1 Lo scritto dà solidità alla parola. 4. 5. Le parole tuttavia toccano l'aria e subito spariscono (non durano se non quanto dura il loro suono), per questo come segno delle parole sono state trovate delle lettere, per le quali le parole si mostrano agli occhi, non in se stesse ma trascritte in segni che le rappresentano. Ora questi segni non sono potuti essere comuni fra tutte le genti a causa di un peccato di discordia umana, avendo voluto strappare ciascuno per sé il primato nel mondo. Segno di tale superbia fu quella torre eretta fino al cielo, e in quell'occasione gli uomini, empi, meritarono di contrarre la discordanza non solo degli animi ma anche del linguaggio. La Bibbia, libro scritto in diverse lingue. 5. 6. Questo si è verificato anche nella divina Scrittura, con la quale si viene incontro alle molteplici malattie della volontà umana. Scritta in origine in una lingua, mediante la quale si poté diffondere per l'universo quanto era richiesto, attraverso le lingue dei diversi traduttori si è diffusa in lungo e in largo e si è fatta conoscere dalle genti a loro salvezza. Quelli infatti che la leggono non cercano altro che trovarvi il pensiero e la volontà di coloro che la scrissero e attraverso le facoltà degli scrittori trovarvi la volontà di Dio, in conformità della quale noi crediamo che detti uomini abbiano parlato. «Melius est reprehendant nos grammatici quam non intelligant populi» («meglio essere rimproverati dai grammatici, piuttosto che non esser capiti dal popolo»). e nelle Confessioni(I, 18): ut qui illa sonorum vetera placita teneat aut doceat, si contra disciplinam grammaticam sine adspiratione primae syllabae hominem dixerit, displiceat magis hominibus quam si contra tua praecepta hominem oderit, cum sit homo. (= e chi ha studiato o insegna quelle antiche norme dei suoni, se, contrariamente alle regole della grammatica, abbia pronunziato la parola homo senza l’aspirazione della prima sillaba, urta di più gli uomini che non odiando, contro la tua legge, un uomo, uomo egli stesso). XVII Deliberazione del Concilio di Tours (813), in cui si invitano gli ecclesiastici a predicare in rustica romana lingua: Visum est unanimitati nostrae, ut quilibet episcopus habeat omelias continentes necessarias admonitiones, quibus subiecti erudiantur, id est de fide catholica, prout capere possint, de perpetua retributione bonorum et aetermna damnatione malorum, de resurrectione quoque futura et ultimo iudicio, et quibus operibus possit promereri beata vita, quibusve excludi. Et ut easdem homilias quisque aperte transferre studeat in rusticam romanam linguam aut theotiscam, quo facilium cuncti possint intelligere quae dicuntur. All’unanimità abbiamo deliberato che ciascun vescovo tenga omelie contenenti le ammonizioni necessarie a istruire i sottoposti circa la fede cattolica, secondo la loro capacità di comprensione, circa l’eterno premio ai buoni e l’eterna dannazione dei malvagi, e ancora circa la futura resurrezione e il giudizio finale, e con quale opere possa 2 meritarsi la beatitudine, con quali perdersi. E che si studi di tradurre comprensibilmente le omelie medesime nella lingua romana rustica o nella tedesca affinché tutti più facilmente possano intendere quel che viene detto . Giuramenti di Strasburgo, 14 febbraio 842, riportati fedelmente dallo storico Nitardo. I due nipoti di Carlo Magno: Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, parlano rispettivamente in romana lingua e in teudisca: «…Lodhuvicus romana, Karolus vero teudisca lingua, juraverunt. Ac sic, ante sacramentum, circunfusam plebe, alter teudisca alter romana lingua allocuti sunt » - problema di riuscire a segnare il confine fra un latino sfigurato da numerosi volgarismi e una scrittura che non può più considerarsi latina, -questione della veste grafica: chi sceglieva di esprimersi per iscritto in una qualsiasi varietà romanza doveva necessariamente servirsi della corrispondenza fra suoni e grafie del latino. Per esempio in francese la U era palatalizzata: ü, verrà scritta con ou. - grafia di una lingua risulta sempre molto più conservativa rispetto alla pronuncia, con sfasature più o meno forti da lingua a lingua Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun saluament, d’ist di in auant, in quant Deus sauir et podir me dunat, si saluarai eo cist meon fradre Karlo, et in adiudha et in cadhuna cosa … Per definire questo stato di lingua gli studiosi hanno proposto diverse etichette: latino circa romançum (Avalle); scripta latina rustica (Sabatini) ; lingua romanica (Ruggieri) ; ‘parlato romanzo’(Braccini), ‘latino della parola’ (Meneghetti) , che rappresentano modi diversi di interpretare il cambiamento in atto. Identificare in alcune categorie di testi il terreno in cui si innesta questo latino «orientato in direzione del volgare» (Meneghetti, p. 55): … in pratica tutti i testi considerati più ‘compromessi’ in direzione del volgare rientrano, dal punto di vista funzionale, in due precise categorie: una categoria per così dire testimoniale, legata alla necessità di tramandare un determinato testo o costrutto garantendone l’esattezza anche linguistica, per ragioni di vario ordine (…); e una categoria didattico-prescrittiva, dominata dalla necessità di rendere comprensibile ai destinatari un testo dotato di forte valore pragmatico (è la categoria di cui fanno parte ovviamente le omelie o le vite di santi merovinge, ma anche le raccolte di leggi e i glossari). IX secolo: La Séquence de sainte Eulalie (Cantilena di sant'Eulalia). X secolo: La Vie de saint Léger (Vita di san Leggero). XI secolo: La Vie de saint Alexis (Vita di sant'Alessio). 3 I Il confronto fra le lingue romanze rivela non solo la dipendenza genetica da una medesima lingua madre, ma anche una folta messe di tendenze (fonetiche, morfologiche, sintattiche, lessicali) comuni che non vengono cancellate dalle innovazioni particolari che si realizzano nelle diverse lingue romanze. -Il latino volgare non è “una forma diversa di latino, in cui si ritrovano in un solo sistema pancronico tutte le scorrettezze di luoghi, tempi ed autori diversi» ma i cambiamenti rispetto alla norma latina andranno letti come tendenze che si realizzano non contemporaneamente nell’insieme della Romània. Appendice: francese e provenzale 1. Fonetica 4 fonetica: studio dei suoni linguistici La sua unità segmentale minima è il fono → la minima unità lineare o segmentale del discorso fonologia: studia l’immagine mentale dei suoni linguistici usati dai parlanti nativi di una data lingua, ovvero quei suoni che distinguono significati (es. tela e tesa). La sua unità segmentale minima è il fonema →ha funzione distintiva (rane vs pane). L'emissione di un suono linguistico si realizza quando l'aria emessa dai polmoni incontra gli ostacoli costituiti dagli organi fonatori disposti in punti diversi della bocca. Gli organi fissi coinvolti nella fonazione sono: i denti gli alveoli il palato gli organi mobili: le labbra il velo palatino la faringe • Partiamo dallo spaccato sagittale del cavo orale (cfr Berruto, ): 5 -differenza fra suoni sordi e sonori: nella pronuncia dei suoni sordi, infatti, la glottide -cioè lo spazio fra le corde vocali- è aperta e passa più aria, dunque il suono emesso risulta molto più energico, mentre nell’emissione dei suoni sonori la glottide è chiusa e vibrano le corde vocali. Classificazione dei suoni i suoni linguistici rientrano in due classi principali 1. la classe delle vocali : quando l'aria emessa dai polmoni non incontra nessun'ostacolo da parte degli organi fonatori. - Le differenti caratteristiche delle vocali sono determinate dalla forma assunta dalla cavità orale (posizione della lingua e forma delle labbra); 2. la classe delle consonanti: quando l'aria emessa dai polmoni incontra diversi ostacoli da parte degli organi fonatori. CAMBIAMENTO VOCALICO cur pietatis doctorem pigeat, imperitis loquentem, ‘ossum’ potius quam ‘os’ dicere, ne ista syllaba non ab eo quod sunt ‘ossa’, sed ab eo quod sunt ‘ora’, intellegatur, ubi afrae aures de correptione vocalium vel productione non iudicant? (Agostino, De doctrina christiana IV , x, 24) (Ma allora perché il maestro di pietà, parlando a gente inesperta, dovrebbe aver ritegno a dire ossum piuttosto che os , per far capire che os va collegato con ossa e non con ora (bocca), dato che le orecchie degli africani non percepiscono la lunghezza e la brevità delle vocali? ). il collasso del sistema quantitativo: il latino conosceva infatti la distinzione tra vocali lunghe e brevi con valore distintivo: vēnit = venne vĕnit= egli viene. PŎPULUS “popolo” PŌPULUS “pioppo” IPOTESI RONCAGLIA: a)processo interno: il prevalere dell'intensità espiratoria sull'accento melodico b) cause esterne: parlanti che non sono più in grado di distinguere le lunghe dalle brevi. Ecco quindi che le vocali lunghe cominciano ad essere pronunciate come chiuse e quelle brevi come aperte, secondo un processo di riduzione che vede le 10 vocali toniche latine passare alle 7 del latino volgare. I. Tipo comune diffuso in Iberoromanzo, Galloromanzo, Italia settentrionale, centrale e 6 parte superiore dell'Italia meridionale, Rezia, Istria, Dalmazia. Ī ĪĒ I e Ĕ ĀĂ ε Ŏ ω a ŌŬ o Ū u Si tratta di un sistema eptavocalico a quattro gradi di apertura timbrica. Esempi: FĪLU > it. filo fr. fil sp. Hilo PĬLU > pelo poil TĒLA > tela toile FĔSTA > fεsta pelo [ tela fete fiesta MĂRE > mare mer mar PŎRTA > pωrta porte puerta FLŌRE > fiore fleur flor GŬLA > gola gueule gola MŪRU > muro mur muro [myr] 2. Tipo sardo. Diffuso in Sardegna (tranne il sassarese), Corsica meridionale ed una zona calabro-lucana (da Maratea al golfo di Taranto; linea Diamante-Cassano). Ī Ĭ i ĒĔ ĀĂ e a ŎŌ ŬŪ o u Sistema pentavocalico a tre gradi d' apertura. 3. Tipo asimmetrico balcanoromanzo ( sei vocali con tre gradi d'apertura nella serie vocalica posteriore e quattro in quella anteriore. Ī I ĬĒ e Ĕ ε ĀĂ a ŎŌ o ŬŪ u 7 4. Tipo siciliano e parte dell'Italia meridionale (penisola salentina e Calabria centromeridionale). ĪĬĒ I Ĕ e ĀĂ a Ŏ o ŌŬŪ u Soffermarsi sul francese e sul provenzale: 8 CONSEGUENZE: 9 -norme che regolano l’accento latino : a. nelle parole bisillabe l’accento cade sulla prima, quindi non si hanno parole tronche: cà-nem; b. nelle parole di tre o più sillabe l’accento cade sulla penultima se questa è lunga: monére, sulla terzultima se è breve: sàpere; c. l’accento in una parola di tre o più sillabe non può cadere oltre la terzultima qualunque sia la quantità: ad-hì-be-o. d. l’accento è determinato anche dalla posizione, per esempio: una vocale breve + due o più consonanti era lunga per posizione Con la perdita della distinzione quantitativa l'accento conserva -salvo eccezioni- la posizione che portava in latino assumendo un valore pertinente e distintivo: es àncora< ancŏram e ancòra < hanc hōram Già al tempo di Augusto si erano verificate delle eccezioni: 1. vocale breve + consonate occlusiva + r (muta cum liquida) non era considerata lunga per posizione e dunque l’accento tendeva a ritrarsi: ÍNTĔGRUM> intéro (íntegro è un cultismo). 2. Nel latino imperiale altre ricomposizioni, in particolare: a. nelle parole latine nelle quali la penultima usciva in ĕ o in ĭ ed era in iato l’accento invece di cadere sulla terzultima come previsto dalle regole latine tendeva a spostarsi perché la e e la i seguite da vocali atone sono semivocali: FILÌOLUM> filiòlum> figliolo MŬLÌEREM>mŭlièrem> mogliera. b. Se la penultima usciva in u ed essendo in iato si trasformava in semivocale, l’accento tendeva invece a ritrarsi: es. BATTÙĔRE>bàttuere, con successivo assorbimento della u in iato (incontro di due vocali che non formano dittongo): > it. battere; fr. batre. ______________________________ Possiamo rappresentare le vocali del latino volgare anche secondo uno schema definito triangolo vocalico nel quale vengono rappresentate agli estremi le vocali più alte: i e u e al vertice la vocale centrale a: anteriori o palatali posteriori o velari 10 i u e o e o a centrale Una vocale si dice in sillaba libera o aperta quando è posta alla fine della sillaba stessa, implicata o chiusa quando la sillaba termina per consonante: es: ca-ne/ cam-po. DAL DITTONGO AL MONOTTONGO riduzione di oe> ē > e già attiva nel latino : es. POENA> it. sp. port. cat. prov. : pena ; fr. peine. riduzione di ae >ĕ > ε Molto precoce Es. Si trova documentato nei graffiti pompeiani (I sec. d.C.) sotto forma di ipercorrettismo (=correzione erronea di una forma o pronuncia esatta, ritenuta scorretta per apparente analogia con altre forme relativamente scorrette): AEGISSE = ‘avere fatto’ per egisse; e dovette certamente precedere il grande fenomeno della palatalizzazione . La monottongazione di au > ō -che solo alcune lingue romanze conosconoe si riflette in alcuni esiti romanzi quali CAUDAM> it. coda; fr. queue, ma dovette presto esaurirsi per fare posto ad una monottongazione di au> ŏ alla quale partecipano solo alcune lingue romanze (per esempio non il prov, il port e il rumeno): es. AURUM> oro; fr. cat or; port ouro; prov rom aur. 11 Più in generale si può osservare che le vocali toniche aperte sono state soggette al cosiddetto dittongamento spontaneo, ma secondo criteri diversi da una lingua all’altra. la dittongazione le vocali toniche /ε/, /ω/ a causa dell'accento intensivo dovettero suonare allungate, come sdoppiate (peede, boono) e poi per dissimilazione diventarono piede, buono, bueno. In quasi tutta la Romània sono le vocali in sillaba libera che tendono spontaneamente a dittongarsi in un dittongo discendente: PĚDE > it. piede fr. Pied Ma: FĚRRU > fεrro afr. fer NŎVU > nuovo afr. nuef > fr. mod. neuf [noef] 12 PŎRTU > pωrto afr. port Nello spagnolo il dittongamento si verifica incondizionatamente, sia in sillaba libera che in sillaba chiusa : PĚDE > pié; PĚRDE > pierde; BŎNU > bueno; PŎRTU > puerto. In francese il dittongamento spontaneo investe, oltre /ε/, /ω/ in sillaba libera, anche /e/, /o/ in sillaba libera che danno luogo a dittonghi discendenti TĒLA > afr. téile > fr.mod. toile [twal] FLŌRE > afr. flour > fr.mod. fleur [floer] In provenzale assenza di dittongamento spontaneo delle vocali toniche larghe Ĕ Ŏ toniche libere lat. MĔL prov. mel fr. miel lat. CŎR prov. cor fr. cuer, poi coeur In provenzale conservazione del dittongo AU, tanto tonico, quanto atono, mentre il francese lo riduce ad o, come l’italiano: lat. AURUM prov. aur fr. or lat. AURICULA prov. aurelha fr. oreille 13 VOCALISMO ATONO Diversamente dalle vocali toniche le atone si riducono a 5 vocali perché fuori d’accento tutte le vocali sono chiuse. -sincope della postonica soprattutto in parole proparossitone (o sdrucciole, cioè accentate sulla terzultima). I graffiti pompeiani recano masclus per masculus; subla per SUBǓLA (= scalpello e Quintiliano ci racconta che Augusto riteneva la pronuncia non sincopata calidus (e non caldus) come una pedanteria. Es Mirabilia> merveille 14 -vocali finali In antico francese cadono tutte le vocali finali diverse da a. La a finale si trasforma in una e avanescente e oggi muta. In Provenzale: conservazione di –A finale atona (come l’italiano), di contro alla sua riduzione in francese in –e prima evanescente oggi muta: lat. PORTA prov. porta (mod. -o) fr. porte CONSONANANTI 15 I suoni vengono classificati secondo il modo di articolazione (cioè il modo in cui bloccano del tutto o solo in parte la fuoriuscita dell'aria), per cui distingueremo fra suoni OCCLUSIVI: così detti perché bloccano completamente l'aria accostando due parti degli organi fonatori. FRICATIVI: poiché non bloccano l'aria completamente, essa nel fuoriuscire emette una sorta di frizione. AFFRICATI: sono quei suoni dove l'aria prima bloccata viene poi liberata: da un'occlusione si passa ad una frizione. Infine distingueremo le consonanti NASALI -realizzate attraverso il passaggio dell'aria soltanto dal naso-, le LATERALI -articolate col sollevamento della lingua e la conseguente occlusione del canale orale, con emissione dell’aria ai suoi lati- e le VIBRANTI –suoni alla cui produzione concorre un organo che vibra. Passiamo ora alle consonanti, che organizzeremo in uno schema complessivo che dia conto anche del luogo in cui un determinato suono viene articolato e del modo - L’aspirata H: es. ne homo> ne hemo> nemo (non un uomo→ nessuno) Sarà la tradizione scolastica medievale che reintegrerà l’aspirazione dando vita a una pronuncia quale miki invece di mihi che ha lasciato traccia in alcuni termini dotti quali annichilire, nichilismo. -Le velari C e K venivano pronunciate esattamente nello stesso modo, al punto che il k usato preferibilmente prima di A, era già ritenuta da Quintiliano (I sec. d. C.) una consonante inutile. PALATALIZZAZIONE è il fenomeno per cui il luogo di articolazione di un suono si sposta verso il palato anteriore : 16 Dopo il III sec. l’intacco palatale delle consonanti velari di fronte a vocali palatali dovette diffondersi in gran parte della Romània (ad eccezione della Romània orientale) e si ritroverà in tutte le parlate romanze (anche se non con i medesimi risultati, si pensi all’italiano cielo dove il suono corrisponde ad un’affricata palatale sorda e al franc. ciel dove il medesimo grafema corrisponde ad una fricativa palatale sorda) fatta eccezione per il sardo e il dalmatico che conoscono la palatalizzazione solo davanti ad i. Assai meno estesi sono i territori coinvolti nella palatalizzazione delle velari davanti ad a, limitata a talune zone alpine e a gran parte del dominio gallo-romanzo eccezion fatta per una parte a nord (Normandia e Piccardia) e una a sud (Guascogna, Guyenne, Languedoc, Bassa Provenza). Fr. CANEM> chane> chene> chien PERDITA DEL NESSO LABIOVELARE Per la labiovelare -qu la tendenza già in epoca classica all’eliminazione dell’appendice labiale davanti alla vocale u è chiaramente documentata da un luogo dell’Appendix Probi: “equus non ecus”. Ma più in generale le grafie delle iscrizioni documentano largamente la tendenza alla caduta di u di fronte a vocali diverse da a: conda invece di quondam; cis per quis; e ipercorrettismi quali quiesquit per quiescit. Es. Quinquem> cinque > afr cinc Quomodo> come, fr. comme, sp. port. cat. occ. como 17 In francese però la perdita dell’appendice labiale si estende anche davanti ad a: es. quattrum> quattro afr catre quadrum> quadro > carré SEMIVOCALI Tendenza alla semplificazione delle vocali in iato (= incontro di due vocali appartenenti a due sillabe contigue). Nell’Appendix Probi: vinea non vinia (ĕ > i), cavea non cavia, lancea non lancia, calceus non calcius, ecc. U/ V vinum (winum)> vino, fr. Occ. Vin; port. vinho, Sp.βino La semiconsonante jod era pronunciata come /i/ (iole) , ma già in epoca imperiale tende a confondersi con dς e seguendo le sorti del nesso dj: es. IŎCUM> it. gioco; fr. jeu; pg. jogo; sp. juego. Prove della consonantizzazione di jod si hanno, per esempio, nelle iscrizioni, dove troviamo forme come zanuario per ianuario. In un primo momento, per un fenomeno di dissimilazione sillabica, la consonante che veniva prima della j si è allungata: PLA-TĔ-A(M) > *plat-ja > *plat-tja; HO-DĬ-E > *od-je > od-dje; in un secondo tempo, per un fenomeno di assimilazione, la j si è fusa con la consonante precedente dando luogo ad un fonema palatale: *plat-tja > plat-tsa, *od-dje > oddзe (NB: la consonante lunga si conserva, ad es., in it.: piazza, spiaggia). -palatalizzazione e alla spirantizzazione di dj e tj . Durante il II e III secolo la semivocale jod venne ad intaccare l’occlusiva dentale t che assunse il medesimo valore di cj e pronunciata come una fricativa sorda /ts/. Da qui la pronuncia ecclesiastica e postclassica di tj come 18 fricativa dentale sorda /ts/ es. PLATĔA> piazza, fr. place; sp. haz, port. face; rom. faţă; e di /dj/ in /dz/ , evoluzione identica a quella di /j/: es. hodie> oggi. 19 LENIZIONE INTERVOCALICA In posizione intervocalica, le consonanti possono essere soggette ad un processo di lenizione: le consonanti doppie tendono a scempiarsi e le consonanti semplici intervocaliche ad indebolirsi di uno o più gradi a seconda delle varie lingue. Si tratta di un fenomeno in cui il francese spinge molto più avanti l’innovazione (da sorde a sonore, da occlusive a fricative, giungendo 20 talvolta fino al dileguo), mentre l’italiano, per esempio, si mantiene molto più conservativo In Provenzale: Lenizione delle occlusive sorde intervocaliche limitata al primo grado (sonorizzazione: -p- > -b-; -t- > -d-; -c- > -g-); mentre il francese procede al secondo grado (spirantizzazione: -p- > -b> -v-) giungendo per lo più sino al dileguo (-t- > -d- > -dh- > dileguo; -c- > g- > -j- > dileguo); 21 es. CABALLUM> fr. cheval ; it. cavallo; pg. cavalo. In rumeno giunge al dileguo: cal mentre in spagnolo e catalano mantiene il valore della fricativa bilabiale /β/: sp. caballo. 22 CONSONANTI CHE SI TROVANO IN FINALE ASSOLUTA. _ 23 _______________ _____________ 3. Morfologia Premessa: Il latino era una lingua sintetica cioè funzioni sintattiche erano indicate attraverso i casi (che servivano ad esprimere anche il numero singolare o plurale- ed il genere: maschile, femminile o neutro) e le desinenze (cioè quei morfemi variabili che aggiunti al tema di un verbo o di un nome servono a modificare le varie forme del nome o del verbo), mentre le lingue romanze tendono a forme e costruzioni analitiche, sia sul piano nominale che verbale. NOMI 1. Il sistema della flessione nominale latino è stato sottoposto nel tempo a importanti modificazioni dovute -almeno in parte- alla perdità della quantità e alla caduta delle consonanti finali, che possono essere così sintetizzate: a. Riduzione delle declinazioni da 5 a 3 : infatti la IV viene assimilata alla II (es. fructŭs, manŭs ecc… ) e la V alla I ( es. facies diventa facia). Si giunge così a tre tipi: un femminile in A: tipo rosa; un maschile in O: tipo muro; una classe maschile e femminile in E: botte, cane… 24 b. Nella categoria del genere: graduale scomparsa del neutro (salvo in rumeno) assorbito dal maschile: es. caelum diventa caelus o dal femminile: infatti la desinenza in –a del neutro plurale, tipo folia induce a reinterpretare questi termini come singolari collettivi. c. riduzione dei casi della flessione desinenziale da 6 a 2 (nominativo e accusativo), con conseguente sviluppo di un ricco sistema di preposizioni per indicare gli altri casi. In particolare grande spazio conquistano costrutti con il de per indicare il genitivo e con ad per indicare il dativo, che in latino venivano adoperati per indicare rispettivamente il complemento di materia (de + ablativo): es. pocula de auro = coppa d’oro e il complemento di moto a luogo (ad + accusativo, ad indicare un moto di avvicinamento).**** -possibile concomitanza di due fattori: la tendenza alla caduta delle consonanti finali e il fatto che la presenza di alcune preposizioni latine che servivano ad indicare precise funzioni: es. cum + ablativo = complemento di compagnia, o in+ accusativo= compl. di moto a luogo, rendevano ridondante e perciò inutile l’uso dei casi. una chiara tendenza ad estendere l’uso dell’accusativo per l’espressione di qualsiasi caso obliquo (cioè diverso dal soggetto che compie l’azione). Non si può escludere -almeno per alcune lingue romanze- un passaggio intermedio attraverso una declinazione tricasuale (cioè nominativo, dativo, accusativo) come parrebbero suggerire i cosiddetti pronomi personali clitici (cioè formati da monosillabi atoni preposti o posposti ad un’altra parola): NOMINATIVO: it. egli / fr. il DATIVO: it. gli/ fr. lui ACCUSATIVO: it. lo / fr. le : egli mangia; il mange gli parlo; lui parle lo guardo; je le regarde . Per la gran parte le parole romanze derivano dall’accusativo, anche se non mancano rari casi di nomi derivati dal nominativo, o doppi esiti per esempio l’imparisillabo della III sérpens – serpéntis recava all’accusativo serpéntem, da cui abbiamo un doppio esito SERPENS > serpe SERPENTEM> serpente 1. b. La formazione del plurale L’alternanza di numero (cioè la differenza fra singolare e plurale) è rappresentata in due modi diversi nelle lingue romanze: 1. La Romània occidentale (lingue ibero romanze, gallo romanze, retoromanze e sarde) con il plurale sigmatico: -s. La -s deriva dall’accusativo plurale latino: es. murus-i : acc. pl. muros > murs ; rosa-ae : acc. pl rosas > fr. roses ; cat. sp. rosas 2. La Romània orientale (dalmatico, rumeno, italiano) con il plurale vocalico – cioè con alternanza vocalica o/i; a/e. 25 due ipotesi diverse: a. i morfemi –e –i deriverebbero rispettivamente dal nominativo della I declinazione: es. rosae> it. rose; rum. e dalla II declinazione MURI> muri e il morfema in -i si sarebbe esteso per analogia ai nomi della III: VULPES> volpi. b. Oppure anche per la Romània orientale il punto di partenza sarebbe l’accusativo: es. rosas che attraverso una vocalizzazione della -s (come quella che avviene in POST> poi) diventerebbe rosai>rosae. Analogamente per il maschile partiremmo dall’accusativo plurale dei nomi della III in es> is >i. 2. Aggettivi Per gli aggettivi (l’aggettivo è quella parte variabile nel genere e nel numero che ‘aggiunge’ una parte del discorso) sopravvivono solo due classi: il tipo bonus e il tipo fortis, con una spiccata tendenza però ad impoverire la seconda a vantaggio della prima. 2.1. comparativi- superlativi Un’altra caratteristica del latino volgare è la scomparsa del comparativo organico che lascia poche tracce in aggettivi di grande frequenza (es. it. migliore, peggiore) ed un numero più alto di comparativi in ior in franc. antico, cf. bellezour<*BELLATIOREM, o graigno(u)r <GRANDIOREM), mentre si fa sempre più strada nel latino comune il comparativo formato per mezzo degli avverbi magis, plus. Il territorio della Romania presenta magis nelle aree laterali (Spagna, Portogallo, Romanìa) e plus nelle centrali (Italia, Rezia, Gallia). 3. Articolo Ignoto al latino classico l'articolo ha la funzione di attualizzare il nome ed è uno degli aspetti più importanti di quella tendenza analitica che caratterizza le lingue romanze rispetto al latino. I due articoli determinativo e indeterminativo servono a precisare: a. quello determinativo la classe di individui nel loro complesso (es. il bambino non si può picchiare) e quello indeterminativo un rappresentante della classe (es. in quel giardino c’è un bambino). b. Inoltre si usa l’articolo determinativo quando ci si riferisce a qualcosa di noto a chi parla o a chi ascolta (es. voglio aggiustare la televisione), o di contro, quello indeterminativo quando si introduce un elemento non conosciuto (es. voglio comprarmi una televisione). 26 Nel latino volgare si assiste ad un fenomeno di indebolimento del dimostrativo ille e ipse all'articolo determinativo assente in latino, (il sardo e in parte il catalano ed il guascone lo sviluppano da ipse). La nascita dell'articolo dai pronomi dimostrativi si può seguire abbastanza bene nei testi basso latini, per esempio nella Peregrinatio Aeteriae ad loca sancta (IV sec), Per rimediare allo squilibrio del sistema verranno inseriti pronomi dimostrativi rafforzati dal deittico ecce: ECCE HOC> pr . so; it. ciò ; ECCE +ISTE >fr. iceste; ATQUE+ ICESTE+HIC> pr. Aquest. Nelle lingue romanze si assiste anche allo sviluppo di un articolo indeterminativo dal numerale unus. 2. VERBO -la spinta alla regolarizzazione con la eliminazione di ciò che non rientra immediatamente in una norma riconoscibile ed applicabile -spinta a sostituire forme complesse con perifrasi composte attraverso l’accostamento di più forme semplici. Nel primo gruppo possiamo collocare: 1. Tutti i verbi deponenti (forma verbale passiva, ma con significato attivo) vengono assorbiti nella forma attiva (es. nasci, mori sostituito da nascere, morire) 2. Gran parte dei verbi irregolari vengono regolarizzati: in particolare verbi di larga frequenza come esse, posse, velle. Il primo diventa *essere, pur conservando il presente atematico, gli altri saranno rifatti partendo dal perfetto (potui; volui), sul modello habui : habere = potui : x, onde x = potére. Nel secondo gruppo rientrano: 1. Il passivo organico scompare e viene sostituito da perifrasi con l’infinito presente seguito dall’ausiliare essere (amor →amatus sum). 2. Il futuro semplice organico scompare e viene sostituito da perifrasi con l’infinito presente seguito dal presente dell’ausiliare avere (amabo → amare habeo), perifrasi già esistente in latino classico del tipo scribere habeo (cf. partir m’ai al verso 24) che però aveva in sé un’idea di necessità, idea che si perde a favore di una più generica nozione temporale proiettata nel futuro. Varie sono le ragioni che possono avere contribuito a questo disfacimento, intanto le forme del futuro si prentavano estremamente disomogenee per cui si incontrava es. amabo accanto a dicam, inoltre vi era la possibilità di confusioni con le desinenze di altri tempi. Scompaiono in quasi tutta la Ròmania i seguenti tempi: 27 1. futuro anteriore (amavero= io avrò amato); 2. perfetto congiuntivo (amaverim=che io abbia amato); 3. imperfetto congiuntivo (amarem=che io amassi) sostituito dal piucheperfetto (amavissem= ‘che io avessi amato’); 4. supino (amatum= a amare); 5. infinito perfetto (amavisse, sostituito da habere amatum, avere amato); 6. participio futuro (amaturus= che amerà); 7. imperativo futuro (amato= amerai). Si crea invece una nuova serie perifrastica di tempi del passato formata dal participio passato seguito dalle forme dell’ausiliare avere (habeo amatum, habebam amatum, habui amatum ...). Appare inoltre un nuovo modo del verbo: il condizionale sconosciuto al latino dove invece l’espressione del dubbio o dell’ipotesi veniva rappresentato tramite il modo congiuntivo. Il condizionale viene formato mediante perifrasi formate dall’infinito del verbo + le forme del perfetto o dell’imperfetto dell’ausiliare avere (amare habebam, amare habui). Altri spostamenti interni alle coniugazioni sono i seguenti: 1. Fusione tra II e III coniugazione salvo che all’infinito (per es. in italiano distinguiamo fra tenére parossitono e crédere proparossitono) dove pure si erano verificati numerosi scambi (metaplasmi): es. sàpere, càdere dalla III alla II, o viceversa dalla II alla III ridére, respondére 2. I verbi in -io della III vengono attratti nella IV coniugazione (es fùgere> fugire) o in eo della II (es. floreo, da florére a florire). 4 La sintassi Sarà innanzi tutto opportuno ricordare che le tre parti in cui si divide la grammatica difficilmente possono essere separate, perché mutamenti fonetici, morfologici e sintattici si condizionano e si implicano necessariamente. Il latino aveva una costruzione sostanzialmente libera per ciò che concerne la disposizione del soggetto e dell’oggetto: es. Petrus ama Paulum, anche se con una più accentuata tendenza a collocare il verbo in posizione finale, preceduto dal complemento oggetto. Finché le desinenze casuali si mantennero salde e almeno fino a quando almeno la -s segnacaso del nominativo non scomparve, confusioni erano difficili. Ma ben presto* nella parte orientale della Romània (compresa l’Italia) la -s cessò di essere pronunciata e divenne obbligatorio mantenere un ordine fisso, che nelle lingue romanze è di solito: 28 soggetto + verbo + complemento oggetto, anche se sono ammesse altre soluzioni, salvo in francese dove il rispetto dell’ordine SVO è -prescindendo da casi particolari- obbligatorio1. Inoltre la tendenza ad una struttura del periodo più lineare, conduce al sopravvento della paratassi (cioè una sequenza di frasi fra loro coordinate) sull’ipotassi preferita dal latino (uso delle proposizioni subordinate). 5. Il lessico del latino volgare Come è noto, il lessico è il luogo maggiormente soggetto a influssi esterni, ma anche a trasformazioni legate al mutare dell’ideologia, della mentalità, del costume. -tenere conto che per la latinità la differenza stilistica si gioca in gran parte sul piano lessicale, cfr serie sinonimiche dove la tendenza è quella ad eliminare termini esclusivamente letterari: così della serie equus (cavallo da sella), sonĭpes (‘destriero’) caballus (ronzino, cavallo castrato, usato come cavallo da tiro) l’unica voce che sopravvive per via ereditaria è il termine di uso quotidiano: caballus. È possibile distinguere all’interno del patrimonio lessicale di una lingua tre diverse sezioni: 1. Forme ereditarie cioè le parole ereditate per tradizione ininterrotta, alle quali andranno aggiunte le derivazioni e composizioni 2. Le forme dotte cioè riattinte direttamente dal latino attraverso una filiera dotta. Di solito è l’aspetto fonetico che rivela il latinismo, cfr: vitium> vezzo (fm. ereditaria) / vizio (fm. dotta); discum> desco (fm. ereditaria); disco (fm. dotta), un’utile spia può venire dall’aspetto morfologico, come nel caso dei derivati dal nominativo, es. carme, certame, imago ecc... o comparativi organici come priore, seriore, ulterore. 3. I prestiti. Si parla di prestiti quando una lingua trae da un’altra un vocabolo, per ragioni non sempre facili da rintracciare . I prestiti possono essere assimilati o meno al proprio sistema linguistico: per es. guerra, guanto contro computer, tram. -Naturalmente la maggior parte del lessico delle lingue romanze deriva dal latino, pur attraverso un certo numero di innovazioni che soprattutto quando vanno ad investire la sfera valga per tutti l’esempio della scomparsa di domus in favore di casa = capanna, che sottolinea Sui cambiamenti dell’ordine delle parole dal latino alle lingue romanze, cf. L. Renzi, La tipologia dell’odine delle parole e le lingue romanze, in «Linguistica», XXIV (1984), pp. 27-59. 1 29 un fenomeno sociale di grande entità: la tendenza all’abbandono delle città in favore delle campagne. caratteri del lessico latino volgare: 1. la tendenza a far prevalere le forme concrete su quelle astratte, come dimostra il caso di lemmi con doppio significato: per es. pŭtare: ‘ritenere’ e potare ‘tagliare’, di cui sopravvive solo la seconda accezione. 2. La tendenza ad estendere lo spettro semantico di termini dell’uso quotidiano. Per esempio per designare il fuoco, il latino aveva una voce indoeuropea: ignis che viene sostituita con focus (voce di etimo malsicuro)= focolare domestico, contrapposto ad ara che era quello della divinità. Così un glossario tardivo spiega focus enim ignis est e le lingue romanze (it. fuoco; fr. feu; sp. fuego; port. fogo; rum. foc) non conservano tracce di ignis, se non in termini di derivazione dotta, quali ignifugo ecc… un ambito di esperienza personale, così pulcher = bello sostituito da bellus= grazioso… 3. In alcuni casi termini più espressivi sembrano sovrastare altri percepiti come meno significativi: così l’irregolare edere ‘mangiare’ se in area iberica viene sostituito da comedere (sp. e port. comer), altrove viene soppiantato da manducare (intensivo di mandere denominale dal nome del buffone da farsa ‘Manducus’) che significava ‘dimenare le mascelle’. ATT. MANDUCARE e’ UN FRANCESISMO O ancora plorare viene messo in ombra da laniare se ‘lagnarsi’ che significava graffiarsi e da plangere ‘graffiarsi il petto’.*** termini afferenti alla sfera corporea come buccam ‘gota’ che prende il significato di ‘bocca’ e viene rimpiazzato da gotam (dal gallico *gauta), guanciam. dal germ *wankja, gamba dal lat. tardo gambam zampa, all’origine un termine di veterinaria; pancia ‘pantices’ = intestini. 4. Tendono inoltre a sparire parole ritenute troppo esili per es. ōs = bocca (che oltretutto rischiava di trovarsi in collisione omofonica con ŏssum variante popolare di os-ossis, difesa da Agostino (De Doct. Christ. IV, 3): « Cur pietatis doctorem pigeat imperitis loquentem, ossum potius quam os dicere? » (= ) Deboli si rivelano inoltre le parole che non rientrano in una determinata famiglia lessicale, è il caso di pera sostituito da bisaccium= doppio sacco, di uber= mammella, su cui prevale: mammĭllam, la forma diminutiva di ‘mamma’, affiancata da forme espressive quali: pŭppam e tĭttam. 5. Anche il grandissimo sviluppo dei termini costituiti dalle derivazioni per mezzo di suffissi (in particolare diminutivi e vezzeggiativi che vengono a sostituirsi alla forma piena) 30 sottolineano la tendenza verso una lingua di carattere familiare affettivo. Si noti che -anche in questo caso- molte lemmi formati sul diminutivo indicano parti del corpo: ‘orecchia’ <auricula < auris ‘cervello’ <cerebellum < cerebrum ‘spalla’ < spatulam dim- di spatha ‘spatola’ ‘unghia’ < ungula neoformazioni quali *genuculum e a queste andranno aggiunte altre attinenti sempre alla sfera quotidiana come avis/ avicellum ; fratrem / fratellum ; nucem / nuceolam. Un confronto sul piano lessicale tra lingue romanze è spesso utile per cercare di ricostruire retrospettivamente alcune forme del latino volgare. Si parla di forme "ricostruite"[5] quando queste non siano attestate in letteratura ma la loro esistenza è ritenuta probabile. Ad esempio, il latino classico putēre ("puzzare") potrebbe avere originato pūtiu(m), da cui il moderno italiano puzzo.[6] Una porzione di lessico del latino volgare rappresenta una evoluzione rispetto al latino classico. Ad esempio, testa(m), da cui origina il moderno italiano testa, ha sostituito il latino classico caput. È probabile che nel parlato il caput venisse indicato scherzosamente con altri termini cavati metaforicamente dal linguaggio delle cose quotidiane (così come si dice oggi coccio o zucca); testa(m) era originariamente "vaso di terracotta": via via la venatura ironica scomparve e caput sopravvisse come capo solo in certi contesti dotti.[6] Un altro esempio riguarda la parola fuoco: in latino classico abbiamo ignis, mentre fŏcus indicava solo il focolare domestico[7]. Quanto a casa, in latino classico si indicava con questa parola una baracca, una casa di campagna: dŏmus sopravvive nell'italiano moderno duomo[8]. Latino classico albus bellum cogitare cruor domus emere equus felis ferre hortus ignis ludere magnus omnis pulcher Latino volgare Italiano blancus bianco guerra guerra pensare pensare sanguis sangue casa casa comparare comprare caballus cavallo cattus gatto portare portare gardinus giardino focus fuoco jocare o iocare giocare grandis grande totus tutto bellus bello 31 os scire sidus bucca sapere stella bocca sapere stella Nel passaggio dal latino classico al latino volgare si possono osservare numerose differenze riguardanti il lessico, anche se naturalmente molti elementi restano comuni, specialmente quelli riferiti alla realtà e alla vita di ogni giorno. Spesso i mutamenti di significato riflettono cambiamenti sociali e culturali: così per esempio a una realtà basata principalmente sulle attività agricole possiamo far risalire l’uso di CASAM (originariamente “capanna”) per “abitazione” in luogo di DOMUM (passato a indicare la “casa” del “Signore” cioè il “duomo”); o la sostituzione di EQUUM (“cavallo” soprattutto da guerra) con CABALLUM, originariamente solo “cavallo da tiro”. Alla diffusione del Cristianesimo è riferibile la trasformazione semantica di termini come VIRTUTEM da “coraggio (specialmente guerriero)” a “virtù morale”, o del grecismo MARTYREM da “testimone” a “martire” cioè chi è innanzitutto “testimone della fede”; e la sostituzione del verbo del latino classico LOQUI con PARABOLARE: PARABOLA (dal greco PARABOLÉ “comparazione, similitudine”) passa a indicare, in relazione al predicazione di Gesù, estensivamente “parola” in generale. Il lessico del latino volgare è difatti caratterizzato dalla preferenza per termini dotati di concretezza e specificità oltre che maggiore espressività e corposità fonica rispetto alle equivalenti forme del latino classico: così a esempio al latino classico EDERE “mangiare”, si sostituì MANDUCARE che inizialmente aveva il valore di “masticare con forza”, “rimpinzarsi”. PAGANUS 32 PARTE III 33 LE LINGUE NEOLATINE Si chiama Romània il territorio in cui si parla una delle lingue romanza e viene abitualmente distinta in Romània nuova (dove la lingua neolatina è stata importata più tardi) e Romània perduta. Per il primo caso pensiamo allo spagnolo parlato in America latina e per il secondo all’Albania o all’Africa del nord. A queste distinzioni di massima andranno aggiunte i massicci spostamenti delle recenti immigrazioni che modificano un quadro stabile fino a un ventennio fa. Come si è visto la progressiva trasformazione del latino, sarà certamente stata il risultato di processi complessi, di carattere sociale, storico, politico. Varrà comunque la pena accennare alle ragioni più frequentemente addotte per spiegare il frazionamento del latino in diverse lingue romanze2: A. La differenza cronologica nella colonizzazione delle varie Provinciae: Secondo Gustav Gröber (1884) 3 infatti le differenze linguistiche fra gli idiomi romanzi potrebbero spiegarsi con lo stato di evoluzione del latino nel particolare momento in cui una regione è stata latinizzata4. B. I veicoli di latinizzazione: ci si è chiesti infatti se le differenze non possano essere riconducibili alle particolari modalità della latinizzazione. In particolare W. von Wartburg (1934) ha distinto una Romània occidentale latinizzata dall’alto (dalla scuola) ed una orientale dove la latinizzazione è stata mediata da soldati e contadini. C. La differenza fra le lingue del sostrato: Come si è detto, nell’apprendere la nuova lingua è possibile che un parlante mantenga nella pronuncia alcuni tratti dell’idioma di appartenenza, tratti che riemergerebbero nel momento di crisi dell’unità linguistica latina. D. Il superstrato: L’influsso dei popoli che si sono venuti a sovrapporsi alle genti che parlavano latino . 2. Classificazione delle lingue romanze La classificazione delle lingue romanze solleva una serie di problemi e il numero stesso si presenta oscillante a seconda che gli studiosi attribuiscano o meno ad un certo idioma la dignità di lingua. Qui considereremo 9 lingue divise in 4 sottogruppi 5: 2 Sul punto si veda la limpida sintesi offerta Varvaro, nel cap. 40 Teorie ed ipotesi sul passaggio dal latino al romanzo, in Linguistica romanza cit., pp. 215-223. 3 4 ma può comportare di conseguenza un diverso grado di penetrazione della romanizzazione. cf. Francese e Provenzale. Importanza del tramite particolare con cui si è realizzato: così l’esercito romano, i legionari stanziati nelle colonie, i mercanti, gli amministratori più tardi le scuole ecc..*, se dall’alto o dal basso. 34 1Balcano romanzo Rumeno 2Italo-romanzo Italiano Sardo Latino 3. Gallo-romanzo Francese Provenzale e Guascone Catalano 4. Ibero-romanzo Spagnolo Portoghese BIBLIOGRAFIA Si forniscono qui (organizzati in ordine di pubblicazione) solo i titoli di manuali di riferimento generali utilizzabili anche da studenti. Chi volesse approfondire specifiche questioni potrà trovare- soprattutto nei più recenti- utili e ricchi rinvii bibliografici: C. TAGLIAVINI, Le origini delle lingue neolatine, [ 1949], Bologna, Patron 1972. A. VARVARO, Storia, problemi e metodi della linguistica romanza, Napoli, Liguori, 1980. Lexicon der romanistichen Linguistik, a cura di G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmitt, Tübingen, Niemeyer, 1988-* (degli otto volumi previsti ne sono attualmente usciti sette); CH. LEE, Linguistica romanza, Roma, Carocci, 2000. A. VARVARO, Linguistica romanza. Corso introduttivo, Napoli, Liguori, 2001 L. RENZI-A. ANDREOSE, Manuale di linguistica e filologia romanza, Bologna, Il Mulino, 2003 R. ANTONELLI, Origini, Firenze, La Nuova Italia, 1978; 5 A queste potrebbe aggiungersi il dalmatico il cui ultimo parlante, Antonio Udina, è morto nel 1898 e il franco-provenzale, cfr Renzi e Varvaro**. Ma pensiamo al fatto che uno dei padri della linguistica romanza Friedrich Diez considerava solo sei lingue: portoghese, spagnolo, francese, provenzale, italiano e rumeno. 35 L. PETRUCCI, Il problema delle Origini e i più antichi testi italiani, in Storia della lingua italiana, t. III. Le altre lingue, a cura di L. Serianni e P. Trifone, Torino, Einaudi 1994, pp. 573. A. VARVARO, Origini romanze, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, Roma, Salerno, 1995, t. I, pp. 137-74. M. L. MENEGHETTI, Le origini, Roma, Laterza, 1997. Michel Bréal, Essai de sémantique. Science de significations, Paris, Hachette 1924 [trad. it. di A. Martone, Napoli, Liguori 1990]