Incapacità di donare può desumersi dall’invalidità lavorativa
Cassazione civile, sez. VI-2, ordinanza 17.09.2013 n. 21148 (Giuseppina Vassallo)
La precedente certificazione d’invalidità lavorativa, seppur ai fini
pensionistici, che accerta una grave patologia (arteriosclerosi cerebrale con turbe della memoria e del
comportamento, e una vascolopatia cerebrale senile), legittima l’annullamento della donazione
intervenuta a distanza di un anno. Rilevata l’incapacità naturale, che nella specie si poteva palesemente
dedurre dal referto che aveva attestato un’invalidità al 100%, spetta a chi intenda provare l’efficacia
dell’atto, dimostrare che questo sia stato compiuto in una fase di temporanea regressione della
malattia.
Il caso. In primo grado, il giudice di merito annulla una donazione fatta da una donna la quale, qualche
tempo prima del compimento dell’atto, era stata dichiarata invalida con totale e permanente inabilità
lavorativa al 100% e con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti
quotidiani della vita. La donna era risultata affetta da un'arteriosclerosi cerebrale con turbe della
memoria e del comportamento, e una vascolopatia cerebrale senile. I donatari impugnano la sentenza e
la Corte di Appello di Catania, ribaltando la pronuncia del Tribunale, dichiara valida la donazione già
annullata. Ricorrono per Cassazione le eredi della donna.
La sentenza della Cassazione n. 21148/2013. La pronuncia della Cassazione esamina l’iter logico
argomentativo fornito dalla Corte catanese. La circostanza che la donante non fosse interdetta,
comporterebbe che la dimostrazione dell'incapacità naturale di lei grava su chi chiede l’annullamento
della donazione, non essendo sufficiente ad invertire l'onere probatorio, il solo certificato della
Commissione medica, rilasciato un anno e mezzo prima della donazione ai fini della domanda di pensione
per invalidità e/o di indennità d'accompagnamento, poichè tale atto attestava esclusivamente
un'invalidità ostativa al lavoro e uno stato di non autosufficienza, ma non anche un'incapacità naturale.
Tale assunto non è condiviso. La sentenza della Cassazione, infatti, rileva che giustamente il Tribunale
aveva tenuto conto del principio giurisprudenziale dominante in materia secondo cui, una volta provata
l'infermità mentale permanente, è onere di chi afferma la validità dell'atto dimostrare che sia stato
compiuto in occasione di una temporanea regressione della patologia, ovvero in un lucido intervallo,
secondo la corretta interpretazione delle norme di cui all’art. 2697 c.c. e 428 c.c. (cfr. Cass. Civ. n.
17130/2011, Cass. Civ. n. 9662/2003 e Cass. Civ. n. n. 4539/2002).
Al contrario, la Corte pur acquisendo al giudizio la prova di una malattia mentale e quindi di una
patologia permanente che avrebbe determinato l'inversione dell'onere probatorio ai fini della validità
della donazione, ha ritenuto il referto ricollegabile soltanto all’accertamento dell’invalidità lavorativa
finalizzata alla richiesta di una pensione e indennità di accompagnamento.
Secondo la Cassazione è palese l'illogicità del ragionamento svolto dal giudice dell’appello, che invece di
valutare direttamente se la malattia così come diagnosticata avesse o no incidenza sulle facoltà
cognitive del soggetto donante, ha desunto dalla certificata inabilità al lavoro che l'incapacità naturale
non fosse stata esistente.
(Altalex, 21 ottobre 2013. Nota di Giuseppina Vassallo)
/ incapacità di donare / invalidità lavorativa / Giuseppina Vassallo /
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE
Ordinanza 19 marzo - 17 settembre 2013, n. 21148
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni - Presidente Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere Dott. BIANCHINI Bruno - Consigliere Dott. MANNA Felice - rel. Consigliere Dott. FALASCHI Milena - Consigliere ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 12803/2011 proposto da:
S.L. (OMISSIS), S.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA TARANTO 44, presso lo
studio dell'avvocato CORSO MICAELA, rappresentate e difese dall'avvocato PALAZZOLO OTTAVIO
giusta procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrenti contro
S.C. (OMISSIS), S.M. (OMISSIS), SQ.LU. (OMISSIS), S. B. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell'avvocato DI CESARE CATIA, rappresentati e
difesi dagli avvocati ROMANO PIETRO, REALE SANTO giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti e contro
GIESSE COSTRUZIONI SRL, SQ.LE. (OMISSIS);
- intimate avverso la sentenza n. 675/2010 della CORTE D'APPELLO di CATANIA del 9/06/2010, depositata il
15/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2013 dal Consigliere Relatore
Dott. FELICE MANNA;
udito l'Avvocato Padovani Aurelio (delega avvocato Palazzolo Ottavio) difensore delle ricorrenti che si
riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI che aderisce alla relazione.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
I - Il consigliere relatore nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c., ha depositato la seguente relazione ex
artt. 380 bis e 375 c.p.c..:
"1. - Con sentenza n. 675 del 15.6.2010 la Corte d'appello di Catania, in riforma della pronuncia di primo
grado, rigettava la domanda di annullamento, per incapacità naturale, della donazione per atto notaio
Grasso, di Siracusa, del 9.7.1990, domanda proposta dalla donante S.T.R., e proseguita dalle eredi di lei,
S.L. ed E., nei confronti dei donatari C., S.M., Lu. e B.. In tale giudizio aveva spiegato intervento
volontario la Giesse Costruzioni s.r.l., terza acquirente dei beni già oggetto di donazione.
1.1. - Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte territoriale riteneva che non
essendo la donante interdetta, la dimostrazione dell'incapacità naturale di lei gravava sulla parte
attrice, non essendo sufficiente ad invertire l'onere probatorio il solo certificato della Commissione
medica, rilasciato un anno e mezzo prima della donazione ai fini della domanda di pensione per invalidità
e/o di indennità d'accompagnamento, poichè tale atto aveva attestato esclusivamente un'invalidità
ostativa al lavoro e uno stato di non autosufficienza, ma non anche un'incapacità naturale. Osservava,
altresì, che la dimostrazione del fatto che la malattia di S.T.R. non avesse quegli effetti permanenti
ritenuti dal giudice di primo grado, si traeva proprio dalla successiva cronologia degli atti, non avendo
gli appellanti manifestato alcun dubbio circa la piena validità della procura ad litem rilasciata dalla
donante, che aveva sostenuto di alternare momenti di lucidità a momenti d'incapacità.
2. - Per la cassazione di tale sentenza ricorrono S.L. ed E., formulando due mezzi d'annullamento.
2.1. - Resistono con controricorso S.C., M., Lu. e B..
2.2. - La Giesse Costruzioni s.r.l. è rimasta intimata.
3. - Col primo motivo le ricorrenti deducono l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione
circa il carattere irreversibile e permanente della malattia da cui era affetta la donante al momento
dell'atto. La Corte territoriale, si afferma, ha riconosciuto che l'anamnesi di S.T.R. riferiva di
un'arteriosclerosi cerebrale con turbe della memoria e del comportamento, e che la diagnosi della
Commissione medica aveva rilevato una vascolopatia cerebrale senile, che rendevano la donna invalida
con totale e permanente inabilità lavorativa al 100% e con necessità di assistenza continua, non essendo
ella in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Ma poi la stessa Corte, prosegue parte ricorrente,
ha concluso che il certificato medico era stato rilasciato alfine dell'attribuzione della pensione
d'invalidità e/o dell'indennità di accompagnamento, e non già per accertare l'incapacità naturale, e che
stessi appellanti non avevano manifestato alcun dubbio circa la piena validità della procura ad litem
conferita da S.T.R. al proprio avvocato.
3.1. - Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell'art. 2697 c.c.. Si sostiene, al riguardo, che
secondo l'indirizzo di questa Corte, in tema d'incapacità d'intendere e di volere, costituente causa
d'annullamento del negozio, quando esiste una situazione di malattia mentale di carattere
tendenzialmente permanente o protraentesi per un rilevante periodo, è onere del soggetto che sostiene
la validità dell'atto dare prova che esso fu posto in essere, in quel periodo, durante una fase di
remissione della patologia. Sulla scorta dell'errata ricostruzione della gravità e permanenza dello stato
di degenerazione cerebrale della donante, i giudici d'appello hanno manifestamente invertito
l'applicazione del ridetto principio, così violando, con esso, uno dei principi regolatori del giusto
processo.
4. - Quest'ultimo motivo, che va esaminato con priorità rispetto al primo, in quanto concerne il tema,
per sua natura preliminare, del riparto dell'onere della prova, è infondato.
Contrariamente a quanto mostra di opinare parte ricorrente, non è l'erronea ricostruzione e
valutazione dei fatti storici a determinare la falsa applicazione di legge. Quest'ultima, infatti, consiste
o nell'assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la
fattispecie astratta da essa prevista - pur rettamente individuata e interpretata - non è idonea a
regolarla, o nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che
contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Pertanto, è estranea ad essa la censura di vizio di
motivazione, che concerne l'erronea ricognizione da parte del giudice del merito della fattispecie
concreta attraverso le risultanze di causa (cfr. Cass. n. 18782/05).
4.1. - Nel caso in esame, la Corte etnea ha valutato esclusivamente il fatto, e solo tramite un diverso
apprezzamento di questo è pervenuta ad una soluzione diametralmente opposta a quella cui era giunto il
Tribunale, che a sua volta aveva interpretato ed applicato l'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 428 c.c.,
in maniera conforme alla giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui, provata l'infermità
mentale permanente, è onere di chi affermi la validità dell'atto dimostrare che esso sia stato posto in
essere in occasione di una temporanea regressione della patologia (cfr. Cass. nn. 17130/11, 9662/03,
4539/02 e 11833/97). In altri termini, la Corte d'appello non ha ritenuto sic et simpliciter che
incombesse sulla parte attrice dimostrare l'incapacità naturale della donante al momento dell'atto, ma
al contrario ha escluso il presupposto di fatto - ossia l'accertata esistenza di una patologia permanente
- che avrebbe determinato l'inversione dell'onere probatorio.
5. - E' fondato, invece, il primo motivo, che critica la sentenza impugnata in ordine al predetto
accertamento di fatto, lamentando insufficienza e contraddittorietà della sottostante motivazione, ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5.
L'insufficienza della motivazione consiste (o nella totale obliterazione di elementi che potrebbero
condurre ad una diversa decisione, ovvero) nell'obiettiva deficienza del procedimento logico che ha
indotto il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento (cfr. Cass. nn. 15264/07,
14084/07, 2272/07, 9223/06, 1014/06 e 15355/04). Il vizio di contraddittorietà della motivazione,
invece, presuppone un'insanabile inconciliabilità tra le varie ragioni ed argomentazioni poste dal giudice
a giustificazione della soluzione adottata, si da elidersi a vicenda e da rendere impossibile
l'individuazione del procedimento logico- giuridico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. nn.
7476/01, 914/96, 3286/79 e 2549/77).
5.1. - Nella specie, la sentenza d'appello ha affermato che la Commissione di prima istanza, sulla scorta
dell'anamnesi (da cui era emerso che la paziente era affetta da arteriosclerosi cerebrale con turbe
della memoria e del comportamento) e della visita aveva diagnosticato una vasculopatia cerebrale senile
e certificato ai sensi di legge che S.T. era "invalida con totale e permanente inabilità lavorativa 100% e
con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita (v.
pag. 14).
Contrariamente a quanto sostiene parte controricorrente, tanto l'analisi letterale, quanto la
comprensione complessiva del testo della sentenza impugnata, non lasciano adito a dubbi di sorta sul
fatto che tale accertamento sulle premesse e sull'esito della visita medica, dapprima compiuto dal
Tribunale, sia stato fatto proprio dalla Corte d'appello. Divergenti expressis verbis soli rilievi critici, i
giudizi di verità non possono che essere comuni.
5.1.1. - Orbene, tale essendo la ricostruzione di fatto desumibile dalla sentenza impugnata, la
successiva valutazione operata dalla Corte territoriale, secondo cui il certificato della Commissione
medica, essendo finalizzato all'ottenimento della pensione d'invalidità e/o alla corresponsione
dell'indennità d'accompagnamento, non attestava una malattia mentale permanente ma una semplice
inabilità al lavoro, è incongrua, e dunque fondatamente criticabile sotto entrambi i profili dedotti. Essa,
infatti, a) fa dipendere, illogicamente, il significato medico della diagnosi dallo scopo legale della visita
sanitaria; b) non è coerente con l'osservazione preliminare per cui la diagnosi stessa era stata
formulata anche sulla base di un'anamnesi che riferiva di turbe della memoria e del comportamento, di
guisa che non si comprende se e per quali ragioni queste ultime, sebbene presupposte dalla Commissione
medica, siano state ritenute inesistenti ovvero irrilevanti dai giudici d'appello; e infine c) non
approfondisce - nè per converso da atto dell'impossibilità di approfondire - il senso del predetto
certificato, poichè non chiarisce quale o quali aree encefaliche risultavano compromesse dalla
vascolopatia cerebrale, se cioè solo quelle motorie o anche quelle che presiedono alla comprensione, al
linguaggio e ai processi di memorizzazione.
6. - Per le considerazioni svolte, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, nei sensi di cui sopra,
ex art. 375 c.p.c., n. 5".
II - La Corte condivide la relaziona, in ordine alla quale il Procuratore generale nulla ha osservato,
mentre le considerazioni svolte dalla parte controricorrente nella propria memoria non sono
condivisibili, per le ragioni che seguono.
La motivazione della Corte territoriale circa il significato da attribuire al certificato della Commissione
medica rilasciato ai fini del riconoscimento della pensione d'invalidità è oggettivamente incongrua. Ed
infatti: a) la Corte territoriale ha accolto, al riguardo, proprio una considerazione svolta dagli appellanti
S.C., M., Lu. e B., i quali, per l'appunto, avevano sostenuto che detto certificato della Commissione
medica aveva riferito l'invalidità all'inabilità lavorativa e non alla capacità d'intendere (v. pag. 15 della
sentenza impugnata);
sicchè è fuor di luogo che l'inciso "finalizzato all'ottenimento della pensione", riferito al suddetto
certificato, nell'economia del discorso svolto dalla Corte territoriale non è "solo una precisazione
d'ordine storico" (così parte controricorrente afferma a pag. 5 della memoria), ma è la ragione stessa
su cui i giudici d'appello hanno basato il proprio convincimento, in perfetta adesione a quanto proposto
dagli appellanti; inoltre, b) la motivazione della Corte d'appello è fin troppo chiara, nel senso ritenuto
nella relazione, lì dove (v. pag. 16 sentenza impugnata) si afferma che "Quel certificato, finalizzato com'è noto - all'ottenimento della pensione d'invalidità e/o all'indennità di accompagnamento, non
attesta affatto che la S. fosse affetta da una malattia mentale permanente che la rendeva altrettanto
permanentemente incapace di intendere o di volere, tant'è che la Commissione medica, a fronte
dell'accertata malattia, ha certificato esclusivamente una invalidità ostativa al lavoro e la necessità di
assistenza continua per non essere il soggetto autosufficiente; ma non anche una incapacità naturale".
E' dunque palese l'illogicità del ragionamento svolto dal giudice di merito, che invece di valutare
direttamente se la malattia così come diagnosticata avesse o non incidenza sulle facoltà cognitive della
S., ha tratto indirettamente proprio e solo dalla certificata inabilità al lavoro la conclusione negativa
circa l'incapacità naturale, come se questa non potesse coesistere con quella.
Ancora, è davvero singolare che per confutare quanto osservato nella relazione si sostenga (v. pag. 5
memoria controricorrente) che nella sentenza impugnata non vi sarebbe alcun accenno "riferibile alla
Corte d'appello" circa l'esistenza di turbe della memoria e del comportamento della S.; come se
l'assenza di giudizi al riguardo, quand'anche riscontrabile, potesse giovare alla motivazione della
sentenza impugnata. Ivi richiamato (v. pag. 13 della sentenza di secondo grado) quanto detto in merito
dal Tribunale, il giudice d'appello non poteva ignorare la relativa problematica. Anche se si volesse
sostenere che la Corte territoriale non abbia inteso far proprio il suddetto accertamento medicolegale, e che si sia limitata a riferirne senza nè condividerlo, nè confutarlo, il vizio motivazionale
individuato nella relazione non potrebbe essere più evidente, che in un provvedimento giurisdizionale la
riluttanza a prendere posizione sui fatti decisivi esprime in maniera paradigmatica il vizio di cui all'art.
360 c.p.c., n. 5.
Infine, quant3 al mancato approfondimento dell'incidenza della malattia sulle aree cerebrali della S.,
così come rilevato alla lett. c), del paragrafo 5.1.1. della relazione, la parte controricorrente suppone sia
possibile eludere ogni confronto limitandosi a ribadire l'opinione finale espressa dalla Corte etnea, per
poi concludere che "il documento in questione non poteva assurgere a prova dell'incapacità di intendere
e di volere della S." (pag. 6 memoria). Anche qui errando, visto che il giudizio di cassazione non consiste
nella valutazione ultima del materiale probatorio acquisito nelle fasi di merito, ma si esaurisce nel
verificare che la sentenza impugnata sia immune dai vizi di cui all'art. 360 c.p.c..
III - In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione
della Corte d'appello di Catania, che ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 3, provvederà anche sulle spese
del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte
d'appello di Catania, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile - 2 della Corte Suprema di
Cassazione, il 19 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2013.
( da www.altalex.it )
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Incapacità di donare può desumersi dall`invalidità