Guida ai
CONTROLLI
ACCERTAMENTO
FISCALI
REDDITOMETRO/2
REDDITOMETRO e UTILIZZO
delle PRESUNZIONI
nel DIRITTO TRIBUTARIO
Analisi dell’istituto del nuovo redditometro e dei problemi
connessi ad un «abuso» dell’utilizzo delle presunzioni
poste a favore della pubblica Amministrazione.
di FABIOLA DEL TORCHIO
avvocato tributarista e membro del Consiglio direttivo della Camera degli avvocati tributaristi di Milano
e responsabile della Scuola di alta formazione in Diritto tributario di Uncat a Milano
Sono molte le pagine della stampa specializzata dedicate, in questi ultimi mesi, all’istituto del «nuovo redditometro», e molte sono
le perplessità espresse sia dalla più autorevole
dottrina che da tutti gli operatori i quali,
quotidianamente, si devono confrontare con i
timori – spesso purtroppo fondati – dei loro
clienti circa la concreta applicazione dello
strumento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
L’elemento, a nostro avviso, più preoccupante
– tuttavia – non è legato allo specifico provvedimento in esame, ma è dato dallo scenario
generale in cui il redditometro viene ad inserirsi, scenario nel quale non possiamo non
rilevare un «abuso» dell’utilizzo delle presunzioni poste a favore della pubblica Amministrazione.
In altri termini il redditometro, lungi da rappresentare un episodio isolato, può essere
considerato la punta di un iceberg alla base
del quale troviamo una moltitudine di altri
istituti che spesso pongono il contribuente nella condizione di dover offrire «proN° 6 - GIUGNO 2013
va contraria» in relazione agli assunti della
pubblica Amministrazione: prova che, come
autorevolmente affermato diversi anni orsono
dal Prof. Beghin spesso si trasforma in una
«prova diabolica» per il contribuente, molto
difficile da offrire (convegno «La lotta all’evasione tra rispetto delle garanzie costituzionali e
giustizialismo fiscale» – 2007).
NOZIONE di PRESUNZIONE
ex artt. 2727 e segg., c.c.
Le presunzioni, com’è noto, sono definite dal
Legislatore (con una norma che trova origine nel Code de Napoleon del 1804) come «le
conseguenze che la legge od il giudice trae da un
fatto noto per risalire ad un fatto ignorato» (art.
2727 c.c.) e possono essere distinte tra legali,
quando il fatto noto e quello ignoto sono collegati da una regola di diritto (art. 2728 c.c.) e
semplici ove il collegamento è dato da una re-
IL SOLE 24 ORE
13
Guida ai
CONTROLLI
ACCERTAMENTO
FISCALI
REDDITOMETRO/2
gola di esperienza lasciata alla valutazione del
giudice, che le può ammettere solo se gravi,
precise e concordanti (art. 2729 c.c.).
Possiamo ulteriormente distinguere le presunzioni tra relative – che determinano un’inversione dell’onere della prova – ed assolute che,
al contrario, non prevedono possibilità di fornire prova contraria; tra le due figure, seppur
con minor frequenza, troviamo le presunzioni
cosiddette miste, quelle contro le quali la prova contraria è ammessa, ma solo con determinati mezzi prestabiliti (F. Tesauro).
Nell’ambito del diritto civile, in riferimento
alle presunzioni di diritto sostanziale relative pensiamo, ad esempio, alla presunzione
di paternità (art. 232 c.c.) per cui si presume
concepito durante il matrimonio il figlio nato
quando sono trascorsi 180 giorni dalla data
del matrimonio e non sono ancora trascorsi
300 giorni dallo scioglimento dello stesso: la
presunzione è evidentemente posta per rendere immediata la regola che si fonda sull’esperienza di ciò che normalmente accade, ed
è da considerarsi relativa perché è possibile,
nelle ipotesi previste dal successivo art. 235,
proporre azione per il disconoscimento della
paternità, provando la mancata coabitazione,
l’impossibilità a generare del marito o l’adulterio della madre.
Per le presunzioni assolute ricordiamo l’art.
599 c.c. che, al comma 1, prevede la nullità
delle disposizioni testamentarie a vantaggio
delle persone incapaci, anche se fatte sotto nome di interposta persona, ed al secondo comma introduce la presunzione, assoluta appunto, per cui sono reputate persone interposte
il padre, la madre, i discendenti ed il coniuge
dell’incapace.
Secondo la classificazione chiovendiana, mentre nell’ambito del diritto sostanziale le presunzioni sono introdotte per «facilitare» certe
condizioni giuridiche (come, ad esempio, la
presunzione di paternità del marito già ricordata), nell’ambito del diritto procedimenta-
14
le o probatorio le stesse sono paragonabili a
qualsiasi altro mezzo di prova su cui dovrà
fondarsi il giudizio.
UTILIZZO delle PRESUNZIONI
nel DIRITTO TRIBUTARIO
Anche nell’ambito del diritto tributario abbiamo presunzioni che si inseriscono tra le
norme di definizione e presunzioni che si inseriscono tra le norme probatorie.
Con le prime si crea una nuova fattispecie
impositiva con effetti identici rispetto a quella tipica: esempio classico si rinviene nell’art.
5, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 [CFF 
5105] in base al quale i redditi prodotti in
forma associata (da società semplici, in nome
collettivo ed accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato) sono imputati a
ciascun socio indipendentemente dalla percezione e proporzionalmente alla sua quota di
partecipazione agli utili.
Dalla produzione di reddito in capo alla società – fatto noto – la legge fa derivare l’imputazione della quota al socio – fatto ignoto
– a nulla rilevando l’effettiva percezione della
stessa.
Si tratta, in questo caso, di una presunzione
legale assoluta, che non può essere vinta in
alcun modo, a differenza della presunzione
introdotta dal secondo comma del medesimo
art. 5, in base al quale le quote di partecipazione agli utili si presumono proporzionate
ai valori dei conferimenti, se non risultano
determinate diversamente da atto pubblico o
scrittura privata autenticata.
Tipiche del campo tributario sono poi le presunzioni che possono essere individuate come
una sorta di «sanzioni improprie»: per tutte si
pensi alla presunzione introdotta con l’art. 53,
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 [CFF  253] in
base al quale i beni acquistati non rinvenuti
IL SOLE 24 ORE
N° 6 - GIUGNO 2013
Guida ai
CONTROLLI
ACCERTAMENTO
FISCALI
REDDITOMETRO/2
nei locali dove si esercita l’attività, comprese le
sedi secondarie, le filiali ecc. – che, in virtù del
terzo comma, devono risultare dall’iscrizione
alla camera di commercio od altro pubblico
registro – si presumono venduti.
La mancanza dell’iscrizione delle sedi presso
gli appositi registri, impedendo all’imprenditore di superare la presunzione di cessione, si
tramuta, di fatto, in una sorta di sanzione impropria, che si aggiunge alla sanzione amministrativa già prevista per la mancata dichiarazione agli uffici competenti.
Mentre, come abbiamo visto con i precedenti esempi, le presunzioni tributarie di diritto sostanziale possono anche essere assolute,
quelle che invece si inseriscono tra le norme
probatorie, come – per quel che qui ci interessa – quelle dettate in tema di accertamento,
devono essere sempre relative.
Se il riferimento alla normalità – regola d’esperienza su cui la presunzione si fonda – serve a legittimare il ricorso alla presunzione, è
solo la possibilità di fornire la prova contraria
che può garantire una corretta applicazione
dell’imposta nel rispetto del dettato costituzionale di cui all’art. 53.
Fin dagli anni ’70 la Corte Costituzionale ha ammesso l’utilizzo delle presunzioni
nell’ordinamento tributario «al fine di evitare
l’evasione e nell’interesse della giusta e regolare
percezione dei tributi» considerando le stesse
«legittime se si fondano sulla comune esperienza»
(Corte Costituzionale sentenza n.109/1967)
ma specificando, al contempo, la necessità
che queste siano sempre relative, poiché «l’esclusione della prova contraria romperebbe il
collegamento effettivo tra obbligazione e presupposto economico» (Corte Costituzionale sentenza 200/1976).
Come anticipato, le presunzioni sono introdotte per rendere meno gravosa l’attività
accertatrice dell’Amministrazione; poiché il
presupposto impositivo si realizza nella sfera
di un soggetto –privato – che di solito ha inteN° 6 - GIUGNO 2013
resse ad occultarlo, mentre il soggetto – pubblico – che ha interesse a conoscerlo è estraneo a questa sfera, il Legislatore introduce tali
presunzioni proprio per facilitare il compito
della parte pubblica nella ricerca dei fatti imponibili e nella loro eventuale successiva dimostrazione in giudizio: detta «facilitazione»
non può e non deve, ovviamente, trasformarsi in un onere eccessivo per chi deve offrire
la prova contraria, pena, evidentemente, la
violazione dei sacrosanti principi di origine
costituzionale della tassazione legata ad una
capacità contributiva reale e di un diritto di
difesa effettivo.
APPLICAZIONI CONCRETE
e INVERSIONE dell’ONERE
della PROVA
Poste queste considerazioni di carattere generale, e tornando allo scenario attuale in cui va
ad inserirsi lo strumento del redditometro,
ricordiamo che lo stesso si affianca agli studi
di settore (volti a determinare, induttivamente, i ricavi di professionisti ed imprese) e ad
un’ampia gamma di procedure accertative in
cui l’inversione dell’onere della prova, anche
se non prevista o cristallizzata in precise disposizioni normative, da eccezione diviene, di
fatto, la regola.
Quotidianamente gli operatori si devono destreggiare tra i concetti di «abuso del diritto», e
di «frode carosello», di presunte partecipazioni a disegni fraudolenti od evasivi, di presunti
ricavi o compensi riconducibili a versamenti
o prelevamenti «non giustificati», fattispecie
tutte ove la difficoltà della prova contraria a
volte rischia davvero di risolversi nella tassazione di ricchezze fasulle e non realizzate.
Così, in relazione ai presunti intenti elusivi
sarà il contribuente a dover dare contezza
dello «scopo economico» della sua attività,
IL SOLE 24 ORE
15
Guida ai
CONTROLLI
ACCERTAMENTO
FISCALI
REDDITOMETRO/2
in relazione alle frodi carosello, sarà il contribuente a dover dimostrare che «non sapeva
o non poteva sapere» dell’esistenza di un disegno fraudolento caratterizzante le operazioni
poste in essere dal suo fornitore, in relazione
al pagamento dei dazi doganali, sarà l’importatore a dover sopportare l’onere dell’eventuale maggior imposta anche nel caso di errata
applicazione dovuta a certificati di origine falsificati nel Paese di provenienza del prodotto
(magari a migliaia di chilometri di distanza).
E non si pensi che tutto ciò riguardi solo le
grandi imprese o complesse ed articolate
operazioni commerciali: l’istituto dell’abuso
del diritto, ad esempio, è spesso richiamato dall’Agenzia delle Entrate per giustificare
maggiori pretese in tema di agevolazioni per
l’acquisto della prima casa o di imposta sulle
successioni.
Per tutti, si segnala l’emblematica risposta fornita – in sede di interpello in tale ultima materia – con la R.M. 234/E/2009.
L’ipotesi prospettata è la seguente: si apre la
successione di Tizia, che lascia come eredi i
due figli Caio e Sempronio. Sempronio, prima di accettare l’eredità della madre, muore a
sua volta, ed unico suo erede risulta Caio. Caio, subentrato nella posizione di Sempronio,
intende rinunciare a nome di questi all’eredità di Tizia, con ciò diventando direttamente
unico erede della medesima.
A fronte di tale ipotizzata rinuncia, l’Agenzia
ha affermato che «ferma restando la liceità della scelta operata, la rinuncia all’eredità che si
intende porre in essere non potrà essere opposta
all’Amministrazione finanziaria in quanto realizza un comportamento di abuso del diritto».
Mentre, da un lato, il Legislatore prevede che
«se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata il diritto di accettarla si trasmette
agli eredi» (art. 479 c.c.), dall’altro l’Agenzia
delle Entrate attribuisce automaticamente
alla rinuncia l’unico scopo di acquisire un
vantaggio di tipo fiscale e, di conseguenza,
16
ne disconosce gli effetti, lasciando al contribuente l’onere di dimostrare in un’eventuale
sede contenziosa le diverse motivazioni che
potrebbero averlo indotto a rinunciare all’eredità in nome del chiamato.
Così come lo strumento dell’abuso del diritto può rivelarsi assai «pericoloso» per i contribuenti, così pure il redditometro, che permetterà all’Agenzia di individuare in via presuntiva il reddito di un soggetto in base alle
spese da questo sostenute o, in riferimento ad
alcune tipologie (alimentari, abbigliamento,
riscaldamento ecc.) in base al maggior valore
tra le spese sostenute e quelle indicate dall’Istat come tipiche per il cluster di appartenenza
(determinato in base all’età, la composizione
del nucleo familiare, la zona territoriale, ecc).
Senza affrontare le diverse criticità dell’istituto, prima tra tutte la violazione della riserva
di legge di cui all’art. 23 della Costituzione,
evidenziamo come il redditometro introduce degli inaccettabili giudizi di merito sulle
scelte del contribuente, giudizi etici che non
possono essere, a nostro avviso, accettati, in
uno Stato di diritto.
Basti, per tutti, un esempio elaborato tramite
il software ufficiale «redditest» fornito dall’Agenzia:
Famiglia, al nord, composta da genitori più
due figli; redditi dichiarati E 130.000, casa di proprietà di 150 mq. Due autovetture,
spese per istruzione, assicurazioni ecc. A parità di tutte le altre voci, in un primo esempio si sono indicate spese per vacanze pari ad
E 30.000 e spese per gioielli e preziosi pari
a E 7.000, mentre in un secondo esempio si
sono invertiti gli importi, con spese per vacanze pari a E 7.000 e per gioielli pari a E
30.000.
Mentre nel secondo caso il reddito dichiarato
è risultato «congruo» rispetto alle spese, nel
primo caso il redditest ha evidenziato un’anomalia di «non congruità» evidentemente immotivata se non sulla scorta di un giudizio,
IL SOLE 24 ORE
N° 6 - GIUGNO 2013
Guida ai
CONTROLLI
ACCERTAMENTO
FISCALI
REDDITOMETRO/2
non certo di carattere economico, rispetto alla
scelta di spesa tra vacanze o beni preziosi quasi
che l’Agenzia delle Entrate oltre allo scopo –
certamente legittimo e condivisibile – di far
emergere ricchezze non dichiarate debba essere anche investita del ruolo di «censore» in relazione alle scelte dei singoli sulla destinazione
di tali ricchezze.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Auspicabile, in questo contesto, sarebbe un
intervento dei Giudici di legittimità che,
così come già affermato per gli accertamenti da studi di settore, potrebbero finalmente
confermare la natura indiziaria dei coeffi-
cienti reddituali con la conseguente necessità che anche gli accertamenti basati sul
redditometro siano supportati non solo da
elementi o valori standardizzati ma da elementi effettivi, pena la loro trasformazione
da «mezzi di accertamento a mezzi di determinazione del reddito, con illegittima compressione dei diritti emergenti dagli articoli
3, 24 e 53 della Costituzione» (Cassazione
n. 26635/2009).
Nell’attesa, siamo purtroppo ben lontani da
quanto auspicato nel 1776 da Adham Smith
ne «La ricchezza delle nazioni» ossia che «l’imposta che ognuno deve pagare dovrebbe essere
certa e non arbitraria. Il tempo del pagamento, il modo del pagamento, l’ammontare dovuto: tutto dovrebbe essere chiaro e semplice per
qualsiasi persona».
ARTICOLI CORRELATI
Accertamento in base al redditometro – Posizione della recente giurisprudenza
(Alvise Bullo)
La Settimana fiscale, n. 20/2013, pag. 37
N° 6 - GIUGNO 2013
IL SOLE 24 ORE
17
Scarica

Scarica in formato PDF