Le spese di lite nel processo civile nelle recenti riforme
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Ingiustificato rifiuto di una proposta conciliativa
formulata in corso di causa: incidenza sul regime delle spese ai sensi del novellato
art. 91 c.p.c. – 2.1. Segue. Portata del riferimento all’art. 92, secondo co., c.p.c. –
3. Mancata accettazione della proposta formulata dal mediatore e riparto delle
spese all’esito del giudizio eventualmente instaurato – 4. Motivazione e
fondamento del provvedimento di compensazione delle spese – 5. La nuova
responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c. – 5.1. Segue. Casistica.
1. L’incapacità degli uffici giudiziari di assicurare giustizia in tempi ragionevoli è
diretta conseguenza soprattutto dell’eccessivo carico di lavoro degli stessi,
determinato a propria volta, specie negli ultimi decenni, nella maggior parte dei
sistemi processuali da alcuni fattori economici e sociali che hanno provocato una
crisi strutturale della giustizia civile1.
Il diritto di accesso al giudice per la tutela delle proprie posizioni
giuridiche soggettive è, tuttavia, un diritto fondamentale di ciascun individuo,
oggi riconosciuto come tale non soltanto dalla nostra 2 e da altre Costituzioni
nazionali, ma anche dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali3.
1
Cfr. soprattutto i contributi contenuti nel volume Civil Justice in Crisis a cura di
ZUCKERMANN, Oxford, 1999.
2
L’art. 24 Cost. riconosce, infatti, il diritto di ciascuno ad agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti soggettivi ed interessi legittimi.
3
In realtà, nonostante l’art. 6 CEDU non faccia espresso riferimento, nel momento in cui enuclea
le garanzie dell’equo processo al diritto di accesso al giudice, la Corte di Strasburgo ha ben presto
chiarito che tale garanzia è implicita nel riconoscimento delle altre, le quali, altrimenti, sarebbero
prive di ogni significato (Corte europea dei diritti dell’uomo, 21 febbraio 1975, Golder c. Royaume
Uni, disponibile, come le altre decisioni della Corte, nelle lingue ufficiali inglese e francese, in
www.echr.coe.int). In dottrina v., tra tutti, TARZIA, L’art. 111 Cost. e le garanzie europee del
giusto processo civile, in Riv. dir. proc., 2001, 1 ss.
1
Sussiste, pertanto, l’esigenza di contemperare il diritto di ciascun
individuo ad adire un Tribunale per far valere le proprie posizioni giuridiche
soggettive con quella di evitare che l’eccessivo carico del ruolo rispetto alle
risorse spesso esigue messe a disposizione metta a repentaglio la possibilità di
assicurare giustizia in tempi accettabili. In altri termini, è necessario bilanciare il
disposto dell’art. 24 Cost., che riconosce il diritto di ciascuno ad agire e difendersi
in giudizio per la tutela dei propri diritti e quello dell’art. 111 Cost., che individua
tra i canoni dell’equo processo anche la ragionevole durata dello stesso. In tale
prospettiva è necessario che tutti gli attori del processo cooperino tra loro affinché
lo stesso non divenga la sede per lo svolgimento di attività meramente
defatigatorie, finalizzate ad allontanare il più possibile il momento della decisione
finale4.
Nella delineata prospettiva, non è di trascurabile importanza la relazione
tra la disciplina normativa della responsabilità delle parti per le spese ed i danni
processuali e l’abuso del processo e ciò sotto un duplice profilo: a) in primo luogo,
l’opportunità di evitare che il comportamento dilatorio delle parti incida
negativamente sulla durata dei processi può essere alla base della condanna alle
spese, almeno in parte, del vincitore, ovvero di una decisione di compensazione
4
Di ciò è consapevole, del resto, anche Corte europea dei diritti dell’uomo la quale ha da lungo
tempo sottolineato che, onde apprezzare la ragionevole durata di un processo, il giudice deve tener
conto anche del comportamento delle parti all’interno dello stesso. Secondo la Corte europea dei
diritti dell’uomo, infatti, il comportamento delle parti in causa costituisce un elemento oggettivo
che deve essere valutato per verificare se vi è stata violazione dell’art. 6 CEDU (Corte eu. dir.
uomo, Wiesinger c. Austria, 30 ottobre 1991). Tra i comportamenti delle parti che secondo la
Corte hanno portata meramente defatigatoria ed incidono negativamente sulla durata del processo
è stato, ad es., annoverati l’esperimento di diversi ricorsi nel corso del giudizio, quali istanze di
ricusazione, di rinvio ad altro giudice, la proposizione di questioni pregiudiziali demandate alla
decisione di un diverso giudice (cfr. Corte eu. dir. uomo casi Yagci e Sargin c. Turchia, 8 giugno
1995, § 66; Bock c. Germania, 29 marzo 1989, § 41; Baraona c. Portogallo, 8 luglio 1987, § 53).
In arg. cfr. anche le considerazioni di CORDOPATRI, L’abuso del processo e la condanna alle
spese, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 249 ss, spec. 262, soprattutto con riferimento alla
“nazionalizzazione” di tale criterio da parte dell’art. 2 legge n. 89/2001 sull’equa riparazione dei
danni causati dall’irragionevole durata dei processi.
2
delle spese di lite tra le parti5; sotto altro punto di vista, a fronte dell’instaurazione
di un giudizio ovvero della resistenza all’interno dello stesso con dolo, mala fede
o colpa grave ovvero di un’azione del tutto pretestuosa o irrituale è stata
tradizionalmente prevista la possibilità, per l’altra parte, di chiedere ed ottenere il
risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.
La legge 18 giugno 2009 n. 69 è intervenuta sia modificando gli artt. 91 e
92 c.p.c. sulla disciplina delle spese processuali, sia introducendo una nuova
fattispecie di responsabilità processuale aggravata nel terzo co. dell’art. 96 c.p.c.
nel comune intento di responsabilizzare il più possibile le condotte degli attori del
processo al fine di assicurarne, anche nel rispetto dei canoni generali di lealtà e
probità posti dall’art. 88 c.p.c., un regolare svolgimento ed un’introduzione e
prosecuzione dello stesso sino alla pronuncia della sentenza soltanto quando ciò
sia effettivamente necessario per la tutela dei diritti delle parti.
2. Ai sensi dell’art. 91 c.p.c. il giudice, con la sentenza che chiude il processo
dinanzi a sé, pone le spese di lite a carico della parte soccombente6.
Secondo la concezione tradizionale il principio victus victori costituisce
espressione della fondamentale regola di giustizia per la quale la necessità del
processo non deve andare a danno della parte che ha ragione7. In altri termini, il
riparto delle spese processuali tra le parti deve avvenire esclusivamente in forza
del dato oggettivo della soccombenza.
5
Talché la minaccia della condanna alle spese dovrebbe indurre ciascuna parte a comportarsi
lealmente prima e nel corso del processo.
6
V., anche con riguardo all’esigenza di una valutazione dell’esito globale della lite, Cass. 9 marzo
2004 n. 4778.
7
Cfr. CHIOVENDA, La condanna nelle spese giudiziali, Torino, 1901, nonché, più di recente,
SCARSELLI, Le spese giudiziali civili, Milano, 1998.
3
La riferita ricostruzione nega, esaltando il diritto di ciascuno sia di agire in
giudizio a prescindere dal torto e dalla ragione 8 , sia di adottare la strategia
processuale più scaltra, con il solo limite del rispetto del dovere di lealtà e di
probità sancito dall’art. 88 c.p.c. 9 , l’incidenza di qualsivoglia stato soggettivo
delle parti ai fini del riparto delle spese processuali10. Ne deriva che, in accordo
con la tesi tradizionale, la funzione della condanna alle spese è indennitaria e non
risarcitoria, in quanto la stessa si riconnette ad un fatto lecito come l’esercizio di
un diritto in sede giurisdizionale11.
La richiamata concezione tradizionale della condanna alle spese del
giudizio, tuttavia, è progressivamente entrata in crisi con l’accentuarsi nel nostro,
come in altri sistemi processuali, delle rilevanti problematiche derivanti dal
numero eccessivo di processi ed alla conseguente incapacità degli uffici
giudiziario di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva ed in tempi
ragionevoli che ha finito con il porre in discussione la tendenziale esclusività del
principio di soccombenza in favore di altri criteri, almeno concorrenti, idonei
anche a valorizzare condotte abusive della parte prima e nel corso del processo12.
Andando ora a considerare gli interventi effettuati dalla legge 18 giugno 2009 n.
69 sull’art. 91 c.p.c. è stato innanzitutto modificato il secondo periodo del comma
primo
prevedendo che, se accoglie la domanda in misura non superiore
8
Conformante con la concezione di azione in senso astratto sostenuta dai fautori di tali regole (cfr.
CORDOPATRI, L’abuso del processo e la condanna alle spese, cit., 254).
9
LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile. Principi, 6a ed., Milano, 2002, 114 ss, il quale
sottolinea che se nel processo ciascuna parte svolge la propria lotta servendosi liberamente delle
armi disponibili, deve però rispettare le “regole del gioco”, evitando, in particolare, di ricorrere a
manovre ed artifici che potrebbero impedire all’altra parte di far valere le sue ragioni dinanzi al
giudice in omaggio alle garanzie sancite dalla legge.
10
V., ancora, LIBEMAN, Manuale di diritto processuale civile, cit., 117, secondo cui non si può
ritenere in colpa chi si limiti a sostenere in buona fede il proprio diritto dinanzi all’autorità
giudiziaria anche qualora la sua tesi risultasse a posteriori infondata.
11
Così PICARDI, Manuale del processo civile, Milano, 2006, 175.
12
Più diffusamente, se si vuole, GIORDANO, Responsabilità delle parti per le spese ed i danni e
abuso del processo, in Abuso del diritto ed abuso del processo a cura di RIVIEZZO, Suppl. a Giur.
Merito, 2007, n. 12, 52 ss.
4
all’eventuale proposta conciliativa formulata dalla controparte, il Giudice
condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al
pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta,
salvo il disposto del comma secondo dell’art. 92 c.p.c.
La necessità di un espresso intervento del legislatore sull’art. 91 c.p.c. per
consentire una condanna alle spese della parte la quale abbia rifiutato di aderire
alla conciliazione è correlata proprio alla costante affermazione, in sede pretoria,
del riferito principio, portata di quello più generale di soccombenza, in virtù del
quale costituisce violazione di legge la condanna al pagamento delle spese di lite
posta esclusivamente a carico della parte vittoriosa13.
Mediante tale previsione (perfettamente coerente, peraltro, con il disposto
dell’art. 13 d.lgs. n. 28/2010 sulla mediazione delle controversie civili), il
legislatore cerca di indurre le parti, nelle controversie aventi ad oggetto diritti
disponibili, ad una serena conciliazione idonea a consentire una deflazione del
contenzioso giudiziario, attribuendo al Giudice il potere di condannare alle spese
di lite, maturate successivamente alla formulazione della proposta, la parte che,
sebbene sia risultata vittoriosa all’esito del processo, abbia rifiutato nel corso dello
stesso una proposta conciliativa di portata equivalente o addirittura più
soddisfacente rispetto alla misura nella quale la domanda della medesima parte
abbia poi trovato accoglimento con l’emanazione della sentenza di merito. In altre
parole, il costo del processo che si è inutilmente protratto da un certo momento in
poi 14 a causa del rifiuto di una proposta conciliativa seria tanto da essere
“confermata” dalla sentenza viene posto a carico della parte che quella proposta
13
V., tra le molte, Cass. 18 giugno 2008 n. 16575.
Quanto all’irragionevolezza sotto tale profilo della nuova previsione che individua tale momento
in quello della formulazione della proposta conciliativa e non in quello del rifiuto ingiustificato
della stessa, v. LOMBARDI (- GIORDANO), Il nuovo processo civile, Roma, 2009, 136.
14
5
abbia ingiustificato rifiutato 15 , in tal guisa facendo proseguire inutilmente il
processo, anche in violazione dei generali doveri di lealtà e probità, con i
correlativi oneri a carico della società 16 . Il monito legislativo appare in effetti
rivolto anche agli avvocati poiché nella prassi è ricorrente che non si addivenga
alla conciliazione giudiziale proprio a causa di un mancato accordo tra le parti in
ordine alla determinazione degli onorari spettanti ai rispettivi avvocati, piuttosto
che alla reciproca soddisfazione delle rispettive pretese17.
La proposta conciliativa, in assenza di precisazioni normative, potrà
provenire sia dalla controparte sia dal giudice; peraltro, ai fini della condanna alle
spese della parte vittoriosa la quale abbia rifiutato una ragionevole proposta
conciliativa deve ritenersi che tale proposta debba essere dettagliata e redatta in
forma scritta18, sicché la stessa dovrà essere contenuta sia negli scritti difensivi
delle parti, sia nel verbale di causa19. Nell’ipotesi in cui, invece, la proposta sia
contenuta in un atto scritto diverso da quelli indicati, la stessa dovrà essere
formalmente comunicata in udienza alla parte destinataria ovvero con atto
notificato o mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno20.
La proposta potrà essere formulata in ogni momento del giudizio, sino
all’udienza di precisazione delle conclusioni atteso che, in sede di approvazione
finale della recente riforma, è caduto l’inciso che alludeva alla tempestiva
15
Parte vittoriosa che, pertanto, qualora non ricorrano i presupposti per una compensazione, avrà
comunque diritto alla liquidazione in proprio favore delle spese maturate prima della formulazione
della proposta: BUCCI (- SOLDI), Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2009, 72.
16
DEMARCHI, Il nuovo processo civile, Milano, 2009, 48; nel senso che, per tali ragioni, la
nuova previsione costituisce la manifestazione di un obbligo di solidarietà, quale adempimento di
un dovere di collaborazione nella soluzione dei conflitti, v. C. GRAZIOSI, Alcune prime notazioni
sulla riforma del 2009, in Giur. Merito, 2010, n. 5, § 2.
17
GIORDANO (- ASPRELLA), Le riforme del processo civile dal 2005 al 2009, Suppl. a Giust.
Civ., 2009, n. 6,14.
18
BUCCI (- SOLDI), Le nuove riforme del processo civile , cit., 70-71.
19
Cfr. C. GRAZIOSI, Alcune prime notazioni sulla riforma del 2009, cit., § 2; LOMBARDI (GIORDANO), Il nuovo processo civile, cit., 133.
20
BUCCI (- SOLDI), Le nuove riforme del processo civile, cit., 71.
6
formulazione della proposta di conciliazione quale requisito per il dispiegarsi
degli effetti sanzionatori in punto di spesa.
Tuttavia il rifiuto della proposta conciliativa, per assumere rilevanza ai fini
della condanna alle spese ,della parte vittoriosa deve essere privo di “giustificato
motivo” 21 . In proposito il giudice potrà, a livello meramente esemplificativo,
valutare la particolare complessità ed incertezza della fattispecie, anche alla luce
dell’assetto normativo e/o delle interpretazioni giurisprudenziali
22
, ovvero
considerare legittimo il rifiuto qualora la proposta di conciliazione sia lontana
dalla prospettiva della transazione, in cui le parti compiono reciproche rinunce e
concessioni, in modo equilibrato.
Per converso, ad es., non potrà ritenersi giustificato il rifiuto di proposte
transattive fondato soltanto sull’intimo convincimento della parte circa l’integrale
fondatezza delle proprie richieste 23 nonché, sotto altro profilo, sull’intento di
ottenere una sentenza ad ogni costo, non giustificabile in sé e per sé, producendo il
verbale di conciliazione produce effetti analoghi
quanto alla vincolatività ed alla
possibilità di agire esecutivamente.
2.1.L’art. 91 c.p.c. nel testo novellato fa comunque salva l’applicazione dell’art.
92, comma 2, c.p.c. ossia della norma che consente al giudice, oggi in presenza di
“gravi ed eccezionali ragioni”, di compensare in tutto o in parte le spese del
giudizio.
Tale richiamo è stato da alcuni interpretato nel senso che, anche laddove
non siano integrati compiutamente i presupposti normativi indicati dal secondo
periodo dell’art. 91 per la condanna alle spese della parte vittoriosa la quale abbia
rifiutato una proposta conciliativa 21
22
23
magari perché formulata tardivamente o
Cfr. CECCHELLA, Il nuovo processo civile, Milano 2009, 88.
C. GRAZIOSI, Alcune prime notazioni sulla riforma del 2009, cit., § 2.
LOMBARDI (- GIORDANO), Il nuovo processo civile, cit., 134.
7
soltanto di entità di poco inferiore rispetto alla misura nella quale la domanda è
stata accolta - rimane in ogni caso possibile, esplicitando le relative ragioni, una
compensazione delle spese del giudizio tra le parti maturate successivamente alla
formulazione della proposta24.
Secondo una distinta impostazione, l’espresso rinvio all’art. 92, comma
secondo, c.p.c. avrebbe codificato un’ipotesi di compensazione parziale delle
spese di lite alla parte la cui domanda sia stata accolta ma si sia nondimeno
fermamente opposta alla formalizzazione di un accordo con l’avversario: in tale
prospettiva, la compensazione potrebbe operare anche con riguardo alle spese
maturate prima della formulazione della proposta conciliativa così evitando una
condanna alle spese di lite frazionata per segmenti processuali con alternanza di
parti soccombenti25.
In accordo con una tesi ancora diversa, si è osservato che la clausola di
salvezza costituita dal richiamo al comma secondo dell’art. 92 c.p.c. è
prevalentemente volta a regolare quelle fattispecie in cui l’ammontare delle spese
sostenute dal soccombente dopo la formulazione della proposta transattiva e
quelle sostenute dalla parte vittoriosa prima di tale momento siano di ammontare
pressoché equivalente nel senso di consentire al giudice un’integrale
compensazione delle spese del giudizio26.
Il riferimento all’art. 92, secondo co., c.p.c. potrebbe peraltro anche
intendersi nel senso che l’accollo delle spese non potrà, altresì, operare per il caso
in cui il giudice ritenga opportuno procedere alla compensazione delle spese. In
tal caso, infatti, prevalgono le ragioni che, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., giustificano
l’eccezione all’ordinario regime delle spese.
24
25
26
GIORDANO (- ASPRELLA), Le riforme processuali dal 2005 al 2009, cit., 14.
BUCCI (- SOLDI), Le nuove riforme del processo civile, cit., 72.
LOMBARDI (- GIORDANO), Il nuovo processo civile, cit., 134.
8
3. Come noto, l’art. 5 d.lgs. n. 28/2010 che ha introdotto quale condizione di
procedibilità delle controversie in materia civile e commerciale indicate nel primo
co. della stessa previsione normativa27 incardinate successivamente alla data del
20 marzo 201128, il previo esperimento del procedimento dinanzi agli organismi
di mediazione29.
27
Si tratta, più specificamente, delle controversie in tema di condominio, diritti reali, divisione,
successione ereditaria, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del
danno derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, da responsabilità medica e da
diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti bancari, assicurativi e
finanziari.
28
Con il d.lgs. 28/2010 il Governo ha provveduto all’attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno
2009, n 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione. Il d. lgs. n. 28 è entrato in
vigore il 20 marzo 2010, mentre l’entrata in vigore della c.d. “mediazione obbligatoria” (art. 5,
comma 1) è stato differito di dodici mesi rispetto alla data indicata. Il D.l. 29 dicembre 2010, n.
225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, ha prorogato di ulteriori
dodici mesi l’entrata in vigore della mediazione obbligatoria limitatamente alle controversie in
materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti
per le quali, pertanto, la c.d. mediazione obbligatoria opererà esclusivamente per le controversie
proposte successivamente alla data del 20 marzo 2012.
29
In arg. v., tra i molti, AA.VV., La giustizia civile alla prova della mediazione (a proposito del
d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28), in Foro it., 2010, V, 89 ss.; CHIARLONI, Prime riflessioni sullo
schema di decreto legislativo di attuazione della delega in materia di mediazione ex art. 60 legge
n. 69/09, in www.ilcaso.it; LUISO, La delega in materia di mediazione e conciliazione, in Riv.
dir. proc., 2009, 1257; MONTELEONE, La mediazione “forzata”, in Giust. Proc. Civ., 2010, 21
ss.; PUNZI, Le riforme del processo civile e degli strumenti alternativi per la soluzione delle
controversie, in Riv. dir. proc., 2009, 1231; ID., Mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc.,
2009, 845 ss.; SASSANI – SANTAGADA (a cura di), Mediazione e conciliazione nel nuovo
processo civile, Roma 2010; BORGHESI, Conciliazione, norme inderogabili e diritti indisponibili,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 121 ss.; BOVE (a cura di), La mediazione per la composizione
delle controversie civili e commerciali, Padova 2011; ID., La riforma in materia di conciliazione
tra delega e decreto legislativo, in Riv. dir., proc., 2010, 343 ss.; CANALE, Il decreto legislativo
in materia di mediazione, ivi, 2010, 616 ss.; CAPONI, Delega in materia di conciliazione delle
controversie, in Foro it., 2009, V, 354; CASTAGNOLA – DELFINI (a cura di), La mediazione
nelle controversie civili e commerciali. Commentario al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28,
Padova 2010; CUOMO ULLOA, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna 2011;
DALFINO, Dalla conciliazione societaria alla “mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali”, in www.judicium.it; DITTRICH, Il procedimento di
mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. dir. proc., 2010, 575 ss.; FABIANI, Profili
critici del rapporto fra mediazione e processo, in www.judicium.it; GHIRGA, Strumenti
alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto? (riflessioni sulla mediazione in
occasione della pubblicazione della Direttiva 2008/52/CE), in Riv. dir. proc., 2009, 357;
IMPAGNATIELLO, La “mediazione finalizzata alla conciliazione” di cui al d.lgs. n. 28/2010
nella cornice europea, in www.judicium.it; SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione:
le cose che non vanno, in www.judicium.it; ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria
nel quadro delle garanzie costituzionali, in www.judicium.it.
9
Il richiamato decreto legislativo n. 28/2010 introduce all’art. 13 in materia di
spese processuali una disciplina finalizzata ad incentivare l’accettazione della
proposta finalizzata dal mediatore. Di fondamentale rilevanza, a riguardo, appare
soprattutto l’art. 13, primo co., secondo cui “quando il provvedimento che
definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il
giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha
rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa,
e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative
allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di
un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.
Resta ferma l'applicabilita' degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le
disposizioni di cui al presente comma si applicano altresi' alle spese per
l'indennita' corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui
all'articolo 8, comma quarto”30.
L’idea di fondo sottesa a tale previsione normativa è quella secondo cui se il
risultato del processo corrisponde alla proposta di mediazione la parte è soltanto
formalmente vincitrice avendo in sostanza perso nel “tragitto processuale”
successivo alla formulazione della corrispondente proposta da parte del
mediatore31.
Invero, una parte dei primi commentatori della riforma, stante la necessità, per
l’applicazione di tale previsione normativa, che il contenuto della proposta sia
identico alla sentenza che definisce il giudizio nondimeno instaurato dalla parte
30
La parte vincitrice viene quindi trattata, per i costi posti a carico della stessa, peggio di una parte
integralmente soccombente (DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4
marzo 2010, cit., 598).
31
FABIANI, Profili critici del rapporto fra mediazione e processo, cit., § 5. Cfr., più in generale,
quanto all’incidenza di tale previsione sul valore della proposta di mediazione il cui rifiuto
determina una vera e propria responsabilità processuale a carico della parte, IMPAGNATIELLO,
La “mediazione finalizzata alla conciliazione” di cui al d.lgs. n. 28/2010 nella cornice europea,
cit., § 11.
10
destinataria di tale proposta non accettata, evidenzia che, in concreto, la norma
sarà inoperante essendo fantasioso che una soluzione eteronoma come quella resa
dal giudice in sede decisoria possa corrispondere ad una soluzione autonoma, di
portata sostanzialmente transattiva, come quella formulata dal mediatore32.
Tenendo conto, peraltro, che in sede giudiziale l’equivalenza della proposta
formulata dal mediatore rispetto alla sentenza potrebbe essere interpretata anche
avendo riguardo, più in concreto, al quantum riconosciuto al vincitore, nel senso
che la sanzione colpirà la parte la quale abbia rifiutato una proposta di
conciliazione dal contenuto corrispondente ovvero, a maggior ragione, più
favorevole rispetto al provvedimento giurisdizionale successivamente reso 33 ,
sembra che l’art. 13, primo co., sia destinato ad avere applicazione nella prassi
giudiziale34.
Tuttavia, non appaiono peregrine le perplessità espresse dalla disciplina in
questione dalla dottrina più autorevole.
E’ stato in particolare evidenziato, in primo luogo, un potenziale contrasto di tale
previsione normativa con l’art. 24 Cost., norma che, come noto, riconosce a
ciascuno il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi, essendo inflitta ad una parte, pur nell’obiettivo di ridurre il carico di
lavoro degli uffici giudiziari, una sanzione soltanto per avere incardinato un
32
In tal senso CANALE, Il decreto legislativo in materia di mediazione, cit., § 11.
Cfr. ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria nel quadro delle garanzie costituzionali,
cit., § 6.
34
Fermo che dovrà esservi una totale sovrapponibilità tra il contenuto della proposta e quello della
decisione (FABIANI, Profili critici del rapporto fra mediazione e processo, cit., § 5). Va inoltre
condiviso il rilievo di ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria nel quadro delle garanzie
costituzionali, cit., § 6, secondo cui nell’ipotesi in cui il mediatore formulasse una proposta
svincolata dal contenuto dell’istanza di mediazione, i.e. della domanda giudiziale, la disciplina
prevista dal primo co. dell’art. 13 d.lgs. n. 28/2010 non potrebbe trovare applicazione venendo a
mancare in radice la possibilità di una corrispondenza tra il contenuto della proposta e la
successiva statuizione giudiziale.
33
11
processo a fronte della formulazione di una proposta di conciliazione ritenuta non
conveniente35.
L’art. 13 d.lgs. n. 28/2010, peraltro, è soltanto simile ma non ha un contenuto del
tutto sovrapponibile a quello del già esaminato art. 91 c.p.c. nell’attuale
formulazione nella parte in cui dispone che il giudice se accoglie la domanda in
misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha
rifiutato la stessa senza giustificato motivo alle spese maturate successivamente
alla formulazione della proposta.
Innanzitutto manca, difatti, il riferimento alla necessità di valutare la ricorrenza di
un giustificato motivo di rifiuto della proposta, che, peraltro, come si è
correttamente notato, sarebbe stato tanto più opportuno nella fattispecie in
considerazione tenuto conto della circostanza che il mediatore formula la proposta
prescindendo da un accertamento dei fatti, in un momento anteriore
all’introduzione del giudizio e che, quindi, tante più possono essere le ragioni per
rifiutare la stessa36. Né appare trascurabile il rilievo per il quale nel procedimento
di mediazione il giustificato motivo di rifiuto della proposta potrebbe essere
determinato, non essendo obbligatoria l’assistenza di un avvocato, da un’errata
percezione giuridica dei fatti controversi37. Comunque sia, almeno secondo alcuni,
la valutazione circa la sussistenza di un giustificato motivo per non accettare la
proposta conciliativa potrebbe nondimeno essere effettuata stante il richiamo
35
Cfr. SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, cit., § 6, anche
in ordine alla funzione punitiva ancorata alla condanna della parte che non ha accettato la proposta
al pagamento del doppio del contributo unificato; ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria
nel quadro delle garanzie costituzionali, cit., § 6, il quale evidenzia il rischio che la previsione in
esame induca la parte ad accettare una proposta pur giudicata non adeguata per la tutela dei propri
diritti.
36
SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, cit., § 6.
37
ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria nel quadro delle garanzie costituzionali, cit., §
6.
12
dell’art. 13, primo co., d.lgs. n. 28/2010 all’art. 92 c.p.c. e quindi considerato alla
stregua di valida ragione per compensare le spese del giudizio38.
Inoltre, se in base all’odierno art. 91 c.p.c., come evidenziato, il giudice potrà
condannare la parte vittoriosa che ha ingiustificatamente rifiutato una proposta
conciliativa parimenti satisfattiva per la stessa rispetto alla decisione conclusiva
del procedimento, soltanto alle spese maturate successivamente alla formulazione
della stessa, invece, nel caso in esame saranno poste a carico della parte che abbia
rifiutato la proposta del mediatore le spese dell’intero giudizio di merito, del
procedimento di mediazione nonché, in una prospettiva con ogni evidenza
afflittiva, il versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al
doppio del contributo unificato39.
Occorre d’altra parte valutare la portata dell’inciso, contenuto nello stesso primo
co. dell’art. 13 d.lgs. n. 28/2010, secondo cui “resta ferma l’applicabilità degli artt.
92 e 96 c.p.c.”, specie in ordine al richiamo all’art. 96 c.p.c. essendo arduo
immaginare, alla stregua di quanto condivisibilmente evidenziato in dottrina, una
condanna anche al risarcimento dei danni da responsabilità processuale aggravata
di una parte che si sia limitata a non accettare una proposta conciliativa40.
4. Con la legge 18 giugno 2009 n. 69, il legislatore è nuovamente intervenuto,
sempre in tema di spese processuali, sul secondo co. dell’art. 92 c.p.c.,
nell’obiettivo di limitare il potere del giudice nella compensazione tra le parti
delle spese del giudizio, prevedendo, in particolare, che la compensazione possa
avvenire non più in presenza di “giusti motivi” bensì esclusivamente nella
concorrenza di “altre gravi ed eccezionali ragioni”.
38
Così FABIANI, Profili critici del rapporto fra mediazione e processo, cit., § 5, il quale auspica
l’utilizzazione nella prassi di tale potere discrezionale.
39
Ciò, quindi, in totale deroga al principio di soccombenza (cfr., in senso critico, anche per la
copertura costituzionale di tale principio, SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le
cose che non vanno, cit., § 6.
40
DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit., 599.
13
Su un piano generale, è opportuno ricordare che, tradizionalmente, la
compensazione delle spese di lite per giusti motivi ai sensi del secondo co. dell’art.
92 c.p.c. ha costituito la più importante deroga al criterio della soccombenza quale
canone decisivo per il riparto tra le parti delle spese processuali. Secondo
l’orientamento tradizionale affermato in dottrina, la possibilità per il Giudice di
compensare le spese del processo si fonda invero sul principio di causalità, la cui
applicazione comporta che sia condannata alle spese la parte che, attraverso il
proprio comportamento antigiuridico, cioè posto in essere in violazione di norme
di diritto sostanziale, abbia provocato la necessità del processo41.
Non si può trascurare, d’altra parte, che tuttavia secondo una condivisibile
impostazione affermata dalla dottrina più recente la compensazione delle spese ex
art. 92, secondo co., c.p.c. si correlerebbe ad una responsabilità di natura
esclusivamente processuale della parte, ovvero, ad una condotta processuale o
pre-processuale idonea a concretare un vero e proprio abuso del processo42.
Ciò premesso in linea generalissima quanto al fondamento del potere del
giudice di compensare le spese processuali per giusti motivi, il secondo co.
dell’art. 92 c.p.c., nella formulazione originaria, consentiva al giudice di effettuare
41
Così, tra gli altri, CHIOVENDA, La condanna nelle spese giudiziali, cit., 138 ss; ANDRIOLI,
Commento al Codice di procedura civile, cit., 256; SATTA, Commentario al codice di procedura
civile, I, Milano, 1959, 295; GRASSO, Della responsabilità delle parti, in Commentario al Codice
di procedura civile diretto da ALLORIO, I, 2, Torino, 1973, 1006; VECCHIONE, Spese giudiziali
(diritto processuale civile), in Novissimo Dig. it., XVII, Torino, 1970, 1127; BONGIORNO, Spese
giudiziali, in Enc. giur. Treccani, XXX, Roma, 1993, 4; ANNECCHINO, Commento all’art. 92, in
Codice di procedura civile commentato a cura di VACCARELLA – VERDE, Torino, 1996, 705;
per alcune esemplificazioni, v. LUISO, Diritto processuale civile, I, 3a ed., Milano, 2000, 405,
gli efficaci esempi di domande di accertamento mero, di condanna in futuro o di alcune domande
costitutive, proposte nell’esclusivo o comunque prevalente interesse dell’attore che non potrebbe
quindi costringere l’altra parte, sebbene soccombente, a rifondere le spese del processo. In arg. v.
anche, diffusamente, con ampi spunti di diritto comparato, SCARSELLI, Le spese giudiziali civili,
Milano, 1998, spec. 218 ss.
42
CORDOPATRI, L’abuso del processo, II, Padova, 2000, spec. 620 ss.; in arg. v. anche, per i
rapporti tra l’art. 92, secondo co., c.p.c. e l’art. 96 c.p.c. sulla responsabilità processuale aggravata
nella precedente formulazione GIORDANO, Responsabilità delle parti per le spese ed i danni e
abuso del processo, cit., 52 ss.
14
la predetta compensazione sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca43, in presenza
di “giusti motivi”, senza peraltro specificare se gli stessi dovessero o meno essere
indicati in motivazione.
Per vero, nonostante il silenzio del legislatore sul punto, la dottrina più
avvertita aveva da lungo tempo osservato che la decisione di compensazione delle
spese per giusti motivi deve essere specificamente motivata al fine di evitare che
la discrezionalità della quale gode il giudice in materia possa trasformarsi in un
inammissibile arbitrio e considerato, peraltro, che l’obbligo di motivazione della
pronuncia che compensa le spese di lite poteva in ogni caso essere desunto da una
disposizione di carattere generale, quale l’art. 111, sesto comma, Cost., secondo
cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati44, norma che non
deve essere applicata nel caso di condanna alle spese del soccombente ai sensi
dell’art. 91 c.p.c. soltanto perché tale pronuncia costituisce in tale ipotesi diretto
corollario della decisione sul merito della lite45.
Tuttavia la giurisprudenza non si era mostrata incline a condividere tali
rilievi della dottrina dominante ed, anzi, richiamandosi alla clausola generale dei
“giusti motivi” contenuta nell’art. 92, secondo co., c.p.c. i giudici di merito hanno
43
Sotto tale profilo la disposizione, mai modificata, non è altro che una specificazione dello stesso
principio di soccombenza, e quindi esula dalla problematica qui in esame (cfr. ANDRIOLI,
Commento al Codice di procedura civile, I, Napoli, 1957, 256, il quale sottolinea che il legislatore
ha quindi compiuto un errore sistematico accomunando nel secondo co. dell’art. 92 c.p.c. le due
fattispecie).
44
Cfr., tra i tanti, ANDRIOLI, Commento al Codice di procedura civile, cit., 256; GRASSO, Della
responsabilità delle parti, in Commentario al Codice di procedura civile diretto da ALLORIO, I, 2,
Torino, 1973, 1006; MINOLI, Criteri per la compensazione delle spese, in Giur. it., 1947, I, 1,
457; ID., La distribuzione delle spese tra le parti nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1943, I,
227; GUALANDI, Spese e danni nel processo civile, cit., 158; ID., Compensazione delle spese e
giudici legislatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, 362; VECCHIONE, Spese giudiziali (diritto
processuale civile), in Novissimo Dig. it., XVII, Torino, 1970, 1127; ANNECCHINO, Commento
all’art. 92, in Codice di procedura civile commentato a cura di VACCARELLA – VERDE, Torino,
1996, 705; CORDOPATRI, L’abuso del processo, II, cit., 635 – 639. Nel senso della manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, c.p.c., in
riferimento all’art. 111 Cost., v. però Cass. 21 febbraio 1998 n. 1187; Cass. 27 novembre 1992 n.
12657; Cass. 21 luglio 1989 n. 3471.
45
V., a riguardo, Corte Cost. 16 luglio 2004 n. 232, in Riv. dir. proc., 2005, 579, con nota di DE
VITA, Provvisoria esecutività della sentenza, capi accessori, condanna alle spese: la Consulta
interviene.
15
di regola fatto un larghissimo uso del potere discrezionale di compensare le spese
del giudizio, spesso omettendo di indicare, se non in via assolutamente
pleonastica, le ragioni dell’avvenuta compensazione: tali orientamenti erano del
resto stati costantemente avallati dalla S.C. la quale aveva, con rare eccezioni46,
costantemente ribadito il principio secondo cui il giudice non è tenuto a motivare
la scelta di compensare le spese di lite, stante la discrezionalità del relativo
potere 47
e la possibilità di enucleare le ragioni della compensazione dal
complesso della motivazione della pronuncia48.
Conseguenza pratica di tale orientamento è l’impossibilità di censurare in
sede di legittimità i capi delle sentenze contenenti la statuizione sulla
compensazione delle spese di lite per omessa motivazione essendo consentito
esclusivamente alla parte interessata lamentare, nell’ipotesi di eventuale
motivazione, l’illogicità o l’erroneità della stessa49.
Su tale assetto, peraltro soltanto con riferimento ai giudizi iniziati
successivamente al 1° marzo 200650 , è tuttavia intervenuto una prima volta il
legislatore, modificando, con la legge 28 dicembre 2005, n. 263, il testo dell’art.
92, secondo co., c.p.c. nel senso di sancire espressamente il dovere del giudice che
46
Cfr. Cass. 5 maggio 1999 n. 2255, in Giust. Civ., 2000, I, 153, con nota adesiva di MURRA,
Sull’obbligo di compensare la pronuncia di compensazione delle spese processuali per giusti
motivi, per la quale, sebbene non sussista nella fattispecie uno specifico obbligo di motivazione,
l’esercizio del potere di compensazione deve essere giustificato almeno nella motivazione che
globalmente assiste la pronuncia.
47
In tal senso, tra le molte, Cass. 28 novembre 2003 n. 18236; Cass. 14 giugno 1999 n. 5909; Cass.
8 ottobre 1997 n. 9762; Cass. 16 novembre 1994 n. 9690; Cass. 11 giugno 1992 n. 7220, in Giur.
it., 1993, I, 1, 576.
48
Cass. 18 giugno 2003 n. 9707.
49
In tal senso Cass. 22 aprile 2005 n. 8540 (ord.), in Riv. dir. proc., 2005, 1377, con nota critica
di CORDOPATRI, Ancora sulla motivazione del provvedimento di compensazione delle spese di
lite.
50
Anche Cass., Sez. Un., 30 luglio 2008 n. 20598, in Foro it., 2008, I, 2778, con osservazione di
BARONE, ha infatti evidenziato che la necessità di una motivazione specifica della decisione di
compensazione delle spese di lite per giusti motivi opera esclusivamente per le controversie
instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge 28 dicembre 2005 n. 263.
16
compensa le spese del giudizio per “giusti motivi” di indicare esplicitamente gli
stessi nella motivazione51.
In sede di primo commento a tale novella normativa, si erano già
evidenziate serie perplessità rispetto all’effettiva idoneità della stessa a
raggiungere l’obiettivo perseguito restando ancorato il potere del giudice di
compensare le spese di lite ad una clausola generale quale i “giusti motivi” che,
idonea a comprendere nel proprio ambito tutta una serie di ipotesi che non
potrebbero essere individuate ex ante dal legislatore, lascia una zona grigia
indeterminata che è proprio l’elaborazione giurisprudenziale a dover riempire di
contenuto nella casistica concreta, mentre
sarebbe stata più opportuna una
riforma orientata a vincolare direttamente il potere discrezionale attribuito al
giudice nella compensazione delle spese di lite, indicando compiutamente le
fattispecie nelle quali è possibile una compensazione delle spese del giudizio52.
Del resto, tali perplessità derivano anche dall’affermazione, pressoché
consolidata nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui i giusti
motivi in considerazione dei quali si può addivenire alla suddetta compensazione
sfuggono, per loro stessa natura, a qualsiasi enunciazione o catalogazione anche
soltanto esemplificativa e l'indagine in ordine alla loro ricorrenza, nonché la
relativa valutazione, sono rimesse al giudice di merito cui è inibito soltanto di
condannare alle spese, anche in minima parte, la parte totalmente vittoriosa53.
Peraltro, la stessa S.C. ha comunque evidenziato in sede di interpretazione
dell’art. 92, secondo co., c.p.c. così come novellato dalla legge 28 dicembre 2005
51
In arg., se si vuole, GIORDANO, Commento all’art. 92, in Commentario alla riforma del
processo civile, I, a cura di BRIGUGLIO e CAPPONI, Padova, 2007, 47 ss.
52
GIORDANO, Commento all’art. 92, cit., 60; per analoghe considerazioni v. anche BALENA (BOVE), Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 110 ss.
53
V., tra le molte, Cass. 22 aprile 2000 n. 5305, in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 620, con nota di
DOLMETTA. Per alcune esemplificazioni v., da ultimo, SCRIMA, Compensazione e condanna
alle spese, in Le spese nel processo a cura di RIVIEZZO, Suppl. a Giur. Mer., 2009, n. 7-8, 18.
17
n. 263, che deve ritenersi che in caso d'integrale vittoria di una parte, la
compensazione delle spese di lite per "giusti motivi" debba trovare nella
motivazione della decisione una giustificazione quanto meno desumibile
dall'intero contesto del provvedimento anche se non dall'esplicita menzione di
argomentazioni ad hoc, dovendo, in mancanza, il potere del giudice ritenersi
esercitato in aperta violazione dell'art. 24 Cost. 54 . In altre parole, integra gli
estremi della violazione dell'art. 92 comma secondo c.p.c., denunciabile e
sindacabile anche in sede di legittimità, la decisione di compensazione delle spese
del giudizio giustificata da generici "motivi di opportunità e di equità" quando le
ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei
presupposti di legge per esercitare il potere di compensazione delle spese non
emergono né da una motivazione esplicitamente specifica né, quanto meno, da
quella complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia, cui la
decisione di compensazione delle spese accede55.
Come evidenziato, la legge 18 giugno 2009 n. 69 è nuovamente intervenuta sul
testo dell’art. 92, secondo co., c.p.c., questa volta non al fine di rendere più
effettivo un controllo sulla congruità della motivazione della compensazione delle
spese di lite, bensì sostituendo la pregressa clausola generale che ancorava il
relativo potere alla sussistenza di “giusti motivi” riconducendo oggi lo stesso alla
ricorrenza di “gravi ed eccezionali ragioni”.
In sede di primo commento alla richiamata riforma, si è osservato che la
stessa è ispirata non soltanto da finalità deflattive del contenzioso, togliendo alla
parte soccombente ogni benevola speranza di compensazione delle spese in caso
54
Cass. 26 settembre 2007 n. 20017; nel senso che il novellato art. 92, secondo co., c.p.c. non è
rispettato quando il giudice si richiami meramente alla “peculiarità della fattispecie” v. Cass. 30
maggio 2008 n. 14563 ovvero alla “fattispecie nel suo complesso” cfr. Cass. 18 dicembre 2007 n.
26673.
55
Cass. 23 luglio 2007, n. 16205.
18
di proposizione o prosecuzione di azioni giudiziarie pretestuose o infondate, ma
anche dall’obiettivo di ridurre gli ambiti di discrezionalità del giudice confinando
il potere di compensare le spese in ambiti ristretti ed eccezionali 56 e non
meramente opportuni, come avveniva nell’assetto precedente 57 .
Inoltre, si è
sottolineato che il concorrente requisito della “gravità” necessario per la
compensazione delle spese di lite in presenza di eccezionali ragioni comporta che
sia a tal fine richiesta una ragione effettivamente ed oggettivamente rilevante, che
vada oltre una mera percezione di giustizia sociale idonea a deviare il corso della
decisione sulle spese dalla regola aurea della soccombenza58.
Il monito rivolto ai giudici di merito ad una maggiore prudenza
nell’utilizzare il proprio potere di compensazione delle spese processuali è
evidente; peraltro, per quanto già sottolineato in ordine all’evanescenza a tal fine
di qualsiasi clausola generale, i.e. contenente un rinvio ad una zona grigia
indeterminata dal legislatore, crediamo che la riforma in parte qua non andrà sul
piano pratico a modificare nulla rispetto all’assetto precedente59. Invero, posto
che tradizionalmente la giurisprudenza considera giusti motivi ai fini della
compensazione delle spese del processo il dubbio sull’esito della controversia,
l’obbiettiva difficoltà delle questioni giuridiche esaminate, l’assenza di consolidati
orientamenti giurisprudenziali su una determinata questione, non si comprende
56
Così SCRIMA, Compensazione e condanna alle spese, cit., 22.
SASSANI, A.D. 2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile. Quadro sommario delle
novità riguardanti il processo di cognizione, in www.judicium.it.
58
GIORGETTI, Commento all’art. 92, in Codice di procedura civile ipertestuale –
Aggiornamento 2009, a cura di SASSANI – TISCINI, cit.
59
Cfr. GIORGETTI, Commento all’art. 92, cit., la quale sottolinea che nonostante la chiara
volontà del legislatore di limitare le ipotesi nelle quali è consentita la compensazione delle spese,
anche l’attuale formulazione della norma “pecca” di eccessiva genericità ed astrattezza non
essendo forniti al giudice elementi concreti per parametrare la propria decisione al caso concreto,
così rendendo ancora aperto il dibattito in materia.
57
19
come nella prassi si potrà ritenere che tali non siano comunque gravi ed
eccezionali ragioni idonee a giustificare una compensazione delle spese di lite60.
Non si può trascurare, comunque, che il novellato art. 92, secondo co.,
c.p.c. riproduce quanto già previsto per il processo comunitario61, dall’art. 69 del
regolamento di procedura dinanzi alla Corte di Giustizia 62
secondo cui al
pagamento delle spese di lite resta assoggettata la parte soccombente, salva la
possibilità, riconosciuta dal terzo co. della medesima disposizione, di compensare
le stesse tra le parti nell’ipotesi di soccombenza reciproca ovvero in presenza di
motivi eccezionali. E’ interessante evidenziare come dall’analisi della casistica si
evinca che la compensazione delle spese per motivi eccezionali è spesso
considerata uno strumento finalizzato a
sanzionare il comportamento pre- o
processuale abusivo o manifestamente scorretto di una delle parti63.
Ad es. la Corte di Giustizia ha ritenuto opportuno, rigettando un ricorso
volto ad affermare la responsabilità extracontrattuale della Comunità per
mancanza di prova, compensare le spese tra le parti valutando che il
comportamento della Commissione era stato comunque tale da determinare una
responsabilità della Comunità64.
60
In tal senso anche SCARSELLI, Le modifiche in tema di spese, in Foro it., 2009, V, 262 ss., il
quale osserva che, comunque, non sarebbe opportuno limitare il potere del giudice di compensare
le spese di lite al punto di rendere lo stesso mai esercitabile a tutto vantaggio della condanna alle
spese del soccombente consentendo la compensazione delle spese di venire incontro, in alcuni casi,
a manifeste ragioni di giustizia e di equità nel caso concreto.
61
Laddove per processo comunitario intendiamo quello che si svolge dinanzi agli organi
giurisdizionali comunitari a seguito della proposizione delle c.d. azioni dirette, disciplinate dagli
artt. 230 ss del Trattato istitutivo della CE; diversa è, invece, la cooperazione che si realizza tra
giudice comunitario e giudici nazionali con la proposizione del rinvio pregiudiziale (in arg., nella
dottrina italiana, BIAVATI, Diritto processuale dell’Unione Europea, 3a ed., Milano, 2005,
passim).
62
Nonché l’art. 87 del regolamento di procedura dinanzi al Tribunale di primo grado.
63
BOULOUIS –DARMON – HUGLO, Contentieux communautaire, 2a ed., Paris, 2001, 158 –
159. Occorre, peraltro, tener presente che anche i motivi eccezionali che giustificano la
compensazione delle spese nel processo comunitario possono essere ricondotti a parametri
oggettivi, quali l’incertezza sulla norma giuridica applicabile in una determinata fattispecie (v. già
CGCE, 11 luglio 1968, Danvin c. Commissione, C-26/67, in Racc., 1968, 463).
64
CGCE, 15 giugno 1976, CNTA c. Commissione, C-74/74, in Racc., 1976, 797.
20
Nell’ambito di una procedura di infrazione instaurata nei confronti del
Regno Unito, la Corte, pur ritenendo fondata l’azione della Commissione ha
compensato le spese tenendo conto del comportamento esemplare del governo del
Regno Unito, che aveva volontariamente sospeso l’applicazione delle misure
interne oggetto di contestazione, senza che fosse all’uopo necessario per la
Commissione adire la Corte di Giustizia al fine di ottenere misure provvisorie a
norma dell’art. 243 del Trattato CE65.
Talvolta, i giudici comunitari si sono spinti sino al punto di compensare le
spese per motivi eccezionali riconducibili alla condotta processuale delle parti già
in sede cautelare, con ciò derogando al generale principio per il quale le spese
della fase cautelare vanno liquidate all’esito del giudizio di merito66.
La richiamata prassi della giurisprudenza comunitaria è anch’essa
emblematica della recente tendenza ad ancorare, almeno in parte, il pagamento
delle spese processuali a parametri diversi dalla soccombenza, fondati anche su
criteri soggettivi riconnessi al comportamento della parte vincitrice67.
5. La legge 18 giugno 2009 n. 69 ha inciso profondamente sul sistema della
responsabilità processuale aggravata introducendo un nuovo comma all’art. 96
c.p.c., il terzo, secondo cui “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi
dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte
65
CGCE, 9 luglio 1991, Commissione c. Regno Unito, C-146/89, in Racc., 1991, 3533.
Così CGCE, ord. 7 dicembre 1982, Klöckner-Werke c. Commissione, C-263/82, in Racc., 1982,
4225; CGCE, ord. 27 giugno 1986, Epichirisseon c. Consiglio e Commissione, C-121/86, in Racc.,
1986, 2063;TPI, ord. 16 marzo 1998, Goldstein c. Commissione, T-235/95, in Racc., 1998, II-525
ss.
67
Comportamento della parte vincitrice che, pur nella diversità delle clausole generali di cui all’art.
92, secondo co., c.p.c. (giusti motivi) ed all’art. 69, terzo co., del regolamento di procedura della
Corte di Giustizia, viene comunque ritenuto idoneo a giustificare una compensazione delle spese
processuali.
66
21
soccombente al pagamento a favore della controparte, di una somma
equitativamente determinata”.
Per comprendere la portata dirompente di tale intervento normativo, è
opportuno ricordare brevemente l’assetto interpretativo antecedente allo stesso in
ordine alla natura ed ai presupposti per la condanna del soccombente al
risarcimento del danno ai sensi del primo co. dell’art. 96 c.p.c. per responsabilità
aggravata di colui che agisce o resistente temerariamente in giudizio con dolo,
mala fede o colpa grave68.
Orbene, in accordo con una tesi risalente, la disciplina posta dall’art. 96
c.p.c. sarebbe stata limitata alle ipotesi di responsabilità per procedure ingiuste69,
mentre i danni arrecati da processi condotti senza il rispetto di forme e termini di
rito sarebbero stati regolati dalla norma generale sulla responsabilità civile di cui
all’art. 2043 c.c.70.
Più di recente, specialmente in giurisprudenza, si è andato invece
affermando il diverso orientamento interpretativo per il quale l'art. 96 c.p.c.
contiene la disciplina integrale e completa della responsabilità processuale
aggravata e si pone con carattere di specialità rispetto all'art. 2043 c.c., con la
conseguenza che la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando
concettualmente nel genere della responsabilità generale per fatti illeciti71, ricade
68
La ratio delle regole poste dal secondo co. dell’art. 96 c.p.c. è invero in parte diversa ed in tal
senso esula dalla nostra trattazione: infatti, tale disciplina vuole tutelare soprattutto la controparte a
fronte del compimento di attività esecutive o di attuazione dei provvedimenti cautelari che sono
state svolte senza la normale prudenza, nell’ipotesi in cui si accerti l’inesistenza del diritto tutelato
con le stesse. Si tratta, in effetti, di iniziative processuali le quali, in ragione delle loro
caratteristiche, sono idonee ad arrecare pregiudizi in via immediata e diretta a chi le subisce (cfr.
PICARDI, Manuale del processo civile, cit., 178).
69
Ovvero quelle instaurate nonostante la palese inesistenza del diritto sostanziale tutelato (cfr.
BONGIORNO, Responsabilità aggravata, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991, 2 ss).
70
In tal senso, tra gli altri, ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, I, cit., 372.
71
Questa prospettazione, condivisa dalla dottrina prevalente la quale ricostruisce in termini di
genere a specie il rapporto tra la responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. e quella per
responsabilità aggravata (cfr. GRASSO, Note sui danni da illecito processuale, in Riv. dir. proc.,
1959, 270 ss; ID., Individuazione delle fattispecie di illecito processuale e sufficienza della
22
interamente, in tutte le sue ipotesi, sebbene relative all’irrituale esercizio di
un’azione, sotto la disciplina dell'art. 96 c.p.c., senza che sia configurabile un
concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità72.
Inoltre l’esigenza di evitare che le parti utilizzino alcuni strumenti
processuali predisposti per finalità legittime in via meramente defatigatoria73, ha
da tempo indotto la giurisprudenza ad individuare alcune peculiari ipotesi di
responsabilità ex art. 96 c.p.c. le quali si ricollegano anche all’uso di determinati
mezzi processuali per finalità diverse rispetto a quelle previste dal legislatore74:
soprattutto in relazione a tali prassi che, come si è autorevolmente osservato, il
parametro della soccombenza tende oggi ad assumere un nuovo ruolo, ovvero
quello di indizio della cattiva gestione dello strumento processuale75 che, laddove
disciplina dell’art. 96 c.p.c., in Giur. it., 1961, I, 1, 93; SATTA, Commentario al codice di
procedura civile, I, Milano, 1959, 295 ss; BONGIORNO, Responsabilità aggravata, 1 ss), è stata
contestata da CALVOSA, La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 378 ss, per il quale esiste, invece, una contrapposizione tra l’art. 96
c.p.c. e l’art. 2043 c.c., fondata sull’impossibilità di equiparare la responsabilità processuale ad un
fatto illecito (negandosi, altrimenti, il diritto di ciascuno ad agire e resistere in giudizio per la tutela
dei propri diritti).
72
V., ex multis, Cass. 20 luglio 2004 n. 13455, in Giust. Civ., 2005, I, 2418, la quale ha dichiarato
inammissibile l'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. proposta dall'esecutato per il
ristoro del pregiudizio derivante da attività processuale ingiusta, restando indifferente, a tal fine,
che detta attività sia tale perché non sorretta da titolo legittimo o perché svolta in forma non rituale;
Cass. 17 ottobre 2003 n. 15551; Cass. 12 marzo 2002 n. 3573.
73
In questo caso l’illecito può definirsi plurioffensivo, in quanto tali condotte non soltanto
pregiudicano l’altra parte ma sono idonee anche ad arrecare danno all’amministrazione della
giustizia comportando, ad es., lo svolgimento di attività processuale inutile (DONDI – GIUSSANI,
Appunti sul problema dell’abuso del processo civile nella prospettiva de iure condendo, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2007, 193 ss).
74
Va, tuttavia, evidenziato che, nonostante tale utilizzazione distorta degli strumenti processuali
sia posta in essere principalmente su iniziativa dell’avvocato, abusando dei poteri che si
ricollegano al proprio mandato, e non della parte è proprio quest’ultima a dover rispondere, nei
confronti della controparte, dei danni ex art. 96 c.p.c. Non è quindi peregrino ipotizzare de jure
condendo, anche sulla scorta di quanto previsto in altri ordinamenti nazionali, una responsabilità
diretta dell’avvocato per l’utilizzazione abusiva degli strumenti processuali (cfr. le più ampie
riflessioni di DONDI – GIUSSANI, Appunti sul problema dell’abuso del processo civile nella
prospettiva de iure condendo, cit., 195 ss.
75
Così PICARDI, Manuale del processo civile, cit., 175, il quale adduce l’efficace esempio della
proposizione di reiterate istanze di ricusazione, tutte rigettate: in questo caso, la soccombenza
costituisce un chiaro sintomo dell’abuso del processo.
23
abusiva e recante un pregiudizio all’altra parte, può giustificare la condanna al
risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c.76.
Peraltro, nella prassi l’ostacolo più rilevante al riconoscimento della
responsabilità aggravata del litigante temerario è sempre stato quello correlato alla
ricostruzione di tale responsabilità quale fattispecie speciale rispetto all’art. 2043
c.c., con conseguente necessità per il richiedente di dimostrare non soltanto la
temerarietà della lite ma anche di avere subito uno specifico danno-conseguenza a
causa della stessa. Ricorrente nella giurisprudenza di legittimità è invero
l’affermazione del principio per il quale in tema di responsabilità aggravata per
lite temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all'art. 96 c.p.c.
richiede pur sempre la prova incombente alla parte istante sia dell'an, sia del
quantum debeatur o che, pur essendo la liquidazione effettuabile d'ufficio, tali
elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa77.
In tale direzione, già prima dell’introduzione del terzo co. dell’art. 96
c.p.c., si era peraltro registrata una
significativa evoluzione in quella
76
Soprattutto alcuni anni fa lo strumento della responsabilità aggravata per lite temeraria si è
rivelato estremamente importante per la S.C. quale baluardo per evitare la proposizione di
regolamenti preventivi di giurisdizione del tutto pretestuosi ed aventi finalità meramente dilatorie.
Occorre, infatti, ricordare che nell’assetto previgente alla c.d. novella dell’art. 367 c.p.c. ad opera
della legge n. 353 del 1990, la proposizione del regolamento preventivo determinava
automaticamente la sospensione del processo in corso e, pertanto, la Corte di Cassazione, onde
arginare tale prassi, iniziò a sanzionare con la responsabilità aggravata i casi di abuso più evidente
del regolamento, proposto per finalità esclusivamente dilatorie, soprattutto in alcune materie, nelle
quali coloro che volevano procrastinare l’emanazione di una decisione di merito sfavorevole
consapevoli del fatto che la tardiva emanazione avrebbe privato la stessa di ogni efficacia pratica
(cfr. PICARDI, Manuale del processo civile, cit., 63, per l’efficace esempio del contenzioso in
materia elettorale (In tal senso, tra le altre, Cass., Sez. Un., 4 luglio 1989 n. 3199, in Giust. Civ.,
1989, I, 1992, per la quale nei riguardi del cittadino elettore, che impugni il risultato delle elezioni
amministrative, e poi veda ritardare la decisione, in relazione al regolamento preventivo di
giurisdizione da altri pretestuosamente proposto a fini dilatori, non può negarsi il verificarsi di un
danno risarcibile, ai sensi dell'art. 96, comma primo, c.p.c., essendo tale danno identificabile, pur
in difetto di una posizione di diritto soggettivo suscettibile di essere incisa da detto ritardo, nei
maggiori oneri provocati con riguardo alla impugnativa, per cui era legittimato, dalla temeraria
iniziativa processuale della controparte; Cass. 14 gennaio 1992 n. 365, in Corr. Giur., 1992, 78).
77
Tra le molte, Cass. 8 giugno 2007 n. 13395.
24
giurisprudenza di merito che aveva ritenuto di attenuare la richiesta prova del
pregiudizio subito da parte del danneggiato evidenziando, premesso che la parte la
quale debba sostenere una lite va incontro ad una serie di disagi quali, a titolo di
esempio, l'apprensione connessa all'esito del giudizio, la perdita di tempo e di
danaro per la ricerca della documentazione probatoria e per la consultazione del
proprio legale, e via discorrendo, qualora tali aggravi non siano quelli normali,
frutto di una normale dialettica processuale, ma, al contrario, quelli
particolarmente ampliati e odiosi connessi ad una subita aggressione con una lite
del tutto temeraria, ben risulta fondata la richiesta di risarcimento ex art. 96 c.p.c.
e, in mancanza di una precisa prova sull'ammontare del danno, questo può
sicuramente essere liquidato secondo equità avendo riguardo ai parametri relativi
all’indennizzo per l’irragionevole durata del processo78.
Come evidenziato, il nuovo terzo co. dell’art. 96 c.p.c. prevede che “in
ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche
d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore
della controparte, di una somma equitativamente determinata”79.
Tale previsione appare innovativa rispetto al tradizionale sistema della
responsabilità processuale aggravata sotto diversi profili.
In primo luogo, invero, occorre osservare che la stessa prevede la
possibilità che la condanna al pagamento di una somma equitativamente
determinata a carico del soccombente venga
comminata anche dal giudice
78
Trib. Milano, sez. VIII, 22 marzo 2006 n. 3662, in Corr. Mer., 2006, n. 11, 1263, con nota di
GRADI; Trib. Milano 14 maggio 2003, in Foro pad., 2003, I, 424, con nota di MARCHESI; App.
Firenze, sez. I, 3 marzo 2006, in Resp. civ. prev., 2006, n. 11, 1915, con nota di PUCCI.
79
In arg., tra gli altri, CECCHELLA, Il nuovo processo civile, Milano, 2009; DEMARCHI, Il
nuovo processo civile, Milano, 2009, 50; GIORDANO (- APSRELLA), Le riforme del processo
civile dal 2005 al 2009, cit. 14; ID., Condanna alle spese, in Il nuovo processo civile a cura di
GENOVESE-RISOLO, Il Civilista, 2009, n. 7-8, 16; GIORGETTI, Commento all’art. 96, in
Codice di procedura civile ipertestuale – Aggiornamento 2009, a cura di SASSANI – TISCINI,
cit.; C. GRAZIOSI, Alcune prime notazioni sulla riforma del 2009, cit., § 2; LOMBARDI (GIORDANO), Il nuovo processo civile, Roma, 2009, 140 ss.; SCARSELLI, Le novità in tema di
spese, in Foro it., 2009, V, 263.
25
d’ufficio, ossia a prescindere da qualsiasi istanza dell’altra parte 80 , in ciò
discostandosi evidentemente dalle fattispecie dei due precedenti commi che, sono
correlate ad una domanda di parte. La condanna alla pena pecuniaria prevista dal
terzo co. dell’art. 96 c.p.c. avvicina, quindi, in tale direzione l’art. 96 c.p.c. alla
condanna alle spese di lite, che deve essere comminata dal Giudice anche
d’ufficio quando chiude il processo dinanzi a sé81.
Inoltre, almeno secondo l’opinione prevalente tra i primi commentatori
della riforma, basata su un’interpretazione letterale del dettato normativo, la
condanna di cui all’odierno terzo co. dell’art. 96 c.p.c. si discosta nettamente dalle
ipotesi tradizionali di responsabilità processuale aggravata poiché, ai fini della
comminatoria della stessa, non è necessario che la parte vittoriosa abbia subito un
danno a causa del processo, i.e. che dimostri, anche in via presuntiva, di aver
subito un pregiudizio 82 .
In considerazione della difficoltà nel dimostrare
l’esistenza di un danno correlato all’instaurazione e conduzione del processo, che
come rilevato rendeva molto rare le ipotesi di condanna ex art. 96 c.p.c., sarebbe
quindi stata introdotta una sorta di responsabilità processuale oggettiva del
soccombente83, correlata ad un’incauta instaurazione del giudizio volta ad evitare
80
CECCHELLA, Il nuovo processo civile, 89; GIORDANO (- ASPRELLA), Le riforme del
processo civile dal 2005 al 2009, cit., 16.
81
Cfr. C. GRAZIOSI, Alcune prime notazioni sulla riforma del 2009, cit., § 2. Costituisce invero
ius receptum il principio per il quale, in virtù dell’art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice deve
pronunciarsi sulle spese con la decisione che chiude il processo dinanzi a sé, la pronuncia di
condanna alle spese deve essere emanata anche d’ufficio, sussistendo un’assoluta inscindibilità
della decisione giudiziale sulle spese rispetto alla statuizione sul merito (v., da ultimo, Cass., Sez.
Un., 1° luglio 2009 n. 15386).
82
GHIRGA, La riforma della giustizia civile nei disegni di legge Mastella, cit., 441 ss. Tale
concezione appare condivisa da quella parte della giurisprudenza che riconduce alle c.d. condanne
punitive il nuovo art. 96, terzo co., c.p.c. stante la non necessità ai fini della condanna del
soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata della prova di alcun danno
(Trib. Varese 30 ottobre 2009 n. 1094, in Giur. Merito, 2010, n. 2, con nota di GIORDANO, Brevi
note sulla responsabilità processuale c.d. aggravata; Trib. Piacenza 22 novembre 2010; Trib.
Pescara 30 settembre 2010, in dejure.giuffre.it).
83
CECCHELLA, Il nuovo processo civile, cit., 89.
26
processi pretestuosi, che prescinde sia nell’an che nel quantum dall’eventuale
danno subito per questo dall’altra parte84.
Sotto un distinto profilo, sembra dalla lettera del terzo co. dell’art. 96 c.p.c.,
che si apre invero con l’incipit “in ogni caso”, la nuova forma di responsabilità
processuale aggravata prescinda anche dalla sussistenza di un illecito,
caratterizzato sul piano soggettivo da dolo o colpa grave, in capo alla parte
condannata 85 . In tale prospettiva, obiettivo precipuo della nuova previsione
sarebbe porre un freno alle controversie che, sebbene non “temerarie”, siano
comunque prive di reale contenuto o semplicemente esplorative o intimidatorie86.
Peraltro, una parte della dottrina ha a riguardo evidenziato che sarebbe
necessario rendere l’art. 96, terzo co., c.p.c. oggetto di un’interpretazione
costituzionalmente orientata, onde evitare che il nuovo istituto si trasformi in un
illegittimo limite all’esercizio dei diritti processuali sanciti dall’art. 24 Cost.,
temperando il drastico “in ogni caso” posto in apertura dello stesso, e
valorizzando, invece, l’inserzione dello stesso nell’art. 96 c.p.c. che esige anche
requisiti soggettivi e quindi comportamenti imputabili, almeno sotto il profilo
della colpa lieve, come presupposto dell’applicazione dei primi due commi87. A
riguardo ancora più contraria ad un’interpretazione letterale del terzo co. dell’art.
96 c.p.c. si è mostrata autorevole dottrina la quale ha proposto un’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’inciso “in ogni caso” quale mero richiamo alla
possibilità per il giudice di disporre la condanna al risarcimento per responsabilità
processuale aggravata senza necessità di un’istanza di parte, ferma restando la
84
GHIRGA, La riforma della giustizia civile nei disegni di legge Mastella, cit., 441 ss.
CECCHELLA, Il nuovo processo civile, cit., 89; GHIRGA, La riforma della giustizia civile, cit.,
459.
86
BUCCI (-SOLDI), Le nuove riforme del processo civile, cit., 78.
87
C. GRAZIOSI, Alcune prime notazioni sulla riforma del 2009, cit., § 2; cfr., in giurisprudenza,
Trib. Terni 17 maggio 2010, in Giur. Merito, 2010, n. 7-8, 1834, con nota di PORRECA, La
riforma dell’art. 96 c.p.c. e la disciplina delle spese processuali nella legge n. 69 del 2009; Trib.
Roma, sez. dist. Ostia, 9 dicembre 2010, inedita.
85
27
necessità di una mala fede o colpa grave della parte nei confronti della quale la
condanna viene disposta88.
Parimenti, sotto un distinto profilo, una parte della giurisprudenza ha
evidenziato che ai fini della condanna del soccombente al pagamento della somma
prevista dal terzo co. dell’art. 96 c.p.c. è necessaria l’esistenza di un danno
conseguente all’incauta azione o resistenza in giudizio per la parte vittoriosa,
restando soltanto agevolata quest’ultima, sul piano probatorio, dalla presunzione
della ricorrenza di tale pregiudizio normalmente correlato, in accordo con l’id
quod plerumque accidit, al coinvolgimento in un processo ed allo stress dallo
stesso derivante89.
In coerenza con la natura di pena privata propria della stessa, la condanna di cui al
terzo co. dell’art. 96 c.p.c. deve essere posta a vantaggio della parte vittoriosa, pur
essendo prevista per tutelare un interesse di rilevanza pubblicistica90.
L’entità della sanzione non è determinata dal legislatore, che fa invero
generico riferimento ad una somma “equitativamente determinata” dal giudice.
Diversamente, in un primo momento dell’iter parlamentare,
la sanzione
comminabile era stata individuata in una somma non inferiore alla metà e non
superiore al doppio dei massimi tariffari ed in un momento successivo era stata
quindi determinata in una somma non inferiore a euro 1.000 e non superiore a
euro 20.00091.
88
SCARSELLI, Le novità in tema di spese, in Foro it., 2009, IV, 263, il quale a fondamento della
propria tesi richiama anche la contestuale abrogazione del quarto co. dell’art. 385 c.p.c. che, in
tema di giudizio di Cassazione, consentiva alla Corte, a partire dalla riforma realizzata dal d.lgs. n.
40/2006, quando pronunciava sulle spese, di disporre la condanna del soccombente che avesse
agito o resistito in sede di legittimità con dolo o colpa grave ad una somma non superiore al
doppio dei massimi tariffari (v., in giurisprudenza, tra le altre, sulla necessità almeno della colpa
grave per la condanna ai sensi dell’art. 385 c.p.c., Cass. 27 febbraio 2009 n. 4829). Analogamente,
in giurisprudenza, Trib. Piacenza 22 novembre 2010, cit.
89
Trib. Oristano, ord. 14 dicembre 2010, inedita; Trib. Terni 17 maggio 2010, cit.
90
Cfr. C. GRAZIOSI, Alcune prime notazioni sulla riforma del 2009, cit., § 2.
91
In arg. DEMARCHI, Il nuovo processo civile, cit., 50.
28
Anche sotto quest’ultimo profilo, peraltro, dovrebbe opportunamente
imporsi nella prassi una lettura costituzionalmente orientata della disposizione in
esame, in modo da individuare criteri idonei a limitare l’ampia discrezionalità
attribuita al giudice sulla determinazione dell’an e del quantum della sanzione,
sia recuperando un elemento oggettivo sanzionabile in via analogica dalle
condotte descritte nei precedenti commi dello stesso art. 96, sia tenendo conto
della durata della causa, in rapporto al valore della stessa ed al tipo di condotta
processuale adottato dal soccombente92.
Sulla scorta dell’incipit “in ogni caso” posto in apertura della norma in
commento, si è inoltre evidenziato che, qualora l’istante fornisca la prova della
responsabilità della controparte per una delle fattispecie disciplinate dai precedenti
commi dell’art. 96 c.p.c., il giudice potrebbe cumulare i due risarcimenti93.
Appare interessante segnalare, stante l’evidenziata discrezionalità del giudice
nell’esercizio del potere di comminare la pena privata prevista dal terzo comma
dell’art. 96 c.p.c., una parte della giurisprudenza di merito che ha avuto occasione
di pronunciarsi su alcune delle richiamate questioni in tema di interpretazione
della richiamata disposizione normativa.
In una fattispecie esaminata dal Tribunale di Pescara94, proposto ricorso ex art.
447-bis c.p.c. per la risoluzione per inadempimento di un contratto d’affitto
d’azienda, incontestati i fatti concreti (costituiti, in particolare, dal mancato
pagamento del canone di affitto per numerose mensilità), rigettata in quanto
92
C. GRAZIOSI, Alcune prime notazioni sulla riforma del 2009, cit., § 2; LOMBARDI (GIORDANO), Il nuovo processo civile, cit., 145. Criterio adeguato sarebbe, si è osservato, quello
di utilizzare la norma quale strumento volto ad evitare che in alcuni casi la mancanza di una prova
specifica sul quantum del danno subito dalla parte valga ad evitare la condanna della parte per lite
temeraria ex art. 96 c.p.c. (SCARSELLI, Le novità in tema di spese, cit., 264).
93
In tal senso DEMARCHI, Il nuovo processo civile, cit., 52; LOMBARDI (- GIORDANO), Il
nuovo processo civile, cit., 145.
94
Trib. Pescara 30 settembre 2010, in dejure.giuffre.it.
29
tardiva l’eccezione di incompetenza dell’autorità giudiziaria ordinaria per
l’esistenza di clausola compromissoria, ritenute le ulteriori difese della resistente
(correlate alla possibilità della ricorrente di escutere una polizza fideiussoria a
fronte della morosità), il Giudice adito ha ritenuto applicabile d’ufficio l’art. 96,
terzo co., c.p.c. A riguardo, premesso che il presupposto per l’applicazione della
nuova previsione normativa è l’abuso del processo per difesa temeraria, condotta
processualmente censurabile a fronte della quale la nuova fattispecie non può
essere ricondotta nell’alveo dell’illecito civile bensì delle c.d. condanne punitive e
ricorre tutte le volte che un processo sia stato instaurato o coltivato in mancanza di
valide ragioni, senza che, a fronte di ciò, sia di conseguenza necessaria la
sussistenza di un danno subito dall’altra parte per effetto della condotta
processualmente scorretta.
Tale decisione appare almeno in parte contraddittoria poiché se, da un lato, nel
definire il presupposto per l’applicazione dell’art. 96, comma terzo, c.p.c.
individua lo stesso nell’esistenza di un abuso del processo per difesa temeraria, da
un altro, richiama la giurisprudenza di legittimità in tema di interpretazione del
primo co. dell’art. 96 c.p.c. in forza della quale si ha lite temeraria in caso di
consapevole infondatezza della propria difesa e di qui sembra ritenere pertanto
necessari i presupposti soggettivi della mala fede e/o colpa grave ai fini
dell’applicazione d’ufficio della sanzione del nuovo terzo co. dell’art. 96 c.p.c.
Peraltro, se si ha riguardo alla fattispecie concreta esaminata, specie per la
proposizione da parte della resistente di un’eccezione pregiudiziale di
incompetenza per l’esistenza di una clausola compromissoria rigettata per
tardività (e che, pertanto, poteva essere astrattamente fondata) e delle valutazioni
operate in concreto sulla possibilità di escutere la polizza fideiussoria, sembra
equiparare l’abuso processuale all’infondatezza, pur non manifesta, delle difese
30
spiegate in giudizio, fattispecie nelle quali l’applicazione officiosa dell’art. 96,
terzo co., c.p.c. potrebbe determinare seri profili di compatibilità con l’art. 24 Cost.
(che riconoscendo il diritto di ciascuno alla difesa in giudizio dei propri diritti
soggettivi ed interessi legittimi non può, proprio per l’alea che esiste in ogni
processo, fare riferimento esclusivamente ai diritti fondati)95.
Altra pronuncia di rilievo nell’esperienza applicativa della giurisprudenza di
merito in ordine all’interpretazione dell’art. 96, terzo co., c.p.c. è quella del
Tribunale di Roma96, la quale ha esaminato una fattispecie concreta nella quale
era stata effettuata un’illegittima iscrizione da parte dell’Equitalia Gerit di
un’ipoteca su un immobile sebbene il credito erariale fosse inferiore all’importo di
Euro 8.000,00 e nonostante, soprattutto, l’avvenuta sospensione dell’efficacia del
titolo esecutivo in altro giudizio nel quale era costituita la stessa Equitalia Gerit.
In particolare, quanto alla portata del nuovo istituto, nella richiamata pronuncia si
è evidenziato che il Giudice può provvedere d’ufficio alla relativa liquidazione
anche qualora non sia allegato alcun pregiudizio e l’unico parametro per effettuare
la stessa è costituito dall’equità. Si precisa, inoltre, che la sanzione comminata ha
natura di indennizzo per la parte privata beneficiaria e punitiva ove riguardata
nella prospettiva dello Stato (ovvero dell’interesse pubblico a contenere i costi
sociali derivanti dall’eccessivo numero di processi anche pretestuosi). Il Tribunale
aderisce quanto, all’elemento soggettivo, alla tesi intermedia per la quale il
presupposto applicativo della sanzione non è costituito dalla mera soccombenza
quanto dall’imprudenza, colpa o dolo (attenuando, quindi, i presupposti soggettivi
della lite temeraria del primo co. dell’art. 96 c.p.c., costituiti dal dolo e dalla colpa
grave). Nella fattispecie considerata, il Tribunale ha comminato all’Equitalia Gerit
la rilevante sanzione di Euro 25.000,00 avendo riguardo, quali parametri del caso
95
96
Per tutti SCARSELLI, Le novità in tema di spese, cit., 264.
Trib. Roma, sez. dist. Ostia, 9 dicembre 2010
31
concreto idonei ad ancorare la propria liquidazione equitativa, al dolo del
soccombente che aveva iscritto ipoteca pur nella consapevolezza della
sospensione dell’efficacia del titolo, alla peculiare resipiscenza dell’Equitalia in
giudizio, alla natura e struttura del soggetto responsabile, nonché agli effetti
incisivi di una misura come l’ipoteca immobiliare sul destinatario, anche in
considerazione del limitato importo del credito erariale. Tale decisione appare
pertanto emblematica espressione del rilevante potere officioso che è stato
attribuito al Giudice con il terzo co. dell’art. 96 c.p.c. nella versione definitiva di
cui alla legge n. 69/2009,
anche in ordine alla determinazione della pena
pecuniaria da irrogare, indeterminata nell’importo massimo.
Ricostruisce invece compiutamente, con ampia motivazione, i fondamenti del
nuovo istituto una pronuncia del Tribunale di Terni97. Nella fattispecie concreta il
soccombente condannato d’ufficio dal Giudice al pagamento di una somma
equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, terzo co., c.p.c. è un fideiussore
che aveva proposto un’opposizione avverso il decreto ingiuntivo concesso alla
Banca adducendo, da un lato, contestazioni generiche e pretestuose in ordine alla
pretesa dell’istituto di credito verso il debitore principale e, da un altro, fondando i
propri motivi di opposizione su contestazioni relative ad un conto corrente diverso
da quello a fronte dell’esposizione debitoria del quale era stato proposto il ricorso
monitorio.
Ai fini dell’esercizio del potere officioso attribuito dal terzo co. dell’art. 96 c.p.c.
il Tribunale di Terni evidenzia la necessità che sussistano i seguenti presupposti: soccombenza; condotta censurabile, comunque soggettivamente connotata,
sebbene non in via esclusiva dal dolo o colpa grave richiesti dal primo co. dell’art.
97
Il riferimento è, in particolare, a Trib. Terni 17 maggio 2010, in Giur. Merito, 2010, I, 1834, con
nota di PORRECA, La riforma dell’art. 96 c.p.c. e la disciplina delle spese processuali nella legge
n. 69 del 2009.
32
96 c.p.c. per la lite temeraria; danno-conseguenza del processo incautamente
instaurato o proseguito dal soccombente.
In particolare, il presupposto soggettivo di applicazione della sanzione non è
individuato nella mera soccombenza (determinandosi, altrimenti, una violazione
dell’art. 24 Cost.) bensì nella violazione del dovere di lealtà e probità imposto alle
parti ed ai difensori dall’art. 88 c.p.c.98, di talché l’istituto disciplinato dal terzo co.
dell’art. 96 c.p.c. persegue, secondo il Tribunale di Terni, le medesime finalità del
novellato art. 91, primo co., c.p.c. e dell’art. 13 d.lgs. n. 28/2010 laddove tali
norme pongono le spese a carico della parte, pur vincitrice, che abbia
ingiustificatamente rifiutato una proposta conciliativa ed in tale direzione bilancia
gli artt. 24 Cost. (sul diritto di ciascuno ad agire e difendersi in giudizio) e l’art.
111 Cost. (che ha introdotto il principio della ragionevole durata del processo tra i
canoni del giusto processo).
Circa la determinazione del quantum della sanzione irrogabile, il Tribunale di
Terni evidenzia che la relativa liquidazione, di natura equitativa, deve essere
effettuata utilizzando quali parametri il valore della causa, il tipo di condotta
processuale del soccombente, la consistenza economica dei contendenti, anche
avendo riguardo, peraltro, anche agli effetti riflessi del giudizio sui costi sociali
(ovvero, nel caso concreto esaminato, sul costo del credito, essendo stata
incautamente citata in giudizio una Banca).
98
In senso analogo v. Trib. Catanzaro, sez. II, 18 febbraio 2011, in dejure.giuffre.it, la quale ha
affermato che la condotta di una parte contraria al principio di lealtà processuale (nella specie: ha
taciuto, nel ricorso introduttivo, di un accordo intercorso tra le parti in ordine all’esecuzione di
opere poi contestate, accordo poi ammesso in sede di interrogatorio libero così dando luogo ad una
falsa rappresentazione della realtà e rifiutato una proposta conciliativa ampiamente vantaggiosa)
pur non rientrante nell’elemento psicologico del dolo e della colpa grave, è comunque
rimproverabile alla luce del principio di lealtà processuale e perciò consente al giudice, anche in
difetto di richiesta di parte, di condannare al pagamento di una somma ex art. 96, terzo comma,
c.p.c.
33
Pertanto, la pronuncia ora esaminata sembra, opportunamente, non svincolare
l’istituto di nuovo conio dal tradizionale illecito civile ed in tale direzione si
sforza sia di definire l’elemento soggettivo della condotta processuale del
soccombente sia di individuare la tipologia di danno-conseguenza comunque da
accertare in capo alla parte vincitrice in favore della quale è disposta la condanna.
Sotto il primo profilo, è significativo il collegamento operato dalla decisione alla
violazione dei doveri di lealtà e probità delle parti e difensori richiesti dall’art. 88
c.p.c. poiché esso consente di coordinare il nuovo istituto all’esigenza di evitare
che venga posta a carico del difensore anche l’utilizzazione degli strumenti
processuali in una prospettiva che, pur astrattamente svantaggiosa per l’interesse
pubblico, tutela invece la posizione della parte, il cui solo interesse, con i limiti
richiesti dall’art. 88 c.p.c., il difensore è chiamato a tutelare (anche, ad es.,
sostenendo argomentazioni giuridiche originali, sfruttando l’errore dell’avversario,
tacendo circostanze che sarebbero sfavorevoli alla parte ai fini della decisione
etc.).
Rispetto alla necessaria esistenza di un danno-conseguenza, il Tribunale di Terni
armonizza invece la mancata richiesta della dimostrazione dello stesso da parte
dell’art. 96, comma terzo, c.p.c. con la riconducibilità della norma alla categoria
tradizionale dell’illecito civile, richiamando la distinzione propria dei sistemi di
common law tra general damages, ovvero danni non patrimoniali che salvo prova
contraria sono normalmente riconducibili ad un illecito e special damages,
annoverando in particolare tra i primi quelli subiti da colui il quale sia stato
coinvolto illecitamente in un giudizio in violazione della fairness del processo99.
Interpretazione prudente, in ordine alla ricostruzione dei presupposti dell’istituto
disciplinato dall’odierno terzo co. dell’art. 96 c.p.c., è anche quella fornita da
99
Sul punto v. le considerazioni di PORRECA, La riforma dell’art. 96 c.p.c. e la disciplina delle
spese processuali nella legge n. 69 del 2009, cit., 1836 ss.
34
un’ordinanza possessoria del Tribunale di Oristano 100 . In particolare, proposto
ricorso per la reintegra nel possesso ai sensi degli artt. 703 c.p.c. e 1168 c.c. ed
emerso a fronte della documentazione depositata dal resistente e dalle
dichiarazioni rese dal medesimo ricorrente nel corso dell’istruttoria sommaria del
procedimento che, in realtà, pur articolato il ricorso in termini possessori tra le
parti era già esistente da molti anni un rapporto di affitto del fondo rustico
“rivendicato” dal ricorrente con il ricorso possessorio e che, peraltro, nel corso
degli anni vi era stata un’interversione della detenzione dell’affittuario resistente
in possesso, il Giudice adito non si è limitato a rigettare l’interdetto possessorio
con condanna alle spese del ricorrente, provvedendo d’ufficio anche a comminare
allo stesso una sanzione ai sensi del nuovo art. 96, terzo co., c.p.c.
In particolare, il Tribunale di Oristano ha ritenuto caratterizzata sul piano
soggettivo da autentica mala fede la condotta processuale del ricorrente che, pur
essendosi riconosciuto stragiudizialmente locatore di un fondo rustico aveva agito
poi in giudizio negando l’esistenza di tale rapporto ed allegando un proprio
possesso del fondo evidentemente smentito dalle risultanze istruttorie e ritiene per
l’effetto applicabile l’art. 96, terzo co., c.p.c., definito quale rimedio al pregiudizio
non patrimoniale sofferto dalla parte vittoriosa, conseguente all’indebito
coinvolgimento in un processo evitabile con l’ordinaria diligenza e prudenza.
Significativo è, inoltre, il più generale rilievo effettuato sulla funzione dell’istituto
che è ascritta (alla stregua di quanto ritenuto da altra parte della giurisprudenza,
ad una sanzione di rilevanza pubblicistica comminata a prescindere dall’esistenza
di un danno subito dalla parte vittoriosa) a quella di riparazione del danno che può
ritenersi dimostrato in via presuntiva, poiché derivante secondo l’id quod
plerumque accidit, di regola alla celebrazione di un processo irragionevole per la
100
Cfr. Trib. Oristano, ord. 14 dicembre 2010, in dejure.giuffre.it.
35
parte vittoriosa la quale sia stata costretta a reagire all’iniziativa del tutto
ingiustificata dell’avversario. In tal guisa, si evidenzia che la tutela comminata
d’ufficio dal Giudice a tutela di un diritto di natura privata si giustifica per la
coesistenza dell’interesse pubblico alla ragionevole durata del processo ed al
contenimento dei costi collettivi. Il Tribunale di Oristano sembra accedere alla
tesi più prudente in ordine alla valenza dell’istituto di nuovo conio, disciplinato
dall’art. 96, comma terzo, c.p.c. nel senso, quanto all’elemento soggettivo, di
ritenere necessaria una condotta processuale in capo al soccombente caratterizzata
dalla mala fede e, sotto il profilo oggettivo, per la ritenuta necessità di un danno
causalmente correlato all’incauta azione giudiziaria, danno che può peraltro
considerarsi provato in via presuntiva per l’impegno ed il tempo profuso per
apprestare la propria difesa in giudizio e per lo stress di norma correlato alla
pendenza di un giudizio101.
In tale direzione, quindi, se si accede all’impostazione patrocinata dal Tribunale di
Oristano il nuovo art. 96, terzo co., c.p.c. si sarebbe limitato a “codificare”
l’orientamento, già invalso in quella parte della giurisprudenza di merito, che
riteneva di poter ritenere provato il danno da lite temeraria ai sensi del primo co.
dello stesso art. 96 c.p.c. utilizzando i medesimi criteri presuntivi (quanto alla
dimostrazione dell’esistenza del danno stesso) noti alla giurisprudenza interna per
il riconoscimento dell’indennizzo per l’irragionevole durata di un processo ai
sensi della legge n. 89/2001, c.d. Pinto, ed ancorando la medesima liquidazione ai
criteri di stima del medesimo danno da violazione del diritto alla ragionevole
durata del processo, criteri forniti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e tali
da poter riconoscere una somma di circa Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo.
101
Secondo la tesi autorevolmente affermata in dottrina da SCARSELLI, Le novità in tema di
spese, cit., 264.
36
Alla più “rivoluzionaria” ricostruzione dell’istituto disciplinato dall’art. 96, terzo
co., c.p.c. in termini estranei ai canoni dell’illecito civile per ricondurlo a quello
dei c.d. puntive damages102 accede, invece, in primo luogo, una pronuncia,
interessante anche sotto altri aspetti, del Tribunale di Piacenza103.
Nella fattispecie concreta l’art. 96, comma terzo, c.p.c. è stato applicato nei
confronti di una società di telefonia convenuta in un procedimento sommario
incardinato ex art. 702-bis c.p.c. che aveva illegittimamente sospeso e quindi
disattivato definitivamente il servizio fornito alla ricorrente nonostante lo storno
delle fatture non pagate già ordinato da una delibera dell’Autorità Garante per le
Comunicazioni.
Il Tribunale di Piacenza evidenzia, in premessa, che l’applicazione d’ufficio
dell’art. 96, comma terzo, c.p.c. non determina una violazione dell’art. 101 c.p.c.
(nel senso che, quindi, non vi è, in omaggio a tale previsione normativa, il dovere
del Giudice di segnalare la questione e sottoporla al previo contraddittorio tra le
parti), poiché si tratta di un posterius rispetto alla decisione già
assunta.
Quanto alla natura dell’istituto di nuovo conio, il Tribunale di Piacenza aderisce,
come accennato, alla tesi secondo la quale si tratta di danno punitivo poiché la
relativa liquidazione viene effettuata in favore della parte a prescindere dalla
102
In omaggio alla tesi affermata da Trib. Varese, sez. I, 30 settembre 2009 n. 1094, in Giur.
Merito, 2010, I, 431, con nota di GIORDANO, Brevi note sulla nuova responsabilità processuale
c.d. aggravata, secondo cui mediante l'art. 96, comma terzo, c.p.c. introdotto dalla l. 18 giugno
2009, n. 69, trova ingresso nell'ordinamento una fattispecie a carattere sanzionatorio che prende le
distanze dalla struttura tipica dell'illecito civile per confluire nelle c.d. condanne punitive.
L’impostazione in questione è stata più di recente ribadita dal medesimo Tribunale sottolineando
che la stessa trova fondamento, da un lato, nella circostanza che l’abuso del processo causa un
danno indiretto all’erario per l’allungamento in generale della durata dei processi con conseguente
obbligo di indennizzo dello Stato ex lege n. 89/2001 e, da un altro, nel danno diretto arrecato alle
parti in causa per il ritardo nell’accertamento dei fatti controversi (cfr. Trib. Varese, sez. I, 22
gennaio 2011 n. 98, in Il civilista, 2011, n. 3, 18, con nota di SANTI DI PAOLA).
103
Trib. Piacenza 22 novembre 2010, in Guida al dir., 2011, n. 3, 46, con nota di BUFFONE.
37
prova e dalla stessa esistenza di un danno, in correlazione all’interesse pubblico
ad evitare un abuso del processo.
Circa l’elemento soggettivo, invece, la medesima decisione accede alla
ricostruzione più garantista secondo la quale la condotta abusiva deve integrare
una vera e propria lite temeraria ai sensi del primo co. dell’art. 96 c.p.c., ossia
essere caratterizzata da dolo o colpa grave (entrambe sussistenti, in concreto, nella
condotta della società di telefonia convenuta per, quanto alla colpa grave, avere
resistito in giudizio contestando il mancato pagamento di fatture già stornate
dall’Autorità Garante e, quanto al dolo, per avere reso impossibile di fatto
l’accoglimento del richiesto ordine di riattivazione del servizio, provvedendo in
corso di causa alla definitiva disattivazione dello stesso, cancellando la scheda
cliente). L’incipit “in ogni caso” posto all’inizio del terzo co. dell’art. 96 c.p.c.
viene infatti interpretato nel senso che è consentita l’applicazione d’ufficio della
sanzione e non è necessaria l’esistenza o la prova di un danno.
Ritiene applicabile invece il potere giudiziale di comminare la pena prevista dal
terzo co. dell’art. 96 c.p.c. al fine di sanzionare l’utilizzazione abusiva di rimedi
processuali con finalità meramente strumentali un’ordinanza del Tribunale di
Verona 104 . In particolare, nella fattispecie concreta era stato proposto ricorso
d’urgenza per ottenere la sospensione dell’efficacia di un decreto in camera di
consiglio mediante il quale lo stesso Tribunale di Verona aveva nominato un
liquidatore giudiziale di una società semplice.
Il Giudice adito ha ritenuto che, pertanto, la parte ricorrente, non più in termini
per proporre il pur previsto reclamo avverso tale decreto, avesse utilizzato
strumentalmente il ricorso d’urgenza al fine di ottenere mediante l’accoglimento
104
Cfr. Trib. Verona, ord. 5 luglio 2010, in dejure.giuffre.it.
38
dello stesso i medesimi effetti pratici che sarebbero derivati dall’accoglimento del
reclamo.
Nella delineata prospettiva, il Tribunale di Verona ha quindi qualificato quale
azione azzardata ed in mala fede (pertanto riconducibile sotto il profilo
dell’elemento soggettivo anche alla tradizionale lite temeraria di cui al primo co.
dell’art. 96 c.p.c.) quella dei ricorrenti e proceduto alla liquidazione d’ufficio della
somma determinata, in conformità ai criteri generali opportunamente previsti
(stante l’estrema latitudine del potere discrezionale attribuito al Giudice dalla
norma) dall’Osservatorio dello stesso Tribunale, nel doppio delle spese di lite
detratti gli accessori.
La sanzione prevista dall’art. 96, terzo co., c.p.c. viene comminata105 nell’ambito
di una procedura d’urgenza proposta ex art. 700 c.p.c. da una coppia di coniugi
portatori di una grave patologia trasmissibile geneticamente che si erano rivolti ad
un Centro di fecondazione assistita per intraprendere una gravidanza, Centro che
aveva ritenuto di non poter procedere, per il vigente assento normativo (cfr. legge
n. 40 del 2004) alla c.d. diagnosi preimpianto degli embrioni da prodursi poiché il
Giudice adito, ritenuta la sussistenza del fumus boni juris del ricorso, anche in
considerazione dell’interpretazione resa sulle questioni di merito dalla Corte
Costituzionale, ha poi condannato il Centro di fecondazione formalmente
soccombente al pagamento della somma equitativamente determinata ex art. 96,
terzo co., c.p.c. essendo emerso nel corso del procedimento, anche dalle difese
delle parti, che in realtà le stesse non avevano adito il Giudice per risolvere una
controversia bensì avevano utilizzato il ricorso d’urgenza quale espediente tecnico
per realizzare un fine comune ad entrambe, in tal guisa dando luogo ad un
processo simulato. Orbene, l’applicazione del nuovo art. 96, terzo co., c.p.c. nelle
105
Il riferimento è a Trib. Salerno, ord. 9 gennaio 2010 n. 191, in Foro it., 2010, I, 1018.
39
fattispecie nelle quali il processo non è luogo nel quale effettivamente le parti
fanno fisiologicamente valere le proprie contrapposte posizioni in relazione ai
diritti soggettivi di ciascuna bensì viene utilizzato quale strumento per addivenire
ad un risultato altrimenti non consentito, almeno secondo quanto ritenuto dai
contendenti formali, dall’ordinamento giuridico, appare di grande interesse pratico
onde fronteggiare nella prassi le numerose ipotesi (al di là di quella peculiare, con
risvolti su diritti assoluti di rilevanza fondamentale, decisa dal Tribunale di
Salerno) di processo simulato, ad es. in materia di azioni ex art. 2932 c.c. ovvero
di azione per l’accertamento dell’intervenuta usucapione. Profilo problematico
dell’applicazione della sanzione prevista dal terzo co. dell’art. 96 c.p.c. in tali
ipotesi è, tuttavia, quello dell’attribuzione in favore della parte formalmente
vincitrice e non in contrasto invero con la parte soccombente destinataria della
condanna al pagamento, della somma equitativamente determinata, essendo qui la
sanzione chiaramente disposta a tutela esclusiva dell’interesse pubblico alla
garanzia in giudizio dei soli diritti controversi delle parti, ossia ad un’utilizzazione
finale e non strumentale del processo.
Rosaria Giordano
Giudice del Tribunale di Latina
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Spese nel processo civile