Correggere le cattive abitudini alimentari. L’obesità si combatte da piccoli.
Fabbisogno proteico del bambino
[ c o rri s p o n d e n z a ]
| gennaio-giugno 2013 42
AreaPediatrica | Vol. 14 | n. 1-2
Ettore Cardi
Pediatra
mail: [email protected]
R
itorno sulla definizione dell’apporto proteico
nella dieta del bambino e
alla profilassi dell’obesità infantile. A
partire dal Congresso Nazionale della SIP del 2011 e negli Stati Generali
della Pediatria del 2012 fu sottolineato il messaggio che bisogna correggere le cattive abitudini alimentari,
a cominciare dall’allattamento e dal
divezzamento e comunque nei primi
due anni di vita. Per limitare l’apporto proteico in questa fascia di età, in
particolare, si dovrebbero somministrare 20 g di carne o formaggio e
non più di 30 g di prosciutto, oltre
a evitare il formaggio grattugiato
aggiunto nelle pappe fino a 1 anno.
L’indicazione di non superare i 20 g
di carne o formaggio e i 30 g di prosciutto potrebbe lasciare il pediatra
dubbioso su cosa fare. Non è troppo
poco? Si può superare questo limite
e in quali situazioni? (a parte il fatto che il prosciutto magro, se crudo,
contiene più proteine della carne fresca e invece ne viene consentita una
maggiore quantità).
In alcuni studi si segnala un numero minore di obesi nei bambini
che erano stati alimentati con formule a minore contenuto proteico (1,2 g/100 ml) rispetto a quelli
alimentati con formule a maggiore
contenuto proteico (1,9 g/100 ml).
D’altra parte una riduzione delle
proteine nella dieta era stata già
raccomandata per altri motivi, sia
nei primi due anni di vita che per
le altre età dell’infanzia, dalle RDA
(Recommended Dietary Allowances), oggi inserite nelle DRI (Dietary Reference Intakes), del Food and
Nutrition Board, National Academies of Science (USA). Si pensi che
nel 1974 e ancora nel 1980 le RDA
prevedevano 2,2-2,0-1,8 g/kg/die di
proteine rispettivamente a 0-6, 6-12,
12-36 mesi, che sono state ridotte
nell’edizione 1989 a 2,2-1,6-1,2 g/
kg/die, fino a un’ulteriore riduzione nelle ultime DRI, che sono del
2002/2005, dove sono state abbassate a 1,5-1,2-1,1 g/kg/die. Per le altre
età ora si consigliano 1,1-0,95-0,85
g/kg/die, rispettivamente a 3-8, 8-13,
13-18 anni di vita, con una riduzione
rispetto alle RDA del 1974, che è di
circa il 40 fino a sei anni, dal 20 fino
al 5% tra 6 e 18 anni di vita. Il motivo
di tali riduzioni è dovuto al diverso
risultato nel tempo dei calcoli che
sono stati eseguiti per determinare
il fabbisogno proteico. Essi si basano
sulla quantità e composizione del
latte umano assunto (per i primi sei
mesi di vita), sul bilancio azotato e
sulla quantità di proteine necessarie
per la crescita (nelle età successive).
P
er tenere sotto controllo
il contenuto delle proteine nella
dieta, si dovrebbe distinguere, a mio
avviso, il caso dei bambini a dieta
esclusivamente lattea da quello dei
bambini durante e dopo il divezzamento.
Nel primo caso ci si dovrebbe
esprimere in quantità di proteine
considerata appropriata /100 ml di
latte formulato. Così si esprime la
Comunità Europea, che indica per
il latte formulato un limite minimo
di 1,2 e massimo di 1,9/100 ml. Così
ci si esprime anche negli Stati Uniti, dove il limite minimo era di 1,2 e
quello massimo di 3/100 ml nel 1982,
ridotto rispettivamente a 1,1-2,3 nel
1998 e da allora non più modificato,
almeno fino qualche anno fa (Ped.
Nutr. Handbook, American Academy of Pediatrics, 2004).
Corrispondenza Fabbisogno proteico del bambino
M
i si permetta ora un accenno alle diete a base di carne, come quella modulare formulata
inizialmente solo in forma liquida,
da usare come un latte, proposta da
Rezza e Cardi per alcune condizioni
patologiche negli anni ’70 e da me
stesso presentata al 40° Congresso
Nazionale della SIP di Palermo nel
1979. Fu allora proposto di somministrare 10 g di carne di agnello pari
a circa 2 g di proteine/100 ml, che
diventano 2,5 considerando anche le
proteine della crema di riso contenuta nella dieta originaria. Non siamo
lontani dal limite massimo di 1,9 g
di proteine/100 ml, accettato ancora
oggi dalla Comunità Europea. Alla
luce di quanto detto sopra, penso sia
opportuno ridurre anche in questo
caso la quantità di proteine, riducendo il contenuto di carne a 5 g di carne
fresca/100 ml invece dei 10 g suggeriti allora. Si avrà così un alimento a
moderato contenuto proteico, contenente circa 1,5 g di proteine/100
ml (1 g proveniente dalla carne, 0,5
g provenienti dal riso). Si è tenuto
conto anche del valore biologico delle proteine della carne e del riso, che è
inferiore di circa il 15% a quello delle
proteine del latte e della digeribilità
delle stesse, che potrebbe forse essere
leggermente inferiore. Va qui ricordato che la quantità di carne ridotta
come sopra indicato a 5 g dovrà essere aumentata del 40%, qualora si
utilizzasse come fonte di carboidrati
un alimento povero di proteine come
la tapioca o la patata. Nel passato la
diete a base di carne erano molto ricche di proteine: per esempio Harries
e Francis (Acta Paediatr Scand 1968;
57:505) somministravano nel lattante
fino a 4,3-6,4 g/kg/die di proteine,
provenienti da carne omogeneizzata
di bue oppure di pollo o coniglio. Ancora nel 1987 il trattato di pediatria
del Nelson riportava come presente
sul mercato americano una dieta a
base di cuore omogeneizzato di bue
di un noto produttore, contenente 2,8
g di proteine/100 ml, che corrispondono a circa 4,2 g di proteine/kg/die.
A
proposito di reminiscenze
storiche, desidero ricordare
che dopo la seconda guerra mondiale, fino agli anni ’60 e anche oltre,
è stato compiuto nel nostro e in altri paesi un involontario, gigantesco
esperimento nutrizionale. In questo
periodo milioni di lattanti sono stati
alimentati con latti ad elevato contenuto proteico: latte vaccino fresco
diluito e addizionato di carboidrati
oppure latte vaccino in polvere intero,
mezza crema o scremato, diluito al
12-15%. Con il latte vaccino fresco,
quando diluito nella maggior parte
dei casi a due terzi, si somministravano circa 3,3 g di proteine/kg/die,
mentre con il latte vaccino in polvere
nelle sue tre versioni se ne somministravano ancora di più (4-4,5 proteine/kg/die). Peccato che non siano
stati compiuti studi, per quanto a mia
conoscenza, sugli effetti a distanza a
varie età di un tale carico proteico,
realizzato soprattutto con il latte vaccino in polvere. Il non voluto esperimento nutrizionale è finito durante e
dopo gli anni ’60, quando sono stati
introdotti i latti in polvere adattati o
maternizzati, come si diceva allora, a
contenuto proteico quasi dimezzato
rispetto al vecchio latte vaccino in
polvere, che hanno sostituito gradualmente sia il latte vaccino fresco
diluito che quello in polvere.
Un’ultima nota sulla terminologia. Quando si parla di evitare il latte
vaccino almeno fino a 12 mesi forse
sarebbe opportuno specificare: latte
vaccino fresco. Parlare di latte vaccino senza l’aggettivo “fresco” potrebbe
indurre qualcuno nell’errore di considerare vietati anche la quasi totalità
dei latti formulati oggi usati per il
bambino sano, in quanto derivati dal
latte vaccino. Essi sono chiamati infatti “cow milk-based formulas” nella
letteratura americana
.
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Nel caso invece di bambini durante e dopo il divezzamento, dove
sono in gioco numerosi alimenti, si
potrebbe suggerire di definire prima il fabbisogno proteico pro die in
base all’età e al peso, utilizzando per
esempio le più recenti DRI riportate
sopra. Si tenga conto anche di dare
almeno il 50% delle proteine come
proteine animali. Successivamente si
fa un semplice calcolo delle proteine
contenute nella dieta per verificarne
l’adeguatezza, tenendo conto che, in
grammi di proteine %, il latte vaccino
fresco ne contiene 3,3, il parmigiano
33, la carne 20, il prosciutto cotto 22,
quello crudo 26, il pesce 15-20, l’uovo intero 12, la farina di frumento 11,
quella di riso 7, la patata 2, la tapioca
1 (Tabelle di composizione degli alimenti, Istituto Nazionale della Nutrizione, Roma, 1997).
Dopo la seconda guerra
mondiale, fino agli anni ’60
e anche oltre, è stato
compiuto nel nostro
e in altri paesi un
involontario, gigantesco
esperimento nutrizionale.
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