CENTRO REGIONALE DI COMPETENZA ANALISI
E MONITORAGGIO DEL RISCHIO AMBIENTALE
PERSONALE DI ALTA QUALIFICAZIONE NELL’ANALISI,
MONITORAGGIO E GESTIONE DEL RISCHIO AMBIENTALE”
FINANZIATO DALLA REGIONE CAMPANIA NELL’AMBITO DEL
POR 2000/2006 - MISURA 3.13
BIOMONITORAGGIO DELL’ESPOSIZIONE A BENZENE
Relazione I anno di attività
Tutori: Prof. Nicola Sannolo
Assegnista: Dott.ssa Maria Pieri
ANNO 2004-05
PARTE PRIMA
1.1.
Benzene: esposizione ambientale e professionale
Il benzene (C6H6) è un idrocarburo aromatico volatile usato primariamente nella produzione
di plastiche. E’ considerato un inquinante ubiquitario in quanto si ritrova sia in ambienti confinati
(di lavoro o ad uso abitativo) che nell’aria, nell’acqua, negli alimenti e, quindi, anche in campioni
biologici della popolazione non esposta professionalmente.
Esposizione a benzene in ambiente urbano
L’inquinamento atmosferico da benzene nelle città è da attribuirsi quasi esclusivamente al
traffico veicolare a causa delle emissioni dei veicoli alimentati a benzina. Il benzene, infatti, è un
componente della benzina: circa l’85% del benzene presente nell’atmosfera ha origine dallo scarico
dei veicoli, quale composto incombusto o come prodotto di riarrangiamento di altri idrocarburi
aromatici componenti le benzine; il 15%, invece, deriva da fenomeni di evaporazione, a seguito dei
ripetuti trasferimenti di carburante dalla produzione al serbatoio del singolo veicolo e di perdite dal
vano motore, anche durante la sosta [Marchetti R. 1998].
Benzene negli alimenti e nell’acqua
La presenza di benzene nell’ambiente circostante determina, a causa di fenomeni di
infiltrazione, la contaminazione delle falde acquifere; nell’acqua potabile si ritrovano
concentrazioni di benzene di 0.1-0.3 µg/l. Il benzene è contenuto anche in numerosi alimenti quali
uova (fino a 100 µg per uovo), carne di vitello arrosto (19 µg/Kg) o in scatola (2 µg/Kg), pesce,
pollame, noccioline, frutta e vegetali [IARC, 1987].
Secondo alcuni autori, tuttavia, il contenuto di benzene negli alimenti sarebbe molto più
basso di quello sopra riportato e con la dieta verrebbe introdotta una quantità di benzene pari a 0.03
mg/die (0.02 mg con i cibi e 0.015 mg attraverso l’acqua) [Hattemer-Frey HA. 1990, Pezzagno G. 1994].
Concentrazioni “indoor”
Il benzene nell’aria di ambienti confinati dipende dalla ventilazione e dalla presenza di
sorgenti di emissioni interne. Tra queste il fumo di sigaretta rappresenta la causa di contaminazione
più importante; altre sorgenti sono i materiali da costruzione, arredi e finiture, i prodotti utilizzati
per la pulizia e i sistemi di riscaldamento (stufe a gas, a legna, a kerosene). Il benzene viene ceduto
in quantità variabili anche da adesivi, prodotti di rivestimento, schiume, lubrificanti, vernici,
gomme, cosmetici, materiale elettrico e fotografico, inchiostri, penne [Ozkaynak H. 1987].
1
Esposizione a benzene per l’abitudine al fumo
La combustione incompleta del materiale organico del tabacco comporta la produzione di
oltre 4700 composti chimici, presenti sia in forma gassosa che particolata (nicotina, idrocarburi
policiclici aromatici, benzene, ecc.)
[U.S. Environmental Protection Agency 1989]
. Ciò fa del fumo di tabacco la
maggiore fonte individuale di benzene per la popolazione generale non esposta professionalmente.
Infatti, la concentrazione media nel fumo di una sigaretta è compresa tra 40 e 50 µg ed un fumatore
di 20 sigarette al giorno ne inala 700-800 µg [Adkolfer F. 1990, Appel BR. 1990].
Nelle abitazioni di soggetti fumatori la concentrazione ambientale di benzene è del 30-50%
superiore a quella delle abitazioni dei non fumatori; sono state riscontrate, inoltre, concentrazioni di
benzene nel sangue dei fumatori circa doppie rispetto a quelle dei non fumatori
[Brugnone F. 1992,
Hajimirahga H. 1989]
. Anche i fumatori passivi risultano esposti a benzene; uno studio dell’Environmental
Protection Agency (EPA) rivela che il livello di esposizione risulta quasi raddoppiato quando
soggetti non fumatori si trovano a vivere con soggetti fumatori [Ozkaynak H. 1987].
Per quel che riguarda il rischio cancerogeno sono state elaborate stime di rischio per la
popolazione generale, basate sull’assunzione di un rapporto lineare tra esposizione e rischio. In
particolare, il TEAM Study (Total Exposure Assessment Methodology Study) degli Stati Uniti,
sulla base di una valutazione di esposizione media giornaliera pari a 15 µg/m3 in un campione di
popolazione di alcune città degli Stati Uniti, ha stimato che, nella popolazione generale, circa 500
casi di leucemia/anno sono dovuti al benzene presente nel fumo di sigaretta e circa 400 casi ad altre
sorgenti interne ed esterne di esposizione a benzene [Wallace LA. 1989].
Fonti di esposizione professionale
In ambito industriale, il benzene viene adoperato nell’industria chimica di sintesi come
composto base o come solvente nella produzione di prodotti di largo consumo quali vernici,
inchiostri, gomme [Pezzagno G. 1995]. Inoltre, in miscela con altri idrocarburi della frazione aromatica del
petrolio (toluene, xilene, etilbenzene), il benzene viene utilizzato come componente di carburanti
privi di antidetonanti a base di piombo (benzine verdi). L’esposizione professionale, quindi, è da
attribuire anche a mansioni espletate nell’industria petrolifera.
Tre formulazioni tecniche notificate al registro Italiano dei Pesticidi indicano la presenza di
benzene (adoperato quale solvente) in percentuali variabili dal 10% (cypermethrin), al 30% insieme
a xilene (alachlor), al 38% insieme a xilene e cicloesanolo (dimethoate) [Petrelli G. 1993].
1.2.
Metabolismo e tossicocinetica
1.2.1. Benzene: assorbimento, biotrasformazione, eliminazione
2
Il benzene viene assorbito principalmente attraverso l’apparato respiratorio; una quota pari
al 84-90% dei vapori inalati supera la barriera alveolo capillare e diffonde nel sangue
[Minoia C. 2001]
.
L’assorbimento, in questo caso, dipende essenzialmente da parametri quali la concentrazione
ambientale, il tempo di esposizione, la ventilazione polmonare (espressione del dispendio
energetico) e l’indice di ritenzione (rapporto tra l'assorbimento totale -differenza tra quantità inalata
ed esalata- e la quantità totale di sostanza inalata), che esprime la frazione di solvente assorbito ed è
stimato intorno a 0.5
[Pezzagno G. 1995]
. La quantità inalata si eleva con l’innalzarsi della temperatura
grazie alle caratteristiche di volatilità del solvente. Il benzene può anche entrare nell’organismo
attraverso l’apparato digerente e per via cutanea; osservazioni condotte sull’uomo durante le attività
lavorative forniscono indici di assorbimento cutaneo pari a circa il 20-40% della dose totale di
benzene presente nell’organismo a seguito di esposizioni pari a 1 ppm
[Pekari K. 1994, Susten AS. 1985]
. Il
benzene assorbito si distribuisce rapidamente, fino al raggiungimento dell’equilibrio sangue/aria,
con un’emivita nell’uomo di circa 9-24 ore
[Baselt RC. 1989]
. Essendo una molecola lipofila a basso
peso molecolare, il benzene attraversa facilmente le barriere fisiologiche e penetra nei tessuti in
proporzione al loro contenuto lipidico. I principali siti di accumulo sono infatti rappresentati dal
tessuto adiposo, dal midollo osseo (ricco di lipidi), cervello, rene e fegato; la concentrazione
massima nei tessuti viene raggiunta nell’arco di tre ore [Sato A. 1975, Agency Toxic Substances 1993, Avie SP. 1993] .
Biotrasformazione del benzene
Nei mammiferi molte sostanze esogene che entrano nell’organismo (xenobiotici) vengono
metabolizzate prevalentemente nel fegato. Tale processo, chiamato biotrasformazione, è costituito
da un insieme di reazioni che portano alla formazione di metaboliti più idrosolubili dello
xenobiotico assorbito e, quindi, più facilmente eliminabili per via renale. Il processo metabolico è
suddivisibile in due fasi, ciascuna delle quali caratterizzata dall’intervento di specifiche classi di
enzimi: nella fase I si verifica generalmente l’ossidazione dello xenobiotico a cui seguono, nella
fase II, reazioni di coniugazione. Il metabolismo del benzene (Figura 1) è costituito da un insieme
complesso di biotrasformazioni che comportano la produzione di un epossido (benzene ossido) e di
altri metaboliti che contribuiscono all’azione genotossica, mielotossica e oncogena per la loro
tendenza a reagire con gli acidi nucleici e con altre macromolecole cellulari [Snyder R. 1993 e 1994, YardleyJones A. 1991]
. Una volta distribuito all’interno dell’organismo, la bioattivazione del benzene ha luogo
principalmente a livello epatico ed, in misura minore, nel midollo osseo, con un tasso di
biotrasformazione superiore al 50%
[Andrews L. 1979]
. L’iniziale ossidazione del benzene, a carico di
ossigenasi microsomiali ad azione mista, porta alla formazione di benzene epossido e di chinone
epossido. Questi sono responsabili dell’effetto neoplastico a carico del midollo osseo in quanto
3
Figura 1: Metabolismo del benzene.
altamente reattivi e in grado di legarsi a costituenti cellulari quali proteine e acidi nucleici (con
formazione di N-7-fenil guanina). Il benzene ossido viene a sua volta trasformato attraverso varie
vie metaboliche. La prima, chiamata anche metabolismo fenolico, trasforma circa il 30% del
benzene bioattivato: trasformazioni di natura non enzimatica portano alla formazione di fenolo,
mentre l’epossido deidrasi origina catecolo e chinolo. La seconda, derivante dall’apertura
dell’anello benzenico, produce metaboliti a catena lineare (principalmente acido trans,transmuconico) in quantità variabili intorno al 2% del benzene bioattivato
[Pezzagno G. 1995]
. La terza via
concerne l’azione della glutation-S-epossido transferasi citoplasmatica e la reazione con il gruppo
nucleofilo della cisteina del glutatione: si forma un complesso glutationico che subisce il distacco
successivo della glicina e dell’acido glutammico, generando un acido pre-mercapturico.
L’acetilazione di quest’ultimo a livello del gruppo amminico della cisteina, porta alla formazione di
un acido mercapturico specifico del benzene, l’N-acetil-S-fenilcisteina, il quale rappresenta lo 0.1%
circa della quantità di benzene metabolizzato.
Benzene: cinetica di eliminazione
Il benzene viene rapidamente eliminato con l’aria espirata (circa il 12% della quantità totale
assorbita) e per via renale, come composto tal quale (3%) o attraverso i metaboliti (90% del totale
assorbito). Fra i metaboliti, il principale risulta il fenolo (74-87% della quota inalata), escreto con
le urine dopo coniugazione epatica come solfato o glucuronide
[Minoia C. 2001, Ambrosi L. 1996]
. I
metaboliti, idrosolubili, vengono escreti con relativa rapidità dagli emuntori, con un picco di
eliminazione urinaria a fine turno lavorativo [Ambrosi L. 1996, Agency Toxic Substances 1993, Snyder R. 1993, Qu Q. 2000].
La cinetica di eliminazione presenta tre fasi, caratterizzate da un’emivita rispettivamente di 40-90
minuti, 2-3 ore e 20-30 ore. I distretti nei quali si compiono le diverse fasi sono rispettivamente: il
sangue e i tessuti ad elevata vascolarizzazione, i muscoli e la cute, i tessuti ricchi di lipidi (adipe,
tessuto nervoso, midollo osseo) e quelli poco vascolarizzati [Sherwood RJ. 1972]. L’adiposità favorisce la
permanenza del benzene nell’organismo: a parità di esposizione, l’eliminazione è più lenta nelle
donne che negli uomini, verosimilmente come conseguenza del maggior contenuto adiposo
dell’organismo femminile [Sato A. 1975].
1.3.
Effetti tossicologici
Il benzene viene indicato come uno tra i più potenti agenti cancerogeni e mutageni finora
noti. Sebbene non sia ancora del tutto chiaro il meccanismo d’azione nell’indurre effetti genotossici,
è definitivamente accertato che questo agente di rischio è in grado di produrre un’ampia varietà di
alterazioni genetiche; ciò, associato al fatto che libera metaboliti ad elevato potere genotossico, ha
consentito di attribuire al benzene la definizione di “mutageno totale”. Gli effetti tossicologici del
4
benzene risultano differenti in base alla durata dell’esposizione: nelle esposizioni acute,
caratterizzate da euforia, cefalea, vertigini, convulsioni, paralisi, tremori, perdita della coscienza, gli
organi bersaglio sono il sistema nervoso centrale e il cuore, con effetti irritativi diretti anche alla
mucosa respiratoria e a livello oculare; mentre esposizioni croniche a benzene comportano
alterazioni neurologiche, effetti sul sistema nervoso periferico, danni epatici, eritemi e dermatiti
[Bozza-Marrubini M. 1987, Haley TJ. 1977]
. Effetti lesivi sempre a carico del sistema nervoso centrale e del
midollo osseo sono rilevabili per esposizioni croniche a benzene, anche a bassi livelli di
contaminazione ambientale. Studi epidemiologici, inoltre, hanno inquadrato il benzene come
induttore di varie malattie del sangue e di diversi tipi di tumore quali: leucemia mieloide acuta,
leucemia linfocitica acuta, leucemia mieloide cronica, leucemia linfocitica cronica e sindrome
mielodisplastica.
1.3.1. Effetti acuti, cronici, cancerogeni
Intossicazioni acute a seguito di esposizione professionale a benzene e caratterizzate da
effetti sul sistema nervoso centrale (euforia, cefalea, vertigini, convulsioni, paralisi, tremori, perdita
della coscienza) sono state descritte già all’inizio del secolo scorso in lavoratori esposti a
concentrazioni ambientali variabili tra 300 e 3000 ppm [Hamilton A. 1922, Harrington TF. 1917, Greenburg L. 1939].
L’intossicazione acuta fa seguito generalmente a esposizione per via inalatoria e/o cutanea.
Oltre alle disfunzioni del sistema nervoso centrale, spesso reversibili, sono stati osservati casi di
narcosi conseguenti ad esposizione acuta a bassi o moderati livelli di benzene o toluene assorbiti per
inalazione. I sintomi da intossicazione includono affaticamento, sonnolenza, mal di testa e nausea e,
in alcuni casi, aritmia. Il benzene esercita effetti irritativi diretti sulla mucosa respiratoria e massicce
esposizioni a vapori di benzene determinano a livello cutaneo ustioni chimiche di primo e secondo
grado. A livello oculare il benzene provoca bruciore e lesioni reversibili dell’epitelio congiuntivale
e della cornea. L’azione sul midollo osseo, ben documentata in seguito ad esposizioni croniche,
sembra possa manifestarsi anche per unica massiva esposizione. Intossicazioni, talora letali, sono
state descritte anche in seguito ad ingestione di prodotti contenenti benzene, assunti quasi sempre
con intento autolesivo [Snyder R. 1994, Bozza-Marrubini M. 1987]. Gli effetti cronici sulla salute connessi con la
presenza di benzene derivano, nella maggior parte dei casi, da esposizioni professionali a livelli
superiori ai limiti oggi considerati dalla American Conference of Governmental Industrial
Hygienists, ACGIH (0.5 ppm). Sono state osservate alterazioni neurologiche
TF. 1917]
[Gilman AG. 1985, Harrington
a carico del sistema nervoso centrale ed effetti sul sistema nervoso periferico, quali
polineuriti, danno epatico, eritemi e dermatiti da contatto per prolungata esposizione di cute non
protetta conseguente alla rimozione dei lipidi di superficie [Bozza-Marrubini M. 1987, Haley TJ. 1977,
Hall AH. 1995]
.
5
Alcune evidenze cliniche sembrano suggerire che il benzene, in particolare, eserciti anche
un effetto immunotossico alterando la produzione di immunoglobuline (aumento di IgM, riduzione
di IgG e IgA) e compromettendo l’integrità dei meccanismi di immunità cellulo-mediata [Dean JH. 1991,
Lange A.
1973, Smolik R. 1973]
. L’effetto più noto dovuto ad esposizioni croniche a benzene rimane,
comunque, quello sul sistema emopoietico. Accanto alla più frequente leucemia acuta mielobastica,
l’esposizione al benzene può determinare anche leucemia linfocitica cronica [Smolik R. 1973].
Effetti cancerogeni e mutageni
La storia tossicologica del benzene rappresenta uno dei classici esempi di agenti cancerogeni
e genotossici scoperti come tali a seguito dell’insorgenza di malattie nell’uomo e solo
successivamente studiati in laboratorio. Ciò è conseguenza di un ritardo sempre difficile da colmare
tra l’impiego di sostanze chimiche e adeguate conoscenze circa la loro tossicità. La leucopenia
indotta dal benzene suggerì addirittura il suo impiego come antineoplastico nel trattamento delle
leucemie; tuttavia gli esiti fatali di tale terapia ne sconsigliarono l’ulteriore utilizzo già nel 1913. I
primi studi di cancerogenesi animale risalgono al 1928-‘32
[Lignac GOE. 1932]
. Risultati di studi
sistematici su alterazioni cromosomiche indotte nell’uomo dal benzene furono riportati per la prima
volta da Pollini et al. nel 1964: in 5 casi di intossicazione benzolica grave, venne rilevato che circa
il 70% delle cellule midollari, poste in coltura, presentava eteroploidia; tuttavia non mancavano le
cellule iperdiploidi con un certo numero di trisomie. Gli stessi Autori, in successivi lavori relativi ad
indagini su soggetti esposti a benzene, evidenziarono, oltre alle anomalie numeriche, anomalie
strutturali dei cromosomi sia nel caso di cellule ematiche midollari sia di quelle periferiche,
ipotizzando la genesi di cellule a potenzialità maligna. Nello stesso periodo Tough et al.
osservarono aberrazioni cromosomiche strutturali in sangue periferico di 20 lavoratori esposti a
benzene
[Tough IM. 1965]
. Ciò ha portato a numerosi studi di follow-up di lavoratori già affetti da
emopatia benzolica nel tentativo di evidenziare possibili correlazioni tra evoluzioni di particolari
tipi di cariotipi aberranti ed evoluzione neoplastica
[Forni A. 1969 e 1971, Pollini G. 1969 e 1977]
. Per esempio,
sono stati notati vari fenomeni comuni come: comparsa, nei primi anni dell’intossicazione, di
numerose cellule aberranti e successivo lento ritorno verso la normalità; frequente presenza della
delezione di un grosso cromosoma metacentrico; frequente trisomia dei cromosomi 19 e 21 oppure
perdita dei cromosomi 17 e 18; presenza, nello stesso soggetto, di cellule con aberrazioni simili, tali
da suggerire un’origine clonale.
L’induzione di aberrazioni cromosomiche, di scambi tra cromatidi fratelli e di micronuclei
nelle cellule del midollo osseo è ben documentata dopo somministrazioni di singole dosi di benzene
sia per via inalatoria che per via intraperitoneale
[Meyne J. 1980, Tice RR. 1989]
. Erexon et al. hanno
mostrato che incrementi significativi di scambi tra cromatidi fratelli nei linfociti e comparsa di
6
micronuclei in cellule del midollo osseo sono prodotte da esposizioni ripetute di sei ore a
concentrazioni pari a 10 ppm nei topi e 1 ppm nei ratti [Erexson GL. 1986].
Recentemente, è stato dimostrato che il benzene è capace di indurre mutazioni nel locus
dell’ipoxantina-guanina fosforibosil transferasi nei linfociti splenici dei topi esposti a
concentrazioni di 40 - 1000 ppm per 22 h/die per 6 settimane. Alla dose più bassa di 40 ppm, è stato
evidenziato un incremento statisticamente significativo di mutazione genica di ben 4 volte rispetto
all’evento spontaneo; mentre gli autori hanno osservato un calo dell’effetto cancerogeno alla dose
più alta
[Ward JB.Jr. 1992]
. Questa osservazione è stata spiegata dal fatto che a tali livelli potrebbero
essere indotti nell’organismo sistemi di detossificazione enzimatica non attivi a basse dosi.
1.3.2. Classificazione della tossicità
Numerose agenzie internazionali per la tutela della salute nei luoghi di lavoro collocano il
benzene tra le sostanze con evidenza di effetti cancerogeni sia negli animali che nell’uomo: infatti,
l’International Agency for Research on Cancer (IARC) lo inserisce nel Gruppo 1: “Cancerogeno
accertato per l’uomo”; l’ACGIH, sulla base di studi epidemiologici, classifica il benzene nella
Categoria A1: “Cancerogeno riconosciuto per l’uomo”; infine, la Commissione Consultiva
Tossicologica Nazionale (CCTN) lo inserisce nella Categoria 1: “Sostanze note per effetti
cancerogeni sull’uomo”.
1.4
Tutela dei soggetti professionalmente esposti
Il benzene è stato ampiamente adoperato nella seconda meta del XIX secolo,
immediatamente dopo la sua introduzione nell’industria, dove veniva impiegato sia come materia
prima che come solvente. La sua grande volatilità causava il rapido raggiungimento di elevate
concentrazioni ambientali il che si traduceva in esposizioni lavorative ad alto rischio per la salute,
tipiche di quei tempi. Mastici a base di benzene venivano ampiamente utilizzati anche nell’industria
dell’inscatolamento nel periodo precedente allo sviluppo di altri sistemi di chiusura a tenuta dei
recipienti. Nel 1916 sono stati descritti numerosi casi di pancitopenia ed anemia aplastica insorti in
giovani donne lavoratrici in una ditta di scatolette a Baltimora [Selling L. 1916]. Lo studio condotto fornì
una descrizione accurata dei segni e dei sintomi riscontrati in questi primissimi casi, descrizione che
permise un inquadramento della malattia ed una sua associazione con l’esposizione a benzene.
In Italia è sempre stata data un’importanza rilevante al rischio benzene e notevoli sono stati
i contributi scientifici, sia di tipo sperimentale [Maltoni C. 1979 e 1985], che clinico [Vigliani EC.
1964 e 1976]
, che
epidemiologico [Paci E. 1989, Vigliani EC. 1976, Vai T. 1989]. L’approvazione della legge 245/63 con la quale si
vietava l’uso di solventi contenenti benzene in concentrazioni superiori al 2% in peso, ha costituito
7
un momento di inversione di tendenza. A partire dalla seconda metà degli anni ‘60, infatti, il livello
di contaminazione negli ambienti di lavoro si è ridotto di almeno 100 volte e la realtà attuale del
mondo industriale è caratterizzata da carichi espositivi inferiori ad 1 ppm [Pezzagno G. 1995].
1.4.1 Valori Limite Ambientali e Indici Biologici di Esposizione
Valori limite di soglia
I valori limite di soglia (TLV) indicano le concentrazioni delle sostanze aerodisperse al di
sotto delle quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta ripetutamente
senza causare effetti nocivi per la salute. I TLV sono stabiliti in base a dati ricavati dall'esperienza
in campo industriale, a risultati di ricerche sperimentali sull'uomo e sugli animali e, quando è
possibile, alla combinazione dei vari elementi di giudizio. L’ ACGIH
2000]
[AIDII, Giornale degli Igienisti Industriali
riporta che: “il criterio con cui il limite tollerabile viene fissato può variare a seconda del tipo di
sostanza considerata: in alcuni casi ci si propone di prevenire i danni per la salute, in altri, di
eliminare fenomeni irritativi, di riduzione dello stato di vigilanza, di disagio o altre forme di stress. I
limiti proposti non costituiscono una netta demarcazione tra concentrazioni pericolose o non
pericolose, ma hanno valore di raccomandazione e devono essere usati come guida per buone
pratiche operative. Malgrado sia poco probabile che un serio danno per l’organismo possa derivare
dalla esposizione a valori limite di soglia, è opportuno mantenere la concentrazione degli inquinanti
ai livelli più bassi consentiti”.
Il primo limite di esposizione per il benzene fu introdotto a partire dal 1941 (100 ppm), poi
abbassato a 35 ppm nel 1948 e a 25 ppm nel 1957. Successivamente, poiché per livelli inferiori a 10
ppm nessun effetto ematologico era stato evidenziato fino ad allora, si arrivò ad un TLV-TWA pari
a 10 ppm, rimasto tale fino al 1997, sebbene l’ACGIH già nel 1994 ne proponesse la modifica. A
partire dal 1997 il nuovo limite è di 0.5 ppm (1.6 mg/m3).
Indici Biologici di Esposizione
Gli indicatori biologici possono essere costituiti dagli agenti tossici tal quali, da uno o più
metaboliti oppure da addotti che l’agente tossico (o anche qualcuno dei suoi metaboliti) forma per
interazione con macromolecole (DNA o proteine) o con molecole piccole (acido glucuronico e
glutatione). Tali indicatori vengono suddivisi in indicatori di dose interna ed indicatori di effetto. I
primi riflettono la quantità di agente tossico effettivamente assorbita dall’organismo e possono
essere correlati all’entità dell’esposizione. Gli indicatori di effetto, invece, si riferiscono ai danni
prodotti a livello degli organi bersaglio. In linea di principio, per qualsiasi indicatore biologico può
essere definito un indice di esposizione biologico (BEI), il quale rappresenta il valore della
concentrazione dell’indicatore nei fluidi biologici di soggetti esposti a livelli ambientali di agente
8
tossico corrispondenti ai TLV. Gli indici biologici di esposizione costituiscono una guida per
valutare i risultati del monitoraggio biologico. Nel caso del benzene e sono stati proposti diversi
indicatori biologici di esposizione, a cui corrispondono diversi BEI. Attualmente, i valori limite
biologici proposti dall’ACGIH -corrispondenti ad un valore limite ambientale di 0.5 ppm di
benzene e a campioni biologici di urina raccolti a fine turno- sono: 25 µg/g creat per l’N-acetil-Sfenilcisteina e 500 µg/g per l’acido trans,trans-muconico, entrambi adoperati come indicatori
biologici. Studi riportati in letteratura propongono un valore di 0.6 µg/l per la benzenuria [Pezzagno G.
1997]
. La Deütsche Forschungsgemeinschaft (DFG) propone, inoltre, per il monitoraggio biologico
anche la benzenemia, con valori limite compresi fra 0.9 e 38 µg/l (equivalenti a livelli di
esposizione di 0.3 e 4.0 ppm, rispettivamente).
1.5
Monitoraggio biologico: stato dell’arte
Gli effetti lesivi per la salute dell’uomo a seguito dell’esposizione prolungata anche a bassi
livelli di concentrazione di benzene rendono conto della necessità di effettuare un monitoraggio
biologico dei soggetti professionalmente esposti a tali sostanze. Il monitoraggio biologico
costituisce uno strumento per stimare l’esposizione e il rischio per la salute dei lavoratori mediante
la misura della concentrazione di un “indicatore”, denominato biomarcatore, presente nel sangue o
nelle urine (mezzo biologico) delle persone esposte. Il biomarcatore agisce come rilevatore
dell’effettivo assorbimento di una sostanza. Il monitoraggio biologico consente, quindi di valutare il
rischio fornendo un indice globale di esposizione. A tal fine, sono stati adoperati, quali biomarcatori
di esposizione, diversi metaboliti urinari: l’N-acetil-S-fenilcisteina e l’acido trans,trans
muconico[Einig
T. 1996, Ghittori S. 1999, Ming ZF. 2000, Van Sitter NJ. 1993]
. Negli ultimi tempi, tuttavia, fra le
procedure adoperate per il monitoraggio biologico di soggetti professionalmente esposti a benzene
hanno assunto particolare importanza
tecniche basate sull’estrazione degli analiti su fibra e
rilevazione mediante spettrometria di massa [Brugnone F. 1998 e 1999, Fustinoni S. 1999 e 2000, Kawai T. 1992, 1994 e 1996,
Waidyanatha S. 2001]
. Tali tecniche consentono una quantificazione diretta del solvente tal quale presente
all’interno di matrici biologiche complesse quali il sangue e le urine.
1.5.1 Biomarcatori dell’esposizione professionale
La scelta di un opportuno biomarcatore, atto a rappresentare anche bassi livelli di
esposizione professionale ad un determinato agente tossico, si basa su un preliminare studio dei
processi di assorbimento, distribuzione, trasformazione e di eliminazione dell’agente tossico stesso
all’interno dell’organismo umano. I meccanismi e le cinetiche di assorbimento, distribuzione ed
eliminazione determinano le modalità con cui il campionamento deve essere effettuato o, in altri
termini, consentono di stabilire quale matrice biologica analizzare (ad esempio sangue o urine) e il
9
periodo di raccolta o di prelievo del campione biologico (es. urine delle 24 ore, prelievi di sangue di
fine turno lavorativo ecc.). Il metabolismo della sostanza esogena rende conto, invece, delle
percentuali di biotrasformazione della sostanza assorbita nei suoi metaboliti e della maggiore o
minore stabilità degli stessi nei fluidi biologici in esame. Un biomarcatore ‘sensibile’,
rappresentativo cioè anche di bassi livelli di esposizione, deve mostrare requisiti di abbondanza,
stabilità e, ovviamente, correlazione con le concentrazioni ambientali dell’agente inquinante, anche
se presente in minime quantità. Il biomarcatore risulta invece ‘specifico’ nel momento in cui la sua
presenza all’interno dell’organismo può derivare esclusivamente dall’avvenuto assorbimento di un
particolare agente tossico eventualmente metabolizzato e non da interferenze di natura alimentare o
da vie metaboliche parallele, relative alla biotrasformazione di altre sostanze esogene o endogene.
L’analisi del metabolismo del benzene
[Pezzagno G. 1995]
e di numerosi studi condotti finora
sulla popolazione in generale e su lavoratori professionalmente esposti a tali agenti ha consentito di
individuare un certo numero di potenziali biomarcatori di esposizione [Ambrosi L. 1996, Brugnone F. 1994, 1998
e 1999, Ikeda M. 1990, Kawai T. 1992,1993,1994 e 1996, Perbellini L. 1988, Van Sitter NJ. 1993, Waidyanatha S. 2001]
. Il dosaggio dei
vari indicatori biologici di esposizione comporta vantaggi e svantaggi a seconda dei casi e implica
l’utilizzo di metodiche diverse, ciascuna tesa alla quantificazione di un determinato biomarcatore
presente in un fluido biologico. Gli acidi mercapturici rappresentano indicatori biologici specifici
per il benzene, tuttavia corrispondono a percentuali di solvente biotrasformato comprese tra lo 0.05
e lo 0.3%, richiedendo pertanto lo sviluppo di metodiche basate sull’utilizzo di tecniche analitiche
altamente sensibili
[Van Sitter NJ. 1993]
. Le quantità di acido trans,trans muconico ritrovate nelle urine
sembrano invece influenzate dalla compresenza di altri solventi
[Ambrosi L. 1996]
[Ikeda M. 1990]
e di acido benzoico
come conservanti nelle diete alimentari, diminuendo in tal modo il livello di specificità
dei metaboliti quali indicatori biologici. D’altra parte, il dosaggio diretto dei solventi tal quali a
differenza dei loro metaboliti consente una correlazione immediata tra dose interna e dose esterna a
cui è stato esposto un lavoratore e prescinde da eventuali errori di valutazione dovuti al dosaggio di
metaboliti potenzialmente provenienti dalla dieta seguita o dall’esposizione e dal metabolismo di
altre sostanze, non tenute in debita considerazione.
1.5.2 Addotti emoglobinici quali indicatori di esposizione
I fattori di rischio dei lavoratori professionalmente esposti ad agenti alchilanti sono
generalmente connessi alle modificazioni prodotte dalla formazione di addotti a livello degli acidi
nucleici, sebbene, rispetto ad altri agenti alchilanti, il bromuro di metile in particolare mostri una
bassa affinità specifica nei confronti dei siti del DNA critici per l’insorgere di mutazioni[Pletsa V. 1999,
Vogel E.W. 1982]
. Le modificazioni prodotte sono considerate responsabili dell’alterazione della capacità
10
di replicazione del DNA, dello sviluppo di mutazioni e del processo degenerativo multistadio che
può portare all’insorgenza del cancro. La misura degli effetti sul DNA rappresenterebbe, quindi, un
efficiente metodo di valutazione della dose biologicamente efficace o dose tissutale (frazione di
sostanza assorbita presente nell’organo bersaglio); tuttavia il monitoraggio diretto degli addotti al
DNA non è facilmente realizzabile a scopo preventivo, poiché comporta diverse problematiche,
connesse con la necessità di prelievi bioptici, per reperire il materiale biologico, e con l’alto
turnover delle molecole di DNA. A causa dei meccanismi enzimatici di riparo degli acidi nucleici,
inoltre, la concentrazione degli addotti al DNA risulta indicativa soltanto di esposizioni avvenute in
tempi piuttosto recenti. I problemi analitici legati all’analisi diretta degli addotti formati
dall’interazione degli agenti alchilanti con il DNA determinano quindi l’esigenza di ricercare
metodi alternativi, tesi alla quantificazione di biomarcatori altrettanto rappresentativi, ma di più
facile utilizzo. Negli ultimi anni hanno assunto notevole importanza metodi di biomonitoraggio
basati sul dosaggio di addotti derivanti dall’interazione fra l’agente alchilante e l’emoglobina (Hb)
[Tornqvist M. 1993, Ostermann-Golkar S. 1976, Neumann H.G. 1984, Miraglia N. 2001, Basile A. 2001]
. Quest’ultima risulta
particolarmente adatta per la dosimetria di sostanze genotossiche dato che è presente in gran
quantità nell’organismo, è facilmente campionabile e non è soggetta a meccanismi enzimatici di
riparo; inoltre, il tempo di vita media relativamente lungo della proteina (120 giorni nell’uomo)
consente di accumulare gli eventuali addotti e di rilevarne la presenza anche nel caso in cui il
monitoraggio fosse effettuato in tempi relativamente lontani dall’avvenuta esposizione. Per un gran
numero di agenti alchilanti è stata dimostrata l’esistenza di un rapporto costante tra la formazione di
addotti con il DNA e con l’emoglobina in un ampio intervallo di dosi [Neumann H.G. 1984, Calleman C.J. 1978];
pertanto la determinazione della dose tissutale attraverso la quantificazione degli addotti
dell’emoglobina rappresenta effettivamente una valida misura del rischio genotossico connesso con
l’esposizione a sostanze xenobiotiche. Il monitoraggio dei lavoratori professionalmente esposti ad
agenti alchilanti è stato finora condotto quantificando gli addotti emoglobinici con tecniche
analitiche classificabili in due categorie. Della prima categoria fanno parte i metodi basati
sull’analisi, mediante Gas Cromatografia/Spettrometria di Massa (GC/MS), di amminoacidi alchilati
liberati dall’idrolisi acida o enzimatica dell’emoglobina, che viene purificata da campioni di sangue
provenienti da soggetti esposti. Questi metodi, sebbene sensibili e veloci, non consentono di
determinare né la struttura dell’addotto alchilante-proteina, né il tipo di amminoacido reattivo nei
confronti di un particolare agente alchilante o la posizione dell’aminoacido stesso all’interno della
sequenza globinica. Pertanto tale approccio non permette uno studio del processo di interazione
cancerogeno-proteina. Della seconda categoria fanno parte, invece, le tecniche analitiche che si
basano sulla reazione di degradazione di Edman modificata. Questa consente l’idrolisi selettiva
11
dell’amminoacido N-terminale di una proteina, lasciando inalterato il resto della catena peptidica;
nella degradazione modificata, il convenzionale agente di Edman (fenilisotiocianato) è sostituito dal
pentafluorofenilisotiocianato[Lequin
R.M. 1972, Tornqvist M. 1986]
che consente l’idrolisi selettiva degli
amminoacidi N-terminali modificati a seguito di un’alchilazione. Tale reazione è seguita da
estrazione del derivato dell’amminoacido N-terminale alchilato e da analisi quantitativa GC/MS,
che consente il dosaggio di quantità di addotto nell’ordine delle picomoli.
Questa metodica, nonostante i numerosi vantaggi, non permette di determinare gli addotti
formati in corrispondenza di siti nucleofili eventualmente più reattivi dell’amminoacido Nterminale e posti all’interno delle catene globiniche; di conseguenza, in relazione a bassi livelli di
esposizione -quando, cioè, solo gli amminoacidi maggiormente reattivi vengono alchilati- la
quantità di addotto emoglobinico, e quindi il rischio genotossico, potrebbe essere sottostimata.
1.6
Obiettivi della ricerca: Studio dell’interazione benzene-emoglobina
Il programma di ricerca è stato incentrato sullo studio dell'interazione dei metaboliti reattivi
del benzene con l'emoglobina e sull’individuazione di un peptide modificato quale ottimale
biomarcatore di esposizione in campioni reali. Il progetto sarà articolato nelle seguenti fasi:
1) individuazione dei metaboliti che presentano la maggiore reattività nei confronti
dell'emoglobina;
2) individuazione e caratterizzazione degli addotti emoglobinici che si formano in seguito
all’interazione con ciascuno dei metaboliti del benzene;
3) studio della reattività dei singoli residui amminoacidici allo scopo di individuare un
peptide emoglobinico da utilizzare come biomarcatore.
In particolare:
relativamente al punto 1):
a) uno dei principali metaboliti del benzene, la trans,trans-muconaldeide è stata incubata, in
vitro, con peptidi modello dell’emoglobina. In seguito le reazioni di incubazione sono state ripetute
per campioni di emoglobina proveniente da soggetti non fumatori e non esposti a benzene. Ciascuna
reazione è stata condotta adoperando lo stesso rapporto molare di incubazione tra agente alchilante
ed emoglobina;
b) i campioni ottenuti dalle incubazioni tra trans,trans-muconaldeide ed emoglobina sono stati
sottoposti a procedure standardizzate di precipitazione delle globine, mediante acetone o propanolo
acido;
12
c) le globine e i peptidi modello sono stati analizzati mediante LC/MS: tale analisi ha
consentito di determinare il grado di modifica delle globine e dei peptidi modello.
relativamente al punto 2):
a) campioni di emoglobina modificata a seguito di reazioni di incubazione sono stati sottoposti
ad idrolisi enzimatica (tripsina);
b) le miscele triptiche sono state analizzate mediante cromatografia liquida/spettrometria di
massa con ionizzazione electrospray (LC/ESI-MS), al fine di individuare tutti i peptidi modificati
dall’agente alchilante;
c) per ciascun peptide modificato, la determinazione del residuo amminoacidico coinvolto nel
legame covalente con l’agente alchilante è stata realizzata mediante analisi di spettrometria di
massa tandem (LC/ESI-MSMS).
relativamente al punto 3):
è stato ricercato il peptide emoglobinico che viene preferenzialmente modificato dall’agente
alchilante, anche nel caso in cui quest’ultimo fosse presente in minime quantità. Quest’ultimo
risulterà essere il biomarcatore ottimale per evidenziare bassi livelli espositivi.
L'originalità dell’approccio analitico utilizzato risiede nel fatto che, vista la complessità del
metabolismo del benzene e le poche nozioni a disposizione circa la reattività dei metaboliti, è
necessario, ai fini di un’accurata valutazione del tipo e dell’entità dell’interazione con
macromolecole biologiche, un preliminare studio strutturale delle modificazioni verificatesi
sull’emoglobina, sfruttando l’elevata sensibilità e specificità delle apparecchiature e delle
metodologie di spettrometria di massa disponibili. Una volta identificata la natura della
modificazione e quindi la natura dell'agente elettrofilo che l'ha prodotta, è possibile individuare uno
o più biomarcatori, in grado di rivelare adeguatamente anche bassi livelli di esposizione a benzene.
13
PARTE SECONDA
2.1
Procedure, Materiali e Metodi
2.1.1 Presupposti teorici
2.1.1.1 Cromatografia Liquida ad Alta Efficienza
La Cromatografia Liquida ad Alta efficienza (HPLC, High Performance Liquid
Chromatography) rappresenta l’evoluzione strumentale della cromatografia in fase liquida su
colonne classiche e delle tecniche ad essa collegate. È una tecnica che consente di separare analiti in
miscele complesse in pochi minuti ed è caratterizzata da un elevato potere risolutivo
[Majors R.E. 1985]
Infatti, ogni sostanza raggiunge il rivelatore ben separata (risolta) dalle altre e tutti i componenti la
miscela vengono eluiti in pochi minuti. Affinché la prima condizione venga rispettata è necessario
che la fase stazionaria sia sensibile alle differenze fra le specie chimiche che si trovano nel
campione. La colonna deve possedere un’adeguata selettività facendo in modo che ad ogni sostanza
corrisponda un tempo di ritenzione sufficientemente diverso dalle altre. D’altra parte una buona
selettività non garantisce di per sé la completa separazione (risoluzione) fra i picchi: è anche
indispensabile che questi ultimi siano sufficientemente stretti per non sovrapporsi, nemmeno in
parte. La capacità di un sistema fase stazionaria-fase mobile di mantenere stretti i picchi viene
definita efficienza. Selettività ed efficienze determinano il grado di risoluzione fornito da un dato
sistema cromatografico. In HPLC la fase mobile, allo stato liquido, è rappresentata da soluzioni
tampone, saline o da miscele di solventi a diverso potere eluente, spinti lungo la colonna
cromatografica mediante l’ausilio di pompe che lavorano in sincronismo e sono in grado di
realizzare elevate condizioni di pressione. L’alta pressione consente di utilizzare una fase
stazionaria a granulometria molto fine, che garantisce un’elevata superficie di contatto con la fase
mobile. In tal modo il processo di ripartizione degli analiti fra le due fasi viene favorito, con
conseguente incremento dell’efficienza di separazione. Il tempo che intercorre tra l’introduzione del
campione in colonna e la massima risposta del rivelatore viene definito tempo di ritenzione (RT,
Retention Time) ed è caratteristico di ogni sostanza, dipendendo dalla diversa affinità che la
sostanza in esame presenta nei confronti della fase mobile e della fase stazionaria.
2.1.1.2 Spettrometria di Massa
L’analisi mediante tecniche di Spettrometria di Massa consente di misurare il rapporto
massa su carica (m/z) dell’analita e, quindi, di ricavare informazioni riguardanti la composizione
elementare e di determinare la struttura della sostanza in esame o procedere ad un’accurata analisi
14
quantitativa. È questa una tecnica sensibile, specifica e di elevata riproducibilità. Inoltre, messo a
punto il metodo analitico, la procedura può essere applicata nelle analisi di routine.
La Spettrometria di Massa si basa sulla ionizzazione e frammentazione delle molecole e
sulla separazione degli ioni generati in fase gassosa mediante un opportuno analizzatore di massa.
Un requisito necessario, quindi, per il funzionamento di uno spettrometro di massa è dato dalla
presenza di ioni in fase gassosa della sostanza da esaminare. Uno spettrometro di massa è uno
strumento che lavora sotto vuoto spinto e si compone di un sistema di introduzione, una sorgente di
ioni, un analizzatore di ioni e un rivelatore di ioni, collegato ad un sistema di elaborazione dati. Il
sistema di introduzione del campione consente il passaggio dell’analita dalle condizioni di pressione
atmosferica alle condizioni di vuoto di funzionamento dello spettrometro di massa senza
perturbazione dello stesso. L’introduzione può avvenire, per introduzione e/o infusione diretta o
collegando lo spettrometro di massa ad un sistema cromatografico (GC oppure HPLC). Nella
sorgente ionica l’analita viene ionizzato, utilizzando tecniche diverse. Nella fase successiva,
l’analizzatore, ad esempio il quadrupolo e la trappola ionica, separa gli ioni prodotti in sorgente in
base al rapporto m/z. Gli ioni giungono, quindi, ad un rivelatore dove generano un segnale elettrico
proporzionale al numero di ioni prodotti in sorgente. Infine, il sistema di elaborazione dei dati
registra i segnali elettrici e li converte in uno spettro di massa.
La Ionizzazione Electrospray (ESI)[Mann M. 1989] è una tecnica di ionizzazione particolarmente
compatibile con separazioni cromatografiche in fase liquida ed è applicata principalmente a
molecole di alto peso molecolare, poco o niente volatili e termicamente instabili. La Ionizzazione
Electrospray si realizza durante il passaggio di fase dell’analita dalla fase condensata liquida alla
fase gassosa, attraverso un procedimento di nebulizzazione in uno spazio in cui è presente un campo
elettrico di intensità di migliaia di Volt per centimetro. La soluzione dell’analita da ionizzare viene
nebulizzata, utilizzando azoto compresso, attraverso un ugello che è posto ad una differenza di
potenziale di circa 4kV. L’aerosol che viene a formarsi contiene delle goccioline di soluzione che
subiscono una progressiva desolvatazione, in seguito alla quale il loro diametro diminuisce fino ad
un valore critico (limite di Rayleigh) oltre il quale si ha la loro esplosione Colombiana. Questo
processo, che avviene a pressione atmosferica, porta alla formazione di ioni molecolari variamente
protonati in fase gassosa a partire da una soluzione liquida. In questo modo all’analizzatore arrivano
cluster di ioni molecolari protonati o deprotonati desolvatati ottenuti a pressione ordinaria. Poichè lo
stato di carica dell’analita in soluzione è influenzato dal pH, a differenza della ionizzazione
elettronica, la ionizzazione electrospray produce uno spettro di massa in cui per un singolo analita
possono essere registrati più ioni quasi molecolari del tipo [M+Hn]+n o [M-Hn]-n. Infine, a
differenza della Ionizzazione Elettronica, la tecnica di Ionizzazione Electrospray, non trasferendo
15
un eccesso di energia nel processo di ionizzazione, non produce frammentazioni significative ed è
considerata per questo una tecnica di ionizzazione soft.
I metodi di acquisizione che si possono scegliere nella spettrometria di massa sono diversi.
La scelta è legata a considerazioni che riguardano il tipo di analisi da effettuare (qualitativa o
quantitativa), la specificità e la sensibilità. Indagini qualitative, tese all’identificazione e
all’individuazione di sostanze incognite, rendono indispensabile la modalità di acquisizione full
scan, al fine di ottenere l’intero spettro di massa, ovvero l’impronta digitale della molecola in
esame, oppure una serie di informazioni strutturali relative ad una molecola incognita. I dati di uno
spettro di massa full scan di una sostanza derivano dall’acquisizione del segnale relativo a tutti gli
ioni generati nella camera di ionizzazione dalla sostanza nel range di valori di m/z selezionato per
l’analisi. Nello spettro full scan in ascissa è posto il rapporto m/z e in ordinata l’abbondanza relativa
dei vari segnali. Ogni segnale nello spettro di massa si riferisce ad un frammento o ione.
Nell’analisi strutturale uno spettro di massa full scan fornisce un quadro completo di informazioni
ottenibili da una specie molecolare e consente, in linea di massima, la determinazione del peso
molecolare e l’identificazione della molecola, grazie anche all’impiego di librerie di spettri di massa
sempre più estese e facili da consultare. Nel caso debbano essere effettuate analisi volte alla
determinazione quantitativa di specifiche sostanze risulta preferibile adoperare una diversa tecnica
di acquisizione. È, infatti, possibile ottenere una maggiore sensibilità quando, nel corso dell’analisi,
viene riportato in diagramma solo la corrente ionica dovuta ai ioni specifici che caratterizzano la
sostanza in esame, operando, cioè, una Scansione di Ioni Selezionati (Selected Ion Monitoring,
SIM). Si possono, cioè, selezionare ed acquisire soltanto pochi ioni rappresentativi dell’analita
d’interesse: ciò comporta una diminuzione del segnale dovuto al rumore di fondo e, di conseguenza,
un aumento del rapporto segnale/rumore e, quindi, una migliore sensibilità nella rivelazione degli
analiti -specialmente nel caso di matrici complesse- senza tuttavia perdere in specificità. L’aumento
di sensibilità dipende anche dal fatto che la finestra di osservazione dei segnali diventa più stretta e,
quindi, nello stesso tempo possono essere misurati più eventi. Al fine di garantire un’identificazione
univoca della molecola in esame, il rapporto tra le intensità relative dei frammenti ionici selezionati
deve rispecchiare, entro un parametro di tolleranza del 5%, il rapporto tra le abbondanze relative
tipiche dell’analita, che si ritrovano nello spettro di massa full scan. Per indagare più in dettaglio la
struttura degli ioni in fase gassosa e, quindi, la struttura dell’analita o per migliorare la specificità e
la sensibilità dell’analisi quantitativa è possibile ricorrere ad un tipo particolare di spettrometria di
massa, detta spettrometria di massa tandem (MS-MS). In questo caso, è possibile ottenere lo spettro
di massa di ioni-prodotto derivanti dalla frammentazione di uno qualsiasi degli ioni (ioneprecursore) presenti nello spettro di massa full scan. In genere,per scopi quantitativi, è preferibile
16
scegliere come ione-precursore quello più intenso nello spettro di massa full scan in modo da
selezionare la quasi totalità della corrente ionica generata dall’analita e non perdere in sensibilità.
Con la spettrometria di massa tandem nel primo stadio di analisi lo ione precursore, avente un
determinato rapporto m/z, viene selezionato ed isolato. Nel secondo stadio a tale ione viene fornita
energia o per collisione o per radiazione elettromagnetica, inducendo la frammentazione dello
stesso. Gli ioni prodotto risultanti, separati da un secondo analizzatore di massa sono rivelati ed
acquisiti in uno spettro di massa tandem. Il processo, in alcune particolari apparecchiature, può
essere ripetuto n volte, Spettrometria di Massa Multistadio o MSn.
2.1.1.3
Cromatografia Liquida ad Alte Prestazioni accoppiata alla Spettrometria di Massa
con ionizzazione ad Electrospray (LC/ESI-MS)
Fino a pochi anni fa la possibilità di collegare un sistema per la cromatografia liquida
(HPLC) ad uno spettrometro di massa (MS) sembrava improponibile, perché le due tecniche
apparivano incompatibili. La Spettrometria di Massa, infatti, richiede per la ionizzazione condizioni
di vuoto spinto e specie molecolari in fase gassosa; al contrario la cromatografia liquida è
condizionata dall’uso di flussi elevati di eluente. Il solvente che eluisce da un sistema HPLC, dopo
la vaporizzazione, aumenta notevolmente di volume. Il problema legato a questo elevato carico di
gas (principalmente solvente vaporizzato) è stato risolto combinando un sistema di riscaldamento e
uno di pompaggio e con l’aiuto di un gas di nebulizzazione che favorisce l’evaporazione del
solvente. La difficoltà nell’interfacciare un HPLC ad uno spettrometro di massa è stata risolta con
l’impiego di tecniche di ionizzazione a pressione atmosferica (API, Atmospheric Pressure
Ionization), come la ionizzazione ad electrospray (ESI, Electrospray Ionization).
2.1.2
Materiali
La Sostanza P e l’Angiotensina I sono state acquistate dalla ICN Biomedicals Inc (Aurora,
Ohio, USA); la tripsina dalla Boehringer (Mannheim, Germania); il Bromuro di Cianogeno è della
Pierce (Rockford, Illinois, USA). La Muconaldeide è stata sintetizzata e gentilmente fornita dai
Laboratori di Chimica Organica della Facoltà di Chimica dell’Università degli Studi di Napoli
“Federico II”. I solventi e i reagenti per HPLC sono della Carlo Erba (Milano, Italia). Le colonne
cromatografiche utilizzate per la separazione delle globine e dei peptidi sono, rispettivamente, una
Jupiter (Phenomenex, USA) C4 (250 mm x 4.6 mm, 5µ, 300 Å) e una Jupiter (Phenomenex, USA)
C18 (250 mm x 2.0 mm, 5 um, 300 Å). Le analisi LC/ESI-MS-MS sono state condotte con un
sistema modulare HPLC serie 1100 (Agilent, Palo Alto, CA, USA) e uno spettrometro di massa a
17
trappola ionica LCQTMDECA (ThermoQuest, Finnigan, San Jose, CA, USA), dotato di una sorgente
ionica electrospray e gestito dal programma Xcalibur (versione 1.2, ThermoQuest).
2.1.3
Metodi
2.1.3.1 Reazioni di incubazione in vitro
Sono state condotte delle incubazioni della muconaldeide con peptidi modello, catene
globiniche precipitate e con emoglobina.
Peptidi Modello/Muconaldeide
I peptidi modello che sono stati adoperati sono l’Angiotensina I (AI) e la Sostanza P (SP).
Angiotensina/Muconaldeide rapporto molare 1:1
Sono stati prelevati 300 µl di una soluzione acquosa di AI, avente una concentrazione di 1
µg/µl (0.231 µmol), addizionati di 14.4 µl di una soluzione acquosa di MA, avente una
concentrazione di 1.76 µg/µl (0.231 µmol). L’incubazione è stata condotta a 37 °C, overnight e
successivamente il campione è stato liofilizzato e conservato a -20 °C. Prima dell’analisi il
campione è stato sciolto in 300 µl di una soluzione acquosa di acido trifluoroacetico (TFA) allo
0.1%.
Sostanza P/Muconaldeide rapporto molare 1:2
Sono stati prelevati 200 µl di una soluzione acquosa di SP, avente una concentrazione di 2
µg/µl (0.297 µmol), addizionati di 32.6 µl di una soluzione acquosa di MA, avente una
concentrazione di 2 µg/µl (0.593 µmol). L’incubazione è stata condotta a 37°C, overnight e
successivamente il campione è stato liofilizzato e conservato a -20 °C. Prima dell’analisi il
campione è stato sciolto in 400 µl di una soluzione acquosa di TFA allo 0.1%.
Sostanza P/Muconaldeide rapporto molare 50:1
Sono stati prelevati 100 µl di una soluzione acquosa di SP, avente una concentrazione di 2
µg/µl (0.148 µmol), addizionati di 9 µl di una soluzione acquosa di MA, avente una concentrazione
di 0.0362 µg/µl (0.00296 µmol). L’incubazione è stata condotta a 37°C overnight e
successivamente il campione è stato liofilizzato e conservato a -20 °C. Prima dell’analisi il
campione è stato sciolto in 200 µl di una soluzione acquosa di TFA allo 0.1%.
Catene Globiniche/Muconaldeide
18
Emolisi e Precipitazione dell’emoglobina
Aliquote di 1.5 ml di sangue intero prelevati da un soggetto non fumatore sono stati
centrifugati (5000 rpm per 10 min) e il surnatante è stato allontanato. Sono stati aggiunti 3 ml di
soluzione fisiologica (NaCl 0.9%); il campione così ottenuto è stato nuovamente centrifugato e gli
eritrociti sono stati separati dal liquido di lavaggio. L’operazione è stata ripetuta più volte fino al
raggiungimento di un surnatante trasparente. L’emolisi degli eritrociti è stata ottenuta aggiungendo
acqua bidistillata in rapporto 1:1
rispetto al volume di sangue intero iniziale, centrifugando
nuovamente (5000 rpm per 10 min) per eliminare le membrane cellulari. Per la precipitazione delle
globine, è stato utilizzato acetone acido freddo (100 ml di acetone e 6 ml di HCl al 37%, conservato
a -20 °C, overnight), in rapporto 1:15 (v/v) rispetto all’emolizzato, aggiunto goccia a goccia. Il
processo di precipitazione viene favorito ponendo il campione in congelatore per circa 1h.
Successivamente, eliminato il surnatante dopo centrifugazione, le globine sono state lavate due
volte con acetone freddo, quindi, conservate, a secco (mediante flusso di azoto) a -20 °C.
Incubazione Hb/MA rapporto molare 1:1
A 15 mg di globina, precedentemente precipitata e sciolta con 4.5 ml di tampone fosfato
(Na2HPO4 10 mM, pH 7), sono stati aggiunti 53.2 µl di una soluzione acquosa 2 µg/µl di MA, al
fine di ottenere un rapporto molare di incubazione Hb/MA 1:1. L’incubazione è stata condotta a 37
°C, overnight e, successivamente, il campione è stato liofilizzato e conservato a -20 °C. Prima
dell’analisi il campione è stato suddiviso in aliquote da 1 mg circa, sciolte in soluzione acquosa di
acido trifluoroacetico allo 0.1%, in modo da avere soluzioni 1 µg/µl.
Emoglobina/Muconaldeide
Un campione di sangue intero (1.5 ml) di un donatore sano è stato centrifugato a 5000 rpm per
10 min, al fine di eliminare il plasma e, successivamente lavato per tre volte con 1 ml di soluzione
fisiologica. Agli eritrociti così ottenuti, sono stati aggiunti 3 ml di acqua bidistillata, per provocare
la lisi cellulare ed ottenere l’emoglobina libera; la soluzione emolizzata risultante è stata, quindi,
ulteriormente centrifugata (5000 rpm, 10 min) per allontanare le membrane cellulari e ottenere una
concentrazione di emoglobina pari a 5 g/100 ml. Ad una aliquota di 500 µl di tale soluzione
emoglobinica al 5%, sono stati aggiunti, 2 ml di tampone fosfato (10 mM, Na2HPO4) e volumi
diversi di una soluzione acquosa di MA (2 µg/µl) in modo da ottenere incubazioni con rapporti
molari Hb/MA di 1:1, 1:2, 1:5 e 1:10. Le reazioni sono state condotte a 37 °C, overnight, sotto
agitazione; successivamente i campioni sono stati precipitati (come precedentemente descritto) e
conservati a -20 °C.
19
2.1.3.2 Separazione ed analisi delle catene globiniche mediante LC/ESI-MS
Aliquote di 1 mg di globina (o globina incubata con muconaldeide) sono state sciolte in 1 ml
di una soluzione acquosa di TFA allo 0.1% e aliquote di 100 µl delle soluzioni ottenute sono state
analizzate mediante LC/ESI-MS adoperando le seguenti condizioni:
• colonna cromatografica: C4 (250 mm x 4.6 mm);
• tamponi di eluizione: A, H2O/Acetonitrile, 0.25% TFA = 80/20 (v/v ); B, H2O/Acetonitrile,
0.1% TFA = 40/60 (v/v);
• gradiente di concentrazione: dal 50% al 68% del solvente B in 48 min;
• flusso: 1 ml/min, con splitter (0.2 ml/min inviati alla sorgente electrospray dello
spettrometro di massa);
• acquisizione: full scan, nell’intervallo m/z (300-2000).
2.1.3.3 Idrolisi delle catene globiniche
Digestione enzimatica con tripsina
Le catene globiniche (circa 1 mg) alchilate con la MA sono state disciolte in 300 µl di
ammonio bicarbonato 0.4%, pH 8.5, e addizionate con una soluzione di tripsina 1 µg/µl in modo da
raggiungere un rapporto substrato:enzima = 50:1 (w/w). La reazione di idrolisi è stata condotta a 37
°C, overnight; la miscela peptidica ottenuta è stata portata a secco mediante liofilizzazione e
conservata a -20 °C.
Degradazione con bromuro di cianogeno
I campioni (circa 1 mg) incubati con la MA sono stati sciolti in 300 µl di TFA 70%, quindi
addizionati con una soluzione acquosa di bromuro di cianogeno preparata al momento, in modo che
il rapporto molare BrCN:Metionina fosse di 100:1. La reazione di idrolisi è stata condotta a
temperatura ambiente overnight, proteggendo i campioni dalla luce. L’idrolisi è stata bloccata
utilizzando acqua fredda in volume 10 volte superiore. I campioni sono stati successivamente
liofilizzati e conservati a -20 °C .
2.1.3.4 Separazione ed analisi dei peptidi mediante LC/ESI-MS
I peptidi modello, i digeriti triptici e i peptidi ottenuti dalla degradazione chimica sono stati
sciolti con TFA 0.1% e aliquote da 100 µl sono state analizzate mediante LC/ESI-MS adoperando
le seguenti condizioni:
20
2.2
•
colonna cromatografica: C18 (250 mm x 2.0 mm);
•
tamponi di eluizione: A, H2O, 0.1% TFA; B,
•
gradiente di concentrazione: dal 5% al 70% del solvente B in 90 min;
•
flusso:0.2 ml/min;
•
acquisizione: full scan, nell’intervallo m/z (300-2000).
Acetonitrile, 0.1% TFA;
Risultati e Discussione
2.2.1
Reattività della Muconaldeide
Muconaldeide/Angiotensina I
La reattività intrinseca della Muconaldeide e i gruppi funzionali preferenziali con cui la stessa si
lega, sono stati indagati effettuando studi di interazione con peptidi modello, contenenti un ristretto
numero di residui amminoacidici rispetto all’emoglobina.
Il primo modello che è stato utilizzato è la Angiotensina І (AI), un peptide composto da 10
amminoacidi (Asp-Arg-Val-Tyr-Ile-His-Pro-Phe-His-Leu) avente un peso molecolare di 1296.1 Da.
L’Angiotensina è stata analizzata mediante LC/ESI-MS e in Figura 2 sono riportati il profilo
cromatografico (pannello a) e lo spettro di massa full scan (pannello b) della molecola. L’Angiotensina
eluisce ad un tempo di ritenzione (tr) di 43.8 min; dallo spettro di massa ottenuto si osserva la presenza
di tre segnali a valori di m/z di 1296.5, 649.0, 433.1, corrispondenti, rispettivamente, allo ione quasi
molecolare [M+H]+, allo ione [M+2H]2+ e allo ione [M+3H]3+. Per studiare il modo in cui la
Muconaldeide interagisce con questo peptide modello, dopo aver condotto una incubazione AI/MA con
rapporto molare 1:1, la miscela di reazione è stata sottoposta ad una analisi mediante cromatografia
liquida associata a spettrometria di massa (Figura 3). Nel cromatogramma si distinguono tre picchi
cromatografici: il primo, A, corrisponde all’Angiotensina, il secondo, B, ad un tr di 47.5 min,
corrisponde allo spettro di massa riportato in Figura 3b, dal quale si evidenziano tre segnali ad m/z
1388.5 ([M+H]+); 695.1 ([M+2H]2+) e 463.8 ([M+3H]3+). Le intensità relative dei segnali rispecchiano
quelle degli ioni multicarica dell’Angiotensina (Figura 2b) e consentono di identificare il picco
cromatografico a 47 min come l’addotto formato dall’interazione fra la Muconaldeide e l’Angiotensina.
Il picco cromatografico C (tr = 49.8 min) presenta uno spettro di massa del tutto analogo al secondo
picco cromatografico, quindi, corrisponde presumibilmente anch’esso ad un addotto AI/MA.
Gli addotti, con un peso molecolare di 1388.05±0.29 Da (picco B) e di 1387.93±0.24 Da (picco
C), rivelano un incremento di massa pari a 92 Da, e considerando che il peso molecolare della MA è di
110 Da, sono indicativi della formazione di un legame imminico fra il gruppo carbonilico della
Muconaldeide e il gruppo amminico N-terminale dell’Angiotensina, con perdita di una molecola di
21
a
b
Figura 2: Analisi LC/ESI-MS dell’Angiotensina I: a) Profilo cromatografico;
b) Spettro di Massa full scan.
a
A
B
C
b
Figura 3: Analisi LC/MS della miscela di incubazione AI/MA 1:1. a)
Profilo cromatografico; b) Spettro di Massa del picco
cromatografico B.
acqua. L’ipotesi è stata confermata conducendo esperimenti di spettrometria di massa tandem. In Figura
4 è riportato lo spettro di massa tandem relativo alla frammentazione dello ione quasi molecolare
dell’Angiotensina immodificata: sono messi in evidenza i frammenti della serie bn (da b5 a b10) e della
serie y”n (da y”10 a y”6). Questo spettro di massa tandem è stato confrontato con quello relativo alla
frammentazione dello ione ad m/z 1388 (Figura 5c). L’analisi dello spettro di massa mostra, anche in
questo caso, la presenza della serie bn (da b5* a b10*) e y”n (da y”7 a y”9): la serie bn è tutta modificata
mentre la serie y”n non presenta alcuna modifica fino al frammento y”9. Si evince, quindi, che il sito di
alchilazione corrisponde al residuo amminoacidico di acido aspartico, come precedentemente supposto.
Oltre a consentire l’identificazione del sito di alchilazione preferenziale, l’analisi LC/ESI-MSMS della miscela di incubazione, condotta adoperando come ione precursore il segnale ad m/z 1388,
fornisce un’ulteriore informazione. Dal cromatogramma relativo, infatti, (Figura 5a) si nota la presenza
di un secondo picco cromatografico (B), il quale corrisponde allo spettro di massa tandem riportato in
Figura 5b. Durante la frammentazione dello ione precursore si forma un frammento con un valore di m/z
pari a 1344.4 che corrisponde alla perdita di 44 Da dallo ione precursore. L’ulteriore frammentazione
del segnale ad m/z 1344.4 (analisi LC/ESI-MS3) mostra, nuovamente, tutta la serie bn modificata e tutta
la serie y”n non modificata tranne y”10; quindi è chiaro che, anche in tal caso, la molecola che eluisce ad
un tr di 47.4 min corrisponde ad un addotto fra MA ed AI e, inoltre, che il legame della MA è sul
residuo di acido aspartico terminale dell’Angiotensina. Concludendo si può affermare che la
muconaldeide lega l’Angiotensina in due conformazioni completamente diverse tra loro.
Per poter comprendere se la perdita di 44 Da deriva da un riarrangiamento seguito da
frammentazione dell’addotto o corrisponde ad una decarbossilazione della molecola al livello del
residuo di Asp o di quello carbossiterminale, la MA è stata incubata con un altro peptide modello che
non possiede nella sua sequenza amminoacidica l’Asp N-terminale.
Muconaldeide/Sostanza P
Rapporto di incubazione molare SP/MA=1:2
Il secondo modello preso in considerazione è la Sostanza P (SP), un peptide composto da 11
amminoacidi (Arg-Pro-Lys-Pro-Gln-Gln-Phe-Phe-Gly-Leu-Met) avente un peso molecolare di
1347.1 Da. Anche in questo caso è stata condotta una caratterizzazione del peptide mediante analisi
LC/ESI-MS full scan (Figura 6). La Sostanza P eluisce ad un tr di 45.3 min; dallo spettro di massa
si evidenziano un segnale molto intenso ad m/z 1347.5 ed un segnale meno intenso ad m/z 674.5,
corrispondenti, rispettivamente, allo ione quasi molecolare [M+H]+ e allo ione [M+2H]2+. Lo studio
del modo in cui la MA interagisce con tale peptide è stato condotto effettuando una incubazione
SP/MA con rapporto molare 1:2 e poi sottoponendo il composto ottenuto ad analisi LC/ESI-MS. Il
22
C
B
a
b
c
Figura 5: Analisi LC/MS-MS. Ione precursore: m/z 1388.4; ioni prodotto:
m/z 400- 1500. a) Profilo cromatografico; b), c) Spettri di
Massa dei picchi cromatografici B e C.
a
b
Figura 6: Analisi LC/MS della Sostanza p: a) Profilo cromatografico; b)
Spettro di Massa full scan, m/z 400-1600.
cromatogramma relativo, riportato in Figura 7a, mostra due picchi. Il primo, ad un tr di 45.2 min,
corrisponde alla Sostanza P non modificata; il secondo, indicato in figura come SP+MA (tr=49.5),
dà luogo allo spettro di massa riportato nel pannello b della figura 7. L’analisi dello spettro di massa
consente l’identificazione della molecola: il peso molecolare è di 1439.05±0.2 Da, con un
incremento di massa di 92 Da rispetto alla Sostanza P, indicando, pertanto, che tale molecola
rappresenta l’addotto della Sostanza P con la Muconaldeide. Eseguendo un esperimento di
spettrometria di massa tandem adoperando come ione precursore il segnale ad m/z 1439.5 è stato
possibile risalire al sito in cui è avvenuta l’alchilazione. Lo spettro di massa tandem ottenuto
(Figura 7c) mostra la presenza della serie bn tutta modificata e del frammento y”10 non modificato.
Analogamente a quanto dedotto per l’Angiotensina, anche in questo caso, la presenza del
frammento y”10 privo di alchilazione attesta che la MA lega la SP sul gruppo amminico del residuo
N-terminale. Dalla frammentazione del peptide modificato non si ottiene un frammento con un
decremento di 44 Da e questo porta alla conclusione che, nel caso dell’AI incubata con la MA, la
perdita di 44 unità di massa è presumibilmente dovuta alla decarbossilazione del residuo di acido
aspartico N-terminale (che nella SP non è presente), causata da un processo di riarrangiamento
favorito dall’interazione con la Muconaldeide, legata proprio sul residuo stesso.
Rapporto di incubazione molare SP/MA=50:1
Visto che la MA è una molecola bifunzionale, la sua interazione con sostanze nucleofile può
determinare la formazione di legami crociati tra due molecole di peptide. Per indagare tale ipotesi è
stata condotta una incubazione SP/MA con un rapporto molare di 50:1, in cui, cioè, la MA si trova
in presenza di un forte eccesso di peptide. Sottoponendo il prodotto ottenuto ad una analisi mediante
LC/ESI-MS non è stata evidenziata, però, la formazione di nessun dimero.
2.2.2
Interazione Muconaldeide/Emoglobina
Lo studio è stato approfondito negli esperimenti successivi, passando a molecole più
complesse, per dimensioni e conformazione, quali l’emoglobina.
2.2.2.1
Analisi strutturale
L’identificazione e l’analisi strutturale di un addotto emoglobinico prevede il confronto tra
esperimenti analoghi condotti sull’emoglobina tal quale e sull’emoglobina incubata con l’agente
alchilante. In prima istanza, quindi, è stata effettuata l’analisi dell’ emoglobina stessa, separando ed
identificando le subunità α (PM=15126.4) e β (PM=15867.2) mediante analisi LC/ESI-MS full
scan. Dal cromatogramma riportato in Figura 8, la catena emoglobinica β (PM misurato =
23
a
b
c
Figura 7: Analisi LC/MS della miscela di incubazione Sp/MA: a)
Profilo cromatografico; b) Spettro di Massa full scan del
picco cromatografico Sp+MA ; c) Spettro di Massa MS-MS;
ione precursore m/z 1439.5; ioni prodotto m/z 400-1500.
β
α
Figura 8: Analisi LC/MS. Profilo cromatografico delle catene globiniche α e β.
15867.9±0.8 Da) eluisce ad un tempo di ritenzione di 25.8 min, mentre quella α (PM misurato =
15126.6±0.5 Da) ad uno tr=33.1 min. Le sequenze amminoacidiche delle catene globiniche sono
riportate in Figura 9 adoperando il codice monoletterale.
Analisi delle miscele triptiche
Dalla idrolisi enzimatica delle due catene emoglobiniche, effettuata mediante l’uso della
tripsina come proteasi, si ottiene una miscela di peptidi che è stata analizzata mediante LC/ESI-MS
in modalità full scan con l’ausilio di una colonna C18. Il cromatogramma relativo è riportato in
Figura 10. Ciascun picco cromatografico è stato identificato mediante l’analisi del relativo spettro di
massa e dal confronto tra il peso molecolare misurato e il valore del PM teorico corrispondente ai
peptidi triptici. I risultati sono riportati in Tabella 1.
Analisi della miscela peptidica ottenuta dopo degradazione con bromuro di cianogeno
L’ idrolisi delle catene emoglobiniche è stata effettuata chimicamente, utilizzando bromuro
di cianogeno quale reattivo. I peptidi ottenuti sono stati analizzati in modo analogo ai peptidi
triptici, mediante analisi LC/ESI-MS in modalità full scan. Il cromatogramma relativo è riportato in
Figura 11. In questo caso si forma un numero molto più esiguo di peptidi (due dalla catena β e tre
dalla catena α), perché il bromuro di cianogeno idrolizza il legame ammidico esclusivamente a
livello di gruppi CO di residui di metionina in catena, presenti in numero di due nella catena α e di
uno nella catena β. Nella Tabella 2 sono riportati i peptidi identificati e quelli teorici, contenenti
residui di metionina carbossi terminali.
24
Sequenza amminoacidica della catena alpha
1
5
10
15
20
25
30
35
40
VLSPA DKTNV KAAWG KVGAH AGEYG AEALE RMFLS FPTTK
45
50
55
TYFPH FDLSH GSAQV
85
90
95
SALSD LHAHK LRVDP
125
130
135
VHASL DKFLA SVSTV
60
65
70
75
80
KGHGK KVADA LTNAV AHVDD MPNAL
100
105
VNFKL LSHCL
110
115
120
LVTLA AHLPA EFTPA
140
LTSKY R
Sequenza amminoacidica della catena beta
1
5
10
15
20
25
30
35
40
VHLTP EEKSA VTALW GKVNV DEVGG EALGR LLVVY PWTQR
45
50
55
60
65
70
75
80
FFESF GDLST PDAVM GNPKV KAHGK KVLGA FSDGL AHLDN
85
90
95
100
105
LKGTF ATLSE LHCDK LHVDP ENFRL
125
130
135
140
110
115
120
LGNVL VCVLA HHFGK
145
EFTPP VQAAY QKVVA GVANA LAHKY H
Figura 9: Sequenze amminoacidiche delle catene globiniche α e β in
codice monoletterale.
Figura 10: Analisi LC/MS full scan della miscela peptidica ottenuta dall’idrolisi triptica delle catene α e β.
Tabella 1
Identificazione dei peptidi ottenuti per idrolisi triptica delle catene globiniche α e β.
Peptidi
Masse teoriche
Masse misurate
Tempi di Ritenzione
Da
Da
min
α(1-7)
728.8
729.5±0.2
23.2
α(12-16)
531.6
532.3 (MH+)
24.6
α(1-11)
1171.3
1170.8±0.3
25.9
β(1-8)
951.1
951.7±0.2
26.8
α(81-90)
1078.2
1077.7±0.2
30.8
α(17-31)
1529.6
1528.9±0.4
31.8
α(93-99)
817.9
817.5±0.2
32.3
β(133-144)
1149.4
1148.8±0.3
34.1
β(18-30)
1314.4
1313.8±0.2
34.1
β(96-104)
1126.2
1125.7±0.3
35.0
β(121-130)
1122.2
1121.5±0.2
36.2
β(133-146)
1449.7
1448.9±0.3
36.5
α(91-99)
1087.3
1086.9±0.3
37.2
β(83-95)
1421.6
1420.8±0.3
39.7
β(9-17)
931.1
931.6±0.2
40.3
α(41-56)
1834.0
1833.4±0.4
41.2
α(128-139)
1252.4
1251.9±0.3
42.4
β(83-104)
2529.8
2529.0±0.2
44.4
α(32-40)
1071.3
1070.6±0.2
44.9
β(41-59)
2059.2
2059.3±0.2
45.9
β(67-82)
1669.9
1668.9±0.3
46.6
α(61-90)
3125.4
3124.4±0.3
50.6
α(62-90)
2997.3
2996.4±0.4
51.3
α(100-127)
2968.5
2967.4±0.3
58.0
β(105-120)
1720.1
1719.1±0.4
58.0
Figura 11: Analisi LC/MS full scan della miscela peptidica ottenuta dall’idrolisi con Bromuro di Cianogeno delle
catene globiniche α e β.
Tabella 2. Identificazione dei peptidi ottenuti in seguito a taglio con bromuro di cianogeno
delle catene globiniche α e β.
Peptidi
Massa Calcolata
Massa Misurata
Tempo di Ritenzione
(Da)
(Da)
(min)
α(1-32)
3278.7
3278.6±0.3
41.8
α(33-76)
4737.4
4737.8±0.4
48.6
 β(56-146)
9816.2
9818.1±0.7
61.8
β(1-55)
6013.1
6014.8±1.0
65.3
α(77-141)
7043.8
7045.3±0.2
69.4
26
2.2.2.2
Muconaldeide/Catene globiniche precipitate
La Muconaldeide è stata incubata (in rapporto molare 1:1) con globine previamente
precipitate e, quindi, denaturate, derivanti da un campione di sangue appartenente ad un individuo
non fumatore e non professionalmente esposto a benzene. Il campione ottenuto presenta un
precipitato non cristallino, poco omogeneo e insolubile in ambiente acquoso; il surnatante è stato
analizzato mediante analisi LC/ESI-MS e il cromatogramma relativo è riportato in Figura 12. Dal
cromatogramma si nota chiaramente l’assenza della catena β e la presenza della catena α non
modificata (tr=33.1 min, PM misurato=15124.9±0.4 Da). L’assenza della catena β, lascia
presupporre che la Muconaldeide interagisca i9n modo particolare proprio con la catena β;
l’impossibilità di analizzare direttamente il precipitato ottenuto a seguito dell’incubazione implica
la necessità di procedere alla digestione, enzimatica e/o chimica, del campione in esame. Inoltre,
sebbene successivamente alla digestione si assiste alla scomparsa del precipitato, l’analisi LC/ESIMS, sia dei digeriti triptici che dei peptidi ottenuti dalla idrolisi delle catene globiniche mediante
bromuro di cianogeno, non ha consentito di rilevare la formazione di nessun peptide modificato.
I risultati negativi ottenuti sono probabilmente dovuti all’eccessiva reattività della
Muconaldeide in assenza della complessa struttura conformazionale dell’emoglobina, sia terziaria
sia quaternaria, il che rende le analisi difficoltose a causa dell’eccessiva varietà di sostanze presenti
nella miscela di reazione.
2.2.2.2 Muconaldeide/Emoglobina
Per rendere più difficoltoso l’attacco della MA e, quindi, per ridurre l’enorme reattività
mostrata dalla molecola, sono state condotte incubazioni con soluzioni di emolizzato. L’emolizzato,
infatti, rispetto al sangue intero è caratterizzato dall’avere emoglobina ancora “foldata”, ossia che
conserva ancora la sua struttura quaternaria e, quindi, il gruppo eme.
Incubazioni a diversi rapporti molari
Sono state preparate miscele di incubazione Hb/MA con diversi rapporti molari, in
particolare 1:2, 1:5, 1:10 e i prodotti ottenuti sono stati purificati ed analizzati mediante LC/ESI-MS
in modalità full scan; i cromatogrammi sono riportati in Figura 13, pannelli b-d. Confrontando i
cromatogrammi dei campioni incubati con quello relativo ad una globina non incubata (Figura 13
pannello a), ottenuta da un campione di sangue derivante da un soggetto non fumatore e non
professionalmente esposto a benzene, si può chiaramente notare una progressiva diminuzione di
intensità del picco corrispondente alla subunità β man mano che si passa ad un rapporto molare di
incubazione Hb/MA più elevato; il campione con rapporto molare di 1:10 mostra la quasi totale
27
α
Figura 12: Analisi LC/MS della miscela di incubazione MA/Hb in rapporto molare 1: 1.
a
β
α
b
c
d
Figura 13: Analisi LC/MS: a) Catene globiniche; miscele di incubazione
Hb/MA in rapporti molari di 1:2 (b), 1:5 (c) e 1:10 (d).
scomparsa della subunità β. Anche in questo caso, è stata osservata la formazione di un precipitato e
si è proceduto, quindi, alla digestione dei campioni di globina incubati.
Analisi delle miscele peptidiche ottenute mediante digestione con tripsina e bromuro di cianogeno
I campioni sono stati digeriti enzimaticamente, mediante l’utilizzo della tripsina quale
proteasi, e chimicamente, mediante l’uso del bromuro di cianogeno. Tutte le miscele peptidiche
ottenute sono state successivamente analizzate mediante LC/ESI-MS in modalità full scan. In
nessun caso, però, sono stati trovati addotti e cioè peptidi aventi un incremento di 92 Da,
incremento di massa caratteristico dell’attacco della MA su gruppi amminici. Anche passando dalla
globina precipitata all’emolizzato la MA conserva la sua enorme reattività che sembra esplicarsi
prevalentemente a livello della catena emoglobinica β. Tuttavia, non riuscendo ad evidenziare
mediante analisi LC/ESI-MS full scan la presenza nei campioni incubati di addotti peptidici, non è
possibile risalire ai siti preferenziali di attacco sulle catene emoglobiniche stesse. Le difficoltà
riscontrate nei vari esperimenti condotti sull’emoglobina nell’identificazione di eventuali
alchilazioni, sono attribuibili a diversi fattori: un’interazione della MA con le globine,
particolarmente complessa, con formazione di un numero elevato di addotti emoglobinici, in
quantità tali da non consentirne l’identificazione mediante una semplice analisi in modalità full scan
e la possibile generazione di legami crociati intra- e inter-molecolari con conseguente formazione di
peptidi modificati non noti, poco ipotizzabili e, quindi, di difficile rilevazione.
BIBLIOGRAFIA
ACGIH (1999) Threshold Limit Values and biological Exposure Indices. American Conference of
Governmental Industrial Hygienists. Cincinnati, Ohio, USA.
Adkolfer F., Scherer G., Conze C., Angerer J., Lehnert G. Significance of exposure to benzene and other
toxic compounds through environmental tobacco smoke. J. Cancer Res. Clin. Oncol., 1990; 116: 591-598.
Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR), US Public Health Service. Toxicological
profile for benzene. Atlanta, GA, ATSDR 1993; 384: 93-18
AIDII Giornale degli Igienisti Industriali. Valori limite di soglia, Indici biologici di esposizione
(ACGIH 2000) 26(1).
Ambrosi L., Foà V. Fisiopatologia dei solventi. Trattato di Medicina del Lavoro. Ed UTET, 1996.
Andrews L., Sasame H., Gillette J. 3H-benzene metabolism in rabbit bone marrow. Life Sci., 1979; 25: 567572.
Appel B.R., Guirguis G., Kim I.S., Garbin O., Fracchia M., Flessel C.P., Kizer K.W., Book S.A. Benzene,
benzopyrene, and lead in smoke from tobacco products other than cigarettes. Am. J. Public. Health, 1990;
80: 560-564.
28
Avie S.P., Hutton C.J. Acute benzene poisoning: a report of three fatalities. J. Forensic Sci., 1993; 38: 599602.
Baselt R.C., Cravey R.H. Disposition of Toxic Drugs and Chemicals in Man. 3rd Ed., Year Book Medical
Publishers, Chicago, IL, 1989.
Basile A., Ferranti P., Pòcsfalvi G., Miraglia N., Soleo L., Ambrosi L., Sannolo N., Malorni A. A novel
approach for identification and measurement of hemoglobin adducts with 1,2,3,4-diepoxybutane by
LC/ES/MS and tandem mass spectrometry. Rapid Commun. Mass Spectrom., 2001; 15: 527-540.
Bozza-Marrubini M., Chezzi-Laurenzi R., Uccelli P. Intossicazioni acute, meccanismi, diagnosi e terapia. 2a
ed., OEMF, Milano, 1987.
Brugnone F., Perbellini L., Maranelli G., Romeo L., Guglielmi G., Lombardini F. Reference values for blood
benzene in the occupationally unexposed general population. Int. Arch. Occup. Environ. Health, 1992; 64:
179-184.
Brugnone F., Perbellini L. L’interfaccia ematica nell’esposizione ambientale e professionale a inquinanti
chimici industriali. G. Ital. Med. Lav., 1994; 16: 11-17.
Brugnone F., Perbellini L., Romeo L., Bianchin M., Tonello A., Pianalto G., Zambon D., Zanon G. Benzene
in environmental air and human blood. Int. Arch. Occup. Environ. Health, 1998; 71: 554-559.
Brugnone F., Perbellini L., Romeo L., Carpelloni M., Bianchin M., Tonello A. Benzene in blood as a
biomarker of low level occupational exposure. Sci. Total Environ., 1999; 232(1-3): 247-252.
Calleman C.J., Ehrenberg L., Jansson B., Ostermann-Golkar S., Stevenson K., Wachtmeister C.A.
Monitoring and risks assessment by means of alkyl groups in hemoglobin in persons occupationally exposed
to ethylene oxide. J. Environ. Pathol. Toxicol., 1978; 2: 427-442.
Dean J.H., Murray M.J. Toxic responses of the immune system. In: Amdur M.O., Doull J., Klaassen C.D.
(Eds). Casarett and Doull's Toxicology. The Basic Science of Poinsons. 4th ed, Pergamon Press Inc,
Elmsford, NY, 1991, pp. 238-333.
Deutsche Forschungsgemeinschaft. List of MAK end BAT values. Commission for the investigation of
health hazards of chemicals compounds in the work area. Report No. 35 Wiley – VCH, Weinheim.
Einig T., Dunemann L., Dehnen W. Sensitive gas chromatographic method for determination of mercapturic
acids in urine. J. Chromat. B, 1996; 687: 379-385.
Erexson G.L., Wilmer J.L., Steinhagen W.H., Kligerman A.D. Induction of cytogenetic damage in rodents
after short-term inhalation of benzene. Environ. Mutagen., 1986; 8: 29-40.
Forni A., Moreo L. Chromosome studies in a case of benzene-induced erythroleukaemia. Europ. J. Cancer.,
1969; 5: 459-463.
Fustinoni S., Giampiccolo R., Pulvirenti S., Buratti M., Colombi A. Head-space solid-phase microextraction
for the determination of benzene, toluene, ethylbenzene and xylene in urine. J. Chrom. B, 1999; 723: 105115.
Fustinoni S., Buratti M., Giampiccolo R., Brambilla G., Foà V., Colombi A. Comparison between blood and
urinary toluene as biomarkers of exposure to toluene. Int. Arch. Occup. Environ. Health, 2000; 73: 389-396.
29
Ghittori S., Imbriani M., Maestri L., Capodoglio E., Cavalleri A. Determination of S-phenylmercapturic acid
in urine as an indicator of exposure to benzene. Toxicol. Letter, 1999; 108: 329-334.
Gilman A.G., Goodman L.S., Gilman A. The Pharmacological Basis of Therapeutics. 7th Ed., Macmillan
Publishing Co. Inc, New York, NY, 1985.
Greenburg L., Mayers M.R., Goldwater L., Smith A.R. Benzene (benzol) poisoning in the rotogravure
printing industry in New York City. J. Ind. Hyg. Toxicol., 1939; 21: 395-420.
Hajimirahga H., Ewers U., Brockaus A., Boettger A. Levels of benzene and other volatile aromatic
compounds in the blood of non smokers and smokers. Int. Arch. Occup. Environ. Health, 1989; 6: 513-518.
Haley T.J. Evaluation of the health effect of benzene inhalation. Clin. Toxicol., 1977; 11: 531-548.
Hall A.H., Rumack B.H. (Eds). Tomes. Information System. CD-ROM Version, Micromedex Inc, Dever,
Colorado (Edition Expires 1/31/95).
Hamilton A. The growing menace of benzene (benzol) poisoning in American industry. J. Am. Med. Assoc.,
1922; 78: 627-630.
Harrington T.F. Industrial benzol poisoning in Massachusetts. Boston Med. Surg. J., 1917; 177: 203-206.
Hattemer-Frey H.A., Travis C.C., Land M.L. Benzene: environmental partitioning and human exposure.
Environ. Res., 1990; 282: 183-185.
IARC. International Agency for Research On Cancer. IARC monographs on the evaluation of carcinogenic
risks to humans. Overall Evaluations of carcinogenicity: An updating of ARC monographs volumes 1 to 42.
Suppl. 7, Lyons, World Health Organization, International Agency for Research on Cancer, 1987.
Ikeda M. Suppression of metabolism in workers exposed to mixtures of benzene and toluene, and of
trichloroethylene and tetrachloroethylene. In: Fiseriva-Bergerova V, Ogata m (eds) Biological monitoring of
exposure to industrial chemicals. ACGIH, Cincinnati, USA, 1990; pp. 151-158.
Kawai T., Yasugi T., Mizunuma K., Horiguchi S., Iguchi H., Uchida Y., Iwami O., Ikeda M. Comparative
evaluation of urinalysis and blood analysis as means of detecting exposure to organic solvents at low
concentrations. Int. Arch. Occup. Environ. Health, 1992; 64: 223-234.
Kawai T., Yasugi T., Mizunuma K., Horiguchi S., Ikeda M. Comparative evaluation of blood and urine
analysis as a tool for biological monitoring of n-hexane and toluene. Int. Arch. Occup. Environ. Health,
1993; 54: S123-S126.
Kawai T., Mizunuma K., Yasugi T., Horiguchi S., Ikeda M. Toluene in blood as a marker of choice for lowlevel exposure to toluene. Int. Arch. Occup. Environ. Health, 1994; 66: 309-315.
Kawai T., Mizunuma K., Okada Y., Horiguchi S., Ikeda M. Toluene itself as the best urinary marker of
toluene exposure. Int. Arch. Occup. Environ. Health, 1996; 68: 289-297.
Lange A., Smolik R., Zatonski W., Szymanska J. Serum immunoglobulin levels in workers exposed to
benzene, toluene, and xilene. Int. Arch. Arbeitsmed., 1973; 31: 37-44.
Lequin R.M., Niall H.D. The application data of a fluorinated isothiocyanate as coupling agent in the Edman
degradation. Biochem. Biophys. Acta, 1972; 257: 76-82.
Lignac G.O.E. Benzene leukaemia in humans and albino mice. Krankheitsforrsch., 1932; 9: 403-453.
30
Majors RE, Cromatografia in fase solida e liquida, in Analisi Strumentale, Bauer-Christian-O’Reilly,
Editors, Piccin Nuova Libraria Spa, Padova (1985), cap. 21.
Maltoni C., Scarnato C. First experimental demonstration of carcinogenic effects of benzene. Long-term
bioassays on Sprague-Dawley rats by oral administration. Med. Lav., 1979; 70: 352-357.
Maltoni C., Conti B., Cotti G., Belpoggi F. Experimental studies on benzene carcinogenicity at the Bologna
Institute of Oncology: current results and ongoing research. Am. J. Ind. Med., 1985; 7: 415-446.
Mann M., Meng C.K., Fenn J.B., Electrospray Ionization for mass spectrometry of large biomolecules, Anal.
Chem., 1989; 246: 64.
Marchetti R. Caratteristiche chimiche dell’atmosfera In: Ecologia Applicata Provini A., Galassi S., Edizione
Città Studi, 1998.
Meyne J., Legator M.S. Sex related differences in cytogenetic effects of benzene in the bone marrow of
Swiss mice. Environ. Mutagen., 1980; 2: 43-50.
Ming Zhu Fang, Mink Shin, Ki Wan Park, Yoon Shin Kim, Jee Woo Lee, Myung Haing Cho. Analysis of
urinary S-phenylmercapturic acid and trans,trans muconic acid as exposure biomarkers of benzene in
petrochemical and industrial areas of Korea. Scand. J. Work Environ. Health, 2000; 26(1): 62-66.
Minoia C., Perbellini L. Solventi II. Monitoraggio ambientale e biologico dell’esposizione professionale a
xenobiotici. Vol 6. Morgan Edizioni Tecniche, New Press sas, 2001.
Miraglia N., Pòcsfalvi G., Ferranti P., Basile A., Sannolo N., Acampora A., Soleo L., Palmieri F., Caira S.,
De Giulio B., Malorni A. Mass Spectrometry identification of a candidate biomarker peptide from the in
vitro interaction of epichlorohydrin with red blood cells. J. Mass Spectrom., 2001; 36(1): 47-57.
Neumann H.G. Analysis of hemoglobin as a dose monitor for alkylating and arylating agents. Arch. Toxicol.,
1984; 54: 1-6.
Ostermann-Golkar S., Ehrenberg L., Segerback D., Halstrom I. Evaluation of genetic risks of alkylating
agents. II.Haemoglobin as a dose monitor. Mutat. Res., 1976, 34: 1-10.
Ozkaynak H., Ryan P.B., Wallace L.A., Nelson W.C., Behare J.V. Sources and emission rates of organic
chemical vapors in homes and buildings. In: Indoor Air ’87, Proceedings of the 4th International Conference
on Indoor Air Quality and Climate, Vol. 1, Berlin (West), 17-21 August 1987. Berlin: Institute for Water,
Soil and Air Hygiene, 1987, pp. 3-7.
Paci E., Buiatti E., Seniori Costantini A., Miligi L., Pucci N., Scarpelli A., Petrioli G., Simonato L.,
Winkelmann R., Kaldor J.M. Aplastic anemia, leukemia and other cancer mortality in a cohort of shoe
workers exposed to benzene. Scand. J. Work Environ. Health, 1989; 15: 313-318.
Pekari K. Biological monitoring of benzene, toluene and styrene. Kuopio University Pub Natural and
Environmental Sciences 16 KUOPIO, 1994.
Perbellini L., Pasini F., Faccini G.B., Danzi B., Gobbi M., Zedde A., Cirillo P., Brugnone F. Determinazioni
di solventi ad uso industriale nel sangue, nell’aria alveolare e nell’urina di un gruppo di donatori di sangue.
Med. Lav., 1988; 79: 460-467.
Petrelli G., Siepi G., Miligi L., Vineis P. Solvents in pesticides. Scand. J. Work. Environ. Health, 1993; 19:
63-65.
31
Pezzagno G., Il problema”benzene”: fattori che influenzano i valori biologici della popolazione generale. In:
Valori di riferimento di elementi in traccia e sostanze di interesse biotossicologico. Minoia C., Apostoli P.,
Sabbioni E., Milano, Morgan Edizioni Tecniche, 1994, pp. 185-204.
Pezzagno G. Monitoraggio biologico delle popolazioni esposte a benzene. Il benzene: tossicologia, ambienti
di vita e di lavoro. Minoia C., Apostoli P., Bartolucci G.B. (Eds) Morgan Edizioni Tecniche, 1995; pp. 125145.
Pezzagno G., Imbriani M. Cinetica e Monitoraggio Biologico dei Solventi Industriali. In: Advances in
Occupational Medicine & Rehabilitation. Le Collane della Fondazione Salvatore Maugeri (Eds). Pavia, Italy,
1997; 3(2).
Pletsa V., Steenwinkel M.J., van Delft J.H., Baan R.A., Kyrtopoulos S.A. Methyl bromide causes DNA
methylation in rats and mice but fails to induce somatic mutations in lambda lacZ transgenic mice.Cancer
Lett., 1999; 135(1): 21-27.
Pollini G., Colombi R. Il danno cromosomico midollare nell’anemia aplastica benzolica. Med. Lav., 1964;
55: 242-255.
Pollini G., Colombi R. Il danno cromosomico dei linfociti nell’emopatia benzenica. Med. Lav., 1964; 55:
641-654.
Pollini G., Strosselli E., Colombi R. Sui rapporti fra alterazioni cromosomiche delle cellule emiche e gravità
dell’emopatia benzenica. Med. Lav., 1964; 55: 735-750.
Pollini G., Biscaldi G.P., Robustelli Della Cuna G. Le alterazioni cromosomiche dei linfociti rilevate dopo
cinque anni in soggetti già affetti da emopatia benzolica. Med. Lav., 1969; 60: 743-758.
Pollini G., Biscaldi G.P., Indagine del cariotipo nei linfociti di soggetti affetti da emopatia benzolica a dodici
anni dalla intossicazione. Med. Lav., 1977; 68: 308-312.
Qu Q., Melikian A.A., Li G., Shore R., Chen L., Cohen B., Yin S., Kagan M.R., Li H., Meng M., Jin X.,
Winnik W., Li Y., Mu R., Li K. Validation of biomarkers in humans exposed to benzene: urine metabolites.
Am. J. Ind. Med., 2000; 37(5): 522-531.
Sato A., Nakajima T., Fujiwara Y., Murayama N. Kinetic studies on sex difference in susceptibility to
chronic benzene intoxication with special reference to body fat content. Br. J. Ind. Med., 1975; 32321-32328.
Selling L. Benzol as a leucotoxin. Studies on the degeneration and regeneration of the blood and
hematopoietic organs. John Hopkins Hosp. Rep. 1916; 17: 83-142.
Sherwood R.J. Evaluation of exposure to benzene vapour during the loading of petrol. Br. J. Ind. Med., 1972;
29: 65-69.
Smolik R., Grzybek–Hryncewics K., Lance A., Zatonski W. Serum complement level in workers exposed to
benzene, toluene and xilene. Int. Arch. Arbeitsmed., 1973; 31: 243-247.
Snyder R., Witz G., Goldstein B.D., The toxicology of benzene. Environ. Health Perspect., 1993; 100: 293306.
Snyder R., Kalf G.F. A perspective on benzene leukemogenesis. Crit. Rev. Toxicol., 1994; 24: 177-209.
Susten A.S., Dames B.L., Burg J.R., Niemeier R.W. Percutaneous penetration of benzene in hairless mice:
an estimate of dermal absorption during tire-building operations. Am. J. Ind. Med., 1985; 7: 323-335.
32
Tice R.R., Luke C.A., Drew R.T. Effect of exposure route, regimen and duration on benzene-induced
genotoxic and cytotoxic bone marrow damage in mice. Environ. Health Persp., 1989; 83: 65-74.
Tornqvist M., Mowrer J., Jensen S., Ehrenberg L. Monitoring of environmental cancer initiators through
hemoglobin adducts by a modified Edman degradation method. Toxicol. Environ. Chem., 1986; 154: 255266.
Tornqvist M., Kautianien A. Adduct proteins for identification of endogenous electrophiles. Environ. Health
Perspec., 1993; 99: 39-44.
Tough I.M., Court Brown W.M. Chromosome aberrations and exposure to ambient benzene. Lancet, 1965;
1: 684.
U.S. Environmental Protection Agency. Indoor Air Facts. No. 5, ANR-445, 1989.
Vai T., Radice L., Catenacci G., Biscaldi G.P., Guercilena S., Pesatori A.C., Bertazzi P.A. Studio a distanza
di 304 casi di sospetta patologia da benzene osservati negli anni 1950-1971. Med. Lav., 1989; 80: 397-404.
Van Sitter N.J., Boogaar P.J., Beulink G.D.J. Application of the urinary S-phenylmercapturic acid test as a
biomarker for low levels of exposure to benzene in industry. Br. J. Ind. Med., 1993; 50: 460-469.
Vigliani E.C., Saita G. Benzene and leukemia. New Engl. J. Med., 1964; 271: 143-151.
Vigliani E.C. Leukemia associated with benzene exposure. Ann. N.Y. Acad. Sci., 1976; 271: 143-151.
Vogel E.W., Natarjan A.T. In Chemical Mutagens, 7, 236-259 (1982).
Waidyanatha S., Rothman N., Fustinoni S., Smith M.T., Hayes R.B., Bechtold W., Dosemeci M., Guilan L.,
Yin S., Rappaport S.M. Urinary benzene as a biomarker of exposure among occupationally exposed and
unexposed subjects. Carcinogenesis, 2001; 22(2): 279-286.
Wallace L.A. Major sources of benzene exposure. Environ. Health Perspect., 1989; 82: 165-169.
Ward J.B.Jr., Ammenheuser M.M., Sadagopa Ramanujam V.M., Morris D.L., Whorton E.B.Jr., Legator
M.S. The mutagenic effect of low level sub-acute inhalation exposure to benzene in CD-1 mice. Mutation
Res., 1992; 268: 49-57.
Yardley-Jones A., Anderson D., Parke D.V. The toxicity of benzene and its metabolism and molecular
pathology in human risk assessment. Br. J. Ind. Med., 1991; 48: 437-444.
33
PARTE TERZA
3.1 Proseguimento dell’attività di ricerca
Lo studio effettuato dimostra che l’utilizzo, come biomarcatori, degli addotti
dell’emoglobina con la Muconaldeide è sconsigliabile perché il biomonitoraggio prevede la messa a
punto di una metodica routinaria e semplice che faccia uso di biomarcatori che siano, non solo
rappresentativi dei reali livelli di esposizione, ma anche facilmente rilevabili e stabili alle condizioni
richieste dalle procedure analitiche previste durante le fasi di preparazione e purificazione dei
campioni. Nel caso della Muconaldeide, invece, al variare dei rapporti molari di incubazione, che
mimano i diversi livelli di esposizione, non si genera preferenzialmente un unico addotto e,
soprattutto, non si ha la formazione di addotti in quantità apprezzabile. L’utilizzo di addotti
emoglobinici derivanti dall’esposizione a benzene a fini di monitoraggio biologico deve quindi
essere orientato verso la scelta di un metabolita differente, quale ad esempio l’ossido di benzene,
anch’esso particolarmente reattivo e in grado di originare addotti emoglobinici che possano fungere
da indicatori di esposizione non solo rappresentativi anche di bassi livelli di esposizione, e quindi
dotati di notevole “sensibilità, ma anche con elevate caratteristiche di stabilità e specificità. Data la
sua elevata reattività l’ossido di benzene non è commercialmente disponibile, pertanto è necessario
sintetizzarlo in situ subito prima di procedere allo studio dell’interazione con l’emoglobina. Tale
sintesi può essere condotta per via chimica o mediante attivazione metabolica del benzene stesso ad
opera di un pool enzimatico. Un valido sistema è costituito dal pool S9, composto da diversi
isoenzimi costituenti il Citocromo P450, come CYP2C8, CYP2C9, CYP3A4, CYP2B6, CYP2C19,
CYP2A6, CYP1A2, CYP2D6, CYP2E1. Il sistema S9 è implicato nella maggior parte di processi
metabolici degli xenobiotici e il benzene, in particolare, è metabolizzato dalla isoforma CYP2E1.
L’S9 può essere estratto dal fegato umano o di ratto. Sia che si proceda alla sintesi chimica del
benzene ossido sia che si realizzi l’attivazione metabolica del benzene mediante S9, è necessario
ottimizzare la procedura di sintesi al fine di massimizzare le rese e procedere ad un’accurata
caratterizzazione dei prodotti di reazione ottenuti nei vari step del processo. È, inoltre, necessario
valutare la stabilità del benzene ossido sintetizzato proprio a causa dell’elevata reattività di tale
molecola.
Il proseguimento dell’attività di ricerca sarà articolato come segue.
Sintesi chimica dell’ossido di benzene
•
sintesi chimica dell’epossido di benzene mediante metodi riportati in letteratura
(J.R. Gillard, M.J. Newlands, J.N. Bridson and D.J.Burnell” π-Facial
stereoselectivity in the Diels-Alder reactions of benzene oxides” Can. J. Chem.,
1991; 69, 1337; E. Vogel, W.A. Böll und H. Günther “Oxepin-BenzoloxydValenztautomerie” Tetrahedron Letters, 1965; 10, 609; J.P. Wibaut and F.A. Haak
34
•
•
•
•
“Preparation and properties of 1,4-dihydrobenzene and of the addition and
substitution products produced from it by the action of bromine” Recueil, 1949; 67,
85).
Caratterizzazione mediante Gas Cromatografia/Spettrometria di Massa dei prodotti
ottenuti dai singoli step della reazione di sintesi;
Valutazione della stabilità chimica del benzene ossido sintetizzato, mediante analisi
in Gas Cromatografia/Spettrometria di Massa;
Studio della reattività del benzene ossido con peptidi modello dell’emoglobina,
quali Sostanza P, Angiotensina I e peptide Leucina-Encefalina, al fine di individuare
i residui amminoacidici di alchilazione preferenziale del benzene ossido. Tale
caratterizzazione sarà condotta mediante analisi in Cromatografia Liquida ad Alta
Efficienza/Spettrometria di Massa a singolo e multistadio.
Incubazioni del benzene ossido con campioni di emoglobina di soggetti non
fumatori e non professionalmente esposti a benzene e caratterizzazione dei siti
preferenziali di incubazione, al fine di individuare il peptide alchilato anche a bassi
livelli di incubazione che potrà, quindi, essere scelto quale biomarcatore di
esposizione a benzene.
Sintesi dell’ossido di benzene mediante attivazione metabolica con S9
•
•
•
•
•
ottimizzazione del protocollo di incubazione benzene/S9 relativamente alle
condizioni di pH, temperatura, tempi di reazione, tamponi da utilizzare;
caratterizzazione
mediante
Cromatografia
Liquida
ad
Alta
Efficienza/Spettrometria di Massa a singolo e multistadio dei prodotti ottenuti dai
singoli step della reazione di attivazione;
Valutazione della stabilità chimica del benzene ossido sintetizzato, mediante analisi
in Cromatografia Liquida ad Alta Efficienza/Spettrometria di Massa;
Studio della reattività del benzene ossido con peptidi modello dell’emoglobina,
quali Sostanza P, Angiotensina I e peptide Leucina-Encefalina, al fine di individuare
i residui amminoacidici di alchilazione preferenziale del benzene ossido. Tale
caratterizzazione sarà condotta mediante analisi in Cromatografia Liquida ad Alta
Efficienza/Spettrometria di Massa a singolo e multistadio.
Incubazioni del benzene ossido con campioni di emoglobina di soggetti non
fumatori e non professionalmente esposti a benzene e caratterizzazione dei siti
preferenziali di incubazione, al fine di individuare il peptide alchilato anche a bassi
livelli di incubazione che potrà, quindi, essere scelto quale biomarcatore di
esposizione a benzene.
35
PARTE QUARTA
4.1
Possibili applicazioni dei risultati della ricerca
Il monitoraggio biologico dell’esposizione ad un dato xenobiotico viene effettuato in genere
utilizzando biomarcatori di esposizione. Nel caso particolare del benzene, varie agenzie
internazionali propongono di quantificare i livelli di benzene ematico e/o urinario, di acido
trans,trans-muconico e di acido S-fenilmercapturico urinari, stabilendo per essi dei limiti biologici
di esposizione. Non sono, invece, disponibili biomarcatori di dose biologicamente efficace, capaci
di rendere conto dell’effettiva quota di xenobiotico legata alle molecole bersaglio, quindi,
potenzialmente capace di produrre danno. Lo studio presentato consente per ogni genotossico la
determinazione del metabolita più idoneo per la quantificazione dei livelli di addotto tra tale
molecola e le macromolecole informazionali o surrogati, per esempio l’emoglobina. La
caratterizzazione dei siti di alchilazione preferenziale di un dato agente genotossico con i residui
amminoacidici dell’emoglobina umana consente la definizione di un biomarcatore, che risulta
essere di dose biologicamente efficace, da utilizzarsi a scopi di monitoraggio biologico sia per la
popolazione generale non professionalmente esposta sia per lavoratori. Alla luce di ciò, lo studio
presentato offre una importante applicazione nel campo della Medicina del Lavoro, rendendo
possibile i)effettuare, in collaborazione con i Dipartimenti di Medicina del Lavoro e di Igiene
Industriale, campagne di monitoraggio biologico per popolazioni esposte ad agenti cancerogeni
(lavoratori e popolazione generale); ii)utilizzare i dati del monitoraggio biologico per proporre
valori di riferimento o valori limite da utilizzarsi per il management del rischio.
36
PARTE QUINTA
5.1
Interazioni con PME, enti di ricerca esterni ad AMRA
I risultati ottenuti con il presente lavoro di ricerca possono essere impiegati per soddisfare
gli obblighi di legge dei datori di lavoro relativamente al Titolo VIII del Decreto legislativo 626/94
e successive modifiche (Esposizione ad agenti chimici e ad agenti cancerogeni nei luoghi di lavoro)
e per soddisfare le esigenze del sistema sanitario regionale/nazionale di predire i rischi cancerogeni
per la popolazione esposta ad agenti genotossici nel corso delle normali attività di vita (inquinanti
nell’ambiente urbano, inquinanti indoor, contaminanti negli alimenti, farmaci) all’interno di
programmi epidemiologici di sorveglianza della popolazione.
37
PARTE SESTA
6.1
Acquisizione delle competenze organizzativo-manageriali
L’attività di ricerca svolta ha permesso di acquisire le competenze e le abilità utili allo
svolgimento di un lavoro di laboratorio in autonomia a partire dallo stadio della progettazione fino
al conseguimento del risultato finale e all’interpretazione dei dati, ai fini della loro utilizzazione
nell’ambito del monitoraggio ambientale e biologico. Tale attività ha consentito, altresì, di acquisire
la capacità di progettare programmi di monitoraggio ambientale e biologico con i datori di lavoro e
con gli enti interessati a progetti di monitoraggio ambientale e biologico, orientando le esigenze di
questi ultimi in base alla legislazione vigente e alle esigenze di tutela della salute dei destinatari
della ricerca.
38
Scarica

CENTRO REGIONALE DI COMPETENZA ANALISI E