Questioni aperte
Insegnare il Novecento e salvare i
classici: missione impossibile?
Parte III: la periodizzazione del
Novecento
di Guido Baldi
Dopo aver affrontato il problema del canone, resta ancora quello della periodizzazione. In primo luogo,
quando fare iniziare il Novecento: con Pascoli e D’Annunzio oppure con Pirandello e Svevo, il “Leonardo”,
i futuristi, i crepuscolari, i vociani? Il che presuppone che ci si metta d’accordo su che cosa sia il
“Novecento”, che si trovi una definizione capace di delineare la fisionomia di quel periodo storico così
chiamato. È sempre bene ricordare, specie agli allievi, portati di solito a schematizzare, che il corso
storico è un continuum in cui non si possono fissare confini netti, che le epoche storiche non sono entità
discrete, e quindi elementi che precorrono un’epoca nuova si possono sempre trovare già nell’epoca
precedente, e d’altro canto in quella nuova sopravvivono di regola aspetti del passato. Ciò premesso, si
tratta di assumere convenzioni condivise, che però abbiano un minimo di fondamento oggettivo,
nell’individuazione di momenti di svolta importanti. Si può allora identificare il Novecento con la
modernità, cioè con la clamorosa rivoluzione scientifica e tecnologica che nel giro di pochi anni, tra la fine
dell'Ottocento e i primi del nuovo secolo, ha trasformato profondamente i modi di vivere e di pensare dei
paesi avanzati, insieme con le nuove forme della produzione (in Italia all’inizio del Novecento si ha la
prima vera rivoluzione industriale) e con l’avvento della società di massa. Tutti cambiamenti che hanno il
corrispettivo in un cambio di “paradigma”, in una rottura epistemologica: la nascita della teoria della
relatività, della fisica quantistica, e, nel campo delle scienze umane, della psicanalisi.
Con quale autore fare iniziare il Novecento?
Scrittori come Pascoli e D’Annunzio, a cavallo fra i due secoli, rivelano già forme di coscienza della nuova
dimensione della vita e adottano tematiche e soluzioni formali che forniranno spunti agli scrittori
successivi; si sono però formati e restano all’interno di un giro di orizzonte culturale anteriore a questa
grande trasformazione (si tenga presente che alla svolta del secolo Pascoli ha già quarantacinque anni e
D’Annunzio trentasette, ed entrambi hanno all’attivo il meglio della loro produzione). Per cui, più
propriamente, ci sembra che il Novecento letterario possa esser fatto iniziare con Pirandello (il 1904 del
Fu Mattia Pascal è una data fondamentale per il rinnovamento del romanzo rispetto agli schemi
naturalistici ottocenteschi), con Svevo e le avanguardie letterarie di inizio secolo, che possono trovare
riscontro nelle avanguardie artistiche e musicali; tenuto conto che ormai, nell’esame dei fenomeni
culturali, bisogna aver presente un quadro sovrannazionale, data l’intensità e la velocità degli scambi.
Il nome del secolo
Tuttavia, una volta individuato un confine per il periodo, si pone anche l’esigenza di dare a esso un nome.
Il Novecento è l’unica epoca della storia culturale che resta ancora contrassegnata con la pura indicazione
del contenitore cronologico, mentre per tutte le altre epoche è consolidato l’uso di denominazioni come
Medioevo, Rinascimento, Barocco, Illuminismo, Romanticismo, Decadentismo (un tempo si estendeva la
categoria di Decadentismo al Novecento, come dimostrano le opere di Binni, Salinari, De Castris, mentre
oggi la tesi appare superata). Ebbene (valga quanto può valere la proposta), se a caratterizzare l’epoca è
l’esplosione della modernità, che sostanzia una nuova visione del mondo, si potrebbe adottare per buona
parte del Novecento letterario e artistico la denominazione di Modernismo. È una categoria da tempo
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largamente diffusa nella cultura anglosassone, a indicare autori come Joyce, Pound, Eliot, la Woolf,
Proust, Kafka, che hanno rivoluzionato la scrittura letteraria, e da noi sta accendendo un vivo dibattito:
basti ricordare il n. 63 del 2011 della rivista “Allegoria”, a essa dedicato, e il volume collettivo Sul
Modernismo italiano, curato da Romano Luperini e Massimiliano Tortora (Liguori, Napoli 2012). Il nome
renderebbe giustizia alle grandi innovazioni tematiche e formali della letteratura novecentesca e si
collegherebbe a un’altra categoria ormai entrata nell’uso, quella di Postmodernismo, periodo che per la
letteratura italiana viene fatto iniziare all’incirca dagli anni ottanta e che non pare ancora esaurito. Certo
non tutti i fenomeni presenti nei primi decenni del secolo rientrerebbero a rigore nella categoria di
Modernismo, ma anche la denominazione Romanticismo copre un periodo in cui si riscontrano tante
tendenze diverse, a volte contrastanti: l’importante è assumere come filo conduttore quella dominante.
Le date di svolta del secolo
Si apre poi il problema della periodizzazione interna al Novecento. Tradizionalmente, nella storiografia
letteraria si propongono come grandi spartiacque le due guerre mondiali. Luperini invece, nel suo
Novecento (Loescher, Torino 1981), ha contestato questa periodizzazione, contrapponendole una propria
periodizzazione molto innovativa, che individua come date di svolta il 1925 e il 1956, e che vale la pena
prendere in considerazione. Il 1925, osserva il critico, sul piano politico ed economico segna lo
stabilizzarsi del fascismo come dittatura e l’avvio dell’interventismo statale nell’economia, che anticipa la
politica seguita poi da tutti gli stati capitalistici dopo la crisi del 1929. Sul piano letterario, la guerra non
determina fondamentali cambiamenti nelle forme espressive: i primi anni venti vedono chiudersi l’epoca
delle avanguardie, finisce il periodo eroico del Futurismo, nel 1919 era apparso Allegria di naufragi,
escono ancora Tre croci (1920) e Il podere (1921), Sei personaggi in cerca d’autore (1921), La coscienza
di Zeno (1923), la versione definitiva dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore e Uno nessuno e
centomila (1925), Ossi di seppia (1925), “La ronda” chiude un periodo, cristallizzando in prosa d’arte il
frammentismo vociano. Mentre nel 1926 esce “Solaria”, che inaugura la “società delle lettere” chiusa in
se stessa, che caratterizzerà gli anni trenta, e, esauritosi il frammentismo, ricomincia anche la produzione
di romanzi con Gli indifferenti (1929), che danno il via al boom del decennio successivo.
Per quanto concerne il secondo periodo, secondo Luperini il 1945 non rappresenta una frattura né sul
piano economico né su quello letterario: prosegue infatti in Italia l’interventismo statale in economia e,
d’altro lato, vi è una continuità con il realismo degli anni trenta, nei quali già erano attivi i maestri,
Vittorini, Pavese, Moravia, Pratolini, Silone, già si parlava di “impegno” e si registravano tendenze
populistiche. La rottura netta si ha invece con il 1956-1957: nel ’56 esce Laborintus di Sanguineti, nel ’57
Le ceneri di Gramsci di Pasolini (e già nel ’55 Ragazzi di vita); sempre nel 1957 il Pasticciaccio di Gadda,
nel ’56 inizia a uscire “Il verri”, da cui nascerà la neoavanguardia, e nel ’57 Pasolini teorizza il
neosperimentalismo su “Officina”. Il 1956 è anche l’anno del XX Congresso del PCUS, in cui Khruščiov
denuncia i crimini di Stalin, nonché delle rivolte in Polonia e Ungheria, tutti fatti che incidono
profondamente sulla cultura di sinistra, che era egemone nel paese; comincia poi a delinearsi il boom
economico, destinato a trasformare la vita degli italiani.
Ora, per le ragioni addotte da Luperini, il 1925 come data di avvio di una nuova fase storica appare per
certi versi accettabile; tuttavia, d’altro lato, non si può sottovalutare l’incidenza a tutti i livelli di un
trauma devastante come quello provocato dalla Prima guerra mondiale, che ha avuto conseguenze
gravissime sulla vita nazionale e ha certamente segnato la fine di un’epoca, o per lo meno l’inizio della
fine: difatti proprio l’affermarsi del fascismo ne è una conseguenza diretta. Per questo motivo, anziché
adottare una precisa data come confine di un nuovo periodo, sarebbe più opportuno parlare di un
processo, che ha occupato un intero decennio, dall’entrata in guerra nel 1915 sino al 1925, e in cui sono
maturate gradualmente tutte quelle trasformazioni.
Anche l’importanza della Seconda guerra mondiale come spartiacque storico non può essere sminuita:
benché effettivamente delle linee di continuità rispetto agli anni trenta si possano ravvisare, sia sul piano
politico-economico sia su quello culturale, è indubbio che l’atmosfera lasciata dal crollo del regime
fascista e dalla Resistenza ha improntato fortemente di sé gli anni dell’immediato dopoguerra in Italia,
proponendo temi nuovi e suscitando nuove energie negli intellettuali: basti pensare a uno scrittore
umbratile come Pavese, che in quel periodo aderisce al Partito comunista, scrive articoli sull’“Unità” e
pubblica un romanzo come Il compagno. Certo che poi, dal ’56, l’avvio del boom e la comparsa di istanze
sperimentali e neoavanguardistiche hanno costituito una svolta che ha segnato il corso successivo della
cultura italiana. Anche il ’68, con i suoi riflessi sul costume, e i cosiddetti “anni di piombo”, con quanto
hanno significato per la letteratura, hanno le loro premesse in quella svolta. Il Novecento di Luperini è
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datato 1981 e si arresta nelle sue analisi al 1979. Sono passati più di trent’anni, e ora noi possiamo
individuare un’altra svolta importante, tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta all’incirca,
determinata dalla rivoluzione informatica e dalla globalizzazione economica, i cui effetti sulla letteratura
sono ancora in fieri, sotto i nostri occhi.
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Parte III: la periodizzazione del Novecento