Poste Italiane SpA - sped. in abbon. postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 1, DCB, Milano periodico 12L456789 Omologato Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx Rivista di Algologia Clinica e Sperimentale Volume 20, numero 3, 2013 ISSN 1593-2354 Rivista Ufficiale Federdolore - SICD Consiglio Direttivo Federdolore - SICD Presidente Francesco Amato Vicepresidente Sergio Mameli Presidente onorario Guido Fanelli Segretario Giovanni Maria Pisanu Referenti Area Nord Gianpaolo Fortini Area Centro Laura Bertini Area Sud Pasquale De Negri Isole Filippo Bellinghieri Consiglieri Massimo Allegri Sergio Chisari Giuseppe Ciliberto Leonardo Consoletti Laura De Martini Rita Maria Melotti Vincenzo Palmieri Alfonso Papa Quirino Piacevoli William Raffaeli www.federdolore.it Direzione scientifica Francesco Amato Sergio Mameli Paolo Marchettini Guido Orlandini William Raffaeli Alessandro Fabrizio Sabato Maria Luisa Sotgiu Corrispondenti Anestesia F. Bruno (Bari) S. Codeleoncini (Milano) A. Marchi (Cagliari) P. Notaro (Milano) V.A. Peduto (Perugia) G. Savoia (Napoli) Anestesia ostetrico-ginecologica D. Celleno (Roma) Anestesie loco-regionali e blocchi V. Moschini (Milano) G. Ramella (Milano) Cefalee C. Caputi (Ancona) M. Del Zompo (Cagliari) M. Lacerenza (Milano) D. Moscato (Roma) F. Rizzi (Milano) E. Sternieri (Modena) Dolore da cancro e cure palliative A. Caraceni (Milano) L. Piva (Milano) A. Turriziani (Roma) Dolore neuropatico P. Marchettini (Milano) A. F. Sabato (Roma) Dolore postoperatorio M. Berti (Parma) C. Mattia (Roma) Farmacologia E. Molina (Parma) Fisiatria e Riabilitazione V. Santilli (Roma) Fisiologia A. Aloisi (Siena) Fisiologia clinica R. Casale (Montescano) M.A. Giamberardino (Chieti) Geriatria D. Cova (Milano) Medicina del dolore M. Bevilacqua (Venezia) C. Bonezzi (Pavia) G. Colini Baldeschi (Roma) A. Costantini (Chieti) V. Iorno (Milano) F. Paoletti (Perugia) P. Poli (Pisa) G. Varrassi (L’Aquila) Neurochirurgia I. Dones (Milano) Neurologia G. Cruccu (Roma) F. Nicoletti (Roma) Pediatria F. Benini (Padova) A. Clerico (Roma) Reumatologia M. Broggini (Varese) In copertina: Immagini dal mondo. Abbazia di Senanque, Provenza. Archivio fotografico Fotolia Publiediting. Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 3 Rivista di Algologia Clinica e Sperimentale Volume 20, numero 3 Settembre 2013 www.pathos-journal.com Fondatore Mario Tiengo Direttore editoriale Maria Luisa Sotgiu Direttore responsabile Mara Sala Segreteria di redazione Martina Serra Impaginazione Roberto Colombo Stampa Agf, Milano Pubblicità Irene Carravieri Direzione, Redazione e Pubblicità Publiediting Via Galla Placidida 12 20131 Milano [email protected] tel 02 93887520 www.publiediting.it www.pathos-journal.com Sommario Editoriale Le algie facciali P. Marchettini 7 Rassegna clinica Percorso diagnostico terapeutico (PTDA) nel dolore oncologico F. Amato, S. Ceniti, S. Palazzo, W. Raffaeli Rassegna clinica Sindromi dolorose facciali trattabili con la chirurgia A. Franzini, G. Messina M. Rizzi, G. Broggi Articolo originale La diagnosi differenziale del dolore sessuale nella donna A. Ghizzani, G. Carli 9 14 23 Review Storia delle teorie del dolore M. Silvestrini, C.A. Caputi Up to dating Una famiglia di proteine di membrana con possibili potenzialità terapeutiche F. Amato 39 Ricordi In memoria di Filippo Bellinghieri W. Raffaeli 42 27 Pathos è una rivista edita da Publiediting Registrata al Tribunale di Milano al numero 666 - 210905 Iscrizione R.O.C. n. 15108 ISSN 1593-2354 Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 5 NORME PER GLI AUTORI Gli articoli devono essere inviati a: Publiediting - Redazione Pathos, via Galla Placidida 12, 20131 Milano, [email protected]. L’accettazione dei lavori è subordinata al parere dei referees. Gli articoli che non rispettano le norme qui indicate saranno restituiti agli autori. 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Illustrazioni e tabelle Le illustrazioni possono essere inviate come disegni originali oppure come fotografie in bianco e nero, indicando il nome dell’autore, il numero dell’illustrazione e il senso di lettura. Ogni tabella deve avere un titolo ed essere autoesplicativa (le sigle devono essere accompagnate da legenda esauriente). Il numero delle illustrazioni e delle tabelle deve essere finalizzato alla comprensione del testo; la redazione si riserva il diritto di modificare o eliminare le figure che non soddisfino questa esigenza. Bozze Solo su specifica richiesta, le bozze saranno inviate all’autore e dovranno essere restituite entro 5 giorni dal ricevimento. Sono accettate solo correzioni di carattere tipografico. Riproduzioni Gli autori non riceveranno, per i lavori pubblicati, alcun compenso. 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I lavori inviati non saranno restituiti. PATHOS IN FORMATO ELETTRONICO E IN RETE Pathos è disponibile anche in forma elettronica. Per ricevere via mail il pdf completo della rivista è sufficiente inoltrare la richiesta alla redazione [email protected] indicando i propri dati e il numero telefonico per eventuali comunicazioni. L’ultimo numero pubblicato e i numeri arretrati sono visibili al sito ufficiale della testata www.pathos-journal.com Editoriale LE ALGIE FACCIALI FACIAL PAIN Paolo Marchettini Responsabile Medicina del Dolore, Ospedale San Raffaele, Milano Docente di Fisiopatologia e Terapia del Dolore, Università della Svizzera Italiana, Lugano Il ricorso al trattamento chirurgico delle algie facciali è di norma considerato dai neurologi un’opzione per i casi di nevralgia trigeminale in cui sia identificato con certezza un conflitto neuro vascolare e che non siano responsivi o abbiano intolleranza ai trattamenti farmacologici. Le algie facciali di altra natura non rientrano quasi mai nelle indicazioni al trattamento chirurgico proposte dai clinici, anche nei casi resistenti a molteplici terapie combinate. Eppure negli ultimi trenta-quarant’anni la neurochirurgia a cielo aperto, la chirurgia stereotassica e le metodiche di neuromodulazione hanno radicalmente cambiato le prospettive terapeutiche dei pazienti con dolore facciale severo, non responsivo o solo parzialmente controllato dalla farmacoterapia. In mani esperte i pazienti con nevralgia trigeminale classica hanno rischi operatori non superiori per gravità alle severe reazioni agli antiepilettici e un’elevata percentuale di ottimi risultati. Recenti studi osservazionali propongono addirittura che la decompressione chirurgica sia efficace anche in assenza di conclamato conflitto neuro vascolare. Nei pazienti con maggiore età o controindicazioni anestesiologiche le metodiche di neurolisi con glicerolo o radiofrequenza hanno raggiunto maggiori livelli di sicurezza, non producendo più deafferentazioni maggiori e possono anche essere ripetute nel caso di recidiva. La migliore conoscenza dell’innervazione del volto offre un razionale neuro fisiopatologico alla stimolazione del nervo grande occipitale, per offrire sollievo alle forme severe di cefalea a grappolo cronica. Tra i dolori facciali un tempo confinati nella categoria delle forme incurabili i dolori da deafferentazione, iatrogena o traumatica di rami trigeminali del volto e la deafferentazione centrale da ischemia o emorragia talamica trovano oggi in alcuni casi possibilità di cura con la stimolazione della corteccia motoria o cerebrale profonda dei nuclei sensitivi del talamo. In questa meticolosa e ampia revisione delle possibilità di trattamento neurochirurgico dei dolori facciali non deve essere esclusa la stimolazione profonda dell’ipotalamo posteriore per la cura della cefalea neuralgiforme intrattabile (SUNCT) introdotta proprio dagli autori che sono stati i pionieri di questo trattamento. I risultati clinici dei trattamenti chirurgici non devono essere valutati soltanto con l’obiettivo di garantire un sollievo completo dal dolore, anche un sollievo parziale del dolore facciale nelle forme più severe è un enorme miglioramento nella qualità della vita se consente di ridurre la posologia di farmaci con eccessivo effetto sedativo. Per offrire ai nostri pazienti con dolore facciale severo le migliori possibilità di trattamento l’evoluzione delle metodiche impone una collaborazione sempre più stretta tra clinici e chirurghi. Siamo grati ai colleghi dell’Istituto Neurologico Besta di contribuire a questo dialogo con il loro esaustivo articolo sul trattamento chirurgico del dolore facciale. Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 7 Rassegna clinica PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO (PTDA) NEL DOLORE ONCOLOGICO PATHWAY FROM DIAGNOSIS TO THERAPY IN CANCER PAIN Francesco Amato Direttore UOC Anestesia, Terapia del Dolore, CP e Dipartimento di Emergenza Azienda Ospedaliera Cosenza Silvia Ceniti, Salvatore Palazzo UOC Oncologia, Azienda Ospedaliera Cosenza William Raffaeli Presidente ISAL, Rimini RIASSUNTO Gli autori presentano in dettaglio la proposta di un progetto mirato a migliorare, attraverso un percorso diagnostico terapeutico e la costituzione di un comitato di esperti delle due discipline oncologica e antalgica, la qualità delle cure del dolore oncologico. SUMMARY The authors present in detail the proposal of a quality improvement project for cancer pain therapies. The project should be implemented through diagnostic and therapeutic pathways and the setting up of a community of oncologists and cancer pain experts. Parole chiave Dolore oncologico, disegni assistenziali, terapie Key words Cancer pain, level of assistance, therapies Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 9 10 INTRODUZIONE DEFINIZIONE OBIETTIVI Nonostante le raccomandazioni della Organizzazione Mondiale della Sanità e la disponibilità di un notevole numero di trattamenti efficaci, molti malati con cancro in fase avanzata lamentano, anche in Italia, dolore nella misura del 50-80 per cento circa, a seconda del tipo di cancro e della fase di malattia.1,2 Per tale motivo, il medico che prende in cura il malato oncologico deve essere in grado di riconoscere precocemente il dolore e di saperlo trattare in modo adeguato. Sono possibili differenti approcci alla cura del dolore, di tipo sia diagnostico sia terapeutico, che richiedono conoscenze e tecniche specialistiche; premesso che una preparazione adeguata nasce da una continua esperienza di cura del dolore, si ritiene che durante tutte le fasi del processo assistenziale al malato oncologico sia necessaria un’attiva collaborazione con i Centri di Terapia del Dolore.4-6 La Legge 38 sull’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore prevede lo sviluppo di rapporti intersocietari. La proposta è quella di realizzare un progetto finalizzato a migliorare l’attuale standard di qualità delle cure nella malattia algologica in oncologia, che miri inoltre a mettere a disposizione, dei pazienti, dei familiari e dei medici, informazioni corrette sia sulla diagnosi clinica e strumentale sia sulla conseguente terapia eziopatogenetica del dolore, attraverso la costruzione di un Percorso Diagnostico Terapeutico (PDTA), uno strumento di gestione coordinata dei processi produttivi sanitari. Il PDTA mira alla presa in carico del paziente e al governo della domanda secondo un approccio sistemico per ottimizzare la qualità delle cure. Esso è la contestualizzazione per adattamento alle risorse professionali, organizzative e tecnologiche disponibili in loco delle Linee Guida, con la quale il paziente riceve una sequenza e una temporizzazione preordinata, integrata e condivisa di prestazioni di diagnosi e cura da parte del personale medico e non. Il termine “percorso”, più di altri termini, rende ragione sia dell’esperienza del cittadino/paziente, sia dell’impatto organizzativo che lo strumento del PDTA può avere nella realtà aziendale che lo utilizza. I termini “diagnostico”, “terapeutico” e “assistenziale” consentono di affermare la prospettiva della presa in carico attiva e totale, dalla prevenzione alla riabilitazione, della persona che ha un problema di salute, per la gestione del quale, spesso, diventano necessari interventi multiprofessionali e multidisciplinari rivolti in diversi ambiti, come quello psicofisico, sociale e delle eventuali disabilità. La costruzione di un PDTA definisce gli obiettivi, i ruoli e gli ambiti di intervento, garantisce chiarezza delle informazioni all’utente e chiarezza dei compiti agli operatori, aiuta a migliorare la costanza, la riproducibilità e l’uniformità delle prestazioni erogate e, nel contempo, aiuta a prevedere e quindi a ridurre l’evento straordinario, facilitando la flessibilità e gli adattamenti ai cambiamenti. È necessario costruire, attraverso rapporti societari e di colleganza, una cultura comune tale da poter dare origine a una comunità scientifica coesa e capace di dare risposte alla crescente domanda a quello che oggi viene definito uno dei primissimi problemi sanitari, cioè la cura del dolore. Nonostante tale obiettivo sanitario non possa certo definirsi ‘nuovo’, l’inserimento nel circuito europeo ha inevitabilmente evidenziato i difetti di formazione della categoria medica ad affrontare il problema del dolore in maniera metodologicamente corretta e tecnicamente adeguata alle esigenze sanitarie della popolazione con dolore da cancro; a questa popolazione è necessario provvedere anche mediante la costruzione di una practice clinica omogenea, in cui il medico sia messo nelle condizioni di progettare il proprio sviluppo, innanzitutto sottraendosi alla logica della autoreferenzialità. In particolare ci si propone di: - migliorare i tempi di attesa dell’iter diagnostico terapeutico, fissando degli standard in ossequio a quanto previsto dal Piano Nazionale del Governo delle liste di attesa; - migliorare gli aspetti informativi e comunicativi con il paziente, garantendo un piano personalizzato di intervento; - ottimizzare e monitorare i livelli di qualità delle cure prestate, nel rispetto di Linee Guida nazionali e internazionali; - promuovere la partecipazione attiva dell’assistito alla gestione della propria malattia; Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 - favorire monitoraggio e gestione metodica dell’assistito da parte del medico; - ottimizzare e razionalizzare l’accesso alle strutture specialistiche; - garantire la cura delle complicanze con integrazione delle diverse competenze; - migliorare il gradimento dell’utenza per i servizi ricevuti; - attivare un sistema di monitoraggio delle modalità operative previste dal percorso. Differenziare le tipologie del dolore e le sue specificità è utile, perché sono differenti gli obiettivi di cura e l’approccio terapeutico a seconda della patologia in essere e ci aiuta a non trattare il malato oncologico quale unicum indifferenziato cui applicare protocolli per il controllo del dolore, ma a definirne i processi di presa in carico, in relazione sia alle morbosità correlate sia alla regressività e alla transitorietà o meno del dolore in atto. L’attuale sistema assistenziale in Italia è di tipo settoriale-specialistico, per cui ciascun soggetto erogatore (medici di medicina generale, specialisti, ospedali, eccetera) è qualificato per fornire assistenza con diversi gradi di complessità clinico-assistenziale. Nel caso in cui il paziente sia portatore di dolore, specie dolore da cancro, emergono criticità che riguardano innanzitutto l’ambito definitorio. Non si tratta di un problema relativo solo a necessità di tipo tassonomico/ nosologico, ma soprattutto a necessità di definire il dolore in relazione al problema dell’assistenza. Le ricerche attuate su scala nazionale (Federdolore, Istituto Mario Ne- gri) recentemente condotte, hanno evidenziato come esistano numerose aree di inefficacia sia gestionale che clinica nel trattamento del dolore oncologico. Questa inefficacia è frutto in parte di una persistente suddivisione dei professionisti afferenti alle diverse aree specialistiche che operano nell’area del dolore e in parte al fatto che tutti, anche le società scientifiche, si avvalgono di protocolli operativi che non hanno origini nazionali e utilizzano modelli nati in altre realtà sanitarie. Aree di criticità Prima area di criticità: percorso diagnostico Possibile disomogeneità dei criteri adottati per l’inquadramento diagnostico di malati potenzialmente “trattabili”; pazienti oncologici con dolore acuto non da cancro; pazienti oncologici con dolore persistente da cancro non trattato adeguatamente; possibile ritardo nell’individuazione dei soggetti con dolore da cancro difficile; pazienti con dolore episodico acuto non diagnosticabile o inguaribile; pazienti con dolore “difficile” (meccanico-strutturale e neuropatico). Seconda area di criticità: impostazione di una terapia farmacologica Possibile terapia non congruente/appropriata rispetto alle evidenze scientifiche attuali; difficoltà di mantenere la formazione tra professionisti che usano ognuno un proprio modello; mancanza di valutazione/misurazione del dolore da cancro, inappropriatezza nell’utilizzo dei farmaci: FANS, adiuvanti, oppioidi. Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 Terza area di criticità: percorsi gestionali Richiesta non appropriata di consulenza a centro specialistico (non pertinente); mancanza dell’applicazione di linee guida tra i differenti livelli e i centri specialistici; mancanza di piani condivisi di cura tra centri specialistici di terapia del dolore e rete oncologica ospedaliera. Quarta area di criticità: follow up Disomogeneità nelle modalità di effettuazione dei controlli clinici. PROPOSTA Le analisi condotte ci hanno indotto a proporre una fase sperimentale di collaborazione tra le due maggiori società scientifiche che operano negli ospedali italiani e sono portatrici di competenze e cultura specialistica: il Collegio dei primari oncologi italiani (Cipomo); il Coordinamento dei centri di terapia del dolore italiani (Federdolore). A tal fine abbiamo voluto sperimentare un percorso di formazione comune tra Oncologi e Pain community. Tale progetto si è realizzato mediante: 1 - La costituzione di un comitato di esperti delle due discipline (oncologica e antalgica) che ha lavorato per una valutazione critica delle informazioni disponibili sul tema del dolore in pazienti con cancro. Gli obiettivi primari: allestire un meta-sito mirante a facilitare l’uso delle risorse elencate per tutti gli stakeholders interessati e/o coinvolti nel problema del dolore da cancro; preparare un consensus document delle due società da inviare alle istituzioni regionali e nazionali. 11 2 - Uno studio di outcome research che valuti: le coordinate epidemiologiche, attualmente carenti, relative alla gestione del dolore in 10 Centri di Oncologia; l’incidenza e l’impatto di alcune strategie analgesiche, considerando quale debba essere il confine fra la terapia non invasiva e quella invasiva. 3 - Fra gli obiettivi strategici le due società si sono impegnate a sviluppare un percorso formativo che si è sviluppato nelle 3 macro aree: Nord, Centro e Sud-Isole, tale da coinvolgere 15 primari di Oncologia medica e 15 primari di Anestesia a modulo. Tale progetto mira all’acquisizione di un modello educativo che permetta la conoscenza degli elementi minimi di complessità della malattia algologica, delle peculiarità nel paziente oncologico in ognuna delle fasi della sua malattia e l’acquisizione di elementi di diagnosi come processi innovativi e di terapia; contestualmente il progetto definisce i criteri per implementare i sistemi organizzativi multidisciplinari con cui governare i processi di complessità della malattia algologica, Proposta sperimentale di un protocollo condiviso: Progetto VAS 2 Adozione di un protocollo diagnostico-terapeutico condiviso tra specialisti di oncologia ospedaliera e specialisti del dolore per la gestione del dolore da cancro da avviare alla gestione integrata su scala nazionale. Sistema informativo di indicatori tra le componenti del gruppo di lavoro per la valutazione di applicabilità e appropriatezza procedurale e clinica. Tra i vari modelli, abbiamo adottato il percorso che W. Raffaeli ha adottato nel suo Diparti- 12 mento e che aveva già pubblicato nel 2010.7 Nello specifico, il percorso del paziente con dolore da cancro può essere quindi inquadrato secondo 3 differenti gradini a complessità crescente (definiti livelli assistenziali): via di somministrazione secondo le tabelle di equianalgesia; d) imposta il follow up prevedendo un timing e un setting di rivalutazione del paziente compatibile con la tipologia dolorosa e le condizioni del paziente. Primo livello assistenziale Operatore che vede il paziente con dolore da cancro per la prima volta: a) valuta il paziente e misura l’intensità della sintomatologia dolorosa; b) imposta il trattamento “front-line”; c) decide se proseguire con il follow up o affidarlo agli ambulatori specialistici del dipartimento (oncologia e cure palliative/terapia antalgica); d) se decide di prendere in carico il paziente, procede con il follow-up, trattando il paziente secondo i criteri della scala analgesica WHO. Terzo livello assistenziale Specifico degli ambulatori di terapia antalgica: a) valuta pazienti con dolori “truly resistant” identificando le condizioni di potenziale resistenza ai trattamenti standard; b) valuta una potenziale responsività del paziente mediante test di responsività ai trattamenti; c) valuta l’opportunità di un approccio invasivo, scegliendo la modalità specifica sulla base delle caratteristiche del paziente e quelle della tipologia dolorosa; d) imposta i tempi e le modalità della presa in carico del paziente e del successivo follow up. Secondo livello assistenziale Specifico dell’ambulatorio di terapie di supporto e palliative dell’oncologia, o degli ambulatori di terapia antalgica: a) prende in carico il paziente inviato dai colleghi (da altre UO o dal medico di medicina generale); b) nel caso di pazienti con dolore potenzialmente responsivo (inviati dagli operatori che hanno valutato in prima battuta la problematica dolorosa e hanno deciso di non farsi carico direttamente del paziente), viene impostato il follow up per una corretta applicazione temporale della scala analgesica WHO; c) nel caso di pazienti con dolore “potenzialmente resistente” o con intolleranza all’oppioide del terzo gradino, imposta un’adeguata terapia di supporto in caso di intolleranza, o applica la rotazione dell’oppioide o della Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 A ognuno dei tre livelli, sulla base delle caratteristiche del paziente, della tipologia dolorosa e della storia clinica/storia naturale della malattia, può essere presa in considerazione l’opportunità di un trattamento radiante palliativo o di un trattamento con radioisotopi; l’operatore medico che ipotizza l’impiego della radioterapia antalgica o della terapia con radioisotopi invia il paziente presso le strutture specialistiche, secondo le modalità specifiche di interfaccia tra il reparto inviante (che ha in carico il paziente) e la radioterapia o la radiologia interventiva (strutture aziendali) o la medicina nucleare (struttura extraaziendale). CONCLUSIONI In conclusione, il primo obiettivo è quello di inserire la misurazione e il controllo del dolore nei percorsi di accreditamento professionale, come previsto nell’articolo 7 della Legge 38/10 sulle cure palliative e terapia del dolore, che prevede infatti la rilevazione del dolore e la somministrazione di farmaci antalgici in cartella clinica. Secondo obiettivo è la realizzazione di un modello clinico-organizzativo, che miri alla condivisione di un percorso diagnostico-terapeutico del paziente oncologico con dolore, finalizzato alla diagnosi del dolore difficile e alla terapia condivisa. Questo percorso dovrebbe prevedere lo sviluppo di interfacce ospedaleterritorio e l’implementazione di specifiche ricerche orientate non solo agli aspetti farmacologici, ma a una visione d’insieme, secondo l’ottica della clinical governance. BIBLIOGRAFIA 1) De Andrea et al. Prevalence of undertreatment in cancer pain. A review of published literature. Ann Oncol 2008; 19 (12): 1985-1991. 2) M. Costantini et al. Prevalence, distress, management, and relief of pain during the last 3 months of cancer patients’ life. Results of an Italian mortality follow-back survey. Ann. Onc 2009; 20 (4): 729-735. 3) Management of cancer pain: ESMO Clinical Practice Guidelines. L. Jost1 & F. Roila2 On behalf of the ESMO Guidelines Working Group. Annals of Oncology 2010; 21 (Supplement 5): v257-v260. 4) Caraceni A, Cherny N, Fainsinger R et al. The Steering Committee of the EAPC Research Network. Pain measurement tools and methods in clinical research in palliative care: recommendations of an expert working group of the European Association of Palliative Care. J Pain Symptom Manage 2002; 23: 239-255. 5) Use of Opioid Analgesics in the Treatment of Cancer Pain: Evidence-based Recommendations from the EAPC. Lancet Oncology 2012; 13: e58-e68. 6) Maltoni M, Caraceni A, Donato V, Tamburini E, Tassinari D, Trentin L, Zagonel V. Terapia del dolore in Oncologia - Linee Guida AIOM, 2010. 7) Fanelli G, Ventriglia G et al. Il dolore cronico in medicina generale. Ministero della Salute, 2010. Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 13 Rassegna clinica SINDROMI DOLOROSE FACCIALI TRATTABILI CON LA CHIRURGIA SURGICAL TREATMENT OF PARTICULAR FACIAL PAIN SYNDROMES Angelo Franzini, Giuseppe Messina, Michele Rizzi, Giovanni Broggi Fondazione Istituto Nazionale Neurologico “Carlo Besta”, Milano 14 RIASSUNTO Gli autori presentano le tipologie di dolore facciale farmacoresistenti che si affrontano con interventi chirurgici specifici per le diverse sindromi. Sono descritte le tecniche chirurgiche appropriate alle diverse tipologie del dolore che utilizzano la microchirurgia stereotassica, l’impianto di elettrodi o stimolatori per la neuromodulazione o la neurostimolazione di strutture periferiche e centrali in superficie e in profondità. Viene riportata l’efficacia e la sicurezza di queste metodiche SUMMARY The authors list the facial pain syndromes not responsive to pharmacological therapies that can be treated with surgical procedures specific for the different syndromes. Surgical techniques as the stereotaxic microsurgery, implantation of electrodes and stimulators to produce neuromodulation or neurostimulation of peripheral and central structures at superficial and deep level are described. Efficacy and safety of the surgical techniques are also reported. Parole chiave Dolori facciali, farmacoresistenza, tecniche chirurgiche Key words Facial pain drug-resistant, surgical treatment, specific different techniques Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 INTRODUZIONE Il trattamento chirurgico del dolore facciale è una possibilità terapeutica da considerare quando la terapia medica farmacologica non risulta efficace oppure è gravata da effetti collaterali difficilmente tollerabili. L’inquadramento diagnostico clinico ed eziopatogenetico è il presupposto fondamentale alla chirurgia che comprende procedure diverse e talora specifiche per le diverse tipologie di dolore facciale. Le sindromi dolorose facciali, il cui trattamento chirurgico permette la scomparsa o la significativa riduzione della sintomatologia dolorosa, sono: - nevralgia essenziale del trigemino e del glossofaringeo; - nevralgia trigeminale associata a sclerosi multipla; - cefalea a grappolo cronica; - SUNCT; - emicrania cronica parossistica. Le sindromi dolorose facciali, il cui trattamento è tuttora oggetto di studio e di ricerca, sono: - dolore neuropatico; - nevralgia posterpetica; - nevralgia facciale atipica; - emicrania cronica; - disturbo algico. NEVRALGIA ESSENZIALE NEL TRIGEMINO E DEL GLOSSOFARINGEO Il dolore caratteristico della nevralgia essenziale del trigemino è definito parossistico (a inizio e fine improvvisi) e l’attacco, sempre unilaterale, dura pochi secondi e interessa generalmente la seconda e terza branca trigeminale. Le osservazioni di Walter Dandy1 sulla genesi neurovascolare della nevralgia trigeminale sono state ampiamente confermate dalla numerosa casistica di Jannetta,2 che ha contribuito significativamente alla diffusione e alla standardizzazione dell’intervento chirurgico di decompressione neurovascolare in fossa posteriore. Questo intervento consiste nell’esposizione microchirurgica dell’origine del quinto nervo cranico nell’angolo ponto-cerebellare per via retromastoidea e quindi nella ricerca di eventuali arterie o vene in contatto con il nervo alla sua origine o nel suo tratto iniziale intracisternale. Il vaso coinvolto nel conflitto neurovascolare viene quindi allontanato dal nervo mediante interposizione di materiale sintetico (Teflon), cellulosa (Surgicel) o frammenti di tessuto muscolare (Figura 1). Il medesimo meccanismo patogenetico è stato dimostrato per la nevralgia del glossofaringeo, in cui il dolore parossistico è spesso scatenato dalla deglutizione e interessa unilateralmente la regione faringea e talora anche il condotto uditivo esterno. In questi pazienti il conflitto neurovascolare coinvolge i nervi misti e il glossofaringeo in particolare. Anche in questi casi la decompressione neurovascolare microchirurgica per via retromastoidea si è rivelata efficace nel determinare la scomparsa degli episodi di dolore parossistico. Oltre alla decompressione neurovascolare microchirurgica nell’angolo ponto-cerebellare, esistono altre Figura 1 Immagini intra-operatorie Foto intra-operatorie realizzate prima (superiormente) e dopo (inferiormente) la risoluzione del conflitto neuro vascolare a carico della porzione intracisternale del nervo trigemino. Nella foto in alto a sinistra è possibile notare il contatto tra l’arteria cerebellare superiore e il nervo trigemino (evidenziato entro il riquadro nella foto in alto a destra). Nella foto in basso a sinistra, si nota come l’arteria sia stata allontanata dal nervo e come sia stato interposto un foglietto di Teflon tra tali strutture. In basso a destra: 1: l’arteria cerebellare superiore; 3: il nervo trigemino; 2: il foglietto di Teflon Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 15 procedure chirurgiche che permettono di trattare efficacemente la nevralgia trigeminale. Queste procedure sono chiamate percutanee retroganglionari, in quanto sono basate sul raggiungimento della parte posteriore del ganglio di Gasser con una agocannula inserita attraverso il forame ovale. Queste procedure percutanee sono volte a produrre delle lesioni terapeutiche nel ganglio di Gasser mediante la somministrazione selettiva di calore prodotto da radiofrequenza (termorizotomia) o mediante la compressione intracisternale del ganglio con un palloncino all’estremità di un catetere di Fogarty inserito nell’agocannula precedentemente posizionata nella cisterna di Gasser attraverso il forame ovale (Figura 2). La terza metodica percutanea è basata sulla somministrazione di sostanze neurotossiche nella cisterna di Gasser alla scopo di ledere le fibre più sottili e superficiali della porzione retrogasseriana del nervo. È stata abbandonata l’introduzione di fenolo (alcolizzazione) per il rischio connesso alla diffusione del fenolo alle strutture vicine al nervo (gli altri nervi cranici e il tronco cerebrale). È tuttora utilizzata l’introduzione di glicerolo che, non essendo neurotossico come l’alcool, non presenta i gravi rischi dell’alcolizzazione. Le metodiche percutanee sono indicate in pazienti anziani o in condizioni generali tali da non sopportare un intervento in fossa cranica posteriore. Sono anche indicate nei pazienti in cui la decompressione neurovascolare microchirurgica è risultata inefficace. Le procedure percutanee sono considerate di seconda scelta in quanto presuppongono la lesione terapeutica del Figura 2 Immagine radioscopica intra-operatoria Il palloncino inserito nell’agocannula è posizionato a livello intracranico e insufflato di mezzo di contrasto (in scuro); nell’immagine in basso, il catetere di Fogarthy, collegato prossimalmente a una siringa, presenta il palloncino insufflabile nell’estremità distale; nel riquadro a sinistra, un particolare del palloncino; nel riquadro di destra, un’immagine radiografica estesa allo splancnocranio 16 ganglio o del nervo con conseguente deficit sensitivo delle branche trigeminali interessate dal dolore. La decompressione neurovascolare è considerata di prima scelta in quanto i pazienti guariti non presentano alcun deficit sensitivo. La decompressione neurovascolare permette di controllare Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 definitivamente il dolore parossistico nel 70 per cento dei pazienti affetti da nevralgia del trigemino o del glossofaringeo.3 Le metodiche percutanee permettono la guarigione definitiva in pochi casi, ma considerando la facilità con cui possono essere ripetute nel tempo, si possono considerare efficaci in più del 90 per cento dei pazienti, anche a lungo termine. Un’indicazione elettiva delle procedure percutanee è la nevralgia trigeminale associata alla sclerosi multipla,4 nel caso in cui il dolore parossistico interessi la terza e la seconda branca trigeminale, mentre per il dolore in prima branca le procedure percutanee non sono indicate in quanto l’ipoestesia indotta dalla lesione retrogasseriana comporta il deficit del riflesso corneale con conseguenti cheratiti che possono comportare ulcere corneali di gravità tale da comportare la perdita dell’occhio. Il dolore parossistico trigeminale in prima branca è stato trattato efficacemente con la stimolazione cerebrale profonda dell’ipotalamo posteriore,5 presso il medesimo target della cefalea a grappolo. La durata dell’effetto terapeutico delle procedure percutanee è proporzionale al deficit sensitivo facciale inflitto dalla procedura stessa. Per quanto riguarda le complicanze più frequenti delle diverse procedure sono da considerare l’ipoacusia (incidenza Figura 3 Immagini TC post-operatorie in un paziente sottoposto a procedura di posizionamento di sistema di stimolazione sottocutanea occipitale Figura 4 Immagini RM encefalo pre-operatorie sovraimposte a immagini TC encefalo post-operatorie in un paziente sottoposto a procedura di posizionamento di un elettrodo cerebrale profondo in corrispondenza dell’ipotalamo posteriore Figura 3: veduta posteriore (sinistra) e posterolaterale (destra); si noti la posizione dell’elettrodo, situato sulla linea mediana, per assicurare la copertura di entrambi i nervi grandi occipitali, 1 cm al di sotto della protuberanza occipitale esterna. Figura 4: visione coronale (in alto a sinistra), sagittale (in alto a destra), in assiale (in basso a sinistra); in basso a destra, un’immagine RM encefalo in coronale in cui la freccia evidenzia l’elettrodo posizionato Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 17 inferiore al 4 per cento) per la decompressione neurovascolare e l’anestesia dolorosa (incidenza inferiore all’1 per cento) per le procedure percutanee. Naturalmente, trattandosi di procedure chirurgiche, vi sono anche numerose altre possibili complicanze di natura infiammatorio-infettiva (meningiti) o di natura emorragica (emorragia cerebrale) che, sebbene rare, possono mettere a rischio la vita del paziente (la mortalità globale è del 2 per mille). CEFALEA A GRAPPOLO CRONICA E NEVRALGIE TRIGEMINALI AUTONOMICHE Il dolore tipico della cefalea a grappolo interessa la regione orbitaria di un lato del volto e si accompagna a fenomeni vegetativi (arrossamento, lacrimazione, miosi, rinorrea, edema palpebrale e/o congiuntivale). Gli attacchi possono durare dai 15 ai 180 minuti, sono spesso concentrati in periodi di tempo di durata variabile e intervallati da periodi di assoluto benessere. Nella forma cronica, non vi sono periodi di benessere e gli attacchi hanno frequenza pluriquotidiana. Spesso l’attacco si manifesta all’inizio del sonno, rendendo ancor più drammatica la condizione del paziente. La terapia chirurgica di questa sindrome è basata sulla stimolazione elettrica cronica di strutture nervose periferiche (nervo grande occipitale) e centrali (ipotalamo posteriore). Tale metodica è nota come neurostimolazione o neuromodulazione in quanto permette di modificare in modo reversibile e selettivo l’attività di circuiti neuronali coinvolti 18 nella genesi dell’attacco di cefalea. La stimolazione del nervo grande occipitale permette di modulare l’attività del nucleo discendente del trigemino, dove le fibre afferenti del nervo grande occipitale (C1, C2) sono interconnesse con il sistema anatomo-funzionale trigemino-facciale.6 La stimolazione cerebrale profonda dell’ipotalamo posteriore permette di modulare direttamente l’iperattività dei neuroni ipotalamici coinvolti nella genesi dell’attacco doloroso. Entrambe le procedure sono basate sull’impianto permanente di neuroprotesi, costituite da un generatore di impulsi elettrici e da un elettrodo a contatto con strutture nervose da modulare attraverso la somministrazione di corrente elettrica (Figura 3 e Figura 4). La stimolazione del nervo grande occipitale è considerata l’intervento di prima scelta in pazienti affetti da cefalea a grappolo cronica, in quanto molto meno invasivo della stimolazione dell’ipotalamo, che presuppone l’inserzione di elettrodi cerebrali profondi nell’ipotalamo posteriore con metodica stereotassica simile a quanto viene effettuato per la terapia della malattia di Parkinson, dove il bersaglio della stimolazione elettrica è il nucleo subtalamico.7 Anche i rischi e gli effetti collaterali sono sicuramente minori nella stimolazione del nervo grande occipitale, dove gli elettrodi sono extracranici e posizionati sulla porzione terminale del nervo in prossimità della protuberanza occipitale, che viene utilizzata come repere osseo per il corretto posizionamento degli elettrodi stessi (Figura 3). Questa metodica permette un significativo miglioramento clinico nel 60 per cento dei pazienti operati e permette di indurre la scomparsa degli episodi Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 dolorosi per lunghi periodi (scopo dell’intervento è trasformare la forma cronica in forma episodica) che possono superare i 3-4 anni. I pazienti che non rispondono alla stimolazione del nervo grande occipitale sono candidati alla stimolazione cerebrale profonda dell’ipotalamo posteriore. Questa metodica è stata introdotta dal gruppo di neurochirurghi (A. Franzini) e neurologi (M. Leone) dell’Istituto Neurologico C. Besta di Milano8 in seguito agli studi di un neurologo tedesco (Arne May) che aveva osservato l’attivazione dell’ipotalamo posteriore durante l’attacco di cefalea a grappolo in pazienti sottoposti a studi di neuroimaging funzionale9 effettuati a Londra. Questa metodica ha permesso il controllo della cefalea a grappolo cronica nel 70 per cento dei pazienti operati e seguiti a distanza di 5-10 anni. Le complicanze di questi interventi di neuromodulazione sono essenzialmente legate a fenomeni infettivo-infiammatori che complicano l’impianto delle neuroprotesi e talora rendono necessaria la rimozione dell’apparato di stimolazione impiantato. Per quanto riguarda la stimolazione cerebrale profonda, le complicanze del tempo chirurgico endocranico sono le stesse riportate per la chirurgia della malattia di Parkinson e consistono essenzialmente in fenomeni emorragici intraparenchimali, che in alcuni casi possono determinare deficit neurologici permanenti e/o la morte del paziente (<1 per cento dei casi nella nostra casistica). Altre patologie, in cui la stimolazione cerebrale profonda dell’ipotalamo posteriore è risultata efficace, sono la SUNCT,10-12 in cui gli episodi di dolore in regione orbitaria sono brevi ma numerosissimi e accompagnati da lacrimazione e fenomeni vegetativi. Un’altra rara condizione è l’emicrania parossistica, caratterizzata da episodi di dolore dalle caratteristiche simili a quelle della cefalea a grappolo, ma che vengono aboliti da dosi terapeutiche di indometacina. Il caso di un paziente affetto da emicrania parossistica cronica sottoposto (con successo) a DBS è stato riportato da Walcott;13 il paziente in questione risultava allergico all’indometacina. DOLORE CRONICO NEUROPATICO Il dolore neuropatico facciale è caratterizzato da dolore continuo o subcontinuo conseguente a lesioni del sistema nervoso centrale o periferico. Tale sindrome può essere causata da lesioni del sistema nervoso centrale (lesioni ischemiche talamo capsulari) o da lesioni ganglionari o periferiche. Lesioni iatrogene del ganglio di Gasser possono avere luogo nel corso di interventi chirurgici di exeresi di tumori del basicranio o della stessa termorizotomia trigeminale. La sindrome dolorosa si accompagna a un marcato deficit sensitivo che riguarda la medesima area interessata dal dolore (anestesia dolorosa). Anche in questi casi la terapia chirurgica è basata sulla stimolazione elettrica cronica di strutture nervose coinvolte nella per- cezione e nel controllo del dolore. La stimolazione cerebrale profonda dei nuclei sensitivi del talamo14 è indicata nel trattamento del dolore conseguente a lesioni del sistema nervoso centrale mentre il dolore neuropatico conseguente a lesioni periferiche è trattato con la stimolazione corticale. Questa metodica, introdotta da un chirurgo giapponese (Tsubokawa) consiste nel posizionamento intracranico extradurale di un elettrodo in corrispondenza della corteccia motoria nella porzione che corrisponde alle aree di attivazione motoria della faccia e della mano15 (Figura 5). È stato dimostrato, in ampie casistiche, che la stimolazione elettrica cronica extradurale della corteccia motoria risulta efficace nel trattamento del dolore neuropatico facciale cronico nel 68 per cento dei casi.16 Una forma peculiare di dolore neuropatico cronico conseguente a lesioni nervose periferiche è la nevralgia posterpetica, che può beneficiare di un’altra forma di neurostimolazione introdotta recentemente da un neurochirurgo Italo-americano (Giancarlo Barolat). Questa metodica consiste nella stimolazione elettrica sottocutanea dell’area interessata dal dolore e necessita l’impianto di sottili elettrodi a filo nel sottocute (Figura 6). Le complicanze di queste procedure sono le medesime della stimolazione del nervo occipitale e sono essenzialmente di tipo infettivo-infiammatorio locale o conseguenti alla migrazione e/o frattura degli elettrodi impiantati. I risultati sono promettenti ma non esistono ancora casistiche sufficienti a confermarne la validità. Tuttavia le scarse possibilità terapeutiche del dolore cronico posterpetico facciale rendono Figura 5 Ricostruzione TAC 3D con finestra per osso (sinistra) in un paziente sottoposto a stimolazione corticale extradurale monolaterale destra per dolore cronico neuropatico all’arto superiore sinistro I quattro contatti dell’elettrodo sono visibili nell’immagine centrale; a destra, l’immagine di una registrazione elettromiografica intraoperatoria relativa a tale paziente, in cui si evidenzia un’attivazione muscolare all’arto superiore sinistro a seguito di stimolazione con il medesimo elettrodo in corrispondenza dell’area corticale motoria controlaterale Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 19 proponibile questa procedura che può essere ben tollerata anche in pazienti molto anziani. Una possibile indicazione della stimolazione sottocutanea è la nevralgia facciale atipica quando il dolore cronico subcontinuo è limitato ad aree discrete del volto e quando è conseguente a lesioni nervose periferiche (come quelle conseguenti a procedure odontoiatriche). EMICRANIA CRONICA Per emicrania cronica si intende una cefalea simile alla comune emicrania episodica, che si manifesta per almeno 15 giorni al mese da più di 3 mesi, in assenza di uso eccessivo di farmaci. La prevalenza dell’emicrania rende tale disturbo tra le più frequenti e disabilitanti condizioni mediche in generale; il 12 per cento della popolazione statunitense ne è affetto e rientra tra le 20 più frequenti cause mondiali di disabilità secondo la classificazione del WHO.17 Una quota di pazienti emicranici, compresa tra il 3 e il 14 per cento, svilupperà la forma cronica, in cui, per più della metà dei giorni del mese, il paziente è affetto dall’attacco doloroso. In questi casi la terapia medica farmacologica non sempre riesce a ottenere buoni risultati. La stimolazione del nervo grande occipitale (ONS) può essere considerata nei pazienti affetti da emicrania cronica farmacoresistente e che non presentino controindicazioni a una procedura chirurgica eseguita in anestesia generale. La procedura è chiaramente identica a quanto precedentemente descritto per la cefalea a grappolo cronica, così come il razionale, basato sul complesso neuronale trigemino- 20 cervicale (“Trigemino-Cervical Complex”). Piovesan, nel 2003, ha infatti ipotizzato la convergenza delle informazioni nocicettive dei territori trigeminali e cervicali a livello del nucleo caudale del trigemino, che si estende fino al segmento midollare cervicale C2.6. I primi casi di ONS per la cura dell’emicrania risalgono all’esperienza di Weiner e Reed18 nel 1999, in cui sono stati trattati, tra gli altri, 8 pazienti affetti da emicrania cronica. Un altro gruppo,19 rifacendosi agli studi sovramenzionati, ha proposto una variante di stimolazione con elettrodi impiantati a livello sottocutaneo-sovrafasciale presso i territori innervati dai nervi spinali C2 e C3. Il gruppo di Reed ha invece proposto un trattamento di neuromodulazione combinata ONS-stimolazione sottocutanea del nervo sopraorbitario. Tale proposta terapeutica attinge sia dal concetto del “trigemino-cervical complex” sia da una più ampia copertura cutanea della zona riferita come dolente nell’attacco emicranico.20 La ONS, così come le suddette stimolazioni sottocutanee, rientrano nell’ambito delle stimolazioni dei nervi periferici. Tuttavia, a differenza di tecniche quali la stimolazione del nervo vago (VNS), in cui l’elettrodo risulta del tutto avvolto attorno al nervo in questione, in questi casi vi sono uno o più contatti addossati sia al tronco nervoso principale che alle diramazioni terminali. Il suddetto primo report sulla ONS per la cura dell’emicrania in 8 pazienti ha mostrato la pressoché totale scomparsa del disturbo in 4 pazienti; 2 pazienti hanno riferito un miglioramento importante, sebbene siano persistiti episodi emicranici, e Figura 6 Ricostruzione 3D di TC cranio post-operatoria in paziente sottoposto a intervento chirurgico di posizionamento di elettrodi sottocutanei in corrispondenza delle regioni innervate dalla I (oftalmica) e dalla II (mascellare) branca del nervo trigemino, per nevralgia facciale atipica a sinistra Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 i restanti 2 hanno beneficiato di una riduzione del dolore pari al 50-75 per cento.18 Il primo studio prospettico in merito (ONSTIM) ha riportato una diminuzione della frequenza dell’emicrania di almeno il 50 per cento degli episodi nel 39 per cento dei pazienti (su un totale di 66) con un follow-up di 3 mesi.17 Secondo lo studio PRISM (controllato, randomizzato, in doppio cieco) la popolazione di pazienti che avrebbe il maggior beneficio è quella di coloro che non ha una storia di abuso di farmaci anti-emicranici.21 Un recente studio multicentrico, prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, su 157 pazienti, ha mostrato come la ONS dia un beneficio statisticamente significativo sul dolore, e una riduzione dei giorni di cefalea e di disabilità relativa, a 3 mesi dall’impianto.22 Il gruppo di Reed, sottolineando come l’efficacia della ONS sia solo parziale nei pazienti emicranici rispetto a coloro che soffrono di nevralgia occipitale, ha proposto la combinazione ONSstimolazione sottocutanea del nervo sovraorbitario (SONS). La risposta clinica, con un follow-up compreso tra 1 e 25 mesi, ha mostrato un elevato miglioramento della frequenza e dell’intensità del disturbo, sebbene lo studio sia stato una raccolta retrospettiva di soli 7 casi.20 Per quanto riguarda le complicanze, l’infezione del sistema di stimolazione avviene fino al 20 per cento dei casi a seconda delle casistiche; il problema tecnico principale risulta invece essere l’esaurimento delle batterie dei generatori di impulsi che, a seconda della corrente elettrica erogata, può avvenire anche nell’arco di pochi anni, richiedendo così la sostituzione degli stessi e nuovi interventi chirurgici. DISTURBO ALGICO La definizione di tale disturbo secondo il DMS IV-TR consiste in “disturbo in cui un dolore in una o più sedi anatomiche è causato esclusivamente o principalmente da fattori psichici, è il principale fulcro di attenzione del paziente e causa una sofferenza e delle disfunzioni significative”. La corteccia cingolata anteriore (ACC, area 24 di Brodmann) è stata usata come target per la DBS in due pazienti, uno affetto da dolore neuropatico e uno affetto da disturbo algico. Il volume di tale target e le sue coordinate stereotassiche corrispondono a quelle del target usato per eseguire le cosiddette “cingulotomie” nei pazienti affetti da dolore cronico, disturbo ossessivocompulsivo e depressione maggiore. Tale target è stato usato da Spooner nel 2007 per il trattamento di un paziente affetto da dolore neuropatico cronico farmacoresistente dovuto a un pregresso trauma midollare;23 Hutchison, nella medesima regione nel corso di interventi di cingulotomia, ha registrato un’attività neuronale correlata all’anticipazione delle esperienze dolorose somatiche.24 La paziente af- Figura 7 Ricostruzione tridimensionale dell’esame RM encefalo post-operatorio (sezione sagittale) della paziente sottoposta a stimolazione cerebrale profonda della corteccia cingolata anteriore per disturbo algico Nell’immagine a sinistra, una ricostruzione tridimensionale dell’esame RM encefalo post-operatorio (sezione sagittale) della paziente sottoposta a stimolazione cerebrale profonda della corteccia cingolata anteriore per disturbo algico; l’elettrodo, che attraversa tale regione fino a lambire il corpo calloso; nel riquadro a destra, la freccia indica la corteccia del cingolo nella sua interezza e nel riquadro sottostante vengono rappresentati i 4 contatti dell’elettrodo in una ricostruzione in coronale. Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 21 fetta da disturbo algico somatoforme farmacoresistente è stata trattata nel nostro Istituto con DBS dell’area 24 (Figura 7). La sindrome dolorosa cronica nella nostra paziente coinvolgeva principalmente il viso, il capo e a volte gli arti superiori. Il dolore, che durava da circa 10 anni e che risultava refrattario a qualsiasi tipo di trattamento conservativo, veniva percepito come molto intenso, e la paziente aveva tentato il suicidio per 6 volte per la concomitanza di un disturbo depressivo secondario. Dopo l’intervento di stimolazione elettrica della corteccia cingolata anteriore, per circa 6 mesi la paziente ha presentato una remissione pressoché completa della sintomatologia, seguita da 8 mesi di recidiva della stessa; trascorso tale periodo, nuova remissione sintomatologica; tale ciclo di remissione-recidiva si è mantenuto per circa 3 anni, e in atto la paziente da circa un anno risulta asintomatica. Si ha quindi l’impressione che la condizione patologica cronica di questa paziente si sia tramutata in una condizione patologica episodica; naturalmente, anche riguardo a questa indicazione, vi è necessità di cautela nella selezione dei pazienti; non esistono tra l’altro altri report sul disturbo algico sinora trattati con DBS. CONCLUSIONI Negli ultimi quarant’anni la microchirurgia, la chirurgia stereotassica e le metodiche di neuromodulazione hanno radicalmente cambiato le prospettive terapeutiche dei pazienti con dolore facciale farmacoresistente. I pazienti affetti da nevralgia trigeminale e da cefalea a grappolo cronica 22 possono essere trattati efficacemente con diverse metodiche chirurgiche la cui sicurezza ed efficacia è stata dimostrata in ampie casistiche. Anche sindromi rare di dolore facciale come la SUNCT o l’emicrania cronica parossistica possono essere trattate efficacemente con metodiche di neuromodulazione. Il dolore neuropatico cronico conseguente a lesioni del sistema nervoso centrale era considerato intrattabile chirurgicamente, mentre ora l’introduzione della stimolazione corticale extradurale offre una prospettiva terapeutica. Rimangono tuttavia sindromi dolorose croniche per le quali il trattamento chirurgico non esiste, o è ancora oggetto di ricerca, come nel caso della nevralgia posterpetica e della nevralgia facciale atipica. Un capitolo nuovo è rappresentato dall’emicrania cronica farmacoresistente, per la quale esistono dati promettenti e numerosi studi in corso sull’efficacia della stimolazione occipitale anche in questi pazienti. BIBLIOGRAFIA 1) Dandy WE. Concerning the cause of trigeminal neuralgia. Am J Surg 1934; 24: 447-455. 2) Jannetta PJ, McLaughlin MR, Casey KF. Technique of microvascular decompression. Technical note. Neurosurg Focus 2005; May 15: 18 (5): E5. 3) Franzini A et al. Surgical treatment of cranial neuralgias. 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Articolo originale LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEL DOLORE SESSUALE NELLA DONNA DIFFERENTIAL DIAGNOSIS OF SEXUAL PAIN IN WOMEN Anna Ghizzani, Giancarlo Carli Dipartimento di Biologia Molecolare, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze Università degli Studi di Siena RIASSUNTO La dispareunia, dolore che si presenta in risposta al rapporto o al tentativo di rapporto sessuale è un’entità clinica che riconosce cause di natura molteplice. Può essere dovuta a cause organiche o conseguenti a disturbi funzionali quali la Sindrome del Desiderio Funzionale Ipoattivo (HSDD), il vaginismo e vulvodinia provocata (PVD). Per la diagnosi dei disturbi funzionali, la raccolta dei dati anamnestici è fondamentale. Per la diagnosi di PVD è importante che il ginecologo abbia esperienza di pazienti con sindromi di dolore cronico diffuso a eziologia sconosciuta, quali la fibromialgia, perché queste sindromi sono spesso associate. Nella PVD è presente iperalgesia locale e diffusa associata a meccanismi di sensitizzazione centrale. Anche se nella PVD i segni locali si limitano a lieve eritema ed edema, ci sono evidenze che suggeriscono meccanismi locali di natura neuropatica. SUMMARY Dyspareunia, a pain that occurs in response to an attempted vaginal entry or to a sexual intercourse, is a clinical entity that recognizes multifactorial etiology. It may be due to organic diseases or to functional disorders such as Hypoactive Syndrome Desire Disease (HSDD), vaginismus and provoked vulvodynia (PVD). A full history is fundamental for the diagnosis of functional syndromes. For PVD diagnosis, the gynaecologist must also have experience of syndromes of chronic widespread pain of unknown etiology such as fibromyalgia since these syndromes are frequently associated. In PVD local and diffuse hyperalgesia is associated with mechanisms of central sensitization. In PVD there is evidence suggesting local mechanisms of neuropathic nature, although local symptoms consist only in light erythema and oedema. Parole chiave Dispareunia, vulvodinia, fibromialgia, dolore neuropatico, diagnosi differenziale Key words Dyspareunia, vulvodynia, fibromyalgia, neuropathic pain, differential diagnosis Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 23 24 INTRODUZIONE DISFUNZIONE SESSUALE La dispareunia, dolore genitale che si presenta in risposta al rapporto o al tentativo di un rapporto sessuale, è un’entità clinica che riconosce cause di varia natura che è necessario individuare con esattezza.1 Quando la dispareunia non è associata ad apprezzabili alterazioni genitali esteriori, sono le caratteristiche del dolore che ci guidano verso la diagnosi differenziale tra le varie possibili eziologie, diagnosi che, come sempre in medicina, è fondamentale per istituire il trattamento appropriato. Il dolore scatenato dal tentativo di penetrazione sessuale è talvolta così intenso da impedire del tutto il rapporto oppure da durare per ore o per giorni se questo avviene, ma l’intensità e la durata dei sintomi sono indipendenti dall’eziologia che può essere ginecologica, dermatologica, sessuologica oppure sconosciuta. Le cause organiche includono flogosi, dermatiti, dermatosi, cicatrici da parto, ipotrofia da carenza estrogenica e sono evidenti all’osservazione. Al contrario, nella dispareunia dovuta a disfunzione sessuale (Sindrome del Desiderio Sessuale Ipoattivo o HSDD) oppure associata a vulvodinia provocata (PVD) a eziologia sconosciuta, non ci sono segni esteriori evidenti che possano orientare la diagnosi. Entrambe queste sindromi disfunzionali sono caratterizzate da perdita del desiderio e da problemi di coppia. È possibile distinguere la disfunzione sessuale dalla vulvodinia provocata per mezzo dell’anamnesi del dolore, della sua insorgenza e della sua durata, suffragata dall’osservazione dei genitali esterni che è raccomandabile in alcuni casi.2 La dispareunia come epifenomeno di una disfunzione sessuale non richiede in genere esami clinici perché un’anamnesi ben condotta fornisce tutte le informazioni necessarie alla diagnosi. Tra le disfunzioni, la responsabilità maggiore va al Disturbo del Desiderio Sessuale Ipoattivo (HSDD) che è definito dal DSM-IV3 come la riduzione (o la mancanza) di fantasie sessuali e di desiderio per l’attività sessuale ed è causato da qualunque situazione generi un disagio emozionale importante come la presenza di conflitti nella coppia; in altri casi è secondario a malattie organiche gravi che alterano la qualità della vita della paziente o di un suo familiare prossimo, oppure a lutti, traumi o eventi negativi come la perdita del lavoro. In altri casi alla base del HSDD si trova un disagio intrapsichico verso la sessualità in generale o verso alcuni comportamenti sessuali specifici oppure verso la relazione intima con l’altro sesso o ancora verso l’immagine di sé come persona competente sessualmente.4 La perdita del desiderio inibisce la risposta allo stimolo erotico che è responsabile della lubrificazione fisiologica delle pareti vaginali e del cambiamento di stato dei genitali interni dovuto all’allungamento delle fibre muscolari vaginali (fenomeno descritto con il termine “ballooning”). I genitali femminili non sono pronti ad accogliere il pene se la donna ha difficoltà a eccitarsi sessualmente e il rapporto risulta doloroso.5 Ricordiamo che la perdita del deside- Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 rio sessuale può essere la prima manifestazione dell’anedonia che accompagna la depressione. VAGINISMO Il vaginismo è una disfunzione sessuale la cui manifestazione clinica è diversa sia dal quadro clinico di HSDD che da quello di PVD; ne parliamo brevemente perché spesso viene elencato tra le sindromi di dolore sessuale e vogliamo presentare alcuni elementi che facilitino la diagnosi differenziale. Il disturbo è definito dal DSM-IV come spasmo involontario (non secondario a cause organiche) della muscolatura del terzo esterno della vagina che interferisce con il rapporto. Alla difficoltà sessuale è inevitabile che seguano mortificazione e difficoltà relazionali ma è importante sottolineare che il disturbo non provoca dolore a meno che la penetrazione non venga forzata. VULVODINIA PROVOCATA (PDV) Il dolore sessuale così detto “essenziale” non è causato da vaginismo, né da mancata lubrificazione, né da un disturbo psichiatrico, né da una disfunzione sessuale e neppure dall’effetto collaterale di un farmaco o di una malattia organica, perciò lo specialista è chiamato a fare una diagnosi di esclusione. Il DSM-IV, in tutti i casi sopra-menzionati, raccomanda di trattare la patologia primitiva e considerare la dispareunia come parte del corredo dei sintomi. Per la diagnosi differenziale di dispareunia essenziale il medico deve conoscere le sindromi di dolore cronico diffuso a eziologia sconosciuta, come la fibromialgia, di cui il dolore sessuale può rappresentare una componente. Friedrich6 ha descritto per primo la sindrome di dolore sessuale nel 1987 chiamandola Sindrome Vulvo Vestibolare (VVS) che attualmente si preferisce chiamare Vestibolodinia Provocata (PVD) per sottolinearne la natura reattiva e non flogistica.7 Le caratteristiche individuate da Friedrich e ripetutamente confermate sono: modesto eritema e modesto edema localizzati all’ostio vestibolare accompagnati da dolore urente in risposta a un lieve stimolo pressorio che in donne sane è percepito come innocuo. Spesso, anche se non sempre, con la visita bimanuale si apprezza l’ipertono dei muscoli del pavimento pelvico, cioè il muscolo pubo-coccigeo, ramo del muscolo elevatore dell’ano, che accompagna il corteo dei sintomi descritti sopra. La PVD porta molte limitazioni nella vita di una paziente, perché oltre al sesso ci sono altri comportamenti, del tutto banali per le donne “normali”, che scatenano l’iperreattività dell’ostio vaginale, quali lo stare seduta per un certo tempo, andare in bicicletta, camminare a lungo e indossare vestiti attillati come i comunissimi blue jeans o indumenti intimi che non siano bianchi e di cotone.8 La limitazione maggiore è quella imposta alla vita intima perché il dolore rende insopportabile il rapporto e crea distanza emotiva con il partner che si sente respinto, non amato e perfino responsabile di una reazione che gli è incomprensibile, che la sua compagna non sa spiegare e che può essere difficile da diagnosticare anche per il medico.9 La PVD insorge in modo quanto mai vario: può essere al primo rapporto, dopo anni di vita sessuale normale, durante una gravidanza o dopo la menopausa ma ci sono pazienti che hanno avuto dolore “lì” fin da piccole. Iperreattività mucosale La diagnosi di PVD si ottiene della raccolta corretta dei dati anamnestici che sono l’unico strumento indispensabile a questo scopo. Il Q-tip è un semplice test che si è dimostrato utile, non per la diagnosi, ma per valutare il grado di iperreattività mucosale10 che guida la scelta delle prescrizioni farmacologiche e comportamentali. Il test si effettua applicando un cotton fioc in vari punti dell’ostio vestibolare con una pressione leggera e costante mentre la paziente valuta l’intensità del dolore provocato. Nel nostro laboratorio somministriamo il test alle pazienti PVD all’inizio del trattamento stimolando con una leggera pressione costante il vestibolo ai punti 2, 4, 6, 8, 10 dell’orologio per 5 secondi. Le pazienti valutano l’intensità della loro reazione mucosale su una scala VAS 0-5. Il test è stato effettuato anche in un gruppo di volontarie sane per calibrare il metodo nel nostro laboratorio e confrontarlo con esperienze di altri autori.11-14 Alcuni sperimentatori attualmente studiano invece la soglia del dolore con i (peli) filamenti di von Frey, cioè con stimoli pressori puntiformi, che sono certamente calibrati nell’intensità ma poco simili allo stimolo pressorio del coito. Il vantaggio del metodo del cotton floc consiste nel produrre dolore solo nei siti allodinici mentre il metodo von Frey, che si propone di valutare la soglia del dolore nei cinque siti standard, richiede molto più tempo ed è Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 ovviamente più fastidioso. Anche se l’eziopatologia della PVD viene considerata ignota, studi recenti suggeriscono un contributo importante da parte di meccanismi neuropatici periferici.15,16 Reperti istologici e istochimici in pazienti affette da PVD indicano infatti cambiamenti strutturali dell’innervazione vulvare con sprouting tra le cellule epiteliali, aumento delle terminazioni nervose intraepiteliali17,18 e aumento delle afferenze papillari TRPV1.19 L’allodinia vulvare prodotta da stimoli meccanici e termici (caldo e freddo) è probabilmente associata a sensitizzazione locale periferica sia dei recettori polimodali C normalmente meccano-sensibili che dei meccano-insensibili.20,21 È interessante ricordare che una simile iper-innervazione, associata a prolungata allodinia, è stata descritta in un modello animale di allodinia nelle topoline sottoposte a ripetute infezioni fungali vulvovaginali sperimentali.22 In conclusione, poiché questi meccanismi periferici sono associati sia alla vulvodinia che alla esaltata sommazione temporale a stimoli pressori,23 è stato suggerito il coinvolgimento anche di meccanismi di sensitizzazione centrale nella patogenesi della vulvodinia.24 L’ipotesi di una sensitizzazione centrale è avvalorata dal reperto di abbassamento diffuso delle soglie dolorifiche meccaniche e termiche.20,21,23,25 Questa iperalgesia diffusa, comunemente associata alla PVD, deve essere ricercata soprattutto per la diagnosi differenziale di altre patologie che vengono descritte come “Sindromi da sensitizzazione centrale” (Yunus) e per la determinazione di comorbidità della PVD con queste patologie. 25 DIAGNOSI DIFFERENZIALE E COMORBIDITÀ Se teniamo a mente la sequenza temporale in cui i vari aspetti del disagio sessuale si presentano appare facile, addirittura intuitivo, distinguerli: nel vaginismo il corteo dei sintomi è causato dall’ostacolo fisico, nell’HSDD dalla perdita del desiderio e nella PVD dalla dispareunia. Le sindromi di dolore cronico a eziologia sconosciuta, sia diffuso che localizzato, tendono ad associarsi in uno stesso paziente. Per questo motivo le pazienti fibromialgiche devono essere valutate attentamente perché potrebbero essere portatrici di altre sindromi, spesso identificate come “Sindromi da Sensitizzazione Centrale”,26 quali colon irritabile (IBS), cistite interstiziale (IC), dolore temporo-mandibolare (TMD) e fatica cronica (CFS); al momento si hanno meno dati sull’associazione con la PVD che è stata descritta recentemente e attualmente è forse ancora poco conosciuta. È possibile che il dolore cronico diffuso che coinvolge tutto il corpo possa mascherare il quadro meno pervasivo della PVD. Infatti, il dolore da PVD può non essere riconosciuto nemmeno dalla paziente, che attribuisce la sua sofferenza sessuale alla malattia principale. Per essere sicuri di non trascurare la diagnosi di una malattia associata e garantire un trattamento quanto più completo possibile, è necessario essere molto attenti nell’analisi dei sintomi e della loro sequenza temporale. Al Laboratorio di Psicofisica del Dolore dell’Università di Siena stiamo conducendo uno studio sull’associazione 26 tra FM e PVD che dimostra come circa un terzo delle donne fibromialgiche riferisce chiari sintomi di PVD che fino a quel momento non erano stati riferiti perché considerati un epifenomeno della FM. Va sottolineato che, anche se le donne non erano consapevoli della presenza di PVD associata alla fibromialgia, la sua diagnosi di malattia associata e il conseguente trattamento sono importanti perché permettono il recupero funzionale dell’attività sessuale, la diminuzione della gravità dei sintomi e il miglioramento della qualità della vita. BIBLIOGRAFIA 1) Foster DC. Vulvar disease. J Obstet Gynecol 2002; 100: 145-163. 2) Ghizzani A, Bencini S, Vanni AL. 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Questa review analizza la storia delle teorie del dolore attraverso un’indagine della letteratura pubblicata fino al 2013; le fonti principali sono stati i più importanti motori di ricerca (Google Scholar e PubMed) utilizzando keywords come history of pain theories, chronic pain, neuromatrix. Le pubblicazioni più rilevanti sono state scrutinate e citate. Gli autori concludono che oggi si rigetta la nozione di centro specifico per il dolore, a favore di molteplici reti neuronali integrate in una neuromatrice, determinata da genetica e vissuto. Essa genererebbe l’esperienza del sé-corporeo, di cui dolore e sofferenza fanno parte. SUMMARY The history of pain is as long as that of the human race. Several theories have been developed but none of them are yet exhaustive. Historically, the clinical approach has reflected the vision that society had about pain. This review analyzes the history of pain theories through searching the literature up to the year 2013. The main source were Google Scholar and PubMed, using a number of keywords, e.g. history of pain theories, pain, chronic pain and neuromatrix. Relevant issues were then reviewed and quoted. The authors conclude that today the notion of specific central pain region is rejected in favour of multiple neuronal networks integrated in a neuromatrix, genetically and experientially shaped. It generates the body-self sense, which includes both pain and suffering. Parole chiave Dolore, dolore cronico, teoria, storia, neuromatrice Key words Pain, chronic pain, theory, history, neuromatrix Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 27 INTRODUZIONE Come osserva Illich “Ogni cultura elabora miti, rituali, tabù e standard etici al fine di far fronte alla fragilità della vita […] per spiegare il significato del dolore, la dignità nella malattia, il ruolo del morente o la morte”.1 Questo tentativo, tanto costante quanto necessario, di inscrivere tali fenomeni entro aree semantiche ben precise, rappresenta uno sforzo ermeneutico-antropologico ancor prima che scientifico, e ha caratterizzato costantemente e universalmente le espressioni culturali umane. Infatti, per comprendere l’esperienza dolorosa in senso pieno dobbiamo contestualizzarla in una cultura, in quanto essa fornisce una modalità di soffrire. Concetti quali dolore e sofferenza sono stati di volta in volta reinterpretati, anche il loro rapporto reciproco ha vissuto dinamiche turbolente. Da posizioni olistiche, in cui dolore e sofferenza rappresentano due aspetti integrati e riconosciuti, a posizioni riduzionistiche medicalizzate, basate sulla esclusiva visione “nocicettiva” o psicologizzate, basate sull’esclusiva dinamica della “conversione”. La storia del binomio dolore-sofferenza andrebbe declinata nello spazio e nel tempo dell’evoluzione culturale. Eppure il dolore è un’esperienza così connaturata all’essere umano che si sarebbe dovuta sviluppare una visione univoca della sua natura già da molto tempo. Ironicamente, sembra che più si tenti di definirne i confini eziologici e clinici, più il dolore tenda a offrire aspetti oscuri e non codificabili. Il significato soggettivo che la persona dà al proprio dolore, assieme alla sua 28 capacità di soffrirlo, non può prescindere dai condizionamenti contestuali. In termini evoluzionistici, il dolore rappresenta un sistema di allarme sensoriale ed emozionale con lo scopo di segnalare rapidamente un danno tissutale o un processo degenerativo in atto. Sulla scorta di questa segnalazione seguirebbe quindi un comportamento adattivo e un processo biologico reattivo. In termini clinici, il dolore è attualmente concepito come il quinto segno vitale accanto alla frequenza respiratoria e cardiaca, alla temperatura e alla pressione arteriosa2-5 per giunta con “l’obbligo di riportare la rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica” come recita, per l’Italia, l’art. 7 della Legge n. 38 del 15 marzo 2010. La definizione di dolore come “strumento difensivo” è propria del dolore acuto, cioè di un fenomeno secondario a qualcos’altro. Quando invece tale condizione persiste al di là del processo di guarigione, perdendo così la sua funzione difensiva, acquisirebbe lo status di patologia, di condizione autoreferenziale.6,7 Questa differenziazione rappresenta un netto spartiacque tra due paradigmi di dolore qualitativamente diversi: il dolore come sintomo, ovvero il dolore acuto e il dolore come patologia, ovvero il dolore cronico. Proprio perché fenomeno esistenziale, antropologico, e socio-economico oltre che biologico, storicamente il dolore è stato definito, classificato, concepito e vissuto in modi eterogenei. L’attuale definizione dell’International Association for the Study of Pain (IASP) fotografa il dolore come: “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 danno”. Oltre all’aspetto sensoriale secondario a una lesione organica, la definizione indica quindi l’esperienza del dolore in termini più complessi, cioè bio-psicologici. STORIA DELLE TEORIE DEL DOLORE FINO AL 1800 La storia del dolore è tanto lunga quanto quella dell’essere umano stesso. Sono state formulate e proposte molte teorie così come diversi modelli scientifico-sperimentali ma, a oggi, per quanto ognuno di essi abbia avuto una certa fortuna e una propria utilità, nessuno è mai riuscito a dare ragione della complessità propria di questo fenomeno. Storicamente, la clinica del dolore ha sempre riflettuto l’interpretazione che di volta in volta le civiltà sviluppavano a proposito del fenomeno dolore. Epoca preistorica e animismo In un contesto di tribù animiste, del passato ma anche della contemporaneità, al di là delle singole differenze, si crede che il dolore e la sofferenza siano direttamente ascrivibili a spiriti maligni e a forze occulte penetrate nel corpo.8 Queste culture, filosoficamente e religiosamente complesse, produssero nel passato articolati dispositivi culturali, riti e simbologie, al fine di allontanare o di ingraziarsi i demoni responsabili delle malattie, del dolore, dell’afflizione e della morte. La figura dello stregone o dello sciamano era quella che dava le interpretazioni e attuava le procedure individuali e collettive necessarie. Tutto ciò che risultava positivo e negativo a livello sensoriale, doveva essere “letto” e “categorizzato” tramite simbologie in complesse cosmogonie al fine di poter attuare azioni riparatrici o propedeutiche, i rituali appunto, vere e proprie performance socio-culturali. In Europa, possiamo ritrovare tale visione durante l’età del bronzo (fino al 1000 a.C.) in cui si pensava che le offese al Dio avrebbero causato malattie e dolore. La medicina tradizionale cinese La testimonianza più antica pervenuta a noi circa il tentativo di dare un significato al dolore risale alla medicina cinese tradizionale dove il termine “dolore” compare per la prima volta nel trattato medico Huang Di Nei Jing scritto più di 3000 anni fa. 9,10 Secondo i canoni di quella cultura,11 il dolore era il frutto di uno sbilanciamento tra Yin e Yang, una diade di forze complementari e interrelate l’una nell’altra e dinamicamente interconnesse. Un eccesso dello Yin avrebbe dato luogo al “freddo” e danneggiato la forma della materia biologica. Viceversa, uno sbilanciamento a favore dello Yang avrebbe causato “calore”, un danno agli equilibri energetici del corpo e quindi dolore. Si postulava, inoltre, il concetto di energia corporea circolante lungo una serie di canali e meridiani. La terapia mirava al ripristino dell’equilibrio delle due forze. L’agopuntura, oggi presente anche in Occidente, veniva prescritta per sbloccare i ristagni energetici lungo detti meridiani e canali.11 La visione “tragica” del mondo classico Nel mondo Occidentale, dall’antica Grecia fino all’avvento del pensiero scientifico contemporaneo, secondo Natoli, si dipanano due distinte correnti di pensiero entro le quali il concetto di dolore è stato di volta in volta rimodellato: la visione tragica del mondo classico e la visione ebraicocristiana.12 Dall’accettazione della reciproca necessità di vita e morte nasce la visione tragica del mondo. Ciò che dona la vita e la felicità dona ineluttabilmente il dolore e la morte. In questo realismo, il dolore stesso, interrompendo il trascorrere armonico dell’esistenza, è anticipatore di morte ineluttabile, quindi è tragedia. La morte, è però condizione necessaria affinché vi sia una nuova vita. Non è concepibile nel pensiero classico una felicità disgiunta dal dolore.13 Questa circolarità, che è accettata come elemento della vita stessa, non viene combattuta né rimossa. Il dolore e la sua esperienza sono interpretati in questa cornice semantico-esistenziale sia individualmente sia collettivamente. Proprio appellandosi alla natura umana, nei limiti del consentito, l’uomo ha a disposizione l’opportunità e la consapevolezza di poter coltivare arti e virtù al fine di lenire il senso del tragico che gli è proprio e per dare una forma, una “ragione” alla propria esistenza tutta terrena. Poiché per i greci antichi la ragione è la più nobile delle facoltà umane, essa deve essere esercitata per fini terreni, per dare significati e forme all’esistenza. Il dolore, se letto con ragione, sarà un’opportunità di crescita per le umane arti e virtù. Affrontando il dolore e arginando la sofferenza entro una “forma”, un’armonia, il greco della classicità tende a diventare virtuoso. Il dolore nel mondo classico tende a diventare in- Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 nocente, cioè non secondario a colpe o peccati, bensì connaturato alla vita stessa, e perciò accettato. La sofferenza è concepita nell’ambito del complesso rapporto tra dolore di natura somatica e dolore di natura psichica. In Occidente, la visione animista del dolore come una punizione divina causata dalle negligenze umane o da una presenza intrusiva degli spiriti maligni viene ridimensionata a partire dalla cultura greca.13 Nell’Occidente, la prima descrizione del dolore appare per la prima volta nell’ottavo secolo a.C., nei poemi epici del poeta greco Omero, l’Iliade e l’Odissea.14 Con Ippocrate (460-377 a.C.), si inaugura una nuova concezione organicista della medicina, nuove arti sanitarie basate su tentativi di interpretazione razionale dei fenomeni naturali.13 Sarebbero le circostanze umane della persona e non gli interventi divini a causare la malattia e il dolore. La teoria umorale seguita da Ippocrate sostiene che il corpo è governato da quattro diverse tipologie di umori, bile gialla e nera, sangue e flegma.15 Le varie combinazioni e gli equilibri tra questi fluidi condurrebbero a salute o a malattia. Tra i presocratici, Democrito (460.360 a.C.) interpreta i dolori come rimandi a una vita condotta in modo non retto. Il rimedio era il perseguimento della saggezza e il rifuggire dai beni materiali.16 Platone (428-347 a.C.) concepisce il dolore come proveniente da aspetti sensoriali ma anche dalle emozioni proprie dell’anima che alberga nel cuore. Il dolore sarebbe lo scotto da pagare per chi si è allontanato dalla verità assoluta.17 La rettitudine poteva essere guadagnata lungo un percorso di sofferenza purificatrice. L’uomo, per gli 29 Stoici (300 a.C.), con l’autocontrollo e il distacco dalle cose terrene, poteva sopportare e superare la sofferenza fino a raggiungere l’integrità morale e intellettuale. Nella loro etica del dovere, “sopporta e astieniti”, venivano accolte le vicissitudini della vita senza per questo farsi emotivamente coinvolgere.15 Alcmeone, Democrito e Anassagora ipotizzarono che il cervello, e non il cuore come Empedocle preconizzava, fosse la sede della sensibilità e della razionalità.8 Lo stesso Aristotele (384322 a.C.) postulava il cuore come la sede delle sensazioni (vista, udito, tatto, olfatto e dolore), sostenendo che proprio il tatto, a fronte di stimoli eccessivi, fosse il responsabile del dolore. Formulò così il primo concetto organicista del dolore.11 Il dolore era ormai associato a cause organiche e sottratto a quel velo di misticismo che ancora lo caratterizzava. Egli ipotizzava il dolore come “emozione che irrompe nella coscienza”. Erofilo (335-280 a.C.) dimostrò anatomicamente l’appartenenza del cervello al sistema nervoso centrale e postulò l’encefalo come la sede della percezione come Pitagora (570-495 a.C.) e Anassagora (500-428 a.C.) avevano sostenuto in precedenza.8 Galeno (130-201 d.C.) e Avicenna (980-1039) in seguito avrebbero ripreso tale ipotesi.14 Galeno, inoltre, ipotizzava la presenza dei meccanismi del dolore nel SNC, descrivendo il processo acuto infiammatorio come caratterizzato da dolor, calor, rubor, tumor (tetrade originaria del romano Celsus, 25 a.C. - 50 d.C.) e functio laesa.16 La cultura greca, nonostante le proprie interpretazioni naturalistiche e razionalistiche del 30 dolore, non seppe scegliere tra algos, pathos, odune e aisthesis.8 La tradizione giudaico-cristiana: dalla Bibbia al Medioevo Nel Vecchio Testamento, il dolore consegue a una colpa ed è in relazione a un peccato, inteso come scioglimento dell’alleanza con Dio conseguente alla violazione del patto che ha come fine la salvezza dell’uomo.12 Tale alleanza è promessa e legge allo stesso tempo, quindi il peccato è possibile solo nell’ambito di tale contesto. La promessa divina circa la salvezza dalla schiavitù e dalla sofferenza è possibile solo se l’uomo, grazie alla fede e al rispetto dei comandamenti, saprà condurre una vita terrena ineccepibile. Ecco che tale conduzione separa l’uomo dalla vita terrena in favore della contemplazione di una vita ultraterrena priva di dolore e sofferenza, tutta da guadagnare. Nel frattempo la vita terrena è luogo di sofferenza, di dolore e di stenti proprio perché, per sua natura, l’uomo è imperfetto e tende a trasgredire le leggi divine. Di qui il meritato castigo terreno, il dolore appunto.13 Esso è sì punizione ma è anche espiazione e unico viatico verso la redenzione. “Paziente” è colui che sa sopportare, sa stare nel dolore. Nel Nuovo Testamento, il dolore viene interpretato in modo diverso. Cristo, poiché è il solo a essere puro e retto, ha posto in essere un sacrificio espiatorio, accentrando su di sé la sofferenza del dolore fisico e della morte e, in generale, quella del male. Illich sottolinea che in alcune lingue come il francese e l’italiano, in contesti clinici, il dolore fisico è anche nominato “male” (J’ai mal là/Mi fa male qui).18 Gesù, detto per ciò “il redentore”, Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 con la sua morte esemplare estingue il peccato e il male per tutta l’umanità presente e futura. Da Gesù in poi non si rendono più necessari ulteriori sacrifici tra gli uomini. D’ora in poi il dolore, proprio della vita terrena, deve essere accompagnato con docilità e pazienza, come abbandono e adesione alla sofferenza di Cristo, un preciso mezzo che avvicina a Dio. Sant’Agostino d’Ippona (354-430) distinse il male fisico del corpo dal male morale dell’anima legato al peccato, sorpassando così la convinzione che la malattia e il dolore fossero punizioni divine provenienti dalle cattive condotte umane. Nonostante ciò, attribuì una natura metafisica al dolore, alla fame, alla malattia e al peccato. 15 In contesti medioevali clericali, il dolore, a volte, era incluso nell’ambito della “pedagogia della sofferenza”, in cui veniva accettato e ricercato tramite pratiche auto-punitive per fini espiatori, per redimersi e per crescere spiritualmente.19 Tommaso d’Aquino (1224-1274), frate domenicano, interpretò il dolore come una passione dell’anima sostenendo che quando soffre il corpo patisce anche l’anima. Propose l’idea che la compassione altrui avesse la capacità di lenire il dolore del sofferente, condividendone il fardello e alleggerendone la pena.20 Nel suo Summa Theologiae, Tommaso ricordava che il fine ultimo della vita è il raggiungimento della felicità terrena e quindi eterna, concezione cristiana coincidente anche con la spiritualità orientale.21 L’affrancamento dal dolore e il raggiungimento della felicità erano possibili solo grazie all’autodisciplina che, per il pensiero ebraico-cristiano stava nell’osservare i dieci comandamenti, nel pensiero orientale nel praticare le regole dello yama-niyama (astensione-disciplina). Il concetto dell’autodisciplina è presente anche nelle ultime teorie cliniche del self-management del dolore e la de-passivizzazione del paziente.22,23 Il dolore tra Medioevo e modernità Nel Medioevo si sviluppò la medicina conventuale dei monaci benedettini. L’utilizzo di erbe medicinali personalmente coltivate, preparate in pozioni e direttamente vendute nelle botteghe-farmacie dei monasteri faceva di questi monaci gli antesignani della futura industria farmaceutica.8 Molto tempo prima, in Cina, il medico Hua Tuo (145-208) aveva somministrato preparati a base di cannabis e vino per anestetizzare i pazienti da operare chirurgicamente: un antesignano dei concetti di anestesia e analgesia.11 Avicenna (980-1037) medico e filosofo musulmano, nel suo Canone della Medicina del 1025, propose per la prima volta il dolore come una sensazione indipendente dal tatto o dalla temperatura11 ed estese da 4 a 15 i tipi di dolore della precedente classificazione di Galeno24 usando una terminologia molto simile agli aggettivi-descrittori del McGill Pain Questionnaire,25 uno dei questionari più usati oggi per la valutazione del dolore. Egli, inoltre, avanzò l’ipotesi che la vera causa del dolore fosse il cambiamento delle condizioni fisiche dell’organo coinvolto, a prescindere dalla presenza o meno di un danno. Ciò fece di questo medico un degno precursore dell’algologia moderna e il primo a formularne una teoria specifica.26 Con la svolta dell’anno mille, l’Euro- pa vide nascere la fase pre-universitaria della medicina. In questo contesto, principalmente per merito della Scuola Salernitana, la medicina fu coinvolta in un processo di laicizzazione che permise di tornare a concepire malattia e dolore come gli effetti di cause naturali.27 Tra Rinascimento ed epoca moderna, epoca di fatto universitaria, Galilei (1564-1642) e Descartes (15961650) rappresentano i maggiori fautori dell’evoluzione del pensiero scientifico e del metodo sperimentale applicato al dolore.8 Il primo gettò le basi per una visione razionale del dolore permettendo così l’abbandono di concezioni filosofiche e metafisiche. Il secondo considerò il dolore come un preciso segnale sensoriale relativo a determinate disfunzioni biologiche. Con Descartes comparve il modello di trasmissione dell’informazione sensoriale dolorosa dove uno stimolo esterno attivava i nervi periferici i quali, tramite il midollo spinale e i ventricoli cerebrali, portavano alla ghiandola pineale l’informazione che, in quella sede, sarebbe diventata percezione cosciente.11 La rigorosa logica dualistica cartesiana esclude la possibilità dell’intervento di fattori metafisici ma anche psicologici nella percezione del dolore.28 Corpo e anima erano per la prima volta nettamente separati sotto il punto di vista della conoscenza. Il corpo equiparato a una macchina e il dolore a un segnale che permetteva al corpo di reagire in segno di autodifesa. Successivamente, Willis (16211675), pioniere dell’anatomia dell’encefalo, fornì convincenti prove circa il ruolo del cervello nella percezione del Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 dolore, includendo la corteccia cerebrale.14 Questa nuova concezione era nettamente in contrasto con quella proposta da Paracelso (1493-1541) qualche decennio prima. Egli basava la sua medicina su un approccio olistico dell’uomo, in cui il dolore era interpretato in termini psicofisici e non scotomizzando la psiche dal soma.8 Al centro della sua medicina c’era l’uomo vivo e la semeiotica. Il suo approccio non era aggressivo bensì conservativo: “bisogna solo stimolare la natura ed essa provvederà da sé”. Sul versante dell’anestesia utilizza per primo l’etere solforico e il laudano. Il laudano in forma liquida, un composto a base di oppio, zafferano, cannella, chiodi di garofano e vino per scopi analgesici e antidolorifici venne invece utilizzato da Sydenham (16241689).29 Sempre lungo il versante psicofisico, Spinoza (1632-1677) nel concetto di dolore inserì anche quello di melanconia a tal punto che il dolore è visto come un’emozione, anticipando così il concetto di dolore come emozione omeostatica.30 Utilizzando il termine “tristizia” intendeva appunto indicare contemporaneamente sia il dolore fisico sia quello di origine psichica, anticipando in questo caso l’attuale concetto di total pain.8 Alla fine, questo periodo sarà caratterizzato da una concezione scientifica della natura, in cui prevaleva un forte razionalismo che avrebbe caratterizzato il metodo sperimentale della moderna medicina meccanicistica. Qui il focus era tutto proiettato sugli aspetti organicistici della malattia. Il dolore era sempre più concepito in termini causali-lineari, sintomo esclusivo di una causa fisica, tangibile, prossima. 31 Se il dolore era diventato “utile”, perché funzionalmente adattivo, gettando così le basi del concetto di dolore acuto, si allontanava, d’altro canto, la partecipazione attiva della psiche al percetto del dolore. Le proposte di Paracelso e di Spinoza, inerenti a una visione psicofisica del dolore, non avrebbero trovato seguito, in quanto la concezione newtoniana del razionalismo scientifico avrebbe preso il sopravvento, disarticolando nuovamente il rapporto tra dolore e sofferenza. Rimaneva comunque il punto fermo che il cervello rappresentava il vertice più alto dalla sensibilità, mentre il dolore diventava un input afferenziale. Dal finire del Diciottesimo secolo fino ai giorni nostri, un caso particolare nel rapporto tra mente e sensazione, razionalità e suggestione fu rappresentato dall’ipnosi. L’ipnosi è definibile come un’induzione seguita da una o più suggestioni.31 L’esperienza della suggestione è un fenomeno capace di elicitare cambiamenti e alterazioni nella percezione soggettiva, nella sensazione, nelle emozioni, nei pensieri o nel comportamento.32 Una serie di nomi sono legati alle fortune alterne di tale tecnica: Mesmer e il magnetismo animale, Elliotson e l’analgesia da ipnosi durante la chirurgia, Charcot e l’induzione tramite ipnosi delle nevrosi, Bernheim e la cura dell’isteria, Janet e la dissociazione ipnotica, Breuer e il trattamento dei sintomi della paralisi, Freud e le reazioni isteriche, Hull e la possibilità di alterare la percezione del dolore, Erickson e Hilgard che fece ricerche sugli effetti dell’ipnosi e sull’analgesia da ipnosi. 32 STORIA DELLE TEORIE DEL DOLORE DAL 1800 AL PRESENTE A questo punto, il concetto di dolore si disgiunse da quello di sofferenza specializzandosi in modelli sempre più sofisticati in termini neuroanatomici e neurofisiologici. Nemmeno la psicologia scientifica se ne interessò particolarmente, in quanto figlia di un approccio positivistico. Dal 1850 in poi, con la nascita della fisiologia sperimentale, ebbe inizio una nuova stagione di ricerca basata sullo studio della sensibilità. Il dolore, sulla scia del pensiero cartesiano, sarà inizialmente interpretato in chiave riduzionista, esclusivamente come input afferenziale, fino a essere concepito nuovamente come percetto frutto di una commistione di variabili sensoriali-discriminative, emotivo-motivazionali e cognitivo-valutative sullo sfondo di un paradigma bio-psico-sociale. In ambito sperimentale, si è molto discusso se il dolore fosse mediato da specifiche strutture neuroanatomiche o se queste fossero in condivisione con altre funzioni sensoriali, per esempio il tatto, le funzioni termiche o gli assi neuroendocrini. Fino a oggi, condizionati da tale dicotomia, si sono maggiormente evidenziati otto modelli: la teoria della specificità, dell’intensità, del pattern, del cancello, della modulazione discendente, della neuromatrice, della matrice del dolore e dei disturbi del dolore idiopatico. La teoria della specificità: un approccio qualitativo Per la teoria della specificità, il dolore rappresenterebbe una modalità speci- Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 fica di sensibilità, dotata di un proprio apparato afferente distinto dalle altre afferenze sensoriali. Sebbene sia stata la prima a essere formulata in ambito scientifico, tale teoria è, di fatto, una delle più influenti. Per questo approccio il dolore, che non è spiegabile tramite una causalità lineare, non può essere considerato reale e quindi sarà di pertinenza psichiatrica.15 La prima scoperta che offre basi scientifiche allo studio del dolore è rappresentata dalla legge Bell-Magendine della prima metà dell’Ottocento, la quale sostiene che le radici nervose anteriori spinali sono di natura motoria, mentre quelle posteriori hanno una funzione sensoriale. Nel 1835, il fisiologo Muller propone la legge della energia specifica dei nervi per cui la natura della percezione è definita dalla via nervosa sulla quale transita l’informazione sensoriale. Perciò le differenze nella qualità della sensazione, udito, vista, olfatto, tatto e dolore sono causate dalle differenze delle strutture nervose elicitate da tali stimoli33 anche se ancora non sapeva se tali differenze fossero ascrivibili alle vie nervose periferiche o al sistema nervoso centrale. Sul finire del Diciannovesimo secolo il fisiologo Max von Frey evidenziò che la cute umana era caratterizzata da molti punti sensoriali, peculiari per le diverse sensazioni. Le terminazioni libere dei nervi nella cute furono classificate come recettori specifici del dolore. Da questa scoperta, in seguito, si riuscì a identificare la cosiddetta “via del dolore” nei tratti spinotalamici.34 All’inizio del Ventesimo secolo la formulazione del concetto di nocicezione e di sinapsi avrebbe dato ulteriore sostegno a tale teoria. La psicologia, sul finire dell’Ottocento, diede al dolore un duplice significato, quello di sensazione e quello di sentimento. Medicina e psicologia non ebbero modo di confrontarsi costruttivamente e l’avvento della medicalizzazione, dietro la spinta dell’industrializzazione, non fece che acuire il pensiero positivistico e la visione meccanicistica del dolore. Il sopravvento del sensismo e il relativo riduzionismo biologico del dolore ebbe l’effetto di escludere la coscienza e la sofferenza dalla clinica sanitaria. Di conseguenza, in tale sede, l’obiettivo fu quello di inibire la sensorialità, bloccare lo stimolo nocicettivo tramite le neurotomie periferiche, le cordotomie, le sinapticectomie, l’anestesia locale per contatto, l’anestesia spinale, l’alcolizzazione e la roentgenterapia. John Bonica, anestesista italo-americano e padre della terapia del dolore, fondò a New York il primo ambulatorio di terapia antalgica, evento storico riguardo l’utilizzo del blocco nervoso periferico, con modalità anestetiche o ablative, come metodica terapeutica o palliativa a fronte del dolore refrattario ad altre terapie o intrattabile. La teoria dell’intensità: un approccio quantitativo Per i sostenitori di tale approccio, il dolore sarebbe il risultato di qualsiasi stimolo sensoriale che avesse raggiunto una particolare intensità. Durante il termine del Diciannovesimo secolo, il neurologo Erb fu il maggior sostenitore di tale teoria per cui la somministrazione di un debole stimolo avrebbe elicitato una sensazione non dolorosa, mentre uno stimolo più intenso avrebbe causato un’attivazione nervosa più elevata al punto da divenire, oltre certi limiti, una sensazione sgradevole e poi dolorosa. In seguito, nel Ventesimo secolo, tale approccio veniva ripreso dalla teoria dei codici che, su tale base, sosteneva come il dolore fosse caratterizzato dalla frequenza e dalla ritmicità degli impulsi, comunicando così con i vertici del SNC. La teoria dell’intensità trovò un successivo supporto a seguito della scoperta dei “neuroni ad ampio spettro dinamico” nelle corna dorsali del midollo spinale.35 Questa popolazione di neuroni risponde a diverse modalità sensoriali (meccanica, termica, nocicettiva), così come a un ampio spettro di intensità di afferenze. A fronte di un incremento dell’intensità dello stimolo, hanno la proprietà di incrementare costantemente il “firing neuronale” fino ad assumere anche caratteristiche nocicettive. Questi particolari neuroni sono coinvolti nel dolore viscerale e permettono di spiegare anche il fenomeno del dolore riferito. La teoria del pattern: la complessità delle connessioni sensoriali spinali L’utilizzo dell’oscilloscopio a raggi catodici e delle registrazioni elettrofisiologiche permisero di identificare, tra il 1930 e il 1965, differenti pattern di attività nervosa nelle fibre afferenti in risposta a stimoli meccanici, termici e chimici.36 Ne seguì la classificazione delle singole fibre sensoriali secondo la grandezza e la velocità di conduzione. Anatomicamente, tali afferenze furono classificate in fibre mieliniche e fibre non mieliniche. In base alla velocità di conduzione le fibre A alfa e A beta trasmettono l’informazione sensoriale più o meno velocemente; esse sono ricoperte da uno strato spesso di mielina. Mentre le A delta hanno una conduzione lenta e sono coperte da un sottilissimo film di mielina. Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 Infine, la fibre C sono le più lente e non mielinizzate. Le vie sensoriali somatiche furono, all’inizio del Ventesimo secolo, ripartite in due classi: l’epicritica, altamente discriminativa e fine, comprendente la sensibilità tattile e pressoria, e la protopatica, più grossolana e comprendente la sensibilità tattile diffusa e quella nocicettiva. Ranson sosteneva che la sensazione protopatica fosse condotta dalle fibre non mielinizzate.11 Questi risultati permisero allo psicologo americano Nafe di formulare nel 1929 la teoria del pattern, la quale sosteneva che gli organi di senso somatici fossero dotati di un’ampia scala di responsività e, a livello midollare, caratterizzati da complesse configurazioni di eterogenee connessioni sensoriali. Il dolore sarebbe il risultato di precisi pattern spazio-temporali di trasmissione e di scarica d’informazioni provenienti da fibre specializzate. Con questa teoria era possibile spiegare, almeno in parte, fenomeni quali la persistenza del dolore a seguito della scomparsa della causa, o il fenomeno dell’iperalgesia, dovuto all’effetto della sommazione spaziale e temporale dei segnali nocicettivi a livello spinale.36 Su questa base s’iniziò a distinguere qualitativamente il dolore acuto da quello cronico. La teoria del cancello e la modulazione sovraspinale del dolore I successivi sviluppi della teoria del pattern portarono a formulare, soprattutto riguardo al dolore cronico, la teoria del cancello,37 la quale diventò popolare a tal punto da condizionare la ricerca per tutto il Ventesimo secolo. Questa nuova prospettiva teorica ipotizzava la presenza di “cancelli 33 neurali” a livello delle corna posteriori del midollo spinale, precisamente nelle sinapsi tra le afferenze primarie periferiche e gli interneuroni, di natura inibitoria, localizzati nella lamina II (detta, assieme a una piccola parte della lamina III, “sostanza gelatinosa”). I meccanismi proposti erano tre: anzitutto, quando l’attività neuronale in quel sito era maggiormente caratterizzata da segnali provenienti dalle afferenze non-nocicettive, ciò inibiva l’attività delle afferenze nocicettive tramite l’attivazione degli interneuroni inibitori della lamina II, causando così ipoalgesia o analgesia; secondo, quando l’attività neuronale era maggiormente caratterizzata da segnali provenienti dalle fibre nocicettive, si aveva un’esacerbazione del dolore a causa della de-attivazione degli interneuroni inibitori della lamina II; infine, tale gating sarebbe stato dinamicamente modulato sia in senso facilitatorio che inibitorio da un postulato sistema sovraspinale discendente. Nonostante le semplificazioni e le imprecisioni,38 tale teoria gettò le basi per una concezione più articolata e “unitaria” del dolore. Questo avrebbe stimolato la ricerca sul cervello e dato impulso alla nascente neuroscienza cognitiva e alla neurofarmacologia, orientata a nuovi antidepressivi e anticonvulsivanti. Nuove tecniche psicologiche sarebbero state applicate al fine di procurare sollievo nel dolore cronico. Tutto ciò avrebbe inaugurato una stagione di nuove prospettive basate su network neurali cerebrali paralleli, in cui l’aspetto sensoriale, affettivo e cognitivo svolgevano un ruolo attivo nella percezione e nell’esperienza del dolore. D’altronde, anche l’esperienza clinica che stava matu- 34 rando, per esempio sul dolore da arto fantasma, suggeriva che oltre a ricevere e ad analizzare gli input sensoriali, il cervello generava l’esperienza percettiva del dolore anche in assenza di input esterni.39 La teoria della modulazione endogena discendente del dolore: il sistema oppioide endogeno Tra gli anni Sessanta e Ottanta, accanto alla scoperta dei nocicettori, delle loro localizzazioni e di alcuni meccanismi molecolari coinvolti nella nocicezione, altre fondamentali scoperte andarono a comporre il sistema della modulazione endogena discendente del dolore: gli oppioidi endogeni, i rispettivi recettori nel SNC e il loro coinvolgimento in alcune zone del tronco encefalico, del sistema limbico e dei lobi frontali. La scoperta che la stimolazione della sostanza grigia periacqueduttale mesencefalica (PAG) generava un potente effetto analgesico fu un passo decisivo.40,41 Sulla base di ciò, si ipotizzò la presenza di recettori per la morfina nel sistema nervoso centrale umano e, infatti, tra gli anni Settanta e Novanta, furono isolati nell’uomo gli oppioidi endogeni (come dinorfina, endomorfine, endorfina, encefaline) e i recettori oppioidi μ (Mu), k (Kappa) e δ (Delta), da cui la teoria biochimica dei recettori oppioidi. 42 Un altro promettente settore di studi riguardava l’analgesia indotta dal cervello tramite l’effetto placebo. L’effetto viene definito come “un fenomeno psicobiologico che accade nell’encefalo del paziente a seguito della somministrazione di una sostanza inerte o un finto trattamento fisico come una procedura chirurgica simulata assieme a una suggestione Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 verbale (o ogni altro stimolo) di beneficio clinico”.43 Una serie di studi sostiene che il sistema oppioide connette la corteccia cingolata anteriore (ACC), l’amigdala del sistema limbico, la corteccia orbito-frontale e dorso-laterale della corteccia prefrontale al PAG, nel tronco encefalico, il quale modula l’attività della parte rostraleventro-mediale del midollo allungato (RVM) che a sua volta è connessa alle corna posteriori del midollo spinale.44-47 Questo sarebbe il sistema discendente ACC/PAG/RVM. Inoltre, questi autori dimostrano il coinvolgimento del sistema discendente ACC/ PAG/RVM nell’analgesia da placebo; l’effetto placebo, attivando il sistema oppioide, produce condizionamenti sul dolore, sull’apparato respiratorio e cardiocircolatorio48,49 riducendo così l’arousal psicofisica, l’attività del sistema nervoso simpatico e i relativi sintomi neurovegetativi, spesso presenti nel dolore cronico, come nella fibromialgia, nel “low back pain” o nella distrofia simpatica riflessa.50 Nel RVM sono stati identificati due tipi di cellula: le cellule “on”, attivabili da stimoli dolorosi e le cellule “off ”, de-attivabili da stimoli dolorosi ma attivabili dalla morfina.51 Il bilancio tra gli stati delle due popolazioni di cellule concorrerebbe a determinare l’effetto di controllo sul dolore da parte degli oppioidi endogeni. In condizioni di dolore neuropatico o infiammatorio tale modulazione discendente non lavorerebbe in senso antinocicettivo a causa di uno sbilanciamento in senso nocicettivo delle cellule del RVM che esacerberebbero il dolore.52 Il campo del placebo è oggi un settore attivo e produttivo nella ricerca e, a causa dei differenti meccanismi bio-psico-sociali implicati è considerato il “melting pot” dei concetti neuroscientifici.53 La teoria della neuromatrice: il significato “centrale” del dolore Tra la fine del Ventesimo e l’inizio del Ventunesimo secolo, lo psicologo canadese Melzack, prendendo spunto dalla propria teoria del cancello, propose un modello teorico più evoluto e maggiormente complesso, la teoria della neuromatrice,50,54-57 Questa teoria forniva una nuova cornice concettuale rispetto al dolore in generale e al dolore cronico nello specifico. Quattro riflessioni fecero da necessaria premessa: la percezione permanente del dolore localizzato in una parte del corpo che non c’è più, come nell’arto fantasma; l’assenza temporanea di percezione del dolore di fronte a obiettivi danni tissutali, come in certi traumi durante una reazione del tipo “flight or fight”; la presenza costante di dolore percepito in tutto il corpo accanto a sintomi neurovegetativi, distress, alto arousal psicofisico e assenza di franche condizioni mediche obiettivabili come accade nel dolore idiopatico tipo la sindrome fibromialgica; la percezione del dolore cronico localizzato propria delle neuropatie. L’autore descriveva il dolore come un’esperienza multidimensionale prodotta da un pattern di impulsi nervosi soggettivi, la “neurosignature” appunto, generati dalla matrice del Sé corporeo, una complessa rete neurale cerebrale ampiamente distribuita e ricorsivamente collegata. Gli input in questa matrice erano rappresentati da tre dimensioni: i fenomeni collegati all’aspetto sensoriale-discriminativo (la trasduzione e la trasmissione nocicettiva); i fenomeni riguardanti l’aspetto affettivo-motivazionale (le variabili emotive accanto a quelle limbiche, neuro-ormonali e immunitarie); gli aspetti cognitivo-valutativi (le variabili toniche come quelle culturali, educazionali, personologiche, accanto alle variabili fasiche, come l’attenzione, l’aspettativa, l’ansia, l’umore). Altre tre dimensioni rappresentavano gli output della neuromatrice: la percezione del dolore (un percetto integrato delle tre dimensioni appena elencate dell’input, ovvero cognitivovalutativa, motivazionale-affettiva e sensoriale-discriminativa); i programmi di azione (il comportamento involontario e volontario, le strategie di coping e la comunicazione sociale), i programmi omeostatici di regolazione dello stress (tutte le reazioni neuroormonali, immunitarie e del sistema oppioide endogeno). L’architettura di questa rete neurale, sebbene abbia una determinazione genetica, può modificarsi in funzione delle esperienze sensoriali.50 L’aspetto sensoriale-discriminativo del dolore sarebbe rappresentato dalle aree S1 e S2 della corteccia somatosensoriale, il cosiddetto “sistema laterale del dolore” o “nodo somatosensoriale”. L’aspetto affettivo sarebbe di natura limbica, il cosiddetto “sistema mediale del dolore” o “nodo affettivo”. Le varie parti anatomiche della neuromatrice, il talamo, la corteccia prefrontale e somatosensoriale, il sistema limbico, il sistema discendente ACC/PAG/RVM sono collegati tramite dei loop. Funzionalmente, tali loop lavorano sia in parallelo, per processare le informazioni di ingresso, sia in convergenza, per permettere una sintesi. La ripetizione di processi ciclici e di sintesi degli impulsi nervosi attraverso la neuromatrice pone in Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 essere la neurosignature. Continuamente emergente dalla matrice del Sé-corporeo, la neurosignature proietta, in “modalità biforcata”, il proprio pattern di impulsi, sia verso alcune aree cerebrali, dette centri neurali senzienti, in cui diviene un continuo e mutevole flusso di consapevolezza, sia verso la neuromatrice stessa al fine di attivare i neuroni spinali per elicitare il movimento muscolare, l’azione. La neurosignature è la percezione delle differenti qualità sensoriali provenienti dal corpo in un’unica e soggettiva unità-percetto. L’origine, lo sviluppo e la formazione di essa è la neuromatrice del Sé-corporeo, non gli input sensoriali per sé, i quali non la producono ma la stimolano. Questa teoria era in netto contrasto con gli approcci della specificità in cui si sosteneva un rapporto uno-a-uno tra input nocicettivo periferico ed esperienza dolorosa sulla base di un modello epistemologico causale-lineare. Concependo la neuromatrice come una rete che “interpreta” su basi genetiche modulate dal vissuto soggettivo, interposta tra l’ambiente e la consapevolezza, si possono meglio comprendere fenomeni come l’allodinia, l’iperalgesia, la sensitizzazione centrale e le neuroplasticità encefaliche e spinali associate. La teoria della matrice del dolore Attualmente, c’è una tendenza a interpretare la neuromatrice come sostrato neurale necessario ma esclusivo per la percezione del dolore, approdando così al concetto di matrice del dolore.58-65 La questione riguarda l’esclusività o meno di tali strutture per il dolore sebbene per Melzack la percezione del dolore rappresentasse una delle proprietà emergenti dalla 35 neuromatrice stessa. In una review di recente pubblicazione Iannetti e Mouraux argomentano che così come sono concepite oggi, le strutture coinvolte nella matrice del dolore non sarebbero specifiche per la nocicezione.66 Sembrerebbe non esserci nessuna specificità circa il percetto del dolore qui, la “pain neurosignature” sarebbe un aspetto del “body-self ”. La matrice del dolore apparirebbe una deviazione dal concetto originale, un riaffioramento, in chiave contemporanea, della teoria delle specificità. Inoltre, gli autori avanzano l’ipotesi che la salienza di una qualsiasi informazione sensoriale, cioè la capacità che l’input ha di competere col background di informazioni in cui è inserito e di imporsi, sarebbe in ultima istanza la qualità determinate affinché uno stimolo provochi il percetto dolore.67 Le caratteristiche della salienza sono la novità, la non conoscenza, la mancanza di pregressa esperienza rispetto a un input sensoriale. Le risposte cerebrali a stimoli nocicettivi non proverrebbero da attività cerebrali specifiche per la nocicezione bensì da attività cerebrali equamente coinvolte nel processo della salienza dell’input sensoriale nocicettivo e non nocicettivo. Parti delle strutture cerebrali, proprie di questa matrice neurale, sarebbero dedicate alla salienza dell’input, a prescindere dal fatto che l’informazione provenga dalle vie nocicettive o sia soltanto percepita come dolore. Riabilitando l’utilizzo in senso originario della body-self neuromatrix di Melzack, si rimetterebbe in gioco la dimensione psicologica, del rapporto stress-dolore e dei processi omeostatici, quella dell’adattabilità al contesto ambientale e del significato attribuito dal 36 soggetto allo stimolo e al contesto.Disturbi da dolore idiopatico e sindromi da sensitività centrale: la sensitizzazione centrale. Negli ultimi vent’anni, sia nelle ricerca, sia nella clinica, è stato sottolineato che diverse sindromi croniche con dolore e disturbi funzionali abbiano in comune una serie di manifestazioni sintomatologiche e cliniche fondamentalmente raggruppabili in due ampie dimensioni: anormalità sensoriali associabili a disturbi dell’equilibrio vegetativo-autonomico, dell’attività motoria viscerale, delle funzioni neuroendocrine e del sonno e anormalità affettive associabili alle alterazioni dell’umore, all’aumento dell’ansia, della paura, dell’angoscia, delle somatizzazioni e di una minore resilienza all’impatto ambientale così come una maggiore inclinazione allo stress.68 Nomenclature come disturbo da dolore idiopatico69 così come somatizzazione, dolore psicosomatico, funzionale,70 sindrome somatico funzionale,71 sindromi medicalmente non spiegabili,72,73 postulano un continuum di condizioni mediche complesse dove il dolore rappresenta la maggiore lamentela clinica, la quale, però, appare sproporzionata a una obiettività medica. Il concetto di disturbo da dolore idiopatico69 comprende in tale dimensione condizioni come la sindrome fibromialgica, la sindrome temporo-mandibolare, le cefalee croniche, il ‘low back pain’, il dolore pelvico cronico, la cistite interstiziale, la vestibulite vulvare, il tinnitus cronico e la sindrome da colpo di frusta. Tale approccio permette una lettura capace di collegare le molteplici manifestazioni cliniche e sintomatiche di tali sindromi, altrimenti descritte come sintomi associati o comorbidità.68 Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 Questi fenotipi clinici sono associati a fenomeni come l’amplificazione del dolore e il distress psicologico, i quali sarebbero mediati dalla variabilità genetica individuale e dall’esposizione, sia passata che presente, agli eventi ambientali.69 Secondo Yunus tali categorie non chiarirebbero abbastanza i meccanismi fisiopatologici sottesi, così come le similitudini cliniche delle sindromi in esame e, proseguendo l’analisi critica, avanza il paradigma di “sindromi da sensitività centrale” (CSS) proponendo la “sensitizzazione centrale” (CS) come uno dei suoi meccanismi caratterizzanti.70-72 La sensitizzazione centrale, come processo di apprendimento non-associativo in cui ripetute somministrazioni di uno stimolo causano una progressiva amplificazione della risposta del SNC, darebbe ragione di fenomeni tipici come l’allodinia, l’iperalgesia, l’incremento del campo ricettivo e l’abbassamento delle soglie del dolore e il prolungato firing neuronale e la sensazione di dolore che permangono per molto tempo dopo un stimolo-insulto.73 L’autore comprende nelle sindromi da sensitività centrale la sindrome fibromialgica, la sindrome da fatica cronica, la sindrome dell’intestino irritabile, le cefalee tensive, l’emicrania, i disturbi temporomandibolari, la sindrome del dolore miofasciale, la sindrome delle gambe senza riposo, la sensibilità chimica multipla, la dismenorrea primaria, la cistite interstiziale, il disturbo post-traumatico da stress, sarebbero, a vario livello, caratterizzate dalla presenza della CS. Cause e concause della CSS sarebbero la co-occorrenza di alcuni polimorfismi genetici, una iperreattività del sistema ortosimpatico o una ipoattività del parasimpatico, una disfunzione nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con ipocortisolemia associata, fattori psicologici, stress, infezioni, infiammazioni, traumi, disturbi del sonno e fattori ambientali percepiti intrusivamente.70 CONCLUSIONI: IL FUTURO DEGLI STUDI SUL DOLORE Dal punto di vista dell’evoluzione delle teorie sul dolore oggi le cose sono molto diverse rispetto ai primi approcci scientifici. Il SNC non è più considerato un recipiente passivo delle afferenze nocicettive provenienti dalla periferia bensì un complesso network neurale che processa e modula le informazioni. Come è stato argomentato, le informazioni nocicettive non sono più viste come la condizione necessaria e sufficiente affinché si esperisca dolore, soprattutto nel dolore cronico. Infine, non sembrerebbe esistere un centro per il dolore cerebrale, piuttosto molteplici reti neuronali integrate in una neuromatrice che, sinergicamente, producono l’esperienza del dolore. Melzack39 sostiene che all’inizio del Ventunesimo secolo figurano diverse ragioni per essere ottimisti riguardo il futuro della ricerca e della terapia del dolore. Anzitutto, l’utilizzo sempre più evoluto delle tecniche di neuroimaging confermerebbe sempre più la presenza di un network neurale complesso e aspecifico come generatore di dolore caratterizzato da una moltitudine di input e output. Queste scoperte stanno inoltre indirizzando la ricerca verso l’integrazione dei fenomeni neuro-endocrino-immunitari, in quanto finalizzati alla difesa della omeostasi dopo il distress associato a traumi e patologie. In secondo luogo, lo studio dei meccanismi modulatori sovraspinali e spinali potrebbe ulteriormente integrare le strategie modulatorie top-down con le conoscenze provenienti dal campo dell’evoluzione filogenetica e ontogenetica cerebrale. Infine, la conoscenza della genetica dello sviluppo dell’encefalo sta rapidamente aumentando accanto alla crescente moltitudine di componenti del DNA identificati e associati al dolore. L’inevitabile convergenza di questi approcci verso ulteriori conoscenze circa le funzionalità encefaliche, secondo l’autore, guiderà auspicabilmente al sollievo del dolore e della sofferenza delle persone. Ormai è palese la necessità di un approccio multidisciplinare e critico per il futuro degli studi sul dolore. Sappiamo ancora molto poco sul dolore cronico, il quale non sarebbe più un campanello di allarme o un sintomo diretto, bensì un fenomeno autoreferenziale, che si è emancipato dalle concause sottostanti, divenendo esso stesso una patologia. Il concetto di “sofferenza”, a questo punto, rappresenterebbe un aspetto imprescindibile sia per la ricerca sia per la clinica. Ricongiungendo la dimensione psicologica a quella sensoriale-nocicettiva, gli attuali paradigmi del dolore conferiscono piena dignità alla sofferenza e al vissuto soggettivo. Si rende perciò necessaria l’implementazione nell’odierno paradigma del dolore di diversi costrutti psicologici capaci di analizzare il vissuto relazionale e affettivo, le emozioni e gli stili di coping del paziente con dolore cronico. A riprova di ciò, la clinica del dolore insegna che “l’abolizione della Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 sola componente nocicettiva potrebbe non essere sufficiente a far dire al paziente che non ha più dolore. Egli continuerà a lamentarsi, e alla domanda riduttiva del curante, focalizzata sulla scomparsa del sintomo dolore, risponderà di esserne ancora affetto, essendo fusi, nella mente del malato, il concetto di dolore sintomo e dolore malattia (sofferenza). Il dolore diviene in questo caso una modalità comunicativa di richiesta d’affetto”.8 BIBLIOGRAFIA 1) Illich I. Medical nemesis. The Lancet 1974; 303 (7863): 918-921. 2) Stephenson J. Veterans’ pain a vital sign. The Journal of the American Medical Association 1999; 281 (11): 978-978. 3) Lynch M. Pain as the fifth vital sign. Journal of Infusion Nursing 2001; 24 (2): 85-94. 4) Jackson M. Pain: The fifth vital sign. London: Bloomsbury Publishing 2003. 5) Mularski RA, White-Chu F, Overbay D, Miller L, Asch SM, Ganzini L. Measuring pain as the 5th vital sign does not improve quality of pain management. Journal of General Internal Medicine 2006; 21 (6): 607-612. 6) Bonica JJ. The management of pain. Lea & Febiger Philadelphia 1954. 7) Mannion RJ, Woolf CJ. Pain mechanisms and management: a central perspective. The Clinical Journal of Pain 2000; 16 (3): S144-S156. 8) Montrone V. Dolore e sofferenza. In: Molinari E, Castelnuovo G. Psicologia clinica del dolore. 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Up to dating UNA FAMIGLIA DI PROTEINE DI MEMBRANA CON POSSIBILI POTENZIALITÀ TERAPEUTICHE A MEMBRANE PROTEIN FAMILY WITH HIGH POTENTIAL FOR SUITABLE THERAPIES Francesco Amato Direttore UOC Anestesia, Terapia del Dolore, CP e Dipartimento di Emergenza Azienda Ospedaliera Cosenza RIASSUNTO L’autore presenta un excursus sui risultati, ottenuti con tecniche avanzate, in studi su una famiglia di proteine di membrana: i recettori accoppiati alle proteine G (GPCR) posizionati sulla superficie delle cellule con ruoli essenziali in molti processi fisiologici. In dettaglio vengono descritte le ricerche mirate a identificare i meccanismi biologici, genetici, molecolari del gruppo di GPCR con ligandi oppioidi con particolare attenzione al recettore m (MUR), un sito di legame elettivo per gli oppioidi con potenti effetti analgesici. Si formula l’ipotesi che sulla base dei risultati già ottenuti si possano sviluppare nuove terapie con minori effetti collaterali e maggiori vantaggi per i pazienti. SUMMARY The author presents an excursus of the results, obtained using advanced techniques, in researches on a membrane protein family, the G protein-coupled receptors (GCCP), that are localized on the cell membrane ad have a crucial role in many physiological processes. In detail studies aimed to identify mechanisms, biologial, genetic and molecular, of the GCPR group with opioid ligands, with particular attention to the m-receptor, elective for the opioids with strong analgesic effects, are reported. The hypothesis is put forward that, on the basis of the already obtained results, new analgesic therapies with less undesired effects and more advantageous for the patients can be developed. Parole chiave GPCR, proteine di membrana, recettori m-oppioidi Key words GPCR, membrane protein, m-opioid receptors Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 39 I recettori accoppiati alle proteine G GPCR (G Protein Coupled Receptor) svolgono ruoli essenziali in vari processi fisiologici. Essi sono classificati in una famiglia proteica molto varia per struttura e funzione e i suoi membri, per la loro posizione strategica sulla superficie delle cellule e il loro coinvolgimento nei processi cellulari e fisiologici fondamentali, sono tra gli obiettivi più studiati per lo sviluppo applicativo di nuovi farmaci.1,2 In particolare, nei mammiferi essi sono stati distinti cinque principali famiglie quali: glutammato, rodopsina, adesina, frizzled e secretina secondo la classificazione GRAFS.3,4 Essi svolgono un importante ruolo nella trasduzione del segnale e nella risposta cellulare agli stimoli extracellulari. Le ricerche sui meccanismi molecolari alla base dei GPCR sono state ostacolate dalla limitata solubilità e difficoltà di isolare quantità sufficienti di recettori funzionali, difficoltà causate in parte dal gran numero di residui idrofobici transmembrana.5 Durante gli ultimi anni di studi e di ricerca, la cristallografia dei GPCR ha conosciuto una crescita esponenziale con la determinazione di sedici distinte strutture recettoriali, nove delle quali sono state determinate nel solo anno 2012; di queste, il 12 per cento approssimativamente sono in relazione alla superfamiglia GPCR umana. Tecniche biochimiche e biofisiche, come la risonanza magnetica nucleare e di scambio idrogeno-deuterio accoppiate alla spettrometria di massa, stanno fornendo approfondimenti inerenti al ligando in relazione a un equilibrio dinamico tra i suoi diversi stati funzionali. Recenti osservazioni, anche mediante tecniche ad alta riso- 40 luzione, hanno permesso di rivelare come i recettori allosterici si possano paragonare a delle macchine che sono controllate non solo dai ligandi, ma anche dagli ioni, dai lipidi, dal colesterolo, e dalle stesse molecole di acqua. Questa ricchezza di dati sta aiutando a ridefinire la nostra conoscenza di come GPCR riconosca una tale gamma diversificata di ligandi e come si trasmettano i segnali in 30 angstrom attraverso la membrana cellulare; inoltre questi dati iniziano a far luce sulla modulazione allosterica delle suddette proteine.6,7 Il recettore μ (MUR) è un recettore accoppiato alla proteine G (GPCR) e costituisce il sito di legame elettivo per gli oppioidi, molti dei quali, come la morfina, sono potenti analgesici ampiamente utilizzati per il trattamento del dolore maligno e non.8 Il consumo di oppiacei è cresciuto a dismisura negli ultimi anni,7-9 e al recettore mu sono stati collegati molti dei suoi effetti collaterali noti, tra cui la dipendenza, la depressione respiratoria eccera.6,7 L’attenzione per la loro posizione strategica sulla superficie delle cellule si sta quindi focalizzando su due fronti: 1 - sui meccanismi molecolari che regolano la funzione dei GPCR e che rimangono da approfondire grazie alle indicazioni ottenute di recente da diverse strutture cristalline ad alta risoluzione. Gli sviluppi tecnologici si sono soprattutto focalizzati sulla stabilizzazione e la cristallizzazione di questi recettori che hanno portato a significative innovazioni nella determinazione della struttura dei GPCR. La stabilizzazione del recettore è stata effettuata mediante l’impiego di una tecnica combinata Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 di cristallizzazione lipidica in fase cubica (LCP).10,11 Altri studi strutturali si sono soffermati sulla messa a punto di modulatori allosterici, che sembrano essere le molecole di acqua, gli ioni sodio e i lipidi/colesterolo, tutti coinvolti nella stabilizzazione delle GPCR.12 La creazione di varianti solubili in acqua dei GPCR costituisce un potenziale metodo per superare le difficoltà di indagine. 2 - Il secondo fronte di studio è costituito dalla sostanziale necessità di identificare i meccanismi biologici genetici e molecolari che mediano le risposte individuali per la terapia degli oppioidi. Recenti scoperte mostrano che le variazioni genetiche del locus genico per il recettore μ-oppioide (OPRM1) svolgono un ruolo essenziale nelle inter-risposte individuali. La maggior parte degli studi di associazione genetica si sono concentrati sul polimorfismo A118G, che codifica per un cambiamento (non-sinonimo) in OPRM1 a livello dell’esone 1. Futuri studi clinici cercheranno di identificare le varianti genetiche funzionali all’interno del locus OPRM1 e dei meccanismi molecolari associati; ciò si tradurrà in una migliore comprensione delle risposte individuali alla terapia oppioide e in un nuovo sviluppo farmacoterapeutico e di strumentazione diagnostica.13-18 Comprendere i cambiamenti conformazionali che avvengono in queste proteine quando un ligando si lega e attiva il recettore o le variazioni genetiche correlate alla suddetta proteina recettoriale dovrebbe agevolare lo sviluppo di potenziali farmaci con minori effetti collaterali e proprietà farmacologiche più favorevoli. 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Ho visto Filippo per la prima volta nel 2002, quando arrivò ai corsi Isal con il suo carico di valigie che voleva riempire di sapere. Che fosse un uomo deciso e caparbio nel suo amore per la scienza del dolore fu evidente dall’attiva partecipazione e dalla successiva capacità di costruire, a fine corso, la sezione ISAL Sicilia; con la stessa decisione e con tutto il suo gentile e bonario carisma sostenne la nascita di Federdolore e ne facilitò l’approdo nella nuova Federdolore-Sicd. Mi ricordo il suo sorriso spuntare dietro le quinte: se oggi ripercorriamo i momenti più importanti del nostro frastagliato universo di battaglie per dare un senso di disciplina al nostro lavoro, scopriamo che Filippo c’è sempre stato; magari dietro, un po’ in disparte, ma sempre presente. Gli era naturale esserci … “Filippo, vieni su a Milano per la…” “Vieni a Roma per il…” Così come per noi era una gioia andare nella sua Taormina, dove ci riempiva di delizie, dalla granita al gelso ai cannoli con la ricotta, gustati nei meriggi di sole declamando le virtù di uno dei tanti amici; sì perché Filippo era pieno di amici, come il mitico Victor, gestore del ristorante meno Vip del paese, ma dove potevi assaggiare le più raffinate golosità di quella bellissima terra, nel suo amatissimo paese, Gianpilieri. Un uomo di forti sentimenti che cercava gli affetti sinceri, quelli che 42 richiedono la capacità di essere uomini di parte e giammai di opportunismo. Era un professionista severo con se stesso e cercava quel sapere che talora temeva gli mancasse; per questo, per anni, si è imposto i numerosi viaggi nel “Continente“ per partecipare a corsi e riunioni, nonostante i disagi della sua malattia: mi fa tenerezza ricordarlo, un giorno mentre si correva a prendere il treno a Milano: affranto e affaticato mi disse: “Vai William, vai, che questa maledetta gamba non mi sorregge” Mi sono fermato, rattristato nel vedere come, nonostante la fatica fisica, desiderasse inseguire i ritmi della scienza. Filippo amava il nostro gruppo ed era triste se vedeva che qualcosa si incrinava, che non tutto era perfetto. Ma il suo sogno lo ha realizzato: nelle numerose difficoltà, a piccoli passi, nel suo ospedale, con il primo ambulatorio, la scuola, la società e l’impegno nelle piazze si è battuto per creare a Taormina un Centro di eccellenza. Filippo ci sei riuscito: un mese prima di morire! Hai lasciato questo dono a chi soffre; lo ricorda bene in questa sua umana disponibilità ad ascoltare i semplici il suo amico Guido, che lo ha visto negli ultimi giorni mentre, sofferente, rincuorava un paziente affetto da dolore da cancro. E noi ti diciamo che non tradiremo la tua speranza: al dolore sapremo dare cura e della tua amicizia sapremo onorarne la memoria. Ciao Filippo, buon viaggio nel sogno. Volume 20 Pathos Nro 3, 2013 Sistema SCS Precision Plus™ © 2012 Boston Scientific Corporation o sue affiliate. Tutti i diritti riservati. Tutti i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari. ATTENZIONE: La vendita del dispositivo è subordinata alla prescrizione di un medico. Indicazioni, controindicazioni, avvertenze e istruzioni per l’uso sono riportate nell’etichetta del prodotto e nel DFU fornito in ogni confezione. Informazioni per l‘uso nei soli paesi con registrazione dei prodotti da parte dell‘autorità sanitaria competente. Stampato in Germania da medicalvision per conto di Boston Scientific S.p.A., con sede legale in Milano, Viale E. Forlanini 23. C OMITATO S CIENTIFICO MASSIMO ALLEGRI federDolore FRANCESCO AMATO Società Italiana dei Clinici del Dolore FILIPPO BELLINGHIERI LAURA BERTINI GIUSEPPE CILIBERTO SERGIO CHISARI LAURA DE MARTINI PASQUALE DE NEGRI LEONARDO CONSOLETTI GUIDO FANELLI Congresso Nazionale GIANPAOLO FORTINI SERGIO MAMELI RITA MELOTTI VINCENZO PALMIERI ALFONSO PAPA QUIRINO PIACEVOLI GIOVANNI MARIA PISANU WILLIAM RAFFAELI ROMA VILLA PICCOLOMINI Presidente Francesco Amato Meetings & Events 3-5 OTTOBRE 2013 Segreteria Organizzativa: Fedra Congressi Viale dei SS. Pietro e Paolo 23, Rome 00144, Italy Tel +39-06-52247328 Fax +39-06-5205625 [email protected] www.fedracongressi.com