficienza/Spettrometria di Massa a singolo e multistadio dei prodotti ottenuti dai singoli step della reazione di attivazione; Valutazione della stabilità chimica del benzene ossido sintetizzato, mediante analisi in Cromatografia Liquida ad Alta Efficienza/Spettrometria di Massa; Studio della reattività del benzene ossido con peptidi modello dell’emoglobina, quali Sostanza P, Angiotensina I e peptide Leucina-Encefalina, al fine di individuare i residui amminoacidici di alchilazione preferenziale del benzene ossido. Tale caratterizzazione sarà condotta mediante analisi in Cromatografia Liquida ad Alta Efficienza/Spettrometria di Massa a singolo e multistadio. Incubazioni del benzene ossido con campioni di emoglobina di soggetti non fumatori e non professionalmente esposti a benzene e caratterizzazione dei siti preferenziali di incubazione, al fine di individuare il peptide alchilato anche a bassi livelli di incubazione che potrà, quindi, essere scelto quale biomarcatore di esposizione a benzene. 35 PARTE QUARTA 4.1 Possibili applicazioni dei risultati della ricerca Il monitoraggio biologico dell’esposizione ad un dato xenobiotico viene effettuato in genere utilizzando biomarcatori di esposizione. Nel caso particolare del benzene, varie agenzie internazionali propongono di quantificare i livelli di benzene ematico e/o urinario, di acido trans,trans-muconico e di acido S-fenilmercapturico urinari, stabilendo per essi dei limiti biologici di esposizione. Non sono, invece, disponibili biomarcatori di dose biologicamente efficace, capaci di rendere conto dell’effettiva quota di xenobiotico legata alle molecole bersaglio, quindi, potenzialmente capace di produrre danno. Lo studio presentato consente per ogni genotossico la determinazione del metabolita più idoneo per la quantificazione dei livelli di addotto tra tale molecola e le macromolecole informazionali o surrogati, per esempio l’emoglobina. La caratterizzazione dei siti di alchilazione preferenziale di un dato agente genotossico con i residui amminoacidici dell’emoglobina umana consente la definizione di un biomarcatore, che risulta essere di dose biologicamente efficace, da utilizzarsi a scopi di monitoraggio biologico sia per la popolazione generale non professionalmente esposta sia per lavoratori. Alla luce di ciò, lo studio presentato offre una importante applicazione nel campo della Medicina del Lavoro, rendendo possibile i)effettuare, in collaborazione con i Dipartimenti di Medicina del Lavoro e di Igiene Industriale, campagne di monitoraggio biologico per popolazioni esposte ad agenti cancerogeni (lavoratori e popolazione generale); ii)utilizzare i dati del monitoraggio biologico per proporre valori di riferimento o valori limite da utilizzarsi per il management del rischio. 36 PARTE QUINTA 5.1 Interazioni con PME, enti di ricerca esterni ad AMRA I risultati ottenuti con il presente lavoro di ricerca possono essere impiegati per soddisfare gli obblighi di legge dei datori di lavoro relativamente al Titolo VIII del Decreto legislativo 626/94 e successive modifiche (Esposizione ad agenti chimici e ad agenti cancerogeni nei luoghi di lavoro) e per soddisfare le esigenze del sistema sanitario regionale/nazionale di predire i rischi cancerogeni per la popolazione esposta ad agenti genotossici nel corso delle normali attività di vita (inquinanti nell’ambiente urbano, inquinanti indoor, contaminanti negli alimenti, farmaci) all’interno di programmi epidemiologici di sorveglianza della popolazione. 37 PARTE SESTA 6.1 Acquisizione delle competenze organizzativo-manageriali L’attività di ricerca svolta ha permesso di acquisire le competenze e le abilità utili allo svolgimento di un lavoro di laboratorio in autonomia a partire dallo stadio della progettazione fino al conseguimento del risultato finale e all’interpretazione dei dati, ai fini della loro utilizzazione nell’ambito del monitoraggio ambientale e biologico. Tale attività ha consentito, altresì, di acquisire la capacità di progettare programmi di monitoraggio ambientale e biologico con i datori di lavoro e con gli enti interessati a progetti di monitoraggio ambientale e biologico, orientando le esigenze di questi ultimi in base alla legislazione vigente e alle esigenze di tutela della salute dei destinatari della ricerca. 38