IV Congresso Annuale in materia di responsabilità da reato degli enti
24 febbraio 2012 - Centro Congressi Piazza di Spagna - Roma
Riflessioni
sul modello organizzativo
per la sicurezza
Prof. Cons. Giuseppe Renato Croce
“IL D. LGS. 231/01 E LA RESPONSABILITÀ DA ORGANIZZAZIONE DIFETTOSA DEGLI ENTI E DEGLI AMMINISTRATORI”
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Dal punto di vista della responsabilità sanzionatoria, Il decreto
legislativo 231/2001 ha introdotto un nuovo sistema, un tertium genus
rispetto ai noti e tradizionali sistemi di responsabilità prevedendo
un'autonoma responsabilità amministrativa propria dell'ente, allorquando è
stato commesso un reato (tra quelli espressamente elencati nella sezione
III del D.L.vo) da un soggetto che riveste una posizione apicale
nell'interesse o vantaggio della società, sul presupposto che il fatto-reato
commesso da un soggetto che agisca per la società è fatto della società, di
cui essa deve rispondere. Si tratta di una nuova forma di responsabilità,
tipica degli enti: di natura amministrativa, con garanzie procedurali che
richiamano quelle processualpenalistiche, con sanzioni innovative in
quanto non assimilabili né alle pene né alle misure di sicurezza.
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Si tratta, quindi, di un'architettura normativa complessa che,
per quanto farraginosa e - sotto alcuni aspetti - problematica,
evidenzia una fisionomia ben definita, con l'introduzione nel
nostro ordinamento di uno specifico ed innovativo sistema
punitivo per gli enti collettivi, dotato di apposite regole
quanto alla struttura dell'illecito, all'apparato sanzionatorio,
alla responsabilità patrimoniale, alle vicende modificative
dell'ente, al procedimento di cognizione ed a quello di
esecuzione, il tutto finalizzato ad integrare un efficace
strumento di controllo sociale.
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La responsabilità dell’ente presuppone la mancata adozione dei modelli
organizzativi comportamento che è sufficiente a integrare la
"rimproverabilità", costituita dall'omissione delle previste doverose
cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie
criminose. In tale concetto di "rimproverabilità" è implicata una nuova
forma normativa di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale,
in quanto il legislatore in ambito economico e imprenditoriale, ha avuto la
legittima e fondata convinzione della necessità che qualsiasi complesso
organizzativo costituente un ente debba adottare modelli organizzativi e
gestionali idonei a prevenire la commissione di determinati reati, che
l'esperienza ha dimostrato funzionali ad interessi strutturati e consistenti,
giacché le “principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste
in essere da soggetti a struttura organizzativa complessa”. Si tratta, in
definitiva, di colpa organizzativa e gestionale presunta, stante
l'inversione dell'onere della prova.
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In questo sistema che, nella sua specificità, pur tuttavia
rappresenta un unicum armonico in quanto non confligge con
il sistema penalistico né con quello amministrativo, il
legislatore ha introdotto l’art.25 septies per estendere il
concetto di "rimproverabilità" ai casi di commissione dei
delitti di omicidio colposo e lesioni colpose aggravate in
occasione di infortuni sul lavoro.
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L’Articolo 25 septies D.Lvo 231/2001
Ove il delitto di cui all’articolo 589 del codice penale-all’esito dei relativi accertamentirisulti causalmente collegato alla violazione dell’articolo 55, comma secondo, del
presente decreto legislativo, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 400
quote. Nel caso di condanna del delitto di cui al precedente periodo si applicano le
sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei
mesi.
Salvo quanto previsto dal comma uno, ove il delitto di cui all’articolo 589 del codice
penale, all’esito dei relativi accertamenti risulti causalmente collegato alla violazione
delle norme antinfortunistiche di materia di igiene e salute e sicurezza sul lavoro, si
applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore ai 200 quote. Nel caso di
condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive
di cui all’articolo 9, comma secondo, per una durata non superiore a tre mesi.
Ove il delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, le dei relativi
accertamenti, risulti causalmente collegato alla violazione delle norme
antinfortunistiche di materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro, si applica una
sanzione pecuniaria in misura non superiore ai 200 quote. Nel caso di condanna per il
delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui
all’articolo nove, comma 2 per una durata non superiore a tre mesi
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È evidente che per esimere la responsabilità dell'ente da questo tipo di
reati, il legislatore non poteva sic et simpliciter rifarsi al modello
organizzativo generale previsto per le altre fattispecie criminose, ha
dovuto prevedere l'adozione di un modello organizzativo gestionale per
la sicurezza così come delineato dall'articolo 30 del Testo Unico 81/2008
e s.m.i. dalle caratteristiche peculiari, in quanto adattato alle esigenze
gestionali di organizzazione della sicurezza, anche se resta pur sempre una
costola del modello organizzativo generale. L'introduzione del modello
gestionale della sicurezza quale previsto dall'articolo 30 deve essere visto
sotto due profili.
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Innanzitutto come un insieme di procedure ad eventi aderenti a regole
chiare, finalizzate a realizzare un sistema organizzativo di prevenzione
aziendale da cui discenda con evidenza la responsabilizzazione dei vari
soggetti.
Sotto questo profilo tipicamente inteso come modello strumento di tutela
della salute e sicurezza del lavoratore il legislatore ne impone l'adozione.
Ed infatti il modello organizzativo è composto da un manuale del sistema
sicurezza; da procedure operative; da documenti, istruzioni e modulistica.
Si fonda sul celebre ciclo di Deming (plan pianifica, do implementa,
check monitora, act riesamina) in modo da organizzare una serie di azioni
per il miglioramento continuo della situazione.
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In secondo luogo il modello organizzativo di gestione per la sicurezza
deve essere inteso come funzione di garanzia interna del sistema aziendale
ad evitare che scattino i meccanismi di controllo esterno (da parte degli
organi di vigilanza e, in ultima istanza, del giudice) infatti poiché la
funzione deli modello è quella di una efficiente prevenzione organizzata,
si è obbligati alla attivazione di un meccanismo di autoverificazione e
autoemendazione che fa capo ai principali soggetti depositari delle
posizioni di garanzia.
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Da queste prime considerazioni si evidenzia immediatamente come la
adozione del modello organizzativo gestionale, visto soprattutto sotto il
secondo profilo, è l'unica vera forma di tutela efficace per non far gravare
in capo agli organi apicali titolari della gestione economica dell'azienda le
responsabilità inerenti problematiche sulla sicurezza del lavoro.
L'adozione del modello organizzativo deve, quindi, essere inteso come un
dovere dall'azienda, dovere necessitato soprattutto dopo l’introduzione dei
principi dirompenti introdotti dalla recente sentenza cosiddetta sentenza
Tyssen Group di Torino in tema di sussistenza dell’elemento psicologico
del reato
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Inoltre il dovere di adozione diventa cogente e ineluttabile se
si considera che gli Organismi di vigilanza e il giudice non
possono entrare nel merito della organizzazione della
sicurezza in presenza di un modello organizzativo ben
costruito e correttamente adottato seguendo le direttive UNIINAIL
o
quelle
dettate
dal
sistema
BHS.
In questo consiste la forza esimente del modello.
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Si deve tenere conto che La stessa Corte di Cassazione (da
ultimo la sentenza del 3 febbraio 2011 n° 4106) si è
pronunciata sulla necessità di tenere ben distinta la figura del
datore di lavoro in funzione giuslaboristica da quella del
datore di lavoro in funzione prevenzionale e questo per
evitare la sfasatura che obiettivamente esiste tra diritto della
sicurezza sul lavoro e diritto del lavoro generale laddove
non siano chiari i limiti tra l'apparato di garanzia presidiato
penalmente in tema di sicurezza e gli elementi tipici
dell'assetto gerarchico/organizzativo aziendale che emerge
dall'ordinamento giuslavoristico extrapenale.
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Diversi sono stati i problemi che sono sorti con l'introduzione,
attraverso l'articolo 25 septies, dei reati di cui all'articolo 589
e 590 terzo comma codice penale all'interno del sistema
delineato dal decreto legislativo 231/2001. Il legislatore, ha
dovuto cancellare intere biblioteche in materia di valutazione
dell'elemento psicologico del reato e mandare al macero
consolidati principi costruiti in passato, indicando una nuova
direzione di marcia consistente nella prevenzione
organizzata.
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Il primo problema da risolvere è stato quello di dover adattare i canoni psicologici
propri del delitto doloso ai reati in materia di sicurezza sul lavoro di matrice
prettamente colposa, anche se sotto l'aspetto di colpa cosciente o colpa per
previsione in presenza di circostanza aggravante ex art. 61, n. 3, del codice
penale. La soluzione è stata trovata prima della giurisprudenza di merito e dopo
dalla stessa Corte di Cassazione valorizzando in luogo del momento squisitamente
psicologico gli elementi della condotta e della rappresentazione dell'evento,
per cui l'azione finalizzata ad un risultato di cui si accettano le conseguenze, vale
a significare la perfetta consapevolezza del problema ( rischi per l'incolumità dei
lavoratori ) più grave ancora se ripetutamente denunciato e comprensibile sul
piano delle prevedibili implicazioni: da ciò si deduce la intenzionale meditata
elusione delle problematiche organizzativa e prevenzionale: queste esigenze
vengono deliberatamente sacrificate in favore di un sistema imprenditoriale il più
economico e attento ai risultati in termini di profitto. Vale a dire quindi che
l'elemento psicologico inteso come colpa, anche se sotto l'aspetto più inquietante
della colpa del previsione, non è un coefficiente psicologico reale ma giudizio di
rimproverabilità, che si desume unicamente dalla condotta violativa di regole
cautelari che hanno reso possibile la consumazione del delitto.
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L’ altro problema da risolvere è stato quello della qualificazione del
cosiddetto interesse o vantaggio che l'ente deve trarre dalla commissione
del reato onde incorrere nelle conseguenze di leggi in quanto l'interesse o
vantaggio è legato a una costruzione del reato tipicamente di natura
dolosa. La giurisprudenza ha tentato di risolvere il problema affermando
che anche nel caso dei reati colposi, il vantaggio in ambito salute e
sicurezza sul lavoro è determinato dalla condotta posta in essere da un
soggetto che agisce per conto dell'ente con sistematiche violazioni di
norme cautelari in modo da far identificare quella condotta nella politica
di un'impresa volta alla svalutazione della gestione in materia di sicurezza
con conseguente abbattimento dei costi e delle spese per l'adozione ed
attuazione dei presidi antinfortunistici, per ottenere l'ottimizzazione dei
profitti.
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Comunque la madre di tutti i problemi restava sempre quella della definizione
dell’atteggiamento psicologico che ha reso necessario introdurre, come abbiamo visto,
un nuovo sistema di responsabilità sanzionatoria, che consiste nella "rimproverabilità”
per carenza di organizzazione. Comunque anche se con questi dirompenti
aggiustamenti la giurisprudenza ha sempre qualificato il momento psicologico come
colpa anche se intesa come colpa gestionale ed organizzativa. Con la sentenza Thyssen
Group emessa dalla Corte d'assise del Tribunale di Torino la rivoluzione copernicana
sulla nuova concezione di atteggiamento psicologico nei reati in materia di salute e
sicurezza sul lavoro si conclude in quanto il criterio di "rimproverabilità" per carenza
di organizzazione diventa "rimproverabilità" per carenza di organizzazione preventiva
della sicurezza con la conseguenziale ricaduta anche sul momento psicologico del
soggetto legato dal vincolo funzionale all'ente, per cui l'elemento psicologico da colpa
cosciente è trasformato in dolo sotto la forma di eventuale a seconda della gravità
della "rimproverabilità" rivolta all'ente per la carenza di organizzazione e omissione
di previsione
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E’ opportuno qui ricordare come sono strutturate la colpa cosciente e il dolo
eventuale:
Si versa nella forma di colpa cosciente, aggravata dall'avere agito nonostante la
previsione dell'evento (art. 61 n. 3 c.p.), qualora l'agente, nel porre in essere la
condotta nonostante la rappresentazione dell'evento, ne abbia escluso la possibilità
di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si
verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per
abilità personale o per intervento di altri fattori.
Il fondamento del dolo indiretto o eventuale sta nella rappresentazione e
nell'accettazione, da parte dell'agente, della concreta possibilità, intesa in termini
di elevata probabilità, di realizzazione dell'evento accessorio allo scopo seguito in
via primaria. Il soggetto pone in essere un'azione accettando il rischio del
verificarsi dell'evento, che nella rappresentazione psichica non è direttamente
voluto, ma appare probabile. In altri termini, l'agente, pur non avendo avuto di
mira quel determinato accadimento, ha tuttavia agito anche a costo che questo si
realizzasse, sicché lo stesso deve considerarsi riferibile alla determinazione
volitiva.
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La Corte d’Assise di Torino sposa la tesi del Pubblico Ministero e configura in modo doloso la commissione dei
reati di omicidio e di incendio. Per assicurare il successo a questo tentativo, la Corte deve adattare i criteri di
valutazione della responsabilità dell'ente ( criteri che non tengono conto degli atteggiamenti psicologici in quanto
gli enti non hanno mente e cuore) alla fattispecie tipica di responsabilità personale e quindi riconsiderare gli
elementi della rappresentazione dell'evento e della volontà. E’ evidente che è costretta a sminuire al massimo il
valore dell'elemento della volontà, dando risalto alla condotta dell'individuo. Infatti viene affermato che se
qualsiasi condotta umana viene posta in essere in quanto deve raggiungere un risultato, soltanto il riferimento al
risultato può consentire di individuare la volontà dell'agente. Da questa considerazione ne consegue che soltanto la
finalizzazione della condotta incide sulla sfera della volizione e la svela. Quindi la volontà è la
consapevolezza di ciò che si vuole. Conseguentemente il dolo deve essere considerato come rappresentazione
e volontà del fatto tipico. La rappresentazione, che ha ad oggetto tutti gli elementi essenziali del fatto,
costituisce il vero momento di atteggiamento psichico di conoscenza, quando concerne gli elementi
preesistenti e concomitanti al comportamento, di momento di atteggiamento psichico di coscienza, quando è
riferita alla condotta, di previsione, quando riguarda elementi futuri, qual è essenzialmente l'evento del
reato. Nell'agire doloso, sono soltanto le modalità della condotta posta in essere dal soggetto agente che
dimostrano se si è orientati deliberatamente verso la realizzazione del fatto di reato, e se la propria
condotta è stata modellata in modo da imprimerle l'idoneità alla realizzazione del fatto tipico che può
considerarsi voluto proprio perché il soggetto ha deciso in modo tale da determinarlo. Nei casi all’esame
della Corte di Assise la volontà di realizzare il fatto tipico reato si evince anche dalla circostanza che la previsione
dell'evento sussisteva al momento della condotta e non è stata mai sostituita da una previsione o contro
previsione, quale poteva essere implicitamente il dubbio.
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IV Congresso Croce - Studio Legale Coratella