Quaderni acp www.quaderniacp.it bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della A ssociazione www.acp.it C ulturale P ediatri ISSN 2039-1374 I bambini e il cibo La redazione di “Quaderni acp” augura ai lettori, alle loro famiglie e alle famiglie dei loro assistiti, un Felice 2015 novembre-dicembre 2014 vol 21 n°6 Poste Italiane s.p.a. - sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art 1, comma 2, DCB di Forlì - Aut Tribunale di Oristano 308/89 La Rivista è indicizzata in SciVerse Scopus Quaderni acp Website: www.quaderniacp.it November-December 2014; 21(6) A charter for the rights of the dying child: “Carta di Trieste” Marcello Orzalesi Tomorrow is arriving Paolo Siani Q uaderni bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della Associazione OSAS in paediatrics Giovanni Carlo De Vincentiis, Emanuela Sitzia, Maria Laura Panatta Tonsils and adenoids: “a cohabiting couple” Costantino Panza, Stefania Manetti, Antonella Brunelli 252 Informing parents Breastfeeding and cognitive abilities, language and motor skills at 18 months of age Red 253 Community corner A survey about the living conditions of children of 18-30 months of age and their families in Italian regions (January 2014 - December 2015) Giuseppe Cirillo 254 Research letters The same path for all the children screened? The cystic fibrosis example Sergio Conti Nibali 257 Forum Multidisciplinary Team for mother and child care: a tool for integrated health care Antonella Liverani, Teresa Ilaria Ercolanese, Enrico Valletta 260 Public health Born for Music Angelo Spataro 264 Mental health Hepatitis A in developing countries: a problem of transition Enrico Valletta, Martina Fornaro Culturale Pediatri Presidente Paolo Siani 241 Editorial 244 Formation at a distance (FAD) acp Direttore Michele Gangemi Direttore responsabile Franco Dessì Indirizzi Amministrazione Associazione Culturale Pediatri Direttore editoriale via Montiferru 6, 09070 Narbolia (OR) Tel. / Fax 078 57024 Comitato editoriale Direttore Michele Gangemi Giancarlo Biasini Antonella Brunelli Sergio Conti Nibali Luciano de Seta Stefania Manetti Costantino Panza Laura Reali Paolo Siani Maria Francesca Siracusano Maria Luisa Tortorella Enrico Valletta Federica Zanetto Casi didattici FAD - Laura Reali Collaboratori Francesco Ciotti Giuseppe Cirillo Antonio Clavenna Carlo Corchia Franco Giovanetti Italo Spada via Ederle 36, 37126 Verona e-mail: [email protected] Ufficio soci via Nulvi 27, 07100 Sassari Cell. 392 3838502, Fax 079 3027041 e-mail: [email protected] Stampa Stilgraf viale Angeloni 407, 47521 Cesena Tel. 0547 610201, fax 0547 367147 e-mail: [email protected] Internet La rivista aderisce agli obiettivi di diffusione gratuita on-line della letteratura medica ed è pubblicata per intero al sito web: www.quaderniacp.it Redazione: [email protected] Programmazione Web Gianni Piras Giovanna Benzi PUBBLICAZIONE ISCRITTA NEL REGISTRO NAZIONALE DELLA STAMPA N° 8949 Ignazio Bellomo © ASSOCIAZIONE CULTURALE PEDIATRI ACP EDIZIONI NO PROFIT Organizzazione Progetto grafico 265 A window on the world LA COPERTINA “Suspense”, Charles Burton Barber (1845-1894), olio su tela. Art Gallery, Gran Bretagna. I read because I write Giancarlo Biasini NORME REDAZIONALI PER GLI AUTORI. I testi vanno inviati alla redazione via e-mail ([email protected]) con la dichiarazione che il lavoro non è stato inviato contemporaneamente ad altra rivista. Per il testo, utilizzare carta non intestata e carattere Times New Roman corpo 12 senza corsivo; il grassetto solo per i titoli. Le pagine vanno numerate. Il titolo (italiano e inglese) deve essere coerente rispetto al contenuto del testo, informativo e sintetico. Può essere modificato dalla redazione. Vanno indicati l’Istituto/Ente di appartenenza e un indirizzo e-mail per la corrispondenza. Gli articoli vanno corredati da un riassunto in italiano e in inglese, ciascuno di non più di 1000 caratteri, spazi inclusi. La traduzione di titolo e riassunto può essere fatta, se richiesta, dalla redazione. Non devono essere indicate parole chiave. – Negli articoli di ricerca, testo e riassunto vanno strutturati in Obiettivi, Metodi, Risultati, Conclusioni. – I casi clinici per la rubrica “Il caso che insegna” vanno strutturati in: La storia, Il percorso diagnostico, La diagnosi, Il decorso, Commento, Cosa abbiamo imparato. – Tabelle e figure vanno poste in pagine separate, una per pagina. Vanno numerate, titolate e richiamate nel testo in parentesi tonde, secondo l’ordine di citazione. – Scenari secondo Sakett, casi clinici ed esperienze non devono superare i 12.000 caratteri, spazi inclusi, riassunti compresi, tabelle e figure escluse. Gli altri contributi non devono superare i 18.000 caratteri, spazi inclusi, compresi abstract e bibliografia. Casi particolari vanno discussi con la redazione. Le lettere non devono superare i 2500 caratteri, spazi inclusi; se di lunghezza superiore, possono essere ridotte dalla redazione. – Le voci bibliografiche non devono superare il numero di 12, vanno indicate nel testo fra parentesi quadre e numerate seguendo l’ordine di citazione. Negli articoli della FAD la bibliografia va elencata in ordine alfabetico, senza numerazione. Esempio 1): Corchia C, Scarpelli G. La mortalità infantile nel 1997. Quaderni acp 2000;5:10-4. Nel caso di un numero di Autori superiore a tre, dopo il terzo va inserita la dicitura et al. Per i libri vanno citati gli Autori secondo l’indicazione di cui sopra, il titolo, l’editore, l’anno di edizione. Esempio 2): Bonati M, Impicciatore P, Pandolfini C. La febbre e la tosse nel bambino. Il Pensiero Scientifico, 1998. Un singolo capitolo di un libro va citato con il nome dell’Autore del capitolo, inserito nella citazione del testo. Esempio 3): Tsitoura C. Child abuse and neglect. In: Lingstrom B, Spencer N. Social Pediatrics. Oxford University Press, 2005. Per qualsiasi ulteriore dettaglio si invita a fare riferimento a uno degli articoli già pubblicati sulla rivista. 267 A close up on progress The reform of filiation Augusta Tognoni 268 The child and the legislation An almost accidentally diagnosis Paolo Siani, Claudia Mandato, Francesco Esposito, et al. 271 Learning from a case 274 Info 276 Book 278 Forasustainableworld Pollution and children’s health: how pediatricians’ knowledge has changed and what families want to know Giacomo Toffol Psychotropic drugs in children: there is a gap between research and clinical practice Daniele Piovani, Antonio Clavenna 279 Farmacipì Rotavirus vaccination Rosario Cavallo 280 Vaccinacipì 281 Movies 282 Meeting synopsis 283 The world of postgraduate Comunication-relation skills training in paediatric residency: the experience of the Catholic University in Rome Michele Gangemi, Patrizia Papacci 285 Letters 287 Index (2014) – Gli articoli vengono sottoposti in maniera anonima alla valutazione di due o più revisori. La redazione trasmetterà agli autori il risultato della valutazione. In caso di non accettazione del parere dei revisori, gli autori possono controdedurre. È obbligatorio dichiarare l’esistenza o meno di un conflitto d’interesse. La sua eventuale esistenza non comporta necessariamente il rifiuto alla pubblicazione dell’articolo. Quaderni acp 2014; 21(6): 241-242 La Carta dei diritti del bambino morente: “Carta di Trieste” Marcello Orzalesi Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio Onlus; Comitato per la Bioetica della Società Italiana di Pediatria Su iniziativa della Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio Onlus, è stata recentemente pubblicata, sia in italiano che in inglese, e resa disponibile sul sito della Fondazione (www.maruzza.org) la “Carta dei diritti del bambino morente” (Carta di Trieste) a cura di un gruppo di esperti di varia estrazione (medici, infermieri, psicologi, filosofi, eticisti, giudici): Franca Benini, Paola Drigo, Michele Gangemi, Elvira Silvia Lefebvre D’Ovidio. Pierina Lazzarin, Momcilo Jankovic, Luca Manfredini, Luciano Orsi, Marcello Orzalesi, Valentina Sellaroli, Marco Spizzichino, Roberta Vecchi. Una prima versione del documento è stata discussa e sottoposta al vaglio di un gruppo di 38 esperti italiani riuniti in una Consensus Conference tenutasi a Roma il 15 aprile 2013, dove sono stati raccolti pareri, suggerimenti e correzioni da parte dei partecipanti. La successiva versione, tradotta in inglese, è stata revisionata da 10 reviewers internazionali, esperti in cure palliative pediatriche, le cui critiche, correzioni e suggerimenti sono stati incorporati nella versione definitiva sia italiana che inglese. La Carta analizza i bisogni del bambino morente, ne definisce i diritti e propone le modalità di risposta alle necessità fisiche, psicologiche, relazionali, etiche e spirituali sue e di coloro che gli sono a fianco. Essa sottolinea che l’avvicinarsi della morte non comporta la sospensione dei diritti della “persona”, ma, al contrario, ne aumenta il valore, date la fragilità del bambino e la complessità della situazione. Va pertanto considerata come uno strumento di riflessione e una guida di comportamento a cui attingere per ricavarne indicazioni, spunti e risposte applicabili a ogni bambino e a ogni situazione, nell’ottica di rispettare nella realtà clinica, sempre e ovunque, i diritti del bambino morente. Il documento si compone di una prima parte intitolata “Glossario”, che definisce il significato di alcuni termini utilizzati nel testo, il cui valore semantico va ricondotto alla realtà del minore e al contesto del termine della vita. In una seconda parte sono elencati i 10 diritti fondamentali dei bambini che si avvicinano alla fine della loro esistenza: a ogni diritto corrisponde una serie di doveri che costituiscono la modalità più appropriata per garantirne il pieno rispetto (box). Nella terza parte sono raccolte, per ciascun diritto e dovere, alcune note esplicative, frutto di una sintesi di norme, articoli, compendi e documenti affini, di cui si trova riferimento nella quarta parte che riporta le voci bibliografiche più importanti. Semplificando molto, le problematiche affrontate dalla Carta appartengono a tre categorie principali: quella dei diritti, quella dei doveri e quella della comunicazione. Riguardo alla prima categoria, quella dei diritti, qualcuno potrebbe chiedersi se una “Carta dei diritti del bambino morente” sia davvero necessaria o quantomeno utile. In fondo, tutti i diritti elencati nella Carta sono simili, se non identici, a quelli più volte riconosciuti per ogni soggetto in età evolutiva in svariati documenti ufficiali BOX: internazionali, a partire dalla “Convenzione sui diritti del fanciullo” dell’Assemblea delle Nazioni Unite del 1989, sottoscritti e poi incorporati nelle proprie legislazioni dai vari Stati membri, inclusa l’Italia. Si tratta quindi di Diritti Istituzionali che sono contemplati, seppure in modo più generico, anche nella Costituzione Italiana (Diritti Costituzionali). E allora perché ribadirli in un documento ad hoc? Tale necessità deriva dal fatto che nel nostro Paese, ma non solo, non tutti i Diritti Istituzionali vengono poi precisati in Leggi o in altri Documenti ufficiali ad hoc, e quindi tradotti nella pratica corrente, diventando così Diritti Esigibili, quelli che il cittadino può richiedere che vengano rispettati e soddisfatti dagli organismi competenti. Di fatto ciò accade specialmente nei riguardi delle fasce più deboli di cittadini, quelli che, per scarsa conoscenza o autonomia o per l’impossibilità materiale ad agire non possono o non riescono a ottenere ciò che spetta loro; anche perché l’e- CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO MORENTE: “CARTA DI TRIESTE” Il bambino morente ha diritto di: 01) essere considerato “persona” fino alla morte, indipendentemente dall’età, dal luogo, dalla situazione e dal contesto; 02) ricevere un’adeguata terapia del dolore e dei sintomi fisici e psichici che provocano sofferenza, attraverso un’assistenza qualificata, globale e continua; 03) essere ascoltato e informato sulla propria malattia nel rispetto delle sue richieste, dell’età e della capacità di comprensione; 04) partecipare, sulla base delle proprie capacità, valori e desideri, alle scelte che riguardano la sua vita, la sua malattia e la sua morte; 05) esprimere e veder accolte le proprie emozioni, desideri e aspettative; 06) essere rispettato nei suoi valori culturali, spirituali e religiosi e ricevere cura e assistenza spirituale secondo i propri desideri e la propria volontà; 07) avere una vita sociale e di relazione commisurata all’età, alle sue condizioni e alle sue aspettative; 08) avere accanto la famiglia e le persone care adeguatamente aiutate nella organizzazione e nella partecipazione alle cure e sostenute nell’affrontare il carico emotivo e gestionale provocato dalle condizioni del bambino; 09) essere accudito e assistito in un ambiente appropriato alla sua età, ai suoi bisogni e ai suoi desideri e che consenta la vicinanza e la partecipazione dei genitori; 10) usufruire di specifici servizi di Cure Palliative Pediatriche, che rispettino il miglior interesse del bambino e che evitino sia trattamenti futili o sproporzionati che l’abbandono terapeutico. Per corrispondenza: Marcello Orzalesi e-mail: [email protected] 241 editoriale sigibilità teorica del diritto a livello governativo spesso non si traduce in una reale e concreta esigibilità a livello individuale. In questo scenario le fragilità del bambino malato e della sua famiglia, in particolare nella fase terminale della vita, sono evidenti. Ecco quindi che un documento che individui in modo puntuale i diritti di questa fascia di cittadini particolarmente vulnerabili può costituire un punto fermo di riferimento per tutti coloro che, a vario titolo, se ne devono occupare. La seconda categoria di problemi, che discende direttamente dalla prima, è quella dei doveri, ovvero dell’obbligo e della capacità di far sì che tali diritti vengano individuati, rispettati e soddisfatti in modo adeguato. Anche su questo versante vi sono notevoli e frequenti criticità, dovute a svariati e complessi fattori che richiederebbero una analisi più approfondita, non pertinente in questa sede, ma che sono prevalentemente riconducibili a una scarsa sensibilità, a un insufficiente impegno e a una inadeguata preparazione da parte di coloro che dovrebbero farsene carico. Su questo aspetto incide notevolmente anche la scarsa applicazione della Legge 38 del 2010, che prevede il diritto di ogni cittadino di accedere alle Cure Palliative (CP) e alla Terapia del Dolore (TD) e definisce in modo puntuale, facendo riferimento anche a documenti ufficiali, precedenti e successivi alla Legge, come debba essere applicata in età pediatrica. Infine l’importanza di una buona comunicazione. Intorno al bambino incurabile, giunto alla fine del suo percorso di vita, si muove un numero notevole di persone – i genitori e tutta la famiglia, i vari professionisti della salute (medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali ecc.), altre figure di supporto (volontari, insegnanti ecc.) – che devono essere capaci di interagire sinergicamente, evitando o superando eventuali incomprensioni o conflitti, in modo convergente verso il “migliore interesse” (the best interest) del bambino. Pertanto una corretta e attenta comunicazione tra le varie componenti e tra queste e il bambino rappresenta un tramite essenziale per la compiuta realizzazione di quanto indicato nella Carta. Nella sua semplice enunciazione, il documento offre alcuni motivi di riflessione su problematiche di ordine bioetico e anche organizzativo di particolare importanza per coloro che si occupano di bambini con malattie inguaribili, in particolare quando il decesso sia vicino e inevitabile. 242 Quaderni acp 2014; 21(6) Come è noto, i tradizionali princìpi etici alla base delle decisioni cliniche sono essenzialmente quattro: non maleficenza (primum non nocere, il più antico, di ben nota origine ippocratica); beneficenza (fare il bene del paziente, simmetrico al precedente); autonomia (empowerment, consenso informato, di più recente introduzione soprattutto nella società occidentale); giustizia (sociale, legale, equità ecc.). In ogni caso la premessa fondamentale è che tali princìpi vengano utilizzati nel “migliore interesse” (the best interest) del bambino. Va inoltre ribadito che il rispetto e la concreta applicazione dei suddetti princìpi non possono prescindere da una corretta comunicazione. Si tratta apparentemente di un elenco che, tuttavia, una volta tradotto nella pratica quotidiana, può generare conflitti o “dilemmi” di una certa importanza. Mi riferisco in particolare a quelle situazioni in cui, tra due possibili alternative, si vorrebbe sceglierle entrambe, ma ciò non è possibile. I temi del conflitto e delle scelte sono centrali nella definizione di un dilemma etico soprattutto nel caso di un bambino inguaribile in procinto di morire. Per esempio, per quanto riguarda il non maleficio vs il beneficio, il dilemma principale attiene alla “astensione o interruzione” vs la “prosecuzione dei trattamenti intensivi”. Ovvero, in determinate circostanze è lecito astenersi dai trattamenti intensivi o sospenderli? Oppure è sempre necessario proseguire nelle terapie intensive e invasive fino al decesso del bambino? La discriminante tra accanimento terapeutico e desistenza terapeutica ha a che fare con la “sacralità” della vita vs la vita come “bene disponibile”. Un’altra area potenzialmente conflittuale riguarda la comunicazione, ovvero se dire, quando dire, quanto e cosa dire e come dire ai genitori e al bambino stesso, in presenza o meno dei genitori. Si tratta di scelte difficili e delicate nelle quali la qualità della comunicazione e i contenuti della informazione rivestono un’importanza fondamentale. Ovviamente le decisioni andrebbero prese insieme tra personale sanitario e genitori, coinvolgendo, quando possibile, il bambino; il che non è sempre facile da realizzare. Tutto ciò a sua volta impatta inevitabilmente sul principio di autonomia e di consenso informato e sul potere decisionale del medico vs quello dei genitori, vs quello del bambino. Chi prende le decisioni? Il medico? I genitori? Il bambino? I documenti ufficiali disponibili (Convenzione di Oviedo, Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, Codice di Deontologia medica ecc.) non ci sono di grande aiuto in questo senso in quanto, nel caso di un minore, la decisione spetta generalmente ai genitori. Vi è quindi il rischio di una eccessiva autonomia genitoriale, che a sua volta potrebbe entrare in conflitto con il “migliore interesse” (the best interest) del bambino. Come è stato affermato “i genitori possono sentirsi liberi di diventare martiri. Ma ciò non significa che, necessariamente e nelle medesime circostanze, essi siano liberi di rendere martiri i loro figli”. Infine, anche il principio di giustizia si presta a diverse interpretazioni. Quale giustizia? Legale? Sociale? Divina? Altro? I dilemmi più frequenti riguardano l’uso appropriato delle risorse e l’interesse del singolo vs quello della società, specie quando le risorse disponibili siano limitate. Ed è proprio in questo ambito che gli aspetti bioetici possono entrare in conflitto con quelli organizzativi. Infatti l’insufficiente diffusione nel nostro Paese delle Cure Palliative Pediatriche (CPP), a macchia di leopardo e con macroscopiche differenze tra Regione e Regione, genera di fatto intollerabili e inique disuguaglianze che contrastano con il principio di giustizia. Questo pur breve excursus sottolinea come la Carta possa incontrare alcune difficoltà di ordine essenzialmente bioetico nella sua applicazione pratica. Ciò non deve destare meraviglia, poiché è noto che i problemi di ordine etico, deontologico e sociale sono tanto più acuti e complessi quanto più si ha a che fare con situazioni che stanno tra la vita e la morte, o che possono provocare profonde modificazioni nella vita di un individuo e della sua famiglia, o in cui la dipendenza del paziente nei confronti del personale di assistenza è massimale, come accade appunto nel caso di un bambino incurabile in procinto di morire. È pertanto necessario che la gestione di questi bambini sia affidata a persone esperte nelle CPP, in grado di individuare e tenere sempre presente quale sia il “miglior interesse” del bambino, e adeguatamente formate, anche sotto il profilo bioetico. Ciò offre le migliori garanzie di poter prevenire, identificare, affrontare e possibilmente risolvere eventuali dilemmi o conflitti bioetici e applicare correttamente i princìpi enunciati nella Carta. u Quaderni acp 2014; 21(6): 243 Il domani che verrà Paolo Siani Presidente ACP Al termine del XVI Congresso Nazionale dell’ACP tenutosi a Cesena, dove si è parlato del domani che verrà, e stimolato dalle ottime relazioni ascoltate e dalla tavola rotonda dal titolo “Dove va la pediatria” a cui hanno partecipato il Vicepresidente della SIP e il Presidente della FIMP, che hanno espresso un parere molto positivo sul documento ACP relativo al futuro della pediatria in Italia, vorrei fare con voi soci e con i lettori di Quaderni acp una considerazione e una riflessione su dove va la pediatria, e a chi interessa oggi investire veramente sull’infanzia. Vorrei partire dalle considerazioni del Presidente della SIP Giovanni Corsello, che invita a una riflessione rigorosa sui risultati ottenuti dalla “sanità delle Regioni”, partendo dai dati che evidenziano disomogeneità a dir poco sconcertanti rispetto a questioni cruciali per la tutela della salute dei bambini. E in particolare Corsello afferma che «il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2012-2014 non è bastato a superare il disorientamento per quello che nell’introduzione veniva eufemisticamente definito “un mosaico estremamente variegato”. La “massima uniformità dell’applicazione sul territorio nazionale della diagnosi precoce neonatale”, annunciata in un comma della Legge di Stabilità per il 2014, resta a oggi poco più che un wishful thinking. Rete punti nascita, assistenza oncologica e cure palliative sono le faglie di disuguaglianze semplicemente odiose, perché si aprono là dove sono immediatamente in gioco questioni di vita e di morte». Per non parlare dei posti letto nei reparti di Terapia Intensiva Neonatale (TIN), che in molte aree del Paese sono largamente inferiori a quelli previsti dagli standard internazionali. «I bambini italiani, oggi, non sono tutti uguali di fronte all’articolo 32 della Costituzione e purtroppo la Regione nella quale sono nati e vivono “fa la differenza” dal punto di vista della qualità delle prestazioni offerte», come sottolinea il Rapporto Verifica Adempimenti LEA 2012, pubblicato il 2 luglio 2014 a cura della Direzione Generale programmazione sanitaria del Ministero della Salute. Tutte considerazioni vere e pienamente condivisibili, considerando anche, come ci ricorda Giancarlo Biasini, che la prima ipotesi del Governo Renzi era di modificare il Titolo V per fare cessare l’anomalia dei 21 sistemi sanitari uno per ogni Regione. Ora la Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato una nuova versione del Titolo V e tutte le modifiche che riguardavano gli articoli 117 e 118 della Costituzione rafforzano le competenze delle Regioni rispetto al testo governativo. In particolare le modifiche lasciano agli enti locali il potere di legiferare su “pianificazione del territorio regionale [...], programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali [...], istruzione e formazione professionale”. Quindi salvano l’obbrobrio dei 21 servizi regionali. Il ridicolo viene raggiunto con la introduzione di una clausola di salvaguardia: “il Governo può intervenire a tutela dell’interesse nazionale” che difficilmente riguarderà la sanità. Insomma rimarranno i 21 sistemi sanitari regionali. Gli esempi riportati dalla SIP si potrebbero moltiplicare. Il gruppo CRC nel 7° Rapporto sul monitoraggio della Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (www.gruppocrc.net) riporta che solo l’11,8% dei bambini sotto i 3 anni di età ha avuto accesso ai nidi comunali e l’1,6% ai servizi integrativi. Inoltre viene segnalata la mancanza di un sistema di raccolta dati inerenti all’infanzia e all’adolescenza in Italia. ACP alcuni mesi fa ha inviato un appello al premier, chiedendo di investire sull’infanzia, sui bambini che nascono oggi, nel 2014. ACP chiede al Governo, al Parlamento e a tutti i decisori politici locali e territoriali: – di promuovere senza rinvii ulteriori un piano di sostegno alle politiche per l’infanzia; – che si effettui un’analisi specifica di tutti i fondi statali e regionali destinati all’infanzia e che tali fondi siano erogati in modo equo, tenendo conto dei bisogni della popolazione infantile in tutte le Regioni italiane; – che l’Italia, come per esempio la Germania, investa sugli asili nido; – che le risorse per i servizi all’infanzia siano storicizzate ed erogate con continuità, perché una politica fatta di stanziamenti “una tantum” non favorisce la creazione di un sistema a supporto della famiglia e dei bambini. Concordiamo con la SIP che quello che occorre è in realtà un ripensamento radicale degli esiti della “regionalizzazione” del siste- ma sanitario, per fermare la tendenza alla divaricazione fra le Regioni ed evitare che il cerino di servizi inadeguati o semplicemente inesistenti resti nelle mani dei soggetti più poveri e vulnerabili. Crediamo che sia giunto il momento di uscire allo scoperto e, senza alcuna difesa di categoria, di chiedere alla politica di occuparsi dell’infanzia. La Commissione europea ha recentemente affermato, come ricorda anche Arianna Saulini (coordinatrice del network CRC, Medico e Bambino 2014;33(6):348-9), che bisogna necessariamente investire sull’infanzia se si vuole spezzare davvero il circolo vizioso dello svantaggio sociale. La recente ricostituzione dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, decisa dal ministro Poletti, è una buona notizia in tal senso. In ambito prettamente sanitario chiediamo che ci si avvii rapidamente verso un’unica figura di pediatra delle cure primarie con funzioni assistenziali e preventive rivolte al singolo e alla comunità e che gli ospedali vengano riorganizzati in base a diversi livelli di intensità di cura con l’istituzione di terapie semintensive pediatriche, ripensando a nuove funzioni per quelle Unità operative di piccole dimensioni e all’individuazione di strutture di 2°-3° livello che garantiscano la presenza delle subspecialità pediatriche. La proposta che vogliamo avanzare è quella di rompere gli indugi e chiedere tutti insieme, superando confini e ideologismi sterili, al Presidente del Consiglio di accendere i riflettori sull’infanzia. Del resto ha iniziato il suo incarico recandosi nelle scuole elementari e incontrando bambini e maestre. Ora chiediamo di incontrare tutti gli operatori che si occupano di infanzia nel solo interesse di salvaguardare la salute dei bambini. La notizia, appresa mentre scrivo queste righe, di assegnare alle neomamme dal prossimo gennaio 80 euro al mese fino al terzo anno di vita del bambino ci sembra una buona notizia, ma da sola non è sufficiente. Noi sappiamo che se si investe sull’infanzia sarà tutta la società ad avere benefici, non subito, non adesso, ma tra dieci o venti anni. Questo dovrebbe essere il salto di qualità della politica di oggi: investire sul futuro e pensare al domani che verrà. u Per corrispondenza: Paolo Siani e-mail: [email protected] 243 Quaderni acp 2014; 21(6): 244-251 OSAS in età pediatrica Giovanni Carlo De Vincentiis, Emanuela Sitzia, Maria Laura Panatta UOC di Otorinolaringoiatria, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” - IRCCS, Roma GLOSSARIO OSAS: obstructive sleep apnea syndrome OSA: obstructive sleep apnea RDI: respiratory distress index AHI: apnea hypoapnea index AI: apnea index QoL: quality of life ODI: oxygen distress index CPAP: continuous positive air pressure AT: adenotonsillectomia UARS: upper airways resistance syndrome ALTE: Apparent Life - Threatening Events ADHD: disturbo da deficit di attenzione/iperattività DRS: disturbi respiratori del sonno I disturbi respiratori nel sonno (DRS) comprendono una varietà di condizioni riassumibili in: • russamento primario: non si accompagna ad apnea, ipoventilazione e/o a frequente risveglio; • sindrome da aumento delle resistenze delle alte vie aeree (UARS): incremento negativo della pressione intratoracica durante la inspirazione e aumento delle resistenze delle alte vie respiratorie; russamento e sonno frammentato in assenza di apnee; può essere associata ai sintomi neurocomportamentali dell’OSAS; • ipoventilazione ostruttiva: ostruzione parziale delle alte vie che causa il russamento ma non determina apnee e provoca un incremento della CO2 durante la maggior parte del sonno in assenza di patologia polmonare; • OSAS: parziali ostruzioni delle vie aeree superiori con russamento e/o ostruzioni complete (apnee) che determinano ipossiemia, sonno disturbato e sintomi diurni. Epidemiologia L’OSAS rappresenta l’entità più severa nello spettro dei disturbi respiratori nel sonno: la sua prevalenza in età pediatrica oscilla tra il 2 e il 3%; maggiore è la prevalenza del russamento abituale, compresa tra l’8 e il 27%. In letteratura gran parte dei lavori è incompleta o con indici variabili, tali da rendere difficile ogni tipo di comparazione; le caratteristiche dei campioni esaminati, la metodologia utilizzata per lo studio e la scala del grado di severità dei disturbi rappresentano le principali cause di discordanza: nella maggior parte degli studi epidemiologici il numero degli episodi di apnea e ipopnea ostruttiva per ora di sonno rappresenta il criterio per stabilire il grado di severità dell’OSA, definita come: – OSA lieve: 1 episodio di apnea/ipopnea per ora di sonno – OSA media: 1-5 episodi di apnea/ipopnea per ora di sonno – OSA grave: 5 o piu episodi di apnea/ ipopnea per ora di sonno. Marcus C e coll. sottolineano che l’incidenza dell’OSA in età pediatrica è compresa tra l’1 e il 3%, interessando bambini di tutte le età, dai lattanti agli adolescenti; mentre Villa MP e coll., in relazione all’Italia, dimostrano una prevalenza in età pediatrica più bassa, in particolare del 4,9% di russatori abituali e dell’1,8% di bambini con OSAS. Clinica Sintomo principale di OSAS in età pediatrica è rappresentato dal russamento notturno abituale, che si manifesta cioè per più di tre notti alla settimana; è però riconoscibile un corredo di segni e sintomi maggiori, sia notturni che diurni, riportati in tabella 1. Segni tipici sono la respirazione orale persistente, le difficoltà all’addormentamento e l’assunzione di posizioni atipiche durante il sonno allo scopo di ridurre l’ostruzione percepita a livello delle vie aeree superiori. Durante le ore diurne i piccoli pazienti affetti da OSAS sono spesso iperattivi, irritabili; possono presentare disturbi neurocomportamentali in TABELLA 1: SEGNI E SINTOMI MAGGIORI IN PAZIENTI CON SINDROME DELLE APNEE OSTRUTTIVE DEL SONNO E FATTORI PREDISPONENTI Sintomi – Impegno respiratorio nel sonno – Episodi osservati di apnea – Enuresi – Dormire in posizione seduta o con iperestensione del capo – Cianosi – Sonnolenza diurna – Deficit di attenzione e iperattività e/o disturbi dell’apprendimento – Cefalea al risveglio Segni – Sovrappeso o sottopeso – Ipertrofia tonsillare – Facies adenoidea – Micrognatia – Retrognatia – Palato ogivale – Ritardo di crescita – Ipertensione Condizioni di rischio – Afroamericani – Rinite allergica – Asma – Prematurità – Condizioni neurologiche (paralisi cerebrale o disordini neuromuscolari) – Sindromi craniofacciali – Sindrome di Down – Disturbi rari come acondroplasia e mucopolisaccaridosi (da Marcus CL, et al., 2012) grado di influire negativamente sul rendimento scolastico e sulle capacità relazionali. In una percentuale relativamente congrua di bambini con OSAS (14,3%) sono presenti anomalie epilettiformi intercritiche (IEDs) all’elettroencefalografia (EEG); queste anomalie generalmente si registrano sulle regioni centrotemporali, suggerendo una somiglianza con le IEDs riscontrate nell’epilessia benigna. La presenza di IEDs durante il Per corrispondenza: Maria Laura Panatta e-mail: [email protected] a distanza 244 F A D formazione a distanza sonno può influenzare negativamente le capacità di apprendimento, soprattutto per quello che riguarda gli aspetti attentivi, comportamentali e le componenti della memoria verbale; per tale motivo si può ipotizzare che alcune alterazioni neurocognitive di questi bambini siano legate alla presenza di IEDs all’EEG di sonno. La patologia è associata, inoltre, a ritardo di crescita, ipertensione, disturbi cardiaci e a uno stato di infiammazione cronica sistemica, verosimilmente dipendente da uno stato di stress ossidativo secondario agli eventi notturni intermittenti di ipossia e riossigenazione. Il ritardo di crescita è molto frequente e la causa non è ancora stata del tutto dimostrata: si ipotizzano una difficoltà di alimentazione secondaria all’ipertrofia adenotonsillare, un aumento dell’attività metabolica per lo sforzo respiratorio durante il sonno, e infine un’alterazione della regolazione ormonale con riduzione della secrezione notturna dell’ormone della crescita e del fattore di crescita insulino-simile. La prevalenza di eccessiva sonnolenza diurna nella popolazione pediatrica con OSAS varia dal 13% al 20% ed è spesso condizionata dall’obesità, anche se può essere mascherata dall’agitazione diurna con iperattività e disattenzione, sintomi che mimano una sindrome da ADHD, presente in comorbidità in circa il 30% dei bambini affetti da OSAS severa. Le complicanze cardiovascolari hanno un impatto sia immediato sulla salute del bambino sia sulla prognosi a distanza: sono numerosi gli studi che hanno riportato nei bambini con OSAS un aumento della pressione arteriosa, ipertensione polmonare con cuore polmonare, ipertrofia del ventricolo sinistro con conseguente disfunzione ventricolare, aritmie, aterosclerosi, malattia coronarica precoce, in associazione a un aumento della risposta rapida all’insulina, dislipidemia, e disfunzione endoteliale, con aumento del rischio cardiovascolare. La disfunzione diastolica del ventricolo sinistro nei bambini con OSAS severo è associata ad alti livelli sierici di proteina C reattiva, che rispecchia uno stato infiammatorio sistemico. I pochi studi che hanno valutato il sistema nervoso autonomo hanno evidenziato un aumento della pressione diastolica sia in veglia che in sonno e un aumento dell’attività del sistema nervoso Quaderni acp 2014; 21(6) FIGURA 1: GRADING TONSILLARE (DA I A IV GRADO IN RELAZIONE ALLA PARCENTUALE DI OCCUPAZIONE DELL’OROFARINGE) simpatico. I test cardiovascolari diurni hanno dimostrato un’ampia variazione di pressione al passaggio dal clino all’ortostatismo e una minor variabilità cardiaca durante l’inspirazione profonda. Il meccanismo fisiopatologico comune a tutte queste alterazioni cardiovascolari è la presenza di una condizione di stress ossidativo e di aumentata produzione delle specie reattive dell’ossigeno che, direttamente e indirettamente, promuovono lo sviluppo e la progressione della disfunzione, ipertrofia e rimodellamento del ventricolo sinistro. Diagnosi L’ipertrofia adenotonsillare rappresenta, come detto, la causa che maggiormente contribuisce allo sviluppo dell’OSAS in bambini privi di comorbidità. Tuttavia non tutti i bambini che presentano ipertrofia adenotonsillare soffrono di disturbi del respiro nel sonno ed è convinzione comune che non vi sia stretta correlazione tra il grado dell’ipertrofia delle strutture linfatiche e la severità del quadro ostruttivo respiratorio, per il ruolo giocato da altri fattori (figura 1). È comprensibile quindi l’importanza che rivestono una corretta indicazione chirurgica e la conoscenza di quei fattori anatomo-funzionali in grado di predire la possibilità di una non completa risoluzione post-chirurgica dei DRS, con la necessità di ricorrere a trattamenti complementari. Nonostante ciò, non esiste ancora oggi un consenso interdisciplinare sulla ne- cessità di effettuare uno studio polisonnografico (PSG) pre-chirurgico a conferma del quadro clinico di OSAS, sebbene molti lavori abbiano dimostrato la scarsa corrispondenza tra la diagnosi clinica, la presenza e la gravità dei DRS rilevati mediante polisonnografia. Se l’American Academy of Pediatrics (AAP) raccomanda l’esecuzione di test obiettivi per definire correttamente l’indicazione chirurgica alla adenotonsillectomia, le Linee Guida elaborate dall’American Academy of Otolaryngology-Head and Neck Surgery (AAO-HNS), pur riconoscendo alla PSG il ruolo di gold-standard per la diagnosi dei DRS in età pediatrica, ritengono che l’esame stesso sia “unnecessary (or not necessary) to perform in every case and does not establish the effects of the sleep disorders on the child’s wellbeing”. Anche tra gli specialisti appartenenti all’American Society of Pediatric Otorhinolaringology (ASPO) vi sono difformità di comportamento: in uno studio che analizza il management pre e postoperatorio di bambini affetti da DRS, la maggior parte degli intervistati ha risposto di procedere all’intervento di adenotonsillectomia sulla base del quadro clinico e anamnestico, quando questo sia suggestivo di DRS, senza chiedere conferma diagnostica all’esecuzione di una PSG e anche a dispetto dei risultati della PSG stessa. Scelta che riflette anche la difficoltà di gran parte degli intervistati nell’accedere ai laboratori del sonno dedicati alla pediatria, il che motiva il 245 F A D formazione a distanza ricorso allo studio polisonnografico solo per quei bambini appartenenti a categorie a rischio: pazienti di età inferiore ai 3 anni; affetti da obesità, patologie neuro-muscolari, trisomia 21, anomalie cranio-facciali, nelle quali sia prevedibile una problematica respiratoria perioperatoria e post-chirurgica. In virtù dei tempi di attesa troppo lunghi per l’effettuazione di una polisonnografia, tempi di attesa altrettanto lunghi per un’adenotonsillectomia e necessità di consentire una priorità chirurgica ai bambini affetti da OSAS, Nixon GM e coll. hanno validato un sistema di scoring ossimetrico notturno in grado di identificare la severità del quadro di desaturazione ossiemoglobinica e di offrire un criterio di priorità chirurgica e di assistenza perioperatoria ai bambini maggiormente a rischio (figura 2). Per quanto riguarda i parametri respiratori utili alla diagnosi di OSA, l’American Academy of Sleep Medicine distingue gli eventi respiratori in apnee centrali, ostruttive, miste e ipopnee. L’apnea ostruttiva è definita come una caduta > 90% dell’ampiezza del flusso oronasale per più del 90% dell’intero evento, associata a movimenti del torace e dell’addome e della durata di almeno due atti respiratori. L’apnea centrale è definita come l’assenza di flusso con cessazione dello sforzo respiratorio della durata di almeno 20 secondi o di almeno 2 respiri, associati ad arousal, un risveglio o a una desaturazione > 3%. Le apnee miste sono definite come apnee che cominciano solitamente con un pattern centrale e terminano con un pattern ostruttivo. Un evento può infine essere definito ipopnea se si verifica una riduzione del segnale della traccia del flusso oronasale > 50% della durata di almeno 2 atti respiratori e deve essere associato ad arousal, o a risveglio e/o a desaturazioni > 3%, con movimenti di tipo paradosso a livello toraco-addominale. Si definisce indice di distress respiratorio (RDI) il numero di apnee, ipopnee ed eventi respiratori legati ad arousal, per ora di sonno. Un indice di apnea ostruttiva (AI) > 1 eventi/ora è da considerarsi patologico, mentre per RDI i valori normativi variano a seconda degli studi, ma di solito si considera patologico un valore superiore a 1,5 eventi/ora. Qualora non sia possibile effettuare una PSG, bisognerebbe prescrivere un test Quaderni acp 2014; 21(6) FIGURA 2: CLASSIFICAZIONE DEI DRS SECONDO MCGILL diagnostico alternativo come una registrazione video notturna, una pulsossimetria notturna, una registrazione polisonnografica completa diurna ridotta (NAP) o una registrazione cardiorespiratoria notturna. La pulsossimetria notturna possiede quasi tutte le caratteristiche che dovrebbero connotare un ideale test di screening per l’OSA: facilità di esecuzione, basso costo di attuazione, alto valore positivo di predittività diagnostica; già Brouillette aveva dimostrato che una registrazione pulsossimetrica notturna contenente tre o più clusters periodici di desaturazione, con valori inferiori al 90%, possiede, in bambini privi di comorbidità, un valore predittivo di OSA molto alto, pari al 97%. Manca all’esame un valore altrettanto attendibile di predittività negativa: un tracciato ossimetrico normale, in presenza di un quadro clinico suggestivo di DRS, non esclude la presenza di OSA e rende necessario il ricorso a una PSG per formulare una diagnosi definitiva. Sempre partendo dalla considerazione che la PSG, pur rappresentando il metodo di diagnosi e quantizzazione dell’OSA in età pediatrica più accurato, presenta limi- 246 F A D tazioni correlate ai costi e alle difficoltà di realizzazione routinaria, Jin Ye e coll. hanno voluto valutare l’attendibilità dei parametri di misurazione della Qualità della Vita (QoL), sempre più utilizzata come strumento per la valutazione dell’outcome clinico, correlandoli con i risultati ottenuti dalle registrazioni polisonnografiche. Questo perché, nonostante da molto tempo sia stato documentato un miglioramento della QoL dopo adenotonsillectomia, la correlazione tra il declino degli indici polisonnografici e le modificazioni nella QoL è molto meno documentata. Su questo tema le Linee Guida Nazionali (Documento sulla appropriatezza e sicurezza degli interventi di tonsillectomia e/o adenoidectomia), dalla prima edizione nel 2003 all’ultimo aggiornamento del marzo 2011, hanno modificato in modo significativo le raccomandazioni riguardanti l’indicazione chirurgica, probabilmente per la ricorrente constatazione della scarsa predittività che i sintomi riportati dai genitori possiedono nella definizione di OSAS. Nella versione più recente viene posta attenzione alla “oggettivizzazione” del formazione a distanza disturbo del respiro, pur considerando “le difficoltà di effettuazione sia tecniche sia organizzative” della PSG. Tra le raccomandazioni si legge che: – “nel sospetto di bambino con disturbi respiratori nel sonno si raccomanda di adottare un approccio diagnostico integrato, clinico e strumentale”; – “la valutazione della storia clinica deve essere effettuata […] con l’ausilio di appositi questionari”; – “la pulsossimetria notturna [...] è raccomandata come test iniziale per la diagnosi dei DRS nel bambino”… – “la PSG va effettuata solo quando i risultati della pulsossimetria non sono conclusivi in accordo con i criteri di Brouillette”. In definitiva si può affermare che l’integrazione tra dati clinici e strumentali è indispensabile per definire in modo corretto l’indicazione alla adenotonsillectomia: a tutt’oggi non esistono dati sufficienti per condividere una definizione di OSA lieve, moderata o severa in età pediatrica, né vi è accordo per definire il valore minimo di RDI che dovrebbe fungere da linea guida per porre indicazione di necessità chirurgica; un valore di AHI superiore a 5 è considerato dai più indicativo di tale necessità, ma non esiste un valore cut-off basato sulle evidenze che indichi l’effettiva necessità di una tonsillectomia e bambini con un AHI inferiore a 5 possono presentare una condizione sintomatologica severa e richiedere l’intervento. Senza considerare che l’ODI riveste un’importanza pari all’AHI nel testimoniare la severità dell’OSA: una saturazione inferiore a 85% indica una necessità chirurgica, ma anche un valore di desaturazione moderato (92%) può assumere rilievo patologico in presenza di una concomitante condizione di DRS testimoniata da un quadro clinico e anamnestico. Terapia Nel primo anno di vita le problematiche del respiro sono principalmente da attribuire a condizioni malformative, congenite o acquisite, e alla immaturità neuromuscolare che può accompagnare tali condizioni; l’OSA nell’età adolescenziale è spesso correlata all’obesità, riconoscendo le stesse caratteristiche fisiopatologiche e sintomatologiche della sin- Quaderni acp 2014; 21(6) drome dell’adulto; nell’età immediatamente pre-scolare la causa che più frequentemente sottende i disturbi del respiro nel sonno è rappresentata dall’ipertrofia adenotonsillare. Di conseguenza, le Linee Guida di ogni Società scientifica che si sia occupata del trattamento dell’OSA pediatrica indicano nell’intervento di adenotonsillectomia la “first line” della terapia chirurgica della condizione patologica. Da sempre, tuttavia, l’intervento di adenotonsillectomia in età pediatrica ha rappresentato motivo di discussioni e di controversie: al ricorso poco critico a questo intervento da parte degli specialisti ORL, soprattutto nei primi decenni del Novecento, giustificato dal timore delle conseguenze sistemiche delle flogosi streptococciche, ha fatto da contraltare una altrettanto indiscriminata opposizione da parte dei pediatri, in una lotta senza quartiere ( “under any and all circumstances”). Nel tentativo di definire criteri appropriati all’indicazione chirurgica, si può dire che ogni specialista abbia finito con il crearsi un proprio algoritmo decisionale, nel quale criteri rigidamente strutturati si “modellano” sulla base di esperienze personali spesso aneddotiche. In modo molto netto negli ultimi venti anni, in Europa come in America, si è registrata una complessiva riduzione del numero di interventi di adenotonsillectomia, pur rimanendo quest’ultima operazione la più diffusa in età pediatrica. A questa generale contrazione del numero delle adenotonsillectomie pediatriche si è aggiunta ovunque una modificazione dell’indicazione all’intervento stesso, sempre più raramente condizionata dalla frequenza delle flogosi streptococciche e sempre più indirizzata alla risoluzione delle problematiche inerenti al respiro. Questa tendenza era già stata registrata da Rosenfeld e Green in un lavoro del 1990, nel quale gli Autori avevano analizzato le procedure di 1722 interventi di adenotonsillectomia effettuati presso il New York Medical Center in un periodo di nove anni, compreso tra il 1978 e il 1986, dimostrando che i DRS, come indicazione all’intervento, aumentavano da 0 a 19%, e prevedevano che quel trend si sarebbe ulteriormente rafforzato con il passare del tempo e una sempre maggiore sensibilità e attenzione verso questo tipo di patologia. Una conferma a quanto appena detto si riscontra nel lavoro di Erickson, che analizza 8106 adenotonsillectomie effettuate dal 1970 al 2005 nel territorio del Minnesota, riscontrando che nel 47,4% dei casi (3840 bambini) l’indicazione all’intervento era stata posta sulla base delle infezioni ricorrenti, e nel 32,4% (2628 casi) era indirizzata alla correzione dell’ostruzione delle alte vie respiratorie, con una percentuale di pazienti (19,8%: 1607 bambini) nei quali l’indicazione era correlata sia alle infezioni che al disturbo del respiro nel sonno. Significativa è la constatazione di come l’indicazione chirurgica si sia modificata nel corso degli anni: se nel 1970 era finalizzata alla risoluzione delle flogosi tonsillari nell’88,4% dei casi, nel 2005 tale percentuale scende al 23,2%, mentre aumenta progressivamente quella correlata all’OSAS, che nel 2005 raggiunge la stima del 76,8%. Resta comunque la certezza di una attenzione aumentata da parte degli specialisti ORL verso questo problema, in linea con una richiesta sempre più pressante di un vantaggio clinico, sia pure ottenuto chirurgicamente, da parte dei genitori dei bambini affetti da difficoltà respiratorie. L’esperienza personale suffraga i dati riportati in letteratura: nel 2013, delle 1000 adenotonsillectomie effettuate presso l’UOC di Otorinolaringoiatria del “Bambino Gesù”, oltre il 50% aveva come indicazione una condizione di DRS. E oltre 700 sono stati i ricoveri per studio dei parametri respiratori nel sonno, su un totale di circa 2000 bambini ricoverati. L’adenotonsillectomia rappresenta l’intervento di prima scelta nella terapia chirurgica dell’OSA in bambini privi di comorbidità importanti: la sua efficacia nel determinare un miglioramento nella qualità della vita, valutato attraverso questionari validati, sia disease-specific QoL che global QoL, è risultata molto alta, ancor più in studi retrospettivi basati sui sintomi descritti dai genitori dei piccoli pazienti, nei quali la percentuale di guarigione clinica dei DRS, a distanza di un anno dall’intervento, è pari al 100% dei casi esaminati Negli ultimi anni, tuttavia, studi sull’efficacia dell’adenotonsillectomia nell’OSA pediatrica, valutata sulla base dei dati polisonnografici ottenuti da registrazioni 247 F A D formazione a distanza pre e post-operatorie, hanno mostrato una percentuale alta di casi nei quali persisteva una condizione di OSA residua: l’attenzione si è pertanto concentrata sulla conoscenza di quali fattori siano in grado di condizionare un insuccesso o un successo solo parziale della terapia chirurgica. I dati pubblicati in letteratura sul valore medio di successo dell’adenotonsillectomia nel curare l’OSAS sono molto variabili, oscillando tale valore tra il 24 e il 100%: un gradiente così alto può essere meglio compreso se si considera che molti studi escludono di principio i pazienti a più alto rischio di persistenza di OSAS, come i bambini obesi, quelli affetti da sindromi cranio-facciali, disordini neuromuscolari o metabolici. Laddove lo studio escluda i bambini obesi, le percentuali di guarigione variano da valori del 53% riportati da Guilleminault a valori del 71% descritti da Mitchell. In un’analisi retrospettiva multicentrica sugli effetti dell’adenotonsillectomia in una popolazione di 578 bambini sintomatici per OSA e con ipertrofia adenotonsillare, Bhattacharjee, Kheirandish, Gozal e coll. hanno focalizzato l’attenzione sulle condizioni in grado di consentire in fase pre-operatoria la previsione di una non completa risoluzione delle problematiche respiratorie, attraverso la registrazione polisonnografica effettuata prima e a distanza di oltre un mese dall’intervento. I criteri dell’analisi dei bambini, di età compresa fra 8 mesi e 18 anni (il 91,3% dei quali in età prepuberale), sono stati standardizzati, nei limiti di quanto consentito dall’uso di sistemi di registrazione e di rilevamento diversi fra i vari centri. I rilievi polisonnografici post-operatori hanno mostrato un netto miglioramento dell’architettura del sonno, con riduzione dei risvegli e un aumento dell’efficacia del sonno stesso, ma non significative differenze nella percentuale delle fasi REM; allo stesso modo si è registrato un miglioramento nei maggiori indici respiratori, con una riduzione dell’AHI da valori preoperatori di 18,2+/-21,4 per ora, a valori post-operatori di 4,1+/6,4/ora. L’adenotonsillectomia ha consentito una riduzione dei valori di AHI nel 90,1% dei bambini, ma di questi solo il 27,2% ha Quaderni acp 2014; 21(6) FIGURA 3: CRITERI CLASSIFICATIVI DI MALLAMPATI mostrato una normalizzazione dei pattern respiratori, considerando un valore soglia di AHI uguale o minore a 1/ora; mentre una cospicua percentuale di pazienti, pari al 21,6% (125 bambini), ha presentato un AHI post-chirurgico maggiore di 5/ora, compreso quindi nei criteri universalmente accettati per OSAS. Tra i fattori più significativi ai fini della persistenza di valori elevati di AHI postchirurgico sono risultati l’età maggiore di 7 anni, l’aumento del BMI, la severità del quadro respiratorio prechirurgico, con un valore di AHI superiore a 20, e la presenza di asma. Questo studio è probabilmente il primo a evidenziare l’asma tra i fattori predittivi di un possibile parziale insuccesso della terapia chirurgica, soprattutto nei bambini non obesi; negli obesi, infatti, differentemente da quanto riscontrato nei bambini normopeso, né la severità del quadro apnoico (AHI elevato) né la presenza di asma condizionavano un aumento delle percentuali di OSA residua. Nel bambino come nell’adulto, l’obesità gioca un ruolo importante nel favorire l’apnea ostruttiva, per un meccanismo di compressione ab estrinseco sulle vie aeree superiori condizionato dall’infiltrazione adiposa dei tessuti parafaringei; per volumi polmonari ridotti con una minor riserva di ossigeno; per un’alterata attività metabolica indotta dall’aumento del tessuto adiposo viscerale; per il ruolo potenziale svolto dalle leptine nella genesi dell’OSAS. Per questo motivo, Gozal, nella definizione dei pazienti pediatrici affetti da OSAS, ha distinto due differenti categorie – bambini normopeso o obesi – attribuendo al secondo gruppo pattern respi- 248 F A D ratori e manifestazioni cliniche assimilabili all’OSA dell’età adulta; in questi pazienti il rischio e la severità dell’OSA si correlano direttamente al grado di obesità, incrementando del 12% per ogni (1 kg/m2 di incremento del BMI) punto di incremento dell’Indice di Massa Corporea rispetto al valore medio per fascia di sesso e di età. La letteratura offre molti lavori sul ruolo svolto dal sovrappeso patologico come fattore condizionante l’insuccesso o il parziale successo dell’adenotonsillectomia nella risoluzione dell’OSA: in una metanalisi condotta da Costa nel 2009, meno del 50% dei soggetti obesi ha presentato dopo tonsillectomia un AHI inferiore a 5 eventi per ora, e solo il 25% dei pazienti un indice di AHI inferiore a 2. Gozal, analizzando le alterazioni metaboliche e la condizione di flogosi sistemica presente in bambini affetti da OSA in età prepuberale, ha riscontrato un AHI post-operatorio inferiore a 2 episodi per ora nel 60% dei pazienti normopeso, contro un valore nettamente inferiore (24%) nei pazienti obesi; lo stesso valore di AHI post-operatorio Mitchell e Kelly lo hanno riscontrato nel 72% dei 39 bambini di peso normale e nel 24% dei 33 sovrappeso; con criteri valutativi più severi (AHI post-operatorio inferiore o pari a 1), Tauman su 110 bambini esaminati ha trovato una guarigione completa nel 17% dei pazienti obesi e nel 36% di bambini normopeso. Sull’importanza della severità del quadro respiratorio come fattore predittivo di non completa risoluzione chirurgica dell’OSA insiste Jin Ye, che analizza i risultati di uno studio condotto su 84 bambini senza comorbidità, di età compresa fra 4 e 14 anni, 45 dei quali affetti formazione a distanza da OSA moderata e 30 con OSA severa, sottoposti a registrazione polisonnografica e OSA prima e dopo adenotonsillectomia, con un intervallo temporale tra le due valutazioni di circa venti mesi. In ogni gruppo, l’intervento di adenotonsillectomia ha portato risultati significativi, consentendo una netta riduzione dell’AHI: la guarigione completa con normalizzazione dei dati polisonnografici è stata rilevata nel 69,0% dei casi, considerando come normale un valore di AHI inferiore a 1 episodio per ora; se il criterio per definire la risoluzione dell’OSA era un AHI minore di 5, la percentuale saliva all’86,9%. OSA residua è stata riscontrata più frequentemente nei bambini obesi e la cui condizione respiratoria prechirurgica era severa: i parametri respiratori si sono normalizzati (AHI inferiore a 5) in tutti i bambini con una condizione di OSAS pre-operatoria lieve, mentre persisteva un AHI superiore a 5 nel 4,4% dei bambini con OSA moderata e nel 30% di pazienti con OSA pre-operatoria severa. Shintani analizza, tra i fattori che possono sottendere l’OSA e condizionare un risultato chirurgico non risolutivo, le caratteristiche morfologiche cranio-facciali. Analizzando 134 bambini operati presso l’Ospedale Universitario di Sapporo, l’Autore rileva che sono predisposti a una incompleta guarigione i pazienti con ipertrofia adenotonsillare di minor grado, ma con cavo rinofaringeo più stretto e minor protrusione mandibolare: più in particolare, rappresentano fattori prognostici negativi alcuni rilievi cefalometrici, come un minor valore di PNS-A (distanza fra la spina nasale posteriore e la superficie delle adenoidi) e di SNB (angolo descritto dalla linea che unisce sella, nasion e punto sopramentoniero). Tra le caratteristiche strutturali rilevabili a un attento esame obiettivo, Guilleminault sottolinea l’importanza dei fattori che riducono la pervietà nasale, come le deviazioni stenosanti del setto nasale e l’ipertrofia dei turbinati, ma soprattutto la necessità di valutare, in fase di impostazione del programma chirurgico, oltre al grado di ipertrofia tonsillare, anche l’ampiezza dell’orofaringe secondo i criteri classificativi di Mallampati, fattore prognostico importante per la possibile persistenza di OSA post-operatoria (figura 3). A dispetto infatti di un migliora- Quaderni acp 2014; 21(6) mento clinico rilevato nei questionari familiari in un’altissima percentuale (92,6%) dei 202 bambini operati, i tracciati polisonnografici effettuati a tre/cinque mesi dall’intervento davano la persistenza di AHI uguale o superiore a 1 episodio per ora nel 46,2% dei casi, la maggior parte dei quali caratterizzata da un grado di Mallampati 3 o 4. Pertanto, anche Guilleminault conclude che il grado di ipertrofia tonsillare, come fattore di ostruzione delle vie aeree superiori, non ha valore assoluto ma va posto in relazione alle dimensioni meno ampie delle strutture ossee che delimitano le vie aeree stesse. L’adenotonsillectomia condiziona certamente un immediato beneficio clinico, sottolinea l’Autore, ma può non rappresentare la soluzione di ogni problema respiratorio, ed è necessario spiegare ai pazienti la necessità di effettuare controlli a distanza dall’intervento per supportare i vantaggi dell’operazione con terapie complementari (come la ventilazione meccanica, la terapia ortodontica o la terapia medica). Analoga riflessione deve essere fatta quando si tratta di pazienti neurologici, nei quali grado e severità del disturbo respiratorio notturno sono strettamente correlati alla complessità del quadro neuromuscolare. In questi pazienti sono generalmente compromessi tanto l’attività diaframmatica, fondamentale nella genesi delle pressioni negative delle vie aeree, quanto l’attività della muscolatura dilatatrice faringea, necessaria ad assicurare la pervietà del lume respiratorio. È evidente che in questi pazienti l’adenotonsillectomia può favorire un incremento dello spazio aereo senza apportare comunque variazioni alle competenze neuromuscolari del paziente stesso: la prognosi nei pazienti neurologici dipende strettamente dal grado di compromissione del sistema nervoso centrale e dalla severità dell’ipoventilazione secondaria che questi soggetti manifestano. La ventilazione meccanica, che rappresenta in questi pazienti la scelta terapeutica più corretta, può trarre benefici da una chirurgia di disostruzione che, riducendo le pressioni negative respiratorie, può rendere più facile la gestione delle pressioni ventilatorie da erogare. Indicazioni al trattamento ventilatorio sono rappresentate da: 1. OSAS severa senza indicazione al trattamento chirurgico; 2. OSAS residue persistenti dopo intervento chirurgico; 3. trattamento chirurgico ritardato; 4. indicazione all’intervento chirurgico ma opposizione da parte del paziente o della famiglia alla procedura; 5. OSAS complesse; 6. OSAS ad alto rischio di complicanze anestesiologiche. In un approccio diagnostico-terapeutico all’OSAS è necessario considerare con attenzione il ruolo patogenetico di una struttura cranio-mandibolare sfavorevole. In letteratura è presente un gran numero di lavori che sottolineano l’importanza del fenotipo, sia per quanto riguarda le parti molli che la struttura ossea craniomandibolare, quali elementi predisponenti all’insorgenza dei disturbi respiratori nel sonno e dell’OSAS in particolare: retrognazia, micrognazia, biretrusione maxillo-mandibolare, vie aeree strette a livello faringeo, posizione disto-caudale dello ioide, postura linguale atipica. L’importanza della struttura ossea craniomandibolare è presa in considerazione non solo per un corretto inquadramento diagnostico, ma anche per pianificare la migliore condotta terapeutica per ciascun paziente. Diversi lavori riportano evidenze sul ruolo degli oral devices (OD) nella terapia dell’OSAS dell’adulto; in ambito pediatrico, l’AAP, Section on Pediatric Pulmonology, Subcommittee on Obstructive Sleep Apnea Syndrome, nel pubblicare nel 2002 le Clinical Practice Guideline: Diagnosis and Management of Childhood Obstructive Sleep Apnea Syndrome, non faceva alcuna menzione a un eventuale ruolo della malocclusione, né come fattore di rischio, né come possibile ambito terapeutico ai fini OSAS. La difficoltà nell’estendere la terapia con un dispositivo intraorale all’età pediatrica non risiede in aspetti tecnici o in particolari difficoltà applicative, ma nella necessità di considerare una diversa filosofia che veda in questa terapia non l’applicazione di una protesi, ma il primo step di un trattamento ortognatodontico che, dimostrandosi efficace anche nell’OSAS, è in realtà volto anzitutto alla soluzione della malocclusione riscontrata, e quindi già di per sé comunque indicato. Il rapido 249 F A D formazione a distanza miglioramento del quadro respiratorio che si consegue in molti casi dopo l’adenotonsillectomia ha ovviamente contribuito finora a limitare la considerazione dell’ipotesi terapeutica ortognatodontica, a favore, appunto, di quella chirurgica ORL. È con la revisione del 2008 delle Linee Guida italiane sull’“Appropriatezza clinica e organizzativa degli interventi di tonsillectomia e/o adenoidectomia” che giunge la prima chiara considerazione degli aspetti ortognatodontici nell’OSAS in età pediatrica: il capitolo si conclude con alcune chiare raccomandazioni: – I bambini con OSAS e ipertrofia adenotonsillare, con sospetto di anomalie occlusali o altre anomalie craniofacciali, necessitano di valutazione ortodontica prima di procedere all’intervento di adenotonsillectomia. – L’intervento ortodontico deve essere considerato come opzione terapeutica prima o contestualmente al trattamento con CPAP. Se una malocclusione abbia realmente ruolo nell’insorgenza dell’OSAS e se questa, di conseguenza, possa trarre giovamento da una terapia per via occlusale, non è quesito risolvibile a priori in senso assoluto, ma costituisce oggetto di approfondimento diagnostico caso per caso: la strategia terapeutica che consideri le differenti opportunità di trattamento non può prescindere da un esame clinico affidato a un ortodontista esperto in problemi del respiro nel sonno. Infatti le tipologie occlusali che possono accompagnarsi a OSAS sono molto varie e comprendono discrepanze tra la mascella e la mandibola (e di conseguenza fra le arcate dentarie antagoniste) sia in senso sagittale che verticale e latero-laterale. Tali discrepanze non sono peraltro patognomoniche, potendo essere compatibili anche con la totale assenza di disturbi respiratori e nel sonno, come possono, pur accompagnandosi a OSAS, non esserne l’unica causa. Dalla letteratura si evince che le strade terapeutiche dell’OSAS per via ortodontica si avvalgono essenzialmente di due tipologie di dispositivi: 1) Dispositivi di riposizionamento mandibolare: sono di conformazione diversa da Autore e Autore, ma tutti, una volta applicati, si interpongono alle Quaderni acp 2014; 21(6) arcate dentarie antagoniste e comportano da un lato la perdita dei rapporti interocclusali generati dalla malocclusione e dall’altro un riposizionamento della mandibola secondo il programma terapeutico deciso dal dentista; non comportano un indefinito “mandibular advancement” ai fini OSAS, ma sono volti a correggere individualmente sui tre piani dello spazio (sagittale, orizzontale e frontale) la malposizione mandibolare che il singolo caso presenta, secondo il razionale che ipotizza possa essere questa a sostenere, caso per caso, il problema OSAS. 2) Disgiuntore Palatino Rapido (indicato con la sigla RME, Rapid Maxilla Expansion): allarga l’arcata dentaria superiore agendo con le attivazioni frequenti di una vite saldata a bande ortodontiche, a loro volta cementate su alcuni denti dell’arcata superiore, l’azione ortopedica di espansione si esplica sulla sutura palatina mediana, ed è quindi indicata in arcate mascellari strette con palati ogivali, che ai fini ortodontici nei casi più gravi si manifestano con morsi crociati mono o bilaterali. Ruolo della terapia medica Esistono diverse segnalazioni che tendono a evidenziare come alcuni quadri clinici indicati come conseguenze del disturbo respiratorio dovuto all’OSAS, soprattutto nell’ambito dei disturbi psico-comportamentali, non siano direttamente collegati all’entità dell’ipossia: da tali lavori emerge la possibilità di attribuire ad aspetti non strettamente respiratori, come per esempio il livello di flogosi sistemica, almeno una parte dei sintomi che accompagnano l’OSAS in età pediatrica. In base a queste considerazioni, il range di opportunità di una terapia medica dell’OSAS può essere abbastanza ampio: – ipertrofia adenotonsillare di grado lieve-moderato in assenza di una stretta indicazione chirurgica di AT; – ipertrofia adenotonsillare con controindicazioni alla AT; – sequele di OSAS post-chirurgiche; – tutte le situazioni in cui la terapia medica può avere lo scopo di ridurre lo stato di flogosi sia locale che sistemica. 250 F A D Un gruppo di farmaci a effetto antinfiammatorio, non corticosteroidi, che può avere interesse in tale ambito, è rappresentato dagli antileucotrieni o, meglio, dagli antagonisti recettoriali dei leucotrieni e, tra essi, la molecola più conosciuta è il Montelukast (MLK), molto impiegato nella terapia della rinite allergica e dell’asma bronchiale. L’ipotesi patogenetica a sostenere l’impiego del MLK nella terapia dell’ipertrofia adenotonsillare è giustificata dal riscontro nei tessuti linfatici (tonsille e adenoidi) dei soggetti con OSAS di una superespressione di recettori per leucotrieni (LR). È plausibile che il processo infiammatorio dovuto per la continua stimolazione meccanica dei tessuti del rinofaringe provocata dalle vibrazioni del russamento comporti una up-regulation e quindi un aumento di concentrazione dei LR con conseguente incremento di volume delle stesse strutture. La terapia con MLK interferirebbe su tale processo d’incremento di volume legato alla superespressione dei LR. Conclusioni L’adenotonsillectomia deve essere considerata la “prima linea” terapeutica in bambini affetti da OSAS e ipertrofia adenotonsillare, privi di comorbidità: questa affermazione, da sempre basata su esperienze cliniche, ha trovato recentemente il conforto di un trial randomizzato multicentrico, i cui risultati dovranno essere ovviamente confermati in futuro da ricerche altrettanto correttamente strutturate. L’adenotonsillectomia può rappresentare anche la terapia iniziale per bambini nei quali la genesi dei disturbi del respiro nel sonno sia multifattoriale, qualora sia presente una ipertrofia adenotonsillare relativamente importante: in questi pazienti l’intervento, pur non risolvendo tutti i fattori patogenetici, ha la finalità di migliorare la pervietà delle vie aeree superiori, riducendo la severità dei sintomi e migliorando il quadro clinico. Analoga considerazione può essere fatta per i bambini obesi: in presenza di una ostruzione orofaringea da ipertrofia tonsillare, l’intervento chirurgico rappresenta comunque la prima opzione terapeutica, in grado di apportare un miglioramento clinico, anche se rivalutazioni polisonnografiche post-operatorie mostrano un’alta presenza di OSA residua, formazione a distanza che suggerisce e condiziona il ricorso a terapie addizionali. Il grado di ipertrofia adenotonsillare non è così strettamente correlato alla presenza e alla severità del quadro respiratorio, e non consente un’adeguata previsione dei benefici apportati dall’intervento. È opportuna, pertanto, una valutazione strumentale pre-operatoria che consenta di: distinguere i bambini con russamento primario da quelli affetti da OSA, così da indirizzare più correttamente questi ultimi a intervento chirurgico; identificare pazienti con OSA lieve, che potrebbero beneficiare di terapie antinfiammatorie, ovviando alla necessità di essere sottoposti ad adenotonsillectomia; orientare una strategia assistenziale intra-operatoria e post-chirurgica. In pazienti nei quali siano identificabili, in fase di valutazione pre-operatoria, fattori che lascino prevedere la persistenza di un’OSA residua post-chirurgica, una rivalutazione polisonnografica va effettuata a distanza dall’intervento, per determinare la normalizzazione dei patterns respiratori o il rilievo della persistenza di un disordine residuo del respiro, con indicazione a effettuare terapie farmacologiche con agenti antinfiammatori quando il residuo sia lieve; o per selezionare i pazienti che necessitino di essere avviati a terapia ventilatoria con CPAP. Tutti i bambini che vengono indirizzati a intervento di adenotonsillectomia perché affetti da OSA devono essere considerati a più alto rischio chirurgico rispetto a bambini che non presentano disordini del respiro nel sonno, per una maggior incidenza di complicazioni respiratorie dopo l’intervento (dal 16 al 27% in bambini con OSA rispetto all’1% di complicanze in età pediatrica). I maggiori fattori di rischio possono essere identificati pre-operatoriamente nell’età inferiore ai 3 anni; nella condizione di gravità dell’OSA nelle registrazioni polisonnografiche pre-operatorie (AHI maggiore di 24; saturazione di ossigeno inferiore all’80%, Quaderni acp 2014; 21(6) pCO2 superiore a 60 mmHg); nelle anomalie del tono o della struttura delle alte vie respiratorie (obesità, patologie neuromuscolari, anomalie cranio-facciali); nelle complicanze cardiache legate alla fatica respiratoria; nelle infezioni delle vie aeree. Questi bambini necessitano di un’approfondita valutazione interdisciplinare in fase di programmazione chirurgica e di una osservazione post-operatoria particolarmente attenta. u Bibliografia di riferimento American Academy of Pediatrics (Section on Pediatric Pulmonology, Subcommittee on Obstructive Sleep Apnea Syndrome). Clinical pratice guidelines: diagnosis and management of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Pediatrics 2002;109(4):704-12. Baugh RF, Archer SM, Rosenfeld RM, et al. Clinical practice guideline: tonsillectomy in children. Otolaryngol Head Neck Surg 2011;144 (1 Suppl):S1-30. doi: 10.1177/0194599810389949. Brietzke SE, Gallangher D. The effectiveness of tonsillectomy and adenoidectomy in the treatment of pediatric obstructive sleep apnea/hypopnea syndrome: a meta-analysis. Otolaryngol Head Neck Surg 2006;134(6):979-84. Brouilette R, Nanson D, David R, et al. A diagnostic approach to suspected obstructive sleep apnea in children. J Pediatr 1984;105(1):10-4. Carroll JL. Sleep related upper airway obstruction in children and adolescent. Child Adol Psych Cl 1996;5:617-47. Darrow DH, Siemens C. Indications for tonsillectomy and adenoidectomy. Laringoscope 2002;112 (8 Pt 2 Supp 100):6-10. Deutsch ES. Tonsillectomy and adenoidectomy. Changing indications. Pediatr Clin North Am 1993; 43(6):1319-38. Erickson BK, Larson DR, St Sauver JL, et al. Changes in incidence and indications of tonsillectomy and adenotonsillectomy, 1970-2005. Otolaryngol Head Neck Surg 2009;140(6):894-901. doi: 10.1016/j.otohns.2009.01.044. Friedman M, Wilson M, Lin HC, Chang HW. Update systematic review of tonsillectomy and adenoidectomy for treatment of pediatric obstructive sleep apnea/hypoapnea syndrome. Otolaryngol Head Neck Surg 2009;140(6):800-8. doi: 10.1016/j.otohns.2009.01.043. Goldstein NA, Pugazhendhi V, Rao SM, et al. Clinical assessment of pediatric obstructive sleep apnea. Pediatrics 2004;114(1);33-43. Guilleminault C, Huang YS, Glamann C, et al. Adenotonsillectomy and obstructive sleep apnea in children: a prospective survey. Otolaryng Head Neck Surg 2007;136(2):169-75. Guilleminault C, Lee JH, Chan A. Pediatric obstructive sleep apnea syndrome. Arch Pediatr Adolesc Med 2005;159(8):775-85. Koempel JA, Solares CA, Koltai PJ. 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Questi piccoli organi producono anticorpi quando il corpo combatte le infezioni. Come le tonsille, anche le adenoidi fanno parte del nostro apparato difensivo contro le infezioni. In realtà, anche se noi le chiamiamo adenoidi, il tessuto forma una sola masserella che si trova sopra l’ugola e aderisce alle vie respiratorie dietro il naso (questa parte del corpo viene chiamata dai medici il nasofaringe). Le adenoidi non possono essere viste a occhio nudo ma solo attraverso degli speciali specchietti o attraverso i raggi X oppure con una strumentazione endoscopica che ha una videocamera incorporata: il fibroscopio, uno strumento usato dagli otorinolaringoiatri. Spesso le tonsille s’infiammano a causa di malattie infettive provocate da virus o batteri, le cosiddette tonsilliti. I sintomi di questa malattia sono: tonsille gonfie e arrossate, un rivestimento delle tonsille biancastro o giallastro, una voce gutturale, dolore alla gola, dolore alla deglutizione, febbre, linfonodi gonfi o dolenti al collo. Non sempre invece è facile riconoscere la presenza di adenoidi ingrossate perché non sono visibili a bocca aperta. Talvolta sono grosse per una semplice caratteristica individuale, altre volte le adenoidi s’ingrossano a causa di influenze, raffreddori o sinusiti. Alcuni sintomi di adenoidi ingrossate sono: respirazione attraverso la bocca invece che con il naso per la gran parte della giornata; sensazione di naso tappato quando il bambino parla; respirazione rumorosa durante il giorno, russamento Per corrispondenza: Costantino Panza e-mail: [email protected] 252 durante la notte. Se il bambino ha un ingrossamento importante sia di adenoidi che di tonsille, oltre ai sintomi già descritti possono essere presenti: una interruzione del respiro per un breve periodo di tempo durante la notte nel bambino che solitamente russa o respira con la bocca (questa condizione è chiamata apnea durante il sonno); respiri irregolari, difficoltà alla deglutizione di cibi solidi, un caratteristico timbro di voce “a patata”. Nei casi più severi il bambino, a causa della difficoltà a respirare, può non riuscire a prendere l’ossigeno necessario con il respiro e a eliminare tutta l’anidride carbonica con le espirazioni. Talvolta questa condizione di difficoltà a ossigenarsi può disturbare in modo importante il sonno, con una conseguente modificazione del comportamento durante il giorno (irritazione, iperattività, sonnolenza) e con una difficoltà a concentrarsi o a impegnarsi nelle normali attività. Se il bambino respira male di notte ed è sonnolento o svogliato durante il giorno parlatene con il vostro pediatra: potrebbe soffrire di OSA, sigla inglese che significa appunto apnee notturne ostruttive. I genitori riportano che circa l’8% dei bambini russa: i russatori “forti”, quelli che russano ogni notte, sono il 3-15%, mentre quelli che russano ogni tanto il 2-6%. È necessario consultare il pediatra se il vostro bambino russa frequentemente di notte, più di tre volte alla settimana, e ha un sonno molto disturbato, con apnee (trattiene il respiro per qualche secondo, in genere più di dieci), “salta” durante il sonno, tende a mettersi seduto o a estendere molto il collo mentre dorme, al risveglio appare non riposato, durante il giorno è invece troppo attivo e vivace, oppure comincia anche a fare la pipì di notte. Se il pediatra valuta importante l’ingrossamento di questi tessuti «Vola libellula, vola parola Portati via questo mal di gola Cavalo fuori dalla mia bocca Appeso alla filastrocca». B. Tognolini, Mal di pancia calabrone, in Formule magiche per tutti i giorni potrebbe indicarvi alcuni tipi di trattamento. Qualche volta, più raramente, l’atteggiamento più corretto è quello di osservare e attendere; infatti, nella maggior parte delle volte, tonsille e adenoidi si riducono spontaneamente di volume durante la crescita. Talvolta il pediatra potrebbe decidere di intraprendere una terapia antibiotica al fine di ridurre il volume di questi tessuti. Potrebbe in alcuni casi essere presente l’indicazione per togliere le tonsille o le adenoidi oppure entrambe, attraverso un intervento chirurgico chiamato adenotonsillectomia. Questa operazione chirurgica è necessaria quando il respiro è molto difficoltoso o è presente spesso una interruzione del respiro di notte (l’apnea notturna) che dura più di dieci secondi; talvolta le tonsille vengono asportate se sono così grosse da rendere difficile la deglutizione dei cibi. Le adenoidi, se sono molto ingrossate, provocano un sonno molto disturbato che rende il bambino svogliato di giorno o troppo vivace, compromettendo spesso le sue capacità di concentrazione a scuola; a volte anche il linguaggio può essere compromesso. Si può considerare la rimozione delle tonsille quando il numero di infezioni tonsillari gravi all’anno è molto elevato. Di solito la decisione se operare di tonsille e/o adenoidi viene presa consultando uno specialista otorinolaringoiatra, un medico esperto dei problemi di bocca, gola e naso, con esperienza in campo pediatrico. Chiedete consiglio al vostro pediatra se pensate che il vostro bambino possa avere un ingrossamento delle tonsille e/o delle adenoidi e se pensate che questo problema disturbi il sonno e la qualità della sua vita. Sarà lui stesso a consigliarvi e programmare, se necessario, un approfondimento o semplicemente una vigile attesa. u Quaderni acp 2014; 21(6): 253 Rubrica a cura di Costantino Panza Allattamento al seno e capacità cognitive, di linguaggio e motorie, all’età di 18 mesi Uno studio osservazionale prospettico, Rhea Study, ha seguito dalla nascita fino a 18 mesi, 540 madri e i loro figli in Creta (Grecia). Sono state eseguite interviste ai genitori alla nascita, al 9° e 18° mese. Al 18° mese è stato eseguito il Bailey Scales of Infant Toodler Development (III ed) a ogni bambino. La percentuale di mamme che non allattavano aumentava progressivamente del 10% ogni mese raggiungendo il 68% al 6° mese. Solo il 6% dei bambini era allattato al seno in modo esclusivo o predominante al 5° mese. Il Baley III ha evidenziato, dopo l’analisi di numerosi fattori confondenti, una associazione lineare positiva per ogni mese di allattamento al seno: 0,28 punti per lo sviluppo cognitivo (IC 95%: 0,01-0,55), 0,29 punti per il linguaggio recettivo (IC 95%: 0,04-0,54), 0,30 per il linguaggio espressivo e 0,29 (IC 95%: 0,02-0,56) per lo sviluppo delle capacità motorie fini. I bambini allattati per più di sei mesi rispetto a quelli mai allattati presentavano 4,44 punti in più nella scala dei movimenti fini. I fattori confondenti più influenti nell’effetto stimato per lo sviluppo cognitivo erano l’istruzione materna (13%), lo stato lavorativo materno (5%) e la parità (5%). u L’ESPERTO IN SALUTE PUBBLICA. Indagare l’effetto dell’allattamento al seno sullo sviluppo cognitivo dei bambini è compito non facile, per problemi legati al disegno degli studi, alla scelta delle scale di valutazione, alla durata del follow-up e alla possibilità di controllare possibili fattori confondenti. Lo studio Rhea ha il vantaggio di essere uno studio prospettico, di avere utilizzato scale di valutazione dello sviluppo accreditate e di avere considerato nell’analisi numerose variabili confondenti. È interessante notare come i benefici dell’allattamento al seno sullo sviluppo cognitivo e motorio del bambino siano statisticamente significativi solo considerando l’allattamento come variabile continua, con un aumento di circa 0,3 punti del punteggio nelle diverse scale per ogni mese di allattamento al seno. Il problema è che alla significatività statistica non sembra corrispondere una significatività clinica. I benefici dell’allattamento (o, come si usa dire, i rischi del mancato allattamento) al seno sono molteplici, ma gli effetti sullo sviluppo cognitivo necessitano ancora di solide evidenze. È comunque difficile discriminare l’effetto del solo allattamento al seno da quello del contesto familiare, delle relazioni genitori-bambino e degli interventi precoci. LO PSICHIATRA. Non sono sorpreso dei risultati dello studio Rhea. La relazione tra fattori pre- peri- post-natali e sviluppo neurologico/mentale è indagata da quasi un secolo. Fattori di sofferenza neurologica prenatale (per es. alcolismo materno), perinatale (per es. anossia) sono stati associati a una maggiore incidenza di schizofrenia. Fattori di deprivazione affettiva nelle primissime fasi della vita, come l’istituzionalizzazione in brefotrofio, comportano probabilità altissime di sviluppare deficit cognitivi e disturbi mentali. Oggi sappiamo che circa l’80% delle adozioni internazionali presenta problemi dello spettro cognitivo/psichiatrico in età adolescenziale e adulta. Risulta quindi comprensibile come la durata dell’allattamento al seno, pratica che potremmo definire di fisiologia biopsicosociale, riunendo in sé aspetti nutrizionali, affettivi e di stimolazione cognitiva di grande valore, sia positivamente correlata allo sviluppo neurologico fine. Mi auguro che lo studio Rhea possa effettuare un follow-up di questa coorte nell’età adulta. Angelo Fioritti, Direttore Dipartimento Salute Mentale, Bologna [email protected] *Leventakou V, Roumeliotaki T, Koutra K, et al. Breastfeeding duration and cognitive, language and motor development at 18 months of age: Rhea mother-child cohort in Crete, Greece. J Epidemiol Community Health. Published online first. doi:10.1136/jech-2013-202500. Antonio Clavenna, IRCCS “Mario Negri”, Milano [email protected] L’EPIDEMIOLOGO. La maggior durata dell’allattamento al seno favorisce un migliore sviluppo psichico del bambino, rilevabile a 18 mesi di età? Non era per nulla semplice portare delle evidenze sul quesito. L’articolo qui presentato appare robusto nel metodo e nei risultati, e la rivista su cui compare è una garanzia. Le maggiori difficoltà stavano nella non semplice misurabilità sia dell’esposizione (allattamento) che dell’outcome (lo sviluppo); e nella necessità di controllare i numerosi confondenti a causa del ricorso a uno studio osservazionale: non è certo pensabile randomizzare la durata dell’allattamento al seno! La misura, retrospettiva, dell’esposizione viene attuata con le classiche definizioni di allattamento; quella dell’outcome con le scale Bayley. Il controllo del confounding con il ricorso all’analisi di regressione multipla. I risultati mostrano una costanza nella direzione e nell’intensità dell’associazione tra durata dell’allattamento e sviluppo psichico che fa ben sperare. La consistenza dei risultati è infatti molto promettente, suggerendo una relazione “dose-risposta” tra latte della mamma e “intelligenza” (?) del bebè. Roberto Buzzetti, Bergamo [email protected] IL PEDIATRA. Interessante il dato che la durata dell’allattamento al seno costituisce un predittore positivo dei punteggi dei test, indipendentemente dal fatto che fosse esclusivo, prevalente o complementare. Questo lascerebbe supporre nella modalità propria dell’allattamento al seno più che nella composizione del latte, il fattore prioritario dell’effetto. Questi incoraggianti risultati dovrebbero però essere confermati nel medio-lungo termine. Una valutazione in età successive consentirebbe infatti di stabilire la durata e l’entità dell’effetto dell’allattamento al seno almeno su alcune caratteristiche neurologiche “definitive” dei soggetti studiati; andrebbero misurate anche le caratteristiche neuropsicologiche dei genitori. L’eventuale dimostrazione che l’impatto sia persistente e rilevante avrebbe conseguenze importanti nell’ambito della salute pubblica. Lo studio greco riporta alcune note negative: la durata media dell’allattamento al seno esclusivo riportata era di soli 0,8 mesi e solo il 6% delle madri allattava esclusivamente al seno il figlio per almeno cinque mesi; le madri che non allattavano al seno aumentavano del 10% al mese e quelle che allattavano scendevano al 30% a 6 mesi. C’è ancora parecchio da fare perché l’allattamento al seno sia una pratica comune. Claudio Maffeis, Università di Verona [email protected] 253 Quaderni acp 2014; 21(6): 254-256 Indagine sulle condizioni di vita dei bambini di 18-30 mesi e delle loro famiglie nelle Regioni italiane (gennaio 2014 - dicembre 2015) Giuseppe Cirillo ACP Campania Gruppo di Progetto dell’indagine Metodologia e obiettivi dell’indagine Esiste ormai un’infinità di evidenze empiriche circa l’efficacia degli interventi precoci di sostegno genitoriale, durante la gestazione e le prime fasi della vita, relativamente a diverse dimensioni della salute e del benessere sia del bambino che dei genitori. Esistono, inoltre, evidenze che questi interventi determinano risparmi e riduzione di tutta una serie di costi sociali che derivano, con effetti più o meno a lungo termine, dall’esclusione sociale. Nel nostro Paese, la povertà minorile e il rischio di esclusione sociale sono aumentati negli ultimi anni, così come le condizioni di marginalità e di sofferenza delle famiglie. Nelle prime fasi della vita i pediatri di famiglia (PdF) sono gli operatori più vicini alle famiglie, di cui godono grande fiducia e di cui orientano scelte e comportamenti non solo in campo strettamente sanitario ma anche sociale, relazionale, educativo. La formazione dei pediatri, universitaria e post/extra accademica, non è propriamente improntata a un modello biopsico-sociale e alla valorizzazione dei determinanti sociali della salute. L’organizzazione stessa del lavoro del PdF spesso impedisce una conoscenza approfondita delle condizioni di vita dei bambini e delle loro famiglie e una scarsa integrazione con i servizi territoriali; viene così ostacolata quella visione collettiva e comunitaria che potrebbe sostanziare per il PdF un ruolo di advocacy, attivazione territoriale e sentinella della salute che l’Associazione Culturale Pediatri (ACP) ritiene possa essere una delle funzioni fondamentali e innovative della nuova pediatria di famiglia del terzo millennio. L’indagine ha l’obiettivo di aumentare le conoscenze dei pediatri sulle famiglie assistite e sulla rete di supporto territoriale, modificando i loro sistemi di credenze al riguardo (predittori comportaPer corrispondenza: Giuseppe Cirillo e-mail: [email protected] 254 mentali) mediante discussioni di gruppo non direttive (T-group lewiniani); e infine consolidando i cambiamenti nei loro sistemi simbolici di riferimento, mediante la creazione partecipata di una pagina web tematica, consultabile dai professionisti non implicati nell’esperienza, o non appartenenti all’ACP. Obiettivi specifici a. Conoscere i livelli di consapevolezza dei pediatri relativamente alle condizioni di vita e ai fattori di rischio socio-sanitario dei bambini e delle loro famiglie. b. Conoscere i fattori di rischio per la salute e il benessere delle bambine e dei bambini assistiti dai pediatri partecipanti allo studio, indagati a partire dai “determinanti della salute” (OMS 2005, Commissione Disuguaglianze). c. Sostenere il ruolo svolto dal PdF di attivatore comunitario e di sentinella dei “determinanti della salute” nel quadro della “ricerca-azione”, finalizzato a provocare, mediante l’utilizzo della metodologia del T-group, alcune modifiche misurabili su predittori specifici delle modalità di presa in carico dei pediatri coinvolti. d. Promuovere azioni di miglioramento della salute e dell’equità sin dai primi anni di vita nei territori coinvolti nel Progetto. e. Promuovere l’esercizio della responsabilità individuale e della prevenzione collettiva, attraverso la rinnovata consapevolezza dei Pdf e le attività informative e di advocacy che si realizzeranno in rapporto ai risultati dell’indagine, promuovendo l’utilizzo di risorse specifiche di informazione, aiuto e sostegno. f. Accompagnare i pediatri coinvolti nell’intervento, nel processo di creazione di una pagina web divulgativoinformativa sui temi oggetto dell’intervento. Azioni Prima fase 1. Progettazione partecipata tra i partners progettuali dello strumento di rilevazione dati. Il questionario semi-strutturato, attraverso una batteria di check-list, item scalari e domande aperte, intende raccogliere informazioni, attraverso i pediatri, relative alle condizioni di vita, ai fattori di protezione e di rischio dei bambini e delle famiglie nei primi anni di vita, utili alla predisposizione di specifici progetti-intervento relativamente ai seguenti domini: – sociale; – sanitario; – psicorelazionale; – pratiche educative e supporto allo sviluppo. 2. Piano di campionamento dei partecipanti allo studio: campione rappresentativo dei pediatri iscritti all’ACP, stratificato per Regione. Regione Friuli-Venezia Giulia Veneto Trentino Alto Adige Val d’Aosta Piemonte Lombardia Liguria Emilia-Romagna Toscana Marche Abruzzo Sardegna Lazio Puglia Campania Basilicata Calabria Sicilia Umbria Totale n. pediatri 11 50 2 3 19 43 2 31 8 7 4 8 25 18 24 4 8 30 13 311 3. Richiesta di adesione allo studio ai pediatri (mediante compilazione di un’apposita scheda) e costruzione del research letters data base dei PdF iscritti all’ACP che hanno aderito allo studio. 4. Richiesta, a ciascuno dei pediatri appartenenti al campione, di produrre un elenco (nominativo o codificato) delle famiglie di assistiti con bambine e bambini tra 18 e 30 mesi (+/- 3 mesi) (fascia di età individuata, nell’ambito delle età precoci, per permettere una conoscenza abbastanza approfondita della famiglia da parte del pediatra e per poter prevedere almeno una visita domiciliare). 5. Campionamento e randomizzazione dei nuclei familiari appartenenti agli elenchi prodotti da ciascun PdF partecipante alla ricerca. 6. Sperimentazione del questionario in un piccolo campione di pediatri (4-5), già individuati nel campionamento generale, analisi dei risultati. Seconda fase 1. Avvio della rilevazione dati. Nell’arco temporale di tre mesi, ciascuno dei pediatri coinvolti compilerà il questionario collocato su un’apposita piattaforma web, servendosi delle conoscenze già in suo possesso su ciascun nucleo familiare campionato, integrate attraverso un contatto attivo e almeno una visita domiciliare già effettuata o da fare nel corso della ricerca. 2. Raccolta e verifica dati. 3. Elaborazione dati. 4. Stesura report e diffusione dei risultati. Terza fase 1. Organizzazione e realizzazione di almeno tre T-group per Nord-Centro e Sud Italia. 2. Realizzazione di una pagina web tematica liberamente consultabile. 3. Diffusione dei risultati finali della ricerca. 4. Definizione di ulteriori obiettivi di ricerca-intervento. Partners e Gruppo di Progetto • ACP – Giuseppe Cirillo, Luciana Nicoli, Antonella Brunelli, Massimo Farneti, Paolo Siani • Fondazione Zancan – Tiziano Vecchiato, Cinzia Canali, Giulia Barbero Quaderni acp 2014; 21(6) • Dipartimento Scienze Sociali, Università di Napoli “Federico II” – Roberto Fasanelli • CSB onlus – Giorgio Tamburlini, Anduena Alushaj, Valeria Balbinot • Save the Children – Giulio Cederna, Francesca Marta Note dei Partners dell’indagine Fondazione Zancan Tiziano Vecchiato La Fondazione Zancan partecipa all’indagine sulle condizioni di vita dei bambini e delle loro famiglie, promossa dall’ACP. I cinquant’anni di storia della Fondazione evidenziano una socialità in evoluzione. Uno dei punti di partenza principali è stato il riconoscimento della dignità di tutti, anche dei più deboli, quindi anche dei bambini. Tuttavia dignità e diritti dei più deboli sono tuttora un problema, anzi una sfida difficile da concepire e conciliare con i problemi di sostenibilità della spesa pubblica e del faticoso funzionamento delle istituzioni. Le vite vissute dentro questo arco temporale sono state alimentate dalla speranza che il nostro sistema di risposte ai bisogni sociali e sanitari, insieme con quello di istruzione, diventassero inclusivi, universalistici, capaci di accogliere e valorizzare ogni persona, anche quelle che la Costituzione identifica come più deboli e bisognose di attenzioni. Come sappiamo, l’area dell’infanzia in Italia è confinata negli ultimi posti di diverse classifiche europee: per esempio l’Eurostat stima che nel 2012 quasi un terzo (31,9%) dei bambini di età 0-6 anni in Italia era a rischio di povertà o esclusione sociale, contro circa un quarto (25,9%) dei bambini 0-6 anni in media nell’intera Unione Europea. Un quadro negativo sulla condizione dei minori in Italia è tratteggiato dall’Istat, che stima come il numero di minori in povertà assoluta sia raddoppiato tra il 2011 (723 mila) e il 2013 (1 milione 434 mila): in conseguenza di queste tendenze, nel 2013 il 13,8% dei minori residenti in Italia si trovava in condizioni di povertà assoluta. Siamo confinati agli ultimi posti in Europa nella capacità di affrontare i problemi sociali. La storia ha evidenziato che in certi periodi siamo stati straordi- nari, grazie alla tensione ideale che ha sopravanzato le culture particolari, facendo diventare scelte collettive quelle che normalmente si sarebbero ridotte a interessi di parte. Il superamento delle forme istituzionalizzanti di cura e protezione dell’infanzia non sarebbe, per esempio, stato possibile. Dovremmo invece chiederci continuamente cosa è stato prodotto, realizzato, trasformato. Sono domande che in Fondazione Zancan ci siamo fatti costantemente, chiedendoci ogni anno quali fossero le gemme dell’innovazione sociale, quali i problemi emergenti, come far dialogare problemi e potenzialità. E i bambini sono proprio l’espressione vivente delle potenzialità di ogni persona. Non tenerne conto significa guardare l’offerta e non anche i suoi risultati, gli esiti e il beneficio sociale. Il futuro è chiedersi come costruirlo, partendo da molteplici bisogni e molteplici risposte. È per dare risposta a queste domande che la Fondazione Zancan si è impegnata a collaborare con l’ACP, dato che attivare insieme numerose responsabilità significa pensare non soltanto a innovazioni di risposta o di servizio ma anche a innovazioni nei modi di concepire le soluzioni dei problemi e delle persone, e in particolare dei bambini che vivono in situazioni di precarietà. CSB onlus Giorgio Tamburlini Il CSB è impegnato da tempo nella promozione del concetto degli interventi precoci – quindi della necessità che si investa di più nei primi anni di vita del bambino, quelli che più conteranno nella sua formazione – e quindi delle buone pratiche che possono essere attuate dalle famiglie con il supporto dei servizi. Infatti oggi, ancor di più della povertà materiale – che pure è raddoppiata negli ultimi 5-6 anni tra le famiglie con figli – preoccupa la deprivazione educativa, che non comprende solo il fatto che a troppi bambini è precluso l’accesso a un nido di qualità, ma anche, in molti casi soprattutto, la carenza di opportunità, quando non addirittura una delle diverse forme del maltrattamento, dentro le mura domestiche. Il contributo del CSB sta nella parte di questa inchiesta, promossa dall’ACP, che esplora questa dimensione psicologica, 255 research letters sociale ed educativa: siamo infatti convinti che su questo occorra lavorare, sia nella relazione tra i singoli operatori – PdF, operatori dei consultori, altri operatori sanitari e del settore socio-educativo – e i genitori, sia a livello di comunità, di gruppi professionali e di decisori politici. Ci si attende di poter dare a tutti questi attori spunti di conoscenza e di riflessione per la loro attività di informazione e consiglio. Il CSB ha messo a punto un materiale (www.csb.org) da utilizzare, dall’epoca della gravidanza al secondo anno di vita (i primi fondamentali 1000 gg) e che su questa base potrà anche essere migliorato e rivisto. Dipartimento Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Roberto Fasanelli La famiglia può essere considerata la cartina al tornasole di ogni epoca. Non tanto perché subisce passivamente la storia, ma perché rappresenta, per certi versi, la matrice stessa della società. Ciò che è vero per tutti i fatti sociali lo è ancor di più per la famiglia: la sua percezione evolve in funzione delle ansie collettive. Attraverso la famiglia, la società non cessa d’interrogarsi su se stessa e ciascuna epoca storica sembra avere i propri problemi familiari. È proprio il caso degli ultimi anni, in cui lo sguardo rivolto alle famiglie sembra essere cambiato in maniera sostanziale. I diversi temi attinenti all’universo famiglia, infatti, sono oggi terreno di confronto/scontro ideologico. L’emergenza di una nuova attenzione alle problematiche familiari a ogni modo si manifesta nell’evoluzione delle rappresentazioni, dei dibattiti, delle aspettative e infine 256 Quaderni acp 2014; 21(6) delle posizioni dei poteri pubblici. Le rappresentazioni della famiglia, in particolare, non sono più quelle circolanti anche soltanto una decina d’anni fa: la famiglia ormai è percepita attraverso il prisma dell’esclusione sociale. Non sono più il fallimento del matrimonio o la denatalità che inquietano, quanto piuttosto l’attitudine delle famiglie a proteggere i propri membri dalle minacce legate alla crisi socio-economica. La stessa “genitorialità”, totem della progettazione sociale e tabù della pratica d’intervento dell’ultimo ventennio, dallo stadio biologico è approdata a uno stadio più evoluto che coincide con il “prendersi cura di”, laddove partecipare e contribuire alla crescita dell’altro provoca il più grande arricchimento del sé. La genitorialità, finalmente, è intesa come un percorso che si struttura intersecandosi con i vari stadi evolutivi della prole, dei genitori stessi, così come del mondo esterno alla famiglia. Il crescente interesse per la creazione di contesti preventivi e di protezione nei suoi confronti si fonda sulla considerazione empirica che la precoce identificazione di segnali di vulnerabilità è molto più efficace del potenziale intervento riabilitativo. La riorganizzazione continua e significativa dei paradigmi teorici di riferimento, attualmente, focalizza l’attenzione sulla “matrice relazionale” intesa come ambito costitutivo dell’esperienza dei significati personali e interpersonali. Un discorso a parte merita il disagio legato al contesto socio-economico e/o al supporto affettivo, due ambiti fortemente interconnessi: quello socio-economico sotteso alla mancanza o all’inadeguatezza dell’autonomia economica, lavorativa e/o di alloggio; quello ambientale, corre- lato all’assenza di un contesto supportivo adeguato alla crescita del bambino. Tale disagio riguarda spesso donne che raramente hanno scelto la gravidanza e presentano sradicamenti ambientali, gravidanze adolescenziali, gravi problemi di carenza o distorsione del supporto relazionale, tipici di contesti familiari conflittuali, che si contraddistinguono per violenza, aggressività, relazioni instabili o dipendenza da sostanze psicotrope. Altrettanto importanti sono quei fattori di rischio derivanti dall’assenza di protezione, sostegno e sicurezza. Genitori maltrattanti o abusanti determinano significativi problemi inerenti alla regolazione delle emozioni, la prevalenza di espressioni emotive primarie, quali collera e rabbia, ed espressioni emotive secondarie, come vergogna e colpa. Il retroterra teorico di riferimento degli interventi che l’indagine intende attivare, è sotteso dallo spostamento dell’attenzione dalla diade primaria alla triade madre-padre-bambino. Sulla scia di questo approccio teorico è risultato necessario elaborare una metodologia osservativa attraverso la quale analizzare la triade in questione, collocandola nel suo macro-sistema di riferimento che vede giocare un ruolo fondamentale, oltre al sistema relazionale interno (genitori-figli), anche a quello dei caregivers informali (amici/parentialtri nuclei familiari) e a quello dei caregivers formali (PdF/operatori sociali-servizi sociosanitari). Il Dipartimento di Scienze Sociali, dalla sua nascita impegnato a dialogare con quest’ultimo sistema territoriale, è lieto di mettere le proprie competenze professionali a disposizione di questa iniziativa progettuale. u Quaderni acp 2014; 21(6): 257-259 Un percorso uguale per tutti gli screenati? L’esempio della fibrosi cistica (FC) Sergio Conti Nibali Pediatra di famiglia, Messina Il nuovo Forum di Quaderni è dedicato agli screening in pediatria. La scelta è caduta su questo argomento perché negli ultimi decenni lo scenario delle patologie per le quali è possibile una diagnosi in fase pre-clinica è profondamente cambiato, così come anche i criteri classici per ritenere proponibile uno screening di popolazione hanno, forse, subito modifiche. Di questi aspetti si occuperanno i vari interventi ospitati nelle pagine della rivista. Si comincia con un contributo di Sergio Conti Nibali, dedicato in particolare alle problematiche connesse alle cure nei primi mesi di vita del bambino con fibrosi cistica (FC) diagnosticata mediante screening neonatale. Attenzione particolare viene data al ruolo e alle attività del pediatra di famiglia (PdF). Ogni presentazione di Sergio ai lettori di Quaderni, della cui redazione fa parte, appare superflua. È socio di lunga data dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP) e i suoi contributi in tema di nutrizione infantile, allattamento al seno, etica dei comportamenti medici, conflitti d’interesse, demedicalizzazione, pediatria basata sulle prove, qualità delle cure, formazione, molti dei quali reperibili su PubMed, sono ampiamente noti. Chi volesse intervenire sugli aspetti oggetto di questo Forum può farlo scrivendo al Direttore di Quaderni o a me personalmente ([email protected]). Carlo Corchia La premessa Uno screening deve essere suggerito da ipotesi scientifiche attendibili e con elevate utilità attese, che dipendono dalla rilevanza del danno che l’esito dello screening potrebbe ridurre e dall’efficacia dei trattamenti che esso potrebbe indurre. Gli screening neonatali per l’ipotiroidismo e la fenilchetonuria soddisfano tali requisiti; per la fibrosi cistica (FC) a tutt’oggi non vi è una dimostrazione incontrovertibile dell’efficacia dello screening sui principali outcome, in termini di guadagno prognostico negli screenati rispetto ai non screenati. Se infatti sono abbastanza acclarati i miglioramenti di natura nutrizionale e di auxologia, ancora non sembrano stabiliti con certezza quelli a livello polmonare e sulla durata della vita. Quando lo screening si basa sulla ricerca delle mutazioni porta inevitabilmente a diagnosticare, oltre alle forme classiche, anche delle forme più miti, alcune delle quali sarebbero comparse in età avanzata, o addirittura non sarebbero emerse; nonché nuove mutazioni prima ignorate, delle quali ancora non si conoscono né il significato né tantomeno la storia naturale. Questo pone tra l’altro interrogativi etici sull’opportunità di etichettare come malate delle persone che in realtà forse non lo sarebbero [1]. È stato ipotizzato, per esempio, che i neonati con sufficienza pancreatica (≤ 10% dei malati FC) probabilmente non traggono beneficio da un programma di screening neonatale [1]. La mia esperienza Ho lavorato per dieci anni in un reparto di FC, fino al 1993, epoca pre-screening; buona parte dei bambini era diagnosticata tardivamente, spesso con sintomi importanti e con penose peregrinazioni prima di arrivare alla diagnosi definitiva; i genitori alla fine ricevevano una diagnosi che, se da un lato spiegava i sintomi, dall’altra apriva uno scenario drammatico. Adesso i 5 pazienti con FC che seguo nel mio ambulatorio sono stati diagnosticati per screening, tranne uno con ileo da meconio; e questo aspetto è tutt’altro che irrilevante, in quanto l’approccio oggi è con la famiglia di un bambino apparentemente sano, ma che, da un esame di laboratorio, ha saputo che il proprio figlio potrà presentare tutta una serie di sintomi o problemi nel corso della vita. Una famiglia che ha davanti un bambino che ha un comportamento e uno stato di salute non diversi da quelli del neonato che un’altra mamma teneva tra le sue braccia subito dopo il parto nella stanza dell’ospedale dove avevano partorito insieme. Il papà e la mamma di questo bambino diagnosticato per screening sono genitori che avrebbero voluto (dovuto?) confrontarsi con il loro bambino e che invece spesso si confrontano con una malattia sebbene ancora, a volte, non espressa. Sono genitori che vorrebbero (dovrebbero?) confrontarsi con la normalità e che invece apprendono che il loro bambino si allontanerà da questa “normalità”, ma non sanno quando, in quale momento della vita. È l’altra faccia della medaglia dello screening della FC che, se da una parte ci permette la diagnosi alla nascita, dall’altra si intromette con una forza dirompente nel primo periodo della vita di un bambino e, dunque, nella relazione che si stabilisce con i genitori accudenti. Da PdF ho imparato a valorizzare molto questo periodo; so che dallo stile di accudimento, e perciò da tutto quello che lo può influenzare, dipende molto lo stato di “salute” del bambino. La domanda I genitori di un neonato con FC asintomatico, diagnosticato attraverso screening, hanno bisogno sin da subito di avviare un programma di controlli con annesso ricovero in un Centro specializzato, o piuttosto hanno bisogno di essere seguiti dal loro PdF (competente) come tutti gli altri bambini e avere un accompagnamento “soft” da parte del Centro di riferimento? Le risposte possibili Le Linee Guida (LLGG) internazionali dettate dalla Cystic Fibrosis Foundation ci forniscono alcuni elementi di discussione appropriati al punto di domanda [2]. – “The psychosocial impact of the diagnosis of CF on the family must be carefully addressed at the initial visit”. Per corrispondenza: Sergio Conti Nibali e-mail: [email protected] forum 257 forum – “An initial visit within 24 to 72 hours of diagnosis (1 to 3 working days in the absence of overt symptoms)”. – “The pivotal role that both the parents and primary care provider (PCP) play as part of the CF team should be emphasized at the early visits”. Le LLGG auspicano un’attenzione particolare all’impatto psicosociale della diagnosi sulla famiglia; propongono un immediato contatto entro uno-tre giorni con la famiglia del neonato sano ed enfatizzano il ruolo dei genitori e del PdF all’interno del team del Centro di riferimento. In altri termini è come se il neonato e la sua famiglia debbano ricevere il più presto possibile l’imprinting da parte del Centro di riferimento, centro che molto spesso si trova molto distante dall’abitazione della famiglia, a volte a centinaia di chilometri; ed è lì che, in effetti, la famiglia deve trovare il punto di riferimento per i suoi bisogni. Per cui diventa “normale” che i genitori comincino a confrontarsi da subito con un bambino “immaginario”, quello con la FC, piuttosto che con il loro bambino. Di norma i genitori di fronte al loro neonato sano esprimono dei bisogni, hanno delle attese, si pongono delle domande, hanno delle paure che riguardano, per esempio, l’accudimento, l’allattamento e l’alimentazione in generale, la crescita; una mamma con un bambino apparentemente sano, ma con FC diagnosticata allo screening, può perdere questo bisogno di “normalità”? Se sì, cosa comporta questa perdita? Le LLGG danno indicazioni precise sui controlli da eseguire: – “Standard pediatric visits are at age 1 to 2 weeks and at 2, 4, 6, 9, and 12 months in the first year of life; CF Center visits should be once monthly during the first 6 months, and every 1 to 2 months in the second 6 months of life” [2]. Essi variano da 15 a 22 nel primo anno tra centro e pediatra. In media un nuovo nato sano riceve 5-6 controlli nel primo anno; una famiglia con un bambino con FC deve effettuare il quadruplo dei controlli, di cui oltre la metà lontano da casa, anche se asintomatico. Quanto incide tutto questo nel vissuto di una famiglia nelle prime fasi della relazione con il nuovo nato? 258 Quaderni acp 2014; 21(4) L’esempio della nutrizione Il primo anno di vita rappresenta una straordinaria sequenza di eventi e di esperienze che per il bambino e per i genitori costituiscono la base per il benessere futuro; vi sono alcuni aspetti cruciali di grande importanza; almeno due riguardano la nutrizione: l’allattamento e l’avvio dell’alimentazione complementare. – “The CF Foundation recommends that children reach a weight-forlength status of the 50th percentile by 2 years of age, though achieving this goal earlier in infancy is likely to be beneficial”. – “The goal for infants with CF is to be at or above the 50th percentile weightfor-length (‘slightly chubby’)”. – “Well-designed clinical trials are not available that define which type of milk feeding (human or formula) or what type of diet should be recommended for the infant and toddler with CF” [2]. Lo stato di benessere di un bambino “normale” dipende solo in parte dal suo percentile peso-altezza; anzi, uno degli obiettivi principali del lavoro del PdF è di aiutare i genitori a valorizzare tutto il resto per capire se un bambino sta bene o no; bambini con percentili ottimali possono crescere “male” e viceversa. Il primo obiettivo è quello di promuovere l’allattamento al seno; a parte il fatto che non sarebbe etico prospettare un trial clinico che preveda una randomizzazione tra allattati e non allattati, non bisognerebbe mai porsi la domanda se esistano trial ben disegnati che sostengano tale scelta. L’eccessiva attenzione ad aumentare l’apporto calorico sin dalla nascita potrebbe scoraggiare l’allattamento al seno in favore di formule “ipercaloriche”, come dimostrerebbe uno studio osservazionale, che tuttavia non mostra problemi di crescita, ma al contrario benefici respiratori nei bambini con FC allattati (seppur per soli due mesi) con latte materno esclusivo [3]. L’attenzione delle LLGG (e quindi le attese che vengono riversate sui genitori di un lattante con FC) è rivolta a ottenere un bambino “paffutello”; certamente le attese dei medici diventano di conseguenza quelle dei genitori che faranno di tutto per raggiungere l’obiettivo; e tutto questo influenzerà le scelte sull’alimentazione del loro bambino e in particolare la scelta di allattarlo e di proseguire l’allattamento se il peso non andrà oltre una certa soglia di crescita. Contemporaneamente, se l’obiettivo non viene raggiunto, possono attivarsi dinamiche relazionali che potrebbero influenzare negativamente l’avvio dell’alimentazione complementare. Così facendo si educano i genitori a dare più attenzione alle calorie del cibo piuttosto che a una “normale” relazione con il cibo. Recenti ricerche hanno tentato di identificare il ruolo dei fattori psicologici all’origine dei disturbi dell’alimentazione infantile e la possibile correlazione con l’ambiente accudente. Durante l’infanzia, l’alimentazione rappresenta un’esperienza fondamentale per lo sviluppo del rapporto tra madre e figlio, in cui i segnali emotivi influiscono sulla comunicazione dei bisogni, dei desideri e del piacere e sulla stabilizzazione dei ritmi biologici [4]. Il rapporto tra il caregiver e il bambino è caratterizzato da un elevato grado di coordinamento e bidirezionalità, e gli scambi costituiscono un sistema di regolazione, in cui ciascuno influenza e regola il comportamento dell’altro; queste influenze possono favorire o bloccare un adattamento reciproco, proteggere da eventuali fattori di rischio o, al contrario, trasmettere influenze negative [5]. È stata dimostrata una maggiore frequenza di disturbi alimentari precoci con madri coercitive, che attuano un controllo stretto dell’alimentazione, con difficoltà nel riconoscere empaticamente i segnali di fame e sazietà nel bambino e di regolazione degli stati affettivi del bambino; i bambini in contatto con madri che misurano la loro competenza come genitore in relazione a quanto il loro bambino mangia, mostrano una maggiore frequenza di interazioni diadiche disfunzionali durante l’alimentazione rispetto al gruppo di controllo [6-7]. E che questi siano problemi che bisogna affrontare nella gestione dei pazienti con FC lo confermano le stesse LLGG, laddove si evidenzia che “parents of infants and toddlers with CF report higher rates of children’s unwillingness to try new foods, having a poor appetite, and preferring to drink rather than eat” [2]. forum BOX: QUANTO INCIDONO GLI SCREENING SULLA QUALITÀ DI VITA? L’ESEMPIO DELLA FIBROSI CISTICA (FC) I neonati con sufficienza pancreatica probabilmente non traggono beneficio da un programma di screening neonatale della FC. Le LLGG, pur auspicando un’attenzione particolare all’impatto psicosociale della diagnosi sulla famiglia, propongono un immediato contatto entro uno-tre giorni con la famiglia del neonato sano e almeno 15 controlli nel primo anno tra Centro e pediatra. Uno degli obiettivi terapeutici è il raggiungimento del 50º centile del rapporto peso/altezza e avere un bambino “paffutello”. L’impatto negativo che le raccomandazioni delle LLGG possono avere nella relazione tra bambino e genitori e, di conseguenza, nello sviluppo psicologico del bambino dovrebbe essere tenuto in considerazione per sperimentare nuovi modelli di presa in carico in alcuni casi specifici. Le stesse considerazioni potrebbero essere estese ad altri screening neonatali per i quali non si conosce con certezza l’utilità attesa. Conclusioni I punti di domanda rispetto al reale vantaggio di una diagnosi precoce dello screening neonatale della FC potrebbero essere ancora tanti. Le risposte non possono prescindere dagli auspici delle LLGG per i futuri studi nel campo della FC: “All studies in infants should include development assessments and quality of life measures that are specific to patients in this age range” [2]. Lo screening infatti porta inevitabilmente a diagnosticare, oltre alle forme classiche, anche delle forme più miti, alcune delle quali sarebbero comparse in età Quaderni acp 2014; 21(6) avanzata, o addirittura non sarebbero emerse; nonché nuove mutazioni prima ignorate, delle quali ancora non si conoscono né il significato né tantomeno la storia naturale. Questo pone, tra l’altro, interrogativi etici sull’opportunità di etichettare come malate delle persone che in realtà forse non lo sarebbero. L’impatto negativo che le raccomandazioni delle LLGG possono avere nella relazione tra bambino e genitori e, di conseguenza nello sviluppo psicologico del bambino, dovrebbe essere tenuto in considerazione per sperimentare nuovi modelli di presa in carico in alcuni casi specifici. Le stesse considerazioni potrebbero essere estese ad altri screening neonatali per i quali non si conosce con certezza l’utilità attesa. u Bibliografia [1] Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica onlus. Screening neonatale della fibrosi cistica. Una rassegna della letteratura. Verona, ottobre 2008. [2] Borowitz D, Robinson KA, Rosenfeld M, et al. Cystic Fibrosis Foundation Evidence-Based Guidelines for Management of Infants with Cystic Fibrosis. J Pediatr 2009(6 Suppl);155:S73-93. doi: 10.1016/j.jpeds.2009.09.001. [3] Jadin SA, Grace SW, Zhang Z, et al. Growth and pulmonary outcomes during the first 2 y of life of breastfed and formula-fed infants diagnosed with cystic fibrosis through the Wisconsin Routine Newborn Screening Program. Am J Clin Nutr 2011;93(5):1038-47. doi: 10.3945/ajcn.110. 004119. [4] Field T. The effects of mother’s physical and emotional unavail-ability emotional regulation. Monogr Soc Res Child Dev 1994;59(2-3):208-27. [5] Chatoor I. Eating and nutritional disorders of infancy and early childhood. In: Wiener JM, Dulcan MK (Eds). Textbook of Child and Adolescent Psychiatry. American Psychiatric Publishing Inc, 20043, pp. 527-43. [6] Stein A, Woolley H, McPherson K. Conflict between mothers with eating disorders and their infants during mealtimes. Br J Psychiatry 1999; 175:455-61. [7] Lindberg L, Bohlin G, Hagekull B, Palmerus K. Interactions between mothers and infants showing food refusal. Infant Ment Health J 1996;17:334-47. ANTONELLA COSTANTINO NUOVO PRESIDENTE NAZIONALE SINPIA L’Associazione Culturale Pediatri (ACP) saluta il Presidente Nazionale SINPIA, Antonella Costantino, Direttore UONPIA Fondazione IRCCS “Ca’ Granda” Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e si congratula per la sua elezione. La Sua presenza al vertice della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) nazionale può facilitare quell’incontro tra le varie realtà della pediatria da sempre auspicato a tutti i livelli, con la ricerca di sinergie in merito a obiettivi formativi e modelli efficaci nell’ambito della salute mentale dei bambini e degli adolescenti, tra le priorità di intervento da tempo individuate a livello nazionale dall’ACP. SIGARETTE ELETTRONICHE E BAMBINI Il Global Burden of Disease Study attribuisce 6,4 milioni di morti per il 2010 al fumo di tabacco. Nel periodo 1990-2010 le morti sono aumentate del 18%. Il successo ottenuto dalle politiche finora attuate è dunque nullo. Il dibattito sulle sigarette elettroniche (inalazione di una soluzione a base di acqua, glicole propilenico, glicerolo, nicotina in quantità variabile, ma non residui di combustione come catrame, benzene e idrocarburi policiclici aromatici) ha questa giustificazione. Pochi sono gli studi attendibili sulla loro innocuità, mentre sembra certa l’attrattiva su ragazzi e bambini esercitata dall’uso di questi dispositivi, vista la dichiarazione di non nocività. Il recente US National Youth Tobacco Survey ha dimostrato un forte aumento di coloro che ne fanno uso in questi gruppi di popolazione: dai 79.000 del 2011 ai 263.000 del 2013. Si suggeriscono perciò barriere nella propaganda di tali sigarette per prevenire per lo meno la vendita ai bambini (Lancet 2014;384:825). 259 Quaderni acp 2014; 21(6): 260-263 L’Équipe Multidisciplinare in ambito materno-infantile: uno strumento di intervento socio-sanitario integrato Antonella Liverani*, Teresa Ilaria Ercolanese**, Enrico Valletta** *Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche; **Dipartimento Materno-Infantile, AUSL della Romagna, Forlì Abstract Multidisciplinary Team for mother and child care: a tool for integrated health care Aims Since 2008 within the Forlì Birth Program operates a Multidisciplinary Team (MDT) with the participation of different health care and social services aimed at taking care of different needs emerging during pregnancy. We reviewed the activity of the MDT focusing on functional and organization features. Methods MDT activities between 2008 and 2012 were reviewed Results 156 situations were discussed, 92% had been directly taken care of. The number of cases per year were progressively increasing. 36% of the cases dealt with problems of social nature; 51% and 13% were respectively situations regarding mother and child health. In 38% of the cases the activation of a single Service was needed; in 38%, 17% and 7% two, three or more than three Services were needed respectively. Conclusions The integrated work of social and health Services allowed the MDT to face operatively and efficiently with complex social and health needs. Quaderni acp 2014; 21(6): 260-263 Obiettivi L’Équipe Multidisciplinare (EMD) opera, dal 2008, all’interno dal Percorso Nascita (PN) di Forlì con la partecipazione di diversi Servizi socio-sanitari per affrontare situazioni problematiche emerse nel corso della gravidanza. Tracciamo qui un profilo dell’attività svolta dall’EMD discutendone gli aspetti funzionali e organizzativi. Metodi Sono stati riesaminati i casi trattati dall’EMD negli anni 2008-2012. Risultati Sono stati discussi 156 casi, il 92% dei quali preso in carico dall’EMD. Il numero dei casi/anno appare in costante aumento. Le problematiche trattate sono di natura sociale nel 36% dei casi, mentre riguardano aspetti sanitari della madre nel 51% e del bambino nel 13% delle situazioni. Nel 38% dei casi la gestione è stata affidata a un solo Servizio; sono stati coinvolti due, tre e più di tre Servizi, rispettivamente nel 38%, 17% e 7% delle situazioni. Conclusioni L’integrazione tra Servizi socio-sanitari che partecipano all’EMD è stata in grado di offrire risposte articolate e flessibili a bisogni assistenziali anche complessi. Il Percorso Nascita (PN) del Distretto di Forlì prende forma tra la fine degli anni ’90 e il 2000 e si sviluppa in un contesto di collaborazione e integrazione tra la componente sanitaria dell’AUSL e quella sociale dei Comuni e dei Centri per le Famiglie del territorio forlivese. La finalità è quella di offrire ai futuri genitori un percorso di accompagnamento che consenta di vivere con consapevolezza e serenità l’esperienza della gravidanza e del parto fino al ritorno a casa attivando, al meglio, le risorse educative, sociali e sanitarie disponibili sul territorio. L’organizzazione e l’evoluzione di questo progetto sono state recentemente descritte in una raccolta di interventi in occasione dei dieci anni di attività del PN [1]. Le linee di indirizzo della Regione EmiPer corrispondenza: Enrico Valletta: e-mail: [email protected] 260 lia-Romagna, in tema di PN, sono reperibili all’interno di documenti della Giunta Regionale e dell’Assessorato Politiche per la Salute [2-3]. L’Équipe Multidisciplinare (EMD) si struttura nel 2008, come strumento operativo del PN, per dare risposta a situazioni problematiche dal punto di vista socio-sanitario emerse durante il percorso di accompagnamento alla nascita. È una metodologia di lavoro che consente la prevedibilità degli eventi e dei bisogni e una pianificazione degli interventi prima del parto. Al tavolo dell’EMD siedono gli operatori dei servizi socio-sanitari interessati alla gestione del caso e tra questi viene individuato il Servizio referente che ne curerà la presa in carico e il coordinamento del progetto. Seguono incontri periodici tra tutti i Servizi coinvolti per fare il punto della situazione, analizzare i provvedimenti adottati, verificarne il risultato e apportare gli eventuali correttivi al percorso concordato. Dopo cinque anni durante i quali l’esperienza dell’EMD ha avuto modo di consolidarsi, è utile tracciare un profilo dell’attività svolta per discutere gli aspetti pratici più rilevanti di uno strumento che, grazie alla stretta integrazione tra i Servizi, ha consentito di gestire situazioni socio-sanitarie di rilevante complessità. Metodi Sono stati riesaminati i casi trattati dall’EMD dal 2008 al 2012 ed estrapolati i dati relativi alla provenienza e alla specificità delle situazioni, al numero e tipologia dei Servizi coinvolti e all’andamento di queste variabili nel corso dei cinque anni di attività. Le riunioni dell’EMD hanno cadenza mensile, ma può essere indetta una riunione straordinaria ogni volta vi siano situazioni urgenti da affrontare. Le componenti costitutive dell’EMD sono il Dipartimento Materno-Infantile (Ostetricia-Ginecologia e Pediatria-Neonatologia), il Consultorio, il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche (DSMDP), la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (NPIA), il Servizio Sociale, il Centro Famiglie e il Dipartimento di Cure Primarie (Pediatria di Comunità e Consultorio Salute Donna). Altri Servizi vengono attivati secondo necessità. Il coordinamento dell’EMD è affidato alla Psicologa del PN e le riunioni sono preparate con un ordine del giorno diffuso per email. La riunione si chiude con la restituzione di un verbale che riporta l’analisi dei casi discussi, le decisioni operative assunte e i ruoli di responsabilità individuati. A seconda delle circostanze, viene fissata una data di verifica per ciascun caso o si affidano al responsabile del caso il monitoraggio dell’evoluzione e l’eventuale segnalazione per la rivalutazione. salute pubblica Risultati Nel corso dei cinque anni considerati, sono stati discussi dall’EMD 156 casi, dei quali 144 (92%) hanno determinato la presa in carico da parte di uno o più Servizi dell’Équipe. Nel rimanente 8% dei casi, l’EMD ha ritenuto di procedere esclusivamente con un approccio osservazionale, non avendo ravvisato elementi di rischio tali da richiedere interventi mirati. I casi proposti all’EMD sono stati individuati dai diversi Servizi referenti seguendo criteri di gravità specifici per ciascun Servizio e tali da identificare un livello di rischio medio-alto. L’andamento del numero di casi/anno esaminati è graficamente rappresentato nella figura 1. Rispetto alla media (n = 27/anno) delle situazioni prese in esame nel periodo 2008-2011, nel 2012 i casi considerati (n = 47) sono aumentati del 74%. Le segnalazioni all’EMD sono pervenute dai Servizi ostetrici (territorio e/o ospedale) in 120/156 (77%) casi, e dalla Neonatologia/Pediatria in 36 (23%) casi. Nel corso degli anni, le segnalazioni ostetriche hanno rappresentato una quota crescente delle situazioni esaminate dall’EMD, fino a diventare l’85% (40/47) nel 2012 (figura 2). Le ostetriche e i ginecologi del Consultorio Salute Donna e dell’UO di Ostetricia rappresentano il primo filtro in grado di valutare i fattori di rischio psico-sociale e i segni di disagio materno e di definirne il livello di gravità. Già in questa fase si attiva l’accompagnamento e si delinea la possibile presa in carico da parte dell’EMD. La frequenza con la quale i diversi Servizi (singolarmente o in collaborazione) sono stati coinvolti nella gestione dei casi è riportata nella figura 3. Il Servizio sociale – Area Adulti (AA) o Area Tutela Minori (ATM) – è stato coinvolto in 124 (88%) casi, il DSMDP in 65 (33%). In 22 (14%) situazioni si è ricorso alla dimissione protetta della coppia madre-bambino con accoglienza in comunità o casafamiglia. Le problematiche trattate erano prevalentemente di natura sociale in 52 (36%) casi mentre riguardavano aspetti sanitari della madre in 73 (51%) e del bambino in 19 (13%) situazioni. Le aree di intervento del Servizio sociale AA hanno riguardato difficoltà di ordine economico o abitativo. Il Servizio sociale ATM si è fatto carico delle problematiche relative al sostegno alla genitorialità, Quaderni acp 2014; 21(6) FIGURA 1: NUMERO DI CASI ESAMINATI E PRESI IN CARICO DALL’EMD NEL CORSO DEGLI ANNI 2008-2012 FIGURA 2: PROVENIENZA DELLE SEGNALAZIONI ALL’EMD al riconoscimento dell’assegno di maternità, ai contributi economici per latte e pannolini e agli interventi di supporto educativo per il contesto familiare fino all’inserimento della coppia madre-bambino o del minore in comunità protetta. Il ruolo del DSMDP si è giocato su livelli diversi. Da un lato, l’accompagnamento psicologico che ha valutato la sintomatologia depressiva, l’attaccamento madre-bambino e la relazione di coppia. Dall’altro, l’intervento psichiatrico vero e proprio che ha garantito, anche dopo la dimissione, la continuità assistenziale nel caso di scompensi gravi e acuti in prossimità del parto o nel post-partum. Le cosiddette “dimissioni in ambito protetto” hanno riguardato situazioni che richiedevano una maggiore tutela per il minore. Quando l’inserimento ha riguardato la coppia madre-bambino, l’individuazione della comunità ha tenuto conto dei bisogni e delle condizioni sanitarie materne, pur mantenendo come obiettivo primario l’instaurarsi del legame con il bambino e il raggiungimento di una sufficiente autonomia nell’espressione della genitorialità. La gestione delle situazioni prese in carico dall’EMD ha richiesto, in diverse occasioni, la collaborazione di più di un servizio socio-sanitario. In 55 (38%) casi la gestione è stata affidata a un unico servizio, mentre sono stati coinvolti 2, 3 e più di 3 servizi, rispettivamente in 54 (38%), 25 (17%) e 10 (7%) situazioni. Nel corso degli anni emerge il 261 salute pubblica progressivo incremento dei servizi coinvolti (fino a un massimo di 6 nel 2012) sul singolo caso. Discussione Il lavoro dell’EMD, concepita come strumento operativo del PN del Distretto di Forlì, ha consentito di affrontare situazioni di importante disagio emerse lungo il percorso di una gravidanza, attivando sinergicamente le risorse presenti sul territorio e afferenti alle aree sanitaria, sociale e del terzo settore. Raccogliere in forma strutturata attorno a un tavolo queste singole componenti ha consentito di rispondere in maniera articolata a una grande varietà e complessità di bisogni, garantendo la continuità assistenziale e l’accompagnamento nei passaggi territorio-ospedale-territorio, coordinando gli interventi e monitorandone gli esiti. Nel corso del tempo, l’EMD è diventata uno strumento utilizzato anche all’interno del Dipartimento Materno-Infantile a fronte di situazioni individuate in Pediatria e Neonatologia che manifestassero disagio psico-sociale o bisogni sanitari particolari con necessità di sostegno a domicilio. I dati di attività testimoniano il costante incremento delle situazioni prese in carico dall’EMD. È un incremento che, se da un lato può ricondursi a una crescente attenzione degli operatori dei diversi Servizi nel cogliere bisogni e fragilità, dall’altro non può non tenere conto dell’attuale contesto socio-economico di particolare difficoltà [4]. Le ricadute sono evidenti sul piano sociale ma possono esserlo anche sullo stato di benessere psicofisico del nucleo familiare fino a rendere necessario un sostegno a tutela del neonato. Questi fenomeni rendono stringente il tema dell’appropriato utilizzo dell’EMD e delle sue risorse. Si tratta di risorse umane ed economiche non trascurabili. In tal senso, sono state utilizzate griglie di rilevazione informatizzate che permettono il monitoraggio della gravidanza, raccolgono l’anamnesi personale e familiare sul piano psichico, i fattori di rischio psicosociale e il quadro sintomatico attuale. Non a caso la principale fonte di segnalazioni è stata rappresentata dai Servizi ostetrici del Consultorio e dell’Ospedale, a confermare il periodo della gravidanza come importante finestra di osservazione sulle fragilità e sul disagio della donna e del 262 Quaderni acp 2014; 21(6) FIGURA 3: FREQUENZA CON LA QUALE SONO STATI COINVOLTI NELLA GESTIONE DEI CASI I SINGOLI SERVIZI. IL TOTALE È SUPERIORE AL 100% PERCHÉ IN MOLTE SITUAZIONI C’È STATO IL COINVOLGIMENTO DI PIÙ DI UN SERVIZIO *Servizio Sociale Area Adulti; °Servizio Sociale Area Tutela Minori; ^Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza; **Servizio Dipendenze Patologiche; ***Assistenza Domiciliare Integrata. suo nucleo familiare [5-7]. Non raramente emergono vissuti di tossicodipendenza, patologia psichiatrica nota o latente o condizioni sociali gravemente compromesse. Se è opportuno che vengano mantenuti un’osservazione e un sostegno dopo la dimissione, la transizione ospedale-territorio può prevedere anche l’attivazione della Visita Domiciliare Ostetrica. Costante è il coinvolgimento del pediatra di famiglia, in grado di cogliere eventuali segnali di sofferenza del bambino, disfunzioni all’interno della relazione madre-bambino e il manifestarsi di un disagio psichico materno successivo al parto. In attesa che l’EMD concretizzi gli interventi necessari, l’accoglimento del neonato in Neonatologia può rappresentare uno spazio di osservazione e transizione utile al perfezionamento della dimissione protetta. Le segnalazioni che provengono direttamente dalla Neonatologia o dalla Pediatria riguardano generalmente situazioni di disagio che per motivi diversi (elusione dei percorsi pre-parto, latenza o recente insorgenza delle difficoltà psicosociali) non sono state intercettate nel corso della gravidanza. Il numero e la tipologia dei Servizi che l’EMD è in grado di mobilitare sono assai variabili, dipendendo dal profilo della situazione e dalla sua complessità. Il Servizio sociale è coinvolto nella quasi totalità dei casi con compiti di sostegno per i nuclei familiari in difficoltà economiche, abitative o culturali o prendendo provvedimenti a tutela del minore. Può predisporre la sorveglianza del nucleo familiare, l’accoglienza della coppia madre-bambino in una struttura protetta (comunità, casa-famiglia) o l’allontanamento del neonato e l’affidamento secondo le indicazioni del Tribunale dei Minori. I disturbi della sfera psichica hanno costituito motivo di intervento per i Servizi di Psicologia e/o di Psichiatria in circa un terzo dei casi con un evidente incremento negli ultimi due anni. Con sempre maggiore frequenza più Servizi sono chiamati a contribuire alla gestione del singolo caso e il coordinamento delle azioni è affidato al Servizio maggiormente coinvolto (box). Negli ultimi due anni, il 14% (10/71) dei casi ha richiesto l’intervento coordinato di almeno 4-6 Servizi. Nella nostra esperienza, l’EMD si è dimostrata, allo stesso tempo, punto di riferimento importante per gli operatori del PN (ma anche per l’intero Dipartimento Materno-Infantile) e strumento efficace di previsione, pianificazione e coordinamento degli interventi. La conoscenza salute pubblica delle situazioni problematiche in anticipo rispetto al parto ha ridotto i tempi di intervento con una conciliazione tra le esigenze dell’area sanitaria (contenimento dei tempi di ricovero, certezza di presa in carico da parte del territorio, condivisione dei percorsi sanitari dedicati) e quelle dell’area sociale (ricerca delle migliori soluzioni, rispetto dei tempi burocratici e giuridici, reperimento e allocazione delle risorse). Nella nostra realtà il coordinamento dell’EMD è affidato alla psicologa del PN alla quale convergono le richieste e le proposte avanzate dai diversi Servizi e che diventa quindi un elemento “cardine” che tiene unite le parti del percorso del singolo caso e i professionisti che operano intorno a esso. Conclusioni Dopo cinque anni di attività, rileviamo come l’EMD si sia dimostrata una metodologia di grande utilità nell’affrontare le situazioni multiproblematiche dal punto di vista socio-sanitario che, sempre più frequentemente, emergono nel percorso di accompagnamento alla gravidanza e nel periodo post-parto. L’integrazione tra Servizi appartenenti ad aree diverse è stata in grado di offrire risposte articolate e flessibili a bisogni assistenziali complessi. La consuetudine al lavoro integrato non esime da un costante coordinamento delle attività dell’EMD con l’obiettivo di tenere aggiornati e monitorati i percorsi di sostegno e tutela avviati. Ringraziamenti Desideriamo ringraziare tutti coloro che hanno contribuito all’ideazione, alla realizzazione e alle attività dell’EMD del PN di Forlì. Sapendo che ci sarebbe impossibile citare tutti coloro che si sono avvicendati attorno al tavolo di lavoro, ci limitiamo a ricordare alcuni responsabili Quaderni acp 2014; 21(6) BOX: SINTESI DI UN CASO ESEMPLIFICATIVO La donna, di origine cinese, è affetta da depressione bipolare. Alla 34ª settimana di gravidanza, manifesta uno scompenso psicotico con disturbo dispercettivo che la porta al ricovero in Psichiatria. La crisi è stata preannunciata, qualche giorno prima, da attacchi d’ansia e stato di agitazione. La gravidanza era monitorata nell’ambulatorio della Gravidanza a Rischio per diabete gestazionale e controllo della crescita fetale con parto cesareo programmato alla 38ª settimana. L’EMD ha seguito il passaggio della paziente dalla Psichiatria all’Ostetricia mantenendo la continuità assistenziale e condividendo con lei e il marito gli obiettivi socio-sanitari per garantire l’accompagnamento e il sostegno alla madre e una condizione di tutela per la neonata. Il Progetto ha previsto la pianificazione degli interventi coinvolgendo gli operatori della Psichiatria e dell’Ostetricia, il Servizio Sociale ATM, il Terzo Settore e il Servizio di Mediazione Culturale in vista di una dimissione protetta. Il ricovero in Ostetricia è stato gestito, 24 ore su 24, con la presenza del marito alternata a quella della sorella della paziente. Si è attivato il servizio di mediazione culturale per un’ora al giorno, con la presenza della psichiatra e, talora, dell’assistente sociale. La degenza è stata prolungata per qualche giorno, per verificare la stabilizzazione psichica della donna e per permettere al Servizio sociale di individuare una comunità protetta idonea ad accoglierla. Si rendeva necessaria una Struttura in grado di gestire la relazione con una paziente psichiatrica che, pur avendo raggiunto un compenso degli aspetti psicotici e avere avviato una prima relazione con la neonata, manteneva una condizione di rallentamento psichico e appariva ancora poco reattiva ai bisogni della bambina. Lei stessa manifestava la necessità di un maternage che la rassicurasse e la aiutasse a orientare le sue risorse sull’accudimento e sull’attaccamento affettivo. Alla dimissione sono state programmate visite domiciliari ostetriche presso la struttura protetta. È stata assicurata la continuità assistenziale da parte del Centro di Salute Mentale per il monitoraggio del quadro psichico e della terapia farmacologica e la presa in carico da parte del Servizio Sociale ATM per garantire la condizione di tutela della neonata. dei Servizi coinvolti, estendendo a tutti i loro collaboratori il nostro ringraziamento: Maria Teresa Amante, Anna Baldoni, Celestino Claudio Bertellini, Nadia Bertozzi, Stefano Boni, Paola Dalla Casa, Gianfranco Gori, Nancy Inostroza, Licia Massa, Giustino Melideo, Edoardo Polidori e Claudio Ravani. Grazie, per il loro costante impegno, anche agli operatori delle Comunità Protette, Case Famiglia, Centro di Aiuto alla Vita, Caritas e altre realtà del Terzo Settore. u Bibliografia [1] Bertozzi N, Inostroza N, Balzani V, Martino F (a cura di). La nascita colora la vita. Azioni e progetti intorno al Percorso Nascita nel territorio forlivese. Franco Angeli, 2012. [2] Giunta della Regione Emilia-Romagna. DGR 533/2008. www.saluter.it/documentazione/leggi/ regionali/delibere/dgr-533-2008-nascita/view. [3] Regione Emilia-Romagna. Assessorato politiche per la salute. Il percorso nascita in EmiliaRomagna. www.saluter.it/documentazione/convegni-e-seminari/conferenza-nazionale-cure-primarie/il-percorso-nascita-in-emilia-romagna. [4] ISTAT. Condizioni economiche delle famiglie e disuguaglianze. www.istat.it/it/archivio/condizioni-economiche-delle-famiglie. [5] Righetti PL, Casadei D (a cura di). Sostegno psicologico in gravidanza. Edizioni Magi, 2005. [6] Righetti PL (a cura di). Gravidanza e contesti psicopatologici. Dalla teoria agli strumenti di intervento. Franco Angeli, 2010. [7] La Sala GB, Iori V, Monti F, Fagandini P (a cura di). La “normale” complessità del venire al mondo. Incontro tra scienze mediche e scienze umane. Guerini Studio, 2006. 263 mentale Quaderni acp 2014; 21(6): 264 Rubrica a cura di Angelo Spataro Nati per la Musica Intervista di Angelo Spataro* a Stefano Gorini** *Pediatra di famiglia, Palermo, Responsabile del Gruppo “Salute mentale” dell’ACP **Pediatra di famiglia, Rimini, Coordinamento Nazionale “Nati per la Musica” “Nati per la Musica” (NpM) è un progetto per la diffusione della musica da 0 a 6 anni finalizzato a sensibilizzare i genitori affinché creino attorno al bambino un ambiente musicalmente stimolante. Il bambino sembra venire al mondo con un cervello preparato a elaborare il proprio mondo musicale e sembra che la capacità di percepire e apprezzare la musica sia innata. Quali sono i vantaggi di questo progetto? A chi deve essere rivolto? L’esposizione alla musica rafforza il legame affettivo e influisce sullo sviluppo cognitivo. È la musica in se stessa o sono anche la quantità e la qualità della relazione madre-bambino e la stessa voce materna a influire nello sviluppo del bambino? Le componenti affettive e cognitive sono strettamente legate fra loro e si alimentano a vicenda. Il fatto che il bambino venga al mondo con un cervello già perfettamente in grado di riconoscere la musica ci fa capire che l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo iniziano già nella vita uterina e che la musica, fra i tanti stimoli che arrivano al bambino, può favorire questi apprendimenti. Nei neonati è presente una dominanza emisferica destra per la percezione dell’informazione musicale simile a quella osservata negli adulti, e già a poche ore di vita i sistemi neurali interessati sono sensibili a minime alterazioni nella struttura musicale. Il neonato è in grado di riconoscere le melodie che la madre cantava con una certa frequenza nell’ultimo trimestre di gravidanza, periodo in cui si struttura la funzione uditiva, ed è in grado di distinguere la voce della mamma da quella del papà e queste voci da quelle degli altri familiari. Quando i genitori cantano, nel bambino si attivano alcune aree del piacere, e tutto questo concorre al positivo sviluppo di quelle esperienze socio-affettive che si andranno strutturando nelle età successive. Se la mamma parla in modo neutrale queste aree non si attivano o si attivano meno; si attivano se la sua cadenza è musicale (il motherese) o se canta. In uno studio che, prendeva in esame bambini di 6 mesi si è notato che, quando la mamma canta, in essi aumenta l’attenzione maggiormente rispetto a quando parla. Che rapporto c’è fra lo sviluppo del linguaggio e la musica? Le competenze musicali svolgono un ruolo cruciale nelle prime fasi dell’acquisizione del linguaggio, dato che l’elaborazione delle informazioni prosodiche fornisce indicazioni importanti per l’identificazione di sillabe, parole e frasi. Linguaggio e musica non utilizzano substrati nervosi completamente soPer corrispondenza: Angelo Spataro e-mail: [email protected] 264 vrapponibili, ma le neuroimmagini ci suggeriscono che alcune funzioni, come la sintassi, possono richiedere risorse neurali comuni a entrambi. Queste osservazioni sono veramente interessanti e si sta ora investigando quale aiuto la musica possa fornire in alcune condizioni come la dislessia. A tale proposito va citato il Progetto di ricerca tutto italiano “ReMus”, che per la prima volta documenta positivamente questa promettente prospettiva. Ma in definitiva la musica a cosa serve? Le ricadute positive dell’esperienza musicale sullo sviluppo del bambino riguardano diversi aspetti. Per sensibilizzare l’opinione pubblica su questi argomenti e per promuoverne le buone pratiche sia in famiglia sia a scuola recentemente è stato pubblicato, a cura del Coordinamento Nazionale di NpM, il manifesto “Le buone pratiche musicali aiutano i bambini a crescere”. Esso ha ricevuto il supporto di alti esponenti del mondo sanitario, musicale, dell’arte e della cultura, della ricerca e delle scienze (http://www.natiperlamusica.it/img/IT_manifesto_npm.pdf). Nel manifesto si evidenzia come l’esperienza musicale precoce stimoli lo sviluppo cognitivo, linguistico, emotivo, comunicativo e sociale del bambino e offra opportunità eccellenti per interazioni di qualità all’interno della famiglia. La ricerca ha inoltre dimostrato che le competenze specifiche acquisite dal bambino in ambito musicale favoriscono e potenziano anche lo sviluppo di altre funzioni di base e competenze inerenti ambiti non prettamente musicali. Per esempio fare musica stimola lo sviluppo dell’attenzione, della discriminazione uditiva, della memoria, della coordinazione motoria e della capacità di interagire con l’altro: abilità necessarie per apprendere in generale. È anche dimostrato che l’attività musicale migliora le abilità linguistiche e di lettura. Fare musica avvicina il bambino alla bellezza rinforzandone la motivazione ad apprendere attraverso il piacere, il gioco e il divertimento. L’attività musicale in famiglia consente poi l’instaurarsi di un terreno favorevole alle esperienze musicali successive e crea dunque i presupposti per lo sviluppo della sensibilità musicale del bambino. NpM rientra nell’ambito del sostegno alla genitorialità soprattutto per le famiglie in situazione di svantaggio. Esistono a volte barriere sociali, culturali ed economiche che impediscono di arrivare proprio in quelle famiglie la cui situazione di svantaggio è tale da comportare la mancata ricezione dell’importanza del progetto di aiuto. Come si può ovviare a questo importante inconveniente? È importante che siano coinvolti tutti i professionisti che incontrano il bambino fin dalla più tenera età. Come in Nati per Leggere, anche in NpM il ruolo del pediatra è fondamentale per l’autorevolezza del suo ruolo e perché viene in contatto con tutti i bambini. Credo non si possa, per quanto detto precedentemente, non dedicare un poco del proprio tempo a NpM durante le visite periodiche. Sintetizzando al massimo, quello che è richiesto è di informare i genitori, indirizzandoli anche al sito di NpM e al blog, e se disponibile distribuire il materiale cartaceo messo a diposizione dal CSB. Oltre al pediatra partecipano al progetto ostetriche, personale infermieristico, educatrici dei nidi e scuole materne, bibliotecari, insegnanti e animatori musicali specializzati per l’età infantile. Per quanto riguarda il sostegno alla genitorialità, che è una delle priorità dell’ACP, sappiamo che l’intervento è tanto più utile quanto più il nucleo familiare è a rischio psicosociale e che le ricadute positive di questo sostegno possono essere notevoli sia per l’individuo che per la società. Requisiti di efficacia di un’azione di sostegno alla genitorialità sono, fra gli altri, l’inizio precoce e la durata nel tempo. Con la musica si inizia a coinvolgere la mamma già nell’ultimo trimestre di gravidanza, per esempio durante i corsi pre-parto. Comunque a ogni età del bambino l’intervento di sostegno tramite la musica è semplice e non particolarmente impegnativo dal punto di vista economico, anche per le famiglie più svantaggiate. La musica infatti entra in ogni casa e la voce rappresenta il primo strumento musicale, gratuito, a disposizione di tutti. La musica può essere veramente uno strumento per superare le disuguaglianze e gli esempi non mancano. Uno fra tutti è l’esperienza di “El Sistema” venezuelano, che si è rivelata una grande opportunità di condivisione e socializzazione e quindi di riscatto sociale offerta a migliaia di bambini attraverso la musica. u Quaderni acp 2014; 21(6): 265-266 L’epatite A nei Paesi in via di sviluppo: un problema di transizione Enrico Valletta, Martina Fornaro UO di Pediatria, AUSL della Romagna, Forlì È possibile, paradossalmente, che il miglioramento delle condizioni igienicosanitarie nelle zone meno sviluppate del Nord Africa e del Medio Oriente porti nuovi problemi di salute per quelle popolazioni e che questo coinvolga, non marginalmente, anche noi europei al di là di un Mediterraneo sempre più piccolo e sempre più percorso da imponenti flussi migratori. Uno sguardo a quanto sta accadendo all’epidemiologia del virus dell’epatite A (HAV) può servirci da esempio. Il grado di endemia dell’HAV in un territorio è strettamente correlato alla disponibilità di acqua e alle condizioni igienico-sanitarie della popolazione: maggiore è il grado di povertà tanto più precocemente l’infezione sarà contratta nel corso della prima infanzia [1-2]. La figura 1 ci dice che all’età di 14 anni, in un’area a elevata endemia (Africa sub-sahariana) il 100% dei bambini avrà già contratto l’infezione; in una zona a endemia intermedia (Nord Africa - Medio Oriente) il 70% sarà sieropositivo mentre meno del 20% dei bambini europei (bassa endemia) sarà venuto a contatto con l’HAV alla stessa età. L’epatite A è una malattia a esito sostanzialmente benigno che non cronicizza mai e che nei primi 5-6 anni di vita decorre in maniera asintomatica (epatite anitterica) in oltre il 90% dei casi con una bassissima mortalità (0,1-0,3%). Al contrario l’85-90% degli adulti infettati sviluppa epatite e ittero con un decorso variabile da 2-3 settimane a 6-12 mesi e con un tasso di mortalità che cresce con l’età fino a raggiungere il 2% oltre i 4050 anni. In una situazione di endemia elevata/intermedia il principale serbatoio di infezione è costituito dai bambini che trasmettono l’HAV per via orofecale e con i contatti interpersonali in situazioni di scarsa igiene ambientale. Con una popolazione già praticamente del tutto immunizzata in età infantile, le FIGURA 1: SIEROPREVALENZA PER HAV IN REGIONI A ENDEMIA ALTA (AFRICA SUBSAHARIANA), INTERMEDIA (NORD AFRICA - MEDIO ORIENTE) E BASSA (EUROPA OCCIDENTALE). MODIFICATA DA [1] Africa sub-sahariana Nord Africa - Medio Oriente epidemie di epatite A sono molto rare e scarso è l’impatto sulla popolazione adulta, sia in termini sanitari che economici. Del tutto diversa è la realtà nei Paesi sviluppati, dove la gran parte dei soggetti adulti è ancora suscettibile all’infezione e dove si verificano ricorrenti focolai da contaminazione alimentare (molluschi crudi: Shangai 1988, Puglia/Campania 1996-97; frutti di bosco congelati: Europa/Italia 2013), da viaggiatori provenienti da Paesi a elevata endemia (Europa, 2012-13) o in gruppi a rischio (disagiate condizioni sociali, tossicodipendenti, maschi omosessuali: Repubblica Ceca, Lettonia, Slovacchia, 2008) [3-5]. Parallelamente al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie nei Paesi in via di sviluppo, anche l’epidemiologia dell’HAV sta cambiando e si assiste a un progressivo spostamento dell’età alla quale viene contratta l’infezione, dall’infanzia all’adolescenza e all’età adulta. È quanto si sta verificando nella regione nordafricana e del Medio Oriente dove Europa occidentale l’impatto dell’epatite A, modesto fino a che la malattia è rimasta confinata all’interno della prima infanzia, assume un significato clinico ed economico ben diverso nel momento in cui l’infezione interessa fasce sempre più ampie della popolazione adulta [6]. Il fenomeno, tuttavia, così come l’evoluzione igienicosanitaria, tende a svilupparsi a macchie di leopardo e il contatto diretto tra popolazioni a differente grado di endemia e di suscettibilità alla malattia porta all’emergere di focolai epidemici prima pressoché sconosciuti. In Arabia Saudita la percentuale di sieropositività nei bambini di 9-10 anni è scesa dal 68% nel 1989 all’11,4% nel 2005, in un’area (Palestina, Turchia, Iraq, Siria) che permane a elevata diffusione dell’HAV con quote di sieropositività nell’infanzia superiori al 90% [7]. Nel 2008 l’Arabia Saudita ha così deciso di inserire nel proprio programma vaccinale anche la vaccinazione per HAV per tutta la popolazione pediatrica [8]. Per corrispondenza: Enrico Valletta e-mail: [email protected] internazionale 265 osservatorio internazionale Quaderni acp 2014; 21(6) CONVEGNO INTERNAZIONALE MULTIDISCIPLINARE Nel frattempo l’Europa occidentale sta vivendo l’altra faccia del problema: regione a elevato sviluppo e a bassa endemia per HAV, si confronta con una crescente immigrazione proveniente da Paesi a elevata diffusione del virus e con i periodici viaggi che le prime e le seconde generazioni di immigrati effettuano nei Paesi di origine. In Olanda, l’HAV ha picchi di incidenza stagionali in relazione al ritorno di giovani turchi e marocchini che vanno in visita alle famiglie nelle terre di provenienza, contraggono l’HAV e al ritorno in Olanda trasmettono l’infezione nelle comunità scolastiche e successivamente agli adulti [9]. I più giovani che non avevano già avuto contatto con l’HAV prima di emigrare e ancor più le seconde generazioni nate e cresciute in Europa divengono i vettori principali di un’infezione che mette in connessione aree distanti e a differente grado di endemia. Per contrastare questo fenomeno, dal 1998 diverse municipalità olandesi hanno varato un programma di vaccinazione per l’HAV rivolto ai giovani turchi e marocchini che hanno in programma un viaggio in patria [10]. In prospettiva non c’è dubbio che l’Italia dovrà porre attenzione al problema e alcuni dati relativi al Piemonte mostrano già un elevato rischio di contrarre l’infezione per i bambini immigrati (soprattutto da Marocco, Egitto e Romania) che trascorrono le vacanze estive nei Paesi di origine e sviluppano la malattia, in autunno, al loro ritorno in Italia [11]. In Puglia, l’inserimento della vaccinazione per HAV nel programma vaccinale, dopo l’epidemia del 1996-97, ha consentito di contrastare efficacemente la circolazione del virus in una popolazione a rischio intermedio per cause essenzialmente alimentari [12]. In sintesi, sembrano confermarsi le recenti raccomandazioni del World Health Organization (WHO), che consigliano un’estensiva vaccinazione per HAV nei Paesi a endemia intermedia – o in via di transizione da alta a intermedia – per interrompere la circolazione del virus e limitare il contagio in età adulta [13]. Nei Paesi a elevata endemia la grande diffusione dell’infezione asintomatica nella prima infanzia non giustifica una politica vaccinale di massa, mentre nei Paesi a 266 bassa o bassissima circolazione dell’HAV la vaccinazione dovrebbe essere attivamente offerta ai viaggiatori in zone endemiche, come protezione individuale e per limitare i focolai epidemici al loro ritorno. u Siamo grati a Rosario Cavallo per alcuni utili suggerimenti bibliografici. Bibliografia [1] Jacobsen KH. The global prevalence of hepatitis A virus infection and susceptibility: a systematic review. WHO, 2009. [2] Kamal SM, Mahmoud S, Hafez T, El-Fouly R. Viral hepatitis A to E in South Mediteranean countries. Mediterr J Hematol Infect Dis 2010; 2(1):e2010001. doi: 10.4084/MJHID.2010.001. [3] European Centre for Disease Prevention and Control. Outbreak of hepatitis A in EU/EEA countries. Second update, 11 April 2014. ECDC, 2014. [4] MacDonald E, Steens A, Stene-Johansen K, et al. 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In occasione del X “Convegno di Neuropsichiatria Quotidiana per il Pediatra” ACP, Centro Brazelton di Firenze, ISIPSÉ, Associazione Natinsieme Mi fido di te! Valorizzare le competenze del bambino, dell’adolescente e dei genitori Un tributo a T. Berry Brazelton Roma, Auditorium Antonianum 13 e 14 marzo 2015 Il sostegno alla genitorialità passa per il riconoscimento e la promozione, sia nei genitori che negli operatori, delle risorse, competenze e intenzionalità creative del bambino dalla nascita fino all’adolescenza. Sostenere la fiducia in queste capacità è alla base dell’approccio Brazelton che dialogherà con la Psicologia dello Sviluppo e con la Psicoanalisi Relazionale che in anni recenti hanno contribuito al cambiamento di paradigma verso la prospettiva intersoggettiva. Ciò ha permesso di sviluppare altri approcci per il sostegno alla cogenitorialità, inclusa l’esperienza dell’uso del videofeedback in un ambulatorio del pediatra di famiglia. L’evento è rivolto a tutti gli operatori che lavorano con la famiglia: pediatri, neonatologi, psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatri infantili, riabilitatori, infermieri, ostetriche, educatori. Il Convegno vedrà la partecipazione di esperti di fama internazionale – Berry Brazelton, Joshua Sparrow, Kevin Nugent, Nadia Bruschweiler Stern e Colwyn Trevarthen – che, oltre a presentarci i risultati delle recenti ricerche e il loro pensiero fortemente innovativo sulle interazioni precoci e lo sviluppo neuropsichico nei primi mesi di vita e nell’età dell’adolescenza, discuteranno tra loro e con i partecipanti, anche con casi clinici presentati da operatori di diversa professionalità in una cornice interdisciplinare. Ci auguriamo che questa iniziativa possa facilitare una reale e più fattiva collaborazione nell’assistenza al bambino, all’adolescente e alla sua famiglia, sia a livello ospedaliero che territoriale, tramite percorsi formativi comuni e lo scambio di esperienze tra operatori di diversa professionalità, realizzando così l’obiettivo che dieci anni fa il professor Panizon aveva pensato per il Convegno di NPI quotidiana per il pediatra. Per informazioni e iscrizioni: www.convegnobrazeltonroma.it Quaderni acp 2014; 21(6): 267 Leggo perché scrivo Giancarlo Biasini Direttore editoriale Ha avuto grande successo il video A Magazine Is an iPad That Does Not Work. Una bambina di un anno gioca con un iPad passando le dita sullo schermo. Poi ripete la manovra strisciando su una rivista cartacea. La sua delusione è chiara: Does Not Work. Per intendere la differenza fra carta e schermo occorre riandare ad alcune nozioni. Non esiste nel cervello un “centro” per la lettura. Nella evoluzione l’uso delle lettere è un evento relativamente recente, forse collocabile nel III-IV millennio a.C. Si ipotizza che le lettere abbiano una origine pittografica. La lettera A avrebbe indicato la testa del bue o del toro (in semitico Alpu), la B la pianta della casa (in semitico Betu), la K il palmo della mano (Kappu) e così via. Per la loro comprensione sarebbero state utilizzate le regioni cerebrali del riconoscimento degli oggetti. Lo scritto sarebbe quindi una sorta di paesaggio materiale fatto di parole viste come immagini [1]. Ci sono dati che sembrerebbero confermare questo assunto. Capita infatti di ricordare la posizione di un verso o di una poesia su una pagina, come se la poesia fosse una figura. Io so che, nel testo del liceo, il famoso Ille mi par esse deo videtur di Catullo è in una pagina di sinistra, in alto al centro. Una immagine mentale, un paesaggio resistente per decenni. Tornando alla lettura, fra le fatiche dei mille giorni, c’è anche il lavoro di costruire, all’interno delle reti, dei circuiti a essa dedicati. Questo può avvenire rubando “fili” dedicati ad altre capacità geneticamente dedicate come linguaggio, vista, udito o altro. Come nascono i circuiti? Uno studio del 2009 su bambini di 5 anni, rilanciato il 24 gennaio 2012 con una News Release, dimostra che i circuiti cerebrali dedicati alla lettura si attivano molto più efficacemente quando i bambini scrivono a mano rispetto a quando battono i tasti su una tastiera [2-3]. La dimostrazione è stata ottenuta misurando con risonanza magnetica funzionale l’attivazione neurale prima e, successivamente, tre differenti tipologie di sessioni sperimentali: scrittura manuale, al computer, semplice visione di lettere su una lavagna o su uno schermo. La spiegazione è semplice: una parola appresa con la scrittura a mano richie- de un apprendimento concordato visivo/manuale assai più lungo di quello di batterla sulla tastiera. L’Autore della ricerca aggiunge che i suoi studenti ricordano meglio le informazioni una settimana dopo averle scritte a mano rispetto a quando le hanno battute o semplicemente lette alla lavagna. Sempre su questo argomento Anne Mangen (Università di Stavanger) ha condotto una sperimentazione su 72 ragazzi di 17 anni [4]. Metà ha letto un testo su carta, metà su un file PDF. Sottoposti a un test di comprensione del testo dava risultati significativamente migliori chi aveva letto su carta. Il dato è confermato da un discreto numero di altre ricerche, e in una non conclusa, la Mangen ha confrontato il coinvolgimento dei lettori di un testo narrativo breve su carta o su iPad [1]. Chi leggeva il testo su carta era più coinvolto nella storia di quello che la leggeva su schermo. Alla base di tutto questo starebbe il concetto che più sono le parti del corpo impegnate nel processo di leggere/scrivere maggiore è la capacità di comprendere e di apprendere. Si tratterebbe di una ulteriore applicazione del “learning by doing”: quando si leggono le lettere imparate con la scrittura manuale si attivano più parti del corpo e del cervello. La mano che si muove lascia una memoria nell’area sensimotoria che aiuta stabilmente il riconoscimento delle lettere. In un esperimento in due gruppi di adulti Mangen assegnò il compito di scrivere lettere di un alfabeto ignoto in due gruppi: uno a mano, l’altro su tastiera. Tre e sei settimane dopo i due gruppi furono testati per il riconoscimento delle stesse lettere dritte e invertite. Il gruppo “mano” ebbe risultati migliori. L’area di Broca risultava fortemente impegnata in questo gruppo; quasi per nulla nell’altro. Si potrebbe dedurre, ma è presto, che i bambini con difficoltà di apprendimento possano trarre beneficio dalla attivazione della componente sensi-motoria [5]. Ancora interessante una ricerca preliminare di Chiong e coll. che ha coinvolto 32 coppie di genitori e bambini fra i 3 e i 6 anni, focalizzata su quanto ricordano i bambini di una breve storia di 10 minuti che veniva loro letta dai genitori in un libro cartaceo, in un e-book semplice e in un e-book che integrava la lettura digitale con animazioni (enhanced e-book) [6]. La conclusione non coincide con qualche dato sopra riportato: i bambini che raccontano la storia letta su carta ed e-book non si comportavano in maniera sostanzialmente diversa. Quelli con enhanced e-book venivano particolarmente distratti dall’apparecchiatura e ricordavano significativamente meno particolari e avevano minori interazioni. Gli Autori però (bicchiere mezzo pieno) suggeriscono che l’enhanced e-book può essere uno strumento attrattivo per bambini poco motivati alla lettura. Un questionario, successivo alla ricerca e inviato a 1220 genitori, rivelava che la maggioranza riferiva che i figli preferiscono un libro stampato a un e-book per la lettura condivisa. Una recentissima indagine su 165 diadi genitori-bambini ha dichiarato che, nella lettura dialogica, la relazione nella coppia e la comprensione della storia da parte dei bambini sono ambedue negativamente influenzate dall’utilizzo della forma elettronica [7]. La presenza di tasti nell’ebook è fortemente distraente (“smetti di premere i bottoni e stai attento alla storia”). In conclusione, sembra che la carta abbia (ancora? O forse molto cambierà con la diffusione del digitale nelle generazioni?) dei vantaggi nella lettura condivisa e specialmente nei primi 1000 giorni. u Bibliografia [1] Jabr F. Carta contro pixel. Le scienze 2014; 1;67-71. [2] James KH, Atwood TP. The role of sensimotor learning in the perception of letter-like-forms: traching the causes of neural specialization for letters. Cogn Neuropsychol 2009;26(1):91-110. doi: 10.1080/02643290802425914. [3] James KH. Printing, cursive, keyboarding: What’s the difference when it comes to learning? Indiana University New Release. January 13, 2012. [4] Mangen A. Paper beats computer screens. Science Nordic March 13, 2013. [5] Trond Egil T. Better letter through handwriting. Science daily June 27, 2012. [6] Chiong C, Ree J, Takeuchi L, et al. Comparing parent-child co-reading un print, basic amd enhanced e-book platforms. The Joan Ganz Cooney Center Report, Spring 2012. [7] Parish-Morris J, Mahajan N, Hirsh-Pasek K, et al. Once Upon a Time: Parent-Child Dialogue and Storybook Reading in the Electronic Era. Mind, Brain, and Education 2013;7:200-11. doi: 10.1111/ mbe.12028. Per corrispondenza: Giancarlo Biasini e-mail: [email protected] 267 Quaderni acp 2014; 21(6): 268-270 La riforma della filiazione Augusta Tognoni Magistrato Abstract The reform of filiation The Law 10/12/2012 n. 219 is a milestone in family law: it equalises the legal treatment of children born “inside and outside marriage”; eliminates any distinction/discrimination between “legitimate” and “natural” children; allows the creation of a parental network regardless of the type of union, enhancing family ties that previously did not have a legal significance, with consequent impact on the patrimonial, succession and emotional sphere of children. Significant is the replacement of “parental authority” with “parental responsibility”, as a new instrument of cohesion of the parent-child relationship. The child is a “person” subject of law, which “must” be heard on all matters concerning him in accordance with the fundamental principles of the Constitution and International Rights Conventions. Quaderni acp 2014; 21(6): 268-270 La Legge 10/12/2012 n. 219 è una tappa fondamentale nel Diritto di famiglia: parifica il trattamento giuridico dei figli nati “dentro e fuori dal matrimonio”; elimina ogni distinzione/discriminazione tra figli “legittimi” e figli “naturali”; consente la creazione della rete parentale indipendentemente dall’unione matrimoniale dei genitori, valorizzando legami familiari che in precedenza non assumevano rilievo giuridico, con conseguenti ricadute nella sfera affettiva, patrimoniale, successoria dei figli. Significativa è la sostituzione dell’espressione “potestà genitoriale” con “responsabilità genitoriale”, come nuovo strumento di coesione dei rapporti genitori-figli. Il figlio è “persona”, soggetto di diritto, che “deve” essere ascoltato per tutte le questioni che lo riguardano nel rispetto dei princìpi fondamentali della Costituzione e delle Convenzioni internazionali. La riforma della filiazione, introdotta dalla Legge 10/12/2012 n. 219 e completata dal D.L. 154/2013, incide su due elementi strutturali della società: il rapporto di filiazione e la relazione parentale. Evidenzia anche il ruolo del diritto come valenza sociale, culturale e antropologica. La Legge 219/2012 innova profondamente il Diritto di famiglia con l’affermazione del principio della unicità dello “status” del figlio; rappresenta la compiuta realizzazione di un processo di tutela dei soggetti deboli nel segno dell’uguaglianza del trattamento giuridico dei figli, a prescindere dal fatto che la procreazione sia avvenuta o meno in un contesto coniugale, secondo le linee tracciate dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali (Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata con Legge 176/1991; Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996, attuata con Legge 77/2003; art. 24 Carta di Nizza del 2000; art. 6 Trattato di Lisbona; Regolamento Europeo 2201/2003). Il nuovo criterio ordinante è il valore prioritario concesso ai diritti individuali rispetto all’interesse collettivo del gruppo familiare. L’art. 315 del Codice civile (c.c.) con proposizione inequivoca stabilisce che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, con il corollario (art. 74 c.c. come modificato) che “la parentela è il vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio sia nel caso in cui è avvenuta fuori di esso”. La condizione giuridica del figlio è tutelata in ogni ordine di rapporti come valore autonomo e indipendente dal vincolo eventualmente esistente tra i genitori. Le nuove disposizioni segnano una frattura netta rispetto alla precedente regolamentazione che manteneva distinta la posizione del figlio legittimo, al quale solo era riservata piena collocazione nella rete familiare, rispetto a quella del figlio naturale riconosciuto, la cui relazione giuridica era circoscritta al genitore e al corrispondente ascendente; si considerava cioè estraneo rispetto ai propri fratelli e sorelle, rispetto agli zii, ai cugini. In sintesi: il principio di uguaglianza dei figli si realizza non solo nella relazione verticale tra genitori e figli, ma anche in quella orizzontale con gli ascendenti e i parenti, in quanto la parentela dipende dalla generazione, non già dal matrimonio, che non si configura più come elemento di differenziazione del rapporto giuridico genitori-figlio-parenti. Il ruolo degli ascendenti In questa ottica estremamente innovativo è l’art. 317 bis c.c.: “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”. L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore, con la considerazione che il punto di vista degli ascendenti viene elevato da posizione soggettiva a vero e proprio diritto (art. 336, 2º comma c.c). È un diritto che ha la caratteristica di autonomia, perché prescinde dalla posizione dei genitori e dalla loro relazione e può emergere indipendentemente dai comportamenti di questi, dal loro stato di unione o separazione e mediante richieste dirette nei confronti di uno di essi o di entrambi. Il contenuto della formula “rapporti significativi” deve essere letto non tanto in termini quantitativi e materiali, quanto piuttosto in termini qualitativi, come diritto a partecipare alla vita del minore. Il “diritto dei nonni” a una relazione affettiva profonda e stabile nella catena generazionale, discusso e auspicato in molti studi giuridici e psicologici, è acquisito come valore positivo che contribuisce ad arricchire l’esperienza esistenziale del nipote. Per corrispondenza: Augusta Tognoni e-mail: [email protected] la legge 268 il bambino e la legge Responsabilità genitoriale Significativa, sotto il profilo culturalepsicologico, è la sostituzione della formula tradizionale di “potestà genitoriale” con l’espressione “responsabilità genitoriale”, recepita dalle fonti internazionali e sovranazionali (parental responsibility nella Dichiarazione ONU dei diritti del fanciullo del 1959 e nel regolamento CE n. 2201/2003; in particolare, il Children Act britannico del 1989 esprime una sintesi di poteri, diritti, responsabilità del genitore verso il figlio e il suo patrimonio). La nozione di “responsabilità genitoriale” comporta la riorganizzazione sistematica delle norme che regolano i rapporti genitori-figlio (art. 316 c.c.). La relazione illustrativa della riforma precisa che con il termine “responsabilità” si indica una situazione giuridica complessa “idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione, con l’avvertenza che “la modifica terminologica dà risalto alla diversa visione prospettica che nel corso degli anni si è sviluppata ed è ormai da considerare patrimonio condiviso”; “i rapporti genitori-figli non devono più essere considerati avendo riguardo circa il punto di vista dei genitori, ma occorre porre in risalto il superiore interesse dei figli minori”. Ciò appare coerente rispetto alle Linee Guida (LLGG) emerse nelle discipline europee; in particolare l’art. 2 n. 7 Reg. CE 2201/2003 definisce la responsabilità genitoriale come “insieme dei diritti e dei doveri di cui è investita una persona fisica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore, riguardanti la persona o i beni di un minore”, con la puntualizzazione che la responsabilità genitoriale “persiste sino alla maggiore età o all’emancipazione” (art. 318 c.c.) “fino al raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio”. “La responsabilità genitoriale” è un nuovo strumento di coesione dei rapporti genitori-figlio. La responsabilità genitoriale di entrambi i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, annullamento, nullità, cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 317 c.c.). In tali situazioni (art. 337, 1° comma c.c.) il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con cia- Quaderni acp 2014; 21(6) scuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi siano affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno deve contribuire al mantenimento, alla cura e all’educazione dei figli. L’art. 337 ter, 3º comma c.c., sancisce che le decisioni di maggiore interesse per i figli, relative all’istruzione, all’educazione e alla salute, sono assunte di comune accordo, tenendo conto della capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli, con l’indicazione esplicita che in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Sottolinea il legislatore che l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale è circoscritto alla sola ipotesi in cui il figlio sia affidato in via esclusiva a uno solo dei genitori e che anche in tale caso le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori (art. 337 quater). È agevole concludere che il combinato disposto degli artt. 316, 4º comma, 337 ter e 337 quater c.c., consente di affermare la regola dell’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale come principio generale. Il figlio, salvi i casi in cui sia accertato un suo interesse di segno contrario, fa riferimento a entrambe le figure genitoriali investite congiuntamente nei suoi confronti della responsabilità, ossia di quella “situazione giuridica complessa, idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione che viene a sostituire il tradizionale concetto di potestà” (relazione conclusiva 4 marzo 2013 n. 152). L’ascolto del minore Segno dell’evoluzione normativa, volta a realizzare pienamente la tutela della personalità e della sensibilità del minore come soggetto portatore di interessi individuali, è la previsione dell’ascolto del medesimo come criterio di ordine gene- rale. La centralità dell’interesse del minore è descritta nell’art. 315 bis c.c.: “Il figlio minore che abbia compiuto gli anni 12 e anche di età inferiore ove capace di discernimento ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e procedure che lo riguardano”. È un adempimento “obbligatorio” per il giudice nei procedimenti di responsabilità genitoriale e di affidamento in cui debba assumere decisioni che riguardano le scelte esistenziali del figlio, le modalità organizzative di vita più opportune, con la precisazione che “è possibile derogare, ove l’ascolto risulti in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo” (art. 336 bis, 1º comma c.c.). La portata della norma è molto ampia: il richiamo in termini generici a “questioni” e “procedure” impone che l’ascolto debba esplicarsi non soltanto sul versante della tutela giurisdizionale, ma prima ancora “a monte”, nell’ambito delle relazioni familiari. Nella famiglia l’ascolto del minore si pone come condivisione di pensiero, come guida partecipata e consapevole per spingere il figlio sempre più verso capacità di scelte e autodeterminazione contestualizzate nella vita reale; un rapporto nuovo nell’ambito del quale i genitori esercitano una collaborazione morale e giuridica congiuntamente con il figlio, sostenendolo nel suo percorso formativo, assicurandogli e tutelandone la sicurezza, la salute, promuovendone il benessere psico-fisico e la progressiva acquisizione di autonomia. Princìpi successori La previsione di un comune statuto giuridico dei figli con l’equiparazione di tutti i nati comporta la modifica delle LLGG della successione con una prospettiva che cancella la discriminazione iniqua, molto forte e particolarmente sofferta nel campo dell’eredità. La riforma inserisce il figlio naturale nella rete della parentela prima limitata al solo rapporto genitore-figlio. Si amplia la categoria dei successibili e si modifica l’ordine successorio: il figlio nato fuori dal matrimonio diventa un successibile di ciascuno dei parenti del proprio genitore prevalendo rispetto allo Stato, al quale prima soccombeva; in senso inverso tutti i parenti del genitore diventano successibili del figlio nato 269 il bambino e la legge fuori dal matrimonio, con la conseguenza che costoro prevalgono sullo Stato che, in precedenza, in assenza di coniuge, figli o fratelli era l’unico erede. Viene eliminata la facoltà di commutazione che prevedeva la possibilità per i figli legittimi di escludere dalla comunione ereditaria i figli naturali, riducendo la loro posizione a una mera quantificazione monetaria (un esempio semplice per comprendere: i figli legittimi si tenevano la casa e agli altri davano solo una somma di denaro). Azioni di “status” Importanti sono le innovazioni che riguardano le azioni di “status” (disconoscimento della paternità, dichiarazione giudiziale di paternità, contestazione e reclamo dello “status” di figlio, riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali), ma non è questa la sede per discutere problematiche tanto complesse e sfaccettate che richiedono una trattazione specifica. Conclusioni La Legge 219/2012 cancella la distinzione tra figli “legittimi” e figli “naturali”, con la previsione di un comune statuto giuridico dei figli, indipendentemente dall’unione matrimoniale dei genitori. La conseguita consapevolezza del legislatore riguardo alla varietà di situazioni che possono caratterizzare il legame tra i genitori, incidendo sulla sua stabilità, ha condotto a valorizzare legami familiari che in precedenza non assumevano rilievo giuridico. È una trasformazione “epocale” con la creazione del legame di parentela prima limitata al solo rapporto genitore-figlio, con la profonda modifica dei rapporti successori, nel senso che i figli succedono ai parenti del genitore e i parenti del genitore succedono al figlio nato fuori dal matrimonio. Il figlio è inserito nelle relazioni di parentela di entrambi i genitori e vede i genitori congiuntamente coinvolti in una responsabilità nei suoi confronti, che si basa esclusivamente sulla generazione e prescinde dalla tipologia di unione che li lega, dalla sua stabilità e dalla creazione di unioni nuove. L’obbligo dell’ascolto del minore, previsto da norme precise, realizza la tutela dello stesso come “persona” portatrice di diritti e interessi individuali. u 270 SITUAZIONE DEGLI INFERMIERI LAUREATI DISOCCUPATI Valori/anno a dodici mesi dalla laurea 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Marche 0 0 11 13 63 100 Sardegna 0 0 11 9 56 100 Sicilia 29 0 42 47 52 95 Puglia 50 50 0 36 67 91 Campania 0 17 10 44 94 87 Veneto 5 0 0 14 0 84 33 20 25 0 83 80 0 38 22 63 75 74 Calabria Lazio Toscana 4 18 0 23 52 72 Piemonte 0 22 0 21 22 65 Emilia-Romagna 11 0 17 25 27 64 Abruzzo 40 0 0 44 50 36 Friuli Venezia Giulia 0 6 8 0 23 26 Lombardia 0 0 8 22 25 0 Basilicata, Molise, Umbria, Liguria: dati insufficienti Secondo dati di Alma/Laurea (2008-2013) a un anno dalla laurea gli infermieri accettano anche altri impieghi al di fuori della loro professionalità. Al Nord l’anno in cui la disoccupazione (57%) supera l’occupazione (43%) è il 2013. Al Centro la situazione è più critica: nel 2012 disoccupazione al 58% e nelle isole al 76%. L’occupazione ospedaliera è scesa dal 90% del 2006 al 24% del 2013. Cresce l’offerta delle strutture residenziali che supera (51%) l’ambito ospedaliero nel 2012 e regredisce (41%) nel 2013. (Il Sole 24 ORE Sanità, 23- 29 settembre 2014) FLOP DELL’AGENZIA PER L’ITALIA DIGITALE NON SOLO LA SANITÀ L’Agenzia per l’Italia Digitale ha emesso il suo verdetto: sono 10.320 le amministrazioni che nei tempi previsti dal DL n. 90 (misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa) non hanno inviato l’elenco delle proprie “basi dati” e degli applicativi che utilizzano. Tra le inadempienti, decine di aziende sanitarie locali e ospedaliere delle Regioni. All’appello, infatti, mancano 83 Asl su 157; 51 Aziende ospedaliere su 107 e 10 Agenzie sanitarie regionali. Fra le amministrazioni “non pervenute” non risulta solo la sanità, ma anche l’Avvocatura dello Stato, i Ministeri degli Affari Esteri, del Lavoro, della Difesa e dello Sviluppo Economico e perfino (in ambito sanitario!) l’Agenas, a cui il recente Patto della Salute ha affidato non pochi compiti di monitoraggio e valutazione. Quaderni acp 2014; 21(6): 271-273 Una diagnosi quasi per caso Paolo Siani*, Claudia Mandato*, Francesco Esposito**, Federica de Seta°, Giovanna Puoti° *UOC di Pediatria, AO Santobono Pausilipon; **UOC di Radiologia, AO Santobono Pausilipon; °Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali-Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Abstract An almost accidentally diagnosis The case of a 13 year old girl with elevated and persistent fever is described. During hospitalization infectious mononucleosis is diagnosed. For the progressive enlargement of the spleen the patient undergoes an ultrasound examination of the abdomen which showed a mass of pancreatic origin. Further investigations confirm the presence of a rare pancreatic tumor that primarily affects adolescent females and young women in the second decade of life. Quaderni acp 2014; 21(6): 271-273 È descritto il caso di una bambina di 13 anni con febbre elevata e persistente da sei giorni. Durante la degenza è posta diagnosi di mononucleosi infettiva; per il progressivo ingrossamento della milza viene sottoposta a esame ecografico dell’addome che evidenzia una massa a partenza pancreatica. Le indagini successive confermano la presenza di un raro tumore pancreatico che colpisce soprattutto le femmine adolescenti e le giovani donne nella II decade della vita. La storia Francesca, 13 anni, viene ricoverata per il persistere di una febbre elevata (38,539 °C) da sei giorni. Per il passato nulla di rilevante all’anamnesi. Gli esami di laboratorio eseguiti a domicilio hanno mostrato una linfomonocitosi e un’ipertransaminasiemia (x4). Un’ecografia addominale ha evidenziato una splenomegalia. Il percorso diagnostico All’esame obiettivo: peso kg 49,500 (50°-75° pc), altezza 156,5 cm (25°-50° Pc), BMI 20,3 kg/m2 (75°-85° Pc). Condizioni generali compromesse. Aspetto sofferente. Cute e mucose normoemiche e normoidratate. TC 39 °C. PA 110/65 mmHg. Obiettività cardiorespiratoria nella norma. Addome trattabile, non dolente in tutti i quadranti. Fegato palpabile a 1 cm dall’arco costale di consistenza parenchimatosa. Milza palpabile a 3 cm circa dall’arco costale di consistenza parenchimatosa a superficie liscia. Faringe iperemico con tonsille ipertrofiche e iperemiche con piccoli zaffi di essudato bianco-grigiastro. Ingrossamento di due linfonodi sottomandibolari bilateralmente, della grandezza di un cece, spostabili sui piani superficiali e non dolenti. Gli esami di laboratorio mostrano: linfomonocitosi (L 54,6%, M 9,9%), modesta piastrinopenia (113/mm3), ipertransaminasemia (AST 217 UI/l, ALT 342 UI/l) e un aumento della PCR (5,84 mg/l con v.n. < 1 mg/l). In sintesi la ragazzina presenta: – febbre alta da sei giorni – faringo-tonsillite essudativa – linfoadenite sottomandibolare bilaterale. Il laboratorio mostra: – linfomonocitosi – ipertransaminasemia – piastrinopenia. Il fondato sospetto diagnostico è per una mononucleosi infettiva (MNI), avvalorata anche dalla comparsa dopo due giorni dal ricovero di edema palpebrale e di difficoltà respiratoria “alta”, con respirazione orale e russamento da ipertrofia notevole delle tonsille palatine e delle vegetazioni adenoidi. La sierologia per l’Epstein-Barr Virus (EBV) è infatti positiva (VCA IgM fortemente positive, VCA IgG negative). Pertanto Francesca è affetta da MNI. Trascorsi altri quattro giorni di febbre elevata (10 giorni dall’inizio della malattia) la situazione clinica appare immodificata con persistenza della difficoltà respiratoria alta. La milza è aumentata di volume (circa 4 cm dall’arcata costale) e di consistenza rispetto alla valutazione eseguita al momento del ricovero. Si decide di praticare una nuova ecografia addominale per valutare la possibilità di utilizzare la terapia steroidea al fine di ridurre il volume della milza e la difficoltà respiratoria. L’ecografia mostra: fegato di dimensioni aumentate (DL dx 168 mm) a ecostruttura parenchimale omogenea. Vie biliari intra ed extraepatiche non dilatate. Vena porta di calibro regolare. Colecisti alitiasica. Milza di dimensioni aumentate (diam. max 176 mm) a ecostruttura conservata. A livello del pancreas si rileva struttura ovalare con FIGURE 1-2: ECOGRAFIE CHE MOSTRANO LE DIMENSIONI DELLA MASSA E LA SUA IMPRONTA SULLO STOMACO Per corrispondenza: Paolo Siani e-mail: [email protected] 271 il caso che insegna diametro massimo di 43x36 mm tenuamente iperecogena, con scarsi segni di vascolarizzazione (figure 1, 2). L’ecografia addominale, oltre a confermare le notevoli dimensioni della milza, svela la presenza di una massa a partenza pancreatica, non segnalata alla precedente ecografia praticata a domicilio. Che tipo di rapporto potrebbe esistere tra la MNI e questa neoformazione pancreatica? La ricerca della letteratura su PubMed ed Embase, per verificare un’eventuale relazione tra MNI e neoplasie pancreatiche, dà risultato negativo. Quindi, la ragazzina è verosimilmente portatrice già da qualche tempo di questa massa che, con ogni probabilità, non ha alcuna relazione con la MNI di cui soffre e che l’ha portata al ricovero. Si decide un approfondimento diagnostico facendo eseguire una RMN. Il radiologo riferisce: il corpo pancreatico appare ingrandito per presenza di formazione espansiva tondeggiante di circa 42x40 mm, che appare lievemente ipointensa in T1w, con fine disomogeneità di segnale in T2w e che dopo mdc paramagnetico in vena mostra moderato e diffuso enhancement. Diffuso e moderato ingrandimento delle restanti porzioni pancreatiche che mostrano segnale omogeneo. Wirsung non ectasico. La lesione impronta l’antro gastrico. Asse spleno-portale modicamente compromesso dalla formazione su descritta (figure 3, 4). La diagnosi Dopo consulto con il radiologo e il chirurgo si decide di approfondire l’esatta natura della massa pancreatica mediante ago-biopsia attraverso endoscopia ecoguidata. Il quadro macro-endoscopico fa vedere a livello dell’istmo formazione ipoecogena, rotondeggiante, circoscritta di 43x34 mm con dilatazione del Wirsung. La lesione comprime la vena mesenterica senza segni di infiltrazione. L’istologia mostra: fibrina, emazie e abbondanti frustoli di neoplasia a struttura solido-papillare in assenza di necrosi, composta di elementi con atipie lievimoderate, occasionali istiociti schiumosi e depositi lobulari PAS-diastasi positivi. Positività diffusa per vimentina, CD 10, 272 Quaderni acp 2014; 21(6) TABELLA 1: QUANTO INCIDONO GLI SCREENING SULLA QUALITÀ DI VITA? L’ESEMPIO DELLA FIBROSI CISTICA MASSE PANCREATICHE FIGURA 3: RMN. IMMAGINE CORONALE T2W CHE MOSTRA UNA LESIONE CON MARGINI NETTI, IPERINTENSA NEL CORPO DEL PANCREAS CON UNA PSEUDOCAPSULA FIBROSA IPOINTENSA INFIAMMATORIE - Pseudocisti - Pancreatite sclerosante - Linfoplasmocitica NEOPLASTICHE Tumori epiteliali BENIGNI - Cistoadenoma sierico - Cistoadenoma mucinoso - Adenoma intraduttale mucinoso papillare - Teratoma maturo BORDERLINE - Neoplasia cistica mucinosa con displasia moderata - Neoplasie solide pseudopapillari MALIGNI - Adenocarcinoma duttale - Cistoadenocarcinoma sieroso - Cistoadenocarcinoma mucinoso - Carcinoma intraduttale mucinoso papillare - Carcinoma a cellule acinari - Pancreatoblastoma - Carcinoma pseudopapillare solido - Tumori non epiteliali - Tumori neuroendocrini focale per alfa 1-antitripsina e, debole, per sinaptofisina; negatività per cromogranina A e B-catenina. I reperti sono indicativi per tumore pancreatico pseudopapillare cistico. In sintesi, la ragazzina era portatrice di una massa del corpo pancreatico, rivelatasi un tumore pseudopapillare cistico, che non aveva dato mai luogo ad alcun tipo di sintomatologia addominale e scoperta in occasione di un esame ecografico richiesto per valutare il volume della milza in corso di infezione mononucleosica. Ne è seguito l’invio al chirurgo per l’asportazione della massa pancreatica. Commento Il tumore solido pseudopapillare cistico del pancreas (TSP), descritto per la FIGURA 4: RMN. NELL’IMMAGINE ASSIALE “FAT SUPPRESSED” T1W LA PSEUDOCAPSULA FIBROSA È IPOINTENSA (FRECCIA BIANCA) E VI È UN MARGINE INTERNO PERIFERICO CON ALTO SEGNALE (FRECCIA NERA), REPERTO CONCORDANTE CON EMORRAGIA prima volta nel 1959, è una neoplasia inquadrata tra quelle cosiddette “borderline”, al limite cioè tra le neoplasie benigne e maligne del pancreas (tabella 1) [1]. Si tratta di una rara neoplasia con bassa malignità che rappresenta l’1-2% di tutti i tumori pancreatici e che colpisce per lo più bambine adolescenti e giovani donne prevalentemente di origine asiatica [2]. Con l’utilizzo di tecniche d’immagine sempre più sofisticate e con la migliore comprensione della sua fisiopatologia, il numero di pazienti affetti da TSP del pancreas riferiti in letteratura è stabilmente aumentato. Basti pensare che dal 1930 sono stati riportati dalla letteratura di lingua inglese 700 casi totali (bambini e adulti), dei quali oltre i due terzi negli ultimi dieci anni [3-5]. il caso che insegna DAL CASO E DALLA LETTERATURA ABBIAMO IMPARATO CHE – esiste un rarissimo tumore del pancreas, denominato tumore pseudopapillare cistico, che è una neoplasia a bassa malignità; – la sintomatologia, aspecifica, è di tipo gastrointestinale con nausea, vomito, dolori addominali o ittero, ma il tumore può essere, in un terzo dei casi, completamente asintomatico; – la diagnosi può essere casuale nel corso dell’esecuzione di un’ecografia addominale eseguita per altro motivo; – se il tumore viene rapidamente diagnosticato e asportato, la sopravvivenza a 5 anni è del 97%. La patogenesi rimane sconosciuta ma la sua tendenza a colpire femmine adolescenti o giovani donne induce a pensare al coinvolgimento degli ormoni sessuali [6]. È stata infatti ipotizzata la positività del recettore del progesterone nelle cellule neoplastiche. L’immunofenotipo non è suggestivo di una chiara linea cellulare: è stata supposta un’origine da cellule pancreatiche pluripotenti. Le analisi immunochimiche hanno rivelato nel 95% dei casi di TSP la mutazione del gene della beta-catenina (gene CTNNB1) [7]. La presentazione clinica del TSP è abitualmente aspecifica. La maggior parte dei bambini presenta sintomi clinici non peculiari che comprendono dolori addominali, scarso appetito, nausea, vomito, ittero, perdita di peso o massa addominale alla palpazione. Tutti questi sintomi sono correlati alla compressione del tumore sugli organi adiacenti. In circa un terzo dei casi il tumore è del tutto asintomatico. È spesso diagnosticato, come nel caso descritto, durante un’ecografia o Quaderni acp 2014; 21(6) una TAC dell’addome praticata per altri motivi. La TAC o, meglio, la RMN dell’addome consentono una diagnosi molto fondata di sospetto che dev’essere confermata dalla agobiopsia eco-guidata. Il trattamento di elezione è la resezione chirurgica che è in grado di consentire una prognosi relativamente favorevole. La sopravvivenza totale a 5 anni si avvicina al 97% nei pazienti trattati chirurgicamente [8]. La morte, come conseguenza diretta del tumore, è rara ed è descritta la sopravvivenza per anni o per decenni anche in presenza di malattia disseminata asintomatica. u Bibliografia [1] Yu PF, Hu ZH, Wang XB, et al. Solid pseudopapillary tumor of the pancreas: a review of 553 cases in Chinese literature. World J Gastroenterol 2010;16(10):1209-14. [2] Law JK, Ahmed A, Singh VK, et al. A systematic review of solid-pseudopapillary neoplasms: are these rare lesions? Pancreas 2014;43(3):331-7. doi: 10.1097/MPA.0000000000000061. [3] Papavramidis T, Papavramidis S. Solid pseudopapillary tumors of the pancreas: review of 718 patients reported in the English literature. J Am Coll Surg 2005;200(6):965-72. [4] Cai H, Zhou M, Hu Y, et al. Solid-pseudopapillary neoplasms of the pancreas: clinical and pathological features of 33 cases. Surg Today 2013; 43(2):148-54. doi: 10.1007/s00595-012-0260-3. [5] Yang F, Jin C, Long J, et al. Solid pseudopapillary tumor of the pancreas: a case series of 26 consecutive patients. Am J Surg 2009;198(2):210-5. doi: 10.1016/j.amjsurg.2008.07.062. [6] Tien YW, Ser KH, Hu RH, et al. Solid pseudopapillary neoplasms of the pancreas: is there a pathologic basis for the observed gender differences in incidence? Surgery 2005;137(6):591-6. [7] Abraham SC, Wu TT, Hruban RH, et al. Genetic and immunohistochemical analysis of pancreatic acinar cell carcinoma: frequent allelic loss on chromosome 11p and alterations in the APC/beta-catenin pathway. Am J Pathol 2002;160(3):953-62. [8] Tang LH, Aydin H, Brennan MF, et al. Clinically aggressive solid pseudopapillary tumor of pancreas: A report of cases with components of undifferentiated carcinoma and a comparative clinicopathologic analysis of 34 conventional cases. Am J Surg Pathol 2005;29:512-9. L’EMA TORNA IN EUROPA ALLE DIPENDENZE DELLA COMMISSIONE INDUSTRIA E NON PIÙ DI QUELLA DELLA SANITÀ L’istituzione della European Medicines Agency (EMA) ha rappresentato un notevole progresso per l’industria, che non aveva più bisogno di presentare i suoi dossier alle autorità regolatorie dei singoli Stati, e per i Paesi europei che potevano aspirare a una armonizzazione delle regole. Tuttavia l’EMA era stata posta, nell’ambito dell’organizzazione burocratica della Commissione europea, sotto la giurisdizione della Direzione generale dell’industria. Finalmente nel 2010 la dipendenza dell’EMA era passata dalla Direzione generale dell’Industria a quella dei Consumatori e della Sanità. La nuova Commissione europea ha ricollocato l’EMA alle dipendenze della Direzione generale dell’industria, ricostituendo uno dei più grandi conflitti di interesse immaginabili. L’industria regola l’autorizzazione dei suoi stessi prodotti e certamente si guarderà bene dall’introdurre riforme che sono auspicate da chi ha a cuore la salute invece del profitto. Del resto, più del 75% del budget dell’EMA deriva direttamente da pagamenti fatti dall’industria mentre l’EMA, ente pubblico, dovrebbe avere un suo budget su fondi europei. Paradossalmente, poi, i ricercatori e i pazienti, attraverso le loro associazioni, non possono aver accesso ai dati presenti nei data-base dell’EMA per capire su che base sono stati stabiliti l’approvazione o il rifiuto di un nuovo farmaco. Ci si deve augurare che questo “passo indietro” possa essere scongiurato, lasciando che i farmaci rimangano nel mondo della sanità! (Il Sole 24ORE Sanità, 30 settembre - 6 ottobre 2014) 273 Quaderni acp 2014; 21(6): 274-275 Rubrica a cura di Sergio Conti Nibali Latte con il trucco in Vietnam Ben oltre la metà dei bambini del mondo nasce in Estremo Oriente. E si dà il caso che in quegli stessi Paesi ci siano anche le condizioni ideali per convincere le famiglie e le madri a passare all’alimentazione artificiale: tassi di crescita economica positivi da anni, maggiore reddito disponibile per le famiglie, aumento costante delle donne che lavorano fuori casa, progressiva transizione dalla famiglia tradizionale a quella nucleare tipica delle società industrializzate, medicalizzazione della gravidanza, del parto e del puerperio, oltre che della nutrizione. Non sorprende che produttori e distributori di sostituti del latte materno si facciano la guerra tra loro per guadagnare fette di mercato. Qualche governo, nel tentativo di mettere un argine per lo meno al marketing sfrenato delle ditte, sia locali sia multinazionali, emana leggi restrittive che non sono altro che applicazioni alla lettera del Codice Internazionale. Lo ha fatto l’India quando nel 2002 ha bandito qualsiasi pubblicità di qualsiasi cibo destinato a minori di 2 anni. Lo ha fatto il Vietnam che da gennaio 2013 proibisce la pubblicità dei latti per i bambini fino a 2 anni, e cioè dei latti iniziali, di quelli di proseguimento e di quelli di crescita. Che cosa si sono inventate le ditte per aggirare la legge? Hanno cambiato nome ai latti 2 e 3; non si chiamano più latti di proseguimento e di crescita, si chiamano alimenti complementari. Non essendo più dei latti, anche se solo in etichetta, non sono coperti dalla legge e possono quindi essere pubblicizzati. In Italia e nel resto d’Europa non è necessario ricorrere a questi trucchetti: la legge permette la pubblicità dei latti 2 e 3, in flagrante violazione del Codice Internazionale. Per fortuna non tutti stanno zitti. OMS, UNICEF e una ONG locale (Alive and Thrive) hanno emesso il 26 settembre 2013 un comunicato stampa in cui denunciano il volgare trucco e chiedono che le ditte e il governo vi pongano rimedio. Non è in ballo solo il rispetto della legge e del Codice Internazionale; ne va 274 dell’allattamento al seno e quindi della salute e della nutrizione di madri e bambini, con gravi conseguenze anche per il sistema sanitario (aumento dei costi), la società e l’ambiente. Alluminio nei latti artificiali Una ricerca condotta nel Regno Unito ha analizzato il contenuto di alluminio dei 30 latti artificiali maggiormente consumati nel Paese, prodotti dalle principali ditte di alimenti per l’infanzia (Nestlè, Danone, Hipp). Il quantitativo di alluminio riscontrato nei trenta prodotti testati (da 106 µg/l a 755 µg/l) costituisce almeno il doppio della dose considerata sicura (< 50 µg/l) e in 14 casi supera il livello massimo consentito in UE per le acque potabili (200 µg/l). Dal momento che nessuno dei prodotti è addizionato di alluminio, si tratterebbe di contaminazione durante il procedimento di produzione e di impacchettamento. Gli autori richiamano il Principio di precauzione per la salute dei neonati, chiedendo che i produttori mettano in atto interventi per ridurre il livello di alluminio nei latti artificiali, in particolare considerando che nel Regno Unito il 25% dei genitori offre ai propri figli esclusivamente latte artificiale fin dalla nascita e il 50% dei lattanti fra 4 e 10 settimane di vita è nutrito esclusivamente con latte artificiale (http://www.biomedcentral.com/14712431/13/162). Appello di Gimbe per salvare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) Secondo la Fondazione Gimbe per salvare il SSN non servono riforme ma azioni mirate e innovazioni di rottura che richiedono volontà politica, un’adeguata (ri)programmazione sanitaria basata sulle conoscenze, un management rigenerato, l’impegno di tutti i professionisti sanitari e la riduzione delle aspettative dei cittadini. La Fondazione ha ribadito con fermezza che per tutti i protagonisti del pianeta Sanità è giunto il momento di intraprendere una nuova stagione di collaborazio- ne, mettendo da parte interessi di categoria e futili competizioni, per ridurre gli sprechi e indirizzare il denaro pubblico verso servizi e prestazioni sanitarie efficaci, appropriati e dall’high value. Il Rapporto Gimbe contiene la “Carta Gimbe per la tutela della salute e del benessere dei cittadini italiani”, una vera e propria declinazione dell’articolo 32 della Costituzione, che prende in considerazione tutti gli aspetti che oggi condizionano la sostenibilità del SSN: dal diritto costituzionale alla tutela della salute al finanziamento/sostenibilità del SSN, dai rapporti tra politica e sanità alla programmazione, organizzazione e valutazione dei servizi sanitari, dai professionisti sanitari ai pazienti, dalla ricerca alla formazione continua, dall’integrità alla trasparenza. La Fondazione Gimbe ha consegnato vari premi: – Premio Evidence a Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, per il costante impegno volto a migliorare l’etica, la trasparenza, l’integrità e l’indipendenza della ricerca clinica nell’interesse dei pazienti; – Premio “Salviamo il nostro SSN” alla Regione Toscana, per le sue politiche sanitarie che, rappresentando un modello per la sostenibilità della Sanità pubblica, hanno permesso di ottenere rilevanti performance nell’adempimento “Mantenimento dell’erogazione dei Lea” e nel Programma nazionale esiti; – i Gimbe Awards individuali sono stati assegnati rispettivamente ad Alda Cosola e Marika Giacometti dell’Asl To3; – il Gimbe Award aziendale è stato consegnato all’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Nestlé non è sponsor gradito a una conferenza sulla nutrizione La scelta di avere Nestlé come principale sponsor ha fatto affogare in un mare di polemiche la Conferenza organizzata da P3 Media, che si sarebbe dovuta tenere a Edimburgo il 27 maggio sul tema info Quaderni acp 2014; 21(6) salute “Building a Healthier, Fairer Scotland” sui temi dell’obesità, della nutrizione infantile, del consumo di tabacco e dell’epatite C. Da decenni Nestlé è accusata di adottare tecniche di marketing aggressive per promuovere il latte artificiale per neonati, in sostituzione dell’allattamento al seno nei Paesi in via di sviluppo. Dopo la diffusione del programma, nove membri dello Scottish Public Health Network, che riunisce figure di alto livello del Servizio Sanitario Nazionale, hanno scritto una lettera agli organizzatori, annunciando che, vista la decisione di accettare la sponsorizzazione di un produttore di latte sostitutivo di quello materno, avrebbero raccomandato ai loro colleghi di non partecipare o di non assistere. L’annuncio del boicottaggio ha indotto P3 Media a cancellare l’evento, provocando il “forte disappunto” di Nestlé, secondo cui la conferenza non era un’occasione per presentare propri prodotti, ma per promuovere l’importanza dell’allattamento al seno e di una buona alimentazione durante la gravidanza e nella prima infanzia. La sponsorizzazione prevedeva che Nestlé potesse affiancare i relatori del mattino, fare una propria presentazione e avere uno stand in posizione privilegiata. carenza alla nascita e nei mesi successivi può creare problemi emorragici… Vitamina D: previene il rachitismo, regola la funzione immunitaria e la funzione muscolare”. La pagina dedicata all’integratore Colecalcium recava, invece, le seguenti indicazioni salutistiche: “Vitamina D e calcio sono fondamentali per l’accrescimento osseo e scheletrico ma fanno parte anche di quel circolo ormonale indispensabile per il mantenimento del corretto equilibrio calcio/fosfati, necessario alla protezione dell’omeostasi fisiologica”. Il Difensil Junior era pubblicizzato con la promessa che i nutrienti e le vitamine ivi contenute “[...] riducono la produzione di radicali liberi che si formano nel nostro organismo e sono alla base dello stress ossidativo, acuto (come durante una malattia tipo influenza) o cronico (stile di vita, inquinamento ecc.)”, anche in ragione del contenuto di “ROC (Red Orange Complex), vitamina C e zinco che esercitano sinergicamente la loro azione reattiva a favore dell’immunità e antinfiammatoria”. Il prodotto ChetoNex per lattanti e bambini era infine consigliato nei casi di “chetosi e vomito acetonemico”, grazie alla sua azione di riduzione dell’“attività spastica dello stomaco”. Integratori per l’infanzia, Antitrust multa Humana Italia per claim salutistici Finanziamenti di Big Pharma ai medici Claim salutistici scorretti per pubblicizzare integratori alimentari adatti alla prima infanzia. L’Antitrust ha inflitto una multa di 110.000 euro all’azienda Humana Italia per aver pubblicizzato in modo scorretto diversi integratori alimentari (Ditrevit Forte e Ditrevit Forte K50, Colecalcium, Difensil Junior e ChetoNex), particolarmente adatti alla prima infanzia, vantandone gli effetti salutistici rispetto a malattie come il deficit di accrescimento osseo e scheletrico e rispetto alla cura di disturbi vari come la chetosi. Per esempio ai prodotti Ditrevit Forte e Ditrevit Forte K50, Humana attribuiva effetti quali: “Vitamina K: regola la coagulazione ematica. Una sua Per la prima volta vengono pubblicati ufficialmente i dati sul denaro destinato a medici e a ospedali negli Stati Uniti dall’industria farmaceutica e di dispositivi medici. Le somme pagate negli ultimi cinque mesi del 2013 raggiungono i 3,5 miliardi di dollari (circa 2,8 miliardi di euro), secondo il primo rapporto dei Centers for Medicare and Medicaid Services (CMS), incaricati di mettere in atto il cosiddetto Sunshine Act sulla trasparenza dei finanziamenti industriali previsto nella riforma sanitaria di Obama. Andavano segnalati tutte le elargizioni e i pagamenti a medici e a istituzioni di valore superiore ai 10 dollari, compresi i compensi per consulenze e conferenze, le spese relati- ve a viaggi, pasti e intrattenimento e anche i pagamenti da destinare, su richiesta dei medici, a enti caritatevoli. Più di 540.000 medici e di 1300 ospedali ricevettero denaro, ma non è stato possibile nel 40% dei casi risalire ai nominativi dei destinatari per problemi di software e di accuratezza dei dati raccolti. La spesa sostenuta dall’industria, pari a circa 23 milioni al giorno, sostanzialmente costante dal 2007 (secondo dati ufficiosi), ha storicamente riguardato l’83% dei medici, sotto forma di regali, e il 28% come pagamento per consulenza o per ricerca. Se i pazienti si rendessero conto dei potenziali conflitti di interessi dei loro medici, potrebbero chiedersi se le prescrizioni di farmaci e dispositivi siano influenzate dalle ditte che li hanno pagati. Tutti i medici potrebbero poi imparare se gli esperti che promuovono linee guida cliniche siano stati finanziati dalle industrie che ne traggono vantaggio. In effetti, tra i medici che avevano dichiarato, ancora prima del Sunshine Act, di avere ricevuto compensi dall’industria, il 40% aveva partecipato alla costruzione di linee guida. Possono anche essere giustificate le preoccupazioni delle compagnie di assicurazione che rimborsano le spese mediche negli USA sull’impiego eccessivo di farmaci molto costosi indotto dai pagamenti che i prescrittori ricevono dall’industria; le assicurazioni osservano che, mentre i vari responsabili dei servizi sanitari si sforzano di contenere i costi, l’industria studia strategie per mantenerli alti. Alcune categorie di medici temono che la pubblicazione di questi dati possa risultare in una pubblica riprovazione di quei professionisti che, per esempio, hanno accettato il pagamento di viaggi tutto compreso in località esotiche. In realtà i ricercatori che si occupano del tema dei finanziamenti ai medici dubitano che ai pazienti interessi molto se i loro medici vengano pagati dall’industria. Se alcuni potessero avere perplessità sui viaggi gratuiti, altri potrebbero pensare che chi riceve pagamenti da svariate ditte per consulenze sia in realtà un professionista molto competente. 275 Quaderni acp 2014; 21(6): 276-277 Rubrica a cura di Maria Francesca Siracusano Passioni e ideali Pierpaolo Farina (a cura di) Enrico Berlinguer Casa per casa strada per strada Melampo, 2013 pp. 397, euro 17,50 Vorrei che tutti leggessero il libro Casa per casa strada per strada, a cura di Pierpaolo Farina, perché parla di uno dei più grandi uomini e dei più grandi politici del 1900. Io personalmente lo regalerò a quante più persone possibili e per ogni occasione. Questo uomo è Enrico Berlinguer. È stato vicino a molti della mia generazione e leggere le sue interviste e i suoi interventi porta il ricordo a tempi ricchi di ideali, aspettative e utopie, e leggerlo per i giovani di oggi è mantenere una memoria che sarebbe un delitto perdere e dimenticare. Dopotutto il curatore è uno dei giovani di oggi che nel 2009 ha creato il sito web enricoberlinguer.it. Il libro è da leggere perché ci dà la giusta dimensione, solo e unicamente attraverso le cose da lui dette e scritte, della grandezza umana di quell’uomo così minuto, schivo e riservato, ma con un cervello e un cuore che pochi altri politici hanno avuto e tanto meno hanno ora. Enrico Berlinguer si conferma un comunista così diverso e probabilmente unico per capacità di suscitare passioni e ideali e un politico “in violento contrasto con l’immagine consueta dell’uomo politico” come lo definì Vittorio Foa. Dai suoi pensieri emerge sempre una grande capacità di analisi, un partire sempre da conoscenze, un’attitudine a studiare e ad approfondire sforzandosi di ragionare in termini logici, storici e critici, un rinunciare alle semplificazioni e alle dichiarazioni estemporanee. Il tutto sempre sostenuto da una profonda e coerente volontà di rendere il mondo globale e la nostra società migliori di quella in cui eravamo e siamo, perché era questo che lo spingeva a essere e a considerarsi comunista. 276 Libro da leggere anche perché, come scrisse una volta Mikhail Gorbaciov, “le idee di Berlinguer ci servono ancora”. A tutti!!! Francesco Morandi Il cervello spiegato ai bambini Sara Capogrossi Colognesi Simone Macrì Che ti passa per la testa? Il cervello e neuroscienze Lapis, 2013 pp. 192, euro 13,50 Hanno interesse i nativi digitali a conoscere il funzionamento del cervello attraverso la lettura di un libro? Da una mia breve inchiesta su un campione vergognosamente ristretto sembrerebbe di no, ma il successo editoriale di Che ti passa per la testa? ci darà una risposta più affidabile. La rivista Liber lo consiglia dagli 11 anni; non è certamente una indicazione sbagliata, ma sarebbe forse meglio trasformare questa secca età in “gli anni della scuola media”, cioè nel tempo dell’inizio della educazione scientifica formale (ma cosa sanno di questo argomento gli insegnanti di scuola media?). Gli Autori sono ricercatori (Macrì), studiosi e divulgatori (Capogrossi) e adottano uno stile sufficientemente semplice per i dati scientifici e comprensibile data la obiettiva difficoltà del tema. Lo rendono coinvolgente con interviste immaginarie e spiritose ai filosofi e agli scienziati che nei secoli si sono occupati della conoscenza. Un po’ lontani, e di coinvolgimento più difficile, sono Alcmeone o Anassagora e i maggiori filosofi greci che sostenevano la centralità del cuore e non del cervello. Più facile la cosa riesce con Ippocrate, Galeno e Avicenna che sono i primi a comprendere la centralità del cervello. Ancora più facile con Leonardo, Broca, Wernicke o Golgi (che scopriamo avere lavorato nella cucina dell’ospedale di Abbiategrasso), fino a Rita Levi Montalcini con i suoi fattori di crescita. La presentazione è sistematica e sufficientemente rigorosa: i neuroni, la loro crescita prenatale e poi la loro costanza numerica in tutte le età, le connessioni fra neuroni con le sinapsi e le loro modalità di trasmissione, chimiche (neurotrasmettitori) ed elettriche (differenze di potenziali), la glia come sostegno, nutrizione e generatrice di mielina. Ben spiegato è come avviene la crescita ponderale del cervello se i neuroni rimangono 100 miliardi, come agiscono le influenze ambientali su di esso, come e quando avviene la potatura della rete, quella dei 1000 giorni, come la chiamiamo noi dell’ACP: questa parte e quella della plasticità cerebrale sono rappresentate in maniera non usuale e ben comprensibile. Meno facile, naturalmente, il lavoro di spiegazione che riguarda la collocazione nelle loro sedi di paure, emozioni, stress, amori. Insomma c’è tutto l’essenziale su quel chilo e mezzo di sostanza molto vorace perché consuma il 20% della nostra energia, e molto esigente perché mangia solo zuccheri. A cercare di mantenere sulle pagine il presumibilmente volatile ragazzo ci sono giochi di riflessi, di abilità, di memoria, di percezione di colori, di sperimentazioni su se stessi e sugli amici che possono avvincere e trasmettere, un po’ per gioco, le nozioni desunte dal libro e, per i nativi digitali, vengono segnalati alcuni siti web dove fare test che saranno certamente utilizzati. Si diceva che è un libro per ragazzi, ma dato che ho una certa cognizione delle conoscenze correnti che ho raccolto fra gli adulti, nel mio peregrinare a raccontare il cervello dei primi 1000 giorni, questa lettura leggera non farebbe male neppure a loro. Giancarlo Biasini Un bambino in Uganda Wojciech Jagielski Vagabondi notturni Nottetempo, 2014 pp. 440, euro 20 libri Quaderni acp 2014; 21(6) « La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità». buona Nord dell’Uganda, terra degli acholi, una delle numerose etnìe che popolano questa nazione. L’esercito di Resistenza del Signore guidato da Joseph Kony, formato perlopiù da bambini e bambine, rapiti e addestrati fino a diventare una formidabile macchina di distruzione. In questa cornice si svolge la storia di uno di questi bambini, Samuel, raccolta da un giornalista polacco, Wojciech Jagielski, e raccontata in questo libro. Una storia breve, un fascicolo di qualche foglio di carta ingiallita, che l’Autore raccoglie nei suoi frequenti incontri con il bambino nell’istituto che accoglie Samuel e dove si tenta di recuperare i tanti bambini strappati ai guerriglieri. Jagielski intervalla sapientemente il racconto del bambino con la storia antica e recente dell’Uganda, con le credenze e la vita delle numerose etnìe che la popolano. È un racconto fatto in prima persona, autobiografico, quindi, dove il giornalista s’interroga sul suo impegno lungo i viaggi all’interno di questo affascinante e terribile Paese. Le pagine dove riflette lo spirito che muove il giornalista sono di forte impatto non per l’erudizione ma per il riconoscimento del cuore di chi scrive. Ed è un cuore che fatica. Noi non conosceremo mai il contenuto del fascicolo di Samuel, forse nemmeno Jagielski lo leggerà, anche se lo trascina con sé in tutte le sue trasferte. Leggeremo, invece, di inimmaginabili e impossibili crudeltà raccontate probabilmente nell’unico modo leggibile, dove, allorché non è possibile contenere la propria emozione, si lascia spazio al burn out, al distacco, all’allontanamento, all’autismo dei sentimenti. Ed è così che giustamente si conclude, con un po’ di amarezza umana, il viaggio in Uganda di questo giornalista. La descrizione dei paesaggi africani è molto suggestiva e strizza l’occhio allo spirito religioso animista, radicato in profondità in questa terra. La narrazione della storia dal dopoguerra a oggi di questo Paese, a dir poco incredibile, è intrecciata di continuo alle esperienze dei diversi protagonisti incontrati da Jagielski. “Quando due elefanti lottano è l’erba che soffre”, nelle poche parole di un proverbio acholi, una saggezza valida a tutte le latitudini abitate dall’uomo. Costantino Panza Charles Bukowski Hollywood, Hollywood!, 1989 Alimentazione come un momento di comunicazione Mauro Destino Federico Marolla Mangiare per crescere Pensiero Scientifico editore, 2014 pp. 352, euro 18 Non lasciatevi ingannare dal sottotitolo Consigli per genitori in gamba del libro di Mauro Destino, biologo nutrizionista, e Federico Marolla, pediatra di famiglia. Rivolto ai genitori, ma altrettanto utile per noi pediatri, questo manuale integra nozioni di fisiologia della nutrizione con suggerimenti pratici per una corretta alimentazione, con l’intento di modificare i comportamenti inadeguati e superare le difficoltà quotidiane dei genitori. Se le scelte alimentari durante la gravidanza e nei primi anni di vita condizionano lo stato di salute nell’età adulta e se, come viene evidenziato nella bella prefazione di Giorgio Tamburlini, “l’alimentazione deve essere considerata come un momento di comunicazione nel contesto dell’interazione col bambino”, il tema dell’educazione alimentare diventa centrale nella pratica pediatrica. In questo senso questo volume costituisce un utile strumento di formazione e un valido aiuto per rispondere con appropriatezza ai tanti quesiti riguardanti il comportamento alimentare e gli stili di vita che i genitori quotidianamente ci rivolgono. Ciò grazie alla capacità degli Autori di rendere facilmente comprensibili argomenti di particolare complessità e alla presenza di utili schemi, di tabelle e di una ricca bibliografia e sitografia. Un ulteriore motivo per consigliare questo volume è la meritevole intenzione di devolvere parte degli introiti al progetto Nati per Leggere. Patrizia del Balzo La propria storia nella storia del paese Francesco Piccolo Il desiderio di essere come TUTTI Einaudi, 2013 pp. 264, euro 18,00 Di questo Autore avevo letto un romanzo che si intitola Il tempo imperfetto che mi era sembrato geniale. Poi le tante sceneggiature importanti e adesso questo ultimo romanzo. La storia di un ragazzo prima, e un adulto poi, inserita nel contesto degli ultimi vent’anni di storia del suo paese: Francesco Piccolo narra la sua formazione politica e di uomo. E così noi leggiamo, attraverso il suo sguardo e le sue emozioni, Berlinguer e il compromesso storico, il rapimento Moro, l’ascesa al potere di Craxi, il congresso del Psi a Vicenza e l’ultima apparizione di Berlinguer, il malore e i funerali, l’Unità e la scritta in rosso TUTTI. Poi la vita quotidiana con Berlusconi al governo. E mentre scorre la storia dell’Italia, il ragazzino che diventa comunista guardando una partita di calcio, il primo amore con la compagna di scuola, l’impegno politico con lei e la fine dell’amore a causa di un peluche di Snoopy incartato in carta rosa a San Valentino. Il tradimento del padre, il distacco dalla città di provincia, la critica alla superficialità della madre e la scoperta di somigliarle. Raccontarsi attraverso un racconto di Carver, una frase di Parise, un film di Scola, la sceneggiatura del Caimano, filmati, discorsi. Questo libro in qualche modo mi appartiene, parla di sentimenti, disagi, amori, disgusti che conosco. Parla di cose che hanno contato per me e che ancora contano, e di quelle che mi sono lasciata alle spalle. Quindi parla di individui e collettivo, e di come si diceva allora, di personale e politico. Il libro ha vinto il premio Strega. Maria Francesca Siracusano 277 Quaderni acp 2014; 21(6): 278 Inquinamento e salute dei bambini: come sono cambiate le conoscenze dei pediatri e cosa chiedono le famiglie Giacomo Toffol Pediatra “Per Un Mondo Possibile” Nell’ultimo decennio la comunità scientifica internazionale ha prodotto molte prove circa le correlazioni tra inquinamento ambientale e salute dei bambini, particolarmente sui danni a lungo termine, sui rischi di carcinogenesi, sulle patologie endocrine e sui meccanismi dell’epigenetica. Le sostanze inquinanti che quotidianamente vengono immesse nell’atmosfera, nell’acqua e nei suoli sono in gran parte responsabili dell’incremento di patologie non diffusive che si è verificato negli ultimi decenni. Le correlazioni tra inquinamento atmosferico e patologie respiratorie sono note da tempo. Le polveri ultrafini, di diametro inferiore a 0,1 micron (µm) e caratterizzate da un elevato contenuto di particelle carboniose, sono le più pericolose per la salute umana, essendo in grado di attraversare tutte le membrane biologiche compresa la placenta e di veicolare anche al feto una notevole quantità di molecole tossiche e metalli pesanti [1]. Ciò può provocare effetti negativi irreversibili sullo sviluppo dell’apparato respiratorio, con riduzione permanente della funzionalità respiratoria [2]. È ormai documentato, inoltre, persino dall’Agenzia Internazionale di ricerca sul cancro (IARC), che l’inquinamento atmosferico è cancerogeno [3]. Sono sempre di più, infine, gli studi che dimostrano come l’esposizione transplacentare a inquinanti ambientali possa alterare l’epigenoma fetale, ed essere almeno in parte una delle cause dell’aumento in tutto il mondo occidentale di molte patologie cronico-degenerative e neoplastiche [4]. Numerose sono anche le evidenze scientifiche sui rischi dell’esposizione ai composti chimici immessi nell’ambiente e di cui sono documentati i possibili effetti endocrini, cancerogeni, immunologici e genotossici [5]. Tra questi una preoccupazione particolare destano i biocidi utilizzati in agricoltura, che possono contaminare le catene alimentari umane [6]. A seguito di questo incremento delle conoscenze anche le istituzioni e le società scientifiche pediatriche si sono occupate molto di questa tematica. Già dal 2006 il codice deontologico dei medici riporta testualmente che “il medico è tenuto a considerare l’ambiente nel quale l’uomo vive e Per corrispondenza: Giacomo Toffol e-mail: [email protected] 278 lavora quale fondamentale determinante della salute dei cittadini” (art. 5) e, negli anni, numerosi sono stati gli incontri su queste tematiche patrocinati dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCEO), in collaborazione soprattutto con l’Associazione medici per l’ambiente (ISDE-Italia). L’Istituto Superiore di Sanità ha un dipartimento specifico che si occupa di queste tematiche, e uno specifico spazio è dedicato a ciò anche dal portale del Ministero della Salute e da Epicentro, il portale dell’Epidemiologia per la Sanità pubblica a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute [7-9]. Persino all’interno delle principali associazioni pediatriche questa tematica sta assumendo un ruolo sempre più importante. Per comprendere come queste conoscenze siano state assimilate dai pediatri italiani abbiamo effettuato, a distanza di cinque anni da una precedente inchiesta, un’indagine questionaria con lo scopo di comprendere sia le competenze dei pediatri sia i bisogni dei genitori italiani su questi temi [10]. L’indagine si è svolta tra il 2012 e il 2013. Hanno partecipato 334 pediatri delle Regioni Emilia-Romagna, Friuli, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia e Veneto, in prevalenza (93%) pediatri di famiglia (PdF). Il 65% dei pediatri intervistati ritiene le proprie conoscenze sull’argomento ancora scarse (78% nell’indagine precedente). Coerentemente il 63% di essi considera utile per la sua attività professionale un approfondimento sulle correlazioni tra inquinamento ambientale e salute. A quasi tutti i pediatri intervistati vengono richieste informazioni su queste tematiche dai genitori dei propri pazienti: per circa metà di loro (55%) questo avviene con frequenza relativamente bassa (una-tre volte al mese) ma per quasi un quinto dei pediatri (19,7%) con frequenza più che settimanale, ovvero più di cinque volte al mese. Le principali preoccupazioni dei genitori (segnalate dai medici all’interno di un elenco composto anche da inquinamento indoor, elettromagnetico, acustico e da radiazioni ultraviolette) sono rivolte all’inquinamento atmosferico dell’ambiente esterno e all’inquinamento di acqua e cibo. Queste preoccupazioni rispecchiano abbastanza fedelmente quelle emerse da un report pubblicato poco tempo fa dall’ISTAT sulla base di una rilevazione effettuata nel 2012 [11]. Secondo questa analisi infatti le preoccupazioni della popo- lazione italiana si indirizzano soprattutto verso l’inquinamento atmosferico (indicato dal 52% dei cittadini), la produzione e lo smaltimento dei rifiuti e i cambiamenti climatici (entrambi 47%), e l’inquinamento delle acque (38%). Da questo rapporto emerge anche che più di otto cittadini su dieci si informano sull’ambiente tramite TV e radio, ma oltre la metà della popolazione (51 cittadini su 100) si mostra critica nei confronti dell’informazione veicolata dai mass media, giudicandola “poco” o “per niente” adeguata. Riteniamo che la figura del medico possa e debba rappresentare per i genitori un riferimento importante anche su questi temi, e che i pediatri italiani possano assumere un atteggiamento più propositivo, stimolando direttamente i genitori in modo da intercettare questo bisogno di informazioni. Per fare questo sarà ovviamente necessario che acquisiscano maggiori conoscenze specifiche e competenze di counseling per poter guidare le scelte dei genitori verso un ambiente più sostenibile e salubre. u Bibliografia [1] Latzin P, Frey U, Armann J, et al. Exposure to moderate air pollution during late pregnancy and cord blood cytokine secretion in healthy neonates. PLoS One 2011;6(8):e23130. doi: 10.1371/journal.pone. 0023130. [2] Gauderman WJ, Vora H, McConnel R, et al. Effect of exposure to traffic on lung development from 10 to 18 of age: a cohort study. Lancet 2007;369(9561): 571-7. [3] http://www.iarc.fr/en/publications/books/sp161/ index.php/. [4] Joss-Moore LA, Lane RH. The developmental origins of adult disease. Curr Opin Pediatr 2009;21(2): 230-4. [5] Bergman A, Heindel J, Jobling S, et al. State of the science of endocrine disrupting chemicals-2012: an assessment of the state of the science of endocrine disruptors prepared by a group of experts for the United Nations Environment Programme and World Health Organization. WHO, 2013. [6] Vinson F, Merhi M, Baldi I, et al. Exposure to pesticides and risk of childhood cancer: a meta-analysis of recent epidemiological studies. Occup Environ Med 2011;68(9):694-702. doi: 10.1136/oemed-2011100082. [7] Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento Ambiente e connessa prevenzione primaria. http:// www.iss.it/ampp/. [8] http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_3_ambiente.html/. [9] http://www.epicentro.iss.it/ambiente/. [10] Toffol G. Inquinamento ambientale e salute dei bambini. Conoscenze e bisogni dei pediatri italiani. Quaderni acp 2008;15(4):147-9. [11] ISTAT 2014. Popolazione e ambiente: comportamenti, valutazioni e opinioni. http://www.istat.it/it/archivio/117583. farm Quaderni acp 2014; 21(6): 279 Psicofarmaci e bambini: la distanza tra ricerca e pratica clinica Qualche riflessione dopo alcune letture (critiche) estive Daniele Piovani, Antonio Clavenna Laboratorio per la Salute Materno-Infantile, IRCCS - Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano Negli ultimi anni l’attenzione sui disturbi mentali in età evolutiva è cresciuta notevolmente, grazie anche a un aumento delle evidenze disponibili sugli interventi diagnostici e terapeutici (farmacologici e non). I risultati dei numerosi studi clinici randomizzati (RCT) pediatrici riguardanti il trattamento di disturbi psichiatrici (in particolare ADHD, disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi dello spettro autistico) non sono però facilmente trasferibili nelle decisioni terapeutiche del medico, che si collocano in un contesto differente da quello della sperimentazione. Non soltanto per la diversità del paziente “reale” da quello incluso nei trials, che ha caratteristiche e livelli di comorbidità diversi, ma anche perché l’intervento sul paziente nella pratica clinica implica una presa in carico a lungo termine, spesso con un approccio multidisciplinare, con interventi che si adattano nel tempo al paziente e al modificarsi del quadro clinico, e dipende da fattori legati al contesto socio-culturale e familiare e alla possibilità di accesso ai diversi servizi. Al contrario, gli studi clinici in ambito di disturbi mentali nell’infanzia e adolescenza sono generalmente a breve termine, si concentrano principalmente su una singola patologia e misura di esito (per esempio la riduzione dei sintomi misurati attraverso scale di valutazione) e spesso confrontano un solo farmaco attivo contro il placebo. Questo divario tra le evidenze raccolte prima della commercializzazione del farmaco e la pratica clinica quotidiana è ben evidenziato in una revisione condotta da Florence Burgeois e colleghi sugli studi preregistrativi dei farmaci per l’ADHD pubblicata a luglio su PLOS One [1]. Negli Stati Uniti sono stati approvati dalla Food and Drug Administration 10 principi attivi e 20 specialità medicinali, sulla base di un totale di 32 studi condotti prima della commercializzazione. La mediana del numero di minori inclusi negli studi per ciascun principio attivo era di 75, e 2 bambini su 3 sono stati monitorati per meno di sei mesi. Quattro farmaci sono stati approvati con studi che avevano coinvolto un totale di meno di 100 pazienti. La mediana della durata degli studi pre-registrativi di efficacia era di quattro settimane (8 settimane considerando solo i farmaci approvati negli ultimi dieci anni) [1]. Le evidenze su efficacia e sicurezza a lungo termine continuano a scarseggiare anche dopo la commercializzazione. Una revisione degli studi pubblicati nella letteratura biomedica ha identificato solo 6 studi prospettici sulla valutazione della sicurezza a lungo termine dei farmaci per l’ADHD, con una durata del follow-up variabile tra uno e quattro anni [2]. Sebbene gli eventi avversi più frequentemente riportati negli studi siano simili a quelli osservati negli RCT (per esempio diminuzione dell’appetito, insonnia, cefalea), le differenze tra studi nella modalità di riportare i dati rendono difficile un confronto tra farmaci e una valutazione conclusiva sull’efficacia a lungo termine [2]. I limiti osservati per quanto riguarda il trattamento dell’ADHD sono validi anche per la sperimentazione in altri ambiti, per esempio nel caso dei disturbi depressivi: i 14 RCT pubblicati che hanno valutato l’efficacia degli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) in età pediatrica hanno una durata massima di dodici settimane, e per 10 la durata non superava le otto settimane. Tra gli SSRI la fluoxetina è risultata l’unico farmaco con sufficienti evidenze di efficacia in età pediatrica [3]. Oltre al divario tra ricerca scientifica e pratica clinica, esiste ancor prima un divario tra evidenze disponibili e registrazione del farmaco (la cosiddetta “licenza d’uso” o autorizzazione all’immissione in commercio). Lorberg e colleghi in uno studio pubblicato su JACAAP sottolineano come per gli antipsicotici in commercio negli Stati Uniti la qualità delle evidenze vari a seconda del farmaco, con una qualità minore per quelli di vecchia generazione [4]. Nel caso di tioridazina e proclorperazina non sono disponibili studi clinici pediatrici, nonostante siano approvati per i bambini di età ≥ 2 anni. Situazione tipica non solo degli Stati Uniti: in Italia, ad esempio l’antipsicotico periciazina può essere prescritto ai bambini indipendentemente dalla loro età, nonostante sia disponibile un solo studio condotto in 15 bambini di età compresa tra 6 e 13 anni. Al contrario, esistono farmaci per cui sono disponibili evidenze, ma l’impiego risulta off-label: in Europa il risperidone non è stato registrato per il trattamento dell’irritabilità nei disturbi per lo spettro autistico, nonostante l’efficacia (a breve termine) sia adeguatamente documentata. Gli studi clinici e la scheda tecnica del farmaco forniscono quindi solo indicazioni parziali sull’efficacia e la sicurezza degli psicofarmaci. Queste considerazioni valgono anche per altre classi di medicinali, ma i disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva rappresentano un’area con maggiori incertezze, che richiede al medico maggiore attenzione e sensibilità e ai ricercatori studi clinici più aderenti alla complessità della pratica clinica quotidiana. u Bibliografia [1] Bourgeois FT, Kim JM, Mandl KD. Premarket safety and efficacy studies for ADHD medications in children. PLoS One 2014;9(7):e102249. doi: 10.1371/journal.pone.0102249. [2] Clavenna A, Bonati M. Safety of medicines used for ADHD in children: a review of published prospective clinical trials. Arch Dis Child 2014; 99(9):866-72. doi: 10.1136/archdischild-2013304170. [3] Gordon M, Melvin GA. Prescribing for depressed adolescents: office decision-making in the face of limited research evidence. J Paediatr Child Health 2014;50(7):498-503. doi: 10.1111/ jpc. 12517. [4] Lorberg B, Robb A, Pavuluri M, et al. Pediatric psychopharmacology: food and drug administration approval through the evidence lens. J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2014;53(7):716-9. doi: 10.1016/j.jaac.2014.04.015. Per corrispondenza: Antonio Clavenna e-mail: [email protected] 279 vaccin Quaderni acp 2014; 21(6): 280 Il vaccino antirotavirus Rosario Cavallo Pediatra di famiglia, Salice Salentino (Lecce); Gruppo ACP prevenzione malattie infettive Oggi, in Italia, esiste una grande varietà nelle forme di offerta del vaccino antirotavirus, con differenze rilevanti anche tra regioni o addirittura province limitrofe. Il Rotavirus attualmente è ritenuto essere la più frequente causa di diarrea grave nei bambini < 5 anni. Si calcola che ogni anno causi il decesso di 5-600.000 bambini nel mondo, quasi esclusivamente nei Paesi in via di sviluppo; in Europa è responsabile di un enorme numero di gastroenteriti (da 3 a 6 milioni/anno nei bambini < 5 anni, con almeno 700.000 visite ambulatoriali, oltre 87.000 ricoveri e 231 decessi) [1]. Non è dato sapere con certezza se questi decessi siano a carico prevalentemente o esclusivamente di soggetti “a rischio” come nomadi, senza tetto, immigrati; alcuni dati USA indicherebbero l’importanza di questi fattori socio-economici [2]. In Italia i ricoveri per gastroenterite sono frequentissimi (circa 10.000/anno, anche se non sempre appropriati) e i decessi stimati sono 11; nella fase viremica iniziale della malattia è possibile che si sviluppi una encefalite [3]. La malattia da Rotavirus quindi è molto rilevante per la sua frequenza, per l’impatto e il costo sanitario che si unisce a esso e al costo sopportato dalle famiglie, dovuto principalmente alla perdita di giorni lavorativi. Né va dimenticata la possibilità delle complicanze gravi (encefaliti) e dei rari ma possibili decessi. Il vaccino è stato raccomandato dalla World Health Organization (WHO) nel 2009 mentre la raccomandazione di vaccinazione per tutti i bimbi USA da parte della Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) risale al 2006; Paesi come Australia, Brasile, Messico hanno disposto da diversi anni la vaccinazione universale [4-5]. Nel 2008 ci sono state per l’Europa le raccomandazioni da parte dell’European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGAHN) e dell’European Society for Paediatric Infectious Diseases (ESPID), ma la situazione attuale è molto variegata, con Paesi che hanno coperture > 90%, come Austria, Belgio e Finlandia; Paesi con coperture tra 20 e 40%, come Grecia, Spagna e Germania (dove però ci sono differenze notevoli nei vari Land); e infine Paesi con coperture < 10% come Polonia, Francia, Croazia e Italia, dove attualmente sono 5 le Regioni (col 24% della intePer corrispondenza: Rosario Cavallo e-mail: [email protected] 280 ra popolazione) che hanno introdotto il vaccino nel loro calendario, ma con tre differenti sistemi: co-payment per Lazio e Toscana, gratuito per prematuri e soggetti a rischio per Basilicata e Piemonte, a richiesta del pediatra per i bambini che frequentano il Nido per la Puglia [6]. Gran Bretagna, Norvegia, Svezia dovrebbero introdurre la vaccinazione nel 2014, mentre Bosnia, Cipro, Malta, i Paesi baltici o non hanno ancora introdotto il vaccino in calendario o per ragioni economiche non ne hanno ancora implementato l’uso [7]. Alla base delle decisioni prese per questo vaccino ci sono valutazioni fondamentalmente di carattere economico, con interpretazioni variabili del rapporto costo/beneficio che fanno propendere per il sì o per il no a seconda dei casi. Nei Paesi che hanno introdotto la vaccinazione si è registrato un netto calo del numero di ospedalizzazioni, anche quando la copertura vaccinale non era molto alta, confermando una protezione indiretta attraverso un valido effetto “di gregge”; gli altri elementi considerati sono i costi indiretti per la famiglia e la società, rapportati all’alto costo del vaccino e la possibilità di un intasamento invernale delle strutture sanitarie a causa della coincidenza temporale con influenza e VRS. Le preoccupazioni sulla sicurezza riguardano soprattutto il rischio di invaginazione, che negli studi pre-licenza è risultato inesistente ma che si è riproposto negli studi post marketing, anche se con frequenza non elevata, tanto che lo stesso foglietto illustrativo riporta testualmente: it is estimated that approximately 1 to 3 additional cases of intussusception hospitalizations would occur per 100,000 vaccinated infants in the US within 7 days following the first dose of ROTARIX; è questa preoccupazione che ha determinato la ristrettezza della finestra temporale in cui è proponibile il vaccino, dato che nelle età successive si teme un maggior numero di questi effetti avversi [8]. Ancora in tema di sicurezza va ricordata la controindicazione assoluta che riguarda la Severe Combined Immunodeficiency Disease (SCID), dato che la somministrazione accidentale in un soggetto con questa deficienza immunitaria potrebbe causare conseguenze molto gravi [9]. L’incidenza della malattia è bassa, calcolata nei termini di 1 caso ogni 40-100.000 nati vivi (quindi circa 6-14 nuovi casi/anno in Italia); è molto difficile però che la diagnosi di SCID sia già stata formulata nell’età di indicazione del vaccino, e in Italia è molto basso anche il rischio di decesso da Rotavirus. Alcune considerazioni conclusive: 1. Non ci piacciono le decisioni di politica vaccinale prese per valutazioni di carattere economico e comunque crediamo che, se l’obiettivo della vaccinazione dovesse essere quello della farmacoeconomia, la cosa dovrebbe essere chiaramente spiegata ai genitori. 2. La malattia da Rotavirus vede secondo i dati più recenti una mortalità in Italia che per la fascia di età < 5 anni è comunque alta se rapportata ad altre malattie contro cui si è deciso di proporre la vaccinazione (HIB, Meningococco, Pneumococco). 3. Gli effetti avversi sono rari ma potenzialmente gravi; la controindicazione riguardante la SCID potrebbe coinvolgere un numero di bambini dello stesso ordine di grandezza rispetto a quanti potrebbero evitare, con la vaccinazione, effetti gravi di malattia. La scelta quindi non è facile e gli aspetti da considerare sono tanti e di difficile valutazione, ma non siamo di fronte a una emergenza sanitaria che potrebbe motivare scelte frettolose; il nostro desiderio (non possiamo rassegnarci a considerarlo una utopia) è quello di una valutazione approfondita ma fatta in tempi accettabili, se non rapidi, da parte dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e che possa valere per tutti, perché di frammentazione della Sanità (e delle vaccinazioni) non ne possiamo più! u Bibliografia [1] Soriano-Gabarró M, Mrukowicz J, Vesikari T, Verstraeten T. Burden of rotavirus disease in European Union countries. Pediatr Infect Dis J 2006;25:S7-S11. [2] Kilgore PE, Holman RC, Clarke MJ, Glass RI. Trends of diarrhoeal disease-associated mortality in US children, 1968 through 1991. JAMA 1995;274:1143-8. [3] Guarino A, Ansaldi F, Ugazio A, et al. Documento di consenso sulla vaccinazione anti-rotavirus. Minerva Pediatrica 2008;60(1):3-16. [4] WHO. Rotavirus vaccines: an update. Wkly Epidemiol Rec 2009;84(50):533-40. [5] Cortese MM, Parashar UD, Centers for Disease Control and Prevention. Prevention of rotavirus gastroenteritis among infants and children: recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP). MMWR Recomm Rep 2009;58:1-25. [6] Vesikari T, Van Damme P, Giaquinto C, et al. European Society for Paediatric Infectious Diseases/European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition evidence-based recommendations for rotavirus vaccination in Europe. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2008;46(2):S38-S48. [7] Parez N, Giaquinto C, Du Roure C, et al. Rotavirus vaccination in Europe: drivers and barriers. Lancet Infect Dis 2014;14(5):416-25. doi: 10.1016/S14733099(14)70035-0. [8] RCP Rotarix, rivisitata settembre 2012. [9] Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Addition of Severe Combined Immunodeficiency as a Contraindication for Administration of Rotavirus Vaccine. MMWR 2010;59(22):687-8. Quaderni acp 2014; 21(6): 281 ragazzi I nostri ragazzi. La speranza di non doverci mai dare una risposta Italo Spada Comitato cinematografico dei ragazzi, Roma Rimini: “Clochard bruciato vivo. Ignoti gli hanno prima versato addosso una tanica di benzina, poi gli hanno dato fuoco mentre dormiva su una panchina di via Flaminia”. Padova: “Ex musicista, poi clochard, ha trovato la morte in modo violento: prima picchiato selvaggiamente alla testa con una spranga o un’ascia, poi dato alle fiamme dentro un camper”. Anzio: “Immigrato picchiato e bruciato. Tre ragazzi dopo una notte di sballi, di alcol e droga si sono procurati una tanica e sono andati in giro alla ricerca di un barbone. I tre, durante l’interrogatorio, hanno detto di aver voluto compiere un gesto eclatante per provare una forte emozione”. Se è accaduto, può accadere di nuovo. E non è detto che faccia sempre da sfondo una città lontana da noi e che Quei bravi ragazzi siano solo emuli dei gangster di Martin Scorsese. A volte, e purtroppo, sono “figli di papà” che abitano nel nostro stesso condominio, borghesucci con scarpe e jeans alla moda, coccolati dai genitori, con la loro stanzetta arredata da TV e PC, con il cellulare di ultima generazione. E il cinema, che prevede e mette sull’avviso, registra e denuncia, non si lascia scappare l’occasione per ricordarcelo. Non se la lascia scappare Ivano De Matteo, attento osservatore della fragilità della famiglia borghese, che ha presentato alla 71ª Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione “Venice-Days Giornate degli autori” I nostri ragazzi, ispirato al libro La cena di Herman Koch. Con una variante non secondaria: questa volta, a differenza di quanto accadeva ne La bella gente (2009) e ne Gli equilibristi (2012), il nemico, il pericolo e il marcio sono annidati all’interno del nucleo familiare. Due fratelli – il chirurgo pediatra Paolo (Luigi Lo Cascio) e l’avvocato Massimo (Alessandro Gassmann) – hanno caratteri opposti e, nonostante la poca reciproca simpatia delle rispettive mogli (Giovanna Mezzogiorno e Barbara Bobulova), ripetono con scarso entusiasmo il rito mensile di inconPer corrispondenza: Italo Spada e-mail: [email protected] trarsi a cena. Il caso vuole che i due si ritrovino coinvolti, ciascuno a suo modo, in un episodio di ordinaria follia: un litigio tra due automobilisti che finisce con un morto e un bambino gravemente ferito. E se il chirurgo Paolo si dovrà occupare della salute del bambino, l’avvocato Massimo sarà chiamato a difendere e a fare scagionare l’uomo accusato di omicidio. L’incontrollata violenza di questo episodio di cronaca resterebbe estranea alle due famiglie se i rispettivi figli adolescenti – Michele (Jacopo Olmo Antinori) e Benedetta (Rosabell Laurenti Sellers) – rientrando a casa dopo una serata di alcol e spinelli, non si rendessero protagonisti di una balorda e gratuita aggressione a una mendicante che finisce in coma. È notte inoltrata, la strada è deserta e i due ragazzi credono di averla fatta franca. Non hanno fatto i conti con una telecamera di sicurezza che li riprende, con la trasmissione televisiva Chi l’ha visto? che manda in onda le immagini e con Chiara, la madre di Michele, che sviene quando crede di individuare in quei mostri il suo bambino e la cuginetta. I diretti interessati negano, confessano, ritrattano; i genitori temono, si disperano, discutono, non capiscono dove e perché hanno fallito, cercano una soluzione, sono di opposti pareri, sono coscienti che, comunque vada, le loro vite e quelle dei loro figli sono rovinate, scoprono la verità, compiono inaspettati e drammatici gesti. Il buio arriva fulmineo, sullo schermo e in sala, ma solo per aprire una serie di domande. La prima delle quali non può che essere “e se fosse capitato a me?”. Che sia difficile fare il genitore lo sapevamo già, ma in casi del genere il compito diventa drammatico perché impone scelte dolorose. Coprire o denunciare? Rendersi complici o inflessibili giudici? De Matteo confessa: “Sono partito da queste domande e dalla speranza di non dovermi mai dare una risposta”. Michele e Benedetta sono colpevoli e non possono scaricare la loro colpa sulla società, sul degrado, sulla scuola. “Il film – dice ancora De Matteo – è una provocazione e analizza soprattutto il punto di vista dei genitori, ma lancia anche un grido di allarme sulla dipendenza che abbiamo sviluppato da internet. I miei giovanissimi protagonisti finiscono per confondere la vita con il mondo virtuale: il loro terribile atto somiglia a un videogame e si illudono di poter resettare la realtà con un semplice clic. Internet è l’ultima droga, è l’eroina dei nostri giorni: ti chiude in casa dandoti un’illusione di libertà, mentre smorza qualunque tua capacità reattiva”. “L’affetto dei genitori per i figli e dei figli per i genitori può essere una delle più grandi fonti di felicità, ma in realtà al giorno d’oggi i rapporti tra figli e genitori sono, in nove casi su dieci, una fonte di infelicità per ambo le parti”. Correva l’anno 1930 quando Bertrand Russel, ne La conquista della felicità, scrisse questa frase. Tre anni prima il cinema, con Il cantante di jazz diretto da Alan Crosland, aveva iniziato l’avventura del sonoro. Narrava di un ragazzo ebreo che entrava in urto con il padre, lasciava la casa e se ne andava per la sua strada. Non ammazzava nessuno. Si dipingeva la faccia di nero e cantava Blue Skies. E i cieli, ottant’anni prima dei fatti di Rimini, Padova e Anzio, erano ancora blu. I nostri ragazzi Regia: Ivano De Matteo Con: L. Lo Cascio, G. Mezzogiorno, A. Gassmann, B. Bobulova, R. Laurenti Sellers, J. Olmo Antinori. Italia 2014 Durata: 92’, colore 281 Quaderni acp 2014; 21(6): 282 Rubrica a cura di Federica Zanetto controluce Il rapporto di “African Medical and Research Foundation” (AMREF) I sistemi sanitari in Africa sono ancora molto fragili, come ha dimostrato l’epidemia di Ebola che ha colpito alcuni Paesi dell’Africa occidentale. Ci sono, però, anche segnali positivi: dal 2000, anno in cui le Nazioni Unite hanno indicato gli obiettivi del Millennio (MDGs) c’è stato un miglioramento apprezzabile nella riduzione della mortalità infantile, nell’accesso alle cure e nella riduzione della trasmissione della malaria e dell’AIDS. Ma ancora oggi poco più della metà della popolazione dell’Africa sub-sahariana ha accesso all’acqua potabile e solo 4 persone su 10 hanno accesso a servizi igienici adeguati. I sistemi sanitari sono sotto finanziati e la spesa pro capite è molto al di sotto dei 40 dollari/anno raccomandati dalla OMS. Solo sei Paesi hanno raggiunto l’obiettivo del 15% del bilancio nazionale stanziato per la sanità. In Africa c’è un medico ogni 30.000 abitanti mentre la media nei Paesi occidentali è di un medico ogni 450 abitanti. Ogni anno, nel mondo, muoiono per malaria 630.000 persone, principalmente bambini sotto i 5 anni; di questi il 90% in Africa subsahariana. Alla malaria si aggiungono, ancora, malattie come diarree, colera, tifo, che diventano letali dove mancano acqua potabile e servizi igienici. Oggi in alcuni Paesi si è sviluppata l’epidemia di Ebola che, rapidamente, è diventata una pandemia per l’arretratezza dei sistemi sanitari: Liberia, Sierra Leone, Guinea sono i Paesi che hanno investito meno sulla salute e sul rafforzamento dei sistemi sanitari; i medici, per esempio, in questi Paesi, non sono più di 2 ogni 100.000 abitanti. La Fondazione African Medical and Research Foundation (AMREF) ha presentato a Roma, in un Convegno tenutosi l’8 maggio 2014, i risultati di una indagine sulla conoscenza e la diffusione dei “Princìpi Guida (PG) della Cooperazione sulla salute globale”, a cinque anni dal loro lancio avvenuto nel luglio 2009. In estrema sintesi questi sono i sette princìpi: 1. Alleviare la povertà e le disuguaglianze attraverso azioni sui determinanti 282 sociali, economici, ambientali. Questo richiede programmi intersettoriali integrati a partire dall’alimentazione, dall’istruzione e dalla tutela e igiene ambientali. 2. L’approccio integrato di cure primarie (PHC) è indicato quale strategia chiave per raggiungere l’accesso universale ai servizi sanitari coniugato alla protezione sociale, per garantire le fasce più vulnerabili della popolazione. 3. Il rafforzamento dei sistemi sanitari è precondizione essenziale per migliorare lo stato di salute delle popolazioni. Ciò va perseguito attraverso riforme orientate alla equità, alla solidarietà e all’inclusione sociale. 4. La partecipazione della comunità e l’empowerment delle donne in particolare sono ritenuti fondamentali per la promozione della salute, la prevenzione delle malattie, la programmazione e la valutazione delle performance dei servizi sanitari. 5. Il partenariato internazionale tra istituzioni e attori omologhi o portatori di saperi diversi è visto come architrave per promuovere la ricerca scientifica e la formazione. 6. Sul tema dei disastri naturali o prodotti dall’uomo sono previsti interventi per rafforzare le capacità locali di allerta, preparazione e capacità di risposta alle popolazioni colpite dalle emergenze. 7. Infine, la sfida cruciale dell’efficacia dell’aiuto per la salute globale. Vengono raccomandati, naturalmente, una sempre maggiore coerenza tra le politiche che producono effetti sullo sviluppo dei Paesi partner, il coordinamento degli interventi in sanità tra i vari attori della Cooperazione, nonché l’adozione di procedure di monitoraggio e valutazione dei programmi di cooperazione sanitaria in accordo con i princìpi dell’OCSE-DAC. È stato un momento di analisi e di giudizio che credo possa interessare anche un’Associazione come l’ACP da sempre impegnata a trovare risposte ai bisogni di salute dei bambini adeguate, razionali, controllabili e non inutilmente dispendiose. Lo slogan “Fare meglio con meno” ha caratterizzato il nostro lavoro da tanti anni. I “PG della Cooperazione italiana per il settore sanitario” sono stati il frutto di un ampio lavoro cui hanno partecipato esperti autorevoli provenienti da Università, Ospedali, Centri studi, ONG, ISS, Direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo. I risultati contenuti nel Rapporto presentato da AMREF evidenziano che si tratta di uno strumento conosciuto da una larga maggioranza degli stakeholders, che la metà del campione interpellato applica le Linee Guida, che se ne auspica una maggiore diffusione e che molti ne propongono un aggiornamento attraverso un’ampia partecipazione dei molti attori implicati. Nella survey sono stati coinvolti oltre 70 tra esperti, medici, cooperanti, istituzioni nazionali e locali; da questi è stato poi selezionato un campione di 37 risultati comparabili. Il 47% degli intervistati ritiene che vi sia poca coerenza tra i PG e le Linee Guida triennali di programmazione della Cooperazione Italiana allo Sviluppo. La maggioranza (62%) ha riferito che il proprio Ente di appartenenza (tra cui 8 ONG, 4 Aziende sanitarie e 2 Ordini professionali) utilizza i PG per selezionare i progetti da intraprendere. Quasi all’unanimità gli intervistati si sono espressi a favore dell’opportunità di diffondere questi PG a livello internazionale. Il 53% degli intervistati ritiene utile un aggiornamento attraverso un processo molto partecipativo. Il rapporto AMREF ha evidenziato inoltre la necessità di rinforzare i PG con markers che misurino l’efficacia delle iniziative. In sostanza si può affermare che i PG sono stati uno strumento formativo abbastanza condiviso per la definizione di programmi-paese nell’ambito sanitario. La sfida è ora di far sì che i PG diventino uno strumento formativo condiviso dall’intero sistema della cooperazione allo sviluppo dell’Italia. Arturo Alberti Quaderni acp 2014; 21(6): 283-284 specializzando La formazione alla comunicazione-relazione nella Scuola di Specializzazione in Pediatria: l’esperienza dell’Università Cattolica di Roma Michele Gangemi*, Patrizia Papacci** *Formatore al counselling sistemico, Verona; **Terapia Intensiva Neonatale, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma L’esperienza Durante l’anno accademico 2013-2014 si sono tenuti due seminari (otto ore ciascuno) presso la Scuola di Specializzazione in Pediatria dell’Università Cattolica di Roma, rivolti agli specializzandi dell’ultimo triennio. Dopo una prima giornata molto interattiva con videostimolazioni e lavori in piccolo gruppo, a partire da colloqui audioregistrati in vari ambiti pediatrici, è stato chiesto ai partecipanti di audioregistrare colloqui nella loro realtà e con la specificità del loro ruolo. Non sempre è stato facile ottenere il permesso per le audioregistrazioni, ma sono stati forniti otto colloqui svoltisi sia in Terapia Intensiva Neonatale (TIN) che in reparto pediatrico. Quattro colloqui, ritenuti particolarmente adatti dal punto di vista didattico, sono stati usati per il lavoro in piccolo gruppo con partecipazione attiva di tutti gli specializzandi. Per approfondire le metodiche di insegnamento del counselling si rimanda al manuale scaturito dall’esperienza di tutoraggio con i medici di medicina generale all’Università di Modena [1]. Il commento degli specializzandi a fine corso – “Mi sarebbe piaciuto molto confrontarmi in merito a molti argomenti affrontati durante il discorso con personale medico strutturato. Sarebbe interessante e stimolante creare gruppi di lavoro misto (strutturati/specializzandi) in occasioni future. Mi sarebbe inoltre piaciuto che alla fine del corso ci fosse stata una prova pratica (comunicazione di una modifica terapeutica/di diagnosi di uno stato del paziente ecc.) per valutare la messa in campo dei concetti appresi”. – “Molto interessante. Da ripetere, soprattutto la parte pratica per la quale è necessario il consenso da parte degli strutturati”. – “Esperienza tutto sommato positiva. Manca una vera e propria ‘prova pratica’ per capire i propri limiti nella comunicazione con il paziente, ma probabilmente Per corrispondenza: Michele Gangemi e-mail: [email protected] è una cosa poco realizzabile. Potrebbe essere svolto con più regolarità per dar modo di imparare a comunicare in maniera corretta; forse due lezioni tendono troppo a comprimere in poco tempo i tanti aspetti su cui sarebbe opportuno soffermarsi. Quel che manca totalmente è una trattazione sull’argomento della comunicazione intrasistemica, a mio parere importante tanto quanto la comunicazione con i pazienti”. – “Il corso di counselling che abbiamo effettuato è stato per me un momento di crescita professionale e umana molto importante. Ho avuto la fortuna di avere a disposizione una figura preparata e competente, capace di orientarmi e sostenermi nella valutazione degli aspetti che rendono un medico completo da tutti i punti di vista. Inoltre ho avuto la possibilità di confrontarmi con i miei colleghi e di chiarire i tanti dubbi nell’approccio a pazienti più problematici e all’interazione con le loro famiglie. Sono stata spronata a essere una persona e un medico migliore, con le competenze più qualificate per accogliere i pazienti e le loro famiglie e per prendermi cura di loro”. – “L’esperienza mi era già sembrata utile durante il corso stesso, perché aveva messo in luce parecchie criticità che mi ero trovato ad affrontare in passato. L’utilità si è confermata nei mesi a seguire: mi sono reso conto di aver applicato molti degli strumenti che il corso mi ha offerto e molti dei suggerimenti per migliorare il mio approccio alla comunicazione con i genitori”. – “Il corso di counselling è stato molto interessante e profondamente utile. Solitamente le scuole di specializzazione offrono esclusivamente lezioni e approfondimenti di natura scientifica. Credo che l’integrazione dell’insegnamento medico-scientifico con corsi di counselling sia fondamentale per una formazione completa degli specialisti di domani”. – “Ho trovato il corso utile al fine di avere migliori strumenti per comunicare con i nostri genitori al meglio. Sarebbe utile approfondire con la parte delle simulazioni”. – “Ho trovato il corso molto interessante e utile nella nostra pratica assistenziale; molte volte quotidianamente non abbiamo nemmeno il tempo di fermarci a riflettere su come la nostra comunicazione spesso dettata dai tempi ristretti e caotici dei nostri reparti sia così importante per i genitori. Sicuramente sarebbero utili la parte pratica di affiancamento e una maggiore continuità e assiduità di incontri”. – “Importante momento di condivisione e di approfondimento su come affrontare al meglio il relazionarsi, nel nostro lavoro, non solo con i pazienti (o genitori dei pazienti) ma anche con i colleghi (mi piacerebbe, infatti, approfondire questo aspetto). Il docente ha trovato modi incisivi, interessanti e non noiosi (video, film, improvvisazione) per illustrarci al meglio le tecniche di counselling. Sarebbe opportuno ripetere periodicamente questo corso, al fine di potersi confrontare e avere un corretto approccio nella gestione quotidiana del nostro lavoro”. – “Ritengo che l’esperienza effettuata sia stata molto utile, soprattutto in considerazione del fatto che siamo medici in formazione specialistica. Credo che la comunicazione sia un campo da esplorare e approfondire e che faccia parte integrante della professione medica al pari di quella clinica e scientifica: possedere strumenti adeguati in tal campo può facilitare l’operato medico. Abbiamo avuto l’opportunità di approfondire gli strumenti basilari della comunicazione e counselling. Sarebbe utile organizzare il corso in una maniera più strutturata che preveda una continuità temporale maggiore e che magari si costituisca di due parti, organizzate in anni diversi, e rappresentate da comunicazione medicopaziente e comunicazione intrasistemica. Quest’ultimo di importanza fondamentale, soprattutto nei reparti ad alta intensità di cure, dove la comunicazione e la condivisione rappresentano già da anni argomenti di interesse e ricerca. Mi complimento con il docente per la scelta delle modalità didattiche e la capacità di coinvolgimento riuscendo in tal modo a fornire, nonostante i tempi contenuti, strumenti base che sicuramente torneranno utili nella pratica clinica di ogni giorno”. – “Per me è stata un’esperienza utilissima. Quando si comunica una diagnosi a 283 lo specializzando una famiglia, maggiore è la gravità e più bisogna usare attenzione al linguaggio e alle parole da utilizzare. Io penso che i volti e le parole che i genitori vedono e sentono quando viene loro data una diagnosi di patologia, in particolare oncologica o più in generale che preveda gravi sequele e quindi condizionerà tutta la loro vita futura, rimangano impressi per sempre nei loro ricordi. Quei momenti pertanto meritano da parte nostra la massima attenzione e preparazione ad affrontarli. Non dobbiamo pensare che le cicatrici siano solo quelle che si lasciano dopo una ferita chirurgica; molto spesso sono molto più profonde quelle psicologiche in quanto poco visibili e più difficili da trattare perché basta poco per farle riemergere e servono degli sforzi notevoli per conviverci e superarle. Dedicare durante la fase di formazione uno spazio didattico alla comunicazione è a mio parere fondamentale; inoltre costituisce già di per sé uno stimolo a pensare a queste fasi della diagnosi e a fare autocritica su un aspetto della nostra pratica clinica e di noi stessi che credo siamo realmente in pochi a considerare e ancora meno ad autovalutare. Auspico pertanto che tali corsi possano diventare una pratica comune nelle scuole di specializzazione e ancora prima nel corso di laurea in medicina, per dare la giusta importanza a un aspetto della diagnosi quale quello della comunicazione che riguarda la cura del paziente allo stesso modo della terapia medica. Ribadisco pertanto che tali corsi siano utili e fondamentali nella formazione di ‘giovani’ medici e non solo”. – “Il corso è stato molto interessante e mi ha dato l’opportunità di riflettere su un aspetto del nostro lavoro davvero importante che sinora non avevo mai analizzato con attenzione e sistematicità. Spero di poter partecipare ad altri incontri così da poter discutere ancora con il dottor Gangemi e con gli altri colleghi delle tante situazioni che ci troviamo ad affrontare quotidianamente senza avere spesso la preparazione giusta per farlo”. – “Ho trovato il corso molto stimolante. Mi ha permesso di approfondire aspetti della mia professione su cui finora non mi ero adeguatamente soffermata. Ottima e immediata la modalità con cui sono state svolte le lezioni. Avrei voluto ap284 Quaderni acp 2014; 21(6) profondire il tema della comunicazione intrasistemica, e avrei voluto eseguire delle prove pratiche, momento in cui mi sarei potuta mettere alla prova”. – “‘Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare il punto di vista’. Queste due intense giornate di counselling con il docente sono state momenti importanti di crescita e confronto, per noi piccoli medici ‘in-formazione’, per noi che siamo ancora in tempo a salvaguardare lo spirito del giuramento di Ippocrate e a rendere merito alla nostra missione di medici. Saper ascoltare il dolore, non semplicemente sentire, comunicare col cuore. Sensazioni e sentimenti che guidano scienza e sapere. Sarebbe importante (diritto e dovere) per tutti i medici avere la possibilità di partecipare a un corso di counselling, da riproporre di tanto in tanto, come per l’aggiornamento scientifico”. Il commento del Direttore della Scuola La formazione specialistica pediatrica nel nostro Paese è organizzata in modo da garantire l’acquisizione di competenze adeguate relativamente alle attività che si realizzano in ambito ospedaliero, incluse le competenze di Terapia Intensiva Neonatale e Pediatrica (TINP) e di Pronto Soccorso (PS) e sul territorio (grazie alla collaborazione dei pediatri di famiglia). La formazione alla comunicazione è certamente una delle attività più carenti nei percorsi formativi in pediatria, mentre la comunicazione con i piccoli pazienti e i loro genitori rappresenta una parte integrante dei percorsi di cura. Senza considerare che spesso contenziosi di tipo legale hanno la loro base in carenze di comunicazione. La capacità di interagire con pazienti e genitori non può essere affidata solo al buon senso e alle doti comunicative dei singoli. Anche in ambito pediatrico essa necessita di competenze che solo una formazione specifica può fornire in modo adeguato. Di qui la decisione di organizzare presso la Scuola di Specializzazione in Pediatria dell’UCSC di Roma incontri finalizzati alla formazione alla comunicazione di qualità, rivelatisi utilissimi nell’ambito del percorso didattico rivolto ai nostri aspiranti pediatri. Costantino Romagnoli Direttore della Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università Cattolica “Sacro Cuore”, Roma Proposte per il futuro La conoscenza del sé è necessaria per formare un professionista riflessivo che sappia imparare dall’azione, riflettendo su quanto accade nel rapporto con l’altro a partire dalle proprie emozioni [2]. La Scuola di Specialità ha il compito di formare un futuro pediatra che, indipendentemente dalla sede in cui eserciterà il proprio lavoro, sappia riconoscere e gestire le proprie emozioni. L’ambito pediatrico presenta l’ulteriore criticità dell’interlocutore indiretto e presuppone la capacità di comunicare non solo con i genitori, ma anche con i bambini. Questa abilità risulta ancora carente nei colloqui registrati. Gli specializzandi segnalano anche difficoltà nel lavoro di équipe nel rispetto dei ruoli e delle specifiche competenze. Questa tematica, anche nell’ottica della riorganizzazione delle cure primarie, sarà sempre più all’ordine del giorno e deve trovare risposta nella capacità di lavoro in équipe. È giunto il tempo in cui la formazione alla comunicazione/relazione debba essere presente in tutte le Scuole di Specialità in Pediatria con modalità formative da discutere insieme e perfezionare. Si ringraziano gli Specializzandi che hanno partecipato al corso: “Comunicazione e counselling in Pediatria”: 3º anno di Scuola di Specializzazione: Barone Giovanni, Buonsenso Danilo, Catenazzi Piero, Cerchiara Giuseppe, De Nisco Alessia, Sani Ilaria; 4º anno di Scuola di Specializzazione: Aurilia Claudia, Bersani Giulia, Cardiello Valentina, Filoni Simona, Priolo Francesca, Russo Ida; 5º anno di Scuola di Specializzazione: Alighieri Giovanni, Fioretti Maria, Focarelli Benedetta, Gatto Antonio, Leoni Chiara, Tirone Chiara. u Bibliografia [1] Padula MS, Aggazzotti G. Imparare a insegnare la medicina generale. Unimore, 2013. [2] Schon DA. Il professionista riflessivo. Dedalo, 1993. Quaderni acp 2014; 21(6): 285-286 a Qacp Sul codice etico di autoregolamentazione ACP Vorrei fare alcune considerazioni dopo aver letto l’editoriale sull’approvazione del nostro codice etico di autoregolamentazione. Ho contribuito al dibattito che ne ha preceduto la stesura e non nascondo che lo avrei voluto ancora più elastico perché finalmente ho imparato che il meglio è spesso il peggior nemico del bene e che a mio parere è molto meglio riuscire a fare benino per tanti bambini che non perfettamente bene per pochissimi. Io credo che tutti quelli che si pongono il problema di un comportamento etico nella professione il problema lo hanno in pratica già risolto, perché dimostrano di essere sensibili allo stesso e stanno attenti a non farsi condizionare: quelli che si pongono il problema (e quindi anche io) vorrebbero un sistema che funzionasse in modo da rendere le discussioni scientifiche totalmente indipendenti (anche da un punto di vista formale) dal mondo degli interessi commerciali; ma purtroppo la realtà non è questa e bisogna tenerne conto. La parte di gran lunga maggioritaria del mondo pediatrico (e medico in generale) il problema semplicemente non se lo pone. Nel mondo reale in cui operiamo succede che un pediatra qualunque (come potrei essere io) cerca di fare del suo meglio per i suoi pazienti, ma riesce a incidere molto marginalmente sulla realtà che lo circonda perché “ovviamente” e anche a causa delle proprie limitate capacità (anch’esse parte del mondo reale) non riesce a modificare la cultura sanitaria imperante, fatta da chi il problema semplicemente non se lo pone. Ma come si arriva (fermo restando il sistema attuale) a essere convincenti per una platea così vasta e spesso così ostile se si rifiutano i mezzi per raggiungerla? Indiscutibilmente Quaderni e i nostri congressi sono formativi per noi acpini, ma a quanti non acpini riusciamo a far cambiare parere o almeno a instillare un qualche dubbio? Rifiutare del tutto il sistema ci impedisce di entrare in contatto col resto del mondo pediatrico che ne rappresenta la maggio- ranza; lasciare in mano a chi non si pone problemi etici tutti i mezzi per diffondere una cultura pediatrica farà sì che la vedremo sempre più allontanarsi dai nostri parametri, con danno evidente per i bambini. Concludo con una frase fatta (che dimostra la scarsa originalità di questa riflessione post-ferragostana): omnia munda mundis. Fondamentale riuscire anche a far vedere una estraneità rispetto a ogni interesse, ma ricordiamoci che in ogni caso è la sostanza il primo e più importante frutto da cogliere. Il codice lo prevede: permette di ricevere collaborazioni dalle aziende nel rispetto della trasparenza (tutto deve svolgersi alla luce del sole) e dei contenuti scientifici (non certo di quelli ludico-vacanzieri); a noi dare sostanza concreta e giusta alle dichiarazioni di principio salvaguardando i princìpi etici nei contenuti scientifici, la selezione avverrà automaticamente: omnia munda mundis. Daremo così un segnale di vitalità dall’interno della comunità pediatrica e non saremo ancora e sempre indicati come quelli che “stanno sull’Aventino” (o nel mondo dei sogni secondo i punti di vista); potremo riuscire a contaminare coi nostri princìpi a cui non vogliamo rinunciare i tanti che al sentire nominare ACP alzano le spalle con fastidio; potremo dare, allo stesso mondo delle aziende, un riferimento utile e alternativo rispetto a quello finora dominante. È solo un parere personale. Rosario Cavallo Egregio Direttore, Rosario Cavallo ha il merito di sollecitare spesso pensieri e dibattiti su temi attuali e importanti riguardanti la nostra professione, l’ACP e la salute dei bambini. Cominciamo quindi col ricordare che l’impegno non è una novità nella vita dell’ACP, perché la prima versione fu approvata dall’assemblea quindici anni fa. Tutti i soci pertanto, sia vecchi che nuovi (e Rosario non è certamente nuovo), erano tenuti a conoscerla e contestualmente erano invitati a cercare di uniformare il proprio comportamento ai suoi princìpi. La presente versione è un aggiornamento della precedente, adottata «per tener conto dell’evoluzione del pensiero riguardante il conflitto d’interessi, per chiarire alcuni aspetti che potevano apparire contraddittori e per precisare ancora meglio le attività che ne rappresentano l’ambito di applicazione, nella considerazione che alcuni comportamenti sono ormai regolati per legge e, come tali, non costituiscono più l’oggetto di una autoregolamentazione». Nessuna novità, quindi. Fatta questa precisazione, non capiamo il desiderio di una maggiore elasticità. “Più elastico” significa, infatti, che l’impegno viene considerato già elastico ma non in maniera sufficiente. Occorre allora precisare che l’impegno non è affatto elastico. Esso infatti detta delle norme di comportamento dell’ACP nella sua veste istituzionale di associazione medica, nei confronti dell’industria e contestualmente invita, ma non obbliga, i propri iscritti a riconoscerne il fondamento e a cercare di comportarsi di conseguenza. Le norme derivano a loro volta dai princìpi scaturiti dal dibattito più recente sui conflitti d’interesse. La norma e il principio non possono essere elastici, perché altrimenti chi stabilisce il punto fino a cui l’elastico può essere teso? Non valgono in questo caso le attenuanti o le aggravanti, né c’è un giudice che possa valutarle. Paolo Siani Non crediamo, poi, che basti porsi il problema di un comportamento etico nella professione per stare attenti a non farsi condizionare. Sarebbe troppo facile. Il problema infatti a livello individuale potrebbe anche essere risolto, al contrario, considerando non riprovevole derogare a volte da un comportamento etico, con relativa autoassoluzione. D’altro canto esiste un’ampia documentazione che dimostra come in molte circostanze non siano sufficienti il proprio autocontrollo e la propria consapevolezza per evitare comportamenti non corretti, che possono incrinare il patto di cittadinanza che ci lega ai nostri pazienti. Nell’impegno è detto: «[…] le organizzazioni mediche rappresentano la faccia 285 lettere Quaderni acp 2014; 21(6) FINITA LA VICENDA STAMINA. O NO? pubblica della professione, e il loro agire condiziona in gran parte il grado di fiducia e rispetto in esse riposto dai cittadini, dalla società e dall’opinione pubblica. Minare con i propri comportamenti questa fiducia significa erodere le basi della convivenza civile e dei rapporti tra i cittadini, e quindi venir meno a un proprio dovere morale e professionale». Significa anche ridurre la probabilità di un risultato positivo del proprio impegno professionale, anche quando questo è il frutto di azioni e decisioni tecnicamente ineccepibili. Come dovrebbe ben sapere Rosario, che combatte una battaglia durissima sul fronte della vaccinazione MMR: una larga parte dei genitori che rifiutano la vaccinazione per i figli lo fa perché non si fida dei medici, credendoli tutti in combutta con le multinazionali del farmaco, dalle quali riceverebbero favori e benefit di vario genere in cambio di prescrizioni. Il richiamo all’omnia munda mundis di paolina e manzoniana memoria non ci sembra appropriato. Il “mondo”, cioè il puro nel cuore e nei comportamenti, deve infatti essere realmente tale, diversamente il motto non si applica. Agnese e Lucia lo erano, e pertanto non poteva essere disdicevole che passassero la notte in un convento di cappuccini. Molto diverso dall’accettare un dono da parte di chi (l’industria) non è disinteressato e ha come principale obiettivo quello di realizzare un profitto e solo come possibile interesse secondario quello di contribuire alla salute delle persone. Non vi è garanzia di essere “mondi” in tutto questo. Non si tratta di moralismo, né di ergersi a giudice dei comportamenti delle persone, ma semplicemente di un richiamo alla necessità di un sistema di regole. Perché altrimenti ogni mezzo, compreso quello dei rapporti non regolati e non trasparenti con l’industria, potrebbe essere considerato lecito per ottenere uno scopo, per esempio per raggiungere la platea di colleghi per i quali, per vari motivi, il problema non esiste. È pur vero che “a volte il meglio è nemico del bene” (non sempre!), ossia che per cercare di far meglio si può perdere anche quel bene che si era ottenuto. 286 L’aforisma però assume che il bene sia stato già raggiunto, altrimenti non si capirebbe come e perché questo bene possa essere migliorato. Ma può il bene derivare da rapporti inquinati, o anche possibilmente tali, per mancanza di trasparenza e di regole? I richiami al bisogno di legalità nel sistema sanitario sono sempre più frequenti, anche nel nostro Paese. Ne ha parlato il rapporto “Illuminiamo la salute”, cui hanno contribuito, tra l’altro, l’Associazione Libera e il Gruppo Abele. E lo ha richiamato nello scorso mese di settembre anche il direttore generale dell’Agenas. È ovvio che presenza di un conflitto d’interessi non significa tout court illegalità, e quindi reato. Il concetto di fondo è che il conflitto di interessi non è un comportamento, ma una condizione, per il cui verificarsi è sufficiente che esista un legame in grado di compromettere l’indipendenza del medico: è sull’improprietà dell’influenza esterna, e non sul risultato che da quel rapporto deriva, che si misura il conflitto. Infine, diversamente da quanto sostiene Rosario, proprio l’aver stabilito e il richiamarsi costantemente a regole chiare e, insieme, la qualità delle proposte e dell’attività dei propri soci stanno funzionando da elementi di attrazione dell’interesse di altre società pediatriche nei confronti dell’ACP. Sono passati i tempi in cui si dava l’impressione di privilegiare uno splendido isolamento e di “stare sull’Aventino”, inducendo alzate di spalle da parte di altri colleghi. Siamo convinti che proprio l’adozione di un sistema di regole induca rispetto, attenzione e proposte di collaborazioni e azioni congiunte. Ed è questa la strada da seguire per cercare di influire sul sistema e per modificare atteggiamenti e azioni in senso virtuoso nella classe pediatrica, senza compromessi e opportunismi. L’ACP l’ha seguita e dopo un proficuo e partecipato dibattito tra tutte le sue componenti ha approvato la nuova versione dell’impegno nella sua assemblea plenaria. Carlo Corchia, Paolo Siani È finita la vicenda Stamina? O ci sarà qualche giudice che farà inciampare il ministro che ha chiuso la sperimentazione del protocollo di Davide Vannoni, prendendo atto delle conclusioni del nuovo comitato scientifico che si era espresso negativamente? La Presidente della Commissione sanità del Senato sostiene che secondo lei “Ha fatto bene il ministro della Salute a chiudere definitivamente, con il suo Decreto, qualsiasi possibilità di sperimentazione del metodo Stamina già bocciato dal comitato scientifico”. Il parere negativo del nuovo Comitato scientifico è stato espresso all’unanimità. Afferma che nel metodo non sussistono le condizioni per l’avvio di una sperimentazione, “con particolare riferimento alla sicurezza del paziente”. Ma Vannoni ribatte: “Ritorneremo al Tar con i nuovi dati emersi e attenderemo una nuova pronuncia del tribunale. Le conclusioni del comitato sono ridicole perché non c’è alcuna valutazione scientifica e non sono state rispettate le indicazioni date dal Tar stesso, dopo la bocciatura del protocollo da parte del primo Comitato”. Come si ricorderà quella del nuovo comitato è stata la seconda bocciatura del protocollo Vannoni. Il giudizio negativo del primo Comitato venne fermato dal Tar che mosse vari rilievi, a partire dalla contestazione di non imparzialità della Commissione. Dopo quella pronuncia le infusioni, secondo il metodo Stamina, sono proseguite presso gli Spedali Civili di Brescia, a seguito delle pronunce favorevoli di diversi giudici sulla base della cosiddetta legge Balduzzi che stabiliva la prosecuzione del trattamento per quei pazienti che lo avessero già iniziato. Un altro stop agli Spedali Civili di Brescia è però arrivato, lo scorso agosto, con la decisione della magistratura di sequestrare cellule e attrezzature del cosiddetto protocollo Stamina, sulla base della sussistenza di un pericolo per la salute dei pazienti. Il sequestro è stato confermato nelle settimane successive dal Gup di Torino. Prima del sequestro delle cellule, erano una trentina i pazienti in trattamento a Brescia. Salterà fuori di nuovo la riserva del decreto Balduzzi? Il direttore generale degli Spedali civili di Brescia è prudente: “Il Decreto del ministero è un aspetto determinante, ma non basta”. Quaderni acp 2014; 21(6): indice VOLUME 21 GENNAIO-DICEMBRE 2014 INDICE DELLE RUBRICHE Aggiornamento avanzato La rottura della tolleranza nella patologia autoimmune e l’induzione della tolleranza nella medicina trapiantologica 3 122 Leggo perché scrivo 6 267 Angolo della comunità (l’) Differenze di salute in studenti del quinto anno scolastico in differenti gruppi etnici 1 26 Prevalenza e rischio di violenza verso i bambini con disabilità 2 69 In USA obbligatorio informare pubblicamente sull’elargizione di denaro a ogni medico da parte dell’industria. E in Italia? 5 228 Allattamento al seno e capacità cognitive, di linguaggio e motorie all’età di 18 mesi 6 253 F. Barzaghi, R. Bacchetta G. Biasini Red Red Red Red Bambino e la legge (il) I diritti del minore straniero: quadro normativo e percorso giurisprudenziale La riforma della filiazione 4 176 6 268 A. Tognoni A. Tognoni Caso che insegna (il) Un decorso lento non sempre è benigno Una diagnosi quasi per caso 3 124 6 271 B. Boscherini, P. del Balzo P. Siani, et al. Congressi controluce Nuove politiche locali per l’infanzia e l’adolescenza Il Rapporto AMREF 3 141 6 282 Red Red Documenti Codice del Diritto del minore alla salute e ai servizi sanitari L’ACP per un Piano nazionale per l’infanzia Due documenti dell’ACP Un documento dell’ACP sulla carenza di ferro 1 42 1 45 3 139 5 239 Red Red Red Red 1 1 2 2 3 3 G. Saggese A.M. Falasconi F. Benini, M. Gangemi G. Biasini P. Siani M. Gangemi Editoriale La Scuola di Specializzazione in Pediatria: quali cambiamenti? Diritti dei minori: un mare di carta? Il dolore nel bambino: dove siamo? Così disse un ineffabile ministro Lo sai mamma? Formare meglio a meno: la FAD di Quaderni acp I pediatri italiani decidano se vogliono proteggere l’allattamento Quindici anni fa nasceva “Nati per Leggere” Sott’acqua, ma sempre assetati Stili di vita e tutela della salute: anche il Comitato Nazionale di Bioetica ne parla. E i pediatri che fanno? Il nuovo Codice deontologico: novità e riflessioni Informazioni per genitori: il percorso continua con qualche cambiamento Lo scalone monumentale della Stazione Centrale di Milano La Carta dei diritti del bambino morente: “Carta di Trieste” Il domani che verrà Farmacipì Le priorità della ricerca in Pediatria non sono dettate dai bisogni terapeutici L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) promuove l’uso sicuro dei farmaci in gravidanza e in pediatria Psicofarmaci e bambini: la distanza tra ricerca e pratica clinica Film Il vuoto dentro ne La prima neve di Andrea Segre Il capitale umano e i suoi capitoli La moltiplicazione dei rapporti familiari nel secondo film di Francesco Bruni. Noi 4 Alabama Monroe. Una storia d’amore Le meraviglie di Alice 1 2 49 50 97 98 3 99 4 145 5 193 5 194 5 195 5 196 5 197 S. Conti Nibali G. Biasini L. De Fiore C. Corchia P. Elli S. Manetti F. Zanetto 6 241 6 243 M. Orzalesi P. Siani 2 A. Clavenna, et al. 81 4 179 A. Clavenna, et al. 6 279 D. Piovani, A. Clavenna 1 2 I. Spada I. Spada 39 92 3 138 4 185 5 238 I. Spada I. Spada I. Spada I nostri ragazzi. La speranza di non doverci mai dare una risposta 6 281 Formazione a distanza (FAD) Il bambino con dolore osteoarticolare 1 La colestasi nella prima infanzia 2 Le epilessie in età pediatrica: inquadramento diagnostico 3 Patologia tumorale e pseudotumorale dell’osso nell’età pediatrica: un approccio clinico 4 Il maltrattamento fisico: quali conoscenze per il pediatra 5 OSAS in età pediatrica 6 Forum La procreazione medicalmente assistita Coppie infertili, procreazione medicalmente assistita e salute infantile La procreazione medicalmente assistita in Italia: dove siamo e dove andiamo? Un percorso uguale per tutti gli screenati? L’esempio della fibrosi cistica (FC) 1 8 51 100 146 198 244 14 3 113 4 162 6 257 I. Spada I. Marinelli, et al. M. Fornaro, E. Valletta G. Tricomi C. Zoccali C. Berardi G.C. De Vincentiis, et al. A. Tognoni P. Mastroiacovo, C. Corchia C. Corchia S. Conti Nibali Info Diseguaglianza: avvio di un progetto 1 Pubblicità ingannevole per Uliveto e Rocchetta 1 Nuove Regole UE: vietato idealizzare i latti di proseguimento 1 Danone non rispetta il Codice in Turchia 1 I latti di crescita 1 Influenza aviaria da H5N1 versus H7N9 in Cina 1 Porre fine all’ECM gratuita 1 Obblighi per le aziende negli USA 1 Buoni spesa per le mamme che allattano? 3 Riviste scientifiche: sì o no? 3 L’Ospedale “Meyer” nell’occhio del ciclone 3 Quanta strada per l’ortofrutta prima di arrivare a tavola! 3 Nuova revisione dell’EFSA sulla composizione dei latti formulati 5 L’Antitrust sanziona tre ditte per immagini su latte in polvere e biberon 5 L’OMS sbaglia direzione 5 Paradossi nella sponsorizzazione di manifestazioni sportive 5 Medicina narrativa a Oristano 5 Nasce la “Rete Sostenibilità e Salute” 5 Latte con il trucco in Vietnam 6 Alluminio nei latti artificiali 6 Appello di Gimbe per salvare il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) 6 Nestlé non è sponsor gradito a una conferenza sulla nutrizione 6 Integratori per l’infanzia. Antitrust multa Humana Italia per claim salutistici 6 Finanziamenti di Big Pharma ai medici 6 275 275 Red Red Informazioni per genitori Mio figlio ha l’artrite Le tante sfumature della… cacca Il bambino che soffre di epilessia I dolori delle ossa Un genitore positivo Tonsille e adenoidi: “una coppia di fatto” 36 86 110 154 205 252 S. Manetti, et al. S. Manetti, et al. S. Manetti, et al. S. Manetti, et al. C. Panza, et al. C. Panza, et al. 1 2 3 4 5 6 Lettere La Chiesi ci scrive 1 Cosa ha significato per me ENBe 1 Diamo una chance al sacchetto per le urine 1 A proposito di FAD e possibili fruizioni 2 Dossier FAD 4/2013: la porpora trombocitopenica immune 2 Omosessualità e disagio sociale adolescenziale: una nuova emergenza per il pediatra del terzo millennio 2 Continua il dibattito sull’organizzazione disorganizzata della Pediatria Italiana 2 Lettera di una mamma 2 18 18 18 18 19 19 19 19 118 118 119 119 224 224 224 224 225 225 274 274 274 274 46 47 48 94 94 94 95 96 Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red A. Clavenna, M. Bonati F. Zanetto L. Peratoner Red M. Jankovic Red R. Cavallo Red 287 Quaderni acp 2014; 21(6): indice La FAD 2013: i vostri commenti Sul codice etico di autoregolamentazione ACP 3 144 6 285 Red Red Libri Su mirabili spiagge e balsamiche pinete Decidere in Terapia OMS e diritto alla salute: quale futuro Come vincere la sfida della talassemia Pediatri e bambini Wonder Vivere a spreco zero Stamina Connection Mamma, non mi sento tanto bene Ducasse bebè Stoner Adolescenza e Autonomia: che fatica! Giocare con i suoni Caro amico ti scrivo Il primo sguardo Nati per vivere L’utilità dell’inutile La settimana bianca L’aggancio A che gioco giochiamo noi primati Io mangio come voi Morte di un uomo felice Enrico Berlinguer, casa per casa, strada per strada Che ti passa per la testa? Vagabondi notturni Mangiare per crescere Il desiderio di essere come TUTTI 1 1 1 1 2 2 2 2 3 3 3 3 3 4 4 4 4 5 5 5 5 5 6 6 6 6 6 40 40 41 41 88 88 89 89 136 136 136 137 137 186 186 187 187 226 226 226 227 227 276 276 276 277 277 G. Cerasoli, B. Garavini G. Del Vecchio, L. Vettore A. Cattaneo, N. Dentico V. De Sanctis, et al. G. Cerasoli, F. Ciotti R.J. Palácio A. Segrè D. Minerva, L. Piana A.R. Favretto, F. Zaltron A. Ducasse, P. Neyrat J. Williams D. Corbella, et al. S. Azzolin, E. Restiglian AA.VV. G. Falcicchio, et al. AA.VV. N. Ordine E. Carrère N. Gordimer D. Maestripieri AA.VV. G. Fontana P. Farina S. Capogrossi Colognesi, S. Macrì W. Jagielski M. Destino, F. Marolla F. Piccolo Medicina e storia L’amarcord di un vecchio neonatologo 1 37 D. Pedrotti Nati per Leggere NpL nella scuola di Specializzazione in Pediatria “Nati per Leggere”: i primi 15 anni Biblioteche per ragazzi: una storia avventurosa 2 93 4 188 4 189 S. Manetti S. Manetti L. Righetti Occhio alla pelle Si fa presto a dire verruche… 1 33 E. Sama, et al. Offside Parliamo di cibo. Riflessioni sul problema dell’eccesso di peso 2 90 P. Cremonese, et al. Organizzazione sanitaria Alcuni motivi per cambiare, insieme 1 21 E. Valletta, M. Gangemi 2 64 S. Manetti Osservatorio internazionale Gli effetti collaterali delle guerre: l’emergenza poliomielite in Siria La salute a Cuba: un diritto per tutti, un dovere per ciascuno Unioni tra consanguinei: vantaggi di ieri, svantaggi di oggi L’epatite A nei Paesi in via di sviluppo: un problema di transizione Pediatri fra due mondi Le mutilazioni genitali femminili: basta una storia per svelare un mondo Perunmondopossibile La riduzione dell’inquinamento atmosferico produce benefici per la salute Inquinamento e salute dei bambini: come sono cambiate le conoscenze dei pediatri e cosa chiedono le famiglie 3 120 5 218 E. Valletta 6 265 E. Valletta 3 132 V. Venturi, et al. 2 L. Todesco, G. Toffol 79 6 278 Punto su (il) Svezzamento: qual è il momento migliore per iniziare? Evidenze allergologiche e non… 1 Considerazioni sulla diagnosi di deficienza idiopatica isolata di ormone della crescita 1 288 E. Valletta 27 31 G. Toffol N. Sansotta, et al. B. Boscherini, S. Cianfarani Linee Guida nazionali per la promozione della salute orale e la prevenzione delle patologie orali in età evolutiva HLA e celiachia: a ciascuno il proprio rischio La psichiatria (anche infantile) tra diagnosi e diagnosticismo Research letters Sessione Comunicazioni orali al XXV Congresso Nazionale dell’Associazione Culturale Pediatri Comunicazioni orali degli specializzandi al Convegno di Tabiano 2014 Indagine sulle condizioni di vita dei bambini di 18-30 mesi e delle loro famiglie nelle Regioni italiane Ricerca I percorsi di assistenza ai bambini guariti da tumore: l’esperienza dei Centri AIEOP Late-preterm: un gruppo di neonati a rischio per disturbi dello sviluppo cognitivo Salute mentale Quando Internet diventa una droga “Nati per Leggere” quindici anni dopo Problemi di salute mentale nell’infanzia e nell’adolescenza: criticità nella pratica e nella modalità di intervento Nati per la Musica 2 74 3 127 3 129 F. Ciotti 3 111 Red 5 206 Red 6 254 G. Cirillo 1 L. Pomicino, G.A. Zanazzo 3 4 155 B. Caravale, et al. 1 20 4 172 A. Spataro, F. Tonioni A. Spataro, S. Manetti 5 210 6 264 A. Spataro, R. Sangermani A. Spataro, S. Gorini Salute pubblica La formazione sull’allattamento materno nell’ambito del progetto BFHCI dell’OMS-UNICEF: una riflessione critica 4 165 La nuova versione dell’impegno di autoregolamentazione dell’ACP nei rapporti con l’industria 4 170 L’Équipe Multidisciplinare in ambito materno-infantile: uno strumento di intervento socio-sanitario integrato 6 260 Saper fare L’abuso sessuale: qualche appunto per il pediatra delle cure primarie Come si legge e cosa dice un emocromo Scenari Steatosi epatica non alcolica in un bambino: c’è spazio per la terapia farmacologica? Uno scenario clinico Traumi del paziente pediatrico e profilassi del tromboembolismo venoso. Uno scenario clinico P. Siani, C. Corchia A. Liverani, et al. C. Panza M. Jankovic 2 S. Amarri, C. Panza 65 5 220 2 82 4 180 Telescopio Staffing infermieristico in Terapia Intensiva Neonatale: di più è meglio? 2 60 Meta-analisi sulla legatura del PDA: gli studi disponibili sono sufficienti a guidare la scelta clinica? 5 214 Vaccinacipì A proposito di vaccinazione anti-Meningococco B… A proposito di vaccini, priorità e linee di condotta Quali vaccinazioni nel bambino affetto da diabete mellito? La scelta di vaccinare: uno sguardo dal ponte Il vaccino antirotavirus R. Prosperi Porta, M.A. Bosca 2 70 4 173 Specializzando (lo) La formazione dello specializzando nell’ambulatorio del pediatra di famiglia 3 143 Lo specializzando nell’ambulatorio del pediatra di famiglia: il punto di vista di un direttore di specialità 5 240 La formazione alla comunicazione-relazione nella Scuola di Specializzazione in Pediatria: l’esperienza dell’Università Cattolica di Roma 6 283 Storie che insegnano A scuola… con il diabete Dottore, Alessandro ha sempre mal di pancia… C. Berardi E. Valletta 1 2 34 80 3 131 5 229 6 280 M. Marchesi C. Gagliardo, et al. A. Guarino, et al. M. Gangemi, P. Papacci A. Bobbio, et al. S. Davico, et al. R. Bellù M. Condò F. Giovanetti R. Cavallo F. Giovanetti L. Speri, et al. R. Cavallo FaD 2015 ACP La Sincope in età pediatrica R. Paladini Il sostegno dell'allattamento al seno: fisiologia e falsi miti S. Conti Nibali Le bronchiti asmatiche ricorrenti nel bambino in età prescolare L. De Seta, M.S. Sabbatino, F. De Seta Il diabete nel bambino: come riconoscerlo, come curarlo A. Marsciani, T. Suprani, B. Mainetti, V. Graziani, A. Pedini Approccio diagnostico al bambino con ipertransaminasemia C. Mandato, M. Tripodi, P. Vajro Il bambino neurologico: problematiche gastroenterologiche e nutrizionali A. Tedeschi 18 ECM* Quaderni acp website: www.quaderniacp.it novembre-dicembre 2014 vol 21 nº 6 Editoriale 241 La Carta dei diritti del bambino morente: “Carta di Trieste” Marcello Orzalesi 243 Il domani che verrà Paolo Siani Formazione a distanza 244 OSAS in età pediatrica Giovanni Carlo De Vincentiis, Emanuela Sitzia, Maria Laura Panatta Informazioni per genitori 252 Tonsille e adenoidi: “una coppia di fatto” Costantino Panza, Stefania Manetti Antonella Brunelli L’angolo della comunità 253 Allattamento al seno e capacità cognitive, di linguaggio e motorie, all’età di 18 mesi Red Research letters 254 Indagine sulle condizioni di vita dei bambini di 18-30 mesi e delle loro famiglie nelle Regioni italiane (gennaio 2014 - dicembre 2015) Giuseppe Cirillo Forum 257 Un percorso uguale per tutti gli screenati? L’esempio della fibrosi cistica (FC) Sergio Conti Nibali Salute pubblica 260 L’Équipe Multidisciplinare in ambito materno-infantile: uno strumento di intervento socio-sanitario integrato Antonella Liverani, Teresa Ilaria Ercolanese, Enrico Valletta Salute mentale 264 Nati per la Musica Intervista di Angelo Spataro a Stefano Gorini Osservatorio internazionale 265 L’epatite A nei Paesi in via di sviluppo: un problema di transizione Enrico Valletta, Martina Fornaro Aggiornamento avanzato 267 Leggo perché scrivo Giancarlo Biasini Info 274 Latte con il trucco in Vietnam 274 Alluminio nei latti artificiali 274 Appello di Gimbe per salvare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) 274 Nestlé non è sponsor gradito a una conferenza sulla nutrizione 275 Integratori per l’infanzia, Antitrust multa Humana Italia per claim salutistici 275 Finanziamenti di Big Pharma ai medici Libri 276 Enrico Berlinguer, casa per casa, strada per strada di Pierpaolo Farina (a cura di) 276 Che ti passa per la testa? di Sara Capogrossi Colognesi, Simone Macrì 276 Vagabondi notturni di Wojciech Jagielski 277 Mangiare per crescere di Mauro Destino, Federico Marolla 277 Il desiderio di essere come TUTTI di Francesco Piccolo Perunmondopossibile 278 Inquinamento e salute dei bambini: come sono cambiate le conoscenze dei pediatri e cosa chiedono le famiglie Giacomo Toffol Farmacipì 279 Psicofarmaci e bambini: la distanza tra ricerca e pratica clinica Daniele Piovani, Antonio Clavenna Vaccinacipì 280 Il vaccino antirotavirus Rosario Cavallo Film 281 I nostri ragazzi. La speranza di non doverci mai dare una risposta Italo Spada Congressi controluce 282 Il Rapporto AMREF Lo specializzando 283 La formazione alla comunicazione-relazione nella Scuola di Specializzazione in Pediatria: l’esperienza dell’Università Cattolica di Roma Michele Gangemi, Patrizia Papacci Il bambino e la legge 268 La riforma della filiazione Augusta Tognoni Il caso che insegna 271 Una diagnosi quasi per caso Paolo Siani, Claudia Mandato, Francesco Esposito, et al. Lettere 285 Sul codice etico di autoregolamentazione ACP 287 Indice delle rubriche Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP La quota d’iscrizione per l’anno 2014 è di 100 euro per i medici, 10 euro per gli specializzandi, 30 euro per gli infermieri e per i non sanitari. Il versamento può essere effettuato tramite il c/c postale n. 12109096 intestato a: - Associazione Culturale Pediatri, Via Montiferru, 6 - Narbolia (OR) (indicando nella causale l’anno a cui si riferisce la quota) oppure attraverso una delle altre modalità indicate sul sito www.acp.it alla pagina “Iscrizione”. Se ci si iscrive per la prima volta occorre scaricare e compilare il modulo per la richiesta di adesione presente sul sito www.acp.it alla pagina “Iscrizione” e seguire le istruzioni in esso contenute oltre a effettuare il versamento della quota come sopra indicato. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista bimestrale Quaderni acp, la Newsletter mensile Appunti di viaggio e la Newsletter quadrimestrale Fin da piccoli del Centro per la Salute del Bambino richiedendola all’indirizzo [email protected]. Hanno anche diritto a uno sconto sulla iscrizione alla FAD dell’ACP alla quota agevolata di 50 euro anziché 150; sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino, indicata nel modulo di conto corrente postale della rivista e sulla quota di iscrizione al Congresso nazionale ACP. Gli iscritti possono usufruire di iniziative di aggiornamento, ricevere pacchetti formativi su argomenti quali la promozione della lettura ad alta voce, l’allattamento al seno, la ricerca e la sperimentazione e altre materie dell’area pediatrica. Potranno partecipare a gruppi di lavoro su ambiente, vaccinazioni, EBM e altri. Per una informazione più completa visitare il sito www.acp.it.