“Terzo Settore e integrazione: i servizi rivolti all’immigrazione” Dossier Terzo Settore e integrazione “Terzo Settore e integrazione: i servizi rivolti all’immigrazione” Dossier A cura di: Laura Lauzzana Introduzione: Stefania Paternò Osservatorio Regionale Immigrazione 2 Terzo Settore e integrazione INDICE Pag. Introduzione 4 1. Metodologia 8 2. Esposizione e analisi dei dati 10 2.1 Le realtà associative: utenti stranieri, servizi mirati e facilità di accesso 10 2.2 Terzo Settore e interculturalità. Dalle percezioni alle metodologie nel rapporto con l’utente straniero 14 2.3 Interazione tra associazioni ed enti: le esperienze condivise, i punti di riferimento, le competenze e le risorse 21 2.4 Dati sulla presenza effettiva di stranieri come operatori del sociale e problematiche dell’integrazione 25 2.5 Percezione e valutazione dell’inserimento di professionalità straniere nel Terzo Settore. Proposte per la loro integrazione 29 3. Conclusioni 32 4. Riferimenti bibliografici 35 Allegato 1. Elenco dei soggetti intervistati per la ricerca 36 Allegato 2. Questionario Terzo settore e Integrazione 38 Osservatorio Regionale Immigrazione 3 Terzo Settore e integrazione Introduzione Nello scegliere il tema di questa ricerca “ Terzo Settore e integrazione”, l’obiettivo che ci eravamo posti era quello di conoscere in che modo il Terzo Settore della Regione Veneto si fosse attrezzato o intendesse attrezzarsi rispetto ad un tema di grande attualità quale quello del fenomeno migratorio. L’associazionismo, il volontariato, la cooperazione hanno nella nostra Regione una storia e una tradizione centenaria; i molti modi di riunirsi per aiutare i membri della comunità in difficoltà o per aiutarsi a vicenda in spirito di cooperazione hanno avuto occasione, nello scorrere del tempo, di ramificarsi e di innestare di sé tutto il tessuto sociale, assumendo aspetti diversi a volte con una vocazione a sfondo religioso a volte laico, comunque rappresentando una società la cui tensione alla solidarietà ed al mutuo soccorso si sviluppa ancora oggi nelle sue migliaia d’associazioni di vario genere e cooperative. L’arrivo nelle nostre comunità dei cittadini immigrati ha creato nuovi bisogni e ne ha potenziato ed ingranditi altri. La risposta del Veneto nel solco della sua tradizione solidale, non si è fatta attendere: sono nate così in tutta la Regione associazioni che svolgono attività rivolte all’immigrazione e che si sono occupate di accoglienza, di servizi informativi, di promozione dell’integrazione. Lo sviluppo di una cultura sensibile alla multiculturalità è infatti la premessa necessaria all’integrazione dei cittadini stranieri e delle loro famiglie. Come spesso accade nel primo periodo di una crisi, è il territorio piuttosto che l’istituzione a percepire i primi segnali di un’emergenza sociale e il territorio stesso si attrezza ed agisce nell’emergenza con tempestività, ottemperando a due funzioni fondamentali: da una parte affrontando le problematicità e trovando nuove soluzioni, dall’altra attirando l’attenzione delle istituzioni sui problemi emergenti e sulle possibili e necessarie decisioni ed attività da intraprendere. Il fenomeno migratorio nella nostra Regione ha conosciuto uno sviluppo repentino, dettato, fra i tanti, da due fattori principali: la richiesta di manodopera proveniente dal mondo del lavoro che ha fatto del Veneto uno dei poli attrattivi più forti per gli immigrati, sia per coloro che erano già arrivati in Italia e risiedevano in altre regioni, sia per coloro che in Italia desideravano venire; l’apertura delle frontiere europee dell’Est e la collocazione geografica stessa del Veneto, porta sud orientale verso l’Europa occidentale, che ha fatto e fa della nostra Regione, una meta per decine di migliaia di lavoratori immigrati europei e per le loro famiglie. Osservatorio Regionale Immigrazione 4 Terzo Settore e integrazione Nell’analisi dei flussi si può cominciare a parlare di immigrazione come di un fenomeno strutturale che va conosciuto nei suoi poliedrici e complessi aspetti, governato e commisurato alle necessità del mondo del lavoro, ma anche e soprattutto alle possibilità di effettivo inserimento sociale. La civiltà millenaria delle nostre comunità non potrebbe, infatti, tollerare lo sfruttamento di uomini e donne quale forza lavoro senza che anche a loro ed ai loro figli siano garantiti quei diritti di cittadinanza che la stessa Costituzione Italiana sancisce per i cittadini stranieri. Si pongono dunque in primo piano le problematiche che nascono da alcune domande le cui risposte sono essenziali per guardare serenamente al futuro: Quale modello d’integrazione? Assimilazionista, multiculturale o un nuovo modello che dalle esperienze decennali degli altri paesi europei tragga indicazioni e spunti per adattarsi al nostro tessuto locale? Qual è la soglia, quale il numero di immigrati che possono venire a lavorare in Veneto in un contesto che garantisca loro i diritti inalienabili della persona? La necessità di una formazione dell’opinione pubblica della nostra regione in termini di multiculturalità che sia contemporanea alla riaffermazione dell’identità della nostra cultura come presupposto necessario per aprirsi all’altro, al diverso da sé, sono oggi nell’agenda di tutti coloro che guardano con attenzione ai mutamenti sociali e alle tensioni che accompagnano inevitabilmente ogni periodo di transizione. Lo sguardo di particolare attenzione con cui l’Osservatorio Regionale dell’Immigrazione ha voluto approfondire i rapporti esistenti fra l’immigrazione e il Terzo Settore, nasce dalla consapevolezza che la programmazione degli interventi e delle politiche attive sul territorio dovrebbe essere concertata con tutti coloro che in quel territorio operano, per un’ottimizzazione delle risorse e per una migliore efficacia. Spesso abbiamo costatato che le associazioni vivono in mondi separati fra di loro, a volte autoreferenti, raramente in rete, divise anche dai diversi Albi cui sono iscritte e ai finanziamenti di differente provenienza cui possono accedere: albi regionali che le riuniscono per scopi sociali e albi comunali e provinciali che le raggruppano per collocazione territoriale e le distinguono in associazioni, cooperative, onlus. Se questo ha consentito un’alta professionalità del terzo settore nell’affrontare situazioni di crisi e di disagio sociale, si rivela invece penalizzante alla lunga e di fronte ad un evento ormai strutturale qual è il fenomeno migratorio, che appare trasversale e tocca tutti i campi della nostra società, dai servizi scolastici a quelli sanitari, dall’abitare all’accesso ai servizi informativi, dalla formazione professionale e non, all’inserimento nel mondo del lavoro, dalle tossicodipendenze, agli istituti di pena e di detenzione regionali. Se è vero che la popolazione immigrata è una popolazione giovane e Osservatorio Regionale Immigrazione 5 Terzo Settore e integrazione sana non possiamo dimenticare inoltre l’indice di natalità e l’afflusso di minori cui va garantito l’accesso a tutti i servizi predisposti per prevenire il disagio, per abbattere barriere causate dalle diverse abilità, per sostenere le azioni di recupero di fronte a vissuti a volte difficili o tragici come quelli che si evidenziano nei minori stranieri non accompagnati. Un fenomeno trasversale va affrontato con politiche attive sinergiche e programmate, per operare sulle aree di problematicità espresse dal territorio stesso. L’attenzione dell’Osservatorio Regionale per l’Immigrazione verso il Terzo Settore nasce anche dalla certezza che tutto il mondo dei volontari e degli operatori del sociale ha sempre avuto nel corso della storia, una particolare sensibilità nel leggere i mutamenti in corso, nel comprendere le necessità del territorio, nell’adeguare buone pratiche ai nuovi bisogni, nell’inventare e sperimentare percorsi di successo. Il Terzo Settore potrebbe essere una porta d’accesso all’integrazione delle comunità immigrate nel tessuto sociale, essendo evidente che qualora i cittadini stranieri facessero parte dell’associazionismo veneto in tutte le sue forme, da quello ricreativo a quello assistenziale, ci troveremmo di fronte a comunità integrate a tutti gli effetti, che sentono come proprie sia la condivisione del tempo libero che le richieste d’aiuto e di sostegno di qualsiasi membro della comunità, indipendentemente dalla sua origine. La partecipazione alla ricca e feconda vita associativa della nostra Regione sarebbe un indicatore dell’armonizzazione in corso delle diverse componenti di cui la nostra comunità è formata. La ricerca qualitativa su 49 interviste di cui è curatrice la dott.sa Laura Lauzzana mette in luce anche aspetti quantitativi, fotografa la situazione attuale del Terzo Settore veneto e la percezione che questa realtà ha, nella sua azione quotidiana, delle problematicità legate all’immigrazione: Sono state intervistate associazioni iscritte e non iscritte all’Albo delle associazioni dell’Immigrazione e ne è uscito un quadro che conferma alcune delle ipotesi iniziali da cui eravamo partiti, prima fra tutte quella che supponeva essere presenti, in veste di utenti di associazioni non rivolte all’immigrazione, anche cittadini stranieri. Un’altra delle domande che ci eravamo posti nell’intraprendere questo studio era quella di voler sapere se gli operatori di tutto il Terzo Settore si sentissero attrezzati e formati per affrontare situazioni di disagio in un contesto di multiculturalità e ci interessava conoscere inoltre se fossero in contatto con le 150 associazioni di immigrati presenti nel nostro territorio o in rete con le oltre 400 associazioni venete che si occupano a vario titolo di immigrazione ed ancora se fosse presente uno scambio di buone prassi e di mediatori linguistici e culturali. Senza anticipare i risultati dell’accurata ricerca della dott.sa Lauzzana dobbiamo rilevare il quadro di problematicità e a volte di contraddizione che ne è uscito, un quadro che lascia spazio alla Osservatorio Regionale Immigrazione 6 Terzo Settore e integrazione riflessione, costituendo uno spunto e un argomento per il coordinamento e l’attivazione di progettualità formative che dovrebbero essere attivate e sostenute dalle istituzioni. Un altro elemento di riflessione è costituito dalla scarsa presenza di mediatori culturali e linguistici e dalla convinzione di molti operatori che affrontare problematiche di disagio con i cittadini immigrati non comporti metodologie specifiche o in ogni modo diverse da quelle usate con l’utenza autoctona. Come si accennava precedentemente ci eravamo posti anche la domanda di quanto partecipassero i cittadini stranieri in qualità di volontari alla vita delle associazioni venete. Questo studio porta alcune risposte anche a questa domanda e ci conferma come il percorso che porta all’inserimento dei cittadini stranieri sia lungo e difficile e richieda innanzi tutto una formazione di tipo culturale e il concorso di tutte le forze disponibili. Le resistenze assumono vari aspetti e misurarne le caratteristiche meriterebbe un ulteriore approfondimento prima di poter delineare un quadro d’insieme soddisfacente. La Regione Veneto si è già posta all’avanguardia a livello nazionale per la sua attenzione alle forme associative dei cittadini stranieri, per il sostegno operato con l’istituzione di percorsi formativi specifici che hanno consentito alle comunità straniere di conoscere gli strumenti che la legislazione mette a disposizione per l’esercizio del diritto costituzionale di riunirsi in associazione ed attraverso questa via partecipare e concorrere alla vita democratica delle nostre comunità, in attesa che tutti i diritti/doveri di cittadinanza siano riconosciuti come tali. Questa ricerca potrebbe essere dunque un punto di partenza anche per quanto riguarda il terzo settore nazionale, uno studio che consente la programmazione di interventi efficaci e di sostegno a quelle forme associative che caratterizzano la nostra regione, divisa dall’orgoglio dei suoi mille campanili, ma unita anche dal comune attaccamento alla sua lingua, alle sue radici. Una regione disegnata sulla solidarietà e l’accoglienza: una moderna civiltà, laica e cristiana allo stesso tempo. Stefania Paternò Osservatorio Regionale Immigrazione 7 Terzo Settore e integrazione 1. Metodologia La metodologia è stata scelta in base alle finalità di tipo qualitativo della ricerca che si proponeva di monitorare percezioni e valutazioni di diversi attori sociali del Terzo Settore in merito alle problematiche legate all’integrazione di cittadini stranieri, vagliando approcci e strumenti metodologici impiegati rispetto all’utenza e interrogando la disponibilità ad aprirsi a professionalità straniere da includere nelle strutture e progettualità dei diversi settori. La scelta metodologica è stata di adottare la formula del questionario da somministrare personalmente agli intervistati per comprendere le sfumature che nella ricerca qualitativa sono colte attraverso la gestualità, i silenzi e gli indugi al di là della verbalizzazione logica registrata nella compilazione degli spazi vuoti di un questionario. Il questionario è stato costruito in modo tale da far emergere alcuni indicatori relativi alla formazione sulle metodologie e agli approcci interculturali. Si è voluto sondare anche la capacità di interagire tra settori diversi per comprendere il grado di consapevolezza della problematica dell’integrazione in seno al Terzo Settore che, con le sue molteplici facce, costituisce indubbiamente un osservatorio interessante. Poiché il focus della ricerca era l’integrazione rispetto non solo all’utenza straniera ma anche alle professionalità straniere, il campione d’analisi è stato identificato prevalentemente in quei settori non specificatamente dedicati ai problemi dell’immigrazione per monitorare quale sia lo stato attuale e l’orientamento del mercato del lavoro sociale rispetto alla mediazione culturale, ma anche alla disponibilità ed apertura nei confronti dei cittadini stranieri. L’indagine imperniata sulla capacità di comprensione dell’interculturalità da parte dei soggetti non è stata guidata dall’idea che le metodologie interculturali siano di fatto una panacea risolutrice della complessità dell’incontro di diverse culture ma dalla necessità di comprendere il livello di interesse verso un tipo di formazione e conoscenza che dovrebbero riguardare il fulcro del lavoro sociale improntato com’è sulle problematiche relazionali, e a maggior ragione di fronte a una crescente differenziazione dell’utenza. Dato quindi il tipo di ricerca qualitativa con finalità non statistiche, la scelta è stata di coinvolgere diverse realtà del privato sociale e volontariato del Veneto che costituissero un campione Osservatorio Regionale Immigrazione 8 Terzo Settore e integrazione stratificato, volto a rappresentare tutti i settori dell’attività sociale di tutte le province della regione ad eccezione di Belluno per limiti di tempo. Il questionario è stato somministrato nell’arco di un mese a 49 soggetti, che hanno aderito alla ricerca, così distribuiti per provincia: 7 per Rovigo, 6 per Treviso, 16 per Padova, 7 per Venezia, 7 per Vicenza, 6 per Verona. Data la quantità di interviste raccolte, il campione d’analisi può essere considerato particolarmente significativo per captare un orientamento generale indicando anche le percentuali delle posizioni dei vari soggetti rispetto ai diversi problemi sottoposti dal questionario. Costruire un campione stratificato ha significato, compatibilmente con le risorse e i tempi dedicati alla ricerca, coprire realtà non solo presenti nei capoluoghi di provincia ma anche in città e paesi periferici per rendere il campione trasversale ai diversi contesti. Inoltre si sono considerate strutture sia del privato sociale che di volontariato, dalle cooperative, alle associazioni, alle onlus, alle comunità terapeutiche, agli istituti religiosi, anche di diversi ordini di grandezza per capire come la maggiore strutturazione delle realtà considerate condizionasse o meno la preparazione e consapevolezza rispetto alla problematicità delle relazioni interculturali. I settori coperti dalla ricerca sono le aree previste dai piani di zona: - Infanzia, adolescenza, famiglia - Handicap - Adulti, anziani - Dipendenze - Salute mentale - Immigrazione Il questionario, che garantiva l’anonimato, era costituito da 19 domande semi-strutturate che lasciavano libertà di risposta e possibilità di approfondimenti nell’arco dell’intervista. 1 Le diverse domande non erano raggruppate secondo moduli ma piuttosto intrecciate in modo vario e tuttavia tali da garantire specifiche risposte. Alcune erano richieste per una forma di classificazione che aiutasse a identificare i soggetti rispetto a precisi indicatori, come l’ordine di grandezza, l’inclusione o meno nei piani di zona territoriali o nella rete informativa sull’immigrazione. Altre domande sollecitavano risposte di tipo valutativo per intercettare opinioni e percezioni degli intervistati in merito alle diverse problematiche di volta in volta considerate. 1 Vedi questionario in Allegato 2, p. 38. Osservatorio Regionale Immigrazione 9 Terzo Settore e integrazione 2. Esposizione e analisi dei dati 2.1 Le realtà associative: utenti stranieri, servizi mirati e facilità di accesso L’attenzione all’accoglienza con la gestione di servizi mirati sembra direttamente proporzionale alla percentuale dell’utenza straniera, ma fino a che punto è invece la capacità di attrezzarsi con attività e canali facilitati d’accesso ad attrarre i cittadini stranieri? La percentuale di utenza straniera registrata varia secondo la diversa tipologia dei servizi erogati dai soggetti del privato sociale e volontariato che costituiscono il campione d’analisi, di cui solo il 36% si dedica specificatamente all’immigrazione. La presenza di stranieri risulta essere totalizzante laddove le attività sono focalizzate sulle problematiche relative all’immigrazione e le strutture fungono da punto di riferimento per gli stranieri sul territorio. Ma l’afflusso si presenta alto anche rispetto a quei servizi di prima necessità ed emergenza dove spesso gli immigrati confluiscono spinti dalle condizioni precarie in cui vivono, come possono essere le strutture di accoglienza per persone indigenti, per donne sole, per vittime della tratta o per minori non accompagnati, i Centri di Aiuto alla Vita in sostegno alla maternità, le cooperative sociali di tipo B per l’inserimento lavorativo di ex-tossicodipendenti, ex-alcolisti o ex-carcerati. I soggetti che invece operano in altri settori come l’infanzia, disabili, malati psichici, malati di AIDS, malati generici in ospedale, o che curano le dipendenze da alcol e droghe, come le comunità terapeutiche, presentano percentuali di utenza straniera molto basse o inesistenti. Tra queste realtà solo il 20% degli intervistati afferma di non avere mai avuto utenti stranieri, a riprova della necessità di considerare la trasversalità del fenomeno migratorio. Tale scenario rispecchia una tendenza generale, secondo i dati raccolti, presente sia nei capoluoghi di provincia che in contesti periferici. E’ interessante notare come la presenza minoritaria o l’assenza di utenti stranieri presso queste ultime strutture non venga fatta risalire, se non in pochi casi, a modalità di accesso non facilitate, ma piuttosto a cause diverse come la fondazione recente dell’associazione o alla scarsa pubblicità e promozione dei propri servizi, denunciando la scarsità di risorse o l’indifferenza dei media locali. In altri casi si evince il paradosso per cui la precarietà stessa, dovuta all’assenza di integrazione che si dovrebbe sradicare, diventa invece causa di ulteriore emarginazione poiché condiziona negativamente l’accesso degli stranieri alle strutture e la partecipazione alle attività dei soggetti del Terzo Settore. La difficoltà della lingua, o la problematicità di trovare loro una famiglia sostitutiva Osservatorio Regionale Immigrazione 10 Terzo Settore e integrazione come richiesto da certe metodologie nel trattamento delle dipendenze da alcol e droga diventano discriminanti per operatori non attrezzati a gestire tali situazioni. Per quanto concerne la nazionalità degli utenti, il target prevalente si presenta costituto da africani e da cittadini dell’Europa dell’Est. Tra gli africani si registra una presenza massiccia di persone originarie dell’Africa centrale e occidentale, mentre dai paesi nordafricani gli uomini sono considerati ormai inseriti e stabilizzati mentre sono le donne a richiedere più servizi rispetto al loro iniziale isolamento. Percentuali minoritarie spettano all’America Latina e agli indiani, in particolare provenienti dallo Sri Lanka. Indipendentemente dalla percentuale attuale di presenze straniere tra gli utenti, tutti gli operatori intervistati ne prevedono un aumento sia per riflesso dei flussi migratori, aspettandosi iniziali ondate di clandestini in particolare dai nuovi paesi europei, sia per i ricongiungimenti familiari sempre più frequenti e l’emersione dalla clandestinità. Tuttavia è dalla stabilizzazione del fenomeno migratorio e la maggiore integrazione nel nostro tessuto sociale che i soggetti intervistati si attendono il reale bacino di utenza per l’aumento della richiesta di servizi e assistenza sociosanitaria ed educativa. Al di là di un probabile automatismo rispetto ai flussi migratori, pochi soggetti tuttavia si responsabilizzano sostenendo che l’aumento della percentuale di stranieri tra i loro utenti dipenderà anche dal tipo e adeguatezza del servizio e risposte che sapranno offrire a fronte di problematiche in continua evoluzione. Nonostante il prevedibile aumento di utenza straniera, la maggior parte degli intervistati (67%) non ha attivato modalità di accesso facilitate, ritenendo sufficiente l’avviso “attaccato alla porta” dell’associazione oppure il passaparola tra gli stessi stranieri tramite i “loro” canali paralleli ai “nostri”. Alcuni ritengono che canali d’accesso privilegiati non sono necessari ma contraddicendosi rispetto ad altre risposte in cui da un lato sostengono che gli stranieri “imparano in fretta” minimizzando i problemi culturali tra “noi” e “loro”, dall’altro sottolineano le difficoltà di comunicazione, in particolare con le donne spesso analfabete, e la mancata conoscenza degli attuali adulti immigrati del territorio e dei loro diritti. Soggetti più preparati sulle problematiche della mediazione culturale evidenziano come la limitazione dell’accesso dipenda anche da certe barriere culturali che diminuiscono la possibilità a Osservatorio Regionale Immigrazione 11 Terzo Settore e integrazione partecipare a certe attività come, ad esempio, quelle in cui l’identità della famiglia possa essere coinvolta e messa in discussione per il trattamento delle dipendenze di un suo membro oppure si avvicinano perché costretti, solo per ripristinate un rapporto di fiducia con un datore di lavoro interessato a far ottenere la patente allo straniero cui è stata ritirata a causa dell’alcol. Ancora, alcuni ammettono che la diversità culturale rende di difficile comprensione fino a che punto stranieri di certe nazionalità interpretino la dipendenza da alcol come problematica o abbiano l’abitudine culturale all’assistenza, negandosi così l’accesso a dei servizi per mancata consapevolezza. Le realtà che possono gestirsi canali d’accesso indipendenti non escludono per il futuro di attrezzarsi per facilitare gli stranieri, ma per molti soggetti gli accessi sono gestiti e filtrati dalle unità operative distrettuali dell’ULSS, attraverso il SERT o il centro salute mentale, e solo alcuni si domandano fino a che punto gli immigrati siano agevolati nel rapporto con l’Asl, vista anche esclusione dei non iscritti all’anagrafe socio-sanitaria. Alcuni intervistati lamentano la scarsità di modalità integrate e uniformate all’interno della concertazione tra Terzo Settore e gli enti pubblici rispetto all’accoglienza e accompagnamento degli stranieri ai servizi, regolari o meno, mentre in altri contesti esiste un’interazione più completa con le ULSS e servizi sociali con l’utilizzo di mediatori culturali. Rimane tuttavia il problema dell’accesso economico a certe strutture di accoglienza per la scarsità di convenzioni con enti pubblici. Una ulteriore contraddizione si evince dalle interviste tra un’apertura dichiarata ad accogliere stranieri come utenti e l’assenza di servizi mirati a facilitare tale accoglienza, a meno che non si tratti di realtà votate alla cura degli immigrati, anche clandestini. In quest’ultimo caso servizi e progetti specifici sono volti a garantire assistenza di varia tipologia, da quella psicologica a quella burocratica e legale per il disbrigo delle pratiche per visti, permessi di soggiorno, ricongiungimenti familiari, a svolgere attività informativa sulla normativa relativa all’immigrazione, ad attivare corsi di formazione e di valorizzazione delle competenze per l’inserimento lavorativo, a fornire orientamento e accompagnamento ai servizi sul territorio, a promuovere l’interazione tra associazioni locali e di stranieri, a creare reti con donne immigrate per farle uscire dall’isolamento sociale e culturale, a organizzare eventi per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi dell’interculturalità e del dialogo. I soggetti che operano principalmente con gli immigrati hanno sviluppato e consolidato modalità di accesso facilitate creando sportelli appositi, centri d’ascolto e dispensari che di fatto risultano essere Osservatorio Regionale Immigrazione 12 Terzo Settore e integrazione delle porte d’ingresso, e affidandosi all’utilizzo di mediatori linguistici e culturali quando loro stessi non conoscono le lingue che facilitano la comunicazione, come l’inglese e il francese. L’accesso è reso facilitato anche dalla capacità di ascolto e interpretazione culturale di operatori che hanno vissuto nei paesi da cui provengono gli stranieri, o perché negli anni hanno attivato una rete personale di conoscenze e informativa con assistenti sociali e comunità straniere facilitando il passaparola. Altri guardano alla presenza di operatori stranieri come valore aggiunto per completare la loro capacità di accoglienza. Alcuni agiscono invece direttamente sulla capacità degli stessi stranieri di fare richiesta di assistenza formandoli sulla conoscenza della lingua e dei loro diritti, intercettando ad esempio coloro che non sono presenti nei Centri Territoriali Permanenti (CTP). Invece di attendere l’utente si fanno conoscere tramite l’assistenza che fanno in ospedale agendo là dove possono essere contattati da stranieri, ma anche diffondendo vademecum informativi e volantini in tutte le lingue. I soggetti che invece si occupano di dipendenze, diversa abilità, salute mentale, diritti del malato, diritti alla maternità, e di altri settori non specificatamente connessi alle problematiche dell’immigrazione hanno fornito due tipologie di spiegazioni che riassumono le diverse risposte sulla mancata specificità di servizi. Alcuni hanno consapevolmente ribattuto di non volere correre il rischio di creare ulteriori ghettizzazioni creando differenze tra utenti soprattutto laddove certi servizi sono impostati su posizioni metodologiche precise e uguali per tutti, come nelle strutture ACAT. Tuttavia cercano di supplire con percorsi individuali e con l’aiuto di mediatori linguistici o culturali. A Treviso e Verona queste realtà del Terzo Settore si sono mostrate più attrezzate con servizi mirati anche perché con una percentuale alta di utenza straniera. L’altra tipologia di risposte mostra invece un’assenza di consapevolezza del fatto che il retroterra culturale degli utenti possa condizionarne l’accesso e fruizione di un determinato servizio sostenendo che distinzioni culturali o di religione non influiscono sull’interazione. Da entrambe le posizioni il risultato è lo stesso ed implica che anche in quei servizi, rivolti all’accoglienza e sostegno di indigenti, dove la percentuale degli stranieri risulta essere alta se non maggioritaria, non vengono adottate modalità di accoglienza mirate con il rischio di acuire le distanze tra “noi” e “loro” piuttosto che evitarle, un problema che si intreccia con la difficoltà a riconoscere la necessità dell’utilizzo di metodologie specifiche. Osservatorio Regionale Immigrazione 13 Terzo Settore e integrazione 2.2 Terzo Settore e interculturalità. Dalle percezioni alle metodologie nel rapporto con l’utente straniero Nell’ambito dell’integrazione sociale e culturale degli stranieri nella comunità italiana lo Stato si impegna ad “accogliere le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza, e a tale fine promuove e favorisce iniziative volte all’accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni”. 2 In merito all’impegno ad accogliere la diversità culturale “nel rispetto reciproco” sono emerse dai soggetti intervistati a campione del Terzo Settore posizioni discordanti manifestate su piani diversi, da una più generale riflessione sul significato dell’interculturalità al tipo di approcci metodologici da impiegare. Piani che, intersecandosi, evidenziano alcune contraddizioni. Una prima contraddizione manifesta una mancata consapevolezza e formazione da parte di alcuni intervistati (34%) che da una parte sottolineano tutta una serie di problematiche che sorgono nell’approccio all’utente straniero, dovute alla sua appartenenza a una cultura diversa, mentre dall’altra non riconoscono la necessità di una metodologia specifica. Piuttosto che interrogarsi sull’adeguatezza della propria formazione, tali soggetti hanno mostrato una tendenza a porre l’accento sulle manchevolezze degli utenti stranieri e alle diverse difficoltà che queste creano e contro cui ammettono di scontrarsi. Il ventaglio delle lamentele spazia dall’incapacità linguistica che compromette le attività di gruppo, al problema di trovare una famiglia sostitutiva agli stranieri per la cura dalle dipendenze, al fatto che questi dimostrino aspettative solo materiali ed economiche, alla difficoltà che spesso gli stranieri non “sappiano” parlare di sé e dei propri problemi nelle terapie di gruppo o che le mogli si permettano di esprimere le difficoltà dei mariti di fronte ad altri, alla vergogna profonda che stranieri di alcune nazionalità provano verso le dipendenze o l’AIDS, alla diffidenza che alcuni manifestano nei confronti di cure e medicinali “occidentali”, alle problematiche di convivenza laddove musulmani e altri non accettano di interagire con donne che lavorano come operatrici, alla mancata interazione delle famiglie con la scuola, al fatto che le donne di alcune culture patriarcali di fronte ai mariti si rendono mute, alla mancata integrazione al di fuori delle attività di servizio, fino alle problematiche legate alla condizione di precarietà economica, l’emergenza casa e lavoro. Ancora, la contraddizione emerge laddove si sostiene che la differenza culturale degli utenti condiziona l’approccio e lo svolgimento delle attività, ma tuttavia non costituisce un ostacolo bensì 2 Art. 38 comma 3 del D.L. 286/98. Osservatorio Regionale Immigrazione 14 Terzo Settore e integrazione disagi solo iniziali che la buona volontà e la sensibilità di chi li accoglie risolve dopo i primi approcci. Oltre alla discrezionalità personale degli operatori per un’adeguata accoglienza si sottolinea paradossalmente, rispetto alle lamentele citate, la capacità degli stranieri di adeguarsi velocemente alle regole e alla metodologia impiegata nei confronti di tutti gli utenti, negando pertanto la necessità di approcci metodologici specifici al di là della mediazione linguistica. Tale visione della realtà relazionale sembra implicare una mancata riflessione sulla differenza che dovrebbe esistere tra assimilazione e integrazione e, anzi, un orientamento a riservare stesse regole e metodologie a cui tutti si devono adeguare. Il “buon cuore” viene rivendicato come strumento di risoluzione di conflitti e diversità avvalorato, in alcuni casi, dall’ipotesi che certi problemi presentati accomuna tutti, come la tossicodipendenza o la malattia mentale, problemi tali che sovrastano e annullano le diversità culturali. Da parte di alcuni il problema da porsi è piuttosto di come gli operatori italiani debbano resistere al condizionamento delle posizioni culturali, religiose e ideologiche degli stranieri. L’altro filone raccoglie una tipologia di risposte, date dalla maggioranza degli intervistati, che rivelano una contraddizione consapevole e riconosciuta nel fatto di non negare che la diversa derivazione culturale degli utenti richieda approcci e strumenti specifici, ma di non avere attuato modalità diverse di approccio metodologico. Le ragioni dell’assenza di strumenti sono spiegate in modo differente. Alcuni sostengono che la formazione sulla mediazione culturale non ha priorità tra i già tanti impegni, altri di voler evitare il rischio di diventare settoriali creando percorsi e approcci diversi e ulteriormente “ghettizzare” gli utenti stranieri rispetto agli altri. Tuttavia l’approccio a persone con un’abitudine ad usi e costumi diversi si scontra oggettivamente con certi schemi metodologici misurati sull’utenza di cultura italiana o occidentale. Dall’esperienza di alcuni operatori si è vista la difficoltà di utilizzare il lavoro come valore e strumento di recupero con persone straniere affette da dipendenze che non avvertono tale valenza culturale del lavoro. L’assenza di metodologie specifiche sembra comunque, tra gli operatori più sensibili, dipendere dalla scarsità di tempo e risorse umane e finanziarie che, a monte, condizionano la possibilità di formazione ulteriore e più specifica. Nelle comunità e strutture di accoglienza si cerca di supplire con percorsi personalizzati o adattando metodologie, come la total physical response, per aiutarsi con la gestualità corporea nel facilitare la comunicazione con malati psichici stranieri. Osservatorio Regionale Immigrazione 15 Terzo Settore e integrazione Ma la metodologia dovrebbe essere solo uno strumento e risorsa rispetto al vero problema rappresentato dalla capacità di lettura e interpretazione dei bisogni. Solo 21 su 49 intervistati (42%) sentono di non essere adeguati nell’approccio all’utenza straniera, mentre in realtà si sono dimostrati tra i più consapevoli della complessità delle problematiche culturali. Infatti si sono posti il problema di comprendere delle patologie alla luce del fenomeno migratorio e sue implicazioni, di gestire conflitti e violenze all’interno di famiglie straniere dove i ruoli sono codificati in modo culturalmente diverso dai nostri, di capire il rapporto di alcuni stranieri con le dipendenze. La maggioranza, invece, indica nell’esperienza acquisita sul campo, rispetto alla propria specializzazione, lo strumento principale per capire bisogni e dinamiche relazionali senza guardare alle complicanze aggiunte dalla diversità culturale. L’unica vera lacuna riconosciuta da tutti è l’ignoranza delle lingue straniere, mentre si universalizzano i problemi e si minimizzano le relatività culturali, sostenendo, ad esempio, che il rapporto madre/figli è uguale per tutti e come tale va trattato. Alcuni sembrano pensare che occuparsi di diversità culturale possa significare creare ulteriore distanza, mentre preferiscono non fare distinzioni tra nazionalità, religioni e culture. L’ascolto e l’esperienza sono considerati strumenti sufficienti. Il problema è che in molte aree il fenomeno può essere ancora abbastanza recente per aver sviluppato una reale esperienza sulle dinamiche culturali. L’identificazione dei bisogni, elemento portante di ogni progettualità, dovrebbe essere decifrazione e interpretazione non solo dei bisogni ma anche delle modalità di richiesta di aiuto che possono essere condizionate dal retroterra culturale e sociale. Dai dati raccolti con il questionario emerge una scarsa consapevolezza di come l’incapacità di leggere una cultura “altra” crei problemi e disagi non solo agli utenti ma anche agli operatori. Alcuni intervistati hanno manifestato sentimenti di diffidenza e delusione poiché si sentono strumentalizzati dagli stranieri lamentando un loro approccio utilitaristico senza dimostrare volontà d’integrazione. Questa lettura della realtà, sicuramente supportata da episodi accaduti, può forse anche essere ricondotta all’incapacità di capire come spesso gli stranieri, in difficoltà economiche, senza sostegno morale e psicologico per la mancanza di reti parentali, veicolino attraverso richieste di aiuto materiale bisogni più profondi. Alcuni operatori più sensibili cercano invece di capire e interpretare una certa ritrosia e diffidenza da parte degli utenti stranieri, comprendendo l’insicurezza e lo smarrimento per traumi da guerra e sradicamento o per i vissuti personali prima e durante il fenomeno migratorio. Osservatorio Regionale Immigrazione 16 Terzo Settore e integrazione Dall’altra parte sembra anche necessario attrezzarsi psicologicamente rispetto a quegli stranieri che hanno un atteggiamento di pretesa nel chiedere assistenza, o di avere più formazione per non avere timori di essere prevaricatori sulla loro cultura.3 Nonostante le problematiche di approcci e di tipo relazionale, solo il 24% dei soggetti intervistati dichiara di avere seguito corsi sull’interculturalità per la gestione dei conflitti e mediazione culturale, spesso più per l’interesse personale dell’intervistato che per la presa di posizione della struttura per cui si opera. Coloro che hanno partecipato a questo tipo di formazione per proprio interesse affermano che poi non vi è crescita condivisa attraverso una riflessione comunitaria all’interno della realtà associativa dove si tende invece a procedere con le proprie categorie interpretative piuttosto che rispettare la differenza dell’altro. Alcuni sostengono che questo tipo di offerta formativa si è contratta sia a causa della mancanza di investimenti da parte del pubblico sia per un diminuito interesse degli stessi attori del terzo settore. I più informati sostengono che la stessa cultura scientifica non presenta sufficiente casistica e letteratura sugli adulti immigrati e che pertanto mancano veri strumenti e metodologie codificate. Gli operatori più sensibili al tema dell’immigrazione provocano quindi incontri per la propria formazione chiamando anche specialisti di spessore nazionale. I soggetti formati sull’interculturalità e con esperienza dimostrano una maggiore dimestichezza nel sapere interpretare bisogni e intervenire di conseguenza, alcuni grazie anche all’utilizzo di figure professionali quali sociologi e psicologi per aggiornamenti oppure creando equipe multidisciplinari. Manifestano consapevolezza nell’usare un linguaggio semplice con la pazienza di ripetere più volte gli stessi concetti perché gli stranieri possono dire di aver capito per non deludere le aspettative di chi gli fornisce informazioni, oppure nel dover provvedere a un maggior sostegno alle famiglie per l’orientamento ai servizi sul territorio, combattere la solitudine non avendo reti parentali di supporto, diffondere corsi di italiano al di fuori dei capoluoghi di provincia, dove scarseggiano, evitare l’assistenzialismo e responsabilizzare lo straniero rispetto alle soluzioni. Una ulteriore contraddizione che si evince dai dati raccolti è che mentre da una parte pochi ammettono di non essere adeguati nell’approccio all’utente straniero, dall’altra quasi la metà degli intervistati (22 su 49) manifestano la percezione di sentirsi ancora in una situazione di emergenza rispetto agli stranieri, anche se rodati nell’esperienza rispetto alla professione specifica. 3 Come evitare di esprimere complimenti su bambini africani per non alimentare il timore del malocchio che avrebbero Osservatorio Regionale Immigrazione 17 Terzo Settore e integrazione Anche i più esperti nel contatto con le persone immigrate si trovano a volte ancora sorpresi nell’approccio alle seconde generazioni, in particolare agli adolescenti che maturano disagi psicologici e sociali rispetto alla loro identità, nelle dinamiche intrafamiliari e nei conflitti, richiedendo un costante aggiornamento di fronte a un fenomeno in continua evoluzione. Ma le strutture più formate riescono a specializzarsi su più fronti e a lavorare in equipe. Tuttavia, nonostante la dichiarata emergenza nel gestire gli utenti stranieri, spesso per la natura sporadica dei contatti, ben 30 dei 49 operatori (61%) sostengono di non avere mai utilizzato mediatori linguistici e culturali, e alcuni tra coloro che li hanno richiesti ammettono che si è trattato di rare volte. La spiegazione del non utilizzo di questa figura, affermando che tra i loro operatori vi è chi conosce l’inglese e il francese o che gli utenti stranieri conoscevano la lingua italiana, dimostra l’attenzione per il problema concreto della mancata conoscenza della lingua piuttosto che della mediazione culturale. La grande maggioranza degli operatori dichiara di non sapere se esiste una banca dati o un albo di mediatori cui fare riferimento nel loro territorio, mentre chi si appoggia a tali figure sfrutta conoscenze personali o di associazioni che se ne occupano. Pochi vedono la complessità legata alla figura del mediatore a cominciare dal fatto che non sia ancora riconosciuto come figura professionale e la difficoltà a determinarne i requisiti, ma anche rispetto al ruolo che deve sostenere facendo da ponte tra due culture e sapendo anche tradurre i linguaggi tecnici della burocrazia. Tanto meno si vedono tutte le problematiche che possono essere legate magari alla circostanza che il mediatore sia di etnia diversa da quella dell’utente e magari in conflitto. Sono state vaghe le risposte su dove sia possibile reperire dei mediatori. Molti di coloro che di primo acchito hanno risposto di non sapere se esistono banche dati o albi poi hanno indicato come possibili referenti, per sentito dire, il comune, la provincia, le ASL, i tribunali, gli sportelli per immigrati o particolari associazioni. Il 55% del campione ritiene che non esistono associazioni che si occupano del problema della mediazione culturale e afferma di non essere a conoscenza di occasioni di incontro sul territorio per condividere conoscenze e riflessioni in merito all’interculturalità, a parte gli eventi culturali organizzati dagli stessi stranieri, o alcuni convegni di altro carattere. Alcuni ammettono di non le madri. Osservatorio Regionale Immigrazione 18 Terzo Settore e integrazione partecipare anche a queste ultime tipologie di incontri per mancanza di tempo e risorse oppure perché ritengono che il loro settore non sia ancora interessato da un’utenza straniera per cui non si sentono coinvolti. Alcuni intervistati giustificano la mancanza di impegno sul fronte dell’interculturalità con l’argomentazione che gli stessi stranieri non interagiscono tra loro e non si pongono in atteggiamento di dialogo rispetto alle associazioni locali. E’ da notare anche come la questione della mediazione culturale risulti, per soggetti non impegnati sull’immigrazione, qualcosa di puramente aleatorio e teorico, comunque un concetto non chiaro e di difficile applicazione rispetto alla concretezza del loro lavoro. Occasioni di riflessione e formazione specifiche sull’interculturalità risultano essere rare al di fuori di certi capoluoghi di provincia, ma anche i più informati lamentano un’assenza di reali punti di riferimento teorici e una ridotta riflessione sull’interculturalità e conoscenza della storia e cultura dei paesi di provenienza, anche tra i soggetti più sensibili al problema. A maggior ragione si ritiene che chi è specializzato in settori specifici come la diversa abilità, le dipendenze etc., non troverebbe prioritaria la formazione sulla mediazione culturale. Molto pochi sanno indicare metodologie specifiche nell’ambito dell’interculturalità, in merito anche alla gestione del conflitto, l’approccio all’identità, la gestione del potere, le metodologie attive e partecipative. La Caritas, tra le strutture più impegnate sul fronte della formazione, vede addirittura un rallentamento sul piano della riflessione interculturale dove gli stessi operatori sembrano limitarsi a un primo e superficiale livello di formazione. Alcune lamentele sono emerse rispetto all’impegno non sufficiente da parte delle istituzioni pubbliche ad investire in questo tipo di problematiche, e al danno provocato dai media che producono solo informazione negativa rispetto all’immigrazione, alimentando il razzismo. L’aspetto più rilevante offerto da questi dati è la mancata percezione della trasversalità del fenomeno dell’immigrazione e dell’utenza straniera a tutti i settori. La conseguenza è che pochi sono gli strumenti attualmente in uso e ridotta ne è la diffusione, mentre la maggior parte degli attori sociali rimarca come la professionalità si formi con l’esperienza sul campo, anche rispetto a problematiche nuove. Di fatto, ciò che sembra mancare è il connubio di ricerca e azione rispetto alle implicazioni della relazione interculturale con utenti stranieri, dove l’identificazione di bisogni e problematiche relazionali dovrebbe guidare appropriate azioni di intervento. Osservatorio Regionale Immigrazione 19 Terzo Settore e integrazione Osservatorio Regionale Immigrazione 20 Terzo Settore e integrazione 2.3 Interazione tra associazioni ed enti: le esperienze condivise, i punti di riferimento, le competenze e le risorse In merito alle relazioni tra i diversi attori del privato sociale e volontariato, sul fronte della mediazione culturale, emerge netta la denuncia di una scarsa collaborazione e una lontananza anche dalle associazioni di stranieri, che sono giudicate fragili e spesso non rappresentative delle comunità, realtà che nascono e muoiono molto facilmente anche per mancanza di risorse e di luoghi fisici dove incontrarsi. La poca cooperazione, in particolare tra soggetti appartenenti a diverse aree di intervento sociale, sembra tradursi da un’insufficiente consapevolezza della necessità di affrontare problematiche relative all’incontro tra diverse culture, che invece interesseranno in modo sempre più pregnante i diversi settori del Terzo Settore. Un quadro, quello delineato dagli intervistati, in parte attribuibile alla mancanza di interesse da parte delle istituzioni pubbliche nel raccordare le varie realtà, dall’altra all’incapacità degli stessi attori sociali di coordinare gli interventi oltre a sporadici tentativi di sinergia in occasione di progetti comuni, che non si rivelano durevoli a causa della mole di lavoro e impegni a fronte di scarsità di mezzi e disponibilità di tempo. La valutazione che gli intervistati rendono esplicita è che vi siano incontri e coordinamenti ma non sufficienti a garantire una sinergia sistematica limitandosi a un passaggio di informazioni in modo informale tra le persone di fatto interessate a lavorare in rete sulle stesse tematiche. Molti lamentano che la scarsità di attitudine collaborativa tra le realtà dell’associazionismo è dovuta ad individualismo e protagonismo, temendo che unendosi si perdano riconoscibilità e meriti. Alcuni ritengono che il problema appartiene allo stesso sistema in cui i diversi settori si ritrovano condizionati a proseguire per compartimenti stagni senza opportunità reali di incontro sia per scarsità di protocolli d’intesa, come quello recentemente sviluppato sulla doppia diagnosi, sia per canali diversi di accesso ai finanziamenti. I tavoli di lavoro organizzati in seno alle province, cui partecipano referenti di varie realtà e enti di formazione, non sembrano sortire gli effetti sperati e i piani di zona, pur considerati positivamente, necessitano di maggiore stimolazione nella progettualità per l’area immigrazione, che non è tra le priorità e quindi non canalizza risorse. Osservatorio Regionale Immigrazione 21 Terzo Settore e integrazione Sebbene 37 intervistati su 49 (75%) affermano di conoscere le associazioni a cui si potrebbero rivolgere per richiedere competenze e risorse aggiuntive per l’approccio all’utente straniero, 4 ben il 53% ammette di non avere mai contattato nessuno. Pochi sono coloro che si rivolgono anche alle associazioni di stranieri per coinvolgerli in qualche iniziativa o chiedere loro consigli sul piano della mediazione culturale. Non deve neppure sfuggire il dato che 14 soggetti non saprebbero neppure a chi rivolgersi in caso di richiesta di formazione o risorse per la mediazione culturale. Al di fuori di Verona e Treviso, in particolare si denuncia una carenza di realtà che offrano reali competenze in materia interculturale. Alcuni ritengono anche che le associazioni che si occupano di immigrazione siano poco visibili e presenti, e pertanto è difficile intercettarle, mentre altri si dichiarano apertamente non interessati a collaborare con chi non appartiene allo stesso settore professionale per la diversità di temi e dinamiche. Il problema sembra risiedere proprio nella mancata percezione della trasversalità del fenomeno dell’immigrazione che investe almeno in misura parziale tutti i settori, con la conseguenza di non attivare sinergie per affrontare insieme la stessa problematica ma calata in realtà diverse. Il quadro che ne esce è fatto di attori chiusi in coordinamenti all’interno del proprio settore, che non avvertono la necessità di trovare un comune denominatore per realtà giudicate così distanti. Gli attori dedicati all’immigrazione segnalano un mancato interesse da parte del resto del terzo settore nei confronti delle problematiche culturali nelle relazioni con gli stranieri, ammettendo di non essere contattati per collaborazioni se non da enti pubblici. Si denuncia anche che le altre aree del privato sociale o volontariato, nonostante possano avere sensibilità nell’approccio, mancano di formazione e risorse sul fronte di tale problematica, inficiando possibilità di coordinamento e collaborazione per la chiusura nelle specificità della propria specializzazione. I soggetti dell’area immigrazione trovano pertanto difficile condividere la propria esperienza interculturale con altre associazioni, mentre gli incontri si riducono alle problematiche operative della partecipazione a progetti comuni. Gli operatori più preparati in materia culturale in tutte le province vengono contattati da scuole, assistenti sociali ed educatori per percorsi formativi, ma a loro volta devono guardare a soggetti di livello nazionale per avere dei riferimenti teorici e di supporto. 4 Costoro farebbero riferimento alle realtà che più sono riconosciute come operanti nel problema immigrato come persona e l’approccio capaci di fornire informazioni e metodologie, come la Caritas, il coordinamento Fratelli d’Italia a Treviso, il Cestim di Verona o alle università dove siano istituiti corsi sull’interculturalità, o passerebbero tramite i Centri Servizio Volontariato. Osservatorio Regionale Immigrazione 22 Terzo Settore e integrazione A Treviso e Verona gli operatori sembrano avere più punti di riferimento per la formazione o per collaborazioni, segnalando un’interazione più consolidata tra realtà associative. Tra coloro che si occupano di immigrazione esistono convenzioni specifiche sul territorio con alcuni enti pubblici, generalmente i servizi sociali del comune di appartenenza e le unità sanitarie locali che mettono a disposizione risorse per informazione e mediazione, oppure collaborano con le università, con esperti in materia di immigrazione, con agenzie formative come l’AGFOL, IAL, ENAIP, o i corsi FSE, fanno parte di reti informatiche. Esistono progetti regionali, come Azimut dove si lavora in rete per adottare procedure comuni per l’inserimento dei minori stranieri non accompagnati, e diverse città sono interessate da eventi e manifestazioni culturali che diventano occasioni per incontrare e conoscere le comunità straniere. Tuttavia rimane prevalente la denuncia di una mancanza di collaborazione, un tasto dolente per gli attori del lavoro sociale, dovuto anche alla fatica di moltiplicare gli incontri visto il sovraccarico di impegni. Qualcuno suggerisce di investire su strumenti rivisitati e aggiornati per gestire nuove forme di coordinamento magari tramite una rete informatica tra associazioni per la condivisione di esperienze, informazioni e casistica. Chi lavora nell’ambito dell’immigrazione reputa assolutamente necessario il superamento di azioni singole vedendo nella capacità di creare rete con altre associazioni ed enti un vero e proprio strumento di intervento, per rispondere alle esigenze degli stranieri in maniera adeguata e integrata, affrontando le diverse problematiche con un’ottica olistica e non settoriale. Tale necessità deriva proprio dall’esigenza di sviluppare trasversalmente competenze e conoscenze utili da mettere a disposizione di chi, di volta in volta, si trovi di fronte alle difficoltà delle dinamiche interculturali, superando l’impossibilità anche quantitativa di conoscere le implicazioni delle tante culture e nazionalità con cui si entra in contatto. Tale sinergia, viene sottolineato da alcuni operatori, gioverebbe anche a realtà che si occupano di specifiche aree come l’infanzia, le dipendenze, la salute mentale, che hanno comunque a che fare con un’utenza straniera. Si tratterebbe di integrare gli approcci, superando la parcellizzazione dei servizi, e andare a gestire, ad esempio, l’esigenza dell’inserimento sociale e lavorativo degli stranieri dopo la cura riabilitativa per il trattamento delle dipendenze, così come dei malati di AIDS. Alla scarsa attuale interazione si aggiunge la percezione di una difficoltà nell’accesso all’informazione sulle normative e statistiche relativamente all’immigrazione, giudicandola anche Osservatorio Regionale Immigrazione 23 Terzo Settore e integrazione non chiara perché di difficile interpretazione quando si tratta di regolamenti e circolari. Diventa quindi necessario appoggiarsi a professionisti o far riferimento a siti web specializzati. Pochi ritengono che rispetto a qualche anno fa esista più informazione a disposizione sull’immigrazione e in maniera più integrata e completa. La normativa è di difficile lettura per la maggioranza degli intervistati che si rivolgono, se necessario, ad associazioni specializzate, alla prefettura, ai sindacati, ad avvocati. Diversi intervistati, dedicati all’area dell’immigrazione, hanno anche voluto segnalare il danno che certi media arrecano, non solo per il trattamento negativo delle notizie sugli stranieri, ma anche per informazioni tecniche non corrette che creano confusione nel disbrigo delle pratiche di tali utenti. Osservatorio Regionale Immigrazione 24 Terzo Settore e integrazione 2.4 Dati sulla presenza effettiva di stranieri come operatori del sociale, problematiche dell’integrazione Un altro punto focale della ricerca era di monitorare l’inserimento quantitativo e qualitativo di operatori stranieri nelle diverse realtà del Terzo settore. I dati raccolti indicano come la maggioranza degli operatori stranieri, impiegati presso i soggetti coinvolti nella ricerca, siano addetti all’assistenza socio-sanitaria, svolgano funzioni di infermieri o di mediatori linguistici e culturali. Pochi sono invece i casi in cui risultano essere responsabili di sportelli e centri di ascolto, oppure consulenti esterni su problematiche relative alla propria cultura di appartenenza, e rarissimi i casi in cui abbiano una competenza tale da offrire consulenza da liberi professionisti su tematiche del lavoro e diritto, o abbiano mansioni di educatori e animatori di comunità. Di fatto, visti i bassi livelli di scolarizzazione della prima generazione di immigrati, gli stranieri sono nella maggior parte impiegati come soci lavoratori nelle cooperative sociali di tipo B dove si richiedono professionalità manuali, mentre sono quasi inaccessibili le cooperative di tipo A dove negli ultimi anni è richiesta una formazione, anche universitaria, di alta competenza e professionalità. Rispetto all’accoglienza quantitativa di operatori e volontari stranieri all’interno dei soggetti del Terzo Settore intervistati, solo 20 (40%) dichiarano di averne attualmente o di averne avuti precedentemente. Non è un caso che nella maggior parte si tratti di operatori di origine slava, albanesi o dell’ex-Jugoslavia, e dei paesi dell’Europa dell’Est che mostrano una scolarizzazione più alta e una maggiore capacità linguistica. Altri operatori risultano essere originari dell’America Latina o dell’Africa ma impiegati in mansioni di livello più basso. Un altro dato rilevante è la conferma che gli operatori impiegati possiedono il requisito di residenza pluriennale in Italia, attrezzati quindi di una conoscenza sufficiente del territorio e delle nostre abitudini culturali e sociali. Gli stipendiati sono nella maggior parte dei casi assunti a tempo indeterminato o con contratti di collaborazione a progetto. La loro partecipazione è a livello consultivo nelle equipe operative o anche a livello di struttura amministrativa, senza però esercitare poteri decisionali in senso stretto a causa della scarsa conoscenza normativa. Escludendo la partecipazione alle proprie associazioni di comunità, si dicono rarissimi i casi in cui gli stranieri sono presenti come volontari, se non come ex-utenti di una struttura cui viene offerta Osservatorio Regionale Immigrazione 25 Terzo Settore e integrazione formazione. Le necessità concrete cui devono far fronte riducono la capacità degli stranieri di partecipare alla società civile in modo completo. Tuttavia alcuni spiegano l’assenza di volontari anche dicendo che gli stranieri non cercano l’integrazione socio-culturale, preferendo chiudersi nei propri canali di comunicazione e relazioni per la paura di perdere l’identità, o anche perché è difficile aspettarsi un impegno nel volontariato da parte di stranieri così egoisti e focalizzati nel cercare di accaparrarsi le risorse. L’assenza di operatori stranieri viene spiegata con l’esiguità delle domande avanzate, oppure con la mancanza di posti disponibili. Alcuni soggetti desiderano per il futuro facilitarne l’ingresso in particolari settori, come l’infanzia per agevolare la mediazione culturale con minori stranieri, mentre gli educatori manifestano il desiderio di relazionarsi con le diverse formazioni culturali di operatori stranieri per integrare ulteriori prospettive. Non pochi tuttavia si sono detti non interessati ad inserire operatori stranieri non vedendone la necessità dato che la loro area di intervento non è quella specifica dell’immigrazione. Nella valutazione delle capacità e competenze degli stranieri, in vista di un loro inserimento nel terzo settore, al di fuori dei capoluoghi di provincia più attrezzati c’è la tendenza a considerare gli stranieri con competenze e scolarizzazione molto limitate. Rimane invece per tutti il problema, al di là del mancato riconoscimento ed equipollenza del titolo, che anche se gli stranieri avessero un’istruzione acquisita nei loro paesi, questa dovrebbe essere integrata con una formazione e specializzazione che tengano conto delle nostre impostazioni teoriche e metodologiche. Pochissimi, tra i più vicini alle realtà degli stranieri, invece riconoscono che la loro istruzione a volte è elevata, ma la nostra economia non è in grado di integrarla. Ma al di là delle competenze, ulteriori requisiti sono stati giudicati essenziali dalla maggioranza degli intervistati: la padronanza della lingua italiana, la cognizione delle nostre abitudini culturali e sociali, la comprensione della peculiarità e complessità del lavoro sociale. Questo dato conferma come la problematica relazionale costituisca il nocciolo su cui si impernia il lavoro sociale a riprova del fatto che la vera discriminante è la diversità culturale, la cui sfida non si può più eludere. Invece si può prevedere lo stesso servizio di accompagnamento, riservato anche agli operatori italiani, rispetto al contesto in cui si viene inseriti e per l’acquisizione di conoscenze sulle nostre normative e sul sistema locale di servizi. I più sensibili alle dinamiche culturali sollevano soprattutto la difficoltà dell’integrazione alla luce di diversi schemi interpretativi, della mancata cultura della logica dei servizi e dell’assistenza, e Osservatorio Regionale Immigrazione 26 Terzo Settore e integrazione della timidezza o anche durezza che certi operatori presentano a causa di vissuti difficili, richiedendo quindi un lavoro sui problemi relazionali più che sulle competenze professionali. La percezione della difficoltà di un ingresso e reale integrazione di operatori stranieri è confermata dal dato che ben 38 dei 49 intervistati (77%) si aspetterebbero in generale, per diverse ragioni, resistenze da parte degli stessi attori del Terzo Settore. La differenza culturale susciterebbe diffidenza rispetto al fatto di poter affidare nelle mani di stranieri settori molto delicati e complessi, e di potersi fidare della diversa concezione e rapporto che gli stranieri hanno con il tempo e con i nostri ritmi di lavoro, o farebbe dubitare del livello igienico-sanitario. Alcuni ritengono gli stranieri inaffidabili per l’abitudine di lasciare improvvisamente il posto di lavoro per recarsi nei loro paesi e successivamente ricomparire, non garantendo continuità. Gli operatori più sensibili ammettono resistenze a causa dei pregiudizi diffusi rispetto a culture “altre” e alla loro diversità, anche per la negativa cassa di risonanza dei media. Segnalano un problema di educazione non solo degli stranieri ma anche dei cittadini italiani, che diffidano delle loro competenze e capacità, ammettendo che solo tra diverse generazioni si potrà arrivare a una vera integrazione. Diversi hanno ammesso di aver avvertito la minaccia di perdere il lavoro e prevale la resistenza nei confronti dei musulmani, a volte per la paura dell’islamismo, a volte per problemi oggettivi su come gestire il ramadan nei luoghi di lavoro, o rispetto alle difficoltà relazionali con le operatrici donne. Alcuni sottolineano, invece, che la stessa difficoltà del mercato del lavoro, che investe anche il Terzo Settore, e la lunga selezione insieme ai percorsi introduttivi richiesti dalla complessità del lavoro sociale oggettivamente frenano l’integrazione di operatori stranieri. Sono emerse percezioni negative e di chiusura da parte di alcuni soggetti per la crescente delusione di vedere che gli stranieri arrivano non per inserirsi nella comunità italiana, ma per sfruttare tutte le risorse possibili per poi rientrare nei loro paesi. Altri pensano che ci sarebbe il timore di perdere prestigio e riconoscimento di fronte a enti pubblici o altre realtà associative a causa di chiusure culturali e generazionali, come qualcuno ha già esperito inserendo un operatore straniero a gestire le relazioni esterne. Esistono inoltre problematiche legate all’appartenenza culturale degli operatori. Alcuni attori del sociale si sono scontrati con la difficoltà di impiegare stranieri nella gestione degli sportelli, preoccupati dei favoritismi a cui potevano essere indotti rispetto ad utenti della stessa nazionalità o Osservatorio Regionale Immigrazione 27 Terzo Settore e integrazione etnia. Inoltre gli operatori stranieri possono subire vere e proprie pressioni da parte di connazionali per richiedere canali privilegiati, oppure venire allontanati nelle attività di mediazione culturale perché avvertiti come minaccia da utenti della stessa nazionalità, rispetto alla propria privacy, in situazioni socialmente delicate o di malattia. Lo scenario che si presenta è segnato dal giudizio unanime che ritiene i tempi non maturi per l’integrazione degli stranieri nel terzo settore, non solo per resistenze da parte degli operatori ma anche per le probabili reazioni da parte degli utenti, come afferma il 79% degli intervistati. Il problema non è solo rappresentato da una difficoltà oggettiva delle prime generazioni a integrarsi dal punto di vista culturale e sociale, ma anche da una mancata educazione e preparazione da parte dei cittadini veneti di fronte alla diversità culturale. Molti lo hanno già sperimentato, ad esempio, tra gli utenti di comunità terapeutiche per la cura da dipendenze o nelle case di accoglienza, con episodi anche di razzismo soprattutto nei confronti degli africani e asiatici, mentre gli operatori dell’Europa dell’est sono più facilmente accettati. Alcuni spiegano come tali utenti abbiano reazioni di paura perché condizionati anche da situazioni di fragilità, o come non riconoscano gli operatori nella loro funzione per resistenze culturali e psicologiche sulle competenze. Altri elementi discriminanti sono: la preoccupazione del livello igienico-sanitario, e, in alcune patologie come l’anoressia, la volontà di selezionare attentamente l’interlocutore, e il dubbio di attendersi reale comprensione dei propri bisogni vista la diversità culturale. Ancora, si sono verificate situazioni di diffidenza anche da parte di utenti stranieri quando sono di differente nazionalità rispetto a quella dell’operatore straniero. Alcuni però più positivamente sostengono che, dopo il primo impatto di diffidenza, la conoscenza reciproca aiuta a superare le difficoltà e che l’approccio dello straniero andrebbe anche guidato dal resto della comunità degli operatori. Nella realtà delle badanti non ci sono prevenzioni sulle culture diverse, tranne che nei confronti delle africane per il colore della pelle a cui gli anziani non hanno abitudine. Osservatorio Regionale Immigrazione 28 Terzo Settore e integrazione 2.5 Percezione e valutazione dell’inserimento di professionalità straniere nel Terzo Settore. Proposte per la loro integrazione La scarsa percezione che emerge della presenza di operatori stranieri nel terzo settore tende a confermare come il processo per un’effettiva integrazione sia ancora lungo e complesso. In base alle percezioni personali i soggetti coinvolti nella ricerca indicano una media del 5-10% di presenze straniere rispetto a tutti gli operatori dell’associazionismo e privato sociale regionali. Coloro che non sono a contatto diretto con il fenomeno dell’immigrazione sottolineano di non avere nemmeno percezione di tale presenza. Gli stranieri sono prevalentemente identificati nella figura del mediatore culturale e linguistico, nell’operatore socio-sanitario e infermiere oppure nelle basse professionalità richieste nelle cooperative di tipo B per l’inserimento lavorativo. La percentuale più bassa di presenze viene segnalata per le cooperative di tipo A e tra gli educatori. La previsione di alcuni attori sociali della difficoltà anche per le seconde generazioni di immigrati ad inserirsi a livelli più alti di organico manifesta la preoccupazione per l’assenza di un’armonica integrazione fino a quando i lunghi e spesso dispendiosi percorsi per accedere ad alte specializzazioni discriminano le famiglie straniere che preferiscono le scuole professionali. Interventi di supporto dovrebbero allora essere identificati per intercettare i più meritevoli anche nei contesti non solo economicamente ma anche culturalmente emarginati. Rispetto all’inserimento di professionalità straniere nei vari settori del Terzo Settore, la maggioranza degli intervistati ne sostiene l’utilità per facilitare la comunicazione linguistica e intercettare più utenti stranieri, per accelerare il processo di integrazione culturale e sociale rispetto a una società sempre più multiculturale, per una comprensione maggiore dei bisogni degli utenti stranieri. I soggetti più sensibili affermano che la loro integrazione sarebbe una stimolazione culturale per gli stessi operatori, perché apporterebbero una prospettiva diversa e una crescente professionalizzazione di fronte a una differenziazione culturale dell’utenza. Valorizzare gli stranieri come educatori ed operatori rappresenterebbe per alcuni non solo una speranza per gli utenti stranieri ad una più profonda integrazione ma una base concreta di partecipazione diretta e democratica per promuovere i loro diritti dall’interno della società civile, soprattutto nel volontariato. Osservatorio Regionale Immigrazione 29 Terzo Settore e integrazione Tuttavia, sebbene alcuni pensino che il terzo settore dovrebbe essere il luogo deputato a favorire l’integrazione di queste persone, altri mantengono delle distanze all’idea di tale inserimento, sostenendo che non sarebbe necessario impiegarli vista l’assenza di utenza straniera nelle loro strutture, che le condizioni difficili in cui vivono non permetterebbe loro di rendere sul lavoro, o già prevedendo che gli stranieri non accetterebbero di lavorare per gli italiani, e sottolineando l’assenza di posti di lavoro per mancanza di fondi e risorse. Alcuni attori sociali si sono addirittura chiesti se davvero sentano la necessità di un loro inserimento vista la fatica e il tempo impiegati da loro stessi per capire le modalità di azione nel volontariato. Non credono inoltre che i canali di accesso alla professionalità e formazione poiché anche gli stranieri possono accedere ai bandi di concorso dove tutti possono partecipare. Posizioni, queste, che manifestano la difficoltà a mettersi in gioco, a leggere positivamente i cambiamenti sociali e culturali, arroccandosi a difesa delle postazioni raggiunte. La maggior parte degli intervistati si è dimostrata non pronta a rispondere sulle strategie possibili per integrare professionalità straniere nel Terzo Settore. I soggetti più vicini agli stranieri suggeriscono azioni di ampio respiro per influire sulla promozione socio-culturale, come le campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, ma in particolare indicano interventi mirati nelle scuole affinché i figli di stranieri diventino veicolo di integrazione per gli adulti e le nuove generazioni di italiani possano imparare a identificare l’integrazione come processo fisiologico. Si vorrebbe attivare forme creative e innovative in cui sollecitare l’incontro tra diverse culture attraverso l’uso e la compenetrazione di linguaggi diversi, come la musica e il teatro, affiancati, come in alcuni laboratori di attività pedagogica, da figure professionali quali psicologi ed esperti dell’interculturalità. Altre aree di intervento riguardano l’accesso ai corsi di formazione e specializzazione per professionalità più alte che sono spesso costosi per gli stranieri, o nel caso in cui sono gratuiti o offrono l’opportunità di borse di studio può rimanere l’incompatibilità degli orari rispetto ad un lavoro cui non si può rinunciare. Alcuni puntano il dito sull’attuale quadro legislativo che non offrendo garanzie per il futuro, per la facilità a ricadere in condizione di irregolarità, non crea un terreno fertile per l’integrazione e invitano ad intervenire sul mancato riconoscimento dei titoli di studio stranieri. Osservatorio Regionale Immigrazione 30 Terzo Settore e integrazione Altri sostengono la necessità da parte di istituzioni e associazioni di categoria di creare percorsi codificati di integrazione lavorativa nel tessuto locale a cominciare dalla connessione di corsi di formazione con sbocchi concreti di lavoro o protocolli d’intesa come sono stati realizzati a favore della figura di infermiere per colmare la domanda lacunosa nell’economia locale. Si evidenzia come ad esempio oggi i mediatori linguistici e culturali dopo non trovino canali di impiego perché non promossi dagli enti che dovrebbero diffondere la mediazione culturale. Qualcuno suggerisce una sorta di ufficio di collocamento integrato che faccia valutazione di competenze, ricerca e selezione di personale in collegamento con il mercato del lavoro, avviando sperimentazioni di lavoro congiunto e creando progetti pilota soprattutto dove ci sono utenti stranieri. Una tale iniziativa accelererebbe il processo dell’abitudine culturale a vedere persone straniere inserite in tipologie di lavoro più qualificato contribuendo all’interiorizzazione di una “normalità”. Infine, alcuni intervistati vogliono attirare l’attenzione sugli stessi operatori italiani che dovrebbero essere più formati sulla conoscenza di lingue straniere e sulla mediazione culturale, magari supportati da esperienze di stage anche all’estero, per favorire un’interazione che preveda la partecipazione e l’impegno di tutti. Ma la scarsità di risorse e finanziamenti, a detta di molti, vengono ancora a detrimento di simili progettualità. Osservatorio Regionale Immigrazione 31 Terzo Settore e integrazione 3. Conclusioni La prima conclusione da trarre è che la consapevolezza della necessità di adeguare approcci e metodologie rispetto ad un’utenza straniera non è direttamente proporzionale alla grandezza e alla maggiore strutturazione delle realtà associative e del privato sociale, ma dipende dall’interesse sviluppato da singoli operatori o da una linea di intervento adottata dalla struttura nel caso in cui la mission sia focalizzata sull’immigrazione. Tale consapevolezza va anche contestualizzata nelle realtà sociali e territoriali, e dal campione di rilevazione risulta essere maggiore in alcuni capoluoghi di provincia, come Verona e Treviso, rispetto ad altre province e alle realtà più periferiche. L’inclusione nei piani di zona invece non risulta un requisito sufficiente per maturare consapevolezza e formazione in merito alle problematiche culturali e l’integrazione socio-culturale degli stranieri. La visione d’insieme delle diverse realtà presenta una posizione prevalente nell’orientamento rispetto ai mutamenti sociali e culturali della società e quindi dell’utenza: l’assenza di strumenti specifici nel confronto con culture diverse non è, nella maggior parte dei casi, riconosciuta come grave lacuna, mutuando metodologie da altri contesti in caso di necessità e affidandosi all’improvvisazione e alla sensibilità personale. La deriva pericolosa di alcune posizioni è di confondere la sana problematicizzazione dell’approccio alle culture diverse, assumendo l’“alterità” di queste come elemento basilare per tentare il dialogo, con la volontà di creare distanze, e reagendo ad essa con un superficiale atteggiamento di presunta democraticità che porta a minimizzare o a ignorare le diversità, pur consapevoli di alcune problematiche oggettive di non poco conto. Il problema, da ribadire, è la distinzione che si deve compiere e interiorizzare tra assimilazione e interculturalità, poiché nel riconoscimento dell’alterità, nell’abitare la diversità, si pone la necessità di una reale comprensione. Ciò che salvaguardia la possibilità di dialogo e di reciprocità è darsi tempi e luoghi per il confronto, superando le paure, che non solo si manifestano nella conflittualità delle radicalizzazioni, ma si intravedono anche nei tentativi di negare le diversità ostentando una eguaglianza che rischia di annullare di fatto il riconoscimento delle identità. Osservatorio Regionale Immigrazione 32 Terzo Settore e integrazione Ma dallo scenario delineato dai dati raccolti non si evince un reale interesse per un tale tipo di impegno, preferendo agire secondo modalità conosciute che infondono sicurezza e non vengono messe in discussione. Il problema che si avverte è anche la mancata cognizione di cosa sia l’interculturalità, una materia avvertita come discorso astratto e teorico e che molti operatori difficilmente sanno come calare nel concreto delle azioni. Tale constatazione è avvallata dalla percezione maggioritaria da parte degli intervistati che il Terzo Settore non sia in generale pronto all’accoglienza di utenti e professionalità straniere. Il motivo addotto è un clima di resistenza culturale e psicologica che ci si attende da parte degli stessi attuali operatori e dagli utenti italiani, o stranieri se di nazionalità o etnia differente rispetto all’operatore straniero. In una tendenza alla diffidenza, pochi vedono nell’inserimento di operatori stranieri una componente essenziale nel processo di integrazione socioculturale, non curandosi di come questa inclusione non solo permetterebbe agli stranieri di avere dei referenti e di accelerare il loro inserimento nel tessuto socio-culturale, creando minori problematiche ai cittadini italiani, ma faciliterebbe anche le azioni d’intervento nelle relazioni interculturali a vantaggio dell’efficienza delle strutture. Pochi valutano gli utenti stranieri un valido stimolo per sviluppare metodologie diverse che richiederebbero maggiore formazione e flessibilità non solo rispetto alla diversità culturale dovuta alla provenienza da paesi diversi, ma anche alle difficoltà relazionali dovute all’appartenenza a culture generazionali diverse o a contesti sociali e territoriali (città/campagna) differenti. La conseguenza negativa della scarsità di formazione in merito alle dinamiche interculturali e della ritrosia ad aprirsi a culture diverse può essere l’incapacità di realizzare interventi efficaci. Applicare categorie non adatte culturalmente inficia la possibilità di sapere interpretare i bisogni e quindi di garantire risposte adeguate con approcci coerenti. Rilanciare la necessità di una maggiore formazione rispetto alla mediazione culturale è la richiesta di chi si occupa di immigrazione, anche per una grave mancanza di concertazione dettata, oltre che da condizioni oggettive di scarsità di tempo e risorse, dalla mancata consapevolezza della trasversalità di un fenomeno migratorio ormai strutturale rispetto a tutti i settori dell’intervento socio-sanitario. L’assenza di reti collaborative e la tendenza all’autoreferenzialità dei diversi settori, che la ricerca ha registrato, non permettono al Terzo settore di attrezzarsi adeguatamente rispetto a una società de facto dalla compagine multiculturale che può svilupparsi in modo armonico solo se accoglie la sfida dell’interculturalità, ossia la capacità di porre in relazione e dialogo le diverse culture. Osservatorio Regionale Immigrazione 33 Terzo Settore e integrazione La sinergia per far crescere il settore del sociale richiede la condivisione di politiche di interazione con le istituzioni pubbliche che sono invece avvertite lontane dagli intervistati, che lamentano scarsità di risorse e investimenti nel sociale. Riconoscere i confini, aiuterebbe a demistificare tante paure che sembrano ancora annidate in un settore, come quello socio-sanitario preposto alla cura delle persone, che dovrebbe invece offrire canali di accesso privilegiato. La percezione di assedio che si avverte da certe risposte dovrebbe far riflettere sulla necessità di intervenire non solo sullo spaesamento dei cittadini stranieri, ma anche degli stessi operatori, che non sono sufficientemente attrezzati non solo per mancanza di dispositivi metodologici, ma anche per una sensazione di isolamento psicologico, di carenza di schemi interpretativi e di interazione con chi è portatore di diverse identità e culture. La sfida dovrebbe essere di una maggiore professionalità dove la ricerca, con l’identificazione dei bisogni grazie a stili interpretativi adeguati, possa generare azioni d’intervento corrette secondo modalità metodologiche pensate a vantaggio dell’utente, considerando anche l’appartenenza culturale. Lo studio fin qui esposto non vuole giudicare ma piuttosto rendere espliciti degli orientamenti in base alle stesse percezioni e valutazioni rese dagli intervistati rispetto ad un Terzo Settore in cui la mancata formazione e consapevolezza della mediazione culturale, per far fronte ai mutamenti sociali e culturali sempre in evoluzione, rischia di inficiare l’efficacia degli interventi. Tale conseguenza deriva non solo dal fatto di non essere attrezzati negli approcci ai bisogni e nelle metodologie, ma, non avvertendo la trasversalità delle problematiche legate all’immigrazione a tutti i settori, anche dalla mancata percezione dell’urgenza di attivare sinergie che rendano disponibili competenze e risorse a colmare le lacune. La ricerca vuole fornire uno spunto di riflessione su come sperimentare nuove capacità di interazione per una società pluralistica e per un lavoro sociale che non si fermi alle emergenze ma sappia costruire cittadinanze attive. Osservatorio Regionale Immigrazione 34 Terzo Settore e integrazione 4. Riferimenti bibliografici Bernard, H. R., Research Methods in Cultural Anthropology (Newbury Park, California: Sage Publications, 1988). Fink, A., How to sample in surveys (Thousand Oaks; London; New Delhi: Sage Publications, 1995). Hakim, C., Research Design. Strategies and Choices in the Design of Social Research (London: Allen and Unwin, 1987). Oppenheim, A. N., Questionnaire Design, Interviewing and Attitude Measurement (London and New York: Pinter Publishers, 1992). Osservatorio Regionale Immigrazione 35 Terzo Settore e integrazione Allegato 1. Elenco dei soggetti intervistati per la ricerca Treviso Caritas Centro di Solidarietà (CEIS) Coordinamento Fratelli d’Italia Cooperativa sociale “Una Casa per l’Uomo” Organizzazione di volontariato “La Tenda” Associazione “Società S. Vincenzo” Padova Associazione Centro Iniziative Nuove (CIN) Centro d’accoglienza scuola “Gabelli”, cooperativa sociale COSEP Cooperativa sociale “Aurora” Associazione “il Bucaneve” Cooperativa sociale “Alba” Associazione “Migranti” Cooperativa dell’Accademia Platonica delle Arti Associazione Servizi Sociali e Sicurezza per Padova (ASSA) Cooperativa sociale “Comunità Aperta del 2000” Cooperativa sociale “Sestante” Associazione “Talita” Cooperativa sociale “Giovani e Amici” Cooperativa sociale “Polis Nova” Associazione “L’albero” Cooperativa sociale “Alambicco” Associazione Nuova Realtà “La Girandola” Venezia Associazione “Psiche 2000” Cooperativa sociale “Agire Per Elevare” (APE) Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli (ANFFAS) Associazione “Casa del Girasole” Cooperativa sociale “Carteger” Associazione Famiglie Disabili Gravi e Anziani (AFDA) Centro Aiuto alla Vita (CAV) Rovigo Associazione Culturale “Leonardo da Vinci” Associazione Arci Solidarietà Centro Diritti del Malato Associazione Club Alcolisti in Trattamento (ACAT) Centro Aiuto alla Vita (CAV) Associazione “Pianeta Handicap” Centro Italiano Femminile (CIF) Osservatorio Regionale Immigrazione 36 Terzo Settore e integrazione Vicenza Casa Speranza Associazione Cattolica Internazionale al Servizio della Giovane (ACISJF) Associazione Diakonia (CARITAS) Comunità S. Gaetano Consorzio di cooperative sociali “Prisma” Associazione “L’una e L’altra” Associazione Club Alcolisti in Trattamento (ACAT) Verona Associazione Famiglia Canossiana “Nuova Primavera” Cooperativa Servizi Assistenziali (CSA) Consorzio di cooperative sociali (SOLCO) Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (ACLI) Cooperativa sociale “La Genovesa” Associazione Betania Osservatorio Regionale Immigrazione 37 Terzo Settore e integrazione Allegato 2. Questionario Terzo settore e Integrazione Data: Luogo: Nome operatore: Tipologia (volontariato, privato sociale, ordine di grandezza): inclusione Piano di Zona: inclusione RIIM: 1) Che tipo di servizi offrite e che attività svolgete? 2) Vi rivolgete anche agli immigrati? Con progetti e servizi mirati? 3) a. Ci sono immigrati tra i vostri utenti? In che percentuale e nazionalità? Credete che aumenteranno? Perché? b. Se non ce ne sono, sapete spiegarvi il perché? 4) Rispetto agli stranieri avete modalità facilitate di accesso ai vostri servizi? In che modo (pubblicità, accoglienza, lingua, etc.)? 5) Ritenete che l’utente straniero necessiti di approcci e metodologie diverse e specifiche? Perché (problemi lingua, emarginazione da sradicamento, guerre, etc)? 6) Qualora doveste trattare con immigrati sentite di avere una preparazione adeguata per soddisfare le loro esigenze? Avete strumenti e metodologie adatti a rispondere e soddisfare i loro reali bisogni? Credete che il retroterra culturale degli utenti possa condizionare l’accesso e fruizione dei vostri servizi? 7) Relativamente all’approccio all’utente straniero, vi ritenete nella posizione di rispondere più a situazioni di emergenza e contingenti o secondo progettualità avviate e sperimentate? Osservatorio Regionale Immigrazione 38 Terzo Settore e integrazione 8) Nel caso in cui riteniate di averne bisogno, esistono enti e associazioni che mettano a disposizione competenze e risorse per facilitare l’accesso degli stranieri, comprenderne meglio le esigenze e quindi migliorare il vostro approccio e servizio? E’ capitato di rivolgervi a qualcuno? 9) Utilizzate mediatori linguistici e culturali? Esiste una banca dati o albo di mediatori cui fare riferimento? 10) Ritenete che si sia avviato l’inserimento di immigrati nel mondo del lavoro del terzo settore? 11) Potete indicare una percentuale a livello regionale, secondo la vostra percezione personale, degli immigrati impegnati attualmente nel privato sociale e volontariato? 12) Pensate che sarebbe utile l’integrazione di professionalità straniere nel terzo settore? Perché? 13) Avete immigrati nella vostra struttura? Quanti e a che livello contrattuale? Qual è il tipo e livello di loro partecipazione ai processi decisionali e di programmazione? 14) Ritenete che gli immigrati possano avere un bagaglio di competenze e conoscenze acquisite nel loro paese sufficienti e utili per lavorare nella vostra struttura e in generale nel terzo settore? 15) Pensate che ci possano essere resistenze da parte degli operatori del terzo settore ad accogliere immigrati nelle loro strutture? Perché? 16) Potrebbero esserci problemi per utenti italiani ritrovarsi di fronte ad un operatore straniero? Perché? 17) Quali percorsi si possono individuare per accelerare l’inserimento di queste professionalità nel privato sociale e volontariato? 18) Esistono sul territorio enti o associazioni con cui interagite sul piano della comprensione dell’interculturalità? Esistono processi e occasioni di incontro per l’acculturazione reciproca e per sviluppare una comunicazione interculturale? Osservatorio Regionale Immigrazione 39 Terzo Settore e integrazione 19) Secondo voi è sufficiente e chiara l’informazione a disposizione sull’immigrazione, normative, associazioni sul territorio? Ci sono carenze e/o lacune sul piano del coordinamento tra associazioni ed enti per far fronte ai servizi per l’utenza straniera nella vostra provincia? Osservatorio Regionale Immigrazione 40