LUDOVICO ARIOSTO
TORQUATO TASSO
Vive tra il 1474 e il1533, dipendendo dalla corte di
Ferrara dai 20 anni in poi.
Vive tra il 1544 e il 1594, quindi una generazione dopo
quella di Ariosto,con la cui fama deve competere.
Considera il suo lavoro come un mezzo di
sostentamento per la famiglia, di cui se potesse
farebbe volentieri a meno
E’ pienamente consapevole della realtà del suo
tempo: la sua disillusione di uomo rinascimentale si
rispecchia in tutte le sue opere
Utilizza i suoi personaggi per delineare la figura
dinamica e disillusa dell’uomo rinascimentale: i
suoi eroi non sono affatto perfetti e spesso
commettono errori.
E’ molto legato alla casate estense e soffre alla sola idea
di dover uscire dagli ambienti della corte. Ama vivere
isolato dal mondo.
Teme la sua realtà: è profondamente religioso e teme la
corruzione del mondo. E’ il controriformato perfetto, che fa
trasparire in ogni suo scritto i dettami della Chiesa
Con i suoi personaggi vuole riaffermare, ispirandosi
all’epica antica, i valori profondi della fede Cattolica.
I Suoi paladini sono per lo più statici e stereotipati
(come ad esempio Goffredo di Buglione)
L’ “ORLANDO FURIOSO”
LA “GERUSALEMME LIBERATA”
Parla della sconfitta dei mori da parte di Carlo Magno,
dell’amore di Orlando per Angelica (ripreso dal
Boiardo) e della fondazione della casata estense.
Parla della prima crociata condotta dal capitano
Goffredo di Buglione per liberare il Santo Sepolcro
dai musulmani e dell’amore di Tancredi per
Clorinda.
La materia narrata si divide in tre filoni: storico,
amoroso ed encomiastico. È questa la grande
novità dell’opera, che testimonia la confusione
storica e politica del ‘500.
La tecnica di narrazione è quella dell’ottava circolare e
della scrittura a schidionata: ogni ottava racchiude in sé
un argomento e lo esaurisce, tanto che è possibile
estrapolarne una qualsiasi, analizzarla e comprenderla.
La materia narrata è unita e compatta, tutto è
riconducibile ad un filone e ad una figura, quella del
Buglione, simbolo della cristianità. L’opera richiama
la Reductio ad Unum medievale.
La tecnica narrativa si serve di ottave tutte
concatenate, che non sono universi a sé stanti ma
fanno parte di un tutto e riconducono
costantemente alla totale unità dell’opera.
Numerosissimi sono gli episodi secondari, che
spesso distraggono dall’episodio centrale ed hanno
un loro svolgimento specifico.
I personaggi si trovano spesso di fronte a bivi e a
foreste sconosciute, in cui si perdono errando.
Gli episodi secondari sono pochi e ricondotti in fretta al
fatto principale, in modo da non far perdere il lettore in
piste fuorvianti.
I personaggi sono condotti nella giusta direzione dalla
figura statica di Goffredo di Buglione.
La figura di Carlo Magno è marginale: in effetti,
egli interviene solo una volta direttamente.
Goffredo è il personaggio perno di tutta l’opera.
Paragonabile allo Scipione descritto da Livio, è la
personificazione della virtù, colui che mantiene uniti e
forti i cavalieri.
I cavalieri hanno un preciso codice d’onore, che
viene sempre rispettato sia dai cristiani che dai
mori: essi sono nemici sul campo di battaglia,
ma al di fuori di questa spesso si aiutano a
vicenda, si alleano e non sospettano l’uno
dell’altro.
Il codice d’onore è pienamente rispettato solo dai
cavalieri cristiani. I mori si rivelano sempre infidi e
indegni di qualsiasi rispetto. Più che esaltare il valore
cavalleresco, si vuole mettere in risalto la virtù propria
della cristianità.
La MARAVIGLIA, ripresa dal ciclo bretone, è
pienamente utilizzata. L’elemento magico è sempre
presente sia tra i cristiani che tra i musulmani. Il
pubblico gradisce pienamente questo elemento
narrativo e lo sfrutta per evadere dalla realtà.
La MARAVIGLIA è utilizzata in solo poche occasioni e
sempre attribuita ai mori: è vista come un elemento
negativo (magia nera) che confonde le menti dei
paladini cristiani e dei lettori. E’ comunque presente,
perché molto gradita dal pubblico.
Lo scopo dell’opera è il diletto della corte: Ariosto non
si pone intenti didascalici ma punta allo svago e
all’evasione dalla realtà chiusa in cui vive. Una
dimostrazione di ciò si ha ad esempio nell’invocazione
alla musa: Ariosto la prega di aiutarlo a non deviare
troppo dal fatto centrale per poter condurre a termine
l’opera.
L’opera ha un intento didascalico e si uniforma ai
dettami della Controriforma. Tasso si propone di
descrivere con i suoi personaggi le virtù proprie del
perfetto cattolico. Egli invoca direttamente Dio e
utilizza uno stile di tipo puramente petrarchesco,
pacato, ordinato e uniforme.
Ariosto inserisce, con il matrimonio di Bradamante e
Ruggiero, fondatori della casa d’Este, un filone
encomiastico
Tasso dichiara apertamente di voler dedicare al
Signore d’Este l’opera ma senza esaltarlo, perché
il suo scopo è un altro.
ORLANDO
E’ uno dei migliori paladini di Carlo Magno
E’ innamorato di Angelica, donna bellissima ma infida e
arrivista
Per inseguire Angelica dimentica totalmente la sua
missione di cavaliere.
TANCREDI
E’ il delfino di Goffredo di Buglione
Si innamora di Clorinda, bella condottiera mussulmana
Il motivo che l’ha condotto in Palestina resta
sempre chiaro nella sua mente.
Diventa pazzo per amore: in letteratura è la
prima volta che accade.
Perde la testa per la sua donna. Nessuno
però se ne preoccupa.
Recupera il senno grazie ad Astolfo, che va a
riprenderlo sulla luna a cavallo dell’ippogrifo e lo
trova in mezzo ad una marea di ampolle.
Si accorge da solo del suo errore, si redime e
torna sulla retta via. È la raffigurazione del
peccatore pentito.
Orlando è in sostanza una figura debole, che
rappresenta alla perfezione l’uomo moderno, insieme ai
suoi sbagli e ripensamenti.
Orlando è l’uomo dalle mille nature e sfaccettature, la
molteplicità personificata.
Tancredi è forte e di fede salda: è l’esempio del
peccatore che torna a Dio pentito ed umile. È la
sintesi dello scopo del Tasso.
Tancredi è l’unione della molteplicità in un solo
mondo, che riconduce tutto e tutti all’unità di Dio.
LAVORO SVOLTO DA
SGNAZERLA Alessandra
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