La Venere Medici, I sec. A. C., Firenze, Galleria degli Uffizi
S. Botticelli, La nascita di Venere, 1480 ca., Firenze, GdU
1
Poliziano, Stanze per la giostra, I 99-101
Nel tempestoso Egeo in grembo a Teti
si vede il frusto genitale accolto,
sotto diverso volger di pianeti
errar per l'onde in bianca schiuma
avolto;
e drento nata in atti vaghi e lieti
una donzella non con uman volto,
da’ zefiri lascivi spinta a proda,
gir sovra un nicchio, e par che 'l cel ne
goda.
Vera la schiuma e vero il mar diresti,
e vero il nicchio e ver soffiar di venti;
la dea negli occhi folgorar vedresti,
e 'l cel riderli a torno e gli elementi;
l'Ore premer l'arena in bianche vesti,
l'aura incresparle e crin’ distesi e lenti;
non una, non diversa esser lor faccia,
come par ch'a sorelle ben confaccia.
Giurar potresti che dell'onde uscissi
la dea premendo colla destra il crino,
coll'altra il dolce pome ricoprissi;
e, stampata dal piè sacro e divino,
d'erbe e di fior’ l'arena si vestissi;
poi, con sembiante lieto e peregrino,
dalle tre ninfe in grembo fussi accolta,
e di stellato vestimento involta.
2
Inni omerici, II, Ad Afrodite, vv. 1-13
La dea augusta dalla corona d’oro io canterò, la bella Afrodite
che ha in suo dominio le mura di tutta Cipro
circondata dal mare, dove la forza di Zefiro che umido soffia
la portò sull’onda del mare risonante
tra la soffice spuma: e le Ore dall’aureo diadema
l’accolsero lietamente; la vestirono con vesti divine,
sul capo immortale posero una ben lavorata corona,
bella, d’oro, ed ai lobi traforati
fiori di oricalco e di oro prezioso;
intorno al delicato collo e al petto fulgente
l’adornarono coi monili d’oro di cui anch’esse,
le Ore dall’aureo diadema, si adornano quando vanno
all’amabile danza degli dèi, e alla dimora del padre.
3
S. Botticelli, La primavera, 1480 ca.,
Firenze, Galleria degli Uffizi
4
Adolph Bayersdorfer: «Allegoria della Primavera. Al centro sta
Venere; sopra la sua testa, in aria, sta Amore [bendato] che lancia
frecce infuocate verso sinistra in direzione delle ninfe danzanti
accanto alle quali è raffigurato Mercurio che, con il caduceo,
disperde le nebbie tra le cime degli alberi. Nella parte destra
Flora procede spargendo rose sui prati. A contatto con Zefiro
[vento primaverile], all’errante ninfa terrena [Clori] sbocciano
fiori dalle labbra. Dipinta per la Villa di Cosimo a Careggi».
5
Poliziano, Stanze, I 43-45
Candida è ella, e candida la vesta,
ma pur di rose e fior dipinta e d'erba;
lo inanellato crin dall'aurea testa
scende in la fronte umilmente superba.
Rideli a torno tutta la foresta,
e quanto può suo cure disacerba;
nell'atto regalmente è mansueta,
e pur col ciglio le tempeste acqueta.
Folgoron gli occhi d'un dolce sereno,
ove sue face tien Cupido ascose;
l'aier d'intorno si fa tutto ameno
ovunque gira le luce amorose.
Di celeste letizia il volto ha pieno,
dolce dipinto di ligustri e rose;
ogni aura tace al suo parlar divino,
e canta ogni augelletto in suo latino.
Sembra Talia, se in man prende la cetra,
sembra Minerva se in man prende l'asta;
se l'arco ha in mano, al fianco la faretra,
giurar potrai che sia Diana casta.
Ira dal volto suo trista s'arretra,
e poco, avanti a lei, Superbia basta;
ogni dolce virtù l'è in compagnia,
Biltà la mostra a dito e Leggiadria.
6
Poliziano, Stanze, I 46-47
Con lei sen va Onestate umile e piana
che d'ogni chiuso cor volge la chiave;
con lei va Gentilezza in vista umana,
e da lei impara il dolce andar soave.
Non può mirarli il viso alma villana,
se pria di suo fallir doglia non have;
tanti cori Amor piglia fere o ancide,
quanto ella o dolce parla o dolce ride.
Ell'era, assisa sovra la verdura,
allegra, e ghirlandetta avea contesta,
di quanti fior creassi mai natura,
de' quai tutta dipinta era sua vesta.
E come prima al gioven puose cura,
alquanto paurosa alzò la testa;
poi colla bianca man ripreso il lembo,
levossi in piè con di fior pieno un
grembo.
7
Fra Bartolomeo,
Ritratto di
Savonarola, Firenze,
Museo di San Marco
Botticelli,
Madonna con il
Bambino e San
Giovannino, Firenze,
Palazzo Pitti
10
P. Bembo, Prose della volgar lingua, 1525
Tre conseguenze
(1) fine immediata della polivalenza delle lingue,
caratteristica della cultura italiana nel periodo delle
origini;
(2) alto tasso di cura stilistica e retorica;
(3) radicale esautorazione degli elementi psicologici
e drammatici.
11
B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, Dedica, §3
Altri dicono che, essendo tanto difficile e quasi impossibile trovar un
omo così perfetto come io voglio che sia il cortegiano, è stato
superfluo il scriverlo perché vana cosa è insegnare quello che
imparare non si po. A questi rispondo che mi contentarò aver errato
con Platone, Senofonte e Marco Tullio, lassando il disputare del
mondo intelligibile e delle idee; tra le quali, sì come, secondo quella
opinione, è la idea della perfetta republica e del perfetto re e del
perfetto oratore, così è ancora quella del perfetto cortegiano; alla
imagine della quale s'io non ho potuto approssimarmi col stile, tanto
minor fatica averanno i cortegiani d'approssimarsi con l'opere al
termine e mèta, ch'io col scrivere ho loro proposto; e se con tutto
questo non potran conseguir quella perfezion, qual che ella si sia,
ch'io mi son sforzato d'esprimere, colui che più se le avvicinarà sarà
il più perfetto, come di molti arcieri che tirano ad un bersaglio,
quando niuno è che dia nella brocca, quello che più se le accosta
senza dubbio è miglior degli altri.
12
B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, Dedica, §3
La diffesa adunque di queste accusazioni e, forse, di
molt'altre rimetto io per ora al parere della commune
opinione; perché il più delle volte la moltitudine, ancor che
perfettamente non conosca, sente però per istinto di natura
un certo odore del bene e del male e, senza saperne rendere
altra ragione, l'uno gusta ed ama e l'altro rifiuta ed odia.
Perciò, se universalmente il libro piacerà, terrollo per bono e
pensarò che debba vivere; se ancor non piacerà, terrollo per
malo e tosto crederò che se n'abbia da perdere la memoria.
E se pur i mei accusatori di questo commun giudicio non
restano satisfatti, contentinsi almeno di quello del tempo; il
quale d'ogni cosa al fin scuopre gli occulti difetti e, per esser
padre della verità e giudice senza passione, suol dare sempre
della vita o morte delle scritture giusta sentenzia.
13
N. Machiavelli, Il principe, cap. 15
Resta ora a vedere quali debbino essere e' modi e governi di uno
principe o co' sudditi o con li amici. E perché io so che molti di
questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancora io, non essere
tenuto prosuntuoso, partendomi massime, nel disputare questa
materia, da li ordini delli altri. Ma sendo l'intenzione mia stata
scrivere cosa che sia utile a chi la intende, mi è parso più conveniente
andare dreto alla verità effettuale della cosa che alla immaginazione
di essa. E molti si sono immaginati republiche e principati che non si
sono mai visti né conosciuti in vero essere. Perché gli è tanto
discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che
lascia quello che si fa, per quello che si doverrebbe fare, impara più
presto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia
fare in tutte le parte professione di buono, conviene che ruini in fra
tanti che non sono buoni. Onde è necessario, volendosi uno principe
mantenere, imparare a potere essere non buono e usarlo e non usarlo
secondo la necessità.
14
N. Machiavelli, Il principe, cap. 18
Quanto sia laudabile in uno principe il mantenere la fede e vivere con
integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende; nondimanco si vede per
esperienza ne' nostri tempi quelli principi avere fatto gran cose, che della
fede hanno tenuto poco conto e che hanno saputo con l'astuzia aggirare e'
cervelli delli uomini: e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in
su la realtà. […]
Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e' mezzi
sempre fieno iudicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati; perché el
vulgo ne va preso con quello che pare e con lo evento della cosa: e nel
mondo non è se non vulgo, e' pochi non ci hanno luogo quando gli assai
hanno dove appoggiarsi. Alcuno principe de' presenti tempi, il quale non
è bene nominare, non predica mai altro che pace e fede, e dell'una e
dell'altra è inimicissimo: e l'una e l'altra, quando e' l'avessi osservata, gli
arebbe più volte tolto e la riputazione e lo stato.
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Stanze per la giostra