ANNO NUMERO V 51 il giornale è anche sul sito www.williamdimarco.it AGOSTO 2015 E-mail: [email protected] Approfondimenti culturali e analisi storica Chorus periodico edito dall’associazione culturale Cerchi Concentrici Promotor - Reg. Tribunale di Teramo n° 641/2010 del 30-12-2010 Direttore Responsabile: William Di Marco - fax. 085.893.34.05 - Stampa: Tipolitorosetana Roseto degli Abruzzi: fenomenologia di una crescita La nascita di Roseto, avvenuta con un atto notarile il 22 maggio 1860, è la data di partenza di una comunità che nel corso del tempo ha trovato alcuni punti aggreganti, capaci di caratterizzarne la vita sociale di William Di Marco I NUMERI TONDI - Centocinquantacinque anni fa nasceva Roseto degli Abruzzi. Non è che sia, come numerazione, una ricorrenza da sottolineare, perché le grandi feste per avvenimenti del genere solitamente hanno cadenze da cinquant’anni in su, soffermandosi di più quando di mezzo c’è il secolo. Per tale motivo sono ancora presenti in noi i bei festeggiamenti del 2010 per i centocinquant’anni tondi in cui le iniziative furono diverse, alcune di grande importanza rievocativa e storica. Tuttavia tre eventi dello scorso luglio (“Serata Gigino” in ricordo dell’operato di Luigi Braccili e di Paolo Bruni, la presentazione del libro “I Ricordi di Eidos - II serie” e la proiezione del film “Roseto e le sue storie” sulla storia della Città delle Rose) hanno fatto tornare al centro dell’attenzione lo snodarsi delle vicende storiche di questa parte d’Abruzzo. Per poterne capire l’importanza bisognerebbe ripercorrere le tappe salienti dal punto di vista cronachistico e fare anche un parallelo con le vicende storiche nazionali. È ciò che viene chiamata microstoria che si incunea nella macrostoria, per dare un senso molto più completo a delle vicende locali, che altrimenti sarebbero collocate solamente dentro un principio di rievocazione, spesso legate a curiosità e a un poco scientifico passaparola orale. Tuttavia questo percorso storiografico per forza di cose (non ultimo di spazio) lo tralasciamo, rinviando il lettore a cercare pubblicazioni che hanno trattato più dettagliatamente tale aspetto. In questa sezione ci interessa maggiormente capire sotto il profilo fenomenologico e sociologico il perché di una crescita così importante avvenuta sulla sponda nord del fiume Vomano e quali sono state le caratteristiche che hanno portato Roseto a uno sviluppo diverso (non migliore o peggiore) dei comuni limitrofi. Per tale motivo spesso gli storici si soffermano sulla microstoria, cercando di superare concetti campanilistici, sovente inventati, che per secoli hanno tenuto a battesimo opere di storia locale in cui si favoleggiava più che fare ricerca archivistica e contenutistica. continua a pag. 2 La Via Francigena. Da Siena a Roma in bicicletta Una estate di tanti anni fa Dal Rinascimento dei Medici alla terra dei papi. Pubblichiamo la seconda parte di questo viaggio affascinante e pieno di spunti religiosi e culturali Il tergicristallo della Giulia batteva regolare controvento. Al bambino piaceva quel tac tac delle gocce sulla carrozzeria: gli dava un senso di protezione. L’aria era allegra sull’auto... di Paolo Nocelli* di Ugo Centi* Viaggiare piace a tutti. È bello viaggiare comodamente, ma è molto più interessante farlo con una certa libertà, con spirito di avventura e divertendosi. Da un po’ di tempo pensavo con interesse di fare il “Cammino di Santiago” che attira gente da tutto il mondo. È stato quindi del tutto naturale prendere in considerazione la “Via Francigena” che più di un’alternativa al “Cammino” rappresenta il fulcro delle antiche “vie della fede” che nel medioevo venivano percorse per motivi religiosi e non. Dante Alighieri nella “Vita Nova” parla di tre grandi vie di pellegrinaggio: a) una diretta a Santiago de Compostela, vi transitavano i “pellegrini” (il luogo più lontano, più peregrino), il simbolo era rappresentato dalla conchiglia; b) una diretta a Roma, i pellegrini erano detti “romei”, il loro simbolo era la chiave; c) una, passando per S. Michele Aveva giocato tutto il pomeriggio spensierato quel bambino. La sera si partiva per il mare. Era il 28 giugno 1971. Verso le 18, ecco la potente Giulia 1600 del papà, con quei fari gialli supplementari che la facevan sembrare da rally! Pan pan, due colpi di clacson al cancello. Il bagagliaio già carico. Ma alla mamma non piacevano le curve delle “Capannelle”, specie se pioveva; e quella sera d’estate era piovosa: meglio passare da Pescara. E così via lungo la piana dei Navelli: strada stretta e dritta come una riga nel verde. Con ogni tanto una tabella di pietra con la scritta bianca in fondo blu: “Abruzzo aquilano”. Il tergicristallo della Giulia batteva regolare controvento. Al bambino piaceva quel tac tac delle gocce sulla carrozzeria: gli dava un senso di protezione. L’aria era allegra sull’auto. continua a pag. 3 continua a pag. 4 Roseto degli... segue da pag. 1 I ASPETTO: LA PARROCCHIA DI SS MARIA ASSUNTA - Se si va un po’ più a fondo alle vicende legate alla nascita de “Le Quote” - cioè il primo borgo che prese corpo a partire da quel 1860 e che durò fino al 1887, quando avvenne il cambio del nome in Rosburgo - si capisce come la focalizzazione deve per forza cadere sull’allora nascente chiesa. Già dal 1965 il luogo di culto dedicato a S. Filomena venne eretto, anche per precisa disposizione della Chiesa Ricettizia di Montepagano, proprietaria di quelle quote che furono divise in dodici parti e vendute a famiglie benestanti della provincia. L’inaugurazione avvenne il 18 luglio 1868, ma la svolta importante si ebbe grazie al maggior benefattore del tempo, il più grande munifico che la cittadina avrà. Giovanni Thaulero a fine ‘800 capì l’importanza di aggregare i residenti del locale borgo di pescatori e di piccoli coltivatori intorno a una chiesa più grande, che avesse un ruolo centrale nella crescita sia religiosa sia culturale dei cittadini. Il nuovo edificio fu costruito una cinquantina di metri più a Nord (dove insiste ora) ed ebbe una caratteristica diversa dai luoghi di culto del tempo. Intanto a volerlo fu un privato, cioè quel Thaulero che aveva un ruolo attivo nell’organizzazione del villaggio collocato nella marina di Montepagano. Si accorse subito che lo sviluppo del sito era esponenziale e pertanto, a spese proprie, istituì un club, chiamato rosburghese, che servì a creare l’humus determinante per le iniziative ricreative e culturali. Volle anche un mercato della frazione e s’impegnò affinché non chiudesse, come avrebbero voluto i paganesi. Per far ciò, lo istituì su dei terreni di sua proprietà, in modo che il municipio apicale avesse meno influenza “politica”. Fece costruire il primo sottopasso al mare (per l’appunto in via Thaulero), capendo che le vicende dell’altra parte della ferrovia sarebbero state determinanti negli anni a venire. Poi, grazie alle sue iniziative, nacque il primo albergo (S. Michele poi Imperiale) e fu costruita, a sue spese, la prima illuminazione pubblica. Uomo, quindi, di grande capacità e apertura civica, aveva compreso come una parrocchia potesse dare il senso di appartenenza in profondità a un villaggio che si stava ingrandendo. La caratteristica di cui si accennava prima è che la cittadinanza fu coinvolta attivamente, grazie alla lungimiranza di Thaulero, a questo processo di crescita e non si ebbe quella pedissequa sottomissione in cui il clero detta un po’ i tempi ai fedeli, i quali eseguono ordini solitamente piovuti dall’alto. La parrocchia di S. Filomena, divenuta dal 1961 Ss Maria Assunta, ha rappresentato il centro motore di tutti quei residenti che iniziavano ad aggregarsi in un modo più propositivo, cercando quell’autonomia d’azione in ambito ricreativo e culturale che il grande Thaulero in un certo senso aveva trasmesso. E quella specie di “indipendenza integrativa” è rimasta nel dna dei rosetani, che oggi sventolano con orgoglio il loro motto di “comunità in cammino”. II ASPETTO: LA PARROCCHIA DEL S. CUORE - Un discorso più o meno simile, anche se molto diverso nell’impostazione, la cittadina adriatica lo ha vissuto con la creazione, nel 1954, della seconda parrocchia, quella del S. Cuore. La principale similitudine è dovuta dall’autonomia del progetto chiesasitico che aveva caratterizzato la nascente S. Filomena. Tuttavia le differenze furono tante, ad iniziare dalla gestione stessa della comunità, affidata ai padri di Brescia della Congregazione di Nazareth che si rifacevano agli insegnamenti di Giovanni Piamarta. Questa particolarità dette alla parrocchia del S. Cuore un impulso nuovo e molto emancipato, grazie pure agli spazi occupati, più grandi e funzionali. La nascita da subito di un oratorio di stampo bresciano fece la grande differenza nei confronti delle parrocchie del tempo di tutta la provincia e anche forse dell’Abruzzo. Il luogo di aggregazione era ben articolato, con campi di gioco per i bambini e ragazzi del posto e molti spazi dedicati alle attività ludico-ricreative. La formazione degli stessi sacerdoti era differente rispetto agli standard locali, in quanto lo spirito piamartino ricalcava quello di Don Bosco, cioè raccogliere i ragazzi dalla strada e dare loro una formazione culturale e professionale, affinché il grande potenziale creativo dei giovani non andasse perso. Questo strappo con il passato permise a molti giovani rosetani della seconda metà del secolo scorso di crescere con sollecitazioni più articolate e fortemente educative, creando una nuova coscienza collettiva che nel tempo verrà riversata nelle attività associative della città. Inoltre va ricordato che entrambe le parrocchie, con una predominanza del S. Cuore per via della collocazione geografica, hanno avuto un ruolo fondamentale per aggregare i nuovi venuti dell’entroterra i quali, pur rimanendo legati molto ai loro paesini di provenienza, sempre più trovavano nella comunità religiosa un modo per acquisire il minimo comune denominatore di adesione a un progetto condiviso. LO SPORT E IL BASKET - Un altro fattore socialmente rilevante è stata la capacità di molti rosetani di sapersi esprimere sotto il profilo dell’agonismo sportivo. La prima società di calcio della provincia è stata la Rosburghese, ma altri fattori molto indicativi hanno fatto di questa cittadina una vera fucina di atleti. Tuttavia non è tale l’aspetto più importante, bensì quello di riconoscersi non tanto nelle attività fisiche in generale o nel popolarissimo calcio, quanto di identificarsi in uno sport di tipo nuovo come la pallacanestro. Il fatto che a partire dagli anni ‘30 del ‘900 si giocasse già con la palla a spicchi e che nell’immediato dopoguerra, attraverso il torneo estivo, si creasse un sostrato molto importante di appassionati di questa disciplina, ha dato origine ai presupposti identitari, che non rimasero confinati solo nello sport, ma furono assunti come segno distintivo cittadino. Quello che sarebbe diventato il basket non era così diffuso come il calcio o il ciclismo e questo fenomeno da un lato un po’ esclusivo e dall’altro anche complicato nell’interpretazione, era in un certo senso la chiave decodificante per continua a pag. 3 2 Roseto degli... segue da pag. 2 accedere al concetto di “rosetanità”. Chi entrava a far parte della nuova comunità doveva in qualche modo capire come si giocasse con quella palla che doveva finire in un canestro e quindi sforzarsi di entrare in un novero più ristretto di avvinti rispetto ai tanti interessati alla popolarità del calcio. E poi c’era un contatto, date le origini del “basketball”, molto diretto con l’America, che rendeva il legame più forte verso gli emigranti La via... segue da pag. 1 Arcangelo sul Gargano lungo la costa Adriatica, era diretta a Gerusalemme. La palma era il simbolo del pellegrinaggio ed i pellegrini erano detti “palmieri”. La via Francigena rappresentava proprio il punto di incontro dei tre percorsi: dal nord Europa scavalcava le Alpi e, attraverso la Pianura Padana e gli Appennini, raggiungeva Roma per proseguire verso Gerusalemme; da sud veniva utilizzata dai fedeli che dall’Italia si recavano a Santiago de Compostela. Le motivazioni che portavano i pellegrini ad affrontare viaggi proibitivi per quei tempi erano diverse: per chiedere una grazia, per adempiere ad un voto oppure per una ricerca religiosa personale. Talvolta era imposto come pena dal giudice o come penitenza dal confessore per colpe o peccati di particolare gravità. Chi era ricco, però, poteva mandare una persona a fare il pellegrinaggio per proprio conto. Un simile progetto oggi può ancora avere motivi spirituali, ma molto spesso sono altri gli interessi che spingono ad affrontare un simile cammino che, pur con i vantaggi del nostro tempo, rappresenta sempre un impegno da non sottovalutare. Per compierlo, sia a piedi che in bicicletta, occorre una certa preparazione psico-fisica. In ogni caso per chi non è spinto dalla fede il “Cammino di Santiago” o la “Via Francigena” costituiscono un viaggio o della zona che lì si erano recati. Ecco che a questo punto lo sport per intero (a Roseto sono nate società che si sono fatte valere in campo nazionale nel pattinaggio, nelle bocce, nel pugilato, nel motociclismo e in altri settori) è andato oltre una sua valenza agonistica e formativa, caratterizzando anche un tratto distintivo, soprattutto con il basket, dei rosetani. L’ASSOCIAZIONISMO Per chiudere questa piccola carrellata identitaria di questa parte dell’Abruzzo bisogna far riferimento all’associazionismo, che molteplici soddisfazioni ha dato ai promotori culturali e che ancora riesce a convogliare l’interesse di molte persone. Questa caratteristica è un altro tratto tangibile degli abitanti di Roseto che hanno trovato sempre il modo, anche e forse segnatamente attraverso il volontariato, di unirsi intorno a dei progetti concreti. Roseto, dopo l’epopea ideologizzata degli anni ‘70 del secolo scorso, ha vissuto il “riflusso” della nascita di associazioni, che hanno portato linfa vitale al tessuto concettistico locale. Molto importanti sono state, a partire dagli anni ‘80, le realtà associative di tipo sportive e non per niente i gruppi in quegli anni sfioravano le quaranta unità, con le più svariate discipline possibili. L’aspetto precipuo, comunque, non era solo quello di fare sport, ma predominava in molti associati la voglia di ritrovarsi intorno a un progetto comune che desse slancio a un “cammino” di stampo laico, ricreativo e culturale. Tale atteggiamento ha creato nel tempo un’organizzazione capillare di associazioni di diverso tipo, tant’è che spesso lo sport è stato un pretesto per approdare verso lidi nuovi e più articolati. Oggi molte iniziative locali prendono spunto dalla volontà di associazioni che animano il territorio rosetano tutto, compreso le ormai popolose frazioni. Probabilmente è in questo ambito che bisogna leggere la semina che è stata fatta in questi 155 anni e che sembra non aver esaurito ancora la propria corsa propulsiva e innovativa. una vacanza veramente alternativi. Documentarmi sulla via Francigena è stato agevole utilizzando i diversi siti web e soprattutto il sito ufficiale www. viefrancigene.org/it/. Non ho, però, trascurato alcune pubblicazioni (*) che illustrano nel dettaglio sia il percorso, che il significato storico-culturale della via tracciata dal monaco inglese Sigerico nel viaggio di ritorno da Roma a Canterbury, avvenuto nel 994 e annotata nel suo “Itinerarium”: con le 80 tappe differente da quello contemporaneo. Venivano indicati dei tracciati marcati da punti di riferimento fissi, tra i quali però il percorso poteva subire diverse variazioni causate da ragioni climatiche, stagionali, di sicurezza e così via. Il nome Francigena (ma veniva chiamata anche “Romea”) deriva dal fatto che dalla terra dei Franchi portava a Roma. Ai tempi di Sigerico il percorso era delineato da luoghi di sosta, villaggi, e abbazie per ospitare i pellegrini. C’erano locande, romitori, spedali e numerosi edifici per la riscossione di gabelle (ahi! Le tasse. Già allora si doveva pagare la tassa di soggiorno). Grande importanza assunse la via Francigena al tempo delle Crociate. Divenne una strada commerciale per le spezie, le sete e altre mercanzie provenienti dall’Oriente. Fu percorsa da mercanti, soldati, monarchi e personaggi di vario tipo. L’importanza della “Romea” aumentò con l’istituzione dei Giubilei, avvenuta nel 1300 per volontà di Bonfacio VIII, diventando una specie di autostrada ante litteram. Nei secoli successivi con lo svilupparsi dei commerci e l’individuazione di altri tragitti la via perse il suo ruolo strategico e pian piano scomparvero tutti i riferimenti degli antichi sentieri. Dopo la riscoperta del Cammino di Santiago, avvenuta circa 30 anni fa, e sulla scia di quel successo, l’Associazione Europea delle vie Francigene con sede a Fidenza ha cercato di ricostruire il e i luoghi dove si fermò a pernottare. Il tracciato descritto dal monaco è l’unico documento conosciuto riguardante la via Francigena, perché essa non è mai esistita ufficialmente e non è possibile definirla con un percorso preciso. Più che una strada era un fascio di strade, una direzione che indicava un percorso appena abbozzato che collegava il nord Europa con Roma. In epoca medievale, infatti, il concetto di strada era molto 3 continua a pag. 4 La via... segue da pag. 3 percorso medievale descritto da Sigerico soprattutto nel tratto italiano a partire dal Gran S. Bernardo, per una lunghezza complessiva di 945 km suddiviso in 51 tappe percorribili a piedi. È stata realizzata una vasta segnaletica e, con il contributo degli enti locali, sono stati approntati alloggi di tipo economico dislocati mediamente ogni 20-25 km. Ciò per chi volesse rivivere lo spirito degli antichi pellegrini, ma vale anche per chi si volesse cimentare in una impresa turistico-sportiva, usufruendo di una sobria ospitalità e sostenendo una spesa contenuta. L’ospitalità spartana permette ancora meglio di apprezzare la bellezza di un viaggio che riesce a riportare indietro nel tempo. Utilizzando strade secondarie, mulattiere e sentieri, il più possibile lontani dal traffico, si arriva fino a Roma, vivendo un’esperienza non usuale. Dal 1994 la via Francigena è stata dichiarata “Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa” in quanto è un percorso di straordinaria bellezza. È l’occasione per un rinnovato rapporto con la natura e il territorio, ma anche con la storia, le tradizioni e il folclore delle genti. Un viaggio alle radici della cultura italiana ed europea. La Francigena nel tratto italiano si può percorrere interamente, ma possono essere scelti tratti limitati senza che venga diminuito il suo fascino. Anche oggi, il miglior modo di apprezzarla è andando a piedi riscoprendo un turismo dal movimento lento, ma una valida alternativa è percorrerla con la bicicletta che offre il vantaggio di accorciare i tempi di viaggio e, soprattutto, può essere più divertente. Infatti in bicicletta è possibile fare in soli cinque giorni il tratto Siena-Roma che, a mio giudizio, rappresenta l’itinerario più avvincente. Un percorso che attraversa antichità etrusche e romane, siti termali, borghi medievali e città d’arte. Dal Rinascimento dei Medici alla terra dei papi. L’idea di cimentarmi con la via Francigena si è rafforzata la scorsa estate quando sono stati ospiti del nostro b&b Lisa ed Ernesto che hanno scelto di riposarsi “A casa nostra” dopo dieci giorni di cammino a piedi. Quando Lisa ed Ernesto sono ripartiti avevo già un’idea, ma la decisione finale è avvenuta navigando in internet. Mi sono imbattuto con la presentazione di un viaggio cicloturistico di gruppo (Viaggiareinbici.it) proprio del tratto da me preferito: da Siena a Roma. L’offerta era interessante perché garantiva una valida organizzazione soprattutto per l’assistenza tecnica. Del resto era la prima volta che mi accingevo ad affrontare un percorso in mountain bike di quasi 300 km attraverso strade e sentieri per lo più sconosciuti e, pertanto, ho ritenuto opportuno farlo con spirito avventuriero, ma non velleitario. L’intero itinerario segue fedelmente il percorso originario descritto da Sigerico e si sviluppa per buona parte su strade secondarie che costeggiano la consolare via Cassia. Arrivare a Roma percorrendo la Francigena in bicicletta, per me non è stato solo un viaggio turistico o un impegno sportivo. È stato qualcosa di più: ritornare nella mia città di origine in maniera inconsueta e, soprattutto, appagando passioni incomparabili come: storia, arte, natura e una sana attività motoria. Presa la decisione ho iniziato un graduale allenamento, percorrendo con la mia mountain bike lungo le colline rosetane distanze che andavano da 40 a 50 km, con l’obiettivo di prepararmi ad affrontare percorsi misti e salite di medio livello. Dopo un adeguato addestramento, finalmente è arrivato il momento fatidico. L’appuntamento con il gruppo dei cicloturisti era per la mattina del 19 maggio sulla piazza della stazione di Siena. Confesso che ho provato una certa emozione per ciò che mi aspettava. Del resto la meta del viaggio era Roma, la città dove sono cresciuto e ho trascorso gli anni della mia giovinezza. Oltre tutto la partenza è avvenuta da una delle città più belle d’Italia. Un piccolo sogno che si stava avverando. Nell’affrontare il viaggio io e i miei compagni non siamo certo partiti come pellegrini: “ma con animo pellegrino, con la capacità di guardare e cogliere la realtà che ci circonda”, come suggeriva una delle pubblicazioni che illustrano la “Via Francigena”. L’impegno fisico è stato notevole, la preparazione e l’allenamento ci hanno aiutato a superare le difficoltà, ma la forza interiore ci veniva giorno per giorno da ogni pietra, dai ruderi, piazze e fontane, dai basolati, dai tufi, dai magnifici panorami e, non ultimo, dalla gente che incontravamo solidale e sempre cortese. (*) Guida alla Via Francigena (ed. Terre Di Mezzo) Una estate ... segue da pag. 1 Ecco Bussi. Le gole. Lo stabilimento baretto all’angolo del corso centrale; il della Montecatini che allora non si conosceva dei veleni. Scafa, le ciminiere del cementificio, i tetti grigi lavati dalla pioggia. La Tiburtina, che a Manoppello incontrava l’autostrada in costruzione. Il casello della “Brecciarola”, quasi in acquaplaning sull’asfalto. Uscita obbligatoria, Montesilvano - Città S.Angelo: il resto ancora non aperto al traffico. Di lì sull’Adriatica, piena di camion, di tir. Silvi, Pineto, la variante di Pineto: la Giulia sorpassa veloce: il motore doppio albero in testa dà una spinta dolce ma decisa. Poi il “Borsacchio”, che allora non sapevo si chiamasse così. E quindi Giulianova, meta di quelle vacanze 1971. Una famiglia ci aveva affittato una camera con cucina. Il marito della signora aveva un negozio di pasta all’uovo in centro. Ci aspettavano. Era sera ormai. Che era Giulianova in quegli anni! Il lungomare sud asfaltato solo al centro, con il ghiaietto sul lato monte; il molo stretto e più corto d’ora, pieno di reti da pesca in fase di ricucitura; la campagna: c’era la campagna allora a Giulianova! L’ombrellone si portava da casa. Non c’erano a sud del molo sud, stabilimenti balneari. Il caldo di luglio scioglieva il bitume della strada. Le auto la domenica si infilavano a pettine sulla sabbia. Con le ruote di dietro delle 500 che pattinavano per riuscire! Lo ricordo come fosse ora. Che mondo! Non ne ho nostalgia. Ma ho pensato di raccontare questa storia non solo perché rappresenta un pezzo di me, ma forse perché è l’emblema di un’altra Italia, un altro Abruzzo, un altro mare. Non lo so, magari un “come eravamo”; come andavamo al mare; come s’intendeva, anche socialmente, la vacanza! *Direttore del sito Web Controaliseo